ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo II
La disciplina normativa delle sanzioni sostitutive

Leonardo Bresci, 2004

1. La scelta del legislatore del 1981 e obiettivi della ricerca

L'introduzione delle sanzioni sostitutive nel nostro paese risponde alle stesse esigenze che ispirarono, a partire dagli anni settanta, i processi di riforma di molti sistemi sanzionatori europei: la consapevolezza della scarsa efficacia della pena detentiva breve insieme alla crisi dei sistemi penitenziari, costituiscono infatti i motivi principali del movimento internazionale di riforma.

Il generale orientamento di sfiducia verso la pena detentiva breve è ancora più comprensibile se a tali argomentazioni di politica criminale si aggiungono anche alcune riflessioni sulla funzione che la pena deve legittimamente assumere nelle moderne società liberali e sui vincoli costituzionali propri di tali società. Pertanto alle precedenti argomentazioni se ne aggiungono altre due di carattere, per dir così, costituzionale:

  • la pena privativa della libertà personale deve essere applicata come extrema ratio, quando siano esauriti altri eventuali strumenti di tutela dei beni giuridici. Questo principio di sfavore verso la pena detentiva risulta dunque rafforzato dal rilievo preminente attribuito dalla Costituzione (art. 13) alla libertà personale, unito alla circostanza che la privazione della libertà ha sempre effetti desocializzanti sull'individuo che la subisce;
  • le misure penali non devono alterare la relazione tra il soggetto e la comunità in tutti i casi in cui ciò può essere evitato, e devono ristabilire tale relazione quando la rottura si è già verificata. Anche quest'esigenza è presente nel nostro ordinamento costituzionale, ove si accolga la concezione che l'obiettivo di risocializzazione del condannato deve essere inteso nel senso più ampio e, pertanto, non rimanere confinato nella fase dell'esecuzione e regolamentazione della pena, ma investire la stessa tipologia delle sanzioni impiegate nella lotta contro la criminalità (1).

Come abbiamo visto il movimento internazionale di riforma coinvolge anche il legislatore italiano che con l'emanazione della legge 24 novembre 1981, nº 689 torna ad affrontare il problema della pena detentiva breve, a distanza di settantacinque anni dall'introduzione della sospensione condizionale.

La scelta del nostro legislatore è contraddistinta, peraltro, da importanti tratti innovativi rispetto ai precedenti interventi in materia di diritto sanzionatorio

Come è stato giustamente notato (2), la disciplina delle sanzioni sostitutive contenuta nella sezione I del Capo III di questa legge costituisce il primo vero tentativo di arricchire e rinvigorire il nostro sistema sanzionatorio attraverso la previsione di misure effettivamente alternative alla carcerazione breve, non rilevando invece a tal proposito le misure introdotte con la legge sull'ordinamento penitenziario. Secondo l'originaria disciplina della legge 354 del 1975 l'affidamento in prova e la semilibertà, che pure sono espressione di una politica criminale rivolta alla differenziazione degli strumenti sanzionatori, intervenivano infatti all'interno dell'esecuzione della pena detentiva (3).

Il tentativo di arginare la detenzione breve da parte del legislatore del 1981 è segnato da un'ulteriore elemento di novità rispetto al passato, poiché con la legge di "Modifiche al sistema penale" fanno ingresso nell'ordinamento italiano misure ascrivibili non alla categoria delle sanzioni sospensive, bensì a quella delle sanzioni sostitutive in senso stretto (4). A tal fine il legislatore italiano ha utilizzato la medesima tecnica legislativa adottata negli ordinamenti tedesco e austriaco (5): anziché avventurarsi in una revisione del trattamento sanzionatorio previsto nelle singole fattispecie di reato di parte speciale, ha infatti optato per una clausola di parte generale (art. 53) che attribuisce al giudice il potere di sostituire la pena detentiva inflitta in sede di condanna. In proposito lo stesso relatore presso la Commissione Giustizia della Camera (On. Sabbatini) presentava la scelta a favore del sistema della clausola generale annunciando la mancata "modifica del codice penale perché [la sostituzione] non opera ope legis, ma ope iudicis: la sostituzione di pene detentive brevi si realizza nel momento della sentenza, cioè quando il giudice ritiene di infliggere una pena." (6)

Del resto la scelta del nostro legislatore non appare irragionevole, tenuto presente che l'esigenza politico- criminale non era tanto quella di approntare una risposta sanzionatoria differenziata e specificatamente adeguata alla fisionomia delle fattispecie incriminatrici, quanto quella di realizzare una generale riduzione delle pene detentive brevi (7). È vero però che l'adozione dell'una o dell'altra tecnica sostitutiva implica conseguenze di un certo rilevo, in termini teorici e pratici, ai fini dell'applicazione della legge. Difatti la previsione delle pene sostitutive non già con riferimento alla fase edittale, bensì con riguardo alla sua applicazione giudiziale comporta la necessaria attribuzione alla discrezionalità del giudice della scelta di sostituire; discrezionalità che, come vedremo, può costituire un limite all'applicazione concreta delle sanzioni sostitutive.

Oltre alla clausola generale di sostituzione la legge ha previsto per l'applicazione delle sanzioni sostitutive anche il meccanismo del procedimento speciale chiamato "applicazione della pena su richiesta dell'imputato". Originariamente previsto dagli artt. 77 e ss della legge 689/1981, detto procedimento trova oggi la sua disciplina all'interno del codice di procedura penale. All'art. 444 c.p.p., infatti, è attribuita la facoltà all'imputato e al p.m. di chiedere al giudice l'applicazione di una sanzione sostitutiva. La circostanza che l'applicazione della sanzione sostitutiva si fondi su di un "accordo" tra l'imputato ed il pm, è il motivo per cui nel linguaggio corrente l'istituto ha preso il nome di "patteggiamento", un termine che richiama quel sistema di plea bargaining tipico del diritto nordamericano e consistente nel potere dell'organo dell'accusa di negoziare con l'imputato l'esercizio e le modalità dell'azione penale. Nonostante il suggestivo richiamo, il procedimento speciale di cui all'art. 444 c.p.p. non è niente di più diverso. Il pubblico ministero mantiene infatti il potere- dovere di mettere in modo il meccanismo processuale, pertanto la richiesta dell'imputato e il parere favorevole del pm non possono essere oggetto di trattativa, ma soltanto i presupposti per la decisione del giudice sull'applicazione della sanzione sostitutiva, decisione che in definitiva rimane però nella libera determinazione del magistrato.

Fatta questa breve introduzione diciamo subito che scopo di questa indagine è quello di sottoporre a verifica la disciplina della legge 689 sotto il duplice profilo:

  • della coerenza rispetto al complessivo sistema sanzionatorio italiano;
  • dell'adeguatezza e congruità rispetto alle finalità di politica criminale che il legislatore si è prefissato di raggiungere.

A tal proposito in questo capitolo affronteremo in particolare il primo aspetto, pur senza prescindere dalle impressioni, emergenti già sul piano teorico, circa l'idoneità del fenomeno sostitutivo al raggiungimento degli scopi cui era preordinata la legge. Nell'ultimo capitolo, invece, cercheremo di mettere in luce i risultati raggiunti dalla legge, attraverso l'analisi empirica della prassi applicativa.

2. Natura giuridica e finalità delle sanzioni sostitutive

Prima di passare alla descrizione della disciplina introdotta con la legge del 1981, occorre fare una premessa sull'inquadramento dogmatico delle sanzioni sostitutive, al fine di pervenire ad una corretta ricostruzione dell'intera disciplina. L'opportunità di chiarire la natura giuridica e le funzioni delle sanzioni sostitutive è di facile intuizione ove si consideri che le lacune e le imperfezioni presenti nella legge richiedono all'operatore di diritto un grande sforzo interpretativo che risulterà condizionato dalla visione complessiva del fenomeno normativo. Anzitutto, la questione relativa alla natura giuridica delle sanzioni sostitutive ha attirato l'attenzione della dottrina penalistica che si è divisa su due diverse opinioni. L'orientamento prevalente ritiene che tali sanzioni andrebbero considerate come vere e proprie pene, poiché dotate di un preciso contenuto sanzionatorio e di un'autonomia logica e normativa rispetto alla classica pena detentiva (8). Sempre all'interno della stessa corrente di pensiero sono tuttavia da annoverare posizioni che, pur privilegiando l'aspetto sanzionatorio, riconoscono alle nuove misure aspetti peculiari tali da conferire ad esse una "doppia anima" di pene autonome e di benefici a contenuto sanzionatorio (9).

Diversamente, non mancano opinioni che ritengono le pene sostitutive riconducibili al più ampio contesto degli istituti sospensivi, poiché l'applicazione della sanzione sostitutiva determinerebbe una sospensione della pena detentiva breve, caratterizzata dalla possibile reviviscenza della sanzione originariamente irrogata (in tutta la sua interezza) (10).

L'inquadramento dogmatico del fenomeno sostitutivo è, come vedremo, un problema tutt'altro che teorico, visto che dalla considerazione della sanzioni sostitutive quali misure sospensive ovvero sanzioni penali in senso stretto, può derivare una diversa ricostruzione dell'intera disciplina.

In secondo luogo, una corretta lettura della disciplina deve tener conto anche delle finalità perseguite dalle sanzioni sostitutive. Quanto alle finalità specifiche che il legislatore ha voluto perseguire, emergono con chiarezza due scopi specificatamente caratterizzanti le sanzioni sostitutive: la lotta alla pena detentiva breve e la (conseguente) non desocializzazione del reo (11). A tal proposito è utile ricordare che la ratio ispiratrice della riforma è costituita proprio dall'esigenza di arginare i costi tipici della detenzione breve, in termini sia di effetti desocializzanti in capo al condannato sia di impegno per lo Stato nella gestione dell'amministrazione penitenziaria.

3. Tipologia delle sanzioni sostitutive

Se la legge del 1981 ha ricalcato la soluzione già accolta dai legislatori tedesco e austriaco della clausola generale di sostituzione, allo stesso tempo si è discostata da quei modelli nella definizione della tipologia delle sanzioni sostitutive. L'art. 53, primo comma, della legge infatti dispone:

Il giudice nel pronunciare la sentenza di condanna, quando ritiene di dover determinare la durata della pena detentiva entro il limite di due anni può sostituire tale pena con la semidetenzione; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno può sostituirla anche con la libertà controllata; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di sei mesi può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente.

A fianco dunque della sanzione patrimoniale, che rappresenta la pena sostitutiva per eccellenza negli ordinamenti di lingua tedesca, sono previste due ulteriori misure cui è affidata la funzione di sostituire livelli di pena detentiva più alti. Più precisamente: il legislatore italiano distingue nell'ambito della detenzione breve tre diverse fasce di pena detentiva all'interno delle quali operare la sostituzione: le pene detentive fino a due anni possono essere sostituite dal giudice di cognizione con la semidetenzione; quelle fino a un anno alternativamente con la semidetenzione o la libertà controllata; infine per le pene detentive brevissime (fino a sei mesi) il giudice può esercitare il potere di sostituzione applicando la pena pecuniaria, la libertà controllata ovvero la semidetenzione (12).

I motivi della varietà delle sanzioni sostitutive sono riconducibili alla scarsa fiducia da sempre dimostrata dal nostro ordinamento nei confronti della pena pecuniaria. Quest'atteggiamento di sfavore si ritrova a partire dal progetto della legge dove la pena pecuniaria era sostitutiva soltanto di pene detentive fino ad un mese (13), per arrivare ai giorni nostri quando, nonostante il forte innalzamento dei limiti di pena concreta entro cui applicare la pena pecuniaria sostitutiva, non si è ritenuto di abolire le altre sanzioni sostitutive. In effetti, la particolare situazione economica del nostro paese, caratterizzata da una difforme distribuzione delle risorse per strati sociali e aree geografiche, ha rappresentato l'obiezione principale alle istanze volte a promuovere un più vasto utilizzo della pena pecuniaria. Inoltre, la conservazione della semidetenzione e della libertà controllata tra i sostitutivi della pena detentiva riflette anche le problematiche che la pena pecuniaria incontra in sede di esecuzione (cfr. capitolo III).

Nonostante la necessità di allargare l'arsenale sanzionatorio rispetto al tradizionale binomio pena detentiva- pena pecuniaria, il legislatore del 1981 non ha però imboccato strade realmente innovative (14). Difatti la semidetenzione (15) e la libertà controllata (16) sono pene sostitutive costruite sulla falsariga di due misure penali già esistenti nel nostro ordinamento: rispettivamente, la semilibertà (art. 58 dell'ordinamento penitenziario) e la libertà vigilata (art. 218 del codice penale).

In particolare, la semidetenzione (art. 55) comporta la privazione della libertà personale per alcune ore al giorno e una serie obblighi e limiti ad altre libertà individuali.

Il contenuto fondamentale di questa sanzione consiste perciò nell'obbligo di permanere in un istituto di semilibertà (o nelle apposite sezioni degli istituti ordinari destinate ai semiliberi) almeno dieci ore al giorno (art. 55 I comma). L'istituto deve essere situato nel comune di residenza del condannato o, in mancanza, nel comune più vicino. Sebbene la semidetenzione consista, analogamente alla semilibertà, nella privazione della libertà personale per parte della giornata, le differenze fra questi due istituti non sono certo marginali. Anzitutto è diversa la competenza del giudice ad irrogare la sanzione: il giudice di cognizione per la semidetenzione, il tribunale di sorveglianza per la semilibertà. Ulteriori differenze si riscontrano dal punto di vista contenutistico in relazione alle ore da trascorrere in istituto, alla natura dei vincoli cui il soggetto è sottoposto quando si trova in libertà, nonché alle conseguenze del mancato rientro nello stabilimento penitenziario. Con particolare riguardo a quest'ultimo aspetto, l'art. 53 ultimo comma estende al semidetenuto la normativa dell'ordinamento penitenziario limitatamente al periodo in cui il soggetto si trova all'interno dell'istituto (17). La conseguenza è che il mancato rientro dallo stato di libertà da parte del semidetenuto non può considerarsi condotta integrante gli estremi del reato di evasione, espressamente richiamato dall'art. 51 dell'ordinamento penitenziario (e applicabile invece al semilibero). Inoltre, trattandosi l'evasione di un reato proprio (cioè che richiede una particolare qualifica del soggetto attivo, in specie quella di detenuto) la condotta (mancato rientro dallo stato di libertà) rimane penalmente irrilevante se posta in essere dal semidetenuto, ossia da un soggetto il cui status non è quello di detenuto, essendo la pene sostitutiva una sanzione autonoma rispetto alla detenzione (18). In ogni caso, la mancata presentazione del semidetenuto all'istituto penitenziario nell'orario previsto nell'ordinanza del magistrato di sorveglianza costituisce violazione delle prescrizioni ex art. 66, che comporta la revoca della pena sostitutiva e la conversione della parte residua.

Accanto all'elemento custodiale, che rappresenta il nucleo fondamentale della semidetenzione, troviamo una serie di elementi prescrittivi (di controllo e d'interdizione) che si traducono in altrettanti obblighi e limitazioni di libertà individuali (II comma art. 55). Il secondo comma dell'art. 55, infatti, arricchisce il contenuto della semidetenzione disponendo:

  1. il divieto di detenere a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi, anche se è stata concessa la relativa autorizzazione di polizia;
  2. la sospensione della patente di guida;
  3. il ritiro del passaporto, nonché la sospensione della validità, ai fini dell'espatrio, di ogni altro documento equipollente;
  4. l'obbligo di conservare e di presentare (su richiesta degli organi di polizia e nel termine da essi fissato) l'ordinanza emessa a norma dell'art. 62 e l'eventuale provvedimento di modifica delle modalità di esecuzione della pena, adottato a norma dell'art. 64.

L'obbligo di conservare ed esibire la documentazione di cui al punto 4 rappresenta una prescrizione finalizzata ad assicurare una forma di controllo sull'adempimento delle prescrizioni, per disincentivarne le violazioni (19). Le altre prescrizioni (punti 1, 2 e 3), consistendo nella perdita per il condannato della titolarità di alcuni diritti, hanno invece una natura interdittiva e, pertanto, dotate di una loro specifica portata afflittiva (elemento questo che conforta la tesi che trattasi di sanzione penale e non di misura sospensiva). In ordine a quest'ultime prescrizioni è stato acutamente rilevato un elemento d'incoerenza sistematica (20): mentre il ritiro del passaporto e il divieto di detenzione di armi si configurano come prescrizioni dal carattere immodificabile (ex art. 64 ultimo comma), la prescrizione concernente la patente di guida può essere formulata (dal magistrato di sorveglianza in sede di determinazione delle modalità esecutive) in modo da non ostacolare il lavoro del condannato. Di conseguenza, si è detto, che nelle ipotesi in cui il possesso dell'arma o del passaporto sia strettamente necessario per lo svolgimento dell'attività lavorativa si configurerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento nella disciplina delle prescrizioni interdittive. In ogni caso, la dottrina ha proposto di rimediare a questa lacuna legislativa facendo ricorso all'applicazione dell'istituto della sospensione della sanzione sostitutiva disciplinato all'art. 69 (21), laddove il possesso del passaporto o la detenzione di armi sia strettamente necessario per ragioni di lavoro o di studio (22). Non avendo incontrato alcuna sentenza che si esprimesse su questo problema, abbiamo chiesto direttamente a qualche magistrato (23) se sia possibile percorrere la via indicata dalla dottrina. La loro risposta è affermativa, tuttavia fanno notare che le ipotesi in cui l'uso delle armi o del passaporto per motivi di studio, famiglia ecc., rappresentano casi marginali. Ad ogni modo in tali situazioni il magistrato dovrà attentamente considerare l'opportunità di sospendere la sanzione sostitutiva, in particolar modo quando la prescrizione da "aggirare" è quella relativa all'uso delle armi. Ad avviso dei nostri interlocutori, infatti, la sospensione sarà concedibile di fronte a reati di minima entità, tale da far presupporre che il condannato si astenga da un uso improprio dell'arma.

Sulla prescrizione relativa alla patente di guida occorre, infine, un'ulteriore precisazione. Secondo l'orientamento della Cassazione (24) la sospensione della patente perseguendo la finalità di impedire al condannato di allontanarsi facilmente dal luogo di residenza, dovrebbe prescindere dall'effettivo possesso della patente e concretarsi, pertanto, in un generale divieto di guidare veicoli. Questa ricostruzione della norma di legge, a dire il vero un po' forzata, farebbe quindi concludere che al condannato alla semidetenzione o alla libertà controllata sia preclusa l'utilizzazione anche dei veicoli per i quali non è necessario il rilascio della patente.

La libertà controllata è invece una misura parzialmente limitativa della libertà personale eseguita fuori dall'ambiente carcerario e il cui contenuto fondamentale è costituito dall'obbligo di soggiorno nel comune in cui il soggetto ha la sua dimora abituale e prevalente al momento della condanna. Inoltre, il libero controllato è sottoposto, oltre che alle stesse prescrizioni previste per il semidetenuto, all'obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno, compatibilmente con le esigenze di studio o di lavoro, presso l'ufficio di pubblica sicurezza o l'Arma dei carabinieri territorialmente competente. Infine, è prevista la facoltà del magistrato di sorveglianza di richiedere l'intervento del servizio sociale quando lo ritenga utile per favorire il reinserimento sociale del condannato. Com'è facile notare la sanzione sostitutiva della libertà controllata è strutturata sul modello della libertà vigilata, consistendo entrambe le misure in una limitazione della libertà personale. Nonostante quest'affinità strutturale anche la libertà vigilata si differenzia dalla sanzione sostitutiva, oltre che per la diversità dei magistrati competenti all'applicazione, per una maggiore elasticità di contenuto e una più marcata tendenza risocializzatrice. Infatti, la misura di sicurezza della libertà vigilata da un lato si caratterizza per l'imposizione di prescrizioni non predeterminate dalla legge, dall'altro prevede positivi interventi di sostegno e assistenza, svolti dal servizio sociale al fine del reinserimento sociale. Al contrario la libertà controllata si caratterizza per la relativa fissità e predeterminazione delle prescrizioni e la previsione soltanto facoltativa dell'intervento del CSSA.

Già da questa pur sintetica descrizione del contenuto della semidetenzione e della libertà controllata possono avanzarsi alcune notazioni critiche circa la loro congruità rispetto alla finalismo del fenomeno sostitutivo e, più in generale, rispetto alla funzione assegnata dal nostro ordinamento alla repressione penale.

Anzitutto, è evidente la contraddittorietà della semidetenzione con lo scopo di semplificare la situazione carceraria (25), visto che l'amministrazione penitenziaria continua ad essere coinvolta nell'esecuzione della sanzione sostitutiva. In altre parole la semidetenzione sposta semplicemente il problema della gestione del detenuto dagli ordinari istituti di pena agli istituti adibiti per i semiliberi.

Rispetto al dichiarato intento di non desocializzazione, appare poi quanto meno singolare la scelta a favore di una sanzione (la semidetenzione) che comporta l'internamento, sia pure per un numero limitato di ore, negli istituti destinati ai semiliberi (26). Infatti, anche se la privazione della libertà personale avviene in un luogo diverso dagli istituti penitenziari ordinari, il condannato alla semidetenzione (reo senza precedenti; o recidivo semplice) viene comunque inserito in una realtà carceraria, rimanendo potenzialmente esposto al quel contagio criminale che invece si era voluto evitare con la sostituzione della pena detentiva. A questa constatazione potrebbe obiettarsi che le sanzioni sostitutive in quanto sanzioni penali devono contenere un quantum di afflittività necessaria all'istanza retributiva e che la non desocializzazione sarebbe comunque realizzata attraverso la riduzione del pericolo di contagio dovuto al non completo inserimento del soggetto nella vita carceraria. Tuttavia, la considerazione svolta non vuole mettere in discussione la discrezionalità del legislatore nelle sue scelte di politica criminale (scelte che comprendono anche l'individuazione delle sanzioni che ritiene più opportune), bensì sottolineare la discordanza tra la soluzione adottata e l'obiettivo di fondo perseguito dalla legge 689. La critica alla semidetenzione, lungi dall'essere frutto di mero indulgenzialismo, si fonda pertanto su di una razionale valutazione circa l'effettiva realizzazione degli scopi che la legge si è prefissa. In altre parole: se il legislatore ha voluto evitare per determinate categorie di condannati il carcere perché ritenuto desocializzante, ha operato un bilaciamento tra l'esigenza di afflittività e quella di evitare un peggioramento criminale del reo. In questa direzione, pertanto, la scelta a favore della semidetenzione rappresenta un elemento distonico rispetto alla scelta di fondo del legislatore e, pertanto, criticabile.

Inoltre un punto di vista sociologico, la soluzione della semidetenzione non può che avere effetti negativi. Il fenomeno dell'etichettamento prodotto da ogni sanzione penale (in particolare dalle pene privative della libertà personale) accompagnato dalla mancanza di qualsiasi sostegno sociale non può che favorire l'emarginazione del condannato e, quindi, la desocializzazione dello stesso.

La libertà controllata invece è caratterizzata da una logica di polizia e di controllo, stante la natura delle sue prescrizioni. Gli obblighi comportamentali imposti al condannato tendono infatti per un verso ad assicurare il controllo da parte degli organi di polizia (ossia le prescrizioni di cui ai punti 1, 2 e 6 dell'art. 56), dall'altro a limitare la libertà personale in funzione di neutralizzazione (ossia le prescrizioni che consistono nella revoca di autorizzazioni amministrative).

La funzione risocializzativa rimane invece ai margini, essendo prevista soltanto la facoltatività del magistrato di sorveglianza di richiedere gli interventi di sostegno del CSSA; interventi che, come vedremo, non sono di fatto mai richiesti.

Così strutturata la misura tende a realizzare la non desocializzazione soltanto attraverso il mancato inserimento del reo nel carcere, finalità che probabilmente è perseguibile nei limitati casi in cui il reo sia già ben inserito nella vita sociale. Negli altri casi prevarrà, al contrario, il peso afflittivo della libertà controllata vanificando quell'obiettivo di non desocializzazione perseguito dal legislatore.

Si può addirittura sostenere che in taluni casi una condanna a sanzione sostitutiva sia maggiormente afflittiva rispetto ad una condanna alla detenzione. Ma questo argomento sarà affrontato più avanti (cfr. cap. IV, par. 4), quando analizzeremo l'impatto delle sanzioni sostitutive nella prassi giudiziaria.

4. Limiti di ammissibilità delle sanzioni sostitutive

Riguardo all'ambito di operatività delle sanzioni sostitutive, bisogna anzitutto rilevare come il legislatore sia intervenuto (dal 1981 ad oggi) per mitigare il rigoroso sistema dei limiti originariamente previsto dalla legge. Abrogati gli artt. 54 (27) (che limitava la sostituzione ai reati di competenza pretoriale) e 60 (28) (che escludeva dalla sostituzione determinate fattispecie di reato) gli unici limiti all'applicazione delle pene sostitutive sono infatti riconducibili:

  • alla gravità in concreto del reato, ossia alla quantità di pena concretamente irrogata dal giudice di cognizione (art. 53);
  • alle condizioni soggettive di cui all'art. 59 (29).

Del primo limite abbiamo già parlato a proposito della clausola generale di sostituzione, basti qui rilevare che i limiti di pena concreta entro cui opera la sostituzione sono notevolmente più ampi rispetto a quelli previsti dall'originaria versione dell'art. 53 (30).

I limiti di pena concreta subiscono però un ulteriore ampliamento per effetto dell'ultimo comma dell'art. 53 che disciplina le ipotesi di reato continuato e concorso formale di reati. Tale norma stabilisce:

Nei casi previsti dall'articolo 81 del codice penale, quando per ciascun reato è consentita la sostituzione della pena detentiva, si tiene conto dei limiti indicati nel primo comma soltanto per la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave. Quando la sostituzione della pena detentiva è ammissibile soltanto per alcuni reati, il giudice, se ritiene doverla disporre, determina, al sol fine della sostituzione, la parte di pena per i reati per i quali opera la sostituzione.

Il legislatore ha dunque previsto, nel caso di concorso formale e reato continuato, due situazioni diverse. Se per ogni singolo reato è ammessa la sostituzione, il giudice deve tener conto dei limiti di pena concreta (due anni; un anno; sei mesi) soltanto in riferimento al reato più grave, e non al totale di pena detentiva derivante dall'applicazione dell'aumento previsto dall'art. 81 c.p. Di conseguenza diventano ammissibili condanne a sanzioni sostitutive oltre i limiti originariamente previsti al primo comma dell'art. 53. Viceversa, se la sostituzione è ammessa soltanto per alcuni reati, il giudice determina la parte di pena detentiva in ordine alla quale operare la sostituzione, sempreché ritenga di doverla applicare. Di conseguenza diventano possibili condanne che congiuntamente comminano tanto la pena detentiva quanto una delle pene sostitutive.

Per quanto concerne la prima previsione, se all'epoca dell'emanazione della legge 689 era stata salutata positivamente (31), in quanto apportava un ampliamento all'allora ristretto ambito applicativo della sostituzione, oggi desta qualche perplessità ove si consideri che, in conseguenza dell'innalzamento del tetto di pena detentiva sostituibile, il giudice potrà in astratto irrogare sanzioni sostitutive al posto della detenzione fino a quasi tre anni.

Per quanto attiene, invece, la seconda previsione dell'ultimo comma del 53, si deve osservare come essa determini una situazione a dir poco singolare: in caso di condanna per reati uniti dal vincolo della continuazione o tra i quali sussista un concorso formale, se per uno di tali reati la sostituzione non è ammissibile, si potrà avere una condanna tanto a pena detentiva, quanto ad una delle pene sostitutive. In tal modo verrebbe, pertanto, meno la ragione giustificatrice delle pene sostitutive, rappresentata dall'opportunità di evitare gli effetti desocializzanti che si accompagnano ad una breve detenzione (32).

Abbiamo detto che la legge subordina l'operatività della sostituzione anche all'assenza delle condizioni soggettive descritte all'art. 59. Tale norma, muovendo da considerazioni di prevenzione speciale, esclude dalla sostituzione una serie di soggetti che non presentano, a giudizio del legislatore, reali esigenze di non desocializzazione.

Schematicamente, l'art. 59 dispone che la pena detentiva non può essere sostituita nei confronti di coloro che:

  1. hanno precedenti penali superiori a tre anni di reclusione ed hanno commesso il reato (al quale si vorrebbe applicare la sanzione sostitutiva) nei cinque anni successivi alla condanna precedente;
  2. hanno commesso il reato (al quale si vorrebbe applicare la sanzione sostitutiva) nell'ultimo decennio e ricorra altresì un'altra delle seguenti condizioni:
    1. siano già stati condannati più di due volte per reati della stessa indole;
    2. abbiano già usufruito della semidetenzione o della libertà controllata senza il rispetto delle prescrizioni e con conseguente conversione ex art. 66; ovvero abbiano già usufruito del regime di semilibertà e questo sia stato revocato;
    3. hanno commesso il reato mentre si trovavano sottoposti alla libertà vigilato o alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale.

Anzitutto, per la fattispecie preclusiva di cui al primo comma [punto 1] è sufficiente che il soggetto abbia riportato, nei cinque anni precedenti al reato per cui si procede, una condanna a più di tre anni di reclusione, senza la necessità, quindi, della dichiarazione della recidiva. Non è invece pacifica la lettura effettuata dalla dottrina sulla locuzione "pena detentiva complessivamente superiore a tre anni di reclusione". Al riguardo, infatti, alcuni autori ritengono che l'ostacolo alla sostituzione è rappresentato esclusivamente da precedetenti penali superiori a tre anni di reclusione, con la conseguenza che le condanne alla pena detentiva dell'arresto non sono mai ostative alla sostituzione (33). Altri sostengono invece che il riferimento alla reclusione impone di ritenere che la preclusione riguardi chi abbia riportato condanne per soli delitti, ovvero per delitti e contravvenzioni, visto che a norma dell'art. 76 del codice penale le pene di specie diversa concorrenti fra loro si considerano per ogni effetto giuridico come pena unica della specie più grave (34).

In conclusione, sotto il profilo della non desocializzazione i limiti dell'art. 59 sono stati introdotti dal legislatore per escludere dalla applicazione dei sostitutivi tutta una categoria di soggetti che hanno già sperimentato la vita carceraria e, quindi, ritenuti già stati contaminati dalla influenza criminogena del carcere.

Ciò detto continua a destare perplessità la condizione ostativa di cui al secondo comma [punto 2], laddove si esclude la sostituzione in relazione all'esistenza di fatti (commissione di tre o più reati della stessa indole; precedenti revoche di sanzioni sostitutive o regime di semilibertà; commissione del reato in stato di libertà vigilata o sorveglianza speciale) avvenuti nei dieci anni precedenti la commissione del reato. Tale previsione sembra infatti recepire una concezione del carcere come una sorta di male incurabile, diretto cioè a contaminare in modo indelebile la personalità dell'individuo che sperimenta la detenzione. Certo è che se così fosse non avrebbe nemmeno senso parlare di funzione rieducativa della repressione penale.

5. Sanzioni sostitutive e potere discrezionale del giudice

Adesso affrontiamo una delicata questione che a nostro avviso è di centrale importanza per la comprensione dell'insuccesso delle sanzioni sostitutive: la discrezionalità del giudice di cognizione nell'esercizio del potere sostitutivo.

Scartata la scelta di prevedere le pene sostitutive direttamente nelle singole disposizioni incriminatrici, si è reso inevitabile per il legislatore formulare una norma a carattere generale (l'art. 53, ossia la cosiddetta clausola generale di sostituzione) e quindi affidare al giudice il potere discrezionale di sostituzione. In questo senso, infatti, l'art. 58 dispone:

Il giudice nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell'articolo 133 del codice penale, può sostituire la pena detentiva e tra le pene sostitutive sceglie quella più idonea al reinserimento sociale del condannato.

Non può tuttavia sostituire la pena detentiva quando presume che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato.

Deve in ogni caso specificatamente indicare i motivi che giustificano la scelta del tipo di pena irrogata.

In tale norma possono ravvisarsi dunque due diversi momenti di discrezionalità del giudice di cognizione: il primo riguarda l'opportunità della sostituzione (discrezionalità sull'an); l'altro (successivo) concerne invece la scelta tra le pene sostitutive predisposte dall'ordinamento (discrezionalità sul quomodo). Come è noto la moderna teoria della commisurazione giudiziale della pena è ispirata al principio della discrezionalità vincolata (35), secondo il quale la scelta del giudice deve essere limitata da predeterminati criteri legali che devono guidarlo nell'uso del potere discrezionale. Nel tentativo di dare attuazione a suddetto principio l'art. 58 ha stabilito che il giudice nella decisione relativa alla sostituzione della pena detentiva breve deve tener conto:

  • dei criteri indicati nell'articolo 133 del codice penale;
  • del risultato della prognosi di non adempimento delle prescrizioni da parte del condannato;
  • della finalità di reinserimento sociale nella scelta tra le diverse pene sostitutive a disposizione.

Quanto all'an della sostituzione, il richiamo operato dal primo comma all'art. 133 ripresenta in materia di pene sostitutive tutti i problemi interpretativi connessi alla generale disciplina della commisurazione della pena. L'art. 133 del codice penale è stato infatti oggetto di critiche da parte della dottrina, la quale ha constatato come tale norma si limiti ad enumerare criteri fattuali di commisurazione che si prestano ad una utilizzazione ambigua dal momento in cui il legislatore non ha specificato i fini che la pena deve perseguire al momento dell'irrogazione (36). I parametri in essa contenuti si prestano quindi, nel silenzio della legge, ad interpretazioni equivoche a seconda che l'interprete individui o nella retribuzione o nella risocializzazione ovvero nella prevenzione generale la o le finalità che la pena deve perseguire nel momento dell'irrogazione (37).

Non è questa la sede per affrontare specificatamente i problemi relativi alla disciplina della commisurazione, basti rilevare ai nostri fini le implicazioni che il lacunoso modello dell'art. 133 ha sulla decisione relativa all'an della sostituzione.

In effetti la dottrina ha proposto due interpretazioni circa la discrezionalità del giudice nella sostituzione della pena detentiva, al fine di colmare o quanto meno attenuare il vuoto legislativo sopra descritto.

Secondo una prima linea interpretativa, i criteri della gravità del reato e della capacità a delinquere (considerati come polifunzionali) tornerebbero ad operare sull'an della sostituzione, in modo da proporzionare la risposta sanzionatoria al concreto disvalore del reato nonché alla capacità a delinquere del reo (38). Questa soluzione, seppur sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità (39), non sfugge ad alcune osservazioni critiche (40). Anzitutto è stato detto che, offrire al giudice in sede di sostituzione gli stessi parametri già utilizzati nella quantificazione della pena detentiva equivale a rimettere l'an della sostituzione unicamente alla sua discrezionalità, che per l'assoluta mancanza di ulteriori criteri- guida rasenta l'arbitrium iudicis. In secondo luogo, è stato evidenziato il pericolo che questa interpretazione, sempre a causa della genericità delle valutazioni imposte dall'art. 133, finisca col far dipendere la sostituzione da un giudizio sulla sola capacità a delinquere del colpevole, ossia lo stesso criterio con cui il giudice valuta l'opportunità di concedere la sospensione condizionale e gli altri benefici. In questa intepretazione si scorge dunque un eccesso di cautela di fronte a sanzioni che non possono ritenersi benefici, stante il loro indubitabile contenuto afflittivo che, ad eccezione della pena pecuniaria, consiste pur sempre in una limitazione della libertà personale. Come vedremo più avanti, l'ancoraggio della decisione sull'an della sostituzione ad una prognosi di non recidiva comporta nella pratica la sostanziale inoperatività del fenomeno sostitutivo a causa della sovrapposizione applicativa rispetto alla sospensione condizionale.

Al contrario la dottrina maggioritaria (41) propone una diversa lettura interpretativa dei criteri contenuti nell'art. 133 del codice penale, al fine di vincolare la discrezionalità del giudice nella decisione della sostituzione della pena detentiva breve.

Com'è stato efficacemente detto (42), infatti, è verità acquisita che, prima di scendere a valutare gli elementi dell'art. 133, occorre individuare la ratio delle singole ipotesi di discrezionalità e, quindi, i criteri valutativi, alla cui stregua detti elementi vanno interpretati. Di conseguenza gli elementi di fatto elencati nell'art. 133 del codice penale andrebbero finalisticamente utilizzati dal giudice di cognizione avendo presente la funzione assegnata dall'ordinamento giuridico alle sanzioni sostitutive, che è notoriamente rappresentata dall'esigenza di evitare i "costi" della pena detentiva breve fra i quali sono compresi, in primo luogo, gli effetti desocializzanti e criminogeni del carcere. Ecco che il discorso iniziale sull'inquadramento dogmatico e sulle finalità delle pene sostitutive torna adesso utile ai fini dell'interpretazione del potere discrezionale del giudice: se consideriamo le misure sostitutive sanzioni penali, ad esse deve essere attribuita, nel momento in cui vengono irrogate, la funzione di intimidazione; allo stesso modo deve essere riconosciuta ad esse la finalità specifica che il legislatore ha voluto perseguire, ossia la non desocializzazione di alcune categorie di condannati. Tradotto in termini concreti, il potere discrezionale del giudice dovrebbe essere guidato dagli indici contenuti nell'art. 133 valutati in relazione alle finalità di intimidazione- ammonimento e di non desocializzazione. Il giudice dovrà in pratica domandarsi se, in base alla gravità del reato e alla capacità a delinquere dell'agente, la sanzione sostitutiva possa risultare meno desocializzante e, al tempo stesso, sufficiente ad ammonire il condannato (idoneità afflittiva della sanzione penale). Questa ricostruzione porta logicamente a configurare l'applicazione della pena detentiva come eccezionale, attenuando in tal modo il divario fra la formula adottata nell'art. 53 e le clausole di pena detentiva breve come ultima ratio, tipiche dei codici penali tedesco ed austriaco (cfr. nota 15, cap. I). Infatti, entrambi gli interrogativi suddetti troverebbero, di regola, risposta affermativa, alla luce sia dell'innegabile afflittività propria di ciascuna pena sostitutiva, sia del penetrante sistema di limiti soggettivi ai quali è subordinata la loro applicazione.

Sebbene questa ultima interpretazione non vada esente da critiche appare quella che maggiormente garantirebbe l'effettiva applicazione delle sanzioni sostitutive. Nonostante l'interpretazione fornita dalla dottrina maggioritaria a proposito della discrezionalità del giudice, la scarsa applicazione nella prassi delle sanzioni sostitutive non può non riflettere un diverso atteggiamento interpretativo da parte degli organi giudicanti.

Inoltre, l'art. 58 prevede un altro elemento che il giudice deve prendere in considerazione prima di sostituire la pena detentiva breve: deve pronosticare l'adempimento delle prescrizioni da parte del condannato. Rispetto alla libertà controllata e alla semidetenzione (43), il secondo comma invita appunto il giudice ad astenersi dalla sostituzione quando "presume che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato". Anche in questo caso si ripropongono i contrasti dottrinali circa l'interpretazione della prognosi, a causa della mancanza di dati relativi al giudizio prognostico. Il problema si ripropone: oggetto del giudizio prognostico è il comportamento antigiuridico futuro del colpevole ovvero l'idoneità afflittiva della sanzione sostitutiva ossia la capacità della stessa di esser "sentita" dal suo destinatario? La risposta anche in questo caso dipende dall'inquadramento dogmatico delle sanzioni sostitutive (44).

Rispetto al quomodo della sostituzione, l'art. 58 impone al giudice di scegliere fra le pene sostitutive previste quella più idonea al reinserimento del condannato. Tenuto conto della struttura delle sanzioni sostitutive che lascia uno spazio ridottissimo a positivi interventi di recupero sociale, l'invito di applicare la pena più "idonea al reinserimento sociale" appare oltremodo ambizioso. La prevenzione speciale perseguita dalle sanzioni sostitutive, infatti, finisce per esplicarsi più in termini di intimidazione- ammonimento e di non- desocializzazione, piuttosto che di risocializzazione in senso stretto. Sulla base delle norme positive, pertanto, il giudice dovrà scegliere tra le diverse sanzioni sostitutive applicabili quella più idonea nel caso concreto a produrre un positivo effetto di intimidazione ammonimento e, fra queste, quella meno desocializzante.

In altre parole la normativa attuale non offre strumenti idonei a realizzare quell'esigenza, che riteniamo prioritaria, di rieducazione (meglio risocializzazione) in senso stretto. Di conseguenza passata in secondo piano l'effettiva risocializzazione del reo, de jure condito non rimane che "degradare" la funzione delle sanzioni sostitutive alla meno qualificata finalità di non desocializzazione.

6. L'esecuzione delle sanzioni sostitutive

Occorre premettere che in questo paragrafo analizzeremo la vicenda esecutiva delle sanzioni sostitutive limitatamente alla semidetenzione e alla libertà controllata, stante la separata disciplina esecutiva riservata dal nostro codice alla pena pecuniaria. Del resto, la tematica relativa alla pena pecuniaria insieme alle numerose problematiche che ruotano attorno a tale istituto saranno prese in considerazione più avanti nel terzo capitolo.

6.1. Determinazione delle modalità di esecuzione

Nella vicenda esecutiva delle sanzioni sostitutive (della semidetenzione e libertà controllata) scompare la figura del giudice di cognizione che lascia spazio a quella del magistrato di sorveglianza, al quale è affidato il compito di determinare le modalità di esecuzione della pena osservando le forme del procedimento di sorveglianza (art. 62).

In realtà, la scelta di attribuire tale compito al magistrato di sorveglianza è maturata soltanto al termine del faticoso iter formativo della legge. Originariamente era stato previsto che fosse lo stesso giudice di cognizione a fissare nella sentenza le modalità di esecuzione della pena sostitutiva; successivamente tale incombenza fu attribuita al pretore del luogo di residenza del condannato; e infine al magistrato di sorveglianza quale organo giudiziario preposto a seguire direttamente la concreta gestione della pena in fase esecutiva.

Questa scelta finale non può che essere apprezzata per vari motivi. Anzitutto rileva un motivo d'ordine pratico: se tale funzione spettasse al giudice di cognizione potrebbe sorgere il rischio che intercorra un lasso di tempo eccessivo tra il momento in cui si determinano le prescrizioni e il momento della loro effettiva esecuzione, e questo a causa del largo intervallo che solitamente intercorre tra la pronuncia di condanna del giudice e il passaggio in giudicato della stessa. Il risvolto pratico di questa situazione è il rischio che la situazione di fatto presente al momento della determinazione delle prescrizioni da parte del giudice di cognizione sia profondamente mutata all'atto della concreta esecuzione delle stesse.

Inoltre, la figura specializzata del magistrato di sorveglianza meglio si adatta alla funzione di predisposizione delle modalità esecutive, funzione che presuppone non solo una conoscenza della personalità del condannato (in possesso anche del giudice di cognizione) ma anche delle sue concrete condizioni di vita e delle sue esigenze risocializzatrici. In questo senso la figura del magistrato di sorveglianza ben si presta ad assolvere il compito in quanto egli è un giudice più "vicino" al condannato, che lo segue in tutta la vicenda esecutiva della pena.

Accertata l'opportunità dell'attribuzione al magistrato di sorveglianza riguardo le prescrizioni, semmai qualche riserva potrebbe essere espressa anzitutto sull'effettiva funzionalità della magistratura di sorveglianza, stante la costante mancanza di organico che colpisce in particolar modo questo settore dell'amministrazione della giustizia. Inoltre, una volta coinvolta la competenza del magistrato di sorveglianza in tema di esecuzione delle sanzioni sostitutive, sarebbe stato opportuno anche allargare anche la sua discrezionalità nella determinazione delle prescrizioni; questo per rendere più plasmabili tali sanzioni alla situazione concreta del reo, anche al fine di permettere la predisposizione di interventi positivi volti alla sua risocializzazione (cfr. cap. IV, par. 4.2).

Quanto alla individuazione del magistrato di sorveglianza competente, la legge 689 ricorre al criterio della residenza del condannato (45), in deroga dunque alla regola generale contenuta nell'art. 677 c.p.p. che attribuisce la competenza al tribunale o magistrato di sorveglianza in base a tre successivi criteri in rapporto, tra loro, di sussidiarietà: istituto presso il quale si trova il condannato; residenza del condannato; luogo della pronuncia della sentenza. Tuttavia nella vigenza del nuovo codice di procedura penale, la giurisprudenza ha stabilito che la competenza territoriale del magistrato di sorveglianza (in materia di sanzioni sostitutive) deve essere individuata ai sensi degli artt. 62 e 66 della legge 689, e questo per due ragioni:

  1. sia per la clausola di salvaguardia contenuta nel secondo comma dell'art. 677 (46),
  2. sia per l'art. 210 disp. coord. C.p.p., secondo il quale continuano ad osservarsi le disposizioni di leggi o decreti che regolano la competenza per materia o per territorio in deroga alla disciplina del codice (47).

Nonostante l'opportunità della scelta legislativa, volta ad individuare un magistrato di sorveglianza vicino al condannato, il criterio della residenza ha dato luogo a problemi pratici di concreta identificazione del giudice competente che il legislatore non ha preso affatto in considerazione.

Nella pratica, infatti, se il p.m. competente per l'esecuzione non riesce ad individuare il luogo di residenza del condannato (48) si pone il problema di individuare il magistrato di sorveglianza a cui trasmettere l'estratto della sentenza a norma dell'art. 62 primo comma dato che, quest'ultimo, non prevede altri criteri di determinazione della competenza. La lacuna legislativa ha obbligato l'interprete a sforzi ermeneutici i cui risultati possono essere estremamente discutibili.

Parte della dottrina (49) ha ritenuto che la mancata conoscenza della residenza del condannato sia ostacolo all'inizio del procedimento esecutivo e comporti la conversione automatica della pena sostitutiva nella pena detentiva sostituita ai sensi dell'art. 66, poiché dal mancato rintraccio della persona che deve essere sottoposta a semidetenzione o libertà controllata deriva la certezza dell'inottemperanza delle relative prescrizioni. Questa corrente, che individua nella mancata conoscenza della residenza il presupposto per convertire subito la sanzione sostitutiva, si diversifica poi quanto all'attribuzione della competenza a disporre la conversione: secondo alcuni, la conversione spetterebbe alla stesso giudice che ha emanato la sentenza di condanna; secondo altri, all'ufficio di sorveglianza competente presso il giudice del luogo della pronuncia della condanna.

Altra parte della dottrina (50) (minoritaria) ritiene invece che a fronte dell'impossibilità di individuare il luogo di residenza del condannato sia possibile applicare analogicamente il principio di cui all'art. 677, secondo comma, del codice di procedura penale, per cui il magistrato di sorveglianza competente sarebbe quello del luogo dove fu pronunciata la sentenza. In altre parole, sarebbe sempre identificabile un magistrato di sorveglianza competente nel fissare le prescrizioni, indipendentemente dalla reperibilità del condannato. Di conseguenza la conversione della pena sostitutiva interverrebbe necessariamente dopo l'ordinanza di determinazione delle modalità esecutive.

La giurisprudenza di merito e quella di legittimità concordano con l'indirizzo dottrinale maggioritario, ritenendo di dover convertire la pena sostitutiva nella detenzione nel caso di irreperibilità del condannato (51), ma soltanto dopo la determinazione delle prescrizioni da parte del magistrato di Sorveglianza.

Altra ipotesi non espressamente prevista dalla legge si ha nel caso di mutamento della residenza del condannato in corso di esecuzione della pena sostitutiva. Anche questo problema è stato risolto in via interpretativa dalla dottrina che, richiamando il principio generale della perpetuatio jurisdictionis, ha ritenuto radicata la competenza nel giudice del luogo originario di residenza del condannato al momento di apertura del procedimento di esecuzione, a prescindere da qualunque siano le vicende successive. Del resto la stessa Corte di Cassazione ha sancito, in materia di competenza territoriale del giudice di cognizione, che quando si deve fare ricorso al criterio della residenza rileva quella dell'imputato al momento dell'inizio del procedimento, restando irrilevanti gli eventuali spostamenti successivi (52).

Vediamo adesso in quale modo ed entro quali limiti il magistrato di sorveglianza esplica il proprio potere di determinazione delle modalità esecutive della semidetenzione e della libertà controllata.

In primo luogo è escluso che detto magistrato possa, in sede di determinazione delle prescrizioni, contestare la legittimità della sentenza relativamente alla durata della sanzione, poiché, a parte l'irrevocabilità della decisione, egli ha unicamente il compito di determinare le modalità esecutive (53).

In riferimento a questo potere di determinare le modalità esecutive, nella dottrina è emersa anche la questione circa la possibilità o meno per il magistrato di sorveglianza di imporre al condannato prescrizioni diverse e aggiuntive rispetto a quelle espressamente previste dalla legge.

In senso negativo si sono espresse la maggioranza delle opinioni (54). In dottrina infatti si è sostenuto in particolare che il rispetto del principio di legalità e di tassatività vieta al magistrato di sorveglianza di ampliare le prescrizioni rispetto a quelle previste negli artt. 55 e 56 della legge, anche se tendenti ad un più efficace recupero del soggetto.

In senso positivo, invece, si è espressa la dottrina minoritaria (55), la quale attraverso una interpretazione logica della legge ha attribuito al contenuto prescrittivo degli artt. 55 e 56 valore definitorio, non sufficiente pertanto a vincolare il magistrato di sorveglianza nella determinazione delle modalità esecutive delle sanzioni sostitutive. In altri termini, questa dottrina ricostruisce la volontà del legislatore nel senso di lasciare un ampio spazio al magistrato di sorveglianza, allo scopo di curare il possibile reinserimento sociale del condannato e impedire la sua recidiva penale.

Comunque può ormai ritenersi pacifico che il divieto di prescrizioni aggiuntive costituisca un limite all'attività del magistrato di sorveglianza visto che la prevalente posizione dottrinale è stata accolta dalla giurisprudenza di merito (56), peraltro avallata anche dalla Corte di Cassazione (57).

Indipendentemente dalle succitate posizioni dottrinali, il legislatore prende espressamente in considerazione la prescrizione della sospensione della patente introducendo un elemento di flessibilità nella determinazione delle modalità esecutive delle sanzioni sostitutive. Il secondo comma stabilisce, infatti, che qualora la patente costituisca il requisito indispensabile per lo svolgimento dell'attività lavorativa del condannato, il magistrato di sorveglianza può disciplinare la sospensione in modo da non ostacolarne il lavoro. È da notare, peraltro, che il potere discrezionale del giudice è espresso con una formula assai rigorosa ("la patente di guida deve costituire un indispensabile requisito del lavoro del soggetto") tale da limitarlo a casi di particolare eccezionalità.

6.2. Potere di modifica delle modalità esecutive

Poiché nel corso dell'esecuzione possono verificarsi nuove situazioni che richiedono un adeguamento delle disposizioni impartite nell'ordinanza di cui all'art. 62, è stato correttamente previsto un potere di modifica in capo al magistrato di sorveglianza. È da notare subito che il potere di modifica, stante la limitazione contenuta nell'ultimo comma dell'art. 64, può investire unicamente le prescrizioni relativa alla sospensione della patente (sia per la semidetenzione che per la libertà controllata), ovvero all'obbligo di residenza e di presentazione all'autorità di pubblica sicurezza (per la libertà controllata).

Sotto il profilo procedurale, la previsione che anche l'ordinanza di modifica delle prescrizioni deve essere adottata nelle forme del procedimento di sorveglianza vanifica di fatto lo scopo della norma, ossia la concreta possibilità di adeguare la sanzione sostitutiva alle reali necessità del soggetto (58). Esiste il concreto pericolo, infatti, che le sanzioni sostitutive si esauriscano prima della definizione di tutto il procedimento di modifica delle modalità esecutive (59); pericolo che può essere evitato soltanto nei casi di assoluta urgenza con un provvedimento provvisorio revocabile in qualsiasi fase del procedimento. È da segnalare, quindi, un eccesso di garantismo in questa scelta del legislatore, soprattutto in considerazione del fatto che il potere di modifica investe per lo più modalità esecutive di scarso rilievo dato che quelle più rilevanti sono definite irrevocabili. Pertanto più opportuno sarebbe stata la scelta di rinunciare alla complessa procedura di sorveglianza e stabilire la possibilità per il magistrato, in forme più rapide, di effettuare modifiche in quell'ambito ristretto consentito dalla legge.

Del resto la scelta a favore di una procedura più snella per la modifica delle prescrizioni non è un'idea nuova, poiché la ritroviamo in tema di affidamento in prova e semilibertà al fine di garantire l'immediatezza delle decisione. L'art. 47 (comma 8) ord. pen. riserva al magistrato di sorveglianza la facoltà di modificare le prescrizioni nel corso dell'affidamento, senza la necessità di esercitare il relativo potere attraverso il complesso procedimento di sorveglianza. Anche per la semilibertà sono previste forme più semplificate rispetto alla semidetenzione. Le prescrizioni del semilibero sono stabilite nel programma di trattamento che deve essere approvato, ai sensi del comma cinque dell'art. 69 dell'ord. pen., dal magistrato di sorveglianza Quanto alla loro modificazione esiste incertezza sull'organo competente (magistrato di sorveglianza o tribunale di sorveglianza) ma in ogni caso la decisione è presa sempre attraverso procedimenti semplificati rispetto a quello formale del procedimento di sorveglianza. L'organo competente finisce quindi col decidere sulle modifiche de plano, ossia senza la necessità di un'udienza in camera di consiglio.

Infine, il secondo comma dell'art. 64 prevede opportunamente che la richiesta di modifica non sospende l'esecuzione della pena: la disposizione mira, ovviamente, ad evitare la reiterazione di istanze di modifica a scopi meramente dilatori.

6.3. La fase patologica delle sanzioni sostitutive: ipotesi di conversione e di revoca previste dalla legge 689

Gli strumenti a presidio delle sanzioni sostitutive trovano nella legge 689 del 1981 una disciplina molto articolata e per certi versi caotica. Anzitutto, la legge distingue l'inottemperanza relativa alle sanzioni sostitutive applicate ex officio da quella relativa alle sanzioni sostitutive applicate su richiesta dell'imputato, predisponendo il meccanismo della revoca / conversione nel primo caso e quello della configurazione di un'autonoma figura di reato nel secondo. In secondo luogo, la pena pecuniaria sostitutiva si sottrae alla generale disciplina in tema di conversione delle sanzioni sostitutive, mentre ne è discussa l'applicabilità dell'istituto della revoca previsto dall'art. 72.

Nell'intento di cercare di affrontare il tema nella maggiore chiarezza possibile, iniziamo dagli strumenti posti dal legislatore a presidio delle sanzioni sostitutive applicate d'ufficio: ci riferiamo agli artt. 66 e 69 (ipotesi di conversione) e all'art. 72 (ipotesi di revoca). È stato detto che per le due figure (conversione e revoca) può parlarsi indifferentemente di revoca delle sanzioni sostitutive: la denominazione di conversione attribuita all'istituto nei primi due casi sarebbe addirittura impropria, poiché la pronuncia del giudice avrebbe soltanto la finalità di eliminare la sentenza nella parte in cui applica la sostituzione, così da rendere eseguibile la pena detentiva inflitta (60). Detto questo, noi continuiamo a mantenere per scopi pratici la diversa dizione per meglio distinguere i casi di revoca previsti dalla disciplina della legge.

Le ipotesi di conversione sono collegate alla violazione da parte del condannato anche di una sola delle prescrizioni inerenti la semidetenzione o la libertà controllata (art. 66) ovvero delle prescrizioni imposte in sede di sospensione della sanzione sostitutiva, disposta ai sensi dell'art. 69. In entrambi i casi la procedura di conversione è scandita dai seguenti passaggi:

  • la polizia giudiziaria o il direttore dell'istituto (o della sezione) a cui il condannato è affidato informano il magistrato di sorveglianza competente delle eventuali violazioni inerenti le prescrizioni;
  • siccome la legge ha preferito assegnare la competenza alla conversione ad un organo collegiale, a seguito della segnalazione il magistrato di sorveglianza trasmette gli atti al tribunale di sorveglianza che chiude il procedimento con ordinanza impungabile solo per violazione di legge in cassazione.
  • L'eventuale ricorso in cassazione non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, salvo la sospensione non sia già stata disposta con decreto dal magistrato ex art. 631 c.p.p.

Appare inoltre pacifico che in caso di violazione delle prescrizioni la conversione interessi soltanto la restante parte della sanzione sostitutiva rimasta ineseguita, non essendo consentita la reintegrazione dell'originaria pena detentiva inflitta, che comporterebbe una duplicazione di sanzioni per lo stesso fatto. (61)

La disciplina della conversione si presenta prima facie estremamente rigorosa, soprattutto rispetto quella dettata in materia di misure alternative.

Anzitutto, anche la minima inosservanza delle prescrizioni fa scattare il provvedimento di conversione della sanzione sostitutiva, mentre in tema di semilibertà ad esempio l'assenza dall'istituto meno più di dodici ore implica solo provvedimenti disciplinari. In secondo luogo, la conversione ex art. 66 ha carattere automatico, non lasciando spazio ad alcuna valutazione del giudice circa l'opportunità di proseguire il "trattamento". Infine, la violazione delle prescrizioni è sanzionata direttamente con la pena detentiva, rinunciando ad utilizzare un modello di conversione basato su una flessibilità regressiva.

La materia della conversione ex art. 66 è stata oggetto di diversi contrasti, tanto da richiedere l'intervento della Corte costituzionale che ha in parte ridotto la distanza tra le varie interpretazioni.

L'obbligatorietà e automaticità della conversione della sanzione sostitutiva nella pena detentiva è principio che inizialmente è rimasto abbastanza consolidato nella giurisprudenza di legittimità. In più occasioni (62), infatti, la Suprema Corte aveva ribadito che in caso di violazione anche di una sola delle prescrizioni imposte, la sanzione sostitutiva si converte nella pena detentiva, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale da parte del giudice.

In dottrina invece tale sistema ha sempre sollevato dubbi e perplessità. Alcuni autori (63) hanno infatti sostenuto la discrezionalità del giudice nella conversione in detenzione della restante parte della sanzione sostitutiva. In particolare, questo principio è stato dedotto dal combinato disposto dagli artt. 66, primo comma, e 66, terzo comma, in base al quale il giudice avrebbe un potere discrezionale per valutare la condotta tenuta dal soggetto. Tale soluzione è stata altresì argomentata muovendo dalle peculiarità del procedimento di sorveglianza, ossia un procedimento che incentra i giudizi sulla personalità del condannato. La scelta del legislatore a favore di questo particolare strumento processuale non giustificherebbe, pertanto, l'automatismo della conversione in caso di inosservanza delle prescrizioni.

Altri autori (64), pur riconoscendo nella disciplina della conversione il carattere dell'automaticità, hanno invece criticato la severità di tale sistema ritenuto difficilmente giustificabile sotto vari aspetti. Anzitutto non si capisce il maggior rigore della conversione delle sanzioni sostitutive, rispetto alla disciplina dettata in materia di misure alternative (65). L'art. 47, decimo comma, dell'ord. pen. richiede infatti per la revoca che il comportamento dell'affidato al servizio sociale non solo sia contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, ma anche "incompatibile con la prosecuzione della prova". Lo stesso può dirsi per il regime di semilibertà, in virtù del disposto di cui all'art. 51, primo comma. Ciò significa che di fronte a qualsiasi violazione delle prescrizioni spetterà al tribunale di sorveglianza valutare se tale violazione risulti incompatibile con la continuazione del regime di affidamento in prova (ovvero di semilibertà). Al contrario, la lettera della legge imporrebbe di convertire la sanzione sostitutiva (ad es. la libertà controllata) alla presenza di una qualsiasi violazione delle prescrizioni (ad. es. inottemperanza all'obbligo di presentarsi all'ufficio locale di pubblica sicurezza). Tale maggiore severità è ancora più incomprensibile se si considerano le affinità strutturali intercorrenti tra le pene sostitutive e le misure alternative.

In secondo luogo la rigorosa disciplina della conversione si male si giustifica alla luce della caratteristica delle sanzioni sostitutive, ossia quella di essere previste per evitare le conseguenze negative che la detenzione comporta in soggetti responsabili di reati di limitato allarme sociale; perciò una sanzione così pesante per una qualsiasi infrazione delle prescrizioni contribuirebbe a delineare le sanzioni sostitutive più vicine alle sanzioni di polizia che a pene recuperatrici (66).

Ed è proprio nell'ambito di questa dottrina che, per far fronte al rigore della disciplina delineata dall'art. 66, si segnalano apprezzabili sforzi interpretativi volti ad inserire il dolo e la colpa tra i connotati del comportamento che può portare alla revoca della pena sostitutiva (67).

Anzitutto, a sostegno del carattere necessariamente colpevole dell'inosservanza delle prescrizioni è stato richiamato l'art. 58 secondo comma, il quale esclude che il giudice possa sostituire la pena detentiva quando presume che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato. Conseguentemente è stato dedotto che come la volontà o la capacità di adempiere alle prescrizioni rilevano al momento della prognosi, così dovranno rilevare al momento della diagnosi dell'inadempimento. Perciò soltanto le trasgressioni volute o evitabili da parte del condannato costituirebbero una smentita della prognosi effettuata dal giudice di cognizione, idonea pertanto a fondare la conversione.

Inoltre, un'altra argomentazione a sostegno della irrilevanza delle violazioni incolpevoli è stata ricavata dalla affinità strutturale tra le pene sostitutive e le misure alternative dell'ordinamento penitenziario. Tale affinità suggerirebbe, infatti, di accomunare le due misure per quello che riguarda il carattere evitabile della violazione delle relative prescrizioni.

È sembrato, infine, che pervenire ad una siffatta conclusione eviterebbe opportunamente alla generale disciplina della revoca delle sanzioni sostitutive censure di irragionevolezza normativa. Infatti, se così non fosse avremo la seguente situazione: da un lato la conversione delle sanzioni sostitutive irrogate su richiesta dell'imputato ex art. 77, conseguirebbe in virtù dell'art. 83 a comportamenti dolosi; dall'altro la conversione delle sanzioni applicate ex officio avrebbe luogo a seguito anche di meri comportamenti incolpevoli.

Nella severa disciplina della conversione possiamo dunque individuare un elemento d'incoerenza sistematica rispetto al complessivo arsenale sanzionatorio. Gli strumenti a presidio delle misure alternative, i cui destinatari possono essere soggetti sottoposti anche a pene pesanti, si presentano meno intransigenti rispetto alla disciplina della conversione delineata per le sanzioni sostitutive, destinate invece a soggetti di scarso allarme sociale.

Un mutamento di tendenza, come detto, si è verificato in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale nº 199 del 1992 (68), con la quale ha offerto una nuova opzione interpretativa circa la conversione della sanzione sostitutiva per violazione delle prescrizioni. In particolare, la Corte chiamata a pronunciarsi su di una questione di legittimità costituzionale dell'art. 66, di cui si lamentava il carattere automatico della conversione, è giunta ad una sentenza interpretativa di rigetto. In sostanza, la Corte ha salvato la legittimità costituzionale di detto articolo, poiché ha ritenuto infondate le censure mosse dal giudice remittente (69) sotto il profilo del principio rieducativo, in quanto "non ogni singola infrazione è di per sé sufficiente a far emanare al tribunale di sorveglianza un provvedimento di conversione". Infatti, continua la Corte, "il fatto causativo della conversione deve essere guardato in tutte le sue connotazioni strutturali e finalistiche per cui tra la condotta che si discosta dal prescrizionale e l'accertamento della violazione, intercorre un potere delibativo che il giudice è chiamato a esercitare alla luce del principio rieducativo". In altre parole, la Corte salva la legittimità dell'art. 66, primo comma, interpretandolo nel senso voluto dalla dottrina maggioritaria: ossia, nel senso che alla inosservanza della prescrizione non deve seguire necessariamente ed automaticamente la conversione della sanzione sostitutiva, richiedendosi all'uopo invece una valutazione fatta caso per caso alla luce del principio rieducativo.

A partire da questa pronuncia anche nella giurisprudenza della Corte di cassazione si aprono spiragli interpretativi diversi, tendenti a riconoscere il carattere non automatico della conversione ex art. 66 (70). Nonostante il mancato intervento delle Sezioni Unite volto a dissipare i contrasti emersi nella giurisprudenza di legittimità (sentenze Corte Cass. Caredda, Parodi eNieddu da un lato, e sentenze Corte Cass. Bergantino, Peconti, e Cintoi dall'altro), si può quindi ritenere che il recente orientamento generale della Cassazione vada nella direzione di non ritenere sufficiente la semplice violazione della prescrizione per innescare il meccanismo di conversione della sanzione sostitutiva.

Le ipotesi di revoca sono invece espressamente disciplinate all'art. 72 della legge. La revoca delle sanzione sostitutiva è collegata al sopravvenire di una condanna per fatti precedenti o successivi alla sostituzione. In particolare, sono cause di revoca il sopravverire:

  • di una condanna per un reato commesso precedentemente alla sostituzione e per il quale venga inflitta una pena detentiva superiore a tre anni;
  • di condanne per reati della stessa indole, commessi prima della sostituzione, tali da comportare il superamento del tetto di tre condanne preclusivo dell'applicazione della sanzione sostitutiva;
  • di una condanna alla pena detentiva per un reato commesso successivamente alla sostituzione.

Pertanto le prime due ipotesi di revoca si ricollegano al venir meno di alcune delle condizioni soggettive alla sostituzione (c.f.r. I comma e II comma lett. a) art. 59), mentre la terza si riferisce alla smentita della prognosi favorevole che sta alla base dell'applicazione della sanzione sostitutiva. Come avremo modo di osservare più avanti la disciplina della revoca crea notevoli problemi di coordinamento tra le sanzioni sostitutive e l'istituto della sospensione condizionale.

Quanto alle sanzioni sostitutive applicate su richiesta dell'imputato il legislatore, come già accennato, ha optato per la diversa scelta di prevedere un'autonoma fattispecie incriminatrice come strumento di presidio dell'effettività delle sanzioni sostitutive. Infatti, l'art. 83 contempla una figura di reato a carico di "colui il quale viola, in tutto o in parte, gli obblighi impostigli con la sentenza pronunciata a norma dell'art. 77", cioè la sentenza che applica la pena su richiesta dell'imputato.

La diversa scelta riguardo le sanzioni sostitutive a richiesta dell'imputato si fonda su ragioni tecnico .-processuali: il meccanismo di revoca conversione previsto dall'art. 66 rimane precluso dalla natura della sentenza emanata ai sensi dello stesso articolo. Difatti, la sentenza di proscioglimento estingue l'azione penale ed il reato, per cui l'estensione dell'art. 66 avrebbe significato far rivivere un pena mai irrogata e, per di più, relativa ad un reato ormai istinto.

In definitiva, la soluzione accolta dal legislatore rappresentava l'unico strumento a presidio dell'effettività delle sanzioni sostitutive applicate su richiesta dell'imputato (71).

7. Il rapporto tra le sanzioni sostitutive e l'art. 163 del codice penale

In tema di sospendibilità condizionale delle sanzioni sostitutive rileva l'art. 57 (72), la cui formulazione non si è però prestata ad interpretazioni univoche da parte della dottrina.

Secondo la dottrina maggioritaria, la norma in esame affermerebbe la sospendibilità delle sanzioni sostitutive dal momento in cui, disciplinando i criteri di ragguaglio fra pena originaria e pena sostitutive, dispone, al terzo comma, che "anche nei casi in cui è concessa la sospensione condizionale della pena e per qualsiasi effetto giuridico, un giorno di pena detentiva equivale a un giorno di semidetenzione o a due giorni di libertà controllata".

La corrente minoritaria ha invece sostenuto l'impossibilità della sospensione condizionale delle sanzioni sostitutive sulla base di una duplice considerazione. Anzitutto l'art. 163 del codice penale (73), facendo esclusivo riferimento alla pena della reclusione e dell'arresto, impedirebbe l'estensione della sospensione condizionale alla semidetenzione e alla libertà controllata (74). In secondo luogo, il richiamo dell'articolo 57 alla sospensione condizionale riguarderebbe unicamente quelle marginali ipotesi nelle quali, dopo una condanna ad una sanzione sostitutiva, il giudice si trovi a decidere se sia possibile sospendere un'eventuale successiva condanna a pena detentiva non sostituita.

Nonostante l'ambiguità del dato normativo ci sembra inconfutabile la tesi a favore della sospendibilità in ordine ai seguenti argomenti. Una prima conferma si può ricavare infatti già dai primi due commi dell'art. 57, laddove si prevede:

  • l'equiparazione, per ogni effetto giuridico, della semidetenzione e libertà controllata alla reclusione e all'arresto;
  • l'equiparazione della pena pecuniaria sostitutiva alla multa e all'ammenda originariamente comminate dalla legge

Un secondo argomento è quello storico: durante la fase di gestazione della legge ritroviamo infatti una relazione al primo disegno di legge (Progetto Bonifacio) il cui tenore dovrebbe dissipare qualsiasi tipo di dubbio circa la possibilità di sospendere le sanzioni sostitutive. A tal proposito nella relazione si osservava, a commento dell'art. 28 (norma parallela all'attuale art. 57), che "l'equiparazione della libertà controllata alla pena detentiva della specie corrispondente a quella sostituita avrebbe consentito di risolvere tutte le perplessità interpretative che potrebbero derivare nella pratica. Per tutta la materia, ad esempio, del rinvio o della sospensione dell'esecuzione della pena dovrà farsi riferimento ai criteri fissati nel codice penale (articoli 146 e 147) e nel codice di procedura penale (art. 576); così anche per gli istituti della sospensione condizionale della pena e del perdono giudiziale..." (75).

Infine, un ulteriore argomento si evince dalla prassi applicativa: la giurisprudenza, dopo alcune iniziali incertezze, ha infatti convalidato la prevalente tesi dell'applicabilità dell'art. 163 c.p. alle nuove sanzioni sostitutive. La Corte di Cassazione (76) ha motivato tale soluzione muovendo sia dal tenore letterale dell'art. 57 terzo comma, sia dalla considerazione della natura giuridica di pena delle sanzioni sostitutive che, per ciò soltanto ricadrebbero sotto la previsione dell'art. 163 c. p. Anche nella giurisprudenza di merito (77) si ritrovano argomentazioni sostanzialmente identiche addotte a sostegno dell'applicazione della sospensione condizionale alle sanzioni sostitutive.

Accertata come pacifica la scelta del legislatore a favore della sospendibilità delle sanzioni sostitutive, consideriamo adesso le valutazioni che sono state avanzate circa l'opportunità di questa soluzione.

La maggior parte delle critiche alla sospendibilità delle sanzioni sostitutive si sono concentrate sui riflessi che questa scelta ha sul piano sia della prevenzione generale e speciale della repressione penale.

Anzitutto, si è detto che il legislatore abbia mancato l'occasione di ridurre quell'area, certamente molto ampia, d'impunità nella quale lo Stato rinuncia sostanzialmente a punire (78). In altre parole, l'applicazione della sospensione condizionale alle sanzioni sostitutive esaspererebbe quel fenomeno di "fuga dalla sanzione" che consiste nella lesione del principio di effettività del diritto penale dovuto alla (indiscriminata) mancata applicazione della sanzione minacciata. Un reale rinvigorimento del sistema penale avrebbe pertanto richiesto, al contrario, la previsione di sanzioni sostitutive non sospendibili, in modo da correggere il diritto sanzionatorio dalle distorte applicazioni delle misure clemenziali e, conseguentemente, recuperare la funzione general preventiva attraverso l'applicazione effettiva del male minacciato.

Sul piano della prevenzione speciale, si è sottolineata la scarsa efficacia deterrente della minaccia di revoca della sospensione condizionale, in quanto la violazione degli obblighi imposti (risarcimento, restituzioni, eliminazione del danno) comporterebbero soltanto la ripresa dell'esecuzione della sanzione sostitutiva sospesa.

Queste considerazioni, pur centrando pienamente problemi non trascurabili, sembrano un po' dimenticarsi della sostanziale natura di pena delle sanzioni sostitutive, riconosciuta come abbiamo visto dalla dottrina maggioritaria. Senza voler trascurare i vizi che possono derivare sul piano general- preventivo da una indiscriminata applicazione della sospensione condizionale, ci sembra che tale problema sia esclusivamente afferente l'istituto previsto dall'art. 163 del codice penale (79). Di conseguenza se si muove invece dalla natura sanzionatoria delle sanzioni sostitutive non può dubitarsi dell'applicazione della sospensione condizionale; inoltre le sanzioni sostitutive sono certamente afflittive, pertanto la minaccia di revoca della sospensione condizionale si pone come adeguato controstimolo a comportamenti antigiuridici.

8. Un raffronto tra le sanzioni sostitutive non patrimoniali e le misure alternative previste dall'ordinamento penitenziario

Dal 1998 è stata introdotta, con la legge Simeone, la possibilità di accedere alle misure alternative dallo stato di libertà nei casi in cui la condanna sia inferiore a tre anni di detenzione. Come vedremo nell'ultimo capitolo, il meccanismo normativo non consente tale opportunità a favore del condannato alla pena sostitutiva non patrimoniale.

È pertanto opportuno evidenziare le diversità del regime delle sanzioni sostitutive da quello proprio delle misure alternative, per capire le diverse conseguenze giuridiche cui va incontro il condannato, a seconda che la pena detentiva sia sostituita o meno nella sentenza (cfr. cap. IV, par. 4.1 e ss.).

Delle sanzioni sostitutive non patrimoniali abbiamo già abbondantemente parlato nel corso di questo capitolo, basti adesso ricordare che esse sono corredate da un rigido sistema di prescrizioni inidoneo sia a promuovere il recupero del reo, sia ad evitarne la desocializzazione

Rispetto alle sanzioni sostitutive, le misure alternative si caratterizzano invece per una spiccata tendenza a realizzare finalità risocializzative.

La misura alternativa per eccellenza destinata al recupero dei soggetti devianti è rappresentata dall'affidamento in prova. Tale istituto è disciplinato dall'art. 47 dell'ordinamento penitenziario e, come sappiamo, consiste nell'esecuzione della pena detentiva fuori dal carcere, sotto il controllo e l'assistenza del servizio sociale.

Diversamente dalle sanzioni sostitutive, il regime dell'affidamento è caratterizzato dalla flessibilità e dal contenuto abilitante delle sue prescrizioni.

Il quinto comma dell'art. 47 infatti non individua specificatamente il contenuto delle prescrizioni, ma indica genericamente che queste dovranno riguardare i rapporti con il servizio sociale, la dimora, la libertà di locomozione, il divieto di frequentare determinati locali e l'attività lavorativa. La legge lascia, pertanto, ampio spazio alla discrezionalità del giudice, limitandosi a prevedere cosa dovranno riguardare le prescrizioni che il Tribunale di sorveglianza sarà chiamato a determinare.

La flessibilità delle prescrizioni è inoltre assicurata dalla rapidità con cui il magistrato di sorveglianza può procedere alla loro modifica: il potere di modifica è infatti esercitato de plano senza la necessità di un'udienza in camera di consiglio, prevista invece per la modifica delle modalità esecutive della semidetenzione e della libertà controllata (cfr. par. 6.2)

Quanto al contenuto abilitante della misura rileva la necessaria presenza nel prescrizionale dell'affidato di obblighi relativi:

  • al mantenimento dei contatti con il Centro servizi sociali per adulti;
  • alla promozione, per quanto possibile, di azioni a favore della vittima del reato;
  • all'adempimento puntuale degli obblighi di assistenza familiare.

Già da questa breve descrizione dell'istituto, si capisce che il regime dell'affidamento bene si presti ad indirizzare la condotta del condannato verso percorsi sociali abilitanti. Da un lato alla Magistratura di sorveglianza è riservato un ampio spazio di manovra per adeguare le prescrizioni alle concrete esigenze del caso concreto; dall'altro lato la necessaria presenza dei servizi sociali permette un controllo costante sull'efficacia della misura. Così caso per caso possono essere stabilite prescrizioni positive (corsi di studio, terapie, potenziamento dei rapporti familiari e sociali), ossia obblighi di fare tendenti ad offrire una chance di reinserimento per il condannato.

Tale opportunità, come abbiamo visto, non è possibile per i sottoposti al regime delle sanzioni sostitutive, poiché è consolidato il principio che impone il divieto di prescrizioni aggiuntive. Mentre le prescrizioni tassativamente (e analiticamente) previste dalla legge (80) non hanno alcuna valenza risocializzativa, consistendo tutte in obblighi di non fare.

Un'altra misura alternativa è la semilibertà la cui struttura ci impone un immediato raffronto con la semidetenzione.

Anche la semilibertà consiste infatti nella concessione di trascorrere parte del giorno fuori dall'istituto, ma si distingue dalla sanzione sostitutiva per la finalizzazione del tempo trascorso nell'ambiente libero: mentre il semidetenuto può impiegare il tempo libero come crede, il semilibero deve necessariamente partecipare alle cosiddette attività risocializzanti (attività lavorative, istruttive o comunque utili al reiserimento sociale).

Le prescrizioni che il semilibero deve osservare durante il tempo da trascorrere fuori dall'istituto sono contenute nel programma di trattamento che deve essere approvato dal magistrato di sorveglianza ex art. 69, quinto comma. Anche in questo caso le eventuali modifiche sono disposte de plano, senza la necessità del procedimento di sorveglianza (cfr. par. 6.2).

È pertanto evidente che anche il regime di semilibertà è assolutamente più idoneo a recuperare il "delinquente", rispetto alla semidetenzione che lascia esclusivamente alla volontà del condannato la scelta di intraprendere attività risocializzanti.

In conclusione possiamo sostenere che vi è una differenza sostanziale tra misure alternative e pene sostitutive: le prime sono tutte orientate verso il recupero e la correzione del reo; le seconde sono essenzialmente incentrate sull'afflittività, dal momento che neppure il dichiarato intento "non desocializzante" sembra raggiungibile da queste misure.

Un'altra osservazione che conferma la maggiore afflittività della libertà controllata rispetto all'affidamento riguarda l'istituto della liberazione anticipata. Mentre è concedibile la riduzione di pena per liberazione anticipata anche con riferimento ai periodi di fruizione in libertà delle misure alternative (81), la libertà controllata deve essere eseguita per intero non rilevando al proposito l'art. 54 dell'ordinamento penitenziario.

Dire che le sanzioni sostitutive sono maggiormente afflittive rispetto alle misure alternative potrà apparire una constatazione lapalissiana, visto che le prime a differenza delle seconde, sono vere e proprie pene. Ma tale obiezione rimane valida fino a che le misure alternative sono rimaste delle modalità preparatorie all'uscita dal carcere, delle misure che si proponevano un inserimento controllato nella società dopo un periodo di detenzione. Adesso però con la legge Simeone il significato delle misure alternative è ben diverso, potendo essere concesse anche ab origine al condannato alla detenzione che necessiti un trattamento rieducativo; esigenza che può però manifestarsi anche a riguardo del semidetenuto o del libero controllato.

Note

1. Che la funzione rieducativa non è più un qualcosa da riferire al solo ambito dell'esecuzione della pena oggi non è più soltanto un'acquisizione sociologica, trovando un fondamento giuridico in una sentenza della Corte costituzionale dove si afferma che "...la necessità che la pena deve tendere a rieducare è una qualità essenziale della stessa che l'accompagna da quando nasce fino a quando, in concreto, si estingue". V. Corte cost., nº 313 del 1990, in Giur. cost, 1990, p. 1981 ss.

2. Cfr., Grasso, La riforma del sistema sanzionatorio: le nuove pene sostitutive della detenzione di breve durata, in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, p. 1412.

3. A seguito della novella all'art. 656 c.p.p. (L. 27 maggio 1998, n.165, art. 1) si è introdotta la possibilità di accesso alle misure alternative prima dell'effettiva esecuzione dell'ordine di esecuzione.

4. Per la dottrina che si è espressa sulla natura sanzionatoria v. per tutti, Dolcini, Il carcere ha alternative?, Milano, 182; per una visione delle sanzioni sostitutive nell'ambito degli istituti sospensivi, v. T. Padovani, Sanzioni sostitutive e sospensione condizionale della pena, in Riv. It. Proc. pen., 1982 p. 494; S. Vinciguerra, La riforma del sistema punitivo nella legge 24 novembre 1981, nº 689. Infrazione amministrativa e reato, Padova, 1983, p.300.

5. La soluzione del legislatore italiano si differenzia tuttavia da quella propria dei Paesi di lingua Tedesca per la mancata previsione esplicita della pena detentiva breve come strumento di extrema ratio.

6. V. Camera dei Deputati, Commissioni in sede legislativa, IV Commissione, 17 ottore 1979, p. 8.

7. Sul significato politico- criminale della soluzione basata sulla "clausola generale, v. F. Palazzo, Le pene sostitutive: nuove sanzioni autonome o benefici con contenuto sanzionatorio?", in Riv. it. dir. proc. pen., 826 ss.

8. A sostegno della natura sanzionatoria delle pene sostitutive si sono pronunciati: P: Nuvolone, Pena (dir. pen.), in Enc. Dir., vol. XXXII, 1982, p. 797; F. Mantovani, Diritto penale, Appendice di aggiornamento, Padova, 1983, p. 25; R. Bertoni, Appunti in materia di pene sostitutive, in Cass.pen., 1982, p. 650; L. Concas, La sospensione condizionale della pena dopo la legge 24 novembre 1981 n. 689 di modifiche al sistema penale, Cagliari, 1983, p. 27 ss.; E. Dolcini, Le sanzioni sostitutive applicate in sede di condanna. Profili interpretativi sistematici e politico- criminali del capo III, sezioni I, della legge n. 689 del 1981, in Riv. it. proc. pen, 1982, p. 1400; M. Morello, Le sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, in Giust. pen., 1982, III, p. 427; F. Palazzo, Misure alternative e libertà controllata nelle attuali proposte di riforma, in Arch. Giur., 1978, p. 63 ss.

9. In tal senso, v. F. Palazzo, La recente legislazione penale, Padova, 1982, p. 60.

10. A sostegno della natura sospensiva delle sanzioni sostitutive: T. Padovani, Sanzioni sostitutive e sospensione condizionale della pena, in Riv. it. proc. pen., 1982, p. 445; S. Vinciguerra, op. cit., p. 300.

11. In senso contrario all'individuazione della non desocializzazione quale finalità specificamente perseguita dal legislatore, si è espresso Trapani, Le sanzioni penali sostitutive, Padova, 1985.

12. Ricordiamo che i limiti di pena concreta entro cui operare la sostituzione hanno subito una modifica rilevante per effetto della recentissima legge sul "patteggiamento allargato" (L. 12 giugno 2003, nº 134).

13. V. art. 25 del disegno di legge nº 1799 del 1977 (Progetto Bonifacio).

14. Per una ricca rassegna sulle possibili alternative alla pena detentiva, v. F. Mantovani, Pene e Misure alternative nel sistema vigente, in A.A. V.V., Pene e misure alternative nell'attuale momento storico.

15. L'art. 55 recita: 1. "La semidetenzione comporta in ogni caso l'obbligo di trascorrere almeno dieci ore al giorno negli istituti o nelle sezioni indicati nel secondo comma dell'articolo 48 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e situati nel comune di residenza del condannato o in un comune vicino. La determinazione delle ore e l'indicazione dell'istituto sono effettuate in relazione alle comprovate esigenze di lavoro e di studio del condannato". 2. "La semidetenzione comporta altresì: 1) il divieto di detenere a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi anche se è stata convessa la relativa autorizzazione di polizia; 2) la sospensione della patente di guida; 3) il ritiro del passaporto, nonché la sospensione della validità, ai fini dell'espatrio, di ogni altro documento equipollente; 4) l'obbligo di conservare e di presentare ad ogni richiesta degli organi di polizia e nel termine da essi fissato l'ordinanza emessa a norma dell'articolo 62 e l'eventuale provvedimento di modifica delle modalità di esecuzione della pena, adottato a norma dell'articolo 64." 3. Durante il periodo di permanenza negli istituti o nelle sezioni indicate nel primo comma, il condannato è sottoposto alle norme della legge 26 luglio 1975, n. 354, e del decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n. 431, in quanto applicabili.".

16. L'art. 56 recita: 1. "La libertà controllata comporta in ogni caso: 1) il divieto di allontanarsi dal comune di residenza, salvo autorizzazione concessa di volta in volta ed esclusivamente per motivi di lavoro, di studio, di famiglia o di salute; 2) l'obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno, nelle ore fissate compatibilmente con gli impegni di lavoro o di studio del condannato, presso il locale ufficio di pubblica sicurezza o, in mancanza, presso il comando dell'Arma dei carabinieri territorialmente competente; 3) il divieto di detenere a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi anche se è stata convessa la relativa autorizzazione di polizia; 4) la sospensione della patente di guida; 5) il ritiro del passaporto, nonché la sospensione della validità, ai fini dell'espatrio, di ogni altro documento equipollente; 6) l'obbligo di conservare e di presentare ad ogni richiesta degli organi di polizia e nel termine da essi fissato l'ordinanza emessa a norma dell'articolo 62 e l'eventuale provvedimento di modifica delle modalità di esecuzione della pena, adottato a norma dell'articolo 64." 2. "Nei confronti del condannato il magistrato di sorveglianza può disporre che i centri di servizio sociale previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, svolgano gli interventi idonei al suo reinserimento sociale".

17. In dottrina, tenuto conto dell'affinità strutturale con la semilibertà, sono stati ritenuti applicabili al semidetenuto gli istituti previsti nell'ordinamento penitenziario in tema di permessi, di sanzioni disciplinari, di liberazione anticipata. In particolare, rispetto all'affidamento in prova dopo iniziali incertezze la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto l'applicazione anche al semidetenuto con sentenza 18 novembre 1993, in proc. Spadini, CED 197518.

18. Altro è il caso in cui il semidetenuto si sottragga al regime di custodia durante la permanenza nell'istituto penitenziario. In tale ipotesi parte della dottrina ritiene configurabile il delitto di evasione dal momento che il soggetto pone in essere il descritto comportamento mentre è legalmente detenuto.

19. È bene precisare che la prescrizione non comporta l'obbligo per il condannato di portare con sé la documentazione, bensì soltanto di conservarla e presentarla alla polizia.

20. In tal senso v., Violante, Le sanzioni sostitutive, in Bertoni, Lattanzi, Lupo, Violante (coordinato da), Modifiche al sistema penale. Legge 24 novembre 1981, n. 689. Sanzioni sostitutive, III, Milano, 1.

21. Il primo comma dell'art. 69 dispone:"Per motivi di particolare rilievo, attinenti al lavoro, allo studio o alla famiglia, possono essere concesse, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 52 della legge 26 luglio 1975, n. 354, sospensioni della semidetenzione e della libertà controllata per la durata strettamente necessaria e comunque per non più di sette giorni per ciascun mese di pena".

22. Per questa soluzione vedi sempre Violante, op. cit., p. 19.

23. A tal proposito abbiamo parlato con i Dott. Niro e Dott. G.F. Casciano Magistrati di Sorveglianza di Finrenze.

24. Cass., sez. IV, 13 dicembre 1985, in proc. Malagoli, CED rv 174211.

25. C.f.r. Palazzo, Sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, op. cit., 1982, p. 318.

26. V. E. Dolcini, Le sanzioni sostitutive, op. cit., p. 1401; Trapani, op. cit., p. 272 ss.; nello stesso senso, seppur senza un totale giudizio negativo, v. G. De Angelis, Le sanzioni sostitutive nella previsione della legge 24 novembre 1981, nº 689, in Arch. pen., 1982, p. 773.

27. Articolo. abrogato ex d.l 14 giugno 1993, n. 187, convertito in l. 12 agosto 1993, n. 296.

28. Articolo abrogato ex l. 12 giugno 2003, n. 134.. Da rilevare che la norma al momento dell'abrogazione era in precedenza già stata oggetto di numerose declaratorie di illegittimità costituzionale per manifesta mancanza di equilibrio nella scelta delle fattispecie destinatarie dell'esclusione. A tal proposito si veda, Corte cost., 5 maggio 1993, nº 249; Corte cost., 3 aprile 1997, nº 78; Corte cost., 18 luglio 1998, nº 291; Corte cost., 23 giugno 1994, nº 254.

29. L'art. 59 dispone: 1."La pena detentiva non può essere sostituita nei confronti di coloro che, essendo stati condannati, con una o più sentenze, a pena detentiva superiore a tre anni di reclusione, hanno commesso il reato nei cinque anni dalla condanna precedente". 2."La pena detentiva, se è stata comminata per un fatto commesso nell'ultimo decennio, non può essere sostituita: a) nei confronti di coloro che sono stati condannati più di due volte per reati della stessa indole; b) nei confronti di coloro ai quali la pena sostitutiva inflitta con precedente condanna, è stata convertita a norma del primo comma dell'art. 66, ovvero nei confronti di coloro ai quali sia stata revocata la concessione del regime di semilibertà; c) nei confronti di coloro che hanno commesso il reato mentre si trovavano sottoposti alla misura di sicurezza della libertà vigilata o alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, disposta con provvedimento definitivo ai sensi delle leggi 27 dicembre 1956, n.1423, e 31 maggio 1965, n. 575".

30. L'innalzamento dei limiti di pena concreta, entro cui applicare la sostituzione, è un atteggiamento speculare rispetto alla continua evoluzione del concetto di pena detentiva breve. Sull'evoluzione di tale concezione si v. Kurzinger, Die Freihitsstrafe und ihre Surrogate in der BundesrepublikDeutschland, in Jescheck, cit., p. 1828.

31. In tal senso v., Grasso, Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, op. cit., p. 276; Grasso, La riforma del sistema sanzionatorio, op. cit., p. 1421.

32. Di questo avviso anche, Grasso, La riforma del sistema sanzionatorio, op. cit., p. 1421.

33. In tal senso, in dottrina v., Marini, Elementi di diritto penale, vol. III, Depenalizzazione e modifiche al sistema penale, Torino, 1982; Trapani, Le sanzioni penali sostitutive, Padova, 1985, p. 52; nella giurisprudenza di legittimità v., Cass., 2 aprile 1984, in proc. Arena, in Riv. pen., 1985, p.211.

34. In tal senso v., E. Dolcini, op. cit., p. 220.

35. Tale principio, tipico dei moderni codici penali, è espressione della ricerca di un punto di equilibrio tra l'esigenza garantista della legalità e quell'esigenza di individualizzazione giudiziale della pena.

36. Per tutti v. F.Mantovani, Dirtto penale, op. cit., p.798 ss., il quale ritiene l'art. 133 non sufficiente a garantire una discrezionalità vincolata, in considerazione del fatto che gli indici contenuti nella norma stessa variano a seconda di una loro lettura in chiave di retribuzione, prevenzione speciale o di prevenzione generale.

37. E' chiaro darà luogo a risultati diversi a seconda della chiave di lettura data agli indici dell'articolo 133 del codice penale: ad esempio un pena elevata potrà essere giustificata in base ad esigenze retributive o di prevenzione generale in riferimento al ripetersi di un particolare tipo di reato; al contrario la stessa apparirebbe ingiustificata in termini specialpreventivi, stante la scarsa probabilità recidivante del reo.

38. In tal senso v., F.Mantovani, Sanzioni alternative alla pena detentiva e prevenzione generale, in Romano- Stella, Teoria e prassi della prevenzione generale dei reati, Bologna, 1980, p. 88, in particolare l'Autore ritiene che il richiamo all'art. 133 c.p. riguardi principalmente la capacità a delinquere. Tale dottrina è inoltre riportata in F. Palazzo, Misure alternative e libertà controllata, op. cit., p. 94.

39. V. Cass. sez. V, 20 febbraio 1984, Carrese, in Riv. pen., p. 852, nella quale si afferma che "il giudice nel valutare se sussistono i presupposti per l'adozione di una misura sostitutiva, deve tener conto degli stessi criteri previsti per la determinazione della pena, criteri i n base ai quali formula anche il giudizio prognostico circa l'adempimento delle prescrizioni da parte del condannato...". V. anche, Cass., sez VI, 29 ottobre 1985, in proc. Melucci, in Cass. pen., 1987, p. 102, dove si ritiene che il giudice debba prioritariamente valutare i parametri afferenti alla capacità a delinquere del colpevole, dal momento in cui "la valutazione della non rilevante gravità dei reati punibili con l'applicazione di pene sostitutive può dirsi già fatta, in via generale, dallo stesso legislatore".

40. .V., F. Giunta, Pene sostitutive e sistema delle sanzioni: profili ricostruttivi ed interpretativi, in Riv. it. dir. proc. pen, 1985, p. 511 ss.; F. Palazzo, Commento all'art. 58 L. 24 novembre 1981, n. 689, in Legisl. pen., 1982, p. 334 ss.

41. Per tale dottrina vedi tra gli altri, anche se con sfumature diverse, E. Dolcini, Il carcere, op. cit., p. 227 ss.; F. Giunta, op. cit., p. 511 ss.; F. Palazzo, Commento all'art. 58, op. cit., p. 334 ss.

42. F. Mantovani, Diritto penale, op. cit., p. 801.

43. La prognosi non deve essere invece essere effettuata nei confronti della pena pecuniaria: infatti a parte la difficoltà di inquadrare il pagamento della somma di danaro come una prescrizione, la mancata esecuzione della pena pecuniaria non comporta la conversione ex art. 66 con conseguente ritorno alla pena detentiva, bensì la conversione ex art. 102 nella libertà controllata ovvero nel lavoro sostitutivo.

44. V. per tutti F. Giunta, op. cit., p.

45. L'art. 62 dispone infatti: "Il pubblico ministero o il pretore competete per l'esecuzione trasmette l'estratto della sentenza di condanna alla semidetenzione o alla libertà controllata al magistrato di sorveglianza del luogo di residenza del condannato, che determina le modalità di esecuzione della pena avvalendosi dei criteri indicati negli articoli 55 e 56 e osservando le norme del capo II bis del titolo II della legge 26 luglio 1975, n. 354.

E nello stesso senso l'art. 66, secondo comma, suona: "Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria o il direttore dell'istituto o della sezione a cui il condannato è assegnato devono informare, senza indugio, il magistrato di sorveglianza che ha emesso l'ordinanza prevista dall'art. 62, di ogni violazione degli adempimenti sui quali gli organi medesimi esercitano i rispettivi controlli".

46. In tal senso v. Cass., sez. I, 11 gennaio 1993, in proc. Savic, CED rv 193077; Cass, sez. I, 16 aprile 1996, in proc. Moustakin, CED rv 204740.

47. In tal senso, v. Cass., sez. I, 10 aprile 1995, in proc. Toledo, CED rv 201275.

48. In realtà l'irreperibilità del condannato può avvenire dopo che sentenza di condanna (a pena sostitutiva) sia divenuta definitiva, ma anche durante il processo di cognizione visto che l'irreperibilità, nel silenzio della legge, non sembra essere ostacolo all'esercizio da parte del giudice del potere di sostituire la pena detentiva con le misure della semidetenzione o della libertà controllata. L'irreperibilità può comunque costituire un indizio sulle possibilità di adempimento delle prescrzioni da parte del condannato.

49. V., Moro, Commento agli artt. 62-69, in Aa. Vv., in Commenti articolo per articolo. L. 24/11/1981, 689. Modifiche al sistema penale, in Legisl. pen., 1982; Bartolini, Il codice della depenalizzazione e delle modifiche al sistema penale di cui alla l. 24 novembre 1981, n. 689, Piacenza, 1983, p. 350; S. Vinciguerra, op. cit., 1983; p. 112.

50. In questo orientamento, anche se con diverse sfumature, v Fenizia, L'esecuzione delle sanzioni sostitutive, in Bertoni - Lupo- Lattanzi- Violante, Modifiche al sistema penale. Legge 24 novembre 1981, n. 689. Sanzioni sostitutive, III, Milano, p.62 ss; Trapani, op. cit., p. 135 ss.

51. V. ad es., per la giurisprudenza di merito, M.S. Brescia, 15 marzo 1983, in proc. Timpani, CED rv 074885; per la giurisprudenza di legittimità, Cass., sez. I, 9 dicembre 1993, in proc. Ahmetovic, CED rv 197477.

52. Cass. 18/4/1951, in Giust. Pen., 1951, III, p. 589. Vedi anche, in materia di revoca anticipata delle misure di sicurezza detentive, Cass. 17/1/1979, in Giust. pen., 1979, III, p. 357.

53. Cass., Sez. I, 14 giugno 1982, in proc. Matteucci, CED rv 154608.

54. Per l'indirizzo maggioritario v.; De Angelis, op. cit., p. 773; Aschero, Alcuni problemi integrativi in tema di revoca della libertà controllata, in Cass. pen., 1984, p. 1003; Trapani, op. cit., p. 80 ss.; Moro, op. cit., p. 352 ss.; Fenizia, op. cit., p. 65 ss.

55. A proposito vedi, Catalani, Manuale dell'esecuzione penale, Milano, 1998, p. 576 ss.

56. Vedi, ad esempio, Sezione Sorveglianza Genova, (ord.) 7 giugno 1983, in proc. Garrone, in Cass. pen., 1984, p. 1002, secondo la quale tra le prescrizioni delle sanzioni sostitutive non è inserito, per volontà di legge, il principio dell'honeste vivere.

57. Vedi, Cass., sez. I, 5 aprile 1996, in proc. Ambrosetti, CED rv 204941, per la quale in tema di libertà controllata, atteso il carattere tassativo delle prescrizioni previste dall'art. 56, è escluso che il magistrato di sorveglianza possa aggiungere le prescrizioni di "non frequentare pregiudicati" e di "tenere una condotta irreprensibile".

58. In tal senso si è espresso, A. Moro, Commento all'art. 64, op. cit., p. 358.

59. Si ricorda che tale procedura è tutt'altro che rapida: deve essere invitato l'interessato a nominarsi un difensore; ove l'interessato non provveda entro cinque giorni dalla comunicazione dell'avviso il difensore è nominato d'ufficio; viene quindi fissata con decreto la data dell'udienza in camera di consiglio e se ne deve dare comunicazione al pubblico ministero, all'interessato e al difensore almeno cinque giorni prima del giorno stabilito; l'ordinanza emessa nell'udienza deve essere comunicata alle predette parti nel termine di dieci giorni dalla data di deliberazione; il ricorso per cassazione deve essere proposto entro dieci giorni dalla decisione in camera di consiglio e non sospende, di regola, l'esecuzione dell'ordinanza, salvo diverse disposizioni da parte del giudice che l'ha emessa.

60. In tal senso v. Pighi, Le cause di revoca delle sanzioni sostitutive, in Cass. pen., p. 1010, il quale precisa che la finalità della revoca è quella di rendere eseguibile la pena detentiva inflitta e non quella di trasformare la sanzione sostitutiva in quella detentiva corrispondente; di conseguenza la dizione "conversione" starebbe ad indicare al più l'effetto pratico della decisione, rimanendo però estraea alla costruzione dogmatica dell'istituto. Chiaramente coloro che vedono nelle sanzioni sostitutive una natura completamente autonoma non hanno obiezione sulla distinzione posta dalla legge, v. ad es., Dolcini, op. cit., p.179.

61. Questa conclusione rileva, oltre che in maniere inequivoca dalla lettera della legge, in una massima della Corte di Cassazione affermata in occasione di una decisione in tema di libertà controllata convertita, con efficacia ex tunc, nella pena detentiva originariamente inflitta, pur avendo il condannato già espiato parzialmente la sanzione sostitutiva. A tal proposito di veda, Cass. sez. I, 22 giugno 1998, in proc. Adduci, CED 211272.

62. Tanto per citare le più recenti sentenze della Corte di cassazione: Cass., sez. I, 11 gennaio 1993, in proc. Caredda, CED rv 193001; Cass., sez. I, 15 marzo 1993, in proc. Parodi, CED rv 196899; Cass., sez. I, 19 gennaio 1993, in proc. Nieddu, CED rv 193087.

63. In tal senso v. Fenizia, L'esecuzione delle sanzioni sostitutive, in Bertoni, Lattanzi, Lupo, Violante (coordinato da), Modifiche al sistema penale. Legge 24 novembre 1981, n. 689. Sanzioni sostitutive, III, Milano, 1982, p. 78 ss.; Bartolini, Il codice della depenalizzazione e delle modifiche al sistema penale di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, Piacenza, 1983, p. 353 ss; Aschero, op. cit., p. 1003 ss.; Pighi, Le cause di revoca delle sanzioni sostitutive, in Cass. pen., 1984, p.1011 ss.; Canepa, Merlo, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 1999, p. 330 ss.; Catelani, Manuale dell'esecuzione penale, Milano, 1998, p. 581.

64. In tal senso v. Grasso, op. cit., p. 1441; Dolcini, Le sanzioni sostitutive applicate..., op. cit., p. 1413; Moro, op. cit., p. 360 ss.; Angelini, La mancata esecuzione delle sanzioni sostitutive ex articolo 77 della legge 24 novembre 1981, n. 689, in Nuov. Digesto, 1984, p.522; F. Palazzo, La recente legislazione penale, op. cit., p. 63, 64; Trapani, op. cit., p. 212 ss.; Giunta, Sanzioni sostitutive, in Dizionario di Diritto e Procedura penale, 1986, p. 864; Cariti, Le pene sostitutive, in Consiglio Superiore della Magistratura (a cura di), La legge 24 novembre 1981, n. 689: "Modifiche al sistema penale: problemi interpretativi", Roma, 1984, p. 171 ss.; Papa, ibidem, p. 346 ss.; Marzaduri, Sanzioni sostitutive (Diritto processuale penale), in Enc. dir., XLI, Milano, 1989, p. 533.

65. In tal senso v. Grasso, op. cit., p. 1441.

66. In tal senso v. Moro, Commento agli artt. 62-69, in Aa. Vv., in Commenti articolo per articolo. L. 24/11/1981, 689. Modifiche al sistema penale, in Legisl. pen., 1982, p. 348 ss.

67. In particolare: nel senso della necessità del dolo o della colpa del soggetto si veda per tutti, E. Dolcini, Le sanzioni sostitutive applicate.., op. cit., p. 1415; nel senso della indispensabilità del dolo del soggetto si veda per tutti, Pighi, op. cit., p. 1012.

68. Corte cost., 15 arpile 1992, in proc. Gentili, in Giust. cost., 1992, p.1464.

69. Nella specie il Tribunale di Sorveglianza di Ancona aveva sollevato la questione per violazione della funzione rieducativa della pena, in quanto l'art. 66 non consentirebbe di valutare la compatibilità o meno della violazione delle prescrizioni con l'ulteriore prosecuzione della sanzione sostitutiva, imponendo al contrario sempre l'automatica conversione.

70. Per l'espressione di questa diversa opzione interpretativa v., Cass., sez. I, 5 marzo 1997, in proc. Bergantino, CED 207236, secondo cui "quando è violata anche solo una delle prescrizioni inerenti alla semidetenzione o alla libertà controllata, la restante parte della pena si converte nella pena detentiva sostituita", va interpretato in conformità con quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza nº 199 del 1992; Cass., sez. I, 24 giugno 1998, in proc. Perconti Cintoi, CED 211160.

In realtà anche prima della richiamata sentenza della Corte costituzionale si sono avute sporadiche decisioni della Suprema Corte a sostegno della discrezionalità della conversione v, Cass., sez. I, 14 gennaio 1992, in proc. Camporato, CED 189144, secondo la quale la violazione anche di una sola delle prescrizioni va necessariamente valutata nei suoi elementi oggettivi e soggettivi.

71. Circa l'opportunità di tale soluzione si veda, in dottrina: Giarda, in Commentario delle "Modifiche al sistema penale", Milano, 1982, sub art. 83, p. 409; Marzaduri, L'applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato, Milano, 1985; Trapani, Le sanzioni penali sostitutive, Padova, 1985, p. 385; Vinciguerra, op. cit., p. 333; Neppi Modona, Commento all'art. 83L. 24 novembre 1981, n. 689, in Legisl.pen., 1982, p. 388 ss.; Nuvolone, La legge di depenalizzazione, in Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Appendice al Vol. III, Torino, 1984, p.49; in giurisprudenza: Cass. 18 aprile 1985, nonché Pret. Roma, 14 maggio 1983, in Lo Piano, Modifiche al sistema penale, Quaderni della Rivista giuridica della circolazione e dei trasporti (suppl. al n. 6/1986, 1986).

72. I primi due commi dell'art. 57 dispongono: 1."Per ogni effetto giuridico la semidetenzione e la libertà controllata si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena sostituita." 2."La pena pecuniaria si considera sempre come tale, anche se sostitutiva della pena detentiva".

73. Il primo comma dell'art. 163 c.p dispone:"Nel pronunciare la sentenza di condanna alla reclusione o all'arresto per un tempo non superiore a due anni, ovvero ad una pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva, e ragguagliata a norma dell'art. 135, sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo non superiore nel complesso, a due anni, il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di cinque anni se la condanna è per delitto e di due anni se la condanna è per contravvenzione".

74. In tal senso c'è anche una pronuncia della corte vedi Dolcini nota a pagina 276.

75. V. Relazione al Progetto Bonifacio, in Riv. it. dir. proc. pen., 1978, p. 367.

76. A tal proposito v., Cass., 13 dicembre 1985, in proc. Zorio, in Riv.pen, 1986, p.592; Cass., 22 maggio 1985, in proc. De Luzio, in Riv. pen., 1986, p. 838; Cass., 12 aprile 1984, in proc. Giannini, in Cass. pen., 1985, p. 101; Cass., 2 aprile 1984, in proc. Mula, in Riv. pen., 1985, p. 739; Cass., 27 febbraio 1984, in proc. Lomolino, in Riv. pen., 1985, p. 212; Cass., 17 novembre 1982, in proc. Treccagnoli, in Foro penale, 1983, II, p. 222; Cass., 5 ottobre 1982, in proc. Martucci, in Giur. it., 1984, II, p. 26.

77. A tal proposito v., Trib. Savona, 25 febbraio 1985, in proc. Santero, in Riv. giur. circ. trasp., 1985, p. 416; Pret. Chieti, 20 dicembre 1984, in proc. Di Girolamo, in Riv. pen., 1985, p. 252; Pret. Montefalco, 24 maggio 1984, in proc. Tiburzi, in Riv pen., 1984, p. 820; Pret. Serra Sano Bruno, 17 marzo 1983, in proc. Minniti, in Giur. merito, 1985, p. 166; Pret. Polla, 21 dicembre 1982, in proc. Pecora, in Nuovo dir., 1985 p. 188; Pret. Adria, 19 ottobre 1982, in proc. Forzati, in Giur. it., 1983, II, p. 442; Pret. Salerno, 6 ottobre 1982, in proc. Francione, in Giust. pen., 1983, II, p. 52; Pret. Napoli, 5 gennaio 1982, in proc. Treccagnoli, in Giust. pen., 1982, II, p. 361.

78. Vedi, E. Dolcini, Il carcere ha alternative?, op. cit., p. 281.

79. Il vizio di fondo dell'istituto è da ravvisarsi infatti nella tendenza giurisprudenziale ad applicare pressoché automaticamente la sospensione condizionale, degradandola da misura sospensiva con specifiche finalità specialpreventive e mero atto di clemenza. È questa situazione che diminuisce la funzione generalpreventiva della repressione penale, poiché alimenta nei consociati un diffuso senso di impunità.

80. V. artt. 55 e 56, L. 689/1981.

81. L'applicazione alle misure alternative della liberazione anticipata è, infatti, principio abbastanza consolidato nella giurisprudenza di legittimità; v. Cass., 12 ottobre 1989, in Cass. pen., 1991, p. 479; Cass. 26 marzo 1990, in Cass. pen., 1991, p. 479; Cass., 10 febbraio 1995, in Cass. pen., 1995, p. 3530.