ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo IV
Dimensioni prasseologiche e riflessi sociologici del fenomeno sostitutivo

Leonardo Bresci, 2004

1. L'effettiva applicazione delle sanzioni sostitutive: insufficienza delle rilevazioni ISTAT

Prima di valutare i riflessi sociologici della legge 24 novembre 1981, nº 689, occorrerebbe conoscere il grado di incidenza delle sanzioni sostitutive nel nostro sistema punitivo. Ogni indagine sociologica richiede preliminarmente una certa conoscenza dell'ambito applicativo del fenomeno oggetto di studio, di conseguenza delle sanzioni sostitutive è bene aver presente i seguenti dati:

  1. il numero (in termini assoluti) di applicazioni;
  2. la misura in cui hanno contribuito a ridurre l'area della pena detentiva breve;
  3. il loro rapporto con gli altri strumenti alternativi alla detenzione.

Tale conoscenza infatti, da un lato facilita la ricostruzione dell'impatto della politica sanzionatoria sulla prassi, dall'altro getta luce sulla strada che il futuro legislatore dovrà percorrere in eventuali processi di riforma.

Nel tentativo di far luce sul successo applicativo delle sanzioni sostitutive abbiamo sfogliato le pagine dei libri sulle statistiche giudiziarie elaborate dall'ISTAT, i cui dati però non sono sufficienti a rappresentare con chiarezza l'intero fenomeno nella sua dimensione operativa. Sull'insufficienza delle rilevazioni statistiche non possiamo che accodarci a coloro che lamentano il dilettantismo con cui è gestito in Italia l'importante settore della statistica criminale (1).

A proposito della difficoltà di lettura delle statistiche ufficiali bisogna osservare che:

  1. fino al 1998 sono disponibili soltanto i dati relativi alle sole condanne per delitto;
  2. dal 1998 pur disponendo del numero delle pene detentive brevi nella loro totalità (reclusione ed arresto), viene mancare un'altra importante informazione, ossia il numero di tali pene effettivamente eseguito;
  3. nell'ambito delle pene pecuniarie non sono indicate quelle applicate in funzione sostitutiva della pena detentiva;
  4. emergono soltanto le pene sostitutive effettivamente eseguite, in quanto quelle eventualmente sospese rimangono occultate nel numero delle condanne a pena detentiva.

Abbiamo cercato di compensare tale insufficienza attraverso indagini svolte sul campo, in particolare intervistando operatori pratici (magistrati di sorveglianza, Procuratori generali, cancellieri) ed effettuando ricerche su campione presso le cancellerie dei tribunali e delle procure.

Lungi da noi l'ambizione ì voler arrivare a risultati precisi e certi, chiariamo che le indagini svolte sono servite esclusivamente quale strumento di supporto ai dati ufficiali, in modo fornire perlomeno una percezione della realtà applicativa.

Riguardo alle effettive applicazioni (in termini assoluti) delle pene sostitutive, disponiamo soltanto dei dati che l'ISTAT elabora nella parte "penitenziaria", attraverso le rilevazioni compiute presso gli uffici di sorveglianza. Non essendo infatti disponibili i dati relativi alle sentenze di condanna a pena sostitutiva, possiamo ricavare qualche informazione soltanto in riferimento alle ordinanze con cui il magistrato di sorveglianza stabilisce le modalità esecutive di tali pene. Ma a proposito di tali dati bisogna osservare che essi sono: a) parziaii, in quanto riguardano esclusivamente la semidetenzione e la libertà controllata, non potendo ovviamente includere le pene pecuniarie per la cui esecuzione non è richiesto l'intervento del magistrato di sorveglianza; b) imprecisi, in quanto non rilevano le ipotesi di irrogazione delle pene sostitutive condizionalmente sospese.

Tuttavia le nostre indagini inducono a ritenere che le ordinanze del Magistrato di sorveglianza rappresentino piuttosto fedelmente la totalità dei casi di ricorso alle sanzioni sostitutive non pecuniarie. Nonostante la generale ammissione da parte della dottrina maggioritaria dell'applicabilità della sospensione condizionale, in nessuna delle numerose sentenze di condanna a sanzione sostitutiva che abbiamo visionato nei vari uffici giudiziari (2) è stato applicato l'art. 163 del codice penale.

In secondo luogo, l'assenza di stime sulla pena pecuniaria utilizzate in funzione sostitutiva, può essere surrogata attraverso una tecnica di rilevazione suggeritaci dal Procuratore Capo della procura di Prato (Dott. Beniamino Deidda). Possiamo infatti avere un'idea dell'utilizzazione di tale istituto guardando i decreti penali di condanna che come sappiamo irrogano soltanto pene pecuniarie. In effetti dai decreti penali ci accorgiamo che la sanzione sostitutiva della pena pecuniaria è fortemente utilizzata: sul campione da noi considerato quasi il 60% dei decreti penali di condanna conteneva una pena pecuniaria sostitutiva della reclusione o dell'arresto, previste originariamente nella fattispecie di reato (3). Pur senza generalizzare la validità del nostro campione, appare plausibile quantomeno ritenere che la gran parte dei decreti penali di condanna applica la sanzione sostitutiva (4). Nel 1994 ad esempio sono stati emessi oltre centosettantamila decreti penali, dei quali oltre ottantamila dovrebbero aver applicato una pena pecuniaria in sostituzione della multa o dell'arresto, sempreché il nostro campione non sia rappresentativo di una realtà eccezionale.

I risultati raccolti sulle applicazioni delle pene sostitutive in Italia, anno per anno sono stati riportati nella tabella seguente:

Tabella n. 1
Decisioni sulle modalità esecutive delle sanzioni sostitutive 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
Libertà controllata 1.867 2.289 1.879 2.504 3.774 4.034 4.149 3.960 3.489
Semidetenzione 162 182 217 244 401 286 226 86 84
Totale 2.029 2.471 2.096 2.748 4.175 4.320 4.375 4.046 3.573
Decreti penali di condanna* 169.323 176.863 182.582 174.623 139.116 136.920 -** -** -**

* Il dato include sia le condanne per delitti che per contravvenzioni

** A partire dal 1998 non è più disponibile il dato relativo ai decreti penali di condanna.

Nonostante l'approssimazione dei risultati raggiunti, riteniamo non si possa dubitare su due osservazioni. Anzitutto, dal raffronto proposto nella tabella nº 1, risulta con evidenza il successo applicativo delle pene pecuniarie rispetto agli altri sostitutivi.

In secondo luogo, l'impatto sulla prassi delle sanzioni sostitutive non pecuniarie si inserisce in un trend crescente che nel corso degli anni sarà verosimilmente destinato ad aumentare per effetto della legge sul patteggiamento allargato (5).

Infine, circa il rapporto tra libertà controllata e semidetenzione la prassi conferma la netta preponderanza delle sanzioni sostitutive della prima specie rispetto alle seconda.

Riguardo al "merito" delle sanzioni sostitutive nella riduzione della detenzione, occorre conoscere quante delle pene detentive brevi inflitte sono state effettivamente eseguite e quante, al contrario, sono rimaste ineseguite. Alle ipotesi di non esecuzione sono infatti riconducibili tutta una serie di istituti, tra cui le stesse sanzioni sostitutive, che sono funzionali alla (che incidono sulla) riduzione dell'area della pena detentiva breve. Pertanto il successo applicativo delle pene sostitutive deve essere valutato alla luce dell'operatività anche di altri istituti quali la sospensione condizionale, le misure alternative concesse ab initio e l'indulto.

Sebbene l'ISTAT non fornisca indicazioni precise circa l'impatto nella prassi dei singoli strumenti "alternativi" al carcere, abbiamo cercato comunque di pervenire a qualche plausibile (anche se approssimativa) conclusione.

Anzitutto, abbiamo mutuato una tecnica di rilevazione già utilizzata a metà degli anni '80 da Emilio Dolcini che a pochi anni dall'entrata in vigore della legge già s'interrogava sul ruolo effettivamente svolto dalle sanzioni sostitutive. Fino al 1998 disponiamo accanto al numero delle condanne alla reclusione breve, il numero delle reclusioni brevi effettivamente eseguite (6), dalla cui differenza ricaviamo il numero di dette condanne rimaste ineseguite e nel cui ambito ricadono i casi di sospensione condizionale, indulto e sanzioni sostitutive (7). A questo punto se operiamo un raffronto tra questi dati e tra loro e le sanzioni sostitutive, otteniamo il seguente quadro descrittivo:

  1. il rapporto tra le reclusioni brevi eseguite e le reclusioni brevi inflitte, indica quanto il nostro ordinamento penale è riuscito a ridurre l'area della pena detentiva breve;
  2. il rapporto tra le sanzioni sostitutive applicate e le reclusioni brevi inflitte, indica l'incidenza delle prime nella riduzione
  3. il rapporto tra le sanzioni sostitutive applicate e le reclusioni brevi non eseguite, indica la forza applicativa delle prime rispetto agli altri istituti che operano nella riduzione delle detenzione.

Un breve esempio (relativo al 1993) chiarirà il procedimento seguito. Secondo lo schema riportato di seguito, siamo arrivati a calcolare che le sanzioni sostitutive della libertà controllata e della semidetenzione:

  1. hanno ridotto la carcerazione breve nella misura del 2,7%;
  2. rappresentano il 3,3% dei casi in cui la pena detentiva inflitta non viene di fatto eseguita. Questo risultato esprime i rapporti di "forza applicativa" tra le sanzioni sostitutive e gli altri strumenti di lotta alla detenzione breve.

Schema esemplificativo

Condanne alla reclusione breve (x): 90.012

Entrati dallo stato di libertà per espiare una reclusione breve (a): 6.506

Detenuti condannati duante la custodia cautelare per una reclusione breve (b): 644

Reclusioni brevi eseguite (y): a + b = 7.150

Reclusioni brevi non eseguite: x - y = 82.862

Sanzioni sostitutive (z): 2.471, di cui: 2.289 libertà controllate, 182 semidetenzioni

y / x = 0,079, ossia il 7,9%

z / x = 0,027, ossia il 2,7%

z / (x - y) = 0,033, ossia il 3,3%

I risultati ottenuti seguendo il procedimento sopra descritto sono riportati nella tabella nº 2. Le rilevazioni si fermano al 1997, poiché a partire dal 1998 mutano alcune indicazioni fornite dall'ISTAT.

Tabella n. 2 Raffronto tra i vari anni*
1993 1994 1995 1996** 1997**
Reclusioni brevi eseguite /
Reclusioni brevi inflitte
7,9% 12,6% 12,9% - -
Sanzioni sostitutive applicate /
Reclusioni brevi inflitte
2,7% 2,1% 2,9% 4,1% 3,5%
Sanzioni sostitutive applicate /
Reclusioni brevi non eseguite
3,3% 2,5% 3,3% - -

* I risultati della seconda e terza riga sono chiaramente approssimativi, ma li abbiamo comunque riportati per avere una visione del fenomeno. Infatti le sanzioni sostitutive della libertà controllata e della semidetenzione operano anche in riferimento alle condanne dell'arresto, il cui ammontare è però occultato nelle rilevazioni Istat fino al 1998.

** Le stime mancanti sono dovute al fatto che dal 1996 l'ISTAT non fornisce più il numero di coloro che entrano in carcere dallo stato di libertà.

A partire dal 1998 la tavola denominata "Entrati dallo stato di libertà per espiazione della pena e detenuti presenti condannati durante la custodia cautelare, per periodo di detenzione, reato e pena" scompare dagli annuari per cui è impossibile rilevare quante delle pene detentive inferiori all'anno vengono effettivamente eseguite. Tuttavia a partire da tale anno l'ISTAT fornisce due dati nuovi: il numero delle condanne all'arresto il numero delle sospensioni condizionali.

Nonostante l'impossibilità di rilevare in termini percentuali i rapporti di forza applicativa tra i vari strumenti di lotta al carcere breve (8), riportiamo ugualmente nelle successive tabelle (relative agli anni dal 1998 al 2003) alcuni dati, espressi in termini assoluti, relativi alle pene detentive brevi irrogate, le sospensioni condizionali, le misure alternative e le sanzioni sostitutive.

Tabella n. 3 Anno 1998
Pene detentive inflitte
Fino ad un anno 160.911
1 - 2 anni 24.659
In astratto sospendibili 185.570
Istituti sostitutivi della detenzione breve applicati
Sospensione condizionale della pena 113.865
Affidamento in prova 7.494
Affidamento in prova in casi particolari 2.825
Sanzioni sostitutive (semidet. e lib contr.) 4.375
Detenzione domiciliare 1.747
Semilibertà 706
Tabella n. 4 Anno 1999
Pene detentive inflitte
Fino ad un anno 176.531
1 - 2 anni 22.981
In astratto sospendibili 199.512
Istituti sostitutivi della detenzione breve applicati
Sospensione condizionele della pena 108.250
Affidamento in prova 7.036
Affidamento in prova in casi particolari 2324
Sanzioni sostitutive (semidet. e lib contr.) 4.046
Detenzione domiciliare 3.332
Semilibertà 516
Tabella n. 5 Anno 2000
Pene detentive inflitte
Fino ad un anno 170.482
1 - 2 anni 23.269
In astratto sospendibili 193.751
Istituti sostitutivi della detenzione breve applicati
Sospensione condizionele della pena 146.805
Affidamento in prova 7.891
Affidamento in prova in casi particolari 2.459
Sanzioni sostitutive (semidet. e lib contr.) 3.573
Detenzione domiciliare 3.116
Semilibertà 314

Per cui le sanzioni sostitutive costituiscono il 2,7% (nel 1998) e il 2% (nel 2000) delle condanne a pena detentiva fino ad un anno, a fronte di una applicazione della sospensione condizionale che, anche se non è calcolabile in termini percentuali, visto il diverso ambito applicativo, risulta grandemente superiore. Procedimenti logici ci portano a sostenere infatti che i casi di applicazione della sospensione condizionale si aggirano con verosomiglianza a circa il 70% delle pene detentive brevi irrogate.

2. La libertà controllata e la semidetenzione come beneficio o come punizione?

È opportuno soffermarsi ancora qualche istante sulla natura delle sanzioni sostitutive (cfr. cap. II, par. 2), al fine di superare l'equivoco che consiste nel ritenere dette misure come una sorta di benefici, diretti a concedere al reo una chance di risocializzazione.

Nonostante la varietà delle posizioni dottrinali (9) in ordine alla classificazione delle sanzioni sostitutive (10) tra i modelli sospensivi piuttosto che tra le sanzioni criminali, due considerazioni devono ritenersi pacifiche. Si può dire, infatti, che il contenuto delle sanzioni sostitutive non patrimoniali si caratterizza per una spiccata afflittività da un lato, e per l'assenza connotati risocializzativi dall'altro.

Per quanto attiene l'aspetto sanzionatorio, la libertà controllata e la semidetenzione comportano certamente una "sofferenza" nel soggetto che le subisce

Anzitutto, l'afflittività della semidetenzione è di tutta evidenza consistendo, alla pari della tradizionale pena detentiva, nella privazione della libertà personale, sia pure per un numero limitato di ore al giorno (cfr. cap. II, par. 3).

Anche la libertà controllata ha un forte contenuto afflittivo consistendo, nella sostanza, in una condanna a permanere nel proprio comune residenza sotto un regime di libertà ridotta. Si deve tener presente che dell'obbligo di non allontanarsi, è corredato infatti da tutta una serie di prescrizioni (interdittive e di controllo) che sono dirette a limitare, nell'ambito già di una ristretta circolazione, ulteriormente la libertà personale del condannato.

Ovviamente questo contenuto sanzionatorio non è neanche paragonabile a quello proprio della detenzione che priva completamente il condannato della libertà personale. Ma la minore "sofferenza" del libero controllato (e se si vuole del semidetenuto) rispetto al detenuto, non dovrebbe neppure indurre a ritenere, come talvolta accade, le sanzioni sostitutive dei meri benefici, delle forme sospensive della detenzione. E' necessario superare l'equivoco: tali sanzioni, destinate peraltro a sostituire pene detentive di minima entità, continuano pur sempre a consistere in limitazioni della libertà personale e, pertanto, si caratterizzano essenzialmente per una loro specifica afflittività, al pari di ogni sanzione criminale.

Inoltre ritenere le sanzioni sostitutive dei benefici (o modalità sospensive della pena detentiva), significherebbe assegnare loro anche finalità specialpreventive.

I due istituti, invece, mancano di ogni sostegno diretto alla rieducazione del reo, finalità peraltro neanche perseguita dal legislatore (11).

La semidetenzione non prevede alcuna finalizzazione al reiserimento sociale del periodo di tempo in cui il condannato trascorre le ore in libertà. Di conseguenza l'eventuale reinserimento finirebbe col dipendere esclusivamente dalla volontà, e dal ravvedimento critico del reo stesso. È vero che all'interno degli istituti preposti all'accoglimento dei semiliberi (e quindi dei semidetenuti) esiste un ufficio educatori che promuove un'attività di recupero, però l'adesione alla stessa è lasciata completamente alla discrezionalità del semidetenuto. In effetti diversamente dall'affidamento in prova e dalla semilibertà, la semidetenzione non prevede a favore del suo destinatario alcuna attività di sostegno (e di vigilanza) da parte del CSSA. La sua esecuzione è, al contrario, affidata al direttore dell'istituto durante le ore di internamento, agli organi di pubblica sicurezza durante le ore di libertà. A riprova di quanto appena detto rilevano alcuni risultati empirici che abbiamo potuto ricavare grazie alla disponibilità dell'educatrice dell'istituto "Santa Teresa" (12). Delle quattro semidetenzioni che hanno interessato l'istituto fiorentino negli ultimi quattro anni, soltanto in un caso il condannato ha seguito un programma di reinserimento sociale. Questa situazione si è verificata nonostante gli sforzi dell'educatrice nel proporre validi programmi, tesi a regolare la condotta di vita dei semidetenuti durante le ore di libertà; sforzi che nella maggior parte dei casi risultano vani in assenza di specifiche prescrizioni in tal senso. Occorre inoltre fare due osservazioni. L'unico semidetenuto che ha impegnato le proprie ore di libertà in un trattamento di recupero, lo ha fatto continuando a seguire quello stesso programma che il Sert aveva previsto quando si trovava in libertà. Questo dimostrerebbe che gli eventuali risultati raggiunti sono estranei alla sanzione criminale, in quanto esclusivamente dipendenti dalla volontà del soggetto che già in ambiente libero aveva maturato l'idea di intraprendere un percorso di recupero. L'altra osservazione è che lo stesso semidetenuto rappresenta l'unico caso (dei quattro) in cui la sanzione sostitutiva ha avuto esito positivo. Altrettanto non è accaduto quando non è stato seguito alcun programma: in due casi la sanzione sostitutiva è stata convertita per violazione delle prescrizioni o commissione di nuovi reati; nell'altro caso non è stata eseguita per intero, poiché il condannato si è dato alla fuga nelle ore di libertà e si è successivamente reso irreperibile.

Analoghe considerazioni possono farsi sulla libertà controllata. Nonostante che l'art. 56 della legge preveda la possibilità per il magistrato di sorveglianza di disporre interventi idonei al reinserimento del condannato da parte del centro di servizio sociale, tale previsione normativa rimane di fatto lettera morta. Tanto per dare un esempio: tra il 2000 e il 2003, delle 43 ordinanze con cui la magistratura di sorveglianza di Firenze ha deciso le prescrizioni della libertà controllata, soltanto due includevano l'obbligo dell'intervento assistenziale del CSSA. Senz'altro non ogni situazione è tale da richiedere necessariamente il coinvolgimento del CSSA, ma un numero così basso di casi fa pensare che qualcosa davvero non funzioni. Invero, dai colloqui con il personale del CSSA (13) e degli Uffici di Sorveglianza emerge un preoccupante segnale d'allarme: la tendenza a non aumentare il carico di lavoro del CSSA, oberato dal numero degli affidati, attraverso l'assegnazione dei casi relativi ai liberi controllati. Si ripropone dunque in materia di sanzioni sostitutive il costante problema che accompagna di regola ogni riforma: il legislatore pone dei principi generali, ma senza la predisposizione delle strutture idonee per la loro attuazione concreta (14).

Scartata l'idea di vedere nelle sanzioni sostitutive un contenuto risocializzativo, sempre sotto il profilo delle finalità specialpreventive si potrebbe comunque sostenere che queste misure tendano a perseguire la non desocializzazione del reo, attraverso il mancato inserimento dello stesso nell'ambiente penitenziario. In altre parole, nei confronti dei soggetti destinatari delle sanzioni sostitutive non configurandosi (in astratto) esigenze di reinserimento nella società, emerge nell'ordinamento un atteggiamento di cautela nell'esercizio della repressione penale: la sanzione penale non deve costituire l'occasione per emarginare il reo gettando così le basi per una sua futura recidiva.

Anche questo aspetto, che peraltro corrisponde alle intenzioni del legislatore del 1981, riceve una parziale smentita dalla prassi.

Anzitutto, voler evitare l'emarginazione sociale del reo attraverso la semidetenzione è una vera e propria contraddizione in termini: gli effetti negativi della prigione sarebbero ritenuti evitabili attraverso l'inserimento del reo nelle mura di un'altra istituzione totale ovvero in una sezione apposita degli istituti di pena ordinari.

Meno negativo, invece, il giudizio sull'idoneità non desocializzativa della libertà controllata. Questa misura infatti non impone uno "sradicamento" dalle proprie mura domestiche e lascia l'opportunità di poter svolgere, entro certi limiti, le attività sociali (studio, lavoro, ricreazione). Soltanto due aspetti avrebbero forse meglio garantito la non desocializzazione:

  1. il ruolo del servizio sociale in materia di vigilanza e assistenza;
  2. prescrizioni più flessibili che lascino lo spazio al magistrato di sorveglianza di adeguare la misura alle reali esigenze del caso concreto.

Detto questo bisogna anche avvertire che se la libertà controllata può funzionare, in termini di non desocializzazione, nei confronti dei soggetti già ben inseriti nello strato sociale; altrettanto non accade nei confronti di quei soggetti che necessitano attività di sostegno, a causa della loro estraneità alla vita sociale Per queste persone è importante prevedere veri e propri interventi positivi, d'indirizzo della loro condotta; possibilità invece preclusa dall'attuale modello di funzionamento della libertà controllata.

In conclusione, l'equivoco di fondo che consiste nel considerare le sanzioni sostitutive mere modalità sospensive della pena detentiva deve essere superato guardando alla struttura della sanzione stessa: il contenuto spiccatamente afflittivo e l'assenza di particolari aspetti specialpreventivi fanno pensare più ad una punizione che ad un beneficio

3. La distanza tra le intenzioni della politica criminale e i risultati della prassi applicativa

Dal punto di vista della politica criminale, l'intera legge trovava la sua ratio ispiratrice nella predisposizione di una serie di strategie d'intervento (depenalizzazione, ampliamento dei casi di perseguibilità a querela, sanzioni sostitutive) funzionali alla tendenziale eliminazione della pena detentiva breve. Pertanto anche la riforma del diritto punitivo, attuata con l'introduzione delle sanzioni sostitutive, era rivolta a superare l'antico dualismo pena detentiva- pena pecuniaria che, in linea col movimento di riforma internazionale, avrebbe dovuto consentire l'abbattimento del primato del carcere nella lotta alla delinquenza marginale.

Un'ulteriore conferma dei fini perseguiti dal legislatore arriva, inoltre, dalla Relazione al primo disegno di legge (Progetto Bonifacio), allorché si manifestava "l'esigenza di rendere possibile la sostituzione delle pene detentive brevi per i reati minori", poiché in tali casi il carcere "produce numerosi effetti negativi e finisce per funzionare come un fattore di crisi del sistema".

Occorre adesso verificare come queste intenzioni di politica criminale si siano tradotte con l'applicazione concreta della legge.

3.1. L'insuccesso applicativo delle "sanzioni sostitutive non patrimoniali" (15)

Quanto esposto in precedenza (paragrafo nº 1) ha evidenziato come il fenomeno della sostituzione si sia caratterizzato: da un lato per il largo ricorso alla pena pecuniaria, dall'altro per la sostanziale irrilevanza applicativa degli altri sostitutivi (ossia le pene sostitutive della libertà controllata e della semidetenzione).

Riguardo a questi ultimi dunque non possiamo che registrare un totale fallimento sul piano pratico della politica criminale rivolta alla riduzione del carcere di breve durata. Il motivo di tale fallimento è imputabile, a nostro avviso, al mancato radicamento di queste sanzioni sostitutive nella coscienza giuridica degli operatori pratici dovuta a sua volta probabilmente anche alla cattiva formulazione del testo legislativo. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, la legge pone tutta una serie di problemi interpretativi che non danno spazio a soluzioni chiare e, ancor meno, univoche. Ed è soprattutto la mancata presa di posizione da parte del legislatore in ordine alla natura della sanzione sostitutiva e al suo rapporto con la sospensione condizionale a determinare nella prassi l'insuccesso delle pene sostitutive non patrimoniali. Invece, una precisa collocazione della libertà controllata e della semidetenzione nell'ambito delle pene principali avrebbe verosimilmente facilitato la configurazione della detenzione breve come strumento repressivo di carattere eccezionale (16). Queste difficoltà interpretative avrebbero comportato, in altre parole, un effetto di "spiazzamento" negli operatori pratici, i quali di fronte alla possibilità offerta dalla legge di utilizzare lo strumento normativo, scelgono un atteggiamento di inerzia.

Anzitutto, la tendenza diffusa degli organi giudicanti a non considerare l'opportunità della sostituzione rifletterebbe quella concezione, sostenuta da parte della dottrina, della natura sospensiva delle sanzioni sostitutive e, come tali, in competizione con l'istituto della sospensione condizionale. Una competizione che nella pratica si risolve a favore dell'istituto previsto dall'art. 163 c.p., (il quale trova nella prassi giudiziaria un'applicazione pressoché automatica), nel senso che la possibilità di sostituzione è valutata soltanto nelle residue ipotesi di non applicazione della sospensione condizionale.

Nelle sentenze esaminate è infatti riscontrabile che, nelle ipotesi di condanne a pene in astratto sia sospendibili che sostituibili (17), il giudice (nella generalità dei casi) compie la propria attività di commisurazione secondo le seguenti scansioni, elencate in ordine cronologico:

  1. determinazione della pena concreta (ottenuta attraverso le sottrazioni o le addizioni calcolate sulla pena base per le attenuanti, aggravanti, continuato ecc..);
  2. valutazione della sospendibilità della pena detentiva determinata;
  3. probabilità di una valutazione circa la sostituzione nei residui casi in cui la pena detentiva non è stata sospesa.

Questo modo di procedere avvalorerebbe la dottrina che vede una natura sospensiva nelle sanzioni sostitutive, considerate meri benefici piuttosto che vere e proprie sanzioni criminali. Il limitato numero di pene sostitutive non patrimoniali dimostrerebbe, infatti, che entrambi gli istituti "sospensivi" sono concessi sulla base di una prognosi di non recidiva. Ne consegue che, stante la prassi giudiziaria dell'automatismo della sospensione condizionale, l'operatività delle sanzioni sostitutive rimane ai margini del diritto punitivo (cfr. cap. II, par. 7).

In secondo luogo, la marginale utilizzazione delle sanzioni sostitutive non patrimoniali dipende probabilmente anche dal comportamento processuale degli avvocati che si astengono dal richiedere tali sanzioni. Mi spiego meglio: il luogo di elezione dei sostitutivi dovrebbe essere (e in parte lo è) il procedimento speciale comunemente denominato "patteggiamento" che rappresenta una delle più frequenti modalità di accertamento di reati puniti con pene rientranti nei limiti di applicabilità delle sanzioni sostitutive. Ed è proprio in questo ambito che risulta evidente l'inerzia dei difensori.

Ebbene, i casi in cui gli avvocati in sede di applicazione della pena su richiesta si accordano col pm circa l'applicazione di una sanzione sostitutiva non patrimoniale sono rarissimi. Questo comportamento processuale confermerebbe la sostanziale estraneità della semidetenzione e della libertà controllata dal diritto punitivo di fatto. In ogni modo nemmeno possiamo considerare questa prassi frutto esclusivo dell'inconsapevolezza degli operatori pratici. Al contrario si può supporre che in taluni casi gli avvocati siano consapevoli della propria strategia difensiva adottata sulla base di una ponderata valutazione dei diversi trattamenti sanzionatori potenzialmente applicabili.

A titolo di esempio si pensi all'ipotesi in cui l'avvocato possa richiedere alternativamente la sanzione sostitutiva non patrimoniale o la pena detentiva, senza la possibilità di subordinarne la concessione alla sospensione condizionale perché l'intera richiesta, ammettiamo, sarebbe verosimilmente rigettata per l'impossibilità di formulare una prognosi di non recidiva. Valutiamo in tale ipotesi le singole possibilità di scelta:

  1. l'avvocato può richiedere la semidetenzione in luogo del carcere. In tal caso il leggero miglioramento prodotto dalla sanzione sostitutiva, è compensato dalla previsione che, in caso di conversione per inosservanza delle prescrizioni, la successiva pena detentiva non potrebbe in alcun modo essere scontata in forma alternativa, stante l'esplicito divieto posto dall'art. 66.
  2. l'avvocato potrebbe accordarsi su un periodo doppio di libertà controllata rispetto alla pena detentiva in concreto applicabile. Anche tale scelta richiede attente valutazioni. Non solo la conversione in caso di inadempimento delle prescrizioni conduce inevitabilmente al carcere senza alternative, ma il contenuto afflittivo della libertà controllata è tale da preferire ad essa un regime di affidamento in prova, non ottenibile dal libero controllato.

Ma anche al di là di simili valutazioni, nell'esempio fatto i difensori si trovano di fronte a situazioni non particolarmente favorevoli per il proprio cliente a causa, abbiamo detto, della loro verosimile pericolosità sociale; pertanto anche al di là delle valutazioni suddette, la richiesta di applicazione della pena sostitutiva rischia, alla luce della loro considerazione quali benefici, di essere accettata dal pm con conseguente perdita della riduzione di un terzo della pena prevista per il rito speciale del "patteggiamento".

3.2. Il successo applicativo delle pene pecuniarie

Contrariamente alla semidetenzione e alla libertà controllata, la pena pecuniaria sostitutiva della detenzione ha invece avuto una notevole fortuna applicativa. Si potrebbe essere tentati di dire che il legislatore del 1981 sia riuscito a perseguire con le pene pecuniarie i suoi obiettivi di politica criminale.

Prima di giungere a questa conclusione merita però chiedersi i motivi di tale successo e i riflessi che l'incremento delle pene pecuniarie comportano nel nostro ordinamento punitivo (cfr. par. 2 di questo capitolo).

La circostanza che anche la sostituzione attuata con la pena pecuniaria si fondi sulla clausola generale sancita all'art. 53, peraltro per pene detentive quantitativamente inferiori rispetto alle sostituzioni consentite agli altri istituti, richiede di ricercare i motivi del successo in fattori esterni alla legge del 1981.

In realtà il successo delle pene pecuniarie sostitutive può essere spiegato tenendo presente due considerazioni:

  • la scarsa incidenza pratica della sospensione condizionale;
  • la loro idoneità a realizzare un'altra finalità, quella dell'economia dei giudizi.

I rapporti della pena pecuniaria con l'istituto sospensivo previsto nel codice penale sono chiaramente delineati nella legge. L'art. 57, II comma, stabilendo che "la pena pecuniaria si intende sempre come tale anche se sostitutiva della pena detentiva", ne sancisce in maniera inequivocabile la sospendibilità.

Nonostante questa chiarezza legislativa, peraltro assente in materia di sospensione degli altri sostitutivi, l'utilizzazione dell'art. 163 c.p. è assai marginale nei processi che si concludono con condanne a pena pecuniaria. Rientra infatti nella normale strategia difensiva consigliare all'imputato di non "bruciare" l'eventuale sospensione condizionale per una condanna avente ad oggetto una somma di danaro. Il più delle volte è preferibile uscire dal processo pagando una multa o un'ammenda (lasciandosi così la possibilità giocare la chance della sospensione per future occasioni di reato) piuttosto che non pagare e rischiare una futura condanna a pena detentiva, non più sospendibile. Difatti, nella gran parte dei casi la pena pecuniaria è applicata all'esito dei procedimento speciali rispettivamente disciplinati agli artt. 444 (e seguenti) e artt. 459 (e seguenti) del codice di procedura penale, i quali si concludono quasi sempre senza la sospensione della pena. Riguardo al rito speciale del "patteggiamento", la giurisprudenza prevalente ritiene, infatti, che la sospensione condizionale non richiesta dalle parti impedisce al giudice di deliberare circa la sospensione, senza violare il principio del tacito accordo delle parti. Invece, nel decreto penale di condanna sebbene si preveda la possibilità per il giudice delle indagini preliminari di disporre la sospensione condizionale, nella pratica la pena pecuniaria irrogata non viene sospesa al fine di indurre l'imputato ad accettare la condanna.

Riteniamo però che vi sia un altro elemento che spiega il successo delle pene pecuniarie degno di essere messo in evidenza. La possibilità di sostituzione delle pene detentive brevi (prima 1 mese, poi 3 mesi, adesso 6 mesi) con la multa o l'ammenda è stata utilizzata dagli Uffici delle Procure della Repubblica per spingere la promozione dei procedimenti speciali che si svolgono nella forma del decreto penale. Con questo procedimento, com'è noto, possono essere inflitte soltanto pene pecuniarie anche se sostitutive, dice la legge, della pena detentiva prevista dalla fattispecie di reato. Ebbene, maggiori sono le modalità di esaurimento dei procedimenti per decreto penale, minore è il carico di lavoro che rimane alle Procure e gli uffici giudiziari in generale (GIP;GUP; giudici dibattimentali). Possiamo concludere dunque che una parte del successo applicativo delle pene pecuniarie utilizzate in funzione di sostituto della detenzione è attribuibile all'esigenza di realizzare il principio di economia dei giudizi.

Viene da pensare che se, per assurdo, il procedimento per decreto penale contemplasse anche la possibilità di applicare la semidetenzione e la libertà controllata, il successo applicativo di quest'ultime sarebbe ben diverso. E viene da pensare anche che le recenti modifiche (verso l'alto) delle fasce di pene detentive sostituibile rispondano non tanto all'esigenza di evitare il carcere nelle ipotesi di devianza marginale, quanto a quella di snellire la pesante macchina della giustizia da numerosi procedimenti penali.

4. Alcune considerazioni di politica criminale sulla validità della previsione delle sanzioni sostitutive non patrimoniali

Il legislatore ha mancato, dunque, l'obiettivo di assegnare alle pene sostitutive non patrimoniali il ruolo di strumento principale nella lotta alla devianza marginale; e questo soprattutto a causa dell'operatività sulle pene detentive brevi della sospensione condizionale. Ciononostante, alcune migliaia di persone vengono annualmente condannate a pene sostitutive che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono relative alla libertà controllata. Inoltre, il numero delle applicazioni in termini assoluti sarà verosimilmente destinato a crescere grazie alla recentissima legge sul "patteggiamento allargato" con cui sono stati raddoppiati tutti i limiti di pena concretamente sostituibile. Nonostante l'insuccesso di fondo della libertà controllata e della semidetenzione, tali sanzioni mantengono dunque un certo impatto sulla società, che merita di essere valutato. Infatti, laddove queste sanzioni sono applicate si manifesta con tutta evidenza la disarmonia del nostro diritto punitivo.

Abbiamo avuto l'occasione di sottolineare che le sanzioni sostitutive sono dotate di una loro specifica afflittività, cioè la loro esecuzione comporta nel soggetto che le subisce una certa "sofferenza". Tale caratteristica è peraltro coerente con la natura di sanzione criminale che il legislatore ha voluto attribuire a questi strumenti di lotta al crimine. Ma è anche vero che l'afflittività di tali sanzioni, destinate alla criminalità di scarso allarme sociale, dovrebbe essere minore rispetto alla detenzione, al fine di non alterare la proporzione tra il disvalore del fatto e la risposta punitiva dell'ordinamento. Nella mente del legislatore tale proporzione veniva realizzata attraverso la previsione di misure che seppur limitative della libertà personale, non giungevano alla sua totale privazione, tipica invece della pena detentiva tout court. Una minore afflittività che avrebbe dovuto, fra l'altro, contribuire a rafforzare la percezione nei consociati del diverso disvalore delle singole condotte criminose.

Se tutto questo corrisponde agli intenti del legislatore del 1981, è altresì vero che la pratica applicazione delle sanzioni sostitutive non patrimoniali ha vanificato di fatto questo progetto di politica criminale: non solo le sanzioni sostitutive non sono riuscite a relegare la pena detentiva a strumento di extrema ratio (18) [v. par. nº 3.a]), ma laddove applicate hanno mostrato tutta la loro inutilità e la loro incoerenza rispetto al diritto punitivo vigente.

A questa convinzione siamo pervenuti al termine della nostra ricerca effettuato sul campo, ossia attraverso una serie di colloqui con gli operatori dell'amministrazione della giustizia e l'esame delle sentenze; e i cui risultati possono essere riassunti nelle due seguenti considerazioni:

  1. anzitutto, la libertà controllata e la semidetenzione presenta tratti disarmonici rispetto al complessivo ordinamento punitivo: l'esperienza empirica dimostra che una condanna a sanzione sostitutiva (non patrimoniale) può, in alcuni casi, determinare una situazione maggiormente afflittiva rispetto a quella derivante dalla corrispondente condanna alla pena detentiva non sostituita;
  2. in secondo luogo, dette sanzioni non possono essere ritenute un utile strumento di politica criminale, in termini di lotta alla criminalità e di recupero del reo; e questo a causa della loro inidoneità a "correggere" i comportamenti devianti.

4.1. Un elemento di disarmonia nel nostro ordinamento punitivo: la diversità del trattamento riservato al condannato alla sanzione sostitutiva

Partiamo dalla prima affermazione: l'applicazione della libertà controllata o della semidetenzione può, in alcuni casi, risultare più gravosa rispetto ad una condanna a pena detentiva non sostituita. Tenendo presente l'intera disciplina dell'esecuzione penale riteniamo infatti che il trattamento riservato al condannato a pena sostitutiva (non patrimoniale) mal si giustifica, in tutta una serie di casi, con quello predisposto per il condannato alla detenzione. Una diversità di trattamento che, in ultima analisi, riguarderebbe la possibilità di accesso alle misure alternative, con particolare riferimento, tra queste, all'affidamento in prova che rappresenta per il reo una soluzione certamente più "vantaggiosa" rispetto alla detenzione e alle pene sostitutive non patrimoniali.

I punti di discrimine nel trattamento dei due diversi tipi di condannati possono essere individuati:

  1. nella diversa disciplina esecutiva della pena, con particolare riferimento alla previsione normativa contenuta nel quinto comma dell'art. 656 del codice di procedura penale (obbligatorietà della sospensione dell'ordine di esecuzione);
  2. nel sopravvenire di una condanna a pena detentiva per un fatto commesso anteriormente.

4.1.1. L'esecuzione delle sanzioni sostitutive non patrimoniali: il problema della previsione normativa contenuta nel quinto comma dell'art. 656

La disciplina dell'esecuzione prevede due procedimenti distinti per le pene detentive e per le pene sostitutive, rispettivamente disciplinati agli artt. 656 e. 661 c.p.p. In entrambi i casi l'esecuzione dei provvedimenti, coerentemente col disposto dell'art. 655 c.p.p., è affidata al pubblico ministero, al quale spetta il potere - dovere di avviare la procedura esecutiva. Se l'attività propulsiva dell'esecuzione della pene detentive e sostitutive è rimessa allo stesso organo, i due procedimenti si distinguono invece per l'attività che il pubblico ministero svolge sui rispettivi titoli esecutivi:

  1. riguardo alle pene detentive emette l'ordine di esecuzione e contestualmente il decreto di sospensione, nel caso di condanna inferiore a tre anni (art. 665 c.p.p.);
  2. riguardo alle pene sostitutive si limita a trasmettere l'estratto della sentenza di condanna al magistrato di sorveglianza territorialmente competente per la determinazione delle modalità esecutive (artt. 661 c.p.p. e 62 L. 689/1981).

La mancata espressa previsione dell'obbligatorietà di sospendere l'esecuzione anche delle pene sostitutive farebbe pensare che il legislatore del 1998, abbia optato per quell'orientamento della giurisprudenza e della dottrina che nega la l'applicazione delle misure alternative al condannato a pena sostitutiva. Sennonché questa impressione potrebbe essere fugata dalla considerazione che per la semidetenzione è abbastanza pacifica l'estensione delle misure alternative previste dall'ordinamento penitenziario (19).

Comunque sia, nella prassi l'ufficio del pubblico ministero ha interpretato alla lettera gli articoli 656 e 661 del codice di procedura penale, ritenendo il mancato riferimento alle pene sostitutive, una chiara espressione della volontà del legislatore nel senso di riservare la sospensione alla sola pena detentiva. Allo stato riteniamo dunque che rispetto ad una condanna a pena detentiva, quella a pena sostitutiva possa nella pratica comportare un trattamento sfavorevole per il reo, in termini di accesso alle misure alternative.

Cerchiamo di spiegarci meglio con l'aiuto di un esempio. Ipotizziamo due persone che abbiano violato la stessa norma penale. La prima (Tizio) viene condannata a sei mesi di reclusione non sostituita; la seconda (Caio) viene invece condannata alla pena sostitutiva (sei mesi di semidetenzione ovvero un anno di libertà controllata) in quanto ritenuta dal giudice meno desocializzante e, al tempo stesso, sufficientemente intimidativa.

Una volta passata in giudicato la sentenza di condanna si verificheranno tre ingiustificate situazioni diverse, a seconda che il procedimento esecutivo interessi rispettivamente la pena detentiva, quella semidetentiva ovvero la libertà controllata.

a) Il condannato alla pena detentiva avrà la possibilità di richiedere l'applicazione di una misura alternativa, contando anche sulle agevolazioni offerte dall'art. 656 c.p.p.(sospensione dell'ordine di esecuzione e informazione del diritto di fare istanza).

Tale articolo infatti stabilisce che il p.m., se la pena detentiva da eseguirsi non supera i limiti previsti per le misure alternative, sospende l'esecuzione e dispone che l'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione siano consegnati al condannato con l'avviso della facoltà di presentare, entro trenta giorni, un istanza volta ad ottenere uno dei "benefici" previsti dall'ordinamento penitenziario. Questo meccanismo (sospensione dell'ordine di esecuzione- obbligo di informazione della possibilità di chiedere le misure alternative) garantisce il condannato alla pena detentiva di poter usufruire, ove ricorrano le condizioni, di una misura alternativa ab origine, cioè senza "passare" dal carcere.

b) Il condannato alla semidetenzione avrà sempre la possibilità di richiedere l'applicazione di una misura alternativa, ma senza la sospensione del procedimento di esecuzione e senza quella cautela informativa prevista invece per il condannato a pena detentiva.

A tal proposito, abbiamo avuto l'occasione di parlare con alcuni pubblici ministeri delle Procure di Firenze, Prato e Pistoia (20) e tutti ci hanno confermato che ritengono non sospendibile il titolo esecutivo relativo alla semidetenzione (e alla libertà controllata). Di conseguenza la situazione che si profila per il semidetenuto, una volta passata in giudicato la condanna, è la seguente: ricevuti gli atti dalla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento, il pm trasmette l'estratto della sentenza di condanna al magistrato di sorveglianza competente, il quale determina con procedimento di sorveglianza le modalità esecutive della semidetenzione. Ebbene, è pacifico in giurisprudenza (21) che il semidetenuto possa richiedere una misura alternativa, ma le attuali norme non agevolano la di presentazione di tale richiesta prima dell'esecuzione stessa della pena. La conseguenza è che, richiamando l'esempio suddetto, Tizio potrà avere la possibilità di ottenere l'affidamento (o altra misura alternativa) senza entrare in carcere, mentre Caio rischia di ottenere l'affidamento ad esecuzione iniziata e, quindi, dopo aver "sperimentato" l'esperienza della semidetenzione. Ad onor del vero, abbiamo utilizzato il termine "rischia" perché se è vero che le norme sull'esecuzione delle pene (così come sono interpretate) non consentono un aggancio per legittimare il semidetenuto a richiedere una misura alternativa dallo stato di libertà, è altrettanto vero che in taluni casi la prassi giudiziaria ha cercato di rimediare a questa situazione (22). La magistratura di sorveglianza di Firenze, infatti, in sede di udienza per le determinazione delle modalità esecutive della semidetenzione interroga l'interessato circa le sue intenzioni di richiedere l'affidamento. In caso di risposta affermativa rinvia l'udienza fino alla decisione del Tribunale di Sorveglianza sulla misura alternativa. Ma questa prassi giudiziaria rimane pur sempre un mero espediente per rimediare ad una situazione creata dalle disposizioni di legge e, pertanto, affidata all'intuito e alla ragionevolezza dei singoli magistrati. Laddove infatti non si verifichi una simile "premura" da parte della magistratura di sorveglianza si concreta il pericolo (23) di una disparità di trattamento tra i condannati (Tizio e Caio) nell'esecuzione delle rispettive pene che, seppur di diversa specie, sono state irrogate per un medesimo fatto di reato. Anzi, l'impossibilità di accedere all'affidamento dallo stato di libertà si configurerebbe proprio nei confronti del condannato (Caio) al quale la pena era stata sostituita sulla base di considerazioni attinenti alla minor gravità del reato e capacità a delinquere.

c) Il condannato alla libertà controllata non avrà a disposizione nessuna alternativa, dovendo egli scontare necessariamente la pena risultante in condanna.

In questi casi il problema della sospendibilità della pena è ancor meno avvertito dagli uffici del pubblico ministero, stante la generale convinzione dell'inammissibilità del libero controllato a forme alternative di esecuzione.

Infatti, nonostante isolati sforzi di una parte della dottrina tendenti ad allargare le misure alternative alla libertà controllata, la giurisprudenza si è consolidata a favore della soluzione negativa (Corte di Cass., 8/7/2001, in Proc. Biffi). La conseguenza è che, richiamando ancora l'esempio precedente, Tizio potrà avere la possibilità di ottenere l'affidamento (o altra misura alternativa) senza entrare in carcere, mentre Caio, condannato per lo stesso fatto di reato, sarà necessariamente sottoposto al regime della libertà controllata. Chiaramente nell'ipotesi del libero controllato, l'incongruenza della disciplina esecutiva si manifesta soltanto agli occhi di chi vede nell'affidamento in prova uno strumento meno afflittivo e maggiormente risocializzante, rispetto alla libertà controllata (cfr. cap. II, par. 8). Unicamente sotto quest'angolo visuale, la possibilità che soltanto il condannato a pena detentiva (Tizio) e non anche il condannato alla libertà controllata (Caio) solitamente responsabile di un reato meno grave, possa accedere alle misure alternative, configura una situazione irragionevole.

Uno spiraglio per superare questa situazione potrebbe essere offerto da un'opzione interpretativa dell'art .656 del codice di procedura penale, volta ad estendere l'applicabilità della sospensione dell'esecuzione anche alle pene sostitutive. Siamo consapevoli della difficoltà teorica di una simile interpretazione per cui ci limitiamo a porre in risalto il problema indicando gli argomenti a favore e contrari ad una simile ricostruzione.

Teniamo presente l'art. 656 che al quinto comma stabilisce:

Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pene, non è superiore a tre anni [......], il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l'esecuzione. L'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore [...], con l'avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, votla ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione.

A favore della sospendibilità delle pene sostitutive si potrebbero portare le seguenti argomentazioni:

  1. anzitutto, l'art. 57 della legge del 1981 stabilisce che "per ogni effetto giuridico la semidetenzione e la libertà controllata si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena sostituita". Pertanto, questo criterio d'equivalenza indurrebbe a ritenere che l'effetto giuridico della sospensione della pena riguardi anche la libertà controllata e la semidetenzione.
  2. riguardo alla sola semidetenzione inoltre, la stessa struttura della sanzione impedirebbe la sua esclusione dall'ambito applicativo dell'art. 656, rientrando concettualmente nell'ambito delle pene detentive. Non può contestarsi, infatti, che la semidetenzione sia una pena detentiva, seppure grandemente attenuata (24)

Contro la sospendibilità delle pene sostitutive rimangono comunque autorevoli obiezioni che abbiamo raccolto durante i nostri colloqui effettuati sia con gli operatori pratici che con esponenti della dottrina penalistica. In tali incontri è emerso in particolare che:

  1. il principio di tassatività impone che eventuali interpretazioni estensive (pro reo) si fondino sull'eadem ratio dell'istituto considerato. Siccome la ratio ispiratrice della legge Simeone era quella di agevolare l'esecuzione della pena detentiva in forma alternativa (25), non può ritenersi sospendibile la libertà controllata rispetto alla quale non sono concedibili le misure alternative (26). Nonostante la validità di tale obiezione, si può tuttavia osservare che dalla semidetenzione è possibile accedere al regime di una misura alternativa, secondo il parere consolidato della giurisprudenza.
  2. l'attività interpretativa deve tenere conto delle intenzioni del legislatore. Di conseguenza la volontà del legislatore non può essere intesa nel senso di sospendere le pene sostitutive, poiché in tal caso il legislatore avrebbe potuto espressamente includere dette pene nella formulazione dell'art. 656.
  3. le pene sostitutive hanno un proprio procedimento di esecuzione, distinto da quello delle pene detentive e disciplinato separatamente agli artt. 661 c.p.p. e 62 - 63 della legge 689/1981;
  4. altre osservazioni sono state fatte sulla eventuale perdita della tenuta generlpreventiva del sistema penale in caso di ammissione della sospendibilità delle sanzioni sostitutive (27).

Fra le tante, queste rappresentano le obiezioni più rilevanti che abbiamo raccolto contro la prospettazione della legittimità del p.m. a sospendere ex art. 656 le sanzioni sostitutive. Sebbene la questione sollevata sia stata ritenuta meritevole di attenzione dalla maggioranza degli intervistati ho comunque avuto l'impressione che ci troviamo di fronte ad un problema di stretto diritto non facilmente superabile in via interpretativa.

De jure condito, sarà pertanto improbabile pervenire ad una soluzione positiva della questione proposta, di conseguenza nella pratica continueranno a verificarsi disparità di trattamento tra i condannati alla detenzione e i condannati alle sanzioni sostitutive (con particolare riferimento ai liberi controllati rispetto ai quali è preclusa ogni strada all'affidamento in prova). Una disparità di trattamento che si concreta, nei confronti dei condannati a pene sostitutive, nell'impossibilità per i liberi controllati e nella maggiore difficoltà per i semidetenuti di accedere alle misure alternative.

Allora non resta che auspicare un futuro intervento del legislatore volto a rendere maggiormente armonico il diritto punitivo. Questo potrebbe magari avvenire a seguito d'eventuali censure da parte della Corte costituzionale sull'irragionevolezza della previsione normativa di cui all'art. 656.

4.1.2. Le diverse conseguenze giuridiche a seguito del sopravvenire di una condanna a pena detentiva non sospesa

In alcune ipotesi può accadere che una successiva condanna a pena detentiva possa determinare una situazione di svantaggio per il sottoposto alla libertà controllata rispetto a quella che si verificherebbe nei confronti di chi sconta la pena detentiva (non sostituita), in regime di affidamento in prova. Questa situazione di svantaggio si verifica nelle ipotesi in cui il sopravvenire di una condanna a pena detentiva sia tale da comportare la revoca della libertà controllata, ma non anche la cessazione del regime di affidamento eventualmente ottenuto dal condannato a pena detentiva non sostituita. Vedremo che la situazione di svantaggio si realizza attraverso un diverso trattamento del condannato alla libertà controllata (rischia di entrare in carcere) rispetto all'affidato. Prima di analizzare le diverse conseguenze giuridiche che possono derivare al libero controllato e all'affidato dal sopravvenire di una sentenza di condanna, occorre fare una precisazione. Potrebbe infatti obiettarsi che la diversità della situazioni conseguenti alla successiva condanna è giustificata dalla diversa misura su cui questa incide. Tale obiezione non deve ingannare: in linea di principio il libero controllato ha posto un reato di minore gravità rispetto al condannato alla pena detentiva; nondimeno soltanto il secondo può accedere alle misure alternative secondo quanto stabilisce la consolidata giurisprudenza; il fatto però che il sopravvenire di una condanna (di quelle previste all'art. 72) determini nei fatti una situazione più svantaggiosa per il libero controllato appare incrinare l'armonia del sistema punitivo.

Fatta questa precisazione ricordiamo che, proposito dell'art. 72, tra le cause di revoca delle sanzioni sostitutive rientrano:

  • il sopravvenire di una condanna per un reato commesso precedentemente la sostituzione, per il quale venga inflitta una pena detentiva che, sola o cumulata con precedenti condanne, superi il tetto dei due (ora tre) anni di reclusione (28);
  • il sopravvenire di una o più condanne per reati della stessa indole, commessi anteriormente alla sostituzione, tali da provocare lo sfondamento del tetto di tre condanne preclusivo dell'applicazione della pena sostitutiva.

Ebbene, riteniamo che proprio il sopravvenire di queste condanne può determinare con maggiore facilità l'ingresso in carcere nei confronti del libero controllato. Come sappiamo il verificarsi delle ipotesi di revoca di cui all'art. 72 comportano necessariamente la conversione in pena detentiva della sanzione sostitutiva. Inoltre il meccanismo esecutivo non consente di bloccare la pena detentiva derivante dalla conversione prima di una pronuncia del Tribunale di Sorveglianza su una possibile esecuzione della stessa in forma alternativa. Al contrario le condanne prese in considerazione non comportano la cessazione dell'affidamento in prova, richiedendo la revoca di tale misura un comportamento dell'affidato contrario alla legge o alle prescrizioni incompatibile, per di più, con le finalità del trattamento.

Al fine di rendere maggiormente chiaro quanto detto facciamo una serie di esempi che comportano soltanto la revoca della sanzione sostitutiva:

Iº esempio - Tizio e Caio hanno entrambi precedenti penali relativi a due condanne alla reclusione per due anni (interamente scontate). Entrambi violano la stessa norma penale. Alla conclusione del processo Tizio viene condannato a sei mesi di reclusione, mentre a Caio in relazione alla minore gravità del reato e capacità a delinquere viene inflitta la libertà controllata per la durata di un anno. Successivamente sopravviene per entrambi una condanna ad un anno e sei mesi di reclusione per un fatto commesso precedentemente all'ultima condanna. Nei confronti di Tizio, che nel frattempo ha ottenuto l'affidamento dallo stato di libertà, la nuova pena detentiva non comporterà la revoca della misura alternativa, potendo anzi chiedere nei 30 giorni in cui l'ordine di esecuzione rimane sospeso, la prosecuzione dell'affidamento in prova. Nei confronti di Caio la nuova condanna comporterà la revoca della libertà controllata, in quanto risulterà integrata la condizione soggettiva descritta dall'art. 59 I comma: ossia l'aver riportato condanne a pena detentiva superiore a tre anni.

II esempio - Tizio e Caio hanno una medesima carriera criminale per aver entrambi riportato due condanne per percosse (art. 581c.p.). A distanza da quell'episodi entrambi si rendono responsabili del reato di lesioni personali (art. 582 c.p.) e in base ad una diversa valutazione del caso concreto Tizio viene condannato a cinque mesi di reclusione, mentre Caio a 10 mesi di libertà controllata. Tizio ottiene l'affidamento in prova. Anche in questo caso durante l'esecuzione delle due misure interviene un'ulteriore pena detentiva (sei mesi) per un reato di percosse commesso prima della condanna relativa alle lesioni personali. E anche in questo caso si verificherà la situazione descritta nell'esempio precedetente: revoca della libertà controllata e prosecuzione dell'affidamento in prova.

Cerchiamo adesso di spiegare in che modo si realizza la disparità di trattamento tra il libero controllato e l'affidato che esegue in regime alternativo la pena detentiva non sostituita. Tale disparità non si realizza tanto nella previsione della revoca soltanto per il primo, ma nelle conseguenze che tale provvedimento comporta sulla libertà personale del libero controllato.

Guardiamo più da vicino cosa accade a Tizio (affidato) e Caio (libero controllato) in seguito al sopravvenire di una delle sentenze di condanna descritte negli esempi. Anzitutto per entrambi il p.m. sospenderà con decreto l'esecuzione della pena detentiva dando avviso della facoltà di presentare istanza per ottenere le misure alternative. Dalla nostra ricerca risutla però che il libero controllato avrà maggiori difficoltà ad ottenere l'affidamento senza passare dal carcere.

Dopo la notifica del decreto di sospensione l'affidato potrà richiedere fare istanza per ottenere la prosecuzione della misura alternativa per il periodo di tempo risultante dall'ultima condanna. Può così legittimamente sperare di evitare il carcere.

La stessa speranza non può averla il libero controllato, stante l'impossibilità di bloccare l'esecuzione delle pena detentiva derivante dalla conversione. In effetti, il sopraggiungere della nuova condanna mette in moto il procedimento di sorveglianza al termine del quale il magistrato emetterà una ordinanza di conversione della pena sostitutiva nella detenzione. In quella sede, abbiamo appurato, non è ammissibile la richiesta di affidamento (29).

Successivamente l'ordinanza è trasmessa la p.m. affinché provveda all'esecuzione della pena detentiva in essa contenuta. Anche in questa fase del procedimento abbiamo constatato l'impossibilità di "bloccare" l'esecuzione della detenzione. Nei nostri incontri con i pubblici ministeri abbiamo infatti chiesto se fosse possibile sospendere l'ordine di esecuzione relativo alle ordinanze emanate dal Tribunale di sorveglianza ex art. 66, trattandosi di pene detentive a tutti gli effetti. Ci è stato risposto che ciò è impossibile perché esiste una pronuncia della Corte di Cassazione (30), secondo la quale "la disposizione di cui al comma quinto dell'art. 656 si applica solo alle sentenze di condanna e non a ordini di esecuzione relativi a titoli diversi, quali quelli conseguenti alla conversione in pena detentiva della semidetenzione o della libertà controllata". L'eventuale proposizione al pm di un'istanza di affidamento è considerata quindi inammissibile.

La conseguenza di tutto questo è che nei confronti del libero controllato la nuova condanna avrà l'effetto di far eseguire la pena detentiva derivante dalla conversione della pena sostitutiva. Soltanto dopo aver sperimentato il carcere il reo potrà richiedere finalmente l'affidamento.

In realtà questa situazione potrebbe essere superata attraverso una corretta applicazione della legge da parte dell'ufficio del pubblico ministero. Tale organo è infatti tenuto ex art. 663 ad emanare il provvedimento di cumulo, con il quale determinare la pena da eseguirsi nel caso di una pluralità di condanne per reati diversi. Cosicché una volta ricevuta l'ordinanza di conversione, il p.m. dovrebbe nuovamente rideterminare la pena e se contenuta nei limiti di cui all'art. 656 sospenderne l'esecuzione. Chiaramente si tratta di un meccanismo alquanto laborioso, ma per lo meno allontanerebbe il libero controllato dallo spettro del carcere, avvicinando la sua situazione a quella dell'affidato nelle ipotesi in cui sopravvengano nuove condanne alla detenzione per fatti remoti.

4.2. L'inutilità della semidetenzione e della libertà controllata

Passando adesso alla seconda considerazione, rileviamo l'inutilità delle sanzioni sostitutive non patrimoniali così come sono regolate in Italia. Nel corso di questo scritto abbiamo avuto l'occasione di parlare dell'insuccesso delle sanzioni sostitutive sotto il profilo applicativo: il numero delle applicazioni manifesta infatti la loro incapacità a porsi come effettivi strumenti alternativi alla classica pena detentiva. Però ci preme ora sottolineare che anche laddove queste sanzioni sono applicate manifestano la loro inutilità e inidoneità allo scopo.

La rigidità propria delle prescrizioni non consente infatti di poter prevedere interventi positivi che inducano ad una correzione del condannato: oltre le tassative prescrizioni il magistrato di sorveglianza non può prevedere alcuna disciplina sul comportamento che il soggetto deve tenere durante l'esecuzione della pena. In verità, per la libertà controllata sarebbe possibile per il magistrato di sorveglianza stabilire interventi da parte del CSSA, ma come abbiamo avuto modo di osservare in precedenza questa possibilità è meramente eventuale, rimessa cioè alla discrezionalità del magistrato. E abbiamo anche sottolineato che nella pratica quasi mai viene inserito nel prescrizionale del libero controllato l'obbligatorietà di un rapporto col Centro Servizi sociali per adulti.

D'altro canto, le prescrizioni tassativamente elencate dalla legge non possono svolgere alcuna funzione di risocializzazione o comunque correttiva del comportamento deviante, essendo esclusivamente rappresentate da obblighi e divieti di natura interdittiva e di controllo.

La funzione di recupero sociale spetta invece alla tradizionale misura alternativa dell'affidamento in prova. Esso si caratterizza infatti, per una certa elasticità di contenuto che permette un ampio margine di manovra al giudice per adeguare la misura al caso concreto. Nella determinazione delle prescrizioni potranno essere prese in considerazione anche taluni aspetti necessari per avviare il recupero della personalità del soggetto.

Tanto per dare un po' di concretezza al discorso riportiamo di seguito un caso che dimostra l'inidoneità delle sanzioni sostitutive.

È il caso di L. A. condannato a 4 mesi di libertà controllata per violazione degli obblighi di assistenza familiare. La Pretura di Firenze ritenne l'imputato responsabile del delitto di cui all'art. 570 c.p., in quanto a distanza di dieci anni dalla separazione dalla moglie non aveva mai corrisposto (ad eccezione di un paio di volte) la somma mensile pattuita quale contributo per il mantenimento dei figli e del coniuge stesso. Il disinteressamento del L. A. nei confronti dei figli fu totale in quanto non provvide neppure a contribuire alla soddisfazione dei loro bisogni più elementari. Riconosciuta integrata la condotta criminosa, il pretore condannava l'imputato a due anni di reclusione da sostituire con la misura della libertà controllata, poiché ritenuta più idonea ad assolvere le funzioni preventive e punitive della condanna. Il giudice non concesse neppure la sospensione condizionale, in quanto nell'argomentare la prognosi sulla recidiva rilevava che "non pare vi siano motivi per ritenere che l'imputato si asterrà per il futuro da simili condotte, dato che in sede di esame egli non ha manifestato neppure la consapevolezza della illiceità del proprio comportamento..".

Risulta evidente che in tal caso (e in molti altri casi simili) la libertà controllata non svolge alcuna finalità diciamo "correttiva" o "riparativa" delle conseguenze dannose prodotte dal reato. Le prescrizioni della sanzione sostitutiva sono infatti dirette a svolgere una funzione retributiva della pena, al più specialpreventiva nel senso che attraverso l'intimidazione si vuole creare un effetto deterrente per eventuali future condotte criminose.

Al contrario se al condannato in questione fosse applicabile una misura (tipo l'affidamento in prova) capace di guidare la condotta del reo, probabilmente riusciremmo a conseguire risultati pratici migliori (cfr. cap. II, par. 8). Si pensi alla previsione di una prescrizione che imponga il ristabilimento di un rapporto genitoriale o quantomeno un rapporto di contribuzione economica (31). Alla retribuzione si aggiungerebbe la preziosa finalità di eliminare le conseguenze dannose del reato.

5. Il successo applicativo delle pene pecuniarie sostitutive e il fallimento della pena pecuniaria

Quando abbiamo affrontato il tema della pratica operatività dei sostitutivi abbiamo messo in evidenza il successo applicativo delle pene pecuniarie. Prima facie, guardando la tabella nº 1 tale successo appare infatti di tutta evidenza.

In realtà questo successo deve essere valutato alla luce delle problematiche che ruotano attorno alla pena pecuniaria in sé considerata. In altre parole, dobbiamo essere cauti nell'affermare i successi raggiunti dalla sanzione patrimoniale nella lotta alla pena detentiva breve, dal momento in cui l'esecuzione stessa della pena pecuniaria rappresenta un fattore di crisi nel nostro sistema punitivo. Essere riusciti a sostituire il carcere attraverso l'imposizione di una somma di danaro non significa niente, se poi è la stessa pena pecuniaria a non funzionare nel nostro ordinamento penale. Le statistiche ufficiali ci forniscono a proposito dati allarmanti circa i numeri delle conversioni in libertà controllata delle pene pecuniarie*. Dunque dietro la sostituzione della pena detentiva breve si annida sempre lo spettro del carcere, sempre possibile per il condannato qualora a seguito dell'applicazione della libertà controllata (dovuta al suo stato d'indigenza), violi taluna delle prescrizioni inerenti questa sanzione.

Inoltre, quell'incremento delle pene pecuniarie dovuto alla sostituzione rischia di esaltare quegli aspetti disfunzionali prodotti dalla pena pecuniaria nel nostro ordinamento. E la sensazione è che l'utilizzazione della pena pecuniaria sarà nei prossimi anni sempre maggiore, vista la recentissima legge che ha portato a sei mesi il limite di pena detentiva concretamente sostituibile.

Abbiamo già avuto modo di evidenziare tali aspetti disfunzionali, basti adesso dire che un ricorso sempre maggiore alla pena pecuniaria avrà come conseguenze:

  1. la riproposizione, in termini sempre più urgenti (32), della legittimità costituzionale della conversione della pena pecuniaria in libertà controllata, intesa come regola;
  2. l'accentuazione dei costi sostenuti dalla giustizia per garantire il recupero e l'esecuzione delle pene pecuniarie;
  3. una maggiore perdita di efficienza degli Uffici di Sorveglianza sempre più oberati dai fascicoli relativi alla conversione delle pene pecuniarie.

Relativamente alle problematiche costituzionali della conversione rimandiamo al capitolo sulla pena pecuniaria. Per dare un'idea dei rapporti tra libertà controllata e lavoro sostitutivo utilizzati quali strumenti sussidiari ad una pena pecuniaria inesigibile, proponiamo di seguito la tabella nº 6.

Tabella n. 6
Conversione della pena pecuniaria 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
Libertà controllata 5.211 7.603 11.274 13.125 19.125 20.761 24.908 23.700 16.386*
Lavoro sostitutivo 1 0 0 0 3 4 7 32 -

*Questo dato congloba sia i casi di libertà controllata che quelli di lavoro sostitutivo, poiché a partire dal 2000 nelle statistiche ufficiali riportano soltanto il numero delle conversioni della pena pecuniaria. Tuttavia grazie alla collaborazione degli Uffici di Sorveglianza di Firenze sappiamo che anche negli ultimi anni il lavoro sostitutivo ha continuato a mantenersi ai margini delle ipotesi di conversione.

Riguardo alla seconda conseguenza (spreco del danaro pubblico nell'attività di esecuzione delle pene pecuniarie) riteniamo opportuno descrivere un recente caso che ha interessato la Magistratura di Sorveglianza di Firenze. Tale caso è certamente emblematico dell'impiego delle risorse umane ed economiche che lo Stato deve affrontare per garantire l'esecuzione della pena pecuniaria e riguarda una condanna a £ 100.000 di multa irrogata nell'aprile del 1995, tutt'ora in corso di definizione. Ci siamo trovati di fronte ad un fascicolo di oltre cento pagine, il quale prima di approdare alla magistratura fiorentina ha "rimbalzato" tra i più disparati uffici.

Nell'aprile del 1995 P. viene condannato dalla Pretura di Perugia alla pena pecuniaria di 100.000 lire. A seguito del mancato pagamento, viene eseguito il pignoramento che attesta l'impossidenza del P. Ricevuto il verbale di pignoramento, la Procura di Perugia richiede (agli inizi del 1996) la conversione della pena pecuniaria e trasmette gli atti alla Magistratura di Sorveglianza di Roma. Quest'ultimi uffici, dopo aver svolto altre indagini sul P per accertarne l'effettiva insolvibilità, rispondono nel luglio del 2002 che, ai sensi dell'art. 237 del T.U. n. 115, la competenza a disporre la conversione è passata al giudice dell'esecuzione e, pertanto, trasmettono gli atti al mittente. Così la Procura di Perugia li gira immediatamente al Tribunale di Perugia (in qualità di giudice dell'esecuzione). A fine del 2002 questo Tribunale dispone la conversione della multa in due giorni di libertà controllata, dopo aver rinnovato tutti gli atti di accertamento dell'insolvibilità del P. A questo punto gli atti tornano per la determinazione delle prescrizioni alla Magistratura di Sorveglianza di Roma la quale, nonostante tutti gli accertamenti fatti, non riesce a fissare l'udienza perché nel frattempo il condannato risulta irreperibile. Un ulteriore accertamento eseguito dal D.A.P. rileva che le ultime notizie del P. si hanno dal Carcere di Prato dove è stato detenuto. La competenza di Roma cessa e gli atti arrivano nell'agosto del 2003 agli Uffici di Sorveglianza di Firenze. Gli uffici investono il Tribunale di Sorveglianza affinché fissi un'udienza per la conversione della libertà controllata in pena detentiva. A tale scopo detto Tribunale incarica la propria cancelleria di rinnovare tutti gli atti per il rito degli irreperibili (ricerche ordinate alla polizia; richieste di certificazioni al DAP; ecc), dal momento che il P. non risulta rintracciabile. Finalmente nell'ottobre dello scorso anno è fissato udienza per la conversione, al termine della quale il Tribunale delibera il non luogo a procedere per mancanza di determinazione delle prescrizioni. In sostanza il Tribunale aderisce a quella giurisprudenza che richiede per la conversione la previa determinazione delle modalità esecutive. Così gli atti sono tornati al Magistrato di Sorveglianza competente alla determinazione delle prescrizioni che, attualmente, ha dato incarico alla propria cancelleria di rinnovare gli atti per la ricerca del P. a cui deve essere notificato l'avviso di udienza.

Ebbene, è verosimile che il P rimarrà irreperibile e di conseguenza: dopo aver determinato le prescrizioni con il rito degli irreperibili, il magistrato di sorveglianza trasmetterà ancora gli atti al Tribunale; questo rinnoverà le suddette procedure e convertirà la libertà controllata in una pena detentiva (di un giorno!!) che probabilmente nessuno sconterà!!

Note

1. Relativamente alla mancanza di una adeguata conoscenza empirica sul terreno sanzionatorio v., Marinucci, Profili di una riforma del diritto penale, in Beni e tecniche della tutela penale - Materiali di riforma del codice, a cura del CRS, Milano, 1987, p. 30; E. Dolcini, Il carcere ha alternative?, op. cit., p.190; più recentemente v., A Martini, La pena sospesa, Ed. Giappichelli, Milano, 2001, p. 11. Critiche le ritroviamo anche nella letteratura europea, per tutti, Kerner, Les politiques de justice pénale et les problèmes de l'emprisonnement, les autres sanctions pénales et les mesures altervatives, Rapport pour la Société Interantionale de Criminologie presenté aux Journées internationales sous les auspices de l'ONU, Milano, 29 novembre - 1 dicembre 1987, p. 4.

2. La ricerca è stata effettuata presso le cancellerie (registro generale penale) del Trbunali di Firenze, Prato e Pistoia.

3. I campioni sono stati estratti senza alcun criterio selettivo presso le cancellerie della Procura della Repubblica di Pistoia e di Firenze.

4. Del resto, la considerevole utilizzazione della pena pecuniaria sostitutiva nel decreto penale è stata anche autorevolmente confermata dagli stessi Pubblici Ministeri intervistati.

5. Legge 12 giugno 2003, nº 134 - "Modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti".

6. Il numero delle reclusioni brevi effettivamente eseguite viene calcolato attingendo ai dati statistici presenti nella parte "penitenziaria" dell'annuario dell'ISTAT. Tale risultato è infatti ottenuto attraverso la somma tra il numero delle persone che risultano entrate dallo stato di libertà per l'espiazione di una pena detentiva breve e il numero dei detenuti condannati durante la custodia cautelare per pene dello stesso ammontare.

7. Nella stima delle reclusioni brevi non eseguite ricadono ovviamente anche i casi in cui il condannato si è sottratto all'esecuzione della pena (ipotesi di latitanza). Si assume però che il loro numero non sia rilevante.

8. Impossibilità dovuta al fatto che essendo sprovvisti del numero delle pene brevi eseguite, non possiamo calcolare quelle rimaste ineseguite.

9. Cfr. note 6 e 8 del Capitolo I. Inoltre, la convinzione che le sanzioni sostitutive costituiscano un atto di "clemenza" dello Stato è in una certa misura diffusa anche nell'opinione pubblica e tra le Forze di Polizia. Di fronte alle prevalenti istanze politiche di difesa della società dal dilagare del crimine, la circostanza che si ricorra nella repressione dei reati anche a forme alternative rispetto alla classica detenzione è avvertita dai consociati e da chi è chiamato a combattere il crimine, come un punto debole del nostro ordinamento.

10. Quanto alla pena pecuniaria sostitutiva, la natura di sanzione penale è assicurata direttamente dalla lettera della legge all'art. 57, II comma, il quale stabilisce che "la pena pecuniaria si considera sempre come tale, anche se sostitutiva della pena detentiva".

11. Infatti il riferimento alla reinserimento sociale contenuto nell'art. 58 è soltanto un criterio che deve guidare nel tipo di scelta della sanzione sostitutiva.

12. Mi riferisco alla S.ra Gianna Maschiti, educatrice presso l'istituto di Firenze destinato ai semiliberi.

13. Mi riferisco in particolare alla Dott. Di Biase responsabile del CSSA di Firenze, al Dott. A. Margara (ex magistrato di Sorveglianza) e al Dott. Niro Magistrato di Sorveglianza di Firenze.

14. Tale problema come visto investe in particolar modo la Magistratura di sorveglianza, i cui uffici risentono sono stati chiamati a svolgere un ingente quantità di lavoro in attuazione delle riforme introdotte dalla legge 689 del 1981.

15. Al fine di rendere maggiormente leggibile il testo utilizziamo, forse impropriamente, l'espressione "sanzioni sostitutive non patrimoniali" per distinguere la semidetenzione e la libertà controllata dalla pena pecuniaria sostitutiva.

16. Ricordiamo che la configurazione come extrema ratio della pena detentiva breve è al contrario espressamente prevista nell'ordinamento tedesco e austriaco.

17. Ossia in quelle ipotesi in cui per l'assenza di condizioni oggettive ostative, la concessione della sospensione e la sostituzione dipendono dall'esercizio discrezionale del giudice.

18. Obiettivo solo in parte raggiunto dal diverso istituto della sospensione condizionale della pena.

19. Mentre in dottrina rimangono i contrasti circa l'ammissibilità delle misure alternative, vedi a proposito: per le tesi favorevoli Canepa, Merlo, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 1999, p. 340; per le tesi restrittive, Violante, op. cit., p. 7. Nella giurisprudenza di legittimità l'affidamento del semidetenuto è divenuto principio piuttosto consolidato, v. nota nº 20.

20. Rispettivamente, Dott. De Felice, Dott. Deidda (Procuratore Generale), Dott. Tindari Bagliore (Procuratore Generale).

21. In tal senso v., Cass, 18 maggio 1992, in Cass.pen., 1993, p.209; Cass., 10 novembre 1997, in Cass. pen., 1998, p. 2712; Cass. sez. I, 23 settembre 1999, in proc. Tognetti, CED 214429.

22. Il ricorso a questo rimedio da parte della Magistratura di Sorveglianza ci è stato riferito dal Dott. G. F. Casciano, Magistrato di Sorveglianza presso il Tribunale di Sorveglianza di Firenze.

23. In particolare nei confronti di chi non ha i mezzi per assicurarsi un'adeguata assistenza legale.

24. Per tale considerazione v., M. Canepa- S. Merlo, Manuale di diritto penitenziario, Ed. Giurffè, 1999, p. 340.

25. È utile mettere in evidenza le ragioni della modifica apportata dalla legge 27 maggio 1998, nº 165.

Nonostante il clamore suscitato nell'opinione pubblica con l'approvazione di questa riforma, le ragioni di politica criminael che l'hanno ispirata attengono all'esigenza di una riformulazione delle modalità procedurali previste per ottenere i "benefici" dell'ordinamento penitenziario. In sostanza, le ragioni della modifica, emergenti anche nel corso dei lavori parlamentari, riguardano la necessità di rendere più agevole il ricorso a quei meccanismi idonei ad ottenere la concessione della misura alternativa prima dell'esecuzione della pena detentiva, al fine di evitare al condannato, nei cui confronti astrattamente sussistono tutte le condizoni per ottenere la misura, transiti necessariamente per il carcere.

26. In tal senso si sono espressi in particolare il Prof. F. Palazzo dell'Università di Firenze (docente di diritto penale) e il Dott. B. Deidda, Procuratore Generale di Prato, i quali pur ritenendo plausibile la posizione del problema vedono nella legge così come è congeniata un ostacolo non indifferente.

27. Questa considerazione è stata svolta dal Prof. E. Dolcini (Università di Milano) durante una nostra intervista.

28. Da ricordare che ai fini della revoca non rileva il termine di cinque anni previsto dal primo comma dell'art. 59, dal momento che questo termine dovrebbe intercorrere tra la commissione del reato per il quale si opera la sostituzione una condanna precedente, mentre nel caso previsto dall'art. 72 la causa di revoca è rappresentata da una condanna che è già successiva alla sostituzione.

29. Anche in questo caso la magistratura di sorveglianza fiorentina segue una prassi introdotta a suo tempo da A. Margara, ossia si permette di presentare istanza di affidamento sospendendo l'udienza. Ma è bene precisare che la magistratura di sorveglianza presso la Corte di Appello di Firenze è un'eccezione alla regola, eccezione davvero riesce a far funzionare un po' meglio il nostro difettoso sistema punitivo.

30. Cass., sez. I, 26 ottobre 1999, in proc. Azzolina, in Cass. penale, 2001, p. 200 ss.

31. In realtà nella sentenza presa in considerazione (sent. Pretura Circondariale di Firenze, R.G. 2894/97) il pretore ha condannato il L.A. al pagamento di una provvisionale ed ha rimesso la definitiva liquidazione del risarcimento del danno al giudice civile (ex art 539, I e II comma, c.p.p.). Ma tale comando ha natura civile e, pertanto, non dotato della stessa efficacia impositiva propria del comando di natura penale.

32. Una analoga situazione si presentò nel 1993 quando a seguito della L. 12 agosto 1993, nº 296, i limiti di pena concreta allora sostituibile (1 mese, tre mesi, sei mesi) furono raddoppiati. All'epoca la conseguenza fu che il numero delle conversioni della pena pecuniaria risultò più che raddoppiato, passando dalle 5.212 conversioni del 1992 alle 11.274 del 1994 (Fonte: Annuario Statistiche Giudiziarie, tav. 12.6, 1992 e 1994).