ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 1
Il Centro di prima accoglienza

Alessia Del Torto, 2001

1.1. Fonte e definizione normativa

Espressione del principio di minima offensività e di destigmatizzazione, il Centro di prima accoglienza (Cpa), una delle novità più interessanti della riforma, è introdotto ex novo dagli artt. 8 e 9 D.Lgs. 272/1989 "Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del D.P.R. 448/1988, recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni" (1).

In particolare, l'art. 8 "Servizi dei centri per la giustizia minorile" prevede che:

"I servizi facenti parte dei centri per la giustizia minorile sono:

  1. gli uffici di servizio sociale per minorenni;
  2. gli istituti penali per minorenni;
  3. i centri di prima accoglienza;
  4. le comunità;
  5. gli istituti di semilibertà con servizi diurni per misure cautelari, sostitutive e alternative.

I servizi indicati nel comma 1 si avvalgono, nell'attuazione dei loro compiti istituzionali, anche della collaborazione di esperti in pedagogia, psicologia, sociologia e criminologia".

La Relazione della Commissione Pomodoro al D.Lgs. 272/1989 spiega brevemente l'operazione legislativa che sta alla base di tale previsione normativa: "con l'art. 8 si è ritenuto nell'ambito della delega, di doversi limitare a rideterminare, alla luce delle nuove competenze, la tipologia dei servizi già previsti dalla legge 25 luglio 1956 n. 888, attraverso una duplice operazione: eliminazione di quelli legati alle attività 'rieducative' e previsione di nuovi servizi solo in riferimento ai nuovi istituti giuridici previsti dal D.P.R. 448/1988 (prima accoglienza prevista dal secondo comma dell'art. 18, comunità di cui all'art. 22, semilibertà per l'applicazione delle sanzioni sostitutive di cui all'art. 30). Con il secondo comma il personale tecnico che opera nei servizi viene integrato con l'apporto di diverse professionalità, in aderenza al principio, ormai consolidato, della multidisciplinarietà del minorenne" (2).

Il Cpa va, quindi, a far parte di una nuova organizzazione dei Servizi minorili dipendenti dai Centri per la giustizia minorile, centri, ex art. 7 D.Lgs. 272/1989, con competenza regionale dipendenti dal Ministero di grazia e giustizia, corrispondenti agli ex Centri di rieducazione per i minorenni.

Di seguito all'art. 8, l'art. 9 "Centri di prima accoglienza" individua, anche se del tutto sommariamente, lo scopo istituzionale delle strutture di cui alla rubrica, prevedendo che:

"I centri di prima accoglienza ospitano, fino all'udienza di convalida, i minorenni arrestati o fermati. Ospitano, altresì, in locali separati, fino all'udienza di convalida, i minorenni che vi sono condotti a norma dell'art. 18-bis comma 4 del D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 (3).

I centri di prima accoglienza devono assicurare la permanenza dei minorenni senza caratterizzarsi come strutture di tipo carcerario e sono costituiti, ove possibile, presso gli uffici giudiziari minorili. In nessun caso possono essere situati all'interno di istituti penitenziari".

La Relazione della Commissione Pomodoro spiega che "essi consentono da un lato di porre immediatamente il minore arrestato di fronte al suo giudice (di qui la previsione della loro costituzione, ove possibile, presso le sedi giudiziarie minorili); dall'altro, caratterizzandosi come strutture non di tipo carcerario, di evitargli

- quando possibile - il trauma dell'ingresso e della permanenza anche breve in una struttura carceraria. Nell'articolo è contenuta altresì la previsione, in conformità dei suggerimenti formulati dal Consiglio superiore della magistratura, che i centri possano accogliere anche i minori che a norma dell'art. 16 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448, devono essere accompagnati in una comunità fino alla definizione del procedimento" (4).

Il Cpa è, quindi, una piccola struttura dipendente dal Centro di giustizia minorile, dove i minori (dai 14 ai 18 anni) arrestati, fermati o accompagnati in flagranza di reato per i quali non è possibile la consegna ai genitori o agli affidatari, vengono accompagnati dalla polizia o dai carabinieri su disposizione della Procura della Repubblica minorile e, ivi, ospitati fino all'udienza di convalida davanti al Gip che si deve svolgere entro 96 ore dall'avvenuto arresto o fermo, e comunque entro 48 ore dalla remissione degli atti da parte del Procuratore.

Si individua, così, lo scopo primario proprio del Cpa: ospitare minori arrestati o fermati autori di delitti gravi (cioè "delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a 9 anni....e delitti, consumati o tentati, previsti dall'art. 8, comma 2, lettere e), f), g), h) del codice di procedura penale nonché, in ogni caso, il delitto di violenza carnale" ex art. 23 D.P.R. 448/1988) e minori accompagnati perché autori di "delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni" (ex art. 18-bis Accompagnamento a seguito di flagranza), fino all'udienza di convalida, assicurando la loro permanenza senza caratterizzarsi come strutture di tipo carcerario.

Alle previsioni degli artt. 8 e 9 D.P.R.448/1988 si dà attuazione con norme secondarie successivamente impartite dal Ministero di grazia e giustizia attraverso:

  • D.M. 23 ottobre 1989 n. 365065 - Centri per la giustizia minorile -;
  • D.M. 23 ottobre 1989 n. 365066 - Istituzione Istituti penali per i minorenni, Centri di prima accoglienza, Comunità, Sezioni di semilibertà e Servizi diurni -;
  • Lettera circolare n. 365072, Ufficio per la giustizia minorile, 21 ottobre 1989 - Organizzazione e gestione dei Centri di prima accoglienza - Art. 9 D.Lgs. 272/1989;
  • Lettera circolare n. 365080, Ufficio per la giustizia minorile, 7 novembre 1989. - Centri di prima accoglienza -.

In particolare, il D.M. 23 ottobre 1989 n. 365066 provvede ad istituire 24 Centri di prima accoglienza in tutte le sedi di Corte d'appello, con esclusione delle sedi di Brescia e Perugia per i cui distretti sono competenti rispettivamente il Cpa di Milano e Firenze.

Per quanto riguarda, invece, l'individuazione dei compiti del Cpa, si è sviluppato un lavoro preparatorio sia a livello centrale che periferico, che trova la sua sintesi nella Lettera circolare dell'Ufficio per la giustizia minorile n. 365072 del 21 ottobre 1989 secondo la quale, al "Punto 4":

" I Centri di Prima Accoglienza:

  1. assicurano rapporti sistematici con l'autorità giudiziaria procedente, fornendo alla stessa i primi elementi di conoscenza dei minori, della loro situazione personale, familiare e sociale e le prime indicazioni sulle risorse e prospettive delle strutture e servizi territoriali disponibili ad occuparsene o ad accoglierli;
  2. svolgono nei confronti dei minori arrestati, fermati e accompagnati attività di sostegno e chiarificazione, nonché di assistenza in sede di convalida e giudizio a norma degli artt. 6, 12 e 25 del D.P.R. 448/1988;
  3. attivano gli altri servizi minorili dell'Amministrazione e quelli del territorio di appartenenza dei minori;
  4. prendono immediati contatti con le loro famiglie;
  5. preparano, in modo adeguato, la loro dimissione dal centro o l'eventuale trasferimento ad altri servizi o strutture".

Questa elencazione di cui si rimanda l'approfondimento al paragrafo successivo Servizio del Cpa. Compiti e attività è stata recentemente integrata da una circolare ministeriale di un sesto punto secondo il quale il Cpa, nella fattispecie l'educatore, deve anche seguire il minore all'esterno del Cpa dal momento delle sue dimissioni per tutta la durata dell'eventuale misura cautelare.

La circolare n. 365072 provvede poi a definire l'organizzazione e la gestione dei Cpa, offrendo, da un parte, un quadro di riferimento complessivo valido per tutto il contesto nazionale, e dall'altra, poiché le realtà territoriali si presentano estremamente differenziate rispetto alle variabili dei flussi di utenza, risorse, magistratura, risposta sociale alla devianza, prevedendo connotazioni diversificate nella realizzazione dei servizi nei singoli contesti.

Ai "Punti 1 e 2" sono indicati i distretti nei quali il Cpa ha un'équipe e funzionamento stabile o un'équipe che si attiverà ogni qualvolta sarà necessario, cioè soltanto contestualmente all'arrivo di minori nella struttura (la cosiddetta équipe 'a chiamata').

Al "Punto 6" si individua la composizione dell'organico e al "Punto 7" si disciplina la presenza degli operatori presso il Cpa di cui si rimanda la trattazione al secondo capitolo nella parte dedicata al Modello organizzativo del Cpa.

La circolare prosegue curando ai successivi "Punti 8-9-10" alcuni aspetti di ordine pratico quali l'assistenza medica agli ospiti della struttura, il vitto e le modalità di registrazione dei minori a seconda della loro posizione giuridica (arresto, fermo o accompagnamento).

Di seguito alla lettera circolare n. 365072, l'Ufficio per la giustizia minorile, con una nuova lettera circolare, la n. 365080 del 7 novembre 1989, chiarisce alcuni punti di cui si riportano le linee essenziali.

È interessante, per i dubbi che può sollevare, la prima disposizione secondo la quale "i colloqui dei minori con l'avvocato difensore, disciplinati dall'art. 104 cpp (Colloqui del difensore con l'imputato in custodia cautelare), possono avvenire fin dall'inizio dell'esecuzione della misura a cui il minore stesso è sottoposto. Sarà cura degli operatori, pertanto, avvertire i suddetti difensori dell'avvenuto ingresso del minore per rendere possibile l'esplicazione di tale diritto [...]. Resta, comunque, la possibilità per il magistrato, ricorrendo eccezionali ragioni, di poter differire - con decreto motivato - l'esercizio di tale diritto per un tempo non superiore a sette giorni" (5).

Ora se "la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento" (6) e la specifica previsione di una difesa specializzata a favore del minore dovrebbe rappresentare una garanzia in un processo che non è solo del fatto ma anche della personalità, come si possono considerare tutelati tali diritti (difesa e difesa specializzata) nell'ipotesi in cui il minore si presenti in udienza di convalida con il Gip senza aver avuto gli opportuni colloqui con l'avvocato difensore o addirittura nell'ipotesi in cui partecipi all'udienza senza la prevista assistenza legale?

Se davvero, ricorrendo eccezionali ragioni, il magistrato può differire l'esercizio del diritto del minore di conferire con il difensore per un tempo non superiore a cinque giorni (7) (dal momento dell'arresto o del fermo), e i termini perentori per l'udienza di convalida sono fissati in 96 ore (quattro giorni), la previsione della circolare non è palesemente in contrasto con i principi sottesi alla nuova normativa o addirittura costituzionalmente illegittima rispetto all'art. 24 comma 2 della Costituzione?

In merito non si rilevano pronunce chiarificatorie; si può comunque ricordare Palomba (8) che affrontando il tema della difesa specializzata mette in discussione la validità della difesa di un minore da parte di un difensore che non abbia una specifica preparazione in diritto minorile.

Infatti, così come un'eventuale difesa non specializzata potrebbe determinare problemi aggiuntivi di linea difensiva e precludere, per esempio, importanti e significative vie di uscita dall'ambito penale (come nel caso di suggerimento di attestazione negativa circa la responsabilità sul fatto rispetto alla possibilità di poter usufruire della messa alla prova che ha come presupposto il riconoscimento della propria colpevolezza), allo stesso modo si può facilmente immaginare che la mancanza di confronto tra il minore indagato e il difensore possa determinare situazioni processuali nettamente in contrasto non solo con la dimensione relazionale-sistematica del nuovo processo penale minorile, ma anche con l'idea di processo come opportunità educativa.

Proseguendo con i punti che la circolare tocca rispetto alla gestione dei Cpa, è disposto che "le équipe tecniche previste (educatore, assistente sociale, consulente), pur nominativamente predeterminate con un titolare e un supplente, si attiveranno 'a chiamata' in relazione alle esigenze con modalità concordate in loco, ad eccezione di quelle dei distretti di Milano, Napoli, Palermo e Catania che restano funzionanti a tempo pieno".

Emerge qui il carattere di sperimentalità dei contenuti organizzativi delle neostrutture e la disponibilità ad adeguare la risposta operativa alle esigenze emergenti nel tempo.

In merito alla metodologia e agli orari di lavoro delle équipe tecniche, si rileva comunque la necessità di "assicurare la continuità tecnica attraverso la stabilità - almeno quadrimestrale - degli operatori nell'équipe e la interdisciplinarietà della stessa", "garantire la presenza o la disponibilità di un componente l'équipe nell'arco di almeno nove ore in tutti i giorni feriali" e "garantire le condizioni per l'effettiva autonomia tecnica dell'équipe interdisciplinare che oltre i compiti previsti dal suddetto decreto ministeriale avrà cura di individuare ed indicare modelli organizzativo-gestionali rispondenti ai fini da raggiungere, caratterizzando così l'ambiente, lo stile e l'operatività complessiva del Centro".

1.2. Caratteristiche della struttura del Cpa

Ex art. 9 comma 1 D.Lgs. 272/1989, alla diversa tipologia di minore accolto (arrestato, fermato, accompagnato) devono corrispondere, all'interno del Cpa, "locali separati", in particolare due diverse aree, tecnicamente indicate con il termine di 'area custodita' per i minori arrestati o fermati e 'area assistita' per i minori accompagnati, alle quali è assegnato per la vigilanza, rispettivamente, personale di polizia penitenziaria e personale civile.

Al proposito, è opportuno ricordare che il ridisegno dell'istituto dell'accompagnamento del minore a seguito di flagranza, attuato con il D.Lgs. 12/1991 che ha soppresso l'originario art. 16 comma 2 D.P.R. 448/1988 e introdotto l'art. 18-bis, ha delineato due forme di accompagnamento: l'accompagnamento negli uffici di polizia giudiziaria disciplinato dal comma 1 dell'art. 18-bis e l'accompagnamento con collocamento in un Cpa o in una comunità di cui al comma 4 dello stesso art. 18-bis.

Quanto all'accompagnamento in un Cpa, l'art. 18-bis comma 4 prevede che questo venga disposto (data "la flagranza di un delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni") su alcuni semplici presupposti, quali l'impossibilità di invitare l'esercente la potestà dei genitori o l'affidatario a prendere in consegna il minore, o l'inottemperanza di questi adulti responsabili del minore all'invito, o la manifesta inidoneità delle persone cui il minore dovrebbe essere consegnato ad adempiere l'obbligo di vigilanza (limitando così il suo campo di applicazione sostanzialmente ai minori stranieri in Italia realmente senza familiari di riferimento o che, comunque, si dichiarino soli).

È proprio lo scarso uso dell'istituto dell'accompagnamento, come riproposto dalla nuova normativa e, allo stesso tempo, la scarsità di risorse, sia a livello di strutture sia umane, che hanno portato nella prassi ad una gestione comune di situazioni normativamente diverse, con l'accoglienza in un'unica area disponibile sia dei minori arrestati o fermati che dei minori accompagnati.

I criteri a cui ci si è ispirati per attuare il servizio del Cpa riportano al suo scopo primario, quello di creare una zona di filtro tra il minore e il carcere. Avvenuto l'arresto o il fermo, l'attesa delle decisioni del giudice sulla libertà personale e sulle eventuali misure cautelari non avviene più in carcere, ma in una zona neutra, appunto il Cpa, che non deve "caratterizzarsi come struttura di tipo carcerario", ex art. 9 comma 2.

Nel rispetto della previsione normativa, il Cpa non deve presentare alcun aspetto custodialistico al fine di permettere di instaurare quel rapporto intersoggettivo (tra minore e operatori della struttura) significativo dal punto di vista psico-affettivo per il minore stesso.

Al di là della funzione istituzionale di garantire la permanenza del minore fino all'udienza di convalida, la norma tende ad evitare il fenomeno della cosiddetta punizione anticipata e della detenzione preventiva, mostrando grande attenzione al momento del primo contatto fra il minore e il sistema della giustizia penale, salvo ovviamente il primissimo confronto alla Caserma dei carabinieri o al Commissariato di polizia.

Obiettivo primario è, quindi, quello di evitare l'impatto con la struttura carceraria, ritenuto, soprattutto per i minori alla prima esperienza penale estremamente forte e stigmatizzante, nel rispetto dei principi di minima offensività, deistituzionalizzazione e destigmatizzazione. È per questo che i Cpa devono garantire la permanenza del minore "senza caratterizzarsi come struttura di tipo carcerario" e "in nessun caso possono essere situati all'interno di istituti penitenziari".

Tuttavia, di fatto, la intrinseca funzione di assicurare che il minore non esca per nessuna ragione e la presenza del personale di polizia penitenziaria modellano il Cpa sulle caratteristiche di una struttura carceraria, cosicché tutto dipende dalla diversa organizzazione degli spazi e dalle attività che vi si conducono, oltre che da alcune connotazioni strutturali relative alle difese passive, quali per esempio le porte a vetro antisfondamento anziché le porte in ferro e grate (sbarre).

Nella realtà, la difficoltà di conciliare il dovere di contenimento del minore (per il suo particolare status di arrestato) con il rispetto della previsione normativa ha portato a situazioni in cui l'impronta educativa ha ceduto facilmente il posto ad un assetto prevalentemente carcerario.

A ciò si deve aggiungere che l'indicazione fornita dall'ultima parte del comma 2 dell'art. 9, relativa alla allocazione dei Cpa esterna agli istituti penitenziari è stata solo parzialmente applicata, essendo molti Cpa situati all'interno degli Ipm, con l'evidente rischio di un'assimilazione del servizio alla struttura carceraria.

Altresì, il vantaggio non solo pratico ma anche economico che tale collocazione comporta per l'utilizzo degli spazi, risorse e servizi preesistenti ha accentuato la difficoltà di riconoscere il Cpa come servizio autonomo, ingenerando, all'esterno, confusione rispetto al principio di contenere i processi di stigmatizzazione deviante.

Di contro, per garantire la celerità dell'udienza di convalida, sempre l'art. 9 comma 2 indica opportuno che il Cpa sia istituito "ove possibile, presso gli uffici giudiziari minorili", rendendo così più fluido e agevole il rapporto tra il giudice e i servizi.

Quindi, mentre prima della riforma (salvo sporadiche esperienze elaborate dall'Ufficio della giustizia minorile, come 'punti di osservazione' e 'anticamera del carcere') il minore veniva portato in carcere direttamente dalla polizia giudiziaria che procedeva autonomamente all'arresto o al fermo e, solo successivamente, ne informava il Pubblico ministero, con la riforma, su disposizione del Pubblico ministero, il minore viene condotto al Cpa. Il fine è quello di rendere meno traumatico l'impatto con il sistema penale e di evitare quello con il carcere o con le camere di sicurezza e, allo stesso tempo, quello di fornire all'autorità giudiziaria competente "i primi elementi di conoscenza dei minori, della loro situazione personale, familiare e sociale e le prime indicazioni sulle risorse e prospettive delle strutture" (9) da attivare nel breve tempo di 96 ore dall'avvenuto arresto o fermo, quale termine previsto per la permanenza al Cpa.

Emerge, così, il carattere essenzialmente contenitivo e non educativo del Cpa, la sua funzione di filtro, cuscinetto, ma anche di raccolta di informazioni, quali utili elementi di valutazione del ragazzo da fornire al giudice per l'eventuale applicazione dell'art. 19 (Misure cautelari per i minorenni) o dell'art. 32 comma 4 (Provvedimenti civili temporanei a protezione del minorenne) del D.P.R. 448/1988.

È proprio sulla base delle informazioni raccolte durante il tempo di permanenza del minore al Cpa che si avvia un percorso che consente di filtrare l'ingresso dei minori nel circuito penitenziario.

1.3. Servizio del Cpa. Compiti e attività

Rispetto alle attività che il Cpa svolge nei confronti del minore, è necessaria una premessa: è probabile che il minore arrestato, fermato o accompagnato sappia già che una violazione della legge non lo porterà in carcere, ma in un Cpa. È quindi necessario che nel Cpa si realizzino alcune condizioni affinché l'azione nei confronti degli ospiti risulti chiara e tempestiva; il ragazzo deve capire ed essere aiutato a capire che non è la minore gravità della risposta a caratterizzare diversamente l'eventuale atto illecito. Così al momento dell'ingresso, gli operatori daranno al ragazzo delle informazioni di carattere generale e, tempestivamente, i membri dell'équipe provvederanno a stabilire con il minore un contatto più approfondito al fine di instaurare un possibile rapporto non solo di collaborazione ma anche di fiducia.

Le attività e i compiti del Cpa indicati dalla Lettera circolare n. 365072 del 21 ottobre 1989 dell'Ufficio per la giustizia minorile vanno proprio in questa direzione.

Sviluppandone i contenuti, nella prassi (10) è emerso che il Cpa svolge nei confronti del minore attività di:

  • chiarificazione circa la struttura in cui è stato portato coattivamente, sul tempo della sua permanenza, sul suo primo contatto con la figura del giudice (Giudice delle indagini preliminari - Gip -) nel corso dell'udienza di convalida e sui possibili esiti della stessa (in corrispondenza del suo diritto all'informazione);
  • sostegno e aiuto a tollerare l'ansia dell'attesa e della novità;
  • aiuto nel riflettere sull'azione-reato che ha comportato il suo arresto;
  • rinforzo degli aspetti più positivi del suo modo di percepire la realtà e di relazionarsi con gli altri;
  • sollecitazione all'assunzione di responsabilità rispetto alle proprie azioni, non soltanto quella deviante ma anche quelle in conformità alle regole;
  • assistenza in sede di convalida e giudizio a norma degli artt. 6 (assistenza dei Servizi minorili dell'Amministrazione della giustizia), 12 (assistenza affettiva e psicologica del genitore o di altra persona idonea indicata dal minorenne) e 25 del D.P.R. 448/1988.

Il Cpa svolge, anche, un compito di mediazione giudiziaria che consiste nel fornire all'autorità giudiziaria competente i primi elementi di conoscenza del minore relativamente a:

  1. la sua situazione personale (attività scolastica o lavorativa, interessi, capacità di elaborazione dell'esperienza che lo ha visto coinvolto in un reato);
  2. la sua capacità di proiettarsi in un futuro di costruttivo inserimento sociale e la sua capacità di costruire legami significativi;
  3. la sua situazione familiare, stabilità o instabilità dei legami familiari, eventuale devianza in famiglia, stili educativi genitoriali, attaccamento del minore alle figure parentali o altre forme di identificazione;
  4. la sua situazione sociale, rete amicale e analisi dei i modelli di identificazione offerti da tale rete;
  5. la rete dei servizi sociali cui il minore ha accesso nella sua zona e eventuale presenza di associazionismo idoneo alla collaborazione.

Si tratta di un insieme di elementi di conoscenza che dovrebbero aiutare il giudice a capire quali aree problematiche della storia del minore possono aver giocato un ruolo importante nel commettere il reato, sia nel senso di motivarlo, sia nel senso dell'assenza di un valido contenitore interno o esterno rispetto al comportamento deviante.

Inoltre, il Cpa deve fornire alla stessa autorità giudiziaria, in base ai dati precedentemente raccolti, le prime indicazioni circa il lavoro educativo, psicologico o sociale che sarebbe auspicabile compiere a favore e con il minore. Deve, altresì, offrire indicazioni sulle risorse e prospettive delle strutture e servizi territoriali che sono disponibili ad attivarsi.

Il Cpa svolge, altresì, una mediazione sociale con la famiglia: il contatto con la famiglia è quanto mai tempestivo, immediato, al fine di poter convocare almeno uno dei genitori per un colloquio.

Il colloquio con i genitori è un momento particolare, decisamente delicato perché spesso, questi, ignari delle motivazioni soggettive del figlio, tendono a cercare all'esterno qualcuno da responsabilizzare (gli amici, la società, l'altro coniuge, una malattia, la droga, le forze di polizia): difficilmente un genitore riesce a tollerare e ad ammettere che l'atto delinquenziale sia stato commesso e voluto dal proprio figlio.

I sensi di colpa per la qualità dell'educazione impartita, insieme alla delusione e al senso di impotenza nei confronti delle problematiche del minore, rendono difficile al genitore analizzare lucidamente la situazione che spesso tenderà ad oscillerà tra una posizione fortemente passiva "è tutta colpa di..." ad una estremamente risolutiva "da ora in poi prenderò provvedimenti seri...".

Attraverso il colloquio, l'educatore ha il compito di riportare il genitore, così emotivamente coinvolto nella vicenda penale del figlio, su un piano più realistico, sottolineando la temporaneità dello stato di arresto nonché la valenza educativa del processo penale minorile.

Generalmente, all'interno della struttura, il minore può ricevere la visita dei propri genitori, quasi sempre in presenza dell'educatore che ha seguito il caso, al fine di gestire eventuali conflitti tra genitori e figlio, e che, in quella stessa sede, provvederà ad aiutare famiglia e minore a riflettere su questa fase particolarissima della loro storia che segna comunque un cambiamento, li costringe a pensare a nuove prospettive e ad un confronto con gli organi della giustizia.

Ancora, il Cpa attiva gli altri Servizi minorili dell'Amministrazione della giustizia (Ufficio di servizio sociale per i minorenni) nonché i servizi competenti del territorio.

Il servizio sociale di zona viene contattato fin da prima dell'udienza di convalida se il minore è già noto a tali servizi.

In questo caso, sia che il Gip disponga una misura cautelare diversa dalla custodia in carcere sia che disponga la remissioni in libertà, tali servizi verranno attivati, nel primo caso dal Cpa, nel secondo direttamente dal giudice. La finalità di tale attivazione è la restituzione del minore al suo contesto sociale di appartenenza rispetto al quale il Cpa si pone come canale facilitatore.

Il Servizio sociale dell'Amministrazione della giustizia (tecnicamente indicato con la sigla Ussm), invece, viene sempre contattato dall'educatore quando il giudice dispone la misura della permanenza in casa, oppure sin dall'udienza di convalida se il minore è già noto per un precedente arresto al quale è seguita una presa in carico da parte dell'assistente sociale.

Infine, il Cpa prepara, in modo adeguato, le dimissioni del minore dal Centro.

Nel caso di custodia cautelare ex art. 23 D.P.R. 448/1988 o di collocamento in comunità ex art. 22 D.P.R. 448/1988 l'educatore del Cpa provvede a prendere contatti immediati con l'educatore della struttura (Istituto penale minorile o Comunità) che lo accoglierà, al fine di favorire il passaggio di informazioni attraverso una scheda riepilogativa dei dati raccolti relativi al minore (la cosiddetta Nota informativa o Scheda Minori) oppure attraverso una breve relazione redatta dall'educatore del Cpa, la stessa relazione consultata e utilizzata dal giudice in sede di udienza di convalida.

Le dimissioni del minore, in questi due casi, avvengono ad opera dell'agente di polizia penitenziaria che, insieme all'educatore del Cpa, provvede ad accompagnarlo alla struttura indicata nel provvedimento del Gip.

Nel caso in cui, invece, il Gip disponga, in sede di udienza di convalida, la misura cautelare delle prescrizioni ex art. 20 D.P.R. 448/1988 o della permanenza in casa ex art. 21 D.P.R. 448/1988, si avrà una presa in carico da parte dell'educatore che ha seguito il minore in Cpa, e, sarà lo stesso educatore, al momento delle dimissioni, a consegnare il minore direttamente ai genitori e a continuare a seguirlo per tutta la durata della misura.

Secondari da un punto di vista processuale e trattamentale, ma non dell'impegno organizzativo, risultano poi gli svariati compiti materiali attinenti alla permanenza, seppur breve, del minore nella struttura, di cui si tratterà nel prossimo paragrafo nelle parti relative a Collocamento del minore in Cpa. Prassi di accoglienza e permanenza e Giornata tipo del minore all'interno del Cpa.

1.4. Il Cpa nell'iter processuale del minore

1.4.1. Prime operazioni di polizia giudiziaria

Premesso che le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte, a norma dell'art. 56 cpp, dai servizi e dalle sezioni di polizia giudiziaria, il primo contatto che il minore ha nell'ambito del sistema della giustizia è con i servizi non specializzati della polizia giudiziaria, amministrativa o di sicurezza, come il servizio 'Radio Mobile' dei carabinieri o l''Ufficio Prevenzione Generale' della polizia (rispettivamente il '112' e il '113') (11), cioè da parte di quel personale che riveste comunemente la qualifica di agente o ufficiale di polizia giudiziaria.

L'incontro con la sezione istituzionalmente specializzata, sempre che specializzata sia, avviene quindi in un secondo momento. Non è comunque un caso, ma semmai un'attenzione particolare, che il legislatore abbia formulato una disposizione come quella dell'art. 5 D.P.R. 448/1988 che prevede:

"In ciascuna procura della repubblica presso i tribunali per i minorenni è istituita una sezione specializzata di polizia giudiziaria, alla quale è assegnato personale dotato di specifiche attitudini e preparazione."

Di fatto, rispetto alla previsione normativa, la realtà operativa (12) presenta alcune diversità.

Nella migliore delle ipotesi, soltanto in alcune grandi città, l'unico ufficio (e non servizio) "speciale" e specializzato è il cosiddetto Ufficio Minori accorpato, talvolta, alla Squadra Mobile, come a Napoli, talvolta, alla Divisione Anticrimine come a Bologna.

Nei piccoli capoluoghi, e soltanto laddove ha sede la Questura, invece l'ufficio minori, quando c'è, è accorpato alla Divisione di polizia amministrativa e sociale (per esempio all'Ufficio addetto al rilascio di passaporti, licenze e autorizzazioni varie).

Per ultimo, in molte altre città, dove non esiste nemmeno un ufficio minori accorpato perché non vi è la Questura, le indagini e gli accertamenti sul conto di minorenni sono svolte, a seconda dei reati commessi, dalla squadra/sezione furti, rapine, truffe, omicidi, etc. della polizia di stato o dei carabinieri.

Ciò significa che generalmente, nella maggior parte delle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso i Tribunali per i minorenni, il personale non è dotato di una particolare attitudine, se non di quella necessaria per essere un buon ufficiale o agente di polizia giudiziaria.

Dal punto di vista giuridico, il corpo specializzato di polizia giudiziaria, contemplato dall'art. 5 ma soltanto in parte realizzato, avrebbe comunque contatti con il minore soltanto nelle tre occasioni previste dal codice di procedura penale, ossia arresto, fermo e accompagnamento (e traduzione (13)), cosicché chi provvede nella quotidianità a tali misure è sempre l'operatore di polizia giudiziaria che presta servizio 'sulla strada', quindi un ufficiale o agente di polizia giudiziaria non specializzato.

Già nel 1975, a tutela della specificità della condizione di minore, le Regole Minime dell'ONU per l'Amministrazione della giustizia minorile mostrarono particolare attenzione al momento del primo impatto del minore con la giustizia, prevedendo all'art. 10 comma 3 che:

"I contatti tra le forze dell'ordine e il minore autore di reato dovranno avvenire in modo da rispettare il suo stato giuridico ed evitare di nuocergli tenendo conto delle circostanze del caso...evitando ogni torto supplementare e inopportuno....Il contatto iniziale potrebbe influenzare profondamente l'atteggiamento dei minori nei confronti dello stato e della società. Il successo di ogni altro intervento dipende molto da questi primi contatti. Si raccomandano, pertanto, benevolenza e fermezza; potendo compiere il proprio dovere senza eccedere nei modi ma anzi rispettando il giovane cittadino."

Oggi, l'art. 20 D.Lgs. 272/1989 "Cautele nell'esecuzione dell'arresto e del fermo, nell'accompagnamento e nella traduzione", a conferma degli orientamenti internazionali, prevede che l'operatore di polizia deve:

  • non usare "strumenti di coercizione fisica" (ad esempio le manette e ceppi) "salvo che ricorrano gravi esigenze di sicurezza" (pericolosità del soggetto, pericolo di fuga e circostanze ambientali ex art. 42-bis comma 5 Ordinamento penitenziario);
  • trattenere i giovani "in locali separati da quelli dove si trovano maggiorenni arrestati o fermati";
  • "adottare le opportune cautele per proteggere i minorenni dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità nonché per ridurne, nei limiti del possibile, i disagi e le sofferenze materiali e psicologiche".

E gli artt. 16, 17, 18 e 18-bis D.P.R. 448/1988 forniscono precise indicazioni circa le modalità di arresto, fermo e accompagnamento di un minorenne, in particolare l'art. 16 (Arresto in flagranza) ultimo comma indica tre particolari direttive di cui gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria devono tener conto, quali la gravità del fatto, l'età e la personalità del minorenne.

Il compito principale richiesto alla polizia è quello di valutare l'opportunità dell'arresto, del fermo o dell'accompagnamento (in ufficio, in Cpa o presso la propria abitazione) di un minorenne, premesso che l'arresto e il fermo sono sempre facoltativi.

In linea di principio, si tratta di una valutazione affidata all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria secondo parametri, comunque abbastanza puntuali, di carattere:

  • oggettivo, quali la pena edittale massima, non inferiore a nove anni nel caso di arresto e fermo (per il fermo è altresì indicata la pena edittale minima non inferiore a due anni) e non inferiore a cinque anni nel caso di accompagnamento;
  • soggettivo, relativi alla gravità del fatto, all'età e alla personalità del minore.

Appare utile, al fine di approfondire l'interpretazione dei tre parametri soggettivi, far luogo ad un rapido confronto (14) con il comma 4 dell'art. 381 cpp che in ordine all'arresto facoltativo in flagranza di un maggiorenne prevede che:

"Nelle ipotesi previste dal presente articolo si procede all'arresto in flagranza soltanto se la misura è giustificata dalla gravità del fatto ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto".

Identico risulta il riferimento alla gravità del fatto, la quale non può coincidere con quella del reato, già preventivamente valutata dalla legge con l'inclusione dello stesso fra quelli per il quale è consentito far ricorso alla misura, ma impone tener conto dell'allarme sociale procurato e delle conseguenze causate in concreto. L'apprezzamento dell'agente o dell'ufficiale di polizia giudiziaria intorno al fatto, visto il criterio generale della pena edittale, non sembra, quindi, riferirsi al titolo di reato, quanto alle modalità contingenti poste in essere per realizzarlo.

In merito al secondo criterio, la personalità del soggetto, si evidenzia il diverso punto di vista assunto nel processo penale per adulti e nella normativa processuale minorile.

Il codice di procedura penale, infatti, essendo caratterizzato da una ridotta attenzione alla persona, individua la gravità del fatto nella pericolosità del soggetto, a desumere la quale potrebbe essere utile tener conto della sua personalità, oltre che delle circostanze del fatto.

Al contrario, l'art. 16 D.P.R. 448/1988 fa direttamente riferimento alla personalità del minorenne, "dando vita ad un'inversione espositiva, che se non importa significativa diversità semantica, tuttavia rende palese la volontà della legge di mettere in posizione primaria proprio la personalità dalla quale, semmai, potrà desumersi la pericolosità" (15) del soggetto.

Nella fattispecie, la personalità del minore non è altro che parametro del principio di adeguatezza educativa nell'applicazione delle disposizioni processuali minorili, parametro a cui si devono attenere tutti i soggetti del procedimento.

Infine, il terzo parametro, quello dell'età, è esclusivo del processo penale minorile.

"Poiché il minore infraquattordicenne non ha la capacità di intendere e di volere, e quindi non è imputabile e punibile, la polizia giudiziaria deve procedere alla esatta identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, anche per mezzo dei cosiddetti rilievi antropometrici-foto-dattiloscopici" (16), escluse le attività peritali che possono essere disposte soltanto dal giudice ex art. 8 (Accertamento sull'età del minorenne) D.P.R. 448/1988 che prevede:

"Quando vi è incertezza sulla minore età dell'imputato, il giudice dispone, anche di ufficio, perizia.

Qualora, anche dopo la perizia, permangono dubbi sulla minore età, questa è presunta ad ogni effetto.

Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano altresì quando vi è ragione di ritenere che l'imputato sia minore degli anni quattordici".

Dei rilievi consentiti (previsti dall'art. 349 comma 2 cpp), nella prassi (17), è apparsa estremamente sicura, per l'individuazione dell'età biologica, la radiografia del polso attraverso la quale, dallo stato dei nuclei di ossificazione, si ricava, in tempi molto brevi, l'età del minore indagato (l'età risultante dalla radiografia può dirsi attendibile, con una tolleranza di circa sei mesi in più o in meno).

Inoltre tale metodologia espone il paziente (il minore) a rischi molto bassi, essendo l'area corporea irraggiata assai limitata e il voltaggio molto basso; trattandosi di radiazioni, è comunque esclusa nel caso di minori femmine in stato di gravidanza (accertata attraverso relativa ecografia).

Se l'esame avviene con il rispetto delle normative regolamentari e con i dovuti accorgimenti, esso può dirsi estremamente sicuro.

L'accertamento dell'età all'epoca del fatto è conditio sine qua non, questione preliminare inderogabile, sia perché determina la competenza per materia del giudice, sia per la diversa applicazione di alcuni istituti giuridici a seconda dell'età dell'indagato/imputato (18).

Si tratta tuttavia di un'attività d'urgenza, da compiersi soltanto nel caso di seri dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni o della regolarità dei documenti forniti dal minore indagato, e quando tale attività sia indispensabile per l'immediata emanazione di provvedimenti, come nel caso di arresto di persona colta in flagranza che dichiari di essere minore degli anni 14 o 18.

Il potere di compiere queste attività è riconosciuto alla polizia giudiziaria dal comma 2 dell'art. 349 cpp rubricato "Identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e di altre persone".

Nella stessa ottica, il quarto comma, contemplando l'ipotesi che la persona indagata si rifiuti di farsi identificare o fornisca false generalità, prevede la possibilità che la polizia giudiziaria la possa accompagnare nei propri uffici e ivi trattenerla per il tempo strettamente necessario per la identificazione, e comunque non oltre le dodici ore.

Procedendo con la lettura degli artt. 18 e 18-bis si individuano, poi, i compiti dell'ufficiale o agente di polizia giudiziaria che ha proceduto all'arresto, fermo o accompagnamento di un minorenne. L'operatore di polizia deve darne immediata notizia al Pubblico ministero che, sentite le modalità dei fatti, potrà disporre che il minore sia condotto presso un Cpa o una comunità, pubblica o autorizzata, o presso la sua abitazione, e chiedere al Gip entro 48 ore dall'arresto o fermo l'udienza di convalida, pena l'inefficacia degli stessi (ex art. 309 comma 1 cpp).

Deve, altresì, informare i genitori o l'eventuale affidatario, anche contro la volontà dell'arrestato, a differenza del processo penale ordinario per il quale l'art. 387 cpp Avviso dell'arresto o del fermo prevede che:

" La polizia giudiziaria, con il consenso dell'arrestato o del fermato, deve senza ritardo, dare notizia ai familiari dell'avvenuto arresto o fermo".

L'importanza e la necessità di informare e coinvolgere la famiglia si era già affermata prima della riforma del processo penale minorile.

Nel 1975 con la sentenza n. 99 la Corte costituzionale aveva riconosciuto ai genitori un vero e proprio ruolo processuale attinente alla capacità di fungere da supporto del diritto di difesa nei confronti di un soggetto con attitudini autodifensive ancora non del tutto sviluppate: con l'avvertimento circa l'instaurazione di un procedimento e lo svolgimento di certe attività processuali, l'esercente la potestà è posto in condizioni di offrire consigli e raccomandazioni o di richiamare l'attenzione del minore sul significato della sua entrata nel procedimento.

Oggi, si ritiene l'obbligo dell'informazione integrazione del diritto di difesa, assistito dalla garanzia privilegiata della nullità prevista dall'art. 179 cpp: l'assistenza affettiva e psicologica dei genitori all'imputato minorenne, in ogni stato e grado del procedimento, prevista dall'art. 12 D.P.R. 448/1988 è stata riconosciuta analoga all'assistenza difensiva.

È comunque inevitabile sollevare riserve su come questa previsione sia realmente applicabile e applicata rispetto ai minori stranieri 'sedicenti' che presentino documenti propri e di familiari presumibilmente falsi (materialmente o ideologicamente) o comunque difficilmente accertabili.

Infatti, il diffondersi della pratica dei documenti falsi e la quasi totale impossibilità di accertare se un documento sia veramente autentico hanno portato nel tempo ad una diffidenza degli operatori di polizia, ma anche di quelli dei Servizi minorili dell'Amministrazione della giustizia, sottraendo i minori sedicenti e, quindi, la quasi totalità dei minori stranieri, alle garanzie proprie del processo penale minorile.

Per concludere la disamina, l'ufficiale o l'agente di polizia deve informare "il difensore di fiducia eventualmente nominato o quello d'ufficio designato dal Pubblico ministero a norma dell'art. 97 cpp" (19) e redigere i verbali di tutte le operazioni compiute.

Le attività sinora descritte sono operazioni di competenza della polizia giudiziaria in cui il Pubblico ministero interviene soltanto di riflesso, dando disposizioni sulla base di decisioni e valutazioni prese autonomamente dalla polizia.

Il Pubblico ministero, di sua iniziativa, può ordinare la rimessione in libertà nei casi previsti dall'art. 389 cpp oppure perché non ritiene di dover richiedere l'applicazione della misura cautelare; può, inoltre, sentire immediatamente il minore, facendolo portare nel suo ufficio prima dell'esecuzione dell'accompagnamento, al fine di adottare i provvedimenti di sua competenza.

1.4.2. Il problema dell'identificazione del minore straniero

Se il problema dell'attribuzione dell'età e il più ampio problema dell'identificazione non si pongono in riferimento ai minori italiani ognuno dei quali ha un nome e delle generalità facilmente accertabili ex art. 66 cpp (Verifica dell'identità personale dell'imputato), questi problemi assumono invece carattere di estrema gravità rispetto ai minori stranieri la maggior parte dei quali, essendo clandestini, non hanno o non forniscono documenti.

A norma dell'art. 349 cpp, alla identificazione personale di un soggetto la polizia giudiziaria provvede, oltre che con i già citati rilievi antropometrici (attraverso la radiografia del polso per l'accertamento dell'età), con i rilievi segnaletici:

  • descrittivi che descrivono i connotati e i contrassegni della personalità;
  • fotografici, con tre fotografie del soggetto da diversa angolazione;
  • dattiloscopici che consistono nel prelievo delle impronte delle falangi delle dita (impronte digitali) e delle palme delle mani (impronte palmari) (20).

Nella realtà operativa (21), il prelievo delle impronte digitali (di tutti e dieci i polpastrelli, le cosiddette classifiche decadattiloscopiche) al minorenne straniero è il punto di partenza per la sua identificazione.

Detti rilievi vengono riportati dai tecnici su un modulo denominato cartellino segnaletico, un esemplare del quale viene inviato al Casellario centrale d'identità presso il Ministero dell'interno dove è classificato e archiviato. Così, ogni qualvolta che la polizia giudiziaria procede ad una segnalazione inviando il cartellino al Casellario, il dattiloscopista verificando l'elenco dei precedenti dattiloscopici è in grado di sapere se la persona indagata (nella fattispecie, il minore) è già stata segnalata.

In definitiva, il cartellino segnaletico è l'unico documento relativo alla personalità del minore straniero, riferibile con certezza all'imputato o all'arrestato, in quanto le altre certificazioni (del casellario giudiziale, delle Procure della Repubblica o dei Comuni), essendo fatte con criteri anagrafici, risultano spesso inattendibili per la nota usanza degli stranieri di fornire ogni volta diverse generalità.

È sulla base della scheda dei precedenti dattiloscopici che il Pubblico ministero dovrebbe chiedere, e il Gip concedere, la misura cautelare più idonea disponendo, così, di informazioni anche relativamente alla:

  • presenza costante o recente del minore in Italia;
  • frequenza di coinvolgimenti in attività delittuose (la scheda dei precedenti dattiloscopici indica le denunce, non le condanne);
  • attendibilità delle dichiarazioni relative alla identità personale (potendosi accertare se in precedenza ha fornito generalità diverse).

In mancanza della scheda dei precedenti dattiloscopici, l'autorità giudiziaria si troverebbe, e spesso si trova, a decidere in ordine ad un'eventuale disposizione di misura cautelare disponendo soltanto dei dati oggettivi relativi alla commissione del reato: il che se è poco per ogni indagato, è sicuramente troppo poco per un minorenne.

L'identificazione fisica, nella fattispecie, del minore straniero è presupposto preliminare dell'accertamento della sua personalità. Non conoscere nemmeno quel minimum di personalità che è la identità fisica equivarrebbe a considerare uguali tutti i minori stranieri, senza un proprio vissuto, un proprio contesto, una propria origine, equivarrebbe a considerare lo straniero come categoria a sé.

Miazzi (22) sostiene che "in quest'ottica, che è l'unica corretta, l'identificazione del minore straniero non è un problema tecnico della polizia, ma è un problema etico del giudice [...]. L'identificazione dell'imputato costituisce il presupposto, morale prima ancora che giuridico e pratico, dell'attività del giudice, eliminando l'ipocrisia (per molti) o la frustrazione (per altri) di emanare provvedimenti generici e tutti uguali".

L'identificazione e il successivo approfondimento della personalità fanno sì che ogni procedimento abbia l'esito più appropriato, e se ciò è giusto e conforme all'obiettivo del processo minorile di adeguare le decisioni alle caratteristiche del minore imputato, questo deve valere anche per gli stranieri.

Da qui la necessità di creare, all'interno delle sezioni di polizia giudiziaria presso le Procure della Repubblica minorili, degli uffici specializzati in grado di ricevere, ricercare, archiviare tutti i dati, in modo da poter realmente garantire un processo della personalità anche ai minori stranieri.

Di fatto, ad oggi, poiché il sistema amministrativo-giudiziario italiano è ancora decisamente ancorato a sistemi anagrafici, è necessario giungere ad una identificazione anagrafica, per quanto fittizia. In questi casi, l'unica fonte di informazione sulla storia personale e penale del ragazzo è rappresentata dalle dichiarazioni del minore che vengono raccolte e trasmesse al Gip attraverso i verbali di arresto o accompagnamento e la successiva relazione redatta dall'educatore del Cpa se il minore vi è stato collocato in attesa dell'udienza di convalida.

In quest'ultimo caso, se il minore straniero non conosce o non parla la lingua italiana, l'educatore del Cpa, per lo svolgimento del primo colloquio (soprattutto se il minore è al suo primo ingresso), può avvalersi della collaborazione del mediatore culturale (23), quale figura professionale convenzionata con il Ministero di grazia e giustizia: il mediatore culturale provvederà non solo a spiegare al ragazzo il significato e i contenuti di quello che sta vivendo da un punto di vista penale, ma cercherà anche di mediare, appunto, tra quella che è la sua cultura di origine e quella del paese di accoglienza, al fine di offrirgli una panoramica più completa e, allo stesso tempo, rassicurarlo.

1.4.3. Collocamento del minore in Cpa. Prassi di accoglienza e permanenza

Nei casi in cui la polizia giudiziaria proceda all'arresto in flagranza, al fermo o all'accompagnamento di un soggetto minorenne, il Pm può disporre che sia condotto presso un Cpa e chiedere al Gip di pronunciarsi in ordine alla convalida e ad eventuali richieste di misure restrittive della libertà personale.

Con l'ingresso del minore al Cpa si avvia l'intervento di accoglienza che, pur nel rispetto delle principali indicazioni ministeriali, tende comunque a modellarsi e a differenziarsi da Cpa a Cpa a seconda del diverso contesto territoriale.

Si presenta qui di seguito la prassi, più o meno comune, rimandando al terzo capitolo la trattazione specifica delle diverse modalità operative adottate nei relativi regolamenti interni da alcuni Cpa d'Italia.

La figura professionale deputata alle operazioni della primissima fase dell'accoglienza è l'agente di polizia penitenziaria che provvede a:

  • verificare i documenti necessari all'accoglienza, quali il verbale di arresto (o la lettera di consegna del minore alla struttura) delle forze dell'ordine e l'eventuale certificazione medica relativa allo stato di salute (e all'eventuale stato di gravidanza nel caso di femmine) e all'accertamento dell'età tramite gli esami radiografici;
  • acquisire la documentazione agli atti e compilare il registro matricola dei dati anagrafici e giuridici relativi al minore;
  • fotografare il minore e procedere al prelievo delle sue impronte digitali (24);
  • provvedere alla sua perquisizione e annotare tutto ciò che gli è stato sottratto sul registro perquisizioni che verrà controfirmato dal minore sia al momento dell'ingresso che al momento delle dimissioni quando gli verrà riconsegnato il tutto;
  • avvisare l'educatore o l'operatore socio-assistenziale dell'ingresso del minore.

In casi eccezionali, di cui si riporta un esempio nella parte dedicata alle tre diverse realtà operative di Cpa, è previsto che la perquisizione possa essere effettuata anche da operatori socio-assistenziali di una cooperativa sociale che, in convenzione con il Ministero di giustizia, svolge all'interno della struttura, oltre a mansioni di assistenza e animazione, anche mansioni di vigilanza e perquisizione.

In particolare, questa prassi, nel tempo, è andata consolidandosi per le utenti femmine, causa la carenza di organico del corpo di polizia penitenziaria femminile, cosicché chi deve intrattenere la minore per il tempo della sua permanenza al Cpa attraverso le attività di animazione e assistenza (appunto gli operatori socio-assistenziali) si avvicina all'utente, per la prima volta, attraverso l'atto della perquisizione. È evidente la conseguente difficoltà per lo stesso operatore di riuscire a instaurare con il ragazzo un rapporto che non sia solo di civile convivenza ma anche possibilmente di fiducia e collaborazione.

Se la premessa non è delle migliori, si può comunque riportare che, nella prassi operativa, questo iniziale ostacolo è superato grazie al riconoscimento da parte del minore del diverso ruolo, al di là della perquisizione, ricoperto dall'agente e dall'operatore socio-assistenziale.

Superato il primo impatto e adempiute le prime formalità, il minore viene accompagnato nella sezione maschile o femminile affinché possa cominciare ad ambientarsi al nuovo contesto.

L'intervento di accoglienza continua con un colloquio d'ingresso che prevede un'attività di informazione, chiarificazione e sostegno, svolta prevalentemente dall'educatore che costituisce la figura stabile del servizio.

Queste primissime informazioni hanno lo scopo di aiutare il minore non solo a contestualizzare l'evento del reato e quello che sta vivendo, ma anche a prendere consapevolezza che la risposta offerta dal Cpa nei suoi confronti non è meno grave del carcere e che, comunque, quanto accade intorno a lui potrebbe rivelarsi un'opportunità per fermare un suo eventuale processo di autosvalutazione e provare ad intraprendere soluzioni alternative alla strada della devianza.

Con questi contenuti, la permanenza presso il Cpa, seppur breve, può assumere anche un significato di prevenzione secondaria contro il fenomeno del recidivismo.

Per la tipologia degli ingressi che possono avvenire in qualsiasi ora del giorno (il Cpa è un servizio che accoglie 24 ore su 24), spesso questo primo colloquio, in particolare se l'ingresso avviene durante la notte, è anticipato dall'agente di polizia penitenziaria poiché l'educatore a ciò deputato copre, in base alle disposizioni delle circolari ministeriali, soltanto turni di lavoro diurni.

In contemporanea all'accoglienza si avviano le procedure per la visita medica, al fine di verificare le condizioni fisiche del ragazzo e, eventualmente, predisporre le azioni opportune in caso di problematiche sanitarie presenti.

Se necessario, come nel caso di sospette o conclamate malattie esantematiche (scarlattina, morbillo, rosolia, varicella) o epidermiche (scabbia, micosi), queste ultime frequentissime nei minori stranieri, è possibile garantire, in alcuni Cpa, l'isolamento sanitario del minore infetto rispetto ai comuni spazi di convivenza aperti a tutti gli ospiti.

Invece, là dove i locali del Cpa siano talmente ristretti o il numero dei presenti sia tale da non consentirlo, si fa obbligo, a salvaguardia degli altri, il trasferimento del minore in una struttura ospedaliera (personale per il piantonamento permettendo).

Contestualmente alla procedura medica, si provvede ad informare la famiglia che, non in tutti i casi e non in tutti i Cpa, è previsto possa incontrare il figlio durante il periodo di permanenza al Cpa: da un'analisi comparativa dei diversi contesti (25) questa possibilità sembra sostanzialmente dipendere dall'orientamento dei diversi Tribunali per i minorenni, determinando, così, forse, non solo una violazione della garanzia di cui all'art. 12 D.P.R. 448/1988, ma anche una disparità di trattamento a seconda del contesto territoriale.

Infatti, mentre si segnala che al Cpa di Milano e di Firenze il minore può avere colloqui con i familiari in maniera regolare, al Cpa di Napoli (salvo un rapido saluto!) la prassi non lo prevede affatto e i colloqui che risultino necessari devono essere tutti autorizzati dal Pubblico ministero. Allo stesso tempo, proprio in queste realtà, dove la separatezza tra genitori e figli sembra essenziale nel corso del procedimento sia a tutela del minore che ai fini delle indagini, è richiesta ai familiari un'alta partecipazione ai colloqui con gli educatori e, eventualmente, con lo psicologo della struttura.

La fase di accoglienza continua con la segnalazione dell'ingresso del minore all'Ufficio del servizio sociale per i minorenni, che attiva l'assistente sociale per il caso, qualora tale figura non sia presente in forma stabile nel servizio.

In maniera coordinata con l'assistente sociale, l'educatore contatta i Servizi degli Enti locali, le comunità in vista di un'eventuale misura cautelare del collocamento in comunità e i vari servizi territoriali al fine di verificare l'esistenza di 'precedenti operativi'.

La finalità insita nella tempestiva attivazione di tutti gli operatori specializzati competenti è quella indicata nella lettera circolare n. 365072 al "Punto 4" lettera a), cioè raccogliere prime indicazioni sulle risorse e capacità contingenti delle strutture.

Si predispone attraverso tali attività il passaggio alla fase centrale dell'azione del servizio.

Durante la permanenza, il minore vive un confronto significativo, chiarificatorio, responsabilizzante, con le regole sociali, in correlazione con il suo vissuto e le possibilità di superamento delle sue difficoltà.

Il servizio, misurandosi con tempi brevi per la conoscenza del ragazzo attraverso colloqui tecnici e informali, crea le premesse per una prima analisi del caso.

La presenza nel servizio dell'educatore (comunque non sempre garantita), la condivisione di momenti di vita, come il pranzo, guardare la televisione o altre attività ricreative, serve a creare uno spazio di ascolto e di comunicazione teso a contenere l'ansia ed a stimolare auto-riflessioni in un clima complessivo che sviluppa accettazione e sostegno, e nel contempo trasmetta i valori della legalità e del rispetto.

In questa condivisione del quotidiano, l'educatore dovrebbe acquisire gli elementi di conoscenza della storia e delle emozioni del ragazzo che possono orientare la formulazione di un primo progetto educativo da avviare, eventualmente, in un area cautelare esterna. L'uso del tempo all'interno del Cpa diviene pertanto un primo strumento educativo e allo stesso tempo risorsa, talvolta cogestito con animatori ed operatori socio-assistenziali.

Il momento conclusivo di tale fase è costituito dalla stesura di una relazione tecnica per l'udienza di convalida con il Gip, con la formulazione di ipotesi esplicative della situazione di disagio e l'individuazione di una prima proposta operativa.

Nel brevissimo tempo di novantasei ore si prepara, così, il minore all'udienza, mentre, con contributi tecnici anche informali, si comunicano al Gip le possibilità individuate a sostegno del minore.

In seguito, con l'accompagnamento e l'assistenza del minore in udienza, si attiva la fase di predisposizione della dimissione del minore.

1.4.4. Giornata tipo del minore all'interno del Cpa

La giornata del minore all'interno della struttura è organizzata secondo una precisa distribuzione dei tempi e delle attività generalmente predefiniti dall'équipe professionale nel regolamento interno proprio di ogni Cpa a cui i minori sono tenuti ad attenersi, salvo variabili legate a situazioni particolari (come nel caso di minori con problemi di tossicodipendenza).

La mattina, che comincia con la sveglia verso le 8.00/ 8.30, è caratterizzata da una prima fase in cui il ragazzo, dopo aver fatto la colazione, si dedica alla cura della propria persona e al riordino della camera da letto e della sala pranzo. A queste attività sovrintende l'agente di polizia penitenziaria o l'operatore socio-assistenziale (o l'obiettore di coscienza, quale figura di supporto).

Per il minore la mattina prosegue con gli impegni che gli sono richiesti a fronte dell'udienza di convalida, quali il colloquio con l'educatore, l'eventuale colloquio con i genitori e con il difensore legale.

Oltre a quest'ultime attività prettamente tecnico-professionali, nel servizio si espletano anche attività di natura gestionale, quali per esempio la fornitura al minore di tutti i materiali e i generi necessari per la permanenza nella struttura, fornitura che va dall'abbigliamento agli accessori per la pulizia personale. A tal proposito, è prevista la possibilità (sempre sfruttata dagli italiani, raramente dagli stranieri) che i genitori del minore possano presentarsi al Cpa per consegnare al figlio (previa perquisizione da parte dell'agente di polizia penitenziaria) i propri indumenti personali ed eventuali oggetti di prima necessità.

Rispetto alle necessità che il minore può avvertire nell'arco di tempo che lo vede ospite al Cpa, gli è consentito:

  • negli appositi spazi (chiostro o sala televisione) fumare sigarette (26) (se maggiore degli anni 16) e, nel caso ne sia privo ma in possesso di denaro, richiederne l'acquisto agli educatori;
  • far comprare alcuni generi alimentari (purché confezionati) come dolciumi vari o bibite analcoliche;
  • ricevere ed inoltrare corrispondenza epistolare, sotto il controllo previsto dall'art. 38 comma 5 D.P.R. 230/2000 "al fine di rilevare l'eventuale presenza di valori o oggetti non consentiti [...] con modalità tali da garantire l'assenza di controlli sullo scritto": nel rispetto dell'art. 9 comma 2 D.Lgs. 272/1989 secondo il quale i Cpa non si devono caratterizzare come strutture di tipo carcerario, il controllo sulla corrispondenza non può essere effettuato secondo le modalità previste dal regolamento penitenziario.

Nel tempo libero vengono proposte al minore attività ludico-ricreative (giochi da tavolo, ping-pong, biliardino...) e didattico-culturali (lettura, esercizi di scrittura.....), attività scelte dall'educatore o dall'operatore socio-assistenziale in considerazione delle diverse caratteristiche degli utenti presenti nella struttura.

Dopo la pausa pranzo (12.30/13.30) è previsto uno spazio di tempo libero in cui il minore si può anche dedicare al riposo, proseguendo poi il pomeriggio con attività legale soprattutto alla videoteca (visione di film in televisione o di videocassette etc...).

La giornata si conclude con la cena (19.30/20.30) e una pausa Tv fino alle 22.30, orario di rientro nelle camere da letto che, in alcuni casi e in alcuni Cpa, vengono chiuse a chiave per tutta la notte.

È interessante, se non allarmante, segnalare come la gestione della fascia notturna possa presentare modalità operative diverse da Cpa a Cpa che talvolta possono sfociare in una palese violazione della normativa di attuazione del D.P.R. 448/1988.

In particolare, si segnala, come esempio, il caso del Cpa di Milano (maschile e femminile) il cui regolamento interno prevede espressamente che le camere da letto siano, per la notte, chiuse a chiave indipendentemente da esigenze di sicurezza che ne giustificherebbero la stessa chiusura.

In aggiunta, poiché nella fascia notturna non è presente un'agente di polizia penitenziaria femminile del Cpa, il regolamento prevede che "le chiavi per le camere che sono nella cassaforte vanno consegnate la sera per la chiusura delle stanze all'agente della sezione femminile del limitrofo Ipm Cesare Beccaria la quale le riconsegnerà la mattina successiva dopo l'apertura".

1.4.5. Udienza di convalida con il Gip e dimissioni dal Cpa

L'udienza di convalida, secondo l'art. 123 disp. att. cpp, si svolge, di regola, "nel luogo ove l'arrestato o il fermato è custodito", per cui quella minorile si svolge presso il Cpa.

I termini sono gli stessi di quelli previsti per il processo penale ordinario dall'art. 390 cpp "Richiesta di convalida dell'arresto o del fermo" comma 1 e 2 secondo il quale:

"Entro quarantotto ore dall'arresto o dal fermo, il Pubblico ministero, qualora non debba ordinare la immediata liberazione dell'arrestato o del fermato, richiede la convalida al giudice per le indagini preliminari competente in relazione al luogo dove l'arresto o il fermo è stato eseguito.

Il giudice fissa l'udienza di convalida al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive dandone avviso, senza ritardo, al Pubblico ministero e al difensore".

La natura urgente e non differibile dell'atto, che deve compiersi entro e non oltre le 48 ore dal deposito della richiesta del Pubblico ministero nella cancelleria del Gip, richiede avvisi urgenti al difensore e agli esercenti la potestà genitoriale, senza che la convalida possa essere inficiata da nullità, nel caso in cui, nonostante l'espletamento di diligente tentativo, non si fosse riusciti a informare i predetti soggetti, o, addirittura, il minore non fosse in grado o non volesse fornire utili elementi per rintracciare i suoi genitori.

Nella prassi (27), una volta che il Pubblico ministero ha presentato la richiesta di convalida, la segreteria dell'ufficio requirente la trasmette, insieme al fascicolo delle indagini preliminari, alla sezione Gip della cancelleria penale.

Al fascicolo sono allegati, oltre i documenti di rito (certificato anagrafico, certificato del casellario giudiziale e dei precedenti giudiziari del minore), anche il verbale di arresto o fermo e una copia della documentazione attestante che la persona indagata è stata tempestivamente condotta nel luogo di custodia ex art. 122 D.Lgs. 271/1989 quali disposizioni attuative del codice di procedura penale.

Una volta ricevuto il fascicolo, il personale addetto alla sezione Gip appone sulla richiesta di convalida del Pubblico ministero la data e l'ora del pervenimento (essenziali nel rispetto dei termini indicati dall'art. 390 cpp) e consegna il fascicolo al Gip competente. A sua volta, il Gip esamina il fascicolo e le richieste del Pubblico ministero e fissa la data e l'ora dell'udienza di convalida che a norma dell'art. 390 comma 2 deve avvenire "al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive".

A questo punto, il personale addetto alla sezione Gip provvede a:

  • predisporre il decreto di fissazione dell'udienza di convalida, notificarlo a tutti gli interessati (minore indagato, difensore e genitori) e a comunicarlo alla Procura per i minorenni, al Cpa e all'Ufficio di servizio sociale del Ministero di giustizia;
  • accertare, se il minore è un cittadino straniero, se conosce la lingua italiana e, in caso contrario, ricerca l'interprete e lo convoca per il giorno dell'udienza;
  • custodire fino al giorno dell'udienza di convalida in camera di consiglio gli atti del procedimento.

Generalmente all'udienza di convalida partecipano il Gip, il minore, il difensore, il collaboratore di cancelleria, l'educatore del Cpa, l'agente di polizia penitenziaria, i genitori del minore, l'assistente sociale dell'Ussm e, se il caso lo richiede, lo psicologo e l'interprete.

Con l'innovazione dell'art. 24 del D.Lgs. 12/1991 che ha aggiunto all'art. 390 il comma 3-bis la presenza del Pubblico ministero in udienza di convalida non è più obbligatoria, potendo limitarsi a porre per iscritto le sue richieste in ordine alla libertà personale; comunque, nel caso in cui compaia, indica i motivi dell'arresto (o dell'accompagnamento) e del fermo e illustra le richieste in ordine alla libertà personale.

In udienza, al di là del fascicolo delle indagini del Pm, il primo strumento di conoscenza per il Gip del caso è dato dalla Nota informativa anche detta Scheda minori, redatta dall'educatore in sede di colloquio con il minore e strutturata per raccogliere tutte le informazioni necessarie all'adozione di un eventuale provvedimento limitativo della libertà personale.

La scheda, un modulo prestampato uguale per tutti i casi, si divide in sezioni che, in ordine, concernono i dati anagrafici, la scuola, il lavoro, il rapporto con sostanze stupefacenti, patologie fisiche e psichiche, precedenti interventi del Tribunale, collocazione del minore (attuale domicilio), composizione del nucleo familiare, patologie familiari e il reato, a cui si aggiunge un'ultima parte per annotazioni relative all'udienza di convalida.

Rispetto ai contenuti della scheda, si evidenzia che l'indicazione, nella prima parte, della scuola e del lavoro non è una scelta casuale, ma volutamente preordinata perché considerati parti positive della vita del minore attraverso le quali il minore stesso ha la possibilità di presentarsi e connotarsi come un ragazzo normale, e non come delinquente.

La seconda parte, riguardante la famiglia, invece, è sicuramente quella più delicata, soprattutto per l'utenza italiana: se è vero che, da una parte, risulta semplice raccogliere informazioni pratiche sui familiari (come si chiamano, cosa fanno e dove vivono), dall'altra, passare ad un'analisi più approfondita di quelli che sono i rapporti del ragazzo con i genitori o le dinamiche all'interno della famiglia è cosa spesso difficile, e non sempre possibile al primo colloquio al termine del quale l'educatore deve compilare proprio la scheda in oggetto.

Per quanto riguarda l'utenza straniera, al contrario, per i loro specifici tratti culturali, risulta difficile avere anche soltanto le principali nozioni pratiche sulla famiglia, se non attraverso l'aiuto dei mediatori culturali. I ragazzi marocchini, per esempio, non si sentono di dipendere, né di fatto lo fanno, dalla propria famiglia, e quindi non ritengono di dover rivelare i nomi dei propri genitori; i minori nomadi, invece, danno spesso false generalità, inventando la propria situazione familiare, sperando di nascondere, almeno temporaneamente, i reati precedenti o un eventuale coinvolgimento della famiglia nel reato stesso.

La terza parte, infine, riguarda il reato. Le informazioni che la scheda richiede sono quelle di base (categoria di reato, coimputati, conoscenza della vittima, ammissione del reato), ma è compito dell'educatore che redige la scheda approfondire questo tema perché spesso il verbale delle forze dell'ordine ne omette la dinamica o ne offre una versione soltanto parziale.

La dinamica, ma soprattutto il vissuto soggettivo del ragazzo riguardo al reato, sono fondamentali rispetto all'attribuzione di significato dell'evento. Il confronto su questo tema è sempre delicato e spesso il ragazzo si chiude in se stesso, nega qualsiasi addebito o minimizza l'accaduto.

Così, nel colloquio educativo non è tanto importante appurare la colpevolezza o l'innocenza del minore (essendo il processo sede deputata a ciò), quanto fornire al ragazzo l'idea, il dubbio che avrebbe potuto scegliere una condotta non delinquenziale, un comportamento diverso.

Presa visione della Scheda minori e dell'eventuale relazione integrativa sul minore sempre redatta dall'educatore del Cpa nei giorni di permanenza del minore, il Gip, ai sensi dell'art. 391 cpp che disciplina l'Udienza di convalida, procede ad interrogare il minore, che non intenda avvalersi della facoltà di non rispondere, contestandogli il fatto e rendendogli noti gli elementi di prova a carico, ammettendo e ponendo, egli direttamente, le domande proposte dall'accusa e dalla difesa.

Successivamente invita il minore ad esporre quanto ritiene utile per la sua difesa. Infine, chiede al difensore se ha da proporre alcune domande e ascolta sia l'esercente la potestà dei genitori sia i rappresentanti del servizio sociale ministeriale (se presenti in udienza).

Acquisite le informazioni sulla personalità del minore e sulla famiglia e verificato il rispetto dei diritti e delle procedure di legge, il Gip pronuncia, al termine dell'udienza, l'ordinanza con la quale decide sulla convalida dell'arresto o del fermo e sull'applicazione di eventuali misure cautelari, chiarendo al minore le ragioni della sua decisione.

Nel processo penale minorile l'udienza di convalida non ha, quindi, solo l'importante funzione di controllo di legalità rispetto ai provvedimenti della polizia giudiziaria, ma costituisce crocevia fondamentale di strategia giudiziaria, considerato che la maggior parte delle misure cautelari applicate ai minorenni conseguono proprio all'arresto in flagrante.

Con l'ordinanza, a seconda che nel corso dell'udienza si sia accertata o meno la legittimità dell'arresto o del fermo e l'osservanza dei termini previsti dall'art. 390 cpp e altresì la sussistenza o meno delle condizioni e esigenze cautelari di cui agli artt. 273 e 274 cpp, il Gip può:

  • convalidare l'arresto e, o disporre l'applicazione di una misura cautelare, o ordinare l'immediata liberazione del minore indagato; oppure,
  • non convalidare l'arresto e, o disporre comunque l'applicazione di una misura cautelare, o disporre l'immediata liberazione dell'indagato.

Le misure cautelari per i minorenni che, per la specificità e la diversità dell'intera materia rispetto a quella del processo ordinario, sono indicate in un apposito capo, quello II del D.P.R. 448/1988, sono quattro: le prescrizioni, la permanenza in casa, il collocamento in comunità e la custodia cautelare in carcere.

In realtà, anche da una superficiale analisi dei dati relativi ai provvedimenti di uscita dei minori dai Cpa di tutto il territorio nazionale, emerge la concreta difficoltà di intervento nei confronti dei minori stranieri e un'evidente differenziazione dei percorsi scelti e intrapresi dai minori italiani e stranieri rispetto all'adozione delle misure restrittive della libertà personale. Se per gli italiani, infatti, appare predominante il ricorso a misure diverse dalla custodia cautelare in carcere che velocemente permettano loro il rientro nel proprio ambiente di vita, lo stesso non può dirsi per gli stranieri che vedono adottare le stesse misure soltanto in una bassa percentuale dei casi.

Tale dato, pressoché costante negli anni, dovrebbe richiamare l'attenzione e far riflettere sulle evidenti e reali difficoltà riscontrate dai servizi nell'individuazione di risorse di supporto, alloggio, punti di riferimento sul territorio che consentano un effettivo utilizzo della gamma di opportunità (a garanzia di una par condicio che dovrebbe essere indiscriminata) offerte dalla nuova normativa penale minorile al fine di evitare il ricorso alle strutture detentive.

Secondo Gaetano De Leo (28) gli effetti potenzialmente discriminanti dell'applicazione del D.P.R. 448/1988 potrebbero essere superati soltanto nell'ambito di una concezione della personalità del minore polidimensionale e interattiva, strettamente connessa cioè ad aspetti intrapersonali, familiari, sociali e ambientali non intesi separatamente ma nella loro interazione attiva e costruttiva, legata sia alle condizioni viste come vincoli e problemi reali, sia alle risorse intese come potenzialità dinamiche attive e/o attivabili.

In concreto ciò significa considerare la personalità del minore, e quindi la complessità delle situazioni che lo circondano, valorizzandone i punti di forza nella consapevolezza dei limiti soggettivi e oggettivi che tale complessità presenta.

Questa concezione della personalità consentirebbe di utilizzare attivamente i problemi del minore come vincoli da cui partire per programmare e organizzare sistemi specifici e mirati di interventi e azioni nella prospettiva degli obiettivi di fondo del processo penale minorile (minimo intervento, rapida uscita dal sistema, massime garanzie).

A sua volta Palomba (29) conferma che "fuori da questa concezione interattiva-relazionale, il rischio che il processo diventi discriminatorio nei confronti dei soggetti più deboli è non solo reale, ma grave e altissimo. Infatti, diventa altamente probabile la ben nota equazione perversa per cui quanto peggiori sono le condizioni personali, familiari e sociali del minore tanto più il processo tende ad irrigidirsi, a perdere elasticità e discrezionalità poiché meccanicisticamente tende a rispondere con misure più contenitive (o di semplice abbandono senza intervento), più prolungate, meno professionalizzate, più routinarie".

Viene da sé, a questo punto dell'analisi, che i maggiori risultati discriminanti si registrano a danno dei minori stranieri, in particolare dei nomadi e degli immigrati illegalmente dai Paesi del terzo mondo (nella fattispecie dal Maghreb) e, anche, a danno dei minori italiani appartenenti alle fasce più disagiate per i quali l'alternativa, rimane spesso o la remissione in libertà o la custodia cautelare in carcere.

In ogni caso, se accorpiamo tutti i casi in cui il provvedimento di uscita dal Cpa è stato diverso dalla disposizione di custodia cautelare in carcere, vediamo come per una larga fascia di minori, quest'ultima venga evitata. Ciò significa che, nonostante l'alto ricorso al carcere, soprattutto per gli stranieri, il Cpa riesce comunque a realizzare un'azione di filtro.

Note

1. "S'intendono per norme di attuazione quelle che, pur rivestendo profilo rilevante, non regolano un determinato istituto giuridico, ma sono necessarie perché questo possa operare; per norme transitorie quelle deputate a regolare la fase dell'intertempo, intervenendo la nuova normativa su procedimenti giuridici in corso, a riguardo dei quali deve stabilirsi quale disciplina applicarsi; per norme di coordinamento quelle utili a raccordare le norme varate con l'ordinamento preesistente", in S. Di Nuovo, G. Grasso, op. cit., p. 137, nota 5.

2. Commissione Pomodoro, Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del D.P.R. 448/1988. Relazione, "Esperienze di giustizia minorile", 37 (1990), 1, p. 72.

3. Comma così modificato dall'art. 48 D.Lgs. 12/1991: la norma originaria prevedeva, in luogo di "art. 18-bis comma 4", "art. 22 comma 1".

4. Commissione Pomodoro, Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del D.P.R. 448/1988. Relazione, "Esperienze di giustizia minorile", 37 (1990), 1, pp. 72-73.

5. Giorni ridotti a cinque con la modifica apportata al comma 3 dell'art. 104 cpp dall'art. 1 Legge 332/1995.

6. Art. 24 comma 2 Costituzione.

7. Art. 104 comma 3 cpp, richiamato dal punto 1 della Lettera circolare n. 365080.

8. F. Palomba, Il sistema del nuovo processo penale minorile, cit., pp. 122-125.

9. Lettera circolare n. 365072 del 21 ottobre 1989, Ufficio per la giustizia minorile.

10. D. Giustiniani, Direttrice del Cpa di Milano, Il CPA. Un sistema di comunicazione teso a costruire ed organizzare, in P. Valentini, (a cura di) Cultura preventiva e azione comunicativa con i ragazzi autori di reato, FrancoAngeli, Milano, 1997, pp.103-105.

11. "Entrambi sono servizi di pronto intervento, pressoché identici, anche se il '113', più antico e collaudato, espleta inoltre, funzioni di soccorso pubblico. Tali servizi fanno capo ad una centrale operativa che gestisce e smista le chiamate telefoniche di pronto intervento/soccorso verso postazioni radiocollegate, (ad esempio le 'volanti' o le 'gazzelle'), sistemi videocollegati, archivi ed elaboratori dati elettronici ed uffici competenti", in M. Matrone, Poliziotti e minorenni: riflessioni pedagogiche sull'intervento di polizia in materia minorile, Clueb, Bologna, 1995, p. 25, nota 9.

12. Ivi, pp. 23-24.

13. La traduzione è il trasferimento (di un minore, in questo caso) da un Istituto penale ad un altro o da una comunità ad un Istituto o viceversa.

14. Offerto in S. Di Nuovo, G. Grasso, op. cit., pp. 373-374.

15. Ivi, p. 374.

16. M. Matrone, op. cit., pp. 28-29.

17. L. Miazzi, Nomadi ed extracomunitari: problemi di identificazione e di trattamento, "Minori Giustizia", 1996, 4, p. 113.

18. Oltre a tutte le conseguenze previste per il caso in cui l'interessato sia maggiorenne o minorenne, si pensi all'art. 23 comma 3 D.P.R. 448/1988 che differenzia i termini della custodia cautelare a seconda che l'indagato sia minore degli anni 18 o 16; all'art. 24 D.Lgs. 272/1989 per l'espiazione pena del detenuto infraventunenne; all'art. 163 comma 3 cp che differenzia il regime della sospensione condizionale della pena a seconda che l'imputato sia maggiorenne, minorenne o di età superiore agli anni 18 ma inferiore agli anni 21 o abbia compiuto 70 anni; all'art. 275 comma 4 cpp per l'applicazione della custodia cautelare a chi abbia superato 70 anni; etc.

19. Art. 386 comma 2 cpp "Doveri della polizia giudiziaria in caso di arresto o di fermo".

20. "Le impronte digitali sono le impronte che lasciano i disegni formate dalle creste presenti sulle superfici delle dita quando vengono premute o anche solamente appoggiate ad un altro corpo. La sommità delle creste, attraverso i pori, secerne il sebo, l'urea e altri composti organici che si depositano sugli oggetti che vengono toccati, lasciando impresso il disegno delle creste" in L. Miazzi, Nomadi ed extracomunitari: problemi di identificazione e trattamento, "Minori Giustizia", 1996, 4, p. 103, nota 11.

21. Ivi, pp. 102-103.

22. Ivi, p. 98.

23. Dalla ricerca sul campo, si registra quasi sempre presso i Cpa la presenza (come collaboratori esterni) di mediatori della cultura araba, in particolare maghrebina, e albanese.

24. Le operazioni di prelievo delle impronte digitali e la fotosegnalazione del minore, richiedendo una archiviazione piuttosto articolata, sono possibili soltanto in quei Cpa al cui interno vi è l'Ufficio matricola della polizia penitenziaria (come per esempio nel Cpa maschile Colli Aminei di Napoli). In realtà, dalla ricerca sul campo sembra far emergere che un'immatricolazione del minore così completa sia propria delle istituzioni carcerarie e non appropriata ad un servizio come il Cpa.

25. Vedere capitolo 3.

26. Con una gestione diversa da Cpa a Cpa: in alcuni Cpa, il minore può fumare fino ad un pacchetto al giorno e trattenerlo lui direttamente durante la giornata; in altri casi, come al Cpa di Firenze, il numero massimo consentito è di 8 sigarette al giorno che sono custodite e centellinate, secondo tempi scanditi, dall'operatore socio-assistenziale o dall'agente di polizia penitenziaria.

27. A. Mestiz, A. Cocchini, A. Nicolì, in Organizzazione e funzionamento dei Tribunali per i minorenni: analisi di un caso, Lo Scarabeo, Bologna, 1996, p. 176.

28. Ivi, p. 110, nota 26.

29. F. Palomba, Il sistema del nuovo processo penale minorile, cit., p. 191.