ADIR - L'altro diritto

I permessi premio
(art. 30-ter dell'Ordinamento penitenziario)

Roberto Perotti, 2006

1. Nozione, finalità e natura dell'istituto

Il permesso costituisce lo strumento mediante il quale si può consentire alla persona stabilmente privata della libertà di trascorrere un breve periodo di tempo nell'ambiente libero, con determinate cautele e con l'obbligo di rientro spontaneo nell'istituto penitenziario alla scadenza del termine (1).

A seguito dell'entrata in vigore della Legge n. 663 del 1986 si possono individuare tre tipi di permesso e due tipi di licenza con differenti finalità e funzioni e con diversi presupposti oggettivi e soggettivi. Permessi e licenze devono essere considerati "modalità del trattamento", pur essendo collocati in ambiti sistematici diversi: infatti, mentre i permessi sono disciplinati fra "le modalità del trattamento", le licenze ai condannati semiliberi e le licenze agli internati (artt. 52 e 53), istituti non modificati dalla riforma del 1986, sono disciplinate tra le misure alternative alla detenzione.

Per quanto riguarda più specificamente la disciplina dei permessi, la Legge n. 663 del 1986 introduce nella legge penitenziaria l'art. 30-ter, dedicato al nuovo istituto dei permessi premio, lasciando inalterata la precedente normativa in tema di permessi contenuta negli artt. 30 e 30-bis. Si possono, adesso, individuare due tipi di permesso: quelli che rispondono ad una funzione di sola umanizzazione della pena e quelli che, oltre alle finalità di umanizzazione della pena, sono "strumenti al contempo premiali e di trattamento individualizzato del condannato, in una prospettiva spiccatamente specialpreventiva" (2). I tratti fondamentali dell'istituto del permesso premio sono completamente diversi da quelli del permesso ordinario: questi ultimi sono, infatti, stabiliti per far fronte ad evenienze gravi ed eccezionali, prodottesi all'esterno della vita carceraria; invece, ciò che è preso in considerazione per i permessi premio è la regolarità della vita del condannato all'interno dell'istituto e la proiezione che se ne può presagire nell'ambiente libero. Due elementi differenziano strutturalmente il permesso premio dal permesso ordinario: la valenza premiale dell'istituto ed il suo essere, per espressa previsione normativa, parte integrante del trattamento.

Varie sono state le valutazioni inerenti alla natura dell'istituto dei permessi premio. In dottrina, Fausto Giunta valorizza la ratio premiale della concessione, quale ricompensa per la condotta regolare, ponendone in secondo piano la funzione special-preventiva (3). Alessandro Margara rileva, invece, come i nuovi permessi rispondono ad un'esigenza special-preventiva, svolgendo una funzione rieducativa e contrapponendosi alle misure che rispondono solo alla finalità di umanizzazione della pena; afferma, infatti, Margara che alla base dei permessi premio vi è l'idea di porre il condannato "dinanzi alle proprie responsabilità, mettendolo nelle condizioni di abbandonare o ribadire le proprie vecchie scelte" (4). Concorde con Margara è Luca Tampieri il quale attribuisce all'istituto in esame natura risocializzativa e special-preventiva, pur criticando la funzione premiale che essi assumono, anche a causa della qualificazione di "premio" fatta dal legislatore (5). Infine, vi sono altri autori che, criticando la mancanza di chiarezza della legge, ritengono che la ratio dei permessi premio non sia premiale, ma sia strumentale all'ottenimento della 'regolarità' e della 'correttezza' dei detenuti (6).

In giurisprudenza, la Corte costituzionale indica una concezione "plurifunzionale" del permesso premio rilevando che tale istituto:

Oltre che incentivo alla collaborazione del detenuto con l'istituzione carceraria, in funzione, appunto del premio previsto, è esso stesso strumento di rieducazione, consentendo un iniziale reinserimento del condannato nella società, essendo per altro l'istituto condizionato all'assenza di particolare pericolosità sociale, in conseguenza della c.d. 'regolare condotta', ossia, secondo l'art. 30-ter, 8º co., della manifestazione, durante la detenzione, di costante senso di responsabilità e di correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzative degli istituti e nelle eventuali attività lavorative e culturali. (7)

1.1. L'iter normativo dei permessi nei disegni di legge e nelle leggi sull'Ordinamento penitenziario

Nell'Ordinamento penitenziario italiano la previsione di permessi premio si sviluppa attraverso un ampio dibattito fin dalla prima sede costitutiva della riforma. Nella complessa evoluzione delle iniziative di riforma dell'Ordinamento penitenziario, l'istituto dei permessi trova una prima compiuta regolamentazione nel Disegno di legge approvato dal Senato il 10 marzo 1971 che (art. 60) consente al magistrato di sorveglianza di concedere al condannato o all'imputato il permesso di recarsi a visitare un familiare in "imminente pericolo di vita"; questo disegno di legge costituisce la rielaborazione di precedenti disegni di legge decaduti per l'anticipata fine della legislatura nella quale sono presentati ed ha, comunque, la medesima sorte (8). E' indicativo, però, che in tale progetto l'istituto dei permessi non raggiunge un'effettiva autonomia concettuale, tant'è vero che nella rubrica del citato art. 60 non si parla di permessi, bensì di "visite ai familiari".

Nel successivo disegno di legge, che il Senato approva il 18 dicembre 1973, la disciplina è completamente diversa: l'art. 29 di questo progetto normativo (9) prevede, infatti, tre tipi di permessi, ossia i permessi concedibili ai condannati e agli internati "nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente" (primo comma), i permessi concedibili "per gravi e accertati motivi" (secondo comma) ed infine i permessi espressamente definiti come speciali genericamente concedibili ai detenuti (compresi gli imputati) ed agli internati - sotto determinate condizioni - "al fine di mantenere le loro relazioni umane" (terzo comma). Con questa previsione s'intende, evidentemente, introdurre un ulteriore ampliamento dell'applicazione dei permessi e proporre una possibile, almeno parziale, soluzione del problema sessuale presente nel carcere. Questo problema costituisce, infatti, nei termini in cui è vissuto da una gran parte dei detenuti (e in particolare gli ergastolani), uno dei motivi che maggiormente contribuiscono a determinare un'atmosfera di esasperazione e di violenza, così come sul piano specifico del comportamento sessuale a diffondere pratiche di tipo omosessuale.

Il sistema dei permessi, a cui far ricorso nei casi in cui è 'ragionevole' consentire ad un detenuto la 'libera uscita', appare ai proponenti come una possibile soluzione alternativa rispetto al tentativo di consentire lo svolgimento di rapporti sessuali (magari limitati ai coniugi o conviventi "more uxorio") all'interno del carcere stesso (10). A livello europeo, la materia del congedo penitenziario forma oggetto di una Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa (11).

Il testo della riforma sottoposta dal Senato al vaglio della Camera negli ultimi mesi del 1973 si distingue, dunque, per la novità rappresentata dai cosiddetti permessi speciali, ma nel successivo iter parlamentare quest'istituto incontra insuperabili resistenze, tanto che l'ultimo comma dell'art. 29 è soppresso. Il dibattito che in merito si sviluppa alla Commissione giustizia della Camera è incentrato particolarmente sulla problematica della compatibilità dei permessi speciali, da un lato, con un sistema detentivo ancora rigidamente custodialista e, dall'altro, con le pressanti preoccupazioni di ordine pubblico: si preferisce, quindi, prima di introdurre simili 'aperture', attendere alla prova dei fatti l'attuazione dei permessi che sono comunque previsti dalla normativa approvata dalla Camera il 19 dicembre 1974 (12). Il testo del disegno di legge emendato per quanto concerne l'istituto dei permessi, torna al Senato per la definitiva approvazione e diviene la Legge 26 luglio 1975, n. 354, che, di conseguenza, nel suo art. 30 prevede solo due tipi di permessi, quelli concedibili in caso "imminente pericolo di vita" di un familiare e quelli concedibili analogamente per "gravi e accertati motivi".

Passati due anni dall'approvazione della riforma penitenziaria, si accendono notevoli polemiche sulla funzionalità dell'istituto dei permessi e, inoltre, si registra una prima indagine conoscitiva a cura del Consiglio Superiore della Magistratura (13) e due interventi normativi: le polemiche sono incentrate, in particolare, sui permessi concedibili "per gravi e accertati motivi", che trovano subito una larga e generalizzata applicazione. Il nuovo istituto dei permessi si presenta, infatti, come uno strumento utilizzato dai magistrati di sorveglianza per 'alleggerire' molte tensioni all'interno degli istituti e sperimentare le possibilità di risocializzazione del detenuto (14); per questi motivi il loro numero aumenta considerevolmente e la questione diviene un problema di ordine pubblico al verificarsi dei primi clamorosi "mancati rientri".

Gli allarmi nati in questo periodo causati dalle presunte responsabilità dei permessi a proposito dell'aumento del numero delle evasioni e addirittura dei tassi di criminalità, si rilevano, in realtà, infondati alla luce dei risultati della nuova indagine conoscitiva disposta dal Consiglio Superiore della Magistratura (15): la percentuale dei permessi infruttuosamente concessi - il 5.61 per cento - deve essere considerata, infatti, assolutamente normale e tollerabile ed anzi l'effetto sulla vita carceraria di quelli andati a buon fine deve essere considerato positivo. Queste polemiche e le reazioni dell'opinione pubblica influiscono sulla politica penitenziaria e in particolare in materia di permessi, che subiscono notevoli limitazioni dovute al 'clima normativo dell'emergenza'.

Il primo intervento sull'art. 30 dell'Ordinamento penitenziario si ha con la legge 12 gennaio 1977, n. 1, che apporta all'istituto dei permessi piccole modifiche: si precisa qual è il giudice "naturalmente" competente a concedere il permesso in caso di "imminente pericolo di vita" di un congiunto del detenuto, secondo che si tratti di detenuto o internato, nel qual caso la competenza è attribuita al magistrato di sorveglianza, ovvero si tratti di imputato, nel qual caso la competenza è attribuita al giudice investito del processo in relazione al suo stato e grado (16).

Maggiore è l'incisività della Legge 20 luglio 1977, n. 450, recante "Modifiche al regime dei permessi dei detenuti", la quale interviene sull'art. 30, trasformando radicalmente l'istituto: in primo luogo, si restringe l'ambito applicativo dei permessi previsti dal secondo comma dell'art. 30 che, prima concedibili "per gravi e accertati motivi" divengono concedibili solo "eccezionalmente" e "per eventi familiari di particolare gravità"; in secondo luogo, attraverso l'introduzione dell'art. 30-bis si rende obbligatoria la scorta per i permessi di cui al primo comma dell'art. 30; in terzo luogo, infine, si delinea un articolato procedimento per la concessione del permesso e per il reclamo avverso di essa che, per i permessi di cui al secondo comma dell'art. 30 è dotato di efficacia sospensiva dell'esecuzione del provvedimento. Sul piano pratico le modifiche comportano una tendenziale equiparazione dei permessi previsti sia dal primo che dal secondo comma dell'art. 30, rilevandosi in particolare che in entrambi i casi, la concessione del permesso deve ritenersi un fenomeno eccezionale e non una pratica normale nel trattamento dei detenuti.

Questa riforma probabilmente non raggiunge gli effetti sperati: i dati dimostrano che le restrizioni apportate al regime dei permessi non comportano una diminuzione dei mancati rientri (17), né comportano una sostanziale modifica degli orientamenti giurisprudenziali in materia. Infatti, nonostante la notevole riduzione degli spazi interpretativi all'interno dell'art. 30 ed il tendenziale avvicinamento nel segno dell'eccezionalità dei due tipi di permesso previsti, i permessi di cui al secondo comma continuano ad essere concessi anche al di là delle ipotesi che la lettera della norma sembra indicare: gli "eventi familiari di particolare gravità" sono intesi come eventi di "eccezionale importanza" (18), oppure come "avvenimenti particolarmente significativi nella vita di una persona" (19), consentendo così al detenuto di usufruire di permessi in ipotesi non strettamente qualificabili come "eccezionali" ai sensi del secondo comma dell'art. 30. Si possono ricordare casi di concessione di permesso in caso di matrimonio contratto o contraendo del detenuto (20) oppure in caso di sfratto coattivo della convivente del detenuto (21) ovvero genericamente in occasione di particolari "avverse vicende" della sua vita familiare (22), nonché per consentire a due detenuti da poco sposati di "praticare fisicamente e spiritualmente il rapporto coniugale" (23).

La riforma del 1977 determina un importante effetto pratico: il permesso cessa di essere uno strumento di trattamento del detenuto, per divenire esclusivamente un rimedio eccezionale a singoli episodi positivi o negativi della vita del detenuto, dentro e fuori il carcere. Sintomatico di quest'inversione di tendenza è l'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri nella questione di costituzionalità sollevata sull'art. 30, secondo comma, della Legge 26 luglio 1975, n. 354 (24), dove si legge che:

Dopo i noti abusi, nella normativa più recente l'istituto del permesso non è più destinato a finalità di trattamento, ma intende solo consentire che il condannato sia vicino ai propri cari in momenti di particolare gravità.

Il permesso, quindi, non deve più intendersi quale "modalità del trattamento", nonostante la sua collocazione sistematica nell'ambito dell'Ordinamento penitenziario, ma come strumento di umanizzazione della pena, idoneo ad integrare solo uno dei principi fondamentali fissati dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione.

Nella VIII Legislatura i permessi tornano all'attenzione del Legislatore: nel disegno di legge n. 1691 approvato al Senato si prevede permessi premio addirittura per gli imputati (mentre ora sono esclusi dal beneficio). L'iniziativa riassunta dal legislatore del 1986, infine, promuove una soluzione che - se pur limitata ai condannati- risulta per molti aspetti più ampia di quella originariamente ipotizzata: innanzitutto, le finalità per le quali è possibile concedere non sono più ristrette al "mantenimento delle relazioni umane" (espressione che, come dimostrano i lavori parlamentari, indica le esigenze affettivo-sessuali dei detenuti), ma comprendono anche la soddisfazione di altri interessi (culturali e di lavoro). I limiti di durata dei permessi sono ampliati: dagli originari 5 giorni, per complessivi 30 giorni l'anno, si passa a 15 giorni per complessivi 45 giorni l'anno; le condizioni di applicazione concernenti il tipo di pena detentiva sono più vantaggiose, consentendosi la fruibilità dei permessi premio anche ai condannati alla pena dell'ergastolo.

2. La disciplina giuridica dei permessi premio

Il permesso premio previsto dall'art. 30-ter dell'Ordinamento penitenziario può essere concesso soltanto ai 'condannati', cioè coloro che sono detenuti in espiazione di pena conseguente a sentenza di condanna passata in giudicato: si tratta dei detenuti cosiddetti 'definitivi', che nell'esperienza comune, sono contrapposti ai detenuti cosiddetti 'giudicabili', ossia gli imputati ristretti in custodia cautelare (25). Sono inoltre esclusi dal beneficio dei permessi premio gli affidati al servizio sociale, i liberi controllati e i condannati in detenzione domiciliare. I semiliberi, per una parte della dottrina, possono beneficiare dei permessi premio (26); contraria a quest'ipotesi vi è un'altra parte della dottrina che ritiene, invece, assorbite le funzioni dei permessi premio da quelle delle licenze previste dall'art. 52 (27). Per quanto riguarda gli internati vi è consenso generale della dottrina sull'esclusione dalla disciplina dei permessi premio: le tesi si basano sulla considerazione di come le licenze per gli internati siano disciplinate dall'art. 53 dell'Ordinamento penitenziario sia con riferimento alle gravi esigenze personali e familiari, sia con riguardo al fine di favorire il riadattamento sociale. I condannati militari sono ammessi a fruire dei permessi premio a seguito di pronunzia della Corte costituzionale (28).

La norma pone specifici presupposti limitativi riguardo all'entità della pena in espiazione: i permessi premio possono essere concessi ai condannati alla pena dell'ergastolo, dopo l'espiazione di almeno dieci anni. E' opportuno ricordare che, al fine della maturazione dei termini di espiazione di pena previsti per la concessione dei permessi premio, si considera come scontata la parte di pena detratta per concessione della liberazione anticipata (art. 54 dell'Ordinamento penitenziario) (29). Nei confronti di soggetti che, durante l'espiazione della pena o delle misure restrittive, hanno riportato condanna o sono imputati per delitto colposo commesso durante l'espiazione della pena (30), la concessione è ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del fatto (art. 30-ter, quinto comma, dell'Ordinamento penitenziario) (31).

Il giudice, che in tema di permessi premio è sempre il magistrato di sorveglianza, deve accertare la sussistenza di tre requisiti (32):

  1. Che il condannato abbia tenuto regolare condotta: la condotta si considera regolare quando il soggetto, durante la detenzione, ha manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali (art. 30-ter, comma ottavo) (33). La "regolare condotta" di cui all'art. 30-ter, comma ottavo, dell'Ordinamento penitenziario, può, quindi desumersi dal 'contegno' carcerario del detenuto: il suo "comportamento personale" deve essere valutato in rapporto alle norme di condotta e alla conseguente titolarità di diritti e doveri che ne derivano, il cui rispetto deve essere verificato nei rapporti con gli altri detenuti, con il personale di custodia e con quello di assistenza. Per "attività organizzate negli istituti" si deve intendere quelle attività singole o in comune che sono predisposte a norma degli artt. 12, 19 e 27 dell'Ordinamento penitenziario (attività di istruzione, attività culturali, ricreative e sportive). Infine, per quanto riguarda il riferimento alle attività lavorative come strumento per valutare responsabilità e correttezza del detenuto è da ricordare che, se queste sono organizzate all'interno degli istituti dall'amministrazione penitenziaria, il condannato ha l'obbligo di parteciparvi (art. 20, terzo comma, dell'Ordinamento penitenziario), con la possibile applicazione di sanzioni disciplinari in caso contrario (art. 77, comma primo, n. 3, del Regolamento di esecuzione). La previsione dell'art. 30, ottavo comma, circa "l'eventualità" di tali attività lavorative deve, quindi, essere riferita all'impossibilità dell'amministrazione penitenziaria (art. 15, secondo comma dell'Ordinamento penitenziario) e non ad una libera scelta del detenuto perciò, in caso di rifiuto da parte di quest'ultimo di parteciparvi (oltre all'applicabilità di sanzioni disciplinari) vi può essere giudizio sfavorevole circa la concedibilità del permesso. In conclusione, la sussistenza del presupposto della regolare condotta deve risultare dalla valutazione della condotta tenuta dal soggetto nel periodo di espiazione della pena all'interno dell'istituto. Decisivo per l'accertamento di questa prima condizione, è il parere, obbligatorio, ma non vincolante, del direttore dell'istituto penitenziario, che si avvale del gruppo di osservazione e trattamento.
  2. Che il condannato non risulti socialmente pericoloso (34). Per l'accertamento di questo requisito sono acquisiti il certificato penale dell'interessato, copia della sentenza di condanna e soprattutto sono raccolte informazioni dagli organi di polizia del luogo di abituale dimora dell'interessato: le informazioni devono riguardare la condizione attuale del soggetto in rapporto all'ambiente in cui questi chiede di essere inserito (35). Il giudizio sulla "non pericolosità sociale" del condannato concerne la sua presumibile condotta una volta posto in libertà, sia pure per il tempo limitato della fruizione del permesso. Il giudizio prognostico sulla pericolosità sociale deve essere fatto in relazione alla probabilità che il detenuto commetta nuovi fatti di reato. Il parametro della pericolosità sociale, però, non deve essere semplicemente riferito al concetto di pericolosità sociale contenuto nell'art. 203 del Codice penale (che richiama gli indici di valutazione contenuti nell'art. 133 del Codice penale) poiché può portare ad un giudizio negativo sulla meritevolezza del permesso, solo perché condizionato da alcuni parametri normativi, quali per esempio quelli relativi alla "gravità del reato" che cristallizzano la personalità del condannato e non tengono conto dei progressi ottenuti nel corso del trattamento. In conclusione, ai fini della concessione del permesso premio, la pericolosità sociale deve essere intesa come probabilità che il condannato commetta non solo fatti criminosi, ma anche fatti idonei a turbare "l'ordinato svolgersi della vita collettiva" (36). La sottoposizione al regime di sorveglianza particolare prevista dall'art. 14-bis opera in senso sfavorevole al permesso con riferimento al requisito della regolare condotta e della pericolosità sociale (37).
  3. Che il permesso consenta di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. Le tre finalità, espressamente indicate dalla norma, che possono motivare la richiesta del permesso e legittimarne la concessione, non devono essere considerate esaustive di tutti gli scopi sottostanti la concessione del beneficio. Si può, quindi, ipotizzare la concessione di un permesso premio al condannato per consentirgli di coltivare interessi anche diversi da quelli espressamente indicati dalla norma, purché ciò sia utile ai fini del trattamento (per esempio partecipazione a manifestazioni sportive, cinematografiche ovvero per ragioni di mero svago). Analizzando le tre finalità per le quali è possibile chiedere ed ottenere un permesso premio, il "coltivare interessi affettivi" concerne la soluzione del cosiddetto problema sessuale dei detenuti, da sempre presente, in particolare per i condannati alla pena dell'ergastolo. Nella finalità di "coltivare interessi culturali" possono essere inseriti i problemi inerenti al "diritto all'istruzione" del detenuto, sia con riguardo al completamento e perfezionamento della "formazione culturale e professionale" acquisiti all'interno del carcere (art. 19 dell'Ordinamento penitenziario), sia con riguardo alla possibilità di sostenere esami universitari (38). Infine, la finalità di coltivare interessi di lavoro concerne quelle attività che possono essere svolte solamente con la saltuaria e temporanea uscita dal carcere in permesso: per esempio il detenuto che in vista della maturazione dei requisiti per l'ammissione al regime di semilibertà, chiede di godere di un permesso per prendere gli opportuni contatti. Deve essere accertata sempre la fondatezza del motivo addotto, anche tramite richiesta di informazioni adeguate. Poiché il provvedimento di concessione del permesso premio assume la forma giuridica del decreto motivato, il magistrato di sorveglianza dovrà dare conto, nella motivazione, della sussistenza di tutti e tre i requisiti voluti dalla legge.

2.1. Aspetti procedurali

Il provvedimento di concessione del permesso premio assume la forma giuridica del decreto motivato adottato con procedimento de plano (art. 69, comma settimo, dell'Ordinamento penitenziario): il magistrato di sorveglianza, quindi, deve dare conto, nella motivazione, della sussistenza di tutti e tre i requisiti voluti dalla legge. Gran rilievo assume, come detto, il parere del direttore dell'istituto ai fini della valutazione della sussistenza della regolare condotta detentiva dell'interessato: il parere del direttore dell'istituto non è vincolante, tuttavia, deve essere tenuto in notevole considerazione dal magistrato di sorveglianza in relazione alla necessità di valutare adeguatamente i presupposti soggettivi di concessione del beneficio.

Il provvedimento di concessione o diniego del permesso è comunicato, dal magistrato di sorveglianza, immediatamente e senza formalità, al Pubblico Ministero e all'interessato, i quali, sono legittimati entro ventiquattro ore da tale comunicazione (39), a proporre reclamo al Tribunale di sorveglianza che (assunte, se necessario, sommarie informazioni) provvede entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo (art. 30-ter, comma settimo, dell'Ordinamento penitenziario, che richiama l'art. 30-bis dell'Ordinamento penitenziario) (40). Deve essere data immediata comunicazione alle parti della decisione adottata.

Nel caso di reclamo formulato dal Pubblico ministero (o dall'interessato, nel solo caso in cui sia lamentata la sottoposizione a scorta nella fruizione del permesso, richiesto a piede libero), l'esecuzione del permesso è sospesa sino al decimo giorno, decorrente dalla ricezione del reclamo da parte del Tribunale di sorveglianza. Se entro tale termine perentorio, non è adottata una decisione, il permesso deve essere eseguito.

Contro la decisione del Tribunale di sorveglianza è possibile esperire ricorso per Cassazione (41). Il ricorso è esperibile per violazione di legge per le ipotesi di cui all'art. 606 del Codice di procedura penale. Il termine perentorio per il ricorso è di quindici giorni e decorre dalla data di notificazione o comunicazione del provvedimento. Il ricorso per Cassazione non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, che è immediatamente esecutiva; tuttavia, il Tribunale di sorveglianza che ha emesso la pronunzia può sospenderne l'esecuzione (art. 666, comma settimo, del Codice di procedura penale).

La durata complessiva della concessione non può superare i quarantacinque giorni nell'ambito di ciascun anno di espiazione di pena. Il singolo permesso non può avere durata superiore ai quindici giorni. Si deve ricordare che, a differenza di quanto previsto per i permessi di necessità, il tempo occorrente per raggiungere il luogo di fruizione e per il rientro in istituto non si aggiunge alla durata del beneficio, ma è in essa ricompreso anche ai fini del conteggio del tetto massimo di concedibilità annuale. Possono essere disposte le cautele ritenute dal giudice necessarie ed opportune, così come previsto per il permesso di necessità: in particolare, tali cautele consistono nella consegna al detenuto in permesso di una somma prelevata dal suo peculio disponibile (art. 57, comma dodicesimo, del Regolamento di esecuzione). Qualora dagli accertamenti sulla pericolosità emergano elementi che possano far presumere il mancato, spontaneo rientro in istituto o la perpetrazione di reati, il giudice può disporre che l'interessato sia scortato per tutto o per una parte del permesso. In relazione a quest'aspetto deve essere considerata la personalità del soggetto, la sua evoluzione, l'indole del reato o dei reati sanzionati con la pena in esecuzione. In ogni caso, il decreto deve stabilire le prescrizioni che sono imposte: osservanza di particolari orari, presentazione alle autorità di pubblica sicurezza, obblighi di permanenza al domicilio per tempo determinato, ecc. (art. 61, comma secondo, del Regolamento di esecuzione)

Se il fruitore alla scadenza del termine prefissato, non fa rientro nell'istituto penitenziario, è prevista la punizione in via disciplinare se l'assenza si protrae oltre tre ore ma non oltre le dodici; se l'assenza si protrae oltre le dodici ore s'impone la denuncia per il delitto di evasione (art. 30-ter, comma 6, che richiama la disciplina dei permessi di necessità di cui all'art. 30 dell'Ordinamento penitenziario).

La legge dispone un chiaro collegamento della concessione e della fruizione dei permessi premio con il programma di trattamento rieducativo, che deve essere predisposto prima dell'ammissione del soggetto al beneficio: la modalità di fruizione del permesso premio costituisce, infatti, un importante strumento di apprezzamento della realizzazione progressiva di tale programma. Per queste ragioni la fruizione del beneficio deve essere seguita dagli educatori e dagli assistenti sociali con particolare attenzione ed in collaborazione con gli operatori sociali del territorio; quest'aspetto dell'ordinamento costituisce un punto di contatto fra carcere e la società libera consentendo l'intervento di quest'ultima, anche per mezzo degli appositi organi territoriali, nella rieducazione del condannato.

E' da ricordare, infine, la grande rilevanza del disposto dell'art. 53-bis, comma primo, dell'Ordinamento penitenziario secondo il quale: "Il tempo trascorso dal detenuto o dall'internato in permesso o in licenza è computato ad ogni effetto nella durata delle misure restrittive della libertà personale, salvi i casi di mancato rientro o di gravi comportamenti da cui risulta che il soggetto non si è dimostrato meritevole del beneficio". In questi casi il tempo stesso è escluso dal computo della pena con decreto motivato del magistrato di sorveglianza. Tale decreto può essere reclamato al Tribunale di sorveglianza secondo la procedura prevista per l'assoggettamento al regime di sorveglianza particolare (art. 14-bis dell'ordinamento penitenziario); la Corte costituzionale (42) ha poi statuito l'adottabilità delle norme sul procedimento di sorveglianza.

3. Le circolari in materia di permessi premio

A livello amministrativo sono da segnalare cinque circolari in materia di permessi premio (art. 30-ter dell'Ordinamento penitenziario) emesse dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che integrandosi fra loro, delineano la corretta interpretazione e applicazione della disciplina dei permessi premio, introdotta dalla riforma del 1986. Con la prima circolare (43), del dicembre del 1986, il Ministero fornisce alcune indicazioni operative su questioni controverse causate dalla riforma del 1986. Per quanto riguarda i permessi premio, la circolare, dopo aver ripetuto che la decisione sulla concessione del permesso spetta esclusivamente al magistrato di sorveglianza, individua quali sono i criteri che il direttore deve seguire per la compilazione del parere: il direttore deve esercitare questo compito "con alto senso di responsabilità e di equilibrio", per la valutazione del requisito della condotta regolare si invita a tenere conto anche dei periodi di detenzione scontati presso altri istituti; mentre, per il requisito dell'assenza di pericolosità sociale si invita a valutare i precedenti penali e penitenziari del detenuto e quanto "può risultare alla direzione dalla storia del soggetto e dalla sua cartella personale, seppure relativo a periodi di detenzione svolti in altri istituti". Con riferimento ancora ai due requisiti soggettivi necessari per la concessione dei permessi premio, il Ministero di grazia e giustizia impone ai direttori di verificare la sussistenza di entrambi i requisiti utili ai fini della concessione del permesso premio, poiché:

E' da escludere assolutamente che la sussistenza della regolare condotta possa di per sé implicare l'assenza della particolare pericolosità. Vi sono o possono indubbiamente esservi detenuti i quali, pur mantenendo una condotta formalmente regolare, sono tuttavia da considerare particolarmente pericolosi.

La circolare lodando la valenza positiva dell'istituto dei permessi premio quale strumento di civilizzazione ed umanizzazione della pena, mette in guardia affinché l'istituto non sia strumentalizzato o usato per fini non consentiti o "come occasione per sottrarsi all'esecuzione della pena". Il Ministero, infine, fornisce una serie di indicazioni concernenti la fase di esecuzione del provvedimento e l'attività degli operatori penitenziari, "tesa al buon esito del permesso", che deve consistere:

Nel fornire al condannato e ai servizi assistenziali territoriali le indicazioni necessarie a stabilire rispettivi validi collegamenti per gli eventuali problemi di carattere materiale, la cui soluzione alla stregua di quanto avviene per la comunità dei cittadini - è propria degli enti locali.

Inoltre, il Ministero invita gli educatori dell'istituto e gli assistenti sociali del centro territorialmente competente ad individuare dei "referenti ai quali il condannato in permesso potrà rivolgersi in caso di necessità".

Con una successiva circolare del maggio del 1988 (44), il Ministero completa la disciplina delineata nella precedente circolare 3191/5641: la circolare riguarda specificamente lavoro all'esterno e permessi premio e prevede disposizioni e chiarimenti per l'amministrazione penitenziaria circa la loro corretta gestione. La circolare si apre con un richiamo ai Direttori affinché tengano presente la delicatezza dei compiti loro affidati e indica le conseguenze negative che possono derivare da un uso non appropriato dei poteri loro attribuiti: si fa notare come l'allarme sociale procurato può, infatti, determinare il fallimento della riforma o una modifica restrittiva di questa. La circolare, per questi motivi, ripete la necessità e la doverosità che i Direttori verifichino la sussistenza formale e sostanziale di tutti i presupposti di legge, prima di adottare ogni provvedimento per esprimere un parere favorevole al permesso premio.

La circolare descrive quali sono gli elementi da valutare per verificare la sussistenza dei due requisiti della "regolare condotta" e dell'assenza di "particolare pericolosità sociale". Circa la regolare condotta, l'accertamento degli elementi del senso di responsabilità e correttezza deve essere tale da:

Esprimere il complesso degli elementi sulla base dei quali il detenuto possa essere concretamente e ragionevolmente ritenuto meritevole di grande fiducia per le sue qualità di sincerità nelle manifestazioni del suo positivo ed apprezzabile comportamento e di lealtà.

Niente è, invece, innovato rispetto alla costanza nella regolare condotta, che deve essere verificata anche per le parti di pena scontate presso diversi istituti.

La circolare definisce con precisione anche il secondo requisito della particolare pericolosità: questa si desume dal timore che il detenuto, se ammesso ad uscire dall'istituto, non vi rientri alla scadenza del permesso, o possa commettere qualche reato o mantenere collegamenti con l'organizzazione criminale di appartenenza o con ambienti della criminalità, ovvero possa fungere da tramite fra i detenuti e gli ambienti esterni. A questo fine, i Direttori devono acquisire informazioni dagli uffici della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Interessante è il riferimento, fatto dalla circolare, agli aspetti procedurali: si chiarisce che il direttore non ha un potere di impulso o di iniziativa, od il potere di esprimere orientamenti, ma ha "il potere-dovere di esprimere un parere tecnico e articolato su vari parametri", al fine di consentire al magistrato di sorveglianza di decidere nel modo migliore. I pareri dei Direttori, inoltre, devono essere sempre motivati, in ordine a tutti i requisiti, elementi e situazioni indicate nella legge e a tutte le valutazioni e modalità adottate. La circolare, infine, prevede una serie di indicazioni generali utili alla valutazione dei requisiti di legge: la necessità di valutare sempre il "precedente" che ciascun caso può esercitare su altri casi simili; la rilevanza dell'atteggiamento processuale e penitenziario del soggetto, ma soprattutto la gravità dei reati commessi; il tempo più o meno recente della loro consumazione, il clamore che li ha accompagnati, il periodo di detenzione sofferta e l'esistenza o meno di collegamenti con associazioni criminali. Successive indicazioni riguardano la considerazione di eventuali allarmi o preoccupazioni sociali che potrebbero derivare dalla concessione del permesso; infine, la circolare prescrive un doveroso rispetto per le vittime del delitto, per i parenti e familiari, tanto più quanto più grave e recente sia il delitto stesso.

La circolare del 6 giugno del 1988 (45) contiene, invece, una serie di risposte a quesiti posti dai Centri di servizi sociali, concernenti la richiesta da parte dell'Amministrazione giudiziaria di riferire sull'ottemperanza dell'obbligo del detenuto permessante di presentarsi al servizio sociale ove trascorre il permesso e sull'obbligo dei Centri di riferire sull'andamento del permesso stesso. Circa il primo quesito, la circolare, dopo aver rilevato che spesso i centri non conoscono i soggetti che escono in permesso e, quindi, il colloquio con il detenuto in permesso è l'occasione per conoscere la sua situazione, rileva che tale colloquio con il centro non deve confondersi con l'attività della pubblica sicurezza, ma risponde alla necessità di fornire gli elementi utili alla pianificazione degli interventi. I centri di servizio sociale devono, poi, stabilire i collegamenti con gli enti locali territoriali per l'attivazione degli interventi necessari al singolo caso. La circolare, nell'attesa dell'emanazione del nuovo Regolamento di esecuzione, individua le procedure operative da seguire nell'esecuzione del permesso premio: il provvedimento di concessione del permesso è trasmesso dal direttore dell'istituto di provenienza al Centro di servizio sociale ad esso collegato e, nel caso in cui il permesso sia fruito in una località diversa da quella in cui ha sede l'istituto, al centro di servizio sociale territorialmente competente. Quest'ultimo, sentiti gli operatori sociali del territorio, riferisce alla Direzione dell'istituto e al Centro di servizio sociale competente sugli interventi effettuati.

La circolare del giugno 1994 (46) individua alcuni interventi utili al fine di rendere più breve l'iter istruttorio delle pratiche relative ai permessi premio. Si invita, infatti, le direzioni degli istituti a curare che:

Sulla lettera di trasmissione sia presente l'informazione circa la data presunta di chiusura delle attività di osservazione della personalità, se in corso, ovvero la precisazione che esse non sono state, al momento, avviate.

La circolare del luglio 1990 (47), infine, completa l'interpretazione della Legge n. 663 del 1986 in materia di permessi premio, alla luce della modifica intervenuta con l'art. 13 della Legge 19 marzo 1990, n. 55, che modifica l'art. 30-ter della Legge n. 354 del 1975, introducendo il comma 1-bis secondo il quale: "Per i condannati per reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, di criminalità organizzata, nonché per il reato indicato nell'art. 630 del codice penale, devono esser acquisiti elementi tali da escludere l'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata" (48). La circolare torna, ancora una volta sui presupposti necessari ai fini della concessione del permesso premio per tracciarne in modo netto e definitivo i profili: il giudizio favorevole sul comportamento carcerario vi può essere quando il detenuto manifesti con certezza "la sua sincera revisione critica dell'episodio o degli episodi e la sua sincera volontà di partecipare all'opera di rieducazione e di reinserirsi nella società civile". Al fine di una corretta valutazione del requisito, il ministero invita a tenere presente anche le relazioni del soggetto con i familiari, gli amici e conoscenti ammessi ai colloqui o alle visite, con i compagni di detenzione e con gli operatori penitenziari. Circa il secondo requisito - l'assenza di pericolosità sociale - invece, il Ministero afferma che questo difficilmente può essere valutato pienamente dagli operatori penitenziari; questi, pertanto, devono fornire la più completa indicazione sugli elementi da cui è possibile trarre un giudizio oggettivo e certo sull'assenza di pericolosità sociale, la cui valutazione compete alle forze di polizia, alle quali il giudice di sorveglianza dovrà rivolgersi.

La circolare si chiude con l'auspicio che la riforma del 1986 sia applicata da tutti "con il massimo della convinzione, dell'impegno, dell'entusiasmo". Traspare nelle parole finali della circolare, così come nella precedente circolare n. 3246/5696, un parere nettamente favorevole sulla riforma, alla quale, è da precisare, l'amministrazione penitenziaria ha dato un contributo essenziale: i risultati negativi, infatti, sono imputati ad errori d'interpretazione e d'applicazione che ne impediscono l'accettazione e la difesa e che fermano il progresso del sistema penitenziario italiano secondo gli ideali della civiltà e dell'umanità.

Note

1. Canepa M., Marcheselli A., Merlo S., Lezioni di diritto penitenziario, Giuffrè editore, Milano 2002, p. 97.

2. Pavarini M., Art. 30-ter, ord. pen. Permessi premio, in "Codice commentato dell'esecuzione penale", Torino, Utet, 2002, p. 76.

3. Giunta F., Commento art. 9, Legge 10 ottobre 1986, n. 663, in "Legislazione penale", 1987, p. 136.

4. Margara A., La modifica della legge penitenziaria: una scommessa per il carcere, una scommessa contro il carcere, in "Questione giustizia", 1986, p. 530.

5. Tampieri L., I permessi premio e le norme in materia di permessi e licenze, in Flora G. (cura di), Le nuove norme sull'ordinamento penitenziario - L. 10 ottobre 1986, n. 663, cit., p. 161.

6. G. Di Gennaro, M. Bonomo, R. Breda, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, IV edizione, Giuffrè editore, Milano 1987, p. 206.

7. Corte Costituzionale, 30 luglio 1997, n. 296.

8. Il testo è in "Rivista italiana di diritto e procedura penale", 1972, pp. 616 e ss.

9. Il testo è in "Rivista italiana di diritto e procedura penale", 1974, 667 e ss.

10. Questa ultima soluzione ha dato generalmente, nei paesi che l'hanno sperimentata, esito negativo, almeno per quanto riguarda le gravi implicazioni, per la vita degli altri detenuti e per i rapporti umani in senso lato, derivanti dal crearsi di un'atmosfera artificiosa di erotismo, centrata sul compimento materiale dell'atto, anziché sulla sua mancanza. Altro fattore negativo è la condizione di difficoltà in cui è posto il sistema organizzativo dell'istituto, a fronte di un'attività del genere. G. Di Gennaro, M. Bonomo, R. Breda, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, IV edizione, Giuffrè editore, Milano 1987, p. 204.

11. Reccommandation n. R (82) 16 du Comité des Ministres aux Etats membres sur le congé pénitentiaire, adottata il 24 settembre 1982.

12. Si sollecita, in ogni caso, l'Amministrazione penitenziaria ad operare, nello spazio aperto dalla Legge, pur con la soppressione del comma sui permessi speciali, una cauta sperimentazione nel senso indicato. 404º "Bollettino delle Commissioni - Camera dei deputati", 1974.

13. L'indagine è disposta nella seduta del 20 gennaio 1977, quando il Consiglio superiore della magistratura "con specifico riferimento all'istituto dei permessi sul quale di recente si sono appuntate le critiche della stampa e si sono diffusi dati statistici non omogenei e, spesso di non facile interpretazione in ordine al numero dei detenuti che non sono rientrati, ha deliberato di promuovere un'accurata indagine conoscitiva al fine di valutare la situazione nella sua reale portata, in spirito di razionalità ed oggettività e nel rifiuto di ogni suggestione emotiva", (Circolare 28 gennaio 1977, n. 304, in "Notiziario del Consiglio superiore della magistratura", n. 1 del 31 gennaio 1977). Da quest'indagine, relativa al periodo 24 agosto 1975 - 31 gennaio 1977, risulta che su 33.775 detenuti mediamente presenti sono stati accordati 28.180 permessi e che 27.240 detenuti sono rientrati spontaneamente, anche se in ritardo, mentre non hanno fatto ritorno in carcere 940 detenuti, dei quali 415 catturati successivamente e 525 latitanti al momento dell'indagine. Fra questi figurano 25 condannati per omicidio, 6 per tentato omicidio, 68 per rapina, 30 per truffa, 251 per furto, 13 per sfruttamento della prostituzione.

14. Margara, Aspetti pratico-operativi delle misure alternative alla detenzione, in F. Mantovani (a cura di) "Pene e misure alternative nell'attuale momento storico", Giuffrè, Milano 1977, p. 76.

15. Nella seduta del 17 marzo 1977, il Consiglio superiore della magistratura dispone una nuova indagine conoscitiva dopo aver "ritenuto che una realistica valutazione del fenomeno in esame non possa prescindere dalla rilevazione di un dato a suo tempo trascurato per l'estrema esiguità del tempo concesso per fornire risposta ai quesiti, quello cioè riguardante l'indicazione del numero dei detenuti che abbiano ottenuto almeno un permesso. Solo, infatti, la conoscenza di questo dato può consentire di determinare la percentuale dei detenuti non rientrati rispetto a tutti coloro che sono andati in permesso" (Circolare 23 marzo 1977, in "Notiziario del Consiglio superiore della magistratura", n. 5 del 31 marzo 1977). Nella relazione di sintesi approvata dal Consiglio superiore della magistratura nella seduta del 7 luglio 1977 ("Notiziario del Consiglio superiore della magistratura", n. 11 del 31 luglio 1977) è riferito che nel periodo dal 24 agosto 1975 al 31 gennaio 1977 emerge che la percentuale dei detenuti non rientrati rispetto a quelli che hanno beneficiato di uno o più permessi è del 5,61 per cento.

16. Art. 3 Legge 12 gennaio 1977, n. 1, in rapporto all'art. 11, secondo comma, Legge 26 luglio 1975, n. 354.

17. G. Flora (a cura di), Le nuove norme sull'ordinamento penitenziario - L. 10 ottobre 1986, n. 663; Giuffrè editore, Milano 1987.

18. Corte d'appello di Perugia, 6 dicembre 1980.

19. Tribunale di Campobasso, 23 settembre 1978.

20. Corte d'appello di Perugia, 6 dicembre 1980.

21. Corte d'appello di Roma 27 novembre 1978.

22. Corte d'appello di Roma, 25 ottobre 1977.

23. Tribunale di Perugia, 14 gennaio 1982.

24. L'ordinanza di rimessione è in "Giurisprudenza costituzionale", 1979, p. 1018.

25. Uno degli obiettivi perseguiti con la scelta di concedere solo ai detenuti 'condannati' la possibilità di ottenere i permessi premio è legato alla finalità data a questo istituto dal legislatore di fungere da incentivo ad abbandonare la prassi dell'utilizzazione dei mezzi di impugnazione in funzione esclusivamente 'defatigatoria', allo scopo, in pratica, di procrastinare il più possibile il raggiungimento del risultato senza reali speranze difensive. La rinuncia alle impugnazioni difficilmente, però, è ottenibile da un condannato alla pena dell'ergastolo, il quale può beneficiare dei permessi solo dopo aver scontato dieci anni di pena; al massimo si può avere rinuncia al solo ricorso per Cassazione e non all'impugnazione di merito. Tampieri L., I permessi premio e le norme in materia di permessi e licenze, in Flora G. (cura di), Le nuove norme sull'ordinamento penitenziario - L. 10 ottobre 1986, n. 663, cit., p. 135.

26. Giunta F., Commento art. 9, Legge 10 ottobre 1986, n. 663, cit., p. 138.

27. Tampieri L., I permessi premio e le norme in materia di permessi e licenze, cit.

28. Corte Costituzionale, 6 giugno 1995, n. 227, in "Rivista di diritto e procedura penale", 1995, p. 1305, la quale afferma: "E' incostituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., violando i principi dell'uguaglianza e della funzione rieducativa della pena, l'art. 30-ter, 4º co, l. 26-07-1975, introdotto dall'art. 9, l. 10-10-1986, n. 663, nella parte in cui non prevede requisiti di ammissione al permesso premio rispetto alla reclusione militare equivalenti a quelli previsti per la pena della reclusione ordinaria: e ciò sia nel caso in cui venga espiata una pena originariamente militare, sia nel caso in cui la pena militare venga espiata in sostituzione della pena comune".

29. La Cassazione, a proposito delle diverse condizioni necessarie per l'applicazione dei due istituti, ha stabilito che: "Mentre la concessione dei permessi premio è condizionata unicamente alla regolare condotta tenuta dal condannato ed alla sua non particolare pericolosità sociale, per l'ammissione al beneficio della liberazione anticipata si esige non solo una condotta regolare, ma anche la prova della partecipazione del condannato all'opera di rieducazione, desumibile dalle circostanze indicate esemplificativamente nell'art. 94 del regolamento approvato con d.p.r. 431/1976. Ne consegue che legittimamente viene respinta la richiesta di ammissione alla liberazione anticipata avanzata da detenuto già ammesso a fruire dei permessi premio". (Cassazione, 20 marzo 1989, in "Cassazione penale", 1990, p. 981). In seguito la Suprema Corte ha stabilito che: "L'osservazione del condannato ai fini della liberazione anticipata non è limitata ai periodi di stretta detenzione ed è applicabile anche ai periodi in cui il soggetto usufruisce di permessi premio dato che la prova di partecipazione all'opera di rieducazione deve essere data anche per periodi trascorsi al di fuori delle strutture penitenziarie". (Cassazione penale, sezione I, 11 maggio 1990, Minniti).

30. La lunghezza del periodo di sospensione dell'ammissibilità del beneficio indica chiaramente che la norma da un lato ha come destinatari i condannati a lunghe pene detentive, dall'altro sembra diretta ad incentivare il più possibile comportamenti corretti e rispettosi della legge, dato i molti reati che sono commessi all'interno degli istituti. Questa seconda caratteristica appare, però, troppo "punitiva" poiché porta a dare rilievo a qualsiasi delitto doloso per il quale il soggetto è imputato, con il risultato che la sospensione dei permessi può riguardare soggetti che hanno commesso fatti di modesta gravità, sui quali l'accertamento può non giungere in tempi brevi. Margara A., La modifica della legge penitenziaria: una scommessa per il carcere, una scommessa contro il carcere, in "Questione giustizia", 1986, p. 254.

31. La Corte costituzionale, con sentenza 30 luglio 1997, n. 296, dichiara infondate le questioni legittimità costituzionale dell'art. 30-ter, quinto comma, dell'Ordinamento penitenziario per violazione degli artt. 3 e 27, primo comma, della Costituzione. Circa la prima questione, la Corte afferma che: "L'art 30-ter, 5º co., ord. pen., non contrasta con l'art. 3, Cost., sotto il profilo dell'identità di trattamento tra condannato con sentenza definitiva e chi sia solo imputato, sia per l'improprietà del richiamo al principio di non colpevolezza, sia perché il reato incidente sulla preclusione contestata viene addebitato in uno stato avanzato dopo che l'azione penale è stata esercitata; (...) non contrasta sotto il profilo dell'identico regime tra chi abbia commesso il fatto prima della carcerazione e chi durante la detenzione, in funzione dell'eterogeneità delle fattispecie poste a raffronto; (...) non contrasta, per l'eterogeneità del raffronto suggerito, sotto il profilo della comparazione tra il permesso premio e l'affidamento in prova al servizio sociale, non attinto dal medesimo effetto preclusivo". Circa il secondo profilo di possibile illegittimità costituzionale, la Corte afferma che: "La presunzione di non colpevolezza di cui all'art 27, Cost., è legata al fatto reato e non può essere estesa ad aspetti concernenti il trattamento penitenziario conseguente al delitto per cui è in corso l'esecuzione; pertanto non contrasta con detta disposizione l'art. 30-ter, 5º co., ord. pen.; (...) considerata la particolare natura del permesso premio, quale parte integrante del trattamento penitenziario, ancorato alla regolarità della condotta, non può ritenersi in contrasto con l'art. 27, Cost., l'automatismo dell'esclusione del permesso premio per un certo periodo di tempo come disposto dall'art. 30-ter, 5º co., ord. pen.".

32. La Cassazione, con sentenza 20 giugno 1989, in "Cassazione penale", 1981, p. 821, ha affermato che: "La competenza territoriale a concedere permessi premio spetta la magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sull'istituto di pena al quale il detenuto risulta assegnato definitivamente e stabilmente, a nulla rilevando la sua presenza occasionale o temporanea in altro istituto".

33. La relazione al disegno di legge, che poi diviene la Legge n. 663 del 1986, definisce la "regolare condotta" quando i detenuti "abbiano accettato la pena conformandosi alle regole di vita proprie dell'istituzione carceraria". Senato della Repubblica, Relazione, 5.

34. Le originarie parole "di particolare pericolosità sociale" sono state sostituite con l'inciso "socialmente pericolosi" dall'art. 1, comma terzo, del Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, recante "Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata", convertito, con modificazioni, nella Legge 12 luglio 1991, n. 203.

35. La Suprema Corte, a proposito dell'accertamento del requisito della pericolosità sociale, ha affermato: "Ai fini della concessione o meno del permesso premio, ai sensi dell'art. 30-ter dell'ordinamento penitenziario, prevedendosi in tale norma, oltre al requisito della regolare condotta, anche quello dell'assenza della particolare pericolosità sociale, è del tutto legittimo che quest'ultimo venga valutato con particolare attenzione nel caso di soggetti condannati per reati di allarmante gravità e con fine pena lontani nel tempo, attribuendosi rilevanza in senso negativo, anche alla mancanza di elementi indicativi di una rivisitazione critica, da parte del condannato, del suo pregresso comportamento deviante". Cassazione penale, sezione I, 11 febbraio 2005, n. 5430 (c.c. 25 gennaio 2005), Liso.

36. Tampieri L., I permessi premio e le norme in materia di permessi e licenze, cit. p. 155. Contrario a quest'ipotesi è Pavarini M., Art. 30-ter, ord. pen. Permessi premio, cit., p. 79, per il quale deve essere accolto il richiamo all'art. 203 del Codice penale, che comporta "in definitiva un giudizio prognostico atto a valutare la probabilità che il soggetto commetta nuovi fatti previsti dalla legge come reati". A supporto di quest'interpretazione l'autore ricorda che il Tribunale di sorveglianza afferma in una sua ordinanza (Tribunale di sorveglianza di Roma, 19 gennaio 1994, in "Giustizia penale", 1994, II, p. 321) che si deve tener conto anche del contesto politico di appartenenza del condannato indipendentemente dal dato formale del titolo di reato per il quale è intervenuta la condanna.

37. Pavarini M., Art. 30-ter, ord. pen. Permessi premio, cit., p. 79.

38. La Corte Costituzionale, con sentenza 29 marzo 1984, n. 77, ha disposto con riferimento ai permessi di cui all'art. 30 dell'Ordinamento penitenziario che "il diritto allo studio è garantito al detenuto anche senza ottenere il permesso di allontanarsi dall'istituto di pena", escludendo così che tali permessi potessero essere utilizzati per fini di studio.

39. La Cassazione, in merito al termine di 24 ore entro le quali, ai sensi dell'art. 30-bis, comma terzo, dell'ordinamento penitenziario devono essere proposti i reclami in materia di permessi, ha osservato che tale termine deve essere rispettato "a pena di inammissibilità, anche per quanto riguarda i motivi posti a sostegno dell'impugnazione" (Cassazione penale, sezione I, 7 giugno 1999, n. 2593, Arrigo). In precedenza aveva osservato che "la proroga di diritto al giorno successivo non festivo dei termini che vengano a scadenza in giorno festivo, prevista dall'art. 172, comma 3, c.p.p., per i termini stabiliti a giorni, non può ritenersi operante nel caso di termini fissati dalla legge ad horas, come nel caso del termine di 24 ore stabilito dall'art. 30-bis, comma 3, dell'ordinamento penitenziario per la proposizione dei reclami avverso i provvedimenti di permessi". (Cassazione penale, sezione I, 13 marzo 1998, n. 901, Rossini).

40. "Il tribunale di sorveglianza, nel decidere sui reclami in materia di permessi premio, non può legittimamente adottare la procedura de plano ma è tenuto ad osservare le forme del procedimento camerale nel contraddittorio delle parti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 666 e 678, comma 1, c.p.p.". Cassazione penale, sezione I, 29 ottobre 1998, n. 4867 (c.c. 7 ottobre 1998), Natoli.

41. La Corte costituzionale con sentenza 6 giugno 1995, n. 227, cit., si è pronunciata anche sulla natura giuridica del permesso premio, esprimendosi a favore della natura giurisdizionale sia del permesso premio che della relativa procedura, smentendo così una consolidata giurisprudenza (Cassazione penale, sezione I, ordinanza 12 gennaio 1977, n. 2129, Donati; Cassazione penale, sezione II, ordinanza 7 aprile 1977, n. 2595, Ferrando; Cassazione penale, sezione I, 30 maggio 1985, Turizio; Cassazione penale, sezione I, ordinanza 16 ottobre 1991, Leonardi; Cassazione penale, sezione I, 15 maggio 1992, Guagliardo; Cassazione penale, sezione I, 15 gennaio 1994, n. 4914, Pitò; Cassazione penale, sezione I, 8 marzo 1994, n. 32, Reale), che configurava il provvedimento sul permesso premio come atto amministrativo, diretto ad attenuare il regime carcerario e pertanto non ricorribile in Cassazione. In seguito la Cassazione (Cassazione penale, sezione I, 3 aprile 1996, n. 1153, Resica) ha riconosciuto la ricorribilità per Cassazione delle ordinanze del Tribunale di sorveglianza concernenti la concessione o il diniego di permessi premio ai detenuti.

42. Corte costituzionale, 16 febbraio 1993, n. 53, in "Cassazione penale", 1993, p. 1901.

43. Circolare Dipartimento amministrazione penitenziaria, 29 dicembre 1986, n. 3191/5641. "Modifiche all'ordinamento penitenziario".

44. Circolare Dipartimento amministrazione penitenziaria, 30 maggio 1988, n. 3246/5696. "Lavoro esterno e permessi premio".

45. Circolare Dipartimento amministrazione penitenziaria, 6 giugno 1988, n. 582424-4-1. "Permessi premio".

46. Circolare Dipartimento amministrazione penitenziaria, 25 giungo 1994, n. 16776/IV. "Atti istruttori delle pratiche concernenti l'ammissione ai benefici di legge da parte dei detenuti".

47. Circolare Dipartimento amministrazione penitenziaria, 3 luglio 1990, n. 3291/5741. "Interpretazione ed applicazione della legge n. 663 del 1986".

48. Questo comma è stato poi soppresso dall'art. 1, terzo comma, del Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, recante "Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata", convertito, con modificazioni, nella Legge 12 luglio 1991, n. 203.