ADIR - L'altro diritto

Devianza e disagio minorile in I.P.M.

Palma Dipino (*), 2006

Una premessa si rende necessaria: avendo lavorato per molti anni, sempre nella Giustizia Minorile ma presso l'USSM, e solo da pochi mesi con un ruolo all'interno dell'I.P.M. di Firenze, posso dire che l'ottica sulla devianza minorile e sul disagio adolescenziale nei due ambiti - esterno e interno - è completamente diversa, quasi su due mondi contigui e poco comunicanti.

Intanto l'utenza del carcere non è rappresentativa della delinquenza minorile toscana; quest'ultima non appare a livelli di allarme sociale, per la grande attenzione al mondo giovanile da parte delle Istituzioni presenti e della società civile; il reato spesso si può ricondurre ad un'esperienza circoscritta che, nella quasi totalità dei casi, non compromette il positivo inserimento sociale dei minori.

Come dimostrano i dati statistici, dei circa 1.500 minori denunciati all'anno in Toscana, circa un terzo (in prevalenza italiani) viene seguito dai Servizi Sociali nei contesti territoriali di appartenenza, in posizione di "piede libero" oppure sottoposti a misure cautelari non detentive, o a ordinanze di "messa alla prova"; degli altri due terzi dei procedimenti, la maggior parte vengono definiti ancora prima del processo penale, ad es. i reati definiti "bagatellari" (di lieve entità), mentre, infine, una restante quota di processi è a carico di stranieri "senza fissa dimora", a piede libero, pertanto, contumaci e irreperibili.

Per i minori, italiani o stranieri con regolare posizione in Italia, il carcere è diventato davvero "residuale", nello spirito del DPR 448/88: sono questi i grandi meriti e risultati del nuovo processo penale minorile, a cui a ragione, tutto il mondo guarda con ammirazione.

La lettura condivisa è la consapevolezza che in adolescenza sono frequenti i comportamenti "a rischio" (che mettono a rischio il proprio stato di benessere fisico e psico-sociale), quali fumare, usare droghe, guidare pericolosamente, commettere reati quali il furto (il più frequente nelle statistiche nazionali). Tali comportamenti assolvono a delle funzioni evolutive, nel difficile percorso verso il raggiungimento di un'identità adulta, sia sotto il profilo personale che sociale, che potremmo sintetizzare nel bisogno di riconoscimento, soprattutto nel gruppo dei pari, bisogno di protagonismo, di trasgressione, di sembrare già adulti.

Che cos'è il disagio adolescenziale

E' la fatica di crescere, di diventare ed essere considerati "adulti", disagio che tutti noi abbiamo conosciuto, vincendo insicurezze e timidezze, un percorso evolutivo all'interno del quale anche il reato può essere considerato, a volte "un incidente di percorso" (80% dei casi).

Numerose variabili intervengono nella capacità del giovane di non adottare dei comportamenti dannosi o sapersene allontanare, una volta sperimentati in via transitoria: principalmente il senso dell'"autoefficacia" personale, intesa come autostima e consapevolezza del proprio valore, viene considerato come uno dei maggiori fattori protettivi dai comportamenti che mettono a rischio il benessere psico-fisico degli adolescenti. Per l'acquisizione dell'autoefficacia da parte dell'adolescente è fondamentale il ruolo della famiglia, delle agenzie educative come la scuola, dell'accesso ad attività di tempo libero (sport, volontariato, ecc.).

Chi sono i ragazzi che entrano in I.P.M in Toscana

Numericamente (circa 150 all'anno) sono circa il 10% del totale dei ragazzi denunciati.

Come nelle altre strutture del Centro-Nord, nel 95% dei casi si tratta di immigrati clandestini, in attesa di giudizio, in prevalenza del Magreb ed ultimamente della Romania, che hanno affrontato in molti casi un viaggio rischioso, attratti dal benessere dell'Occidente.

In molti non forniscono un'identità documentata e questo fa si che anche ultra maggiorenni si trovino in Istituto insieme ai minorenni, per avere un iter giudiziario più favorevole, con pesanti ripercussioni sul contesto carcerario.

Se il processo penale non interviene prima, la custodia cautelare diventa una specie di "pena anticipata" e, alla scadenzadella misura, si perdono le tracce dei ragazzi se non hanno percepito, durante il tempo del carcere, la possibilità di avere un aiuto concreto: regolarizzarsi e inserirsi socialmente possibilmente con un lavoro retribuito.

I pochi italiani detenuti (ora sono due su ventisei), sono in posizione giuridica di "definitivi" per i quali, in molti casi la condanna è intervenuta per fallimento della "messa alla prova", ragazzi su cui i Servizi si attiveranno, nei termini di legge, per le misure alternative; in qualche caso si tratta di minori tossicodipendenti dove il fallimento degli interventi è comune a più Servizi ed il carcere appare come momento di contenimento estremo per un ripensamento (ma servirà?) e successivo affidamento a comunità terapeutiche.

Quale disagio psicologico in I.P.M.

Nel carcere è tutto amplificato, anche il disagio che diventa un dolore espresso apertamente, specie nell'impatto con la struttura, e ho visto pianti che durano per giorni e giorni, fatti di disperazione. Poi colpisce la solitudine con cui si vive l'esperienza della detenzione, sentimento che accomuna italiani e stranieri: i primi perché emerge come fossero molto soli anche prima del carcere, pur vivendo in famiglia, i secondi perché senza familiari, con difficoltà legate alla lingua che generano insicurezza e confusione rispetto al contesto in cui si trovano.

Frequenti sono gli atti di autolesionismo, espressione dell'incapacità di esprimere e verbalizzare il proprio malessere; le "minacce" di autolesionismo sono poi frequenti nel caso dei ragazzi già ampiamente maggiorenni che non risultano tali (senza documenti) e che riportano nel minorile dinamiche ed esperienze da carcere adulti, con un pericoloso effetto imitativo.

Sta aumentando negli ultimi anni, inoltre, il numero dei ragazzi, italiani e stranieri, portatori di disturbi psichiatrici collegati, in molti casi, all'uso di sostanze stupefacenti ("doppia diagnosi"). In questi casi appare evidente come la loro condizione non sia compatibile con la detenzione, dovendo dare priorità al trattamento terapeutico per prevenire episodi molto gravi, come atti pesanti di autolesionismo che mettono a rischio la vita, o direttamente tentativi di suicidio.

Qual è il lavoro psicologico

Innanzitutto accogliere la persona, nella sua specificità, accoglierne l'emotività dando spazio all'ascolto e favorendo l'azione di introspezione attiva. Ricostruire la storia di ogni ragazzo, nelle trame di esperienze familiari, sociali, non per trovare nessi di causalità deterministiche, bensì per esprimere ed analizzare i vissuti del soggetto rispetto a quelle esperienze, insieme a lui, far emergere bisogni ed esigenze con la prospettiva del reinserimento sociale.

Si aiuta il minore a fare un "bilancio psicologico" della propria vita, per riflettere su cosa sta perdendo e cosa sta guadagnando con uno stile di vita impostato sull'illegalità.

Tutto ciò diventa, inoltre, produzione di conoscenza per l'Autorità Giudiziaria, grazie allo scambio professionale ed al lavoro di equipe con l'educatore e l'assistente sociale.

L'ottica è quella di considerare anche il minorenne un SOGGETTO ATTIVO e richiamarlo al senso di responsabilità, intesa come capacità di agire e di elaborare delle prospettive per il futuro senza sentirsi vittima delle proprie condizioni.

Il tempo del carcere può riempirsi di significato se il lavoro educativo si propone quindi l'obiettivo di aiutare il ragazzo a conoscersi meglio, ad aumentare la propria autostima e, attraverso il coinvolgimento nelle attività, avere il senso della propria autoefficacia che in precedenza aveva forse sperimentato solo attraverso una indiscutibile "bravura" nel commettere reati.

Considerazioni sparse a conclusione del Seminario

  • L'accoglienza alla persona ed il supporto psicologico nel momento di crisi sono interventi ben limitati se il carcere minorile, in Toscana, non ricerca un'identità diversa, al di là del "buco nero" che può apparire oggi, poco collegato al mondo esterno.
  • L'utenza straniera e clandestina in carcere pone con urgenza il problema di poter offrire delle risorse significative e convincenti ai ragazzi con cui veniamo a contatto che appartengono per lo più ad altre culture, in funzione del recupero e della prevenzione della recidiva (importanza della mediazione culturale).
  • Riflettere sul perché spesso per gli stranieri il carcere non risulti collegato al tipo di reato commesso, ma diventi risposta obbligata in mancanza di alternative.
  • Rendere fruibili comunità e strutture residenziali pubbliche per le misure alternative anche per gli stranieri che fanno scelte di legalità (regolarizzandoli in questo caso), viste anche le ingenti spese di gestione del carcere per la collettività, a fronte delle quali la comunità risulta economicamente competitiva.
  • Appare necessaria una risposta più tempestiva al reato, fissando il processo entro la scadenza termini della custodia cautelare, come ormai avviene sempre più spesso, per non dare alla collettività il senso di una diffusa "impunità", per i reati, più allarmanti o meno che siano.
  • Prevedere un Ordinamento Penitenziario per i minori (che si attende dal 1975) con sanzioni specifiche al di là del carcere come unica pena (quali i "lavori socialmente utili").
  • Aprire delle collaborazioni con i vari Consolati per l'accertamento dell'identità degli stranieri.
  • Creare dei percorsi di continuità tra il "dentro" e il "fuori" del carcere, principalmente attraverso l'orientamento professionale ed una offerta di regolarizzazione (permesso di soggiorno) legata all'inserimento sociale, in collaborazione con le Istituzioni competenti.

Sappiamo che il carcere è sempre dannoso per un soggetto in evoluzione, per la sottocultura che permea quel contesto difficile da scalfire, perchè rafforza l'identità adolescenziale in senso deviante, e l'obiettivo è che diventi residuale per tutti i minorenni, compresi gli stranieri.

In attesa di "liberarsi dalla necessità del carcere" (convegno di Parma, 1988) dobbiamo tutti impegnarci affinché il tempo del carcere non sia un tempo inutile.

*. Psicologa C3, Istituto Penale per i Minorenni di Firenze.