ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo IV
L'espulsione degli stranieri in condizione irregolare nel Regno Unito

Diana Genovese, 2013

1. L'espulsione (deportation) e l'allontanamento (removal) degli stranieri nel Regno Unito

Nel Regno Unito nei confronti dei cittadini extraeuropei possono essere adottati un provvedimento di espulsione (deportation order) o un provvedimento di allontanamento (administrative removal). Nonostante la sostanziale affinità degli effetti prodotti, i motivi e i procedimenti attraverso i quali è possibile giungere all'espulsione o all'allontanamento degli stranieri sono molto differenti. L'Immigration Act del 1971, come modificato ed integrato da una serie di leggi successive (1), costituisce il quadro normativo di riferimento in materia di immigrazione e, insieme alle Immigration Rules (2), il fondamento legale del potere di espulsione degli stranieri nel Regno Unito.

1.1. Storia e sviluppi dell'esercizio del potere di espulsione degli stranieri (cenni)

Il potere di espulsione (deportation), istituito dall'Aliens Act nel 1905, si configura originariamente come la possibilità di adottare un provvedimento di espulsione in seguito ad una condanna per la commissione da parte di uno straniero di un reato punito con la pena detentiva. A partire dal 1914 fino al 1969, venne inoltre escluso per lo straniero sottoposto ad una procedura di espulsione l'accesso ad un ricorso o ad una revisione indipendente del proprio caso.

Nel Commonwealth Immigrants Act del 1962 si abolì il riconoscimento automatico del diritto di residenza a coloro che non erano nati nel Regno Unito: il diritto di diventare cittadini britannici e di risiedere e lavorare sul territorio era stato concesso nel 1948 agli abitanti del Commonwealth (3), con il British Nationality Act, sull'onda della crisi post-bellica che aveva indotto il governo ad agevolare l'ingresso di lavoratori stranieri per far fronte alle esigenze della ricostruzione. Nel 1962 venne introdotto per la prima volta il potere di espellere i cittadini del Commonwealth, anche se inizialmente, solo in seguito alla commissione di un reato sulla base di una raccomandazione del tribunale penale; tuttavia, era prevista un'eccezione a tale potere di espulsione laddove il soggetto interessato risultasse residente nel Regno Unito nei cinque anni precedenti. L'Immigration Act adottato nel 1971 mantenne la deroga fondata sulla residenza dello straniero sul territorio britannico per almeno cinque anni, ma successivamente essa venne comunque abolita. Proprio con l'Immigration Act del 1971 si portò a compimento quel processo di definitiva equiparazione tra stranieri e cittadini del Commonwealth ai fini dell'espulsione dal territorio britannico avviato nel 1962. In effetti già con l'Immigration Appeals Act del 1969 era stato conferito potere al Secretary of State di espellere i cittadini del Commonwealth, oltre che nell'ipotesi già prevista della raccomandazione da parte di un tribunale penale, anche qualora avessero violato le condizioni del proprio soggiorno sul territorio britannico.

A differenza degli sviluppi della legislazione dell'Unione europea (4) e della giurisprudenza del Consiglio d'Europa, attualmente nel Regno Unito una residenza di lunga durata, nonostante possa conferire uno status giuridico definito, non costituisce un limite all'espulsione per tutti gli stranieri.

Nel 1971 sia nei confronti dei cittadini del Commonwealth che degli stranieri, divenne possibile l'esercizio di un potere di espulsione laddove continuassero a soggiornare oltre il termine previsto dal proprio permesso (overstayers) nonché qualora rappresentassero un minaccia per il bene pubblico: così facendo si annullò in pratica ogni distinzione tra cittadini extraeuropei e cittadini del Commonwealth ai fini dell'espulsione, salvo per quanto concerne i casi di esenzione (5).

Nel corso degli anni, fino all'Immigration and Asylum Act del 1999, l'ambito di applicazione dell'istituto della deportation si ampliò progressivamente, producendo un sostanziale indebolimento dei diritti riconosciuti ai cittadini stranieri (6). Nel 1999, tuttavia, la maggior parte dei motivi legittimanti l'espulsione (deportation) vennero trasformati nelle cause fondanti un provvedimento di allontanamento (removal).

Dopo quest'ultima modifica legislativa, l'istituto della deportation visse un periodo di rara applicazione che lo relegò sostanzialmente ad un ruolo marginale nella gestione dell'immigrazione irregolare. Il potere di espulsione (deportation) fu riportato in auge solo a partire dal 2006, l'anno in cui un'inchiesta giornalistica portò alla luce che un considerevole numero di prigionieri stranieri - circa 1.000 in sette anni - erano stati rilasciati al termine delle loro condanne senza essere sottoposti ad una conseguente procedura di espulsione (7); ciò indusse il governo a predisporre un piano di riforma del sistema di espulsione degli stranieri condannati (8).

In particolare, il governo annunciò di voler prevedere un'espulsione automatica nel caso di commissione di gravi reati da parte di cittadini di paesi terzi («a presumption in favour of deportation of foreign nationals who are serious criminals») (9). Come si vedrà a breve, il risultato fu l'eliminazione di una valutazione nel merito dei singoli casi in favore della presunzione secondo la quale espulsione effettuata dal Secretary of State in nome del bene pubblico dovesse essere considerata adottata nel pubblico interesse. Successivamente il UK Borders Act del 2007 ha introdotto una forma di espulsione automatica nel caso in cui lo straniero sia stato condannato per taluni reati.

Ad oggi, dunque, l'esercizio del potere di espulsione (deportation) si legittima sulla base della condotta deplorevole di uno straniero riconosciuta in una sentenza penale o ritenuta esistente dal Secretary of State e, in ogni caso, a prescindere dalla regolarità del suo soggiorno sul territorio.

1.1.1. L'espulsione (deportation) degli stranieri nel Regno Unito

L'ambito di applicazione soggettivo della deportation comprende esclusivamente i cittadini non britannici: la sezione 3(5) dell'Immigration Act del 1971 statuisce infatti che (solo) «a person who is not a British citizen» può essere espulsa (deported). Per British citizen si deve intendere, ai sensi della sezione 2 della stessa legge (10), non solo colui che possiede la cittadinanza britannica, ma anche il cittadino del Commonwealth che mantenne il diritto di soggiorno nel momento in cui il British Nationality Act del 1981 entrò in vigore. Sono esclusi, inoltre, dall'ambito di applicazione, ai sensi della sezione 7(1), (b) e (c) dell'Immigration Act, i cittadini del Commonwealth e dell'Irlanda che possedevano la residenza 'ordinarily' nel Regno Unito al momento dell'entrata in vigore della legge (1º gennaio 1973) e che abbiano mantenuto la residenza sul territorio nei cinque anni precedenti la decisione di espulsione (11).

Infine, si ricorda, che i cittadini dell'European Economic Area (EEA), un'area che comprende oltre agli Stati membri dell'Unione europea l'Islanda, la Norvegia, il Liechtenstein e, ai sensi delle Immigration (European Economic Area) Regulations del 2006 (SI 2006/1003), anche i cittadini della Svizzera, i quali non sono soggetti alla disciplina dell'espulsione se non in forza delle disposizioni della direttiva 2004/38/CE (12).

Ai sensi della sezione 5(1) dell'Immigration Act (13), l'esercizio del potere di espulsione spetta al Secretary of State; tuttavia, in applicazione del Carltona principle (14), che equipara gli atti dei funzionari dei dipartimenti governativi a quelli del Ministro in carica, anche gli ufficiali autorizzati potranno eseguire, con i medesimi effetti, le funzioni del Secretary State. Per quanto riguarda il procedimento di espulsione, saranno autorizzati ad adottare i relativi provvedimenti i funzionari del Ministro degli interni (Home Office).

Attualmente, le circostanze in presenza delle quali l'autorità competente può adottare un provvedimento di espulsione sono previste dal paragrafo 363 delle Immigration Rules: in particolare, si tratta delle ipotesi in cui il Secretary of State ritiene che l'applicazione della misura sia necessaria alla tutela del bene pubblico (conducive to the public good) oppure quando la persona sia coniuge, convivente o figlio minore di anni diciotto della persona nei cui confronti è stato emesso un provvedimento di espulsione ovvero quando sia stato espresso un parere in tal senso da parte di un Tribunale che abbia condannato lo straniero di età superiore ai diciassette anni per un reato punibile con la reclusione (15).

Prima del 2006, questo potere di espulsione, e il pubblico interesse ad esso sotteso, dovevano essere bilanciati con tutta una serie di fattori personali previsti dal paragrafo 364 delle Immigration Rules e, in ogni caso, il pubblico interesse all'espulsione non avrebbe potuto prevalere sulle Convenzioni relative ai diritti umani e al diritto di asilo. Tuttavia, la giurisprudenza che si è pronunciata sul punto (16) ha affermato che sebbene la presunzione che l'espulsione contribuisca al bene pubblico sostituisca il precedente obbligo di ponderazione dei fattori personali rilevanti nei singoli casi, l'espulsione stessa potrà effettuarsi solo una volta che sarà dimostrata la veridicità della presunzione o qualora lo stesso tribunale abbia espresso parere in tal senso e sia stata esclusa la possibilità di una violazione dei diritti umani e del diritto di asilo.

Nel 2007, come accennato supra, è stato emanato l'UK Borders Act, il quale alla sezione 32 prevede che qualora uno straniero sia stato condannato ad una pena detentiva superiore a dodici mesi o abbia commesso un reato ricompreso tra quelli di cui alla sezione 72(4) del Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002 per il quale abbia riportato una condanna ad una pena detentiva di qualsiasi durata, il Secretary of State è obbligato ad adottare un provvedimento di espulsione nei suoi confronti (17), in quanto l'esercizio di tale potere risulta necessario alla tutela del bene pubblico.

Sono previste, tuttavia, delle eccezioni, in particolare nel caso in cui l'espulsione rischi di violare i diritti dello straniero garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dal diritto dell'Unione europea o dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati (18). L'adozione del provvedimento non è, inoltre, obbligatoria quando la condanna sia stata pronunciata all'epoca in cui lo straniero era ancora minorenne (19). Queste eccezioni non impediscono l'adozione del provvedimento, ma trasformano il dovere in una semplice facoltà, pertanto l'espulsione non sarà automatica. Sussiste, in effetti, un diritto per lo straniero a ricorrere contro il provvedimento per far valere le suddette eccezioni. Al contrario non esiste nessuna possibilità di appello nei confronti di un'espulsione automatica. Un'ulteriore eccezione è stata introdotta dalla sezione 146 del Criminal Justice and Immigration Act del 2008 per le vittime di tratta.

Fuori dalle ipotesi contemplate dal UK Borders Act, il Secretary of State detiene, invece, la discrezionalità nel decidere se l'espulsione contribuisca effettivamente al bene pubblico, a prescindere dalla presenza di una sentenza di condanna: tale potere è riconosciuto, oltre che nelle Immigration Rules, anche nell'Immigration Act del 1971, sezione 3(5)(a) (20). Si tratta di un potere molto ampio che non trova limiti in un'interpretazione specifica dell'espressione 'bene pubblico' (public good); tuttavia, nella prassi la commissione di un reato penale ha sempre costituito il parametro di riferimento privilegiato. La giurisprudenza richiede, inoltre, la valutazione di alcuni fattori, quali la gravità del reato, le probabilità di recidiva e l'eventuale efficacia deterrente che il provvedimento di espulsione potrebbe avere su altri soggetti.

Come accennato, è possibile espellere, altresì, i familiari della persona che è espulsa ai sensi della sezione 3(5)(a) dell'Immigration Act, laddove per familiare si intende il marito, la moglie o il partner civile e il figlio minore degli anni diciotto. Le Immigration Rules specificano, tuttavia, che il Secretary of State normalmente non deciderà di espellere il coniuge o il partner civile che ha un proprio permesso di soggiorno («he has qualified for settlement in his own right») oppure vive separatamente dalla persona espulsa (21). Allo stesso modo, il Secretary of State escluderà, di norma, l'espulsione del bambino qualora questi conviva con il genitore non espulso, separatamente da quello espulso, o abbia lasciato la casa dei genitori e abbia stabilito altrove la propria abitazione ovvero si sia sposato o abbia stretto un'unione civile prima che l'eventualità di un'espulsione gli venisse prospettata (22). In sostanza l'espulsione del familiare avrà luogo solo nei confronti di coloro che verosimilmente non saranno autosufficienti in assenza del parente espulso.

Laddove il Secretary of State ritenga, tuttavia, appropriata l'espulsione del membro della famiglia, la decisione e il relativo diritto a ricorrere contro di essa dovranno essere notificati e allo stesso tempo dovrà essere menzionata la facoltà di lasciare volontariamente il territorio britannico se l'interessato non desidera fare appello o l'appello effettuato venga respinto (23).

In ogni caso è esclusa l'adozione di un provvedimento di espulsione nei confronti del familiare qualora siano trascorse è più di otto settimane da quando l'espulso 'principale' abbia lasciato il paese (24).

Il Secretary of State può essere incaricato, infine, del potere di espellere uno straniero, ai sensi della sezione 3(6) dell'Immigration Act del 1971, in base ad una sentenza di condanna di un tribunale: la Corte, al momento della condanna per un reato punito con la pena della reclusione, può infatti raccomandare l'espulsione di un cittadino non britannico che abbia compiuto diciassette anni (25). In questo caso, l'eventuale ricorso contro la raccomandazione potrà essere effettuato facendo appello contro la sentenza di condanna. La scelta del Secretary of State di seguire l'indicazione della corte non è, tuttavia, obbligata: la giurisprudenza afferma, infatti, che il Ministro possiede un ruolo costituzionale diverso nel processo decisionale; egli si trova inoltre in una posizione che gli consente di avere una visione più ampia della necessità di un'espulsione (26). Nel caso di espulsione conseguente alla condanna penale da parte di un tribunale, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che l'espulsione non si configura in questo caso come una punizione, ossia come una sanzione penale, ma unicamente come una sanzione amministrativa a carattere preventivo (27).

La decisione di espulsione deve indicare le ragioni in base alle quali è stata adottata, il paese in cui verrà rinviato e l'avviso di un diritto a fare appello (28) contro la stessa.

Contro l'espulsione è riconosciuto un diritto di appello esercitabile all'interno del Regno Unito: il provvedimento è infatti ricompreso tra le immigration decisions previste dalla sezione 82 del Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002, rispetto alle quali la sezione 92 della medesima legge, titolata Appeal from within United Kingdom: general, riconosce la possibilità di impugnazione mentre il cittadino straniero si trova ancora sul territorio britannico; l'ordine di espulsione non potrà inoltre essere formalmente eseguito durante la pendenza dell'azione di fronte all'Asylum and Immigration Tribunal (AIT).

Il provvedimento di espulsione non scade dopo un periodo di tempo ma continua a produrre i suoi effetti fino alla sua revoca, salvo il caso in cui la persona interessata dalla decisione non diventi cittadino britannico (29). La decisione potrà essere revocata sulla base di una richiesta dell'interessato; i fattori da tenere in considerazione ai fini della revoca del provvedimento sono contenuti nelle Immigration Rules e riguardano i motivi in base ai quali è stata decisa l'espulsione, le ragioni addotte a sostegno della revoca, l'interesse della comunità, incluso il mantenimento di un effettivo controllo dell'immigrazione, nonché l'interesse del richiedente (30).

Qualora la decisione sia stata adottata, tuttavia, sulla base di una condanna penale, è previsto un periodo minimo di tempo che deve decorrere dal momento in cui il provvedimento è stato preso prima che la revoca possa essere considerata (31). Il periodo in questione ammonta a dieci anni qualora lo straniero abbia commesso un reato per il quale abbia riportato una condanna inferiore a quattro anni, mentre una precedente espulsione esclude definitivamente il reingresso laddove la condanna alla reclusione sia stata superiore a quattro anni, salva, in ogni caso, l'ipotesi in cui l'ingresso debba essere ammesso perché imposto dagli obblighi derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dalla Convenzione di Ginevra ovvero altre gravi circostanze lo richiedano.

Negli altri casi - ossia quelli non basati su una condanna penale - la revoca non verrà di regola autorizzata, salvo vi sia un mutamento delle circostanze o nuove informazioni che possano materialmente modificare la posizione del soggetto interessato; in questo caso il passaggio del tempo può esso stesso costituire una modifica delle circostanze in questione.

Ai sensi della sezione 82 del Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002, è ammesso il ricorso contro il rifiuto di revocare il provvedimento di espulsione, ma ai sensi della sezione 92 della stessa legge questo potrà essere esercitato solo fuori dal paese (32), salvo il ricorso stesso abbia ad oggetto la tutela dei diritti umani o del diritto di asilo, e non sia stato dichiarato manifestamente infondato (33).

È necessario sottolineare, tuttavia, che la revoca del provvedimento di espulsione non autorizza l'ingresso del ricorrente vincitore sul territorio nazionale, piuttosto permette allo stesso di fare domanda per entrare nel paese, la quale verrà successivamente considerata nel merito.

Gli ulteriori effetti della decisione di espulsione sono esplicitati dal paragrafo 362 delle Immigration Rules, e comprendono, tra gli latri, la possibilità di autorizzare la detenzione dello straniero fino alla sua partenza nonché la capacità di inficiare la validità di qualsiasi permesso di ingresso o soggiorno rilasciato allo stesso durante la vigenza del provvedimento di espulsione (34).

1.2. Il potere di allontanamento degli stranieri (removal)

Il potere di allontanamento degli stranieri si è rivelato, negli ultimi decenni, la più chiara dimostrazione del potere della Corona nel controllo dei cittadini stranieri sul territorio nazionale (35). Tale potere esiste dal 1º gennaio del 1973, il giorno in cui è entrato in vigore l'Immigration Act del 1971. Questa legge, come visto, ha assoggettato allo stesso regime i cittadini del Commonwealth e gli stranieri, aprendo alla possibilità di allontanare coloro che fossero entrati nel Regno Unito in violazione delle norme sull'immigrazione.

Attualmente, due serie di motivi possono legittimare l'allontanamento dello straniero: da una parte l'Immigration Act del 1971, Schedule 2, autorizza l'esercizio di tale potere nei confronti di coloro ai quali sia rifiutato l'ingresso (par. 8) e nei confronti di coloro che siano entrati illegalmente nel Regno Unito (par. 9); dall'altra parte, l'Immigration and Asylum Act del 1999, sezione 10, consente l'allontanamento nei confronti di chi si è trattenuto oltre il periodo previsto dal permesso soggiorno, o nei confronti di chi abbia violato le condizioni del soggiorno o abbia ottenuto il diritto a rimanere con mezzi fraudolenti.

1.2.1. L'ingresso illegale

Ai sensi della sezione 33(1) dell'Immigration Act per illegal entrant si intende una persona che è entrata o cerca di entrare in violazione di un provvedimento di espulsione o delle leggi in materia di immigrazione, oppure con altri mezzi che includono l'inganno da parte di un'altra persona (36).

È considerato ingresso illegale, dunque, non solo quello di colui che effettivamente riesce ad entrare sul territorio, ma anche quello di chi 'cerca di entrare' ma ancora non è riuscito a farlo.

L'unica categoria di soggetti che possono entrare nel Regno Unito senza aver precedentemente richiesto e ottenuto un permesso di ingresso sono i turisti. Nel caso in cui, tuttavia, il funzionario dell'immigrazione non ritenga lo straniero un 'reale' turista, contro l'eventuale rifiuto ad entrare non è ammesso ricorso e, se lo straniero non lascia volontariamente il paese, si procederà all'allontanamento forzato. L'unico ricorso ammesso è quello fondato sui diritti umani o il diritto di asilo, anche se spesso l'interessato non viene informato di questo diritto (37).

In terzo luogo entrato illegalmente è anche la persona 'who has so entered', ciò implica che non vi è un termine entro il quale si possa interrompere la qualificazione di illegal entrant; di conseguenza, per un tempo indefinito, lo straniero entrato illegalmente potrà vivere non sapendo se e quando potrà essere sottoposto ad un procedimento di allontanamento e tale incertezza rimarrà fino ad un'eventuale regolarizzazione.

L'ingresso in violazione delle leggi sull'immigrazione (entering in breach of the immigration laws) fu inizialmente interpretato come il semplice ingresso 'senza permesso' (without leave) (38).

L'ingresso senza permesso di soggiorno non richiede la necessaria consapevolezza dello straniero, in quanto non è rilevante il dolo per la violazione delle norme sull'immigrazione (39): pertanto, in questa categoria di persone, vi rientrano sia i clandestini sia chi entra erroneamente senza permesso, anche se l'errore è da attribuire al funzionario deputato ai controlli sull'immigrazione (40). Ugualmente l'ingresso sarà illegale se l'errore è contenuto nel passaporto stesso, e non nell'azione del funzionario.

In tale categoria, la sezione 33, ricomprende anche coloro che sono entrati in violazione di un provvedimento di espulsione, ciò vuol dire che chi ha ricevuto un ordine di espulsione, qualora rientri nel Regno Unito mentre la decisione è ancora in vigore, è soggetto ad una procedura di allontanamento alla stregua di un illegal entrant, perché, come si è visto, vige un divieto di reingresso fino all'eventuale revoca del provvedimento.

L'Immigration Act del 1971, stabilisce, infatti, alla sezione 5, che ogni atto che autorizza l'ingresso rilasciato durante la vigenza del provvedimento di espulsione sarà invalido (41). Pertanto lo straniero colpito da un ordine di espulsione non potrà che entrare senza permesso, ossia clandestinamente, oppure ottenendo un permesso per errore o con mezzi fraudolenti (deception).

Al momento dell'approvazione dell'Immigration Act nel 1971, l'ingresso con mezzi fraudolenti non era contemplato tra le ipotesi di ingresso illegale: illegal entrants erano gli stranieri entrati in violazione di un ordine di espulsione o senza un permesso di soggiorno.

I tribunali, tuttavia, incominciarono a interpretare il concetto di 'violazione delle leggi in materia di immigrazione' ricomprendendo coloro che avevano superato i controlli immigrazione e avevano ottenuto un permesso ad entrare con mezzi fraudolenti (deception). A questo proposito, le corti crearono una relazione tra la definizione di ingresso illegale e le previsioni penali all'interno dell'Immigration Act: un permesso ottenuto in questo modo era pertanto, considerato ottenuto 'in violazione delle leggi sull'immigrazione'. Tale giurisprudenza è stata recepita dalla House of Lords nel luglio del 1980 nel caso Zamir (42), in cui si stabilì che il permesso rilasciato attraverso l'uso dell'inganno non può essere considerato un permesso concesso ai sensi dell'Immigration Act e pertanto lo straniero deve essere allontanato per ingresso illegale. Si impone un 'dovere di candore' (duty of candour) per il potenziale immigrato, analogo alla buona fede che dovrebbe guidare le parti di un contratto; di conseguenza, egli dovrà agire responsabilmente e reperire tutte le informazioni necessarie per entrare legalmente nel Regno Unito.

Il principio espresso nella pronuncia Zamir venne successivamente attenuato dalla House of Lord in Khawaja (43), la quale affermò che l'inganno doveva essere effettivo o tentato prima dell'ingresso illegale, non essendo sufficiente un'errata interpretazione delle norme sull'immigrazione.

Con l'Asylum and Immigration Act del 1996, l'ingresso, nonché, come si vedrà il permesso di soggiornare sul territorio ottenuto con mezzi fraudolenti divenne parte della definizione di legge. Attualmente alla sezione 24A dell'Immigration Act del 1971 si configura come reato la condotta dello straniero che con mezzi fraudolenti ottiene o cerca di ottenere un permesso per entrare o rimanere nel Regno Unito (44); pertanto la commissione del reato qualifica lo straniero come illegal entrant, perché l'ingresso è avvenuto 'in violazione delle leggi sull'immigrazione'.

Il reato di ingresso illegale by deception è configurabile in tutta una serie di ipotesi che comprendono l'inganno realizzato da terza persona, l'uso di documenti falsi, la relazione tra l'uso di mezzi fraudolenti e il rilascio di un permesso e, in generale, ciò che dà luogo all'inganno in assenza del dovere di buona fede (duty of utmost good faith).

Per quanto concerne l'inganno perpetrato da terza persona, un apposito paragrafo è stato aggiunto dall'Asylum and Immigration Act del 1996, alla sezione 33: si definisce illegal entrant colui che entra o cerca di entrare con l'uso di mezzi fraudolenti posti in essere da parte di un'altra persona (45). Vi rientra per esempio la preparazione di falsa documentazione oppure una falsa offerta di alloggio o lavoro. Qualora lo straniero non sia a conoscenza della falsità del documento, ma l'ingresso con mezzi fraudolenti sia il risultato di una condotta dolosa perpetrata da terza persona, il fatto è coperto dalla sezione 33(1) pertanto egli sarà perseguibile.

Un'importante questione da indagare riguarda, inoltre, il tipo di relazione che deve sussistere tra l'inganno e il rilascio del permesso ad entrare: in particolare, bisogna chiedersi se l'uso dei mezzi fraudolenti debba essere la causa effettiva del rilascio del permesso ad entrare o se sia sufficiente che l'uso di questi costituisca un fattore contribuente alla decisione. Ampiamente dibattuta in giurisprudenza, la questione venne risolta quando nel 1996, sia la sezione 24A che la sezione 33, vennero formulate in modo da riferirsi all'ingresso ottenuto by means which include deception (con mezzi che comprendono l'inganno). Ciò vuol dire che, se non ci fosse l'inganno, colui che prende la decisione dovrebbe essere obbligato a rifiutare il permesso; pertanto affinché l'inganno produca un ingresso illegale è necessario che abbia svolto un ruolo nella decisione di rilascio del permesso, ma non per forza deve essere stato l'unico fattore rilevante.

In caso di presunto ingresso illegale, come affermato dalla pronuncia Khawaja, l'onere della prova è a carico dell'Home Office e quella richiesta è una prova civile, come il bilanciamento tra le probabilità, anche se in questo caso deve essere particolarmente accurato vista la gravità delle conseguenze che comporta essere qualificato come illegal entrant, ossia la detenzione e l'allontanamento (removal) dal paese.

1.2.2. Il rifiuto di ingresso

Ai sensi del paragrafo 8, Schedule 2, dell'Immigration Act del 1971 (46), quando una persona arriva nel Regno Unito e riceve un rifiuto ad entrare nel paese è suscettibile di essere allontanato (removed).

Contro il rifiuto ad entrare, ad alcune persone è riconosciuto un diritto di appello che può essere esercitato nel Regno Unito. Il Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002 attribuisce, infatti, alla sezione 92, tale diritto a coloro che al momento del rifiuto del permesso si trovano nel Regno Unito e al momento dell'arrivo possedevano un permesso di ingresso, a meno che il loro permesso non sia stato annullato da un funzionario dell'immigrazione in quanto lo scopo del permesso richiesto è difforme da quello indicato nel permesso posseduto (47).

È riconosciuto il diritto a ricorrere contro la decisione di rifiuto ad entrare anche ai cittadini dell'European Economic Area o ai loro familiari qualora contestino la legittimità del rifiuto con riferimento al loro diritto di entrare e soggiornare riconosciuto dal diritto dell'Unione europea, nonché a chi abbia fatto richiesta di asilo o abbia promosso un ricorso per violazione dei diritti umani.

Nei confronti di queste persone a cui è riconosciuto un diritto di appello, il procedimento di allontanamento è sospeso per il periodo in cui l'appello è ancora pendente (48); tuttavia, qualora il Secretary of State, abbia dichiarato il ricorso sui diritti umani o la richiesta di asilo 'manifestamente infondati (clearly unfounded), i ricorrenti perdono il loro diritto di appello nel Regno Unito e possono essere allontanati dal paese.

Laddove il rimpatrio di uno straniero a cui sia stato rifiutato l'ingresso richieda tempi più lunghi, le direttive per l'allontanamento dovranno essere impartite dal Secretary of State, che ai sensi del paragrafo 10, Schedule 2, dell'Immigration Act del 1971, ha la responsabilità in tutti i casi in cui sono trascorsi più di due mesi dal rifiuto del permesso ad entrare (49).

1.2.3. Overstaying, Deception e la violazione delle condizioni di soggiorno

Dall'entrata in vigore dell'Immigration Act, nel 1973, fino all'emanazione dell'Immigration and Asylum Act del 1999, soggetti alla procedura di allontanamento (removal) erano unicamente gli 'illegal entrants', seppur intesi secondo l'interpretazione estensiva fornita dalla House of Lords nella pronuncia Zamir, e coloro a cui veniva rifiutato l'ingresso nel Paese.

Il 2 ottobre del 2000, giorno in cui entrò in vigore l'Immigration and Asylum Act del 1999, numerosi motivi di espulsione (deportation) previsti dalla sezione 3(5) dell'Immigration Act del 1971, vennero trasformati in cause che, da allora in avanti, avrebbero dato luogo ad un procedimento di allontanamento (removal).

In origine, in effetti, trattenersi oltre il periodo previsto dal permesso soggiorno o violare le condizioni dallo stesso previsto erano configurati come motivi di espulsione (deportation).

Il passaggio non è stato di poco conto considerato che il procedimento di espulsione garantisce, come si è detto, un pieno diritto a ricorrere contro il provvedimento mentre il cittadino straniero si trova ancora nel Regno Unito; al contrario, la procedura di allontanamento, come si vedrà, permette di esercitare un diritto di appello solo una volta fuori dal Regno Unito. Inoltre la tutela nei confronti del provvedimento di espulsione comprende altresì l'impossibilità di eseguire il rimpatrio laddove l'appello dello straniero sia ancora pendente di fronte al tribunale, mentre una tutela cautelare nei confronti del cittadino straniero allontanato è inesistente visto che l'appello è esperibile solo quando il rimpatrio sia già stato eseguito.

La precedente disciplina era giustificata dalla necessità di distinguere, nel trattamento ai fini del rimpatrio, coloro che arrivavano clandestinamente sul territorio o il cui ingresso era vietato, da coloro che avevano trascorso del tempo nel paese, stabilendo inevitabilmente dei contatti su territorio durante la loro permanenza, la quale alle volte poteva durare anche anni. Pertanto una simile modifica sottendeva la volontà di livellare la protezione offerta agli overstayers a quella minimale garantita agli illegal entrants (50).

Ai sensi dell'Immigration and Asylum Act del 1999, sezione 10, rientrano oggi tra i motivi di allontanamento (removal) dal Regno Unito il trattenersi oltre il limite di tempo consentito dal permesso di soggiorno, violare le condizioni del permesso stesso o ottenere un permesso a rimanere con mezzi fraudolenti (deception).

Come si è visto, l'inganno perpetrato al fine di ottenere un permesso di soggiorno venne configurato come motivo di espulsione (deportation) solo nel 1996, e, poco dopo, nel 1999 venne trasformato in causa di allontanamento. La sezione 10(1) della legge del 1999 al lettera (b), come modificata nel 2002 dal Nationality, Immigration and Asylum Act (51), permette di adottare un provvedimento di allontanamento nei confronti di chi fa uso di mezzi fraudolenti per cercare (con successo o meno) di ottenere un permesso per rimanere nel Regno Unito. Tale formulazione ha evidentemente lo scopo di colpire qualsiasi tentativo di inganno perpetrato.

Non è, tuttavia, contemplato l'inganno posto in essere da parte di un'altra persona, in quanto la disposizione si riferisce solo al soggetto richiedente («he uses»); pertanto lo straniero che non è a conoscenza della falsità di quanto dichiarato ai fini del soggiorno non potrà essere allontanato sulla base di questa previsione normativa.

Per quanto riguarda coloro che si trattengono oltre il periodo concesso con il periodo di soggiorno (overstayers), si ricorda che è sempre possibile richiedere un prolungamento del periodo previsto dal permesso iniziale e, quest'ultimo continuerà a produrre i suoi effetti fino alla fine del periodo stabilito per fare appello contro la decisione che statuisce sulla richiesta di variazione, ai sensi dalla sezione 3C, dell'Immigration Act del 1971 (52). Solo una volta spirato il termine, qualora l'appellante risulti soccombente, egli potrà essere qualificato come overstayer e di conseguenza potrà essere soggetto alla procedura di allontanamento. Tuttavia, in base alla sezione 47 dell'Immigration, Asylum and Nationality Act del 2006, dal 1º aprile 2008 è possibile adottare un provvedimento di allontanamento durante tale prolungamento della durata del permesso, anche se non sarà possibile eseguirlo fino alla decisione di appello.

Il procedimento di allontanamento è stato esteso dalla legge del 1999 anche a color che durante il soggiorno sul Regno Unito violino le condizioni imposte dalla sezione 3(1) dell'Immigration Act del 1971; le condizioni poste dal permesso di soggiorno possono riguardare restrizioni concernenti l'impiego lavorativo dello straniero, il mantenimento o la sistemazione alloggiativa dello stesso senza il ricorso ai fondi pubblici, la registrazione presso gli uffici i polizia, facendo rapporto al funzionario dell'immigrazione o al Secretary of State, nonché condizioni di residenza sul territorio (53).

I familiari della persona allontanata possono altresì essere sottoposti alla medesima procedura ma, come accennato, la decisione deve essere loro notificata entro otto settimane dalla partenza del parente (54).

Per l'emissione della decisione di allontanamento si impone il rispetto di determinate regole previste dall'Enforcement Instructions and Guidance (55). Per calcolare il termine per la notifica del provvedimento di allontanamento devono, infatti, essere presi in considerazione tre elementi: almeno settantadue ore devono intercorrere tra la notifica del provvedimento e l'allontanamento stesso, nelle settantadue ore devono essere compresi almeno due giorni lavorativi e, nelle ultime ventiquattro ore prima dell'allontanamento, un giorno lavorativo, salvo il periodo tra la notifica e l'allontanamento abbia già riguardato tre giorni lavorativi.

1.2.4. Gli effetti del provvedimento di allontanamento: il divieto di reingresso

Tra i motivi che obbligano ad adottare una decisione di rifiuto ad entrare (refusal of entry clearance and leave to enter) è previsto anche il caso in cui la persona sia stata precedentemente sottoposta ad una procedura di allontanamento (removal) per essersi trattenuta oltre il periodo previsto dal permesso di soggiorno (overstayer), per aver tentato di ottenere o ottenuto un permesso per rimanere con mezzi fraudolenti (deception), aver volato le condizioni imposte dal permesso di soggiorno, nonché nei confronti di colui che entra illegalmente sul territorio. Fino a qualche anno fa, la violazione delle leggi sull'immigrazione non comportava automaticamente il divieto di reingresso, ma la decisione era lasciata alla discrezionalità del funzionario.

Tuttavia, dal 1º aprile 2008, l'applicazione del divieto di reingresso a tutti i provvedimenti di allontanamento (removal) è divenuta obbligatoria. Così facendo, il legislatore ha eliminato una fondamentale distinzione tra deportation e removal: il primo, infatti, è un rimpatrio forzato che impedisce allo straniero espulso di ritornare nel Regno Unito, fino a che non intervenga una revoca dell'ordine in questione, e proprio l'effetto persistente di questo divieto di reingresso caratterizzava storicamente l'espulsione (deportation) rispetto alla procedura di allontanamento (removal), la quale lasciava l'applicazione del divieto al potere alla discrezionalità dell'autorità amministrativa.

Attualmente per coloro che sono stati effettivamente allontanati (removed) dal Regno Unito per violazione della normativa in materia di immigrazione - ossia nel caso di trattenimento oltre il periodo previsto dal permesso di soggiorno (overstayer), per aver tentato di ottenere o ottenuto un permesso per rimanere con mezzi fraudolenti (deception), o per aver violato le condizioni imposte dal permesso di soggiorno - nonché nei confronti di coloro che siano entrati illegalmente sul territorio è previsto un divieto di reingresso di dieci anni (56).

L'Immigration, Asylum and Nationality Act del 2006 ha introdotto, inoltre, la previsione secondo la quale una decisione di allontanamento effettuata ai sensi della sezione 10 della legge del 1999 invalida ogni permesso che sia stato concesso: ciò implica che una volta che la persona abbia già commesso gravi violazioni del permesso di soggiorno e richieda un ulteriore permesso per rimanere, può essere sottoposta a procedura di allontanamento per aver ottenuto o tentato di ottenere un permesso con mezzi fraudolenti (57).

1.2.5. I rimedi contro la decisione di allontanamento

Ai sensi della sezione 82 del Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002, la decisione di allontanamento, adottata nei confronti di colui che è entrato illegalmente, che si è trattenuto oltre il termine previsto dal permesso di soggiorno o in violazione delle condizioni di soggiorno o di colui che ha ottenuto un permesso di soggiorno con mezzi fraudolenti, nonché nei confronti dei familiari di queste persone, può essere oggetto di ricorso di fronte all'Asylum and Immigration Tribunal (AIT) (58). Tuttavia il diritto di appello per queste categorie di persone non potrà essere esercitato all'interno del Regno Unito, ma solo una volta portata a termine la procedura di allontanamento (out-of-country right of appeal) (59).

Un'eccezione sussiste nel caso in cui lo straniero abbia fatto richiesta di asilo o promosso ricorso per violazione dei diritti umani o dei diritti riconosciuti dal diritto dell'Unione europea, sempre che non siano stati dichiarati 'manifestamente infondati' dal Secretary of State.

In questo caso l'ordinamento britannico differisce da quanto previsto dalla 'direttiva rimpatri': l'art. 13 prevede, infatti, che nella facoltà di rivedere le decisioni connesse al rimpatrio attribuita all'autorità amministrativa o giudiziaria, venga altresì compresa la possibilità di sospendere temporaneamente l'esecuzione (60), a meno che ciò non sia già applicabile ai sensi del diritto interno. Nel Regno Unito con riferimento alle decisioni di allontanamento non è possibile, invece, alcuna sospensione dell'esecuzione del provvedimento e le eventuali violazioni di legge potranno essere fatte valere solo una volta fuori dal Regno Unito. Al contrario, già prima del recepimento della direttiva, in Francia e in Italia vigeva l'impossibilità di eseguire l'espulsione prima del controllo di legalità da parte del giudice e tale previsione è stata riconfermata anche in seguito all'attuazione delle previsioni comunitarie. Per quanto riguarda la Francia, lo straniero destinatario di un OQT (obligation de quitter le territoire) o di un termine per la partenza volontaria può fare ricorso entra trenta giorni dalla notifica della decisione di fronte al tribunale amministrativo e l'espulsione non potrà essere eseguita fintanto che il ricorso sarà pendente di fronte al tribunale (61).

In Italia, come si è detto, grazie a due sentenze della Corte costituzionale (62) il controllo giurisdizionale sull'espulsione con accompagnamento alla frontiera è divenuto obbligatorio e il questore, entro quarantotto ore dall'adozione della misura, deve comunicare la decisione al giudice di pace per la convalida; inoltre fino alla convalida stessa l'esecuzione è sospesa (63). Tuttavia nel caso di un eventuale ricorso contro il decreto di espulsione di fronte al giudice di pace niente è previsto sulla possibilità di sospendere l'efficacia esecutiva del decreto stesso e, se si considera che, ai sensi dell'art. 13, co. 3, d. lgs. 286/1998, l'espulsione è immediatamente esecutiva anche se sottoposta a gravame o impugnativa, vi è il rischio che l'eventuale accoglimento del ricorso giunga ad espulsione avvenuta. Per scongiurare una simile conclusione, è possibile fare appello ai principi stabiliti dalla Corte costituzionale (64), secondo i quali la tutela cautelare, anche in presenza di una lacuna legislativa, deve essere sempre desunta in via sistematica dai principi generali dell'ordinamento; inoltre, a conforma di tale possibilità sussiste pur sempre l'art. 13 della direttiva 2008/115/CE che, come si è visto, impone agli Stati di prevedere tra le facoltà delle autorità preposte alla revisione della decisione di rimpatrio anche la sospensione temporanea dell'esecuzione della decisione stessa.

Tornando al Regno Unito, fino al 12 febbraio del 2012, in base al paragrafo 395 delle Immigration Rules, la decisione di allontanamento adottata nei confronti di colui che si è trattenuto oltre il termine previsto dal permesso di soggiorno, o in violazione delle condizioni di soggiorno o di colui che ha ottenuto un permesso di soggiorno con mezzi fraudolenti, nonché nei confronti dei familiari di queste persone doveva tenere in considerazione alcuni rilevanti fattori. Tra questi vi rientravano l'età dello straniero, la durata del soggiorno nel regno Unito, nonché i legami familiari, gli interessi lavorativi e la storia personale dello stesso. Tuttavia, dal 13 febbraio 2012, il paragrafo in questione è stato abrogato e non è stata introdotta nessun'altra disposizione contenente l'obbligo di prendere in considerazione le suddette circostanze. L'eliminazione di un simile obbligo in capo all'autorità competente all'adozione del provvedimento di allontanamento sembra discostarsi, nuovamente, dalla normativa dell'Unione europea che con la 'direttiva rimpatri' ha stabilito che la decisione di rimpatrio dovrà essere adottata sempre avuto riguardo alle circostanze del singolo caso (65). Differisce dalla direttiva europea, infine, la discrezionalità del provvedimento di allontanamento (removal), visto che nessun obbligo sussiste in capo al funzionario dell'immigrazione di fronte all'irregolarità dello straniero. Al contrario la 'direttiva rimpatri' ha sancito l'obbligatorietà del rimpatrio di coloro che soggiornano in modo irregolare nel territorio degli Stati membri, a meno che gli stessi Stati non provvedano a sanare la loro posizione (66).

Laddove vi siano, tuttavia, linee di condotta da seguire (come l'Enforcement Instructions and Guidance), la discrezionalità dovrà essere esercitata in conformità a queste e non arbitrariamente (67): la pubblicazione di tali direttive produce infatti nei cittadini stranieri delle legittime aspettative circa loro corretta applicazione nel caso concreto (68).

Per quanto concerne, infine, le istruzioni impartite dal funzionario dell'immigrazione o dal Secretary of State al capitano della nave o dell'aereo per procedere all'allontanamento dello straniero dal territorio nazionale (removal directions), l'unico rimedio a disposizione del cittadino straniero è il ricorso giurisdizionale: infatti, non essendo ricomprese tra le decisioni appellabili previste dalla sezione 82 del Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002, non sussiste alcun diritto di appello avverso le istruzioni che contengano informazioni sbagliate con riguardo al paese in cui la persona deve essere rimpatriata o con riferimento al giorno o alla data dell'allontanamento.

Il ricorso giurisdizionale ai sensi della sezione 66, dell'Immigration and Asylum Act del 1999 (69), è possibile solo qualora il cittadino straniero faccia valere la mancanza di un potere conferito dalla legge per emettere quelle istruzioni nei confronti del capitano della nave o dell'aereo, e comunque solo una volta che la decisione di rimpatrio sia stata effettuata, ossia quando il cittadino si trova ormai fuori dal Regno Unito, salvo, in ogni caso, sia stata avanzata richiesta di asilo.

1.3. La detenzione degli stranieri in attesa dell'allontanamento

La decisione che dispone la detenzione amministrativa dello straniero è una decisione amministrativa, questa infatti può essere applicata da un funzionario dell'immigrazione ai sensi del paragrafo 16(2), Schedule 2, dell'Immigration Act del 1971 o dal Secretary of State in base alla sezione 62(1), del Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002, nei casi in cui quest'ultimo abbia il potere di stabilire le direttive per l'allontanamento (70).

La versione originale dell'Immigration Act del 1971, Schedule 2, paragrafo 16(2) prevedeva il potere di trattenere in detenzione lo straniero che si trovava in attesa di essere allontanato, ossia dello straniero nei confronti del quale potevano essere adottate istruzioni (in respect of whom directions may be given) ai fini del suo allontanamento. Pertanto potevano essere detenuti solo coloro per i quali era già stato deciso l'allontanamento.

Nel 1999, tuttavia, l'Immigration and Asylum Act modificò il paragrafo 16(2) prevedendo la possibilità di disporre la detenzione laddove vi fossero ragionevoli motivi per sospettare (reasonable grounds to suspect) che una persona dovesse essere sottoposta ad una procedura di allontanamento (71). Ciò implica che sarà possibile disporre il trattenimento anche all'arrivo dello straniero sul territorio britannico, quando una decisione di allontanamento non è ancora stata adottata, ossia in attesa dell'esame della domanda che richiede l'autorizzazione ad entrare, o in attesa della decisione di allontanamento stessa (72); e ciò dipenderà in gran parte dell'esercizio discrezionale di tale potere da parte dei diversi funzionari dell'immigrazione.

Alcuni limiti a tale discrezionalità sono stati, tuttavia, fissati dall'UK Border Agency, che ha emanato una serie di linee guida, la quale indica le ragioni in presenza delle quali può essere adottata una decisione di detenzione (73): quando, ad esempio, la persona potrebbe tentare la fuga se fosse rilasciata o fosse concessa un'ammissione temporanea sul territorio ovvero quando le informazioni fino ad allora reperite non permettono di decidere sull'opportunità di rilasciare o ammettere temporaneamente lo straniero, o quando l'allontanamento dal Regno Unito sia imminente o il rilascio dello straniero non contribuisca al bene pubblico.

I motivi che danno luogo alla detenzione nel Regno Unito sono evidentemente più numerosi di quelli per il quali si ammette il trattenimento nella 'direttiva rimpatri': il legislatore europeo, in effetti, ha voluto ricondurre alle stesse azioni dello straniero le cause della privazione della sua libertà, prevedendola in presenza di un rischio di fuga o qualora questi eviti o ostacoli la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento. Anche Stati membri obbligati alla trasposizione della direttiva europea nell'ordinamento interno, come Italia e Francia, non hanno, tuttavia, colto il suggerimento ricorrendo al trattenimento amministrativo in una serie molto più ampia di ipotesi.

In Italia le condizioni che legittimano il trattenimento consistono genericamente nell'impossibilità di eseguire con immediatezza l'espulsione o il respingimento «a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione o l'effettuazione dell'allontanamento», anche se da una lettura della norma conforme al diritto dell'Unione europea si dovrebbe comunque ritenere sempre necessario il rischio di fuga (74), il quale, come si è visto, è definito dal legislatore in maniera talmente ampia da ricomprendere la maggioranza degli stranieri da espellere. Al contrario, il legislatore francese non si è premurato nemmeno di riprendere la formulazione europea di cui all'art. 15 della direttiva, ma ha previsto il ricorso al trattenimento in otto ipotesi che comprendono tutti i casi in cui uno straniero deve essere allontanato forzatamente dal territorio, senza richiedere altra condizione (75).

Ai sensi di queste stesse istruzioni fornite dall'Agenzia di frontiera del Regno Unito, l'applicazione delle disposizioni relative alla detenzione degli stranieri deve essere, in ogni caso, ispirata da alcuni fondamentali principi (76), quali la necessaria presunzione in favore dell'ammissione o del rilascio temporanei la quale può essere superata solo dalla convinzione, fondata su gravi ragioni, che il rispetto delle condizioni imposte all'ammissione sul territorio o al rilascio non verranno rispettate; inoltre, prima di adottare la decisione in questione devono necessariamente essere prese in considerazione tutte le possibili alternative alla detenzione e ogni singolo caso dovrà essere specificamente trattato nel merito, sempre avuto riguardo alla salvaguardia e al benessere del bambino.

Tra le linee guida è fornita, altresì, una lista di fattori da tenere in considerazione al momento di adottare una decisione di detenzione (77), tra cui la possibilità di procedere in tempi brevi all'allontanamento, il rischio di fuga e il rischio che lo straniero possa commettere un reato o causare un danno ad altre persone. Sono indicate anche le categorie più vulnerabili nei confronti delle quali non si dovrebbe procedere al trattenimento come le donne in gravidanza, i minorenni, le persone con problemi di salute mentale o con gravi disabilità.

La detenzione può essere disposta legittimamente solo laddove vi sia una prospettiva reale di allontanamento in un periodo di tempo ragionevole (78).

Nonostante queste direttive, le pratiche locali si sono sviluppate in modo molto diverso tra di loro, a seconda dello spazio di discrezionalità che i funzionari dell'immigrazione sono riusciti a guadagnarsi (79).

In ogni caso il sistema che si è venuto a configurare attraverso queste linee guida non si discosta molto dal quadro tracciato dalla 'direttiva rimpatri' per il trattenimento amministrativo degli stranieri in attesa di allontanamento: ai sensi dell'art. 15 della direttiva, infatti, gli Stati dovrebbero ricorrere alla detenzione solo nel caso in cui non possano essere applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive e sempre che sussista un rischio di fuga o il cittadino di paese terzo eviti o ostacoli la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento (80). La stessa residualità da attribuire all'applicazione della misura sembra imposta anche dal sistema espulsivo britannico che impone di considerare sempre la possibilità di disporre misure alternative alla detenzione, seppur lasciando margini di discrezionalità più ampi al funzionario dell'immigrazione.

Uno degli aspetti maggiormente criticati del sistema di detenzione degli stranieri nel Regno Unito è la mancata fissazione di un limite massimo al trattenimento amministrativo, che attualmente distingue il sistema britannico da quello di tutti i paesi dell'Unione europea che hanno recepito la 'direttiva rimpatri', la quale, come si è visto, fissa un termine di sei mesi, prolungabili fino a diciotto in presenza di determinate condizioni. Secondo il governo, la previsione di un tale limite, avrebbe impedito l'allontanamento o comunque ridotto notevolmente le possibilità di successo dello stesso in molti casi (81).

La giurisprudenza inglese è, tuttavia, intervenuta negli anni a stemperare la rigidità di tale sistema attraverso l'individuazione di limiti che si impongono all'esercizio del potere del funzionario dell'immigrazione o del Secretary of State che applica la misura della detenzione allo straniero in attesa di essere rimpatriato.

Nella nota pronuncia Hardial Singh (82) è stato affermato che la lunghezza del periodo di detenzione incide sullo stesso esercizio discrezionale del potere di mantenere qualcuno in detenzione: tale potere, infatti, diventerebbe irragionevole laddove fosse eccessivamente lungo. In effetti, nonostante non sia previsto alcun termine esplicito alla detenzione, ciò non implica che questa non sia soggetta a limitazioni: innanzitutto il trattenimento può essere disposto solo in attesa (pending) dell'allontanamento dello straniero, e non per altri scopi; in secondo luogo, essendo la detenzione funzionale al rimpatrio del cittadino di paese terzo, questa sarà implicitamente limitata al periodo che è ragionevolmente necessario al raggiungimento dello scopo. Pertanto questa giurisprudenza sembra aver introdotto sia un limite funzionale che temporale al trattenimento amministrativo (83).

I principi espressi in questa pronuncia, nonostante si riferiscano al potere di espulsione del Secretary of State (deportation), sarebbero in realtà applicabili a tutte le istanze relative alla detenzione per motivi di immigrazione (84).

Successivamente altre pronunce hanno ulteriormente specificato i limiti al trattenimento amministrativo degli stranieri, stabilendo comunque che la necessità della misura debba essere sempre giustificata dalla presenza di prospettive ragionevoli di allontanamento (reasonable prospect of removing) per potersi dichiarare legittima (85). Il sistema di common law si è rivelato, dunque, un fondamentale appiglio per gli stranieri di fronte ad un indefinito periodo di trattenimento amministrativo dimostrandosi sostanzialmente in linea con i dettami della 'direttiva rimpatri'. La giurisprudenza sembra aver offerto oltretutto una protezione superiore rispetto a quella emersa dalle pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo (86), le quali hanno legittimato la previsione di una detenzione priva di qualsiasi limite temporale, purché la procedura di rimpatrio fosse condotta con la dovuta diligenza (87).

Si sottolinea, infine, che la gestione e il funzionamento dei centri di detenzione (immigration removal centres), nonché i servizi di trasporto e di scorta sono appaltati ad aziende private e sottoposti a regole comuni - The Detention Centre Rules del 2001 (88) - riguardanti la sistemazione delle persone, e delle famiglie, l'assistenza sociale e sanitaria, la corrispondenza, nonché l'accesso di visitatori nel centro stesso: in particolare è riconosciuto il diritto a godere della vita familiare anche all'interno dei centri di detenzione e il diritto dei minori a ricevere una sistemazione adeguata ai propri bisogni. In Italia, al contrario, i centri di identificazione ed espulsione (CIE) non sono regolati da norme comuni sulle condizioni di trattenimento degli stranieri e, in particolare, dei minori e delle famiglie, sull'assistenza sanitaria o sulla possibilità di visita: inoltre, nonostante sia stato richiesto dal Ministero degli Interni di dotarsi di un regolamento interno pochi vi hanno provveduto, pertanto la gestione finisce per essere lasciata alla discrezionalità del personale preposto. In Francia, la legge 'Besson' ha almeno provveduto a limitare la pratica del trattenimento dei minori figli di stranieri irregolari, attraverso l'assignation à résidence sotto sorveglianza elettronica, la quale dovrebbe permettere di conciliare le esigenze di sicurezza e di efficacia del rimpatrio con il diritto all'unità familiare.

1.3.1 Le misure alternative al trattenimento amministrativo

Come in altri paesi d'Europea, anche nell'ordinamento britannico sono presenti misure alternative rispetto alla detenzione amministrativa disposta in attesa dell'allontanamento; tuttavia, non si tratta di misure che devono essere - per legge - (89) preferite al trattenimento (90), ma delle alternative applicabili a discrezione del funzionario dell'immigrazione o del Secretary of State, anche su richiesta dello straniero stesso.

Ai sensi del paragrafo 21, Schedule 2, dell'Immigration Act del 1971, il funzionario dell'immigrazione può disporre che una persona a cui potrebbe essere o è stata applicata la misura della detenzione, venga temporaneamente ammessa nel Regno Unito (temporary admission) (91). Tale beneficio viene di norma concesso a chi è in attesa di un permesso per entrare, nonché a chi abbia fatto richiesta di asilo (92).

L'ammissione temporanea sul territorio è concessa per un periodo fisso che può essere rinnovato; una volta spirato il termine, il soggetto interessato dovrà recarsi nuovamente presso l'Home Office o il servizio immigrazione affinché possa ottenere un rinnovo della misura, tuttavia in caso di rifiuto non è possibile fare ricorso, perché non si tratta di uno status attribuito, ma unicamente di una 'licenza' al posto della detenzione (93).

Al momento di concessione di tale misura possono essere imposte alcune restrizioni, con riguardo alla residenza e all'impiego lavorativo, nonché l'obbligo di riferire alla polizia o al funzionario dell'immigrazione (94); le restrizioni possono includere, altresì, il divieto di risiedere in una determinata area nonché di risiedere negli alloggi previsti dalla sezione 4, dell'Immigration and Asylum Act del 1999 (95).

Anche qualora sia applicata questa misura più favorevole, non è escluso, tuttavia, un eventuale esercizio del potere di detenzione anche in un momento successivo.

Questo status di 'ammissione temporanea' in cui lo straniero può ritrovarsi non garantisce tuttavia né un diritto di appello per far valere la propria condizione, né un pieno accesso ai servizi, il ché può finire per creare una categoria di soggetti in un perenne stato di incertezza.

Prima del 2002, a molto di queste persone doveva essere rilasciato, eccezionalmente, un permesso per rimanere nel Regno Unito (exceptional leave to remain - ELR), in particolare, agli stranieri la cui richiesta di asilo era stata respinta ma che per ragioni pratiche non potevano essere rinviati nel proprio paese di origine. Questo permesso consentiva di lavorare e di accedere a taluni benefici, nonché, dopo qualche anno, di ricongiungersi con la famiglia e ottenere un permesso a rimanere definitivamente nel Regno Unito. Con l'adozione del Nationality, Immigration and Asylum Act, nel 2002, si inserì la sezione 67(2) e (3) la quale eliminò l'obbligo di concedere un ELR (ora discrezionale) e si stabilì che coloro che non possono essere allontanati per impedimenti legali o ragioni pratiche rimangono in uno stato di 'ammissione temporanea', che comporta la possibilità di essere allontanati in ogni momento, nonché la permanenza del potere di detenzione (96). La sezione 67(3) sancì, inoltre, l'effetto retroattivo della modifica legislativa (97).

Di fondamentale importanza è anche la possibilità di richiedere la libertà su cauzione (applying for bail) al posto di della detenzione amministrativa. Coloro che sono detenuti in attesa dell'esame della propria domanda (par. 16, Schedule 2, Immigration Act 1971) o del compimento dell'esame della domanda o dell'annullamento del proprio permesso ad entrare (par. 16(1A), Schedule 2, Immigration Act 1971) ovvero delle istruzioni per il proprio allontanamento (par. 16(2), Schedule 2, Immigration Act 1971) possono richiedere di essere rilasciati su cauzione (98). Tuttavia coloro che si trovano in attesa dell'esame della domanda di cui al paragrafo 16(1), Schedule 2, Immigration Act 1971, non hanno il diritto di avanzare tale richiesta prima che siano trascorsi sette giorni dal proprio arrivo nel Regno Unito. Possono presentare istanza in tal senso anche coloro che sono in attesa della decisione di appello (99).

Il potere di concedere il rilascio su cauzione non è attribuito ai funzionari dell'immigrazione di rango ordinario, ma solo al chief immigration officer e al giudice competente in materia di immigrazione (Asylum and Immigration Tribunal) (100). Tuttavia, ai sensi della sezione 68 del Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002, qualora la richiesta provenga da un cittadino straniero che sia stato trattenuto in detenzione per più di otto giorni rispetto al momento della domanda il potere di rilasciare su cauzione è attribuito al Secretary of State (101).

Il rilascio richiede la fissazione dell'ammontare della cauzione, che dovrà essere proporzionato ai mezzi della persona che vi è sottoposta, nonché l'ammontare a cui ciascun garante sarà obbligato; inoltre potranno essere fissate alcune condizioni, come il doversi presentare in determinati orari e luoghi, solitamente presso gli uffici di polizia o presso il funzionario dell'immigrazione.

Nella guida rivolta ai giudici dell'immigrazione (Bail Guidance for Immigration Judges) (102) si chiarisce, comunque, che la presenza di garanti non è necessaria e, di norma, non dovrebbe essere richiesta, in ragione del fatto che coloro che sono di recente arrivati nel paese verosimilmente non avranno conoscenza di persone che possano garantire per loro.

Occorre sottolineare, infine, che non esiste nella legge nessuna presunzione a favore del diritto di essere rilasciati su cauzione, ma la richiesta potrà comunque essere rifiutata solo qualora vi siano buone ragioni per farlo (103): la decisione comporta l'effettuazione di una valutazione sul rischio, dopo aver considerato tutte le circostanze del caso concreto.

Come visto, sotto la spinta della 'direttiva rimpatri', paesi come l'Italia e la Francia, hanno cercato di riformare la disciplina interna per conformarsi a quella richiesta di applicazione residuale del trattenimento amministrativo formulata dal legislatore europeo: l'art. 15, infatti, permette il ricorso a tale misura solo se nel caso concreto non possa essere applicate efficacemente altre misure sufficienti ma meno coercitive. In Francia, tuttavia, non si è assistito all'introduzione di particolari misure alternative alla detenzione amministrativa, salvo l'assignation sous surveillance électronique, ma solo ad una parziale riforma dell'assignation à résidence. In Italia, invece, la gamma di misure tra cui scegliere è leggermente più ampia: si è attribuita, infatti, la facoltà per il questore di adottare, in luogo della detenzione amministrativa, la consegna del passaporto, l'obbligo di dimora o l'obbligo di presentazione, a condizione che lo straniero sia in possesso di un passaporto e l'espulsione non sia stata disposta per motivi di sicurezza dello Stato o pericolosità sociale; tuttavia, la prassi dimostra, in Francia come in Italia, un'applicazione pressoché nulla di queste misure. Pertanto nei paesi europei, interessati o meno dalla 'direttiva rimpatri', il trattenimento amministrativo sembra conservare ancora un ruolo privilegiato nel controllo dell'immigrazione.

1.4. La partenza volontaria

Quando una persona viene informata delle possibilità di essere espulso, se non ci sono forti motivi per contestare l'espulsione, questa può decidere di lasciare nel più breve tempo possibile il paese per evitare che venga emesso un ordine di espulsione (deportation order) o un provvedimento di allontanamento (administrative removal) (104). Nel caso in cui il soggetto in questione sia partito prima dell'adozione del provvedimento, senza che alcun contatto con l'Home Office sia avvenuto, l'eventuale ordine di espulsione successivo a tale data sarà invalido.

Se lo straniero a rischio espulsione lascia il territorio nazionale dopo l'emissione del provvedimento di espulsione, egli sarà considerato espulso e la decisione avrà la stessa validità come se l'Home Office l'avesse applicata.

In base alle linee guida stilate dall'UK Border Agency, quando un detenuto suscettibile di allontanamento chiede di lasciare volontariamente il Regno Unito a proprie spese, il personale autorizzato dovrà cercare di approvare la sua richiesta, salvo vi siano ragioni per credere che ciò possa ritardare eccessivamente la partenza o che lo straniero non si allontanerà come dichiarato ovvero il trattenimento amministrativo sia più appropriato al caso concreto (105). Qualora vi siano questioni in sospeso che normalmente ostacolerebbero l'allontanamento, lo straniero può chiedere di firmare una formale rinuncia alle stesse, mentre, nel caso in cui sia pendente un appello o un ricorso giurisdizionale egli dovrà contattare le competenti autorità per ritirare l'azione, prima di lasciare il Regno Unito. Lo stesso procedimento è d'altronde seguito se si tratta di cittadino di paese terzo non detenuto.

Nel caso in cui, invece, lo straniero suscettibile di allontanamento desideri lasciare volontariamente il paese ma non sia in grado di far fronte alle spese di viaggio, queste possono essere pagate dallo stesso Secretary of State; ma in questo caso l'interessato dovrebbe una formale rinuncia al suo diritto di appello (106).

2. Il reato di immigrazione clandestina nel Regno Unito

Nel Regno Unito con riguardo al fenomeno dell'immigrazione clandestina è stata introdotta un'apposita fattispecie criminosa la quale prevede la punibilità, alternativamente, a titolo di illecito amministrativo o penale. In un ordinamento in cui non vige il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale l'autorità giudiziaria potrà scegliere se punire tale fatto attraverso lo strumento penalistico o quello amministrativo.

La fattispecie è prevista dalla sezione 24 dell'Immigration Act del 1971 (107) e punisce i cittadini stranieri che entrano privi dei requisiti di ingresso o in violazione di un ordine di espulsione, ovvero coloro che si trattengono sul territorio oltre il limite di tempo previsto dal permesso di soggiorno (overstayers), o in violazione delle condizioni imposte dallo stesso (breaching a condition of leave).

Commette, inoltre, reato, come si è visto, anche chi tenta di procurarsi o si procura un permesso di ingresso o di soggiorno con mezzi fraudolenti per entrare o rimanere sul territorio britannico, oppure chi ha ottenuto in modo fraudolento il differimento o l'annullamento di provvedimenti di espulsione adottati a suo carico.

In questi casi, il cittadino straniero può essere punito con una multa fino a 5000 sterline o con una pena detentiva fino a sei mesi di reclusione. Tali pene possono essere altresì comminate congiuntamente.

L'Immigration and Asylum Act del 2004 ha inoltre introdotto un'ulteriore ipotesi di reato nel caso in cui lo straniero non sia in possesso di un documento di immigrazione valido che permetta di stabilire la sua identità o nazionalità (108). La pena, in questo caso, è di un multa o di due anni di reclusione, applicabili anche congiuntamente. Tuttavia, è prevista un'eccezione nel caso in cui il cittadino straniero, entro tre giorni dal controllo, riesca a produrre un documento valido.

3. La partecipazione 'differenziata' del Regno Unito all'interno dell'Unione europea

Analizzato il sistema di espulsione degli stranieri irregolari nel Regno Unito, si procede all'esposizione delle cause che hanno spinto il governo britannico a decidere di non esercitare il proprio potere di opt-in al momento della presentazione della 'Proposta di Direttiva recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente' ('direttiva rimpatri') da parte della Commissione europea (109).

È necessario tuttavia prendere innanzitutto in considerazione il modello di partecipazione del Regno Unito all'interno dell'Unione europea, in quanto differente dagli altri Stati membri per la possibilità di scegliere, in determinate materie, se vincolarsi alle misure proposte o adottate dalle istituzioni europee.

3.1. L'acquis di Schengen e la posizione del Regno Unito

Come detto, il 1º maggio 1999, il Trattato di Amsterdam ha determinato l'integrazione all'interno dell'Unione europea degli accordi relativi all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere interne, conclusi da alcuni Stati membri a Schengen nel 1985 e nel 1990, nonché delle successive norme adottate in base a questi (cosiddetto 'acquis di Schengen'). Ciò ha vincolato tutti gli Stati membri alle misure volte all'abolizione dei controlli alle frontiere interne e all'armonizzazione dei controlli alle frontiere esterne dell'Unione europea (110), ad eccezione del Regno Unito e dell'Irlanda, che a questi accordi non avevano preso parte e la cui posizione è regolata, a partire dal Trattato di Amsterdam, da uno specifico Protocollo.

Ai sensi dell'art. 4 del Protocollo allegato ai Trattati, oggi denominato 'sull'acquis di Schengen integrato nell'ambito dell'Unione europea' (111) ('Protocollo Schengen'), il Regno Unito e l'Irlanda possono decidere di prendere parte in qualsiasi momento, integralmente o parzialmente, alla cooperazione Schengen previa votazione dei membri del Consiglio all'unanimità (opt-in). In applicazione di tale disposizione, nel marzo del 1999, il Regno Unito chiese di partecipare ai seguenti aspetti nel quadro della cooperazione Schengen: cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, lotta contro gli stupefacenti e sistema di informazione (S.I.S.); viste, tuttavia, le problematiche causate dall'antico contenzioso tra Spagna e Regno Unito per la sovranità dello stretto di Gibilterra, la decisione subì notevoli ritardi (112).

Il 29 maggio del 2000 e il 28 febbraio del 2002 il Consiglio ha infine adottato due decisioni che autorizzano rispettivamente il Regno Unito e l'Irlanda ad adottare alcune delle disposizioni dell'acquis di Schengen (113).

La decisione 2000/365/CE relativa alla richiesta del Regno Unito, la quale specifica che una volta manifestata la volontà di partecipare, il Regno Unito si presume irrevocabilmente vincolato a partecipare a tutte le successive proposte dirette a sviluppare l'acquis di Schengen al quale prende parte (114), è entrata, tuttavia, in vigore solo in forza di un'ulteriore decisione del Consiglio adottata il 22 dicembre 2004 (115).

Il Regno Unito, interpretando in modo restrittivo la deroga cui è sottoposto, si è dimostrato spesso interessato ad estendere i margini della propria partecipazione all'acquis di Schengen: si rammenta, infatti, un caso in cui il governo fece valere il proprio diritto a partecipare allo sviluppo dell'acquis di Schengen anche in assenza di autorizzazione preventiva del Consiglio (116). La vicenda traeva origine dalla richiesta del Regno Unito di adottare il regolamento 2007/2004 relativo all'istituzione dell'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne («Frontex») (117) e del regolamento 2252/2004 relativo alle norme sulle caratteristiche di sicurezza e gli elementi biometrici dei passaporti e dei documenti di viaggio rilasciati dagli Stati membri (118).

Nonostante il Consiglio avesse avuto conoscenza dell'intenzione del Regno Unito di adottare i suddetti regolamenti da parte del Regno Unito, secondo la procedura prevista all'art. 5 del Protocollo Schengen, non lo invitò a prendervi parte, in quanto riteneva che questi costituissero uno sviluppo dell'acquis di Schengen ai quali detto Stato membro non partecipava, conformemente a quanto stabilito dalla decisione 2000/365/CE (119). La querelle divenne, di conseguenza, oggetto di un ricorso in annullamento da parte del governo britannico di fronte alla Corte di giustizia dell'Unione europea, alla quale venne fornita l'occasione di pronunciarsi sull'interpretazione del Protocollo di Schengen e in particolare sui suoi artt. 4 e 5, in due sentenze distinte (120).

Nel caso in cui gli Stati membri desiderino instaurare tra loro una cooperazione rafforzata, come nelle ipotesi previste dai regolamenti che il Regno Unito intendeva adottare, l'art. 5, par. 1, del suddetto Protocollo, prevede che qualora il Regno Unito e l'Irlanda non abbiano notificato per iscritto al Consiglio, entro un congruo termine, il loro desiderio di partecipare alle proposte e alle iniziative basate sull'acquis di Schengen, l'autorizzazione prevista all'art. 329 TFUE (121) si considera concessa agli Stati firmatari degli Accordi di Schengen, nonché all'Irlanda e al Regno Unito, laddove uno di essi desideri partecipare ai settori di cooperazione in questione.

La tesi del Consiglio poggiava sull'assunto che l'art. 5 del Protocollo di Schengen fosse subordinato al sistema delineato all'art. 4 del medesimo Protocollo, il quale permette al Regno Unito e all'Irlanda di chiedere di partecipare - in qualsiasi momento - alle disposizioni dell'acquis di Schengen, ma faceva dipendere allo stesso tempo tale partecipazione ad un'autorizzazione da parte dei membri del Consiglio. Al contrario, il Regno Unito considerava le due disposizioni indipendenti tra loro, giacché la partecipazione alle misure adottate ai sensi dell'art. 5 del Protocollo, ovvero a quelle che costituiscono uno sviluppo dell'acquis di Schengen, non richiederebbe una preventiva autorizzazione come quella prevista all'art. 4: una simile interpretazione appariva, peraltro, in linea con l'effetto utile del Protocollo, atto a «garantire la massima partecipazione del Regno Unito e dell'Irlanda alle misure basate sull'acquis di Schengen» (122).

Il governo britannico faceva valere, inoltre, la distinzione tra due tipologie di misure di sviluppo dell'acquis di Schengen, ossia quelle 'intrinsecamente connesse' all'acquis al quale il Regno Unito non può aderire senza aver previamente accettato le disposizioni che comportano un eventuale modifica dello steso, e quelle semplicemente 'connesse a Schengen', che «seppur concepite per sviluppare e completare taluni obiettivi dell'acquis, non sono connesse a quest'ultimo in maniera così stretta che l'integrità del medesimo ne risulterebbe pregiudicata qualora uno Stato membro non partecipante ad esso potesse comunque prendere parte all'adozione di misure siffatte» (123); e, proprio in questa ultima categoria, rientrerebbero, a suo avviso, i due regolamenti in questione.

La Corte di giustizia respinse, in entrambe le pronunce, le argomentazioni addotte dal Regno Unito per accogliere la posizione assunta dal Consiglio: i giudici ritennero infatti che, nonostante gli artt. 4 e 5 del Protocollo riguardassero due aspetti differenti dell'acquis di Schengen, questi non avrebbero potuto essere letti in termini di indipendenza l'uno dall'altro. Constatando che da una parte l'art. 4 riserva al Regno Unito e all'Irlanda la facoltà di adottare una delle disposizioni dell'acquis di Schengen, e dall'altra l'art. 5 attribuisce loro la facoltà non aderire alle misure proposte e alle iniziative basate su di esso, la Corte giunse alla conclusione che quest'ultima disposizione trovasse la sua ratio nella necessità di garantire che le azioni adottate dagli Stati membri che partecipano a tutto l'acquis non venissero messe in discussione per la mancata partecipazione di Regno Unito e dell'Irlanda. Ebbene, costituendo le misure di cui all'art. 5 attuazione e sviluppo successivo delle disposizioni che si fondano sull'acquis ai sensi dell'art. 4, «ne consegue che la partecipazione di uno Stato membro all'adozione di una misura in applicazione dell'art. 5 sarà possibile solo a condizione che lo Stato abbia aderito al settore dell'acquis nel quale si inserisce la misura da adottare o del quale quest'ultima costituisce sviluppo» (124).

Tale condizione era pertanto evidente che non sussistesse con riferimento ai due regolamenti a cui il Regno Unito chiedeva di prendere parte: entrambi si collocavano, infatti, in due settori dell'acquis di Schengen a cui detto Stato non partecipava, ossia l'attraversamento delle frontiere esterne e i relativi controlli sulle persone, che compensano in particolare l'eliminazione dei controlli alle frontiere interne a cui lo stesso non ha provveduto (125). In altre parole, non partecipando il Regno Unito all'area in questione, non poteva di conseguenza notificare, a norma dell'art. 5, la sua intenzione di partecipare ad uno sviluppo dell'acquis di Schengen in tale area.

Inoltre, un protocollo specifico autorizza il Regno Unito a continuare ad esercitare controlli sulle persone alle sue frontiere con gli Stati membri e a continuare a concludere, nei rapporti con l'Irlanda, intese per la circolazione delle persone nei loro territori al fine di realizzare una «zona di libero spostamento», e consentendo, di conseguenza, anche all'Irlanda di mantenere controlli alle frontiere con gli altri Stati membri; dall'altra parte gli Stati membri potranno esercitare analoga facoltà di controllo sulle persone provenienti dal Regno Unito o dall'Irlanda (126).

In risposta alla mancata partecipazione del Regno Unito all'Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Statti membri dell'Unione europea (Frontex) il governo britannico decise di creare delle 'proprie guardie di frontiera' con l'istituzione dell'UK Border Agency (127), che ha sostituito la precedente Border and Immigration Agency rinforzandone l'azione attraverso la combinazione a livello istituzionale delle funzioni di immigrazione con la prevenzione dei reati e l'aumento del gettito a disposizione (128).

Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sono stati introdotti alcuni paragrafi all'art. 5 del Protocollo Schengen, i quali hanno permesso al Regno Unito e all'Irlanda di non partecipare (opt-out) ad una misura basata sull'acquis di Schengen, in deroga a quanto previsto dall'art. 8, par. 2, della decisione 200/365/CE.

Ai sensi del nuovo par. 2 dell'art. 5, infatti, detti Stati possono notificare entro tre mesi dalla proposta o dall'iniziativa basata sull'acquis di Schengen, di cui al par. 1, di non volervi partecipare (129); tuttavia, al fine di «salvaguardare il funzionamento pratico delle varie parti dell'acquis di Schengen» e di rispettarne la coerenza, la notifica in questione non sarà priva di conseguenze (130). È previsto, infatti, che tutta la parte dell'acquis a cui il Regno Unito e l'Irlanda hanno preso parte cessi di applicarsi alla data di entrata in vigore della misura proposta «per quanto ritenuto necessario dal Consiglio» e alle condizioni da quest'ultimo stabilite in una decisione deliberata a maggioranza qualificata su proposta della Commissione. Tale decisione sarà pertanto volta contemporaneamente a «mantenere la più ampia partecipazione possibile» del Regno Unito e dell'Irlanda al vigente acquis di Schengen, senza, tuttavia, incidere eccessivamente - come accennato - «sul funzionamento pratico delle varie parti dell'acquis di Schengen e rispettandone la coerenza» (131).

Questo bilanciamento dovrebbe essere raggiunto attraverso una complessa procedura che vede il coinvolgimento del Consiglio, del Consiglio europeo e della Commissione: tuttavia, qualora non si riesca a giungere ad una conclusione, sarà la Commissione a dover decidere a quali condizioni ed entro quali limiti l'acquis di Schengen cesserà di applicarsi allo Stato che non partecipi (132).

In tal modo, sembra essere stata recepita la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2007, la quale aveva impedito al Regno Unito e all'Irlanda di partecipare all'adozione di un atto legislativo che costituiva lo sviluppo di un acquis di Schengen, al quale non erano state autorizzate a prendere parte dal Consiglio, ai sensi dell'art. 4 del Protocollo Schengen.

3.2. La posizione del Regno Unito con riferimento allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia

Le norme relative alla progressiva costruzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG) costituiscono il frutto della «comunitarizzazione» del precedente Terzo pilastro e sono oggi confluite nel Titolo V, parte terza, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea: in particolare, sono previste disposizioni volte all'adozione di misure in materia di controlli alle frontiere, asilo, immigrazione, cooperazione giudiziaria in materia civile, cooperazione giudiziaria in materia penale e cooperazione di polizia. La partecipazione del Regno Unito e dell'Irlanda a questo settore è regolata da un apposito Protocollo (n. 21) allegato ai Trattati.

Ai sensi dell'art. 2 del Protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell'Irlanda, e in forza dell'art. 1 dello stesso, secondo il quale il Regno Unito e l'Irlanda non partecipano all'adozione delle misure proposte a norma della parte terza, del titolo V del TFUE, nessuna disposizione del titolo in questione, né le misure adottate a norma di questo, possono in alcun modo essere vincolanti o applicarsi al Regno Unito o all'Irlanda (133).

L'art. 3 del medesimo Protocollo prevede, tuttavia, che entro tre mesi dalla presentazione di una proposta o di un'iniziativa del Consiglio, a norma della parte terza, titolo V, TFUE detti Stati possano notificare al presidente del Consiglio la loro intenzione di adottare dette misure. In questo caso, il Regno Unito e l'Irlanda avranno il diritto di adottarle provvedendo semplicemente alla suddetta notifica, senza che sia necessaria un'ulteriore autorizzazione del Consiglio. Un'eventuale adozione non è, comunque, esclusa nemmeno dopo l'entrata in vigore del provvedimento in questione, in quanto in un qualsiasi momento potrà essere notificata al Consiglio e alla Commissione tale intenzione (134).

Il Trattato di Lisbona ha introdotto, inoltre, l'art. 4-bis, il quale consente al Regno Unito e all'Irlanda di non adottare le modifiche di misure in vigore dell'acquis di Schengen che per essi sono vincolanti (135). Nell'eventualità in cui, tuttavia, il Consiglio ritenga e decida, deliberando su proposta della Commissione, che la mancata adozione di queste nuove disposizioni da parte del Regno Unito e dell'Irlanda possa rendere «impraticabile» l'applicazione della misura da parte degli altri Stati, può esortare lo Stato interessato a rivedere la propria posizione e ad adottarle, effettuando la notifica ai sensi dell'art. 3 (opt-in). Nel caso in cui ogni tentativo sia stato vano, la misura in vigore non sarà più applicabile per lo Stato rinunciatario, a meno che questi non abbia effettuato una notifica ai sensi dell'art. 4 prima dell'entrata in vigore della misura di modifica; il Consiglio potrà, tuttavia, decidere, deliberando a maggioranza qualificata, che il Regno Unito o l'Irlanda si facciano carico delle eventuali conseguenze finanziarie derivanti dalla loro mancata adozione delle modifiche in questione.

Ai fini della nostra analisi, è interessante notare quali atti, adottati dall'Unione europea in materia di immigrazione, visti e asilo, hanno destato l'interesse del Regno Unito, spingendo il governo ad adottarli.

Ad oggi, il governo britannico ha scelto di non attuare nessuna delle sostanziali previsioni in materia di immigrazione legale o di protezione dei diritti dei cittadini di paesi terzi: in particolare, si ricorda, la mancata adesione alla direttiva concernente lo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (136) e a quella relativa il diritto al ricongiungimento familiare (137). Nonostante i frequenti solleciti del House of Lords European Committee (138) ad adottare misure 'positive' in questa materia, il governo britannico si è sempre mostrato più interessato alle misure europee finalizzate a rafforzare il controllo dell'immigrazione. Con riferimento alle suddette direttive, il comitato della House of Lords ha auspicato fortemente che il Regno Unito rivedesse la sua posizione contraria, in quanto l'adozione di entrambe le misure di armonizzazione avrebbe fornito «an excellent foundation of rights for migrant workers in EU» e allo stesso tempo non avrebbe comportato alcuna conseguenza rispetto alla politica nazionale di controllo delle frontiere (139).

Il Regno Unito, invece, ha esercitato il suo potere di opt-in per molte delle misure adottate nel campo dell'immigrazione irregolare, tra cui la direttiva relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi (140), quella concernente le sanzioni da applicare ai vettori che trasportano cittadini di paesi terzi nel territorio degli Stati membri (141), la decisione quadro sulla lotta alla tratta degli esseri umani (142), la direttiva e la decisione quadro sul favoreggiamento dell'ingresso e del soggiorno illegale (143), nonché la direttiva riguardante l'obbligo del vettore di comunicare i dati relativi alle persone trasportate (144).

Inoltre si rammenta l'adesione del Regno Unito anche ai regolamenti istitutivi di un modello uniforme per i visti e per i permessi di soggiorno rilasciati ai cittadini di paesi terzi (145), mentre, per quanto riguarda le politiche di asilo, il Regno Unito ha adottato la maggior parte delle misure sviluppate nella prima fase del sistema comune europea di asilo (146).

4. La mancata adozione della 'direttiva rimpatri' nel Regno Unito

Il titolo V, parte terza, del TFUE contiene, come accennato, le disposizioni che attribuiscono la competenza all'Unione europea in materia di immigrazione, visti e asilo.

In particolare, l'art. 79 TFUE (ex art. 63, punti 3 e 4 del TCE), prevedendo che il Consiglio e il Parlamento europeo adottino misure in materia di «immigrazione clandestina e soggiorno irregolare, compresi l'allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare» (147), ha rappresentato la base giuridica per l'adozione della direttiva 2008/115/CE ('direttiva rimpatri'), la quale, ai sensi del considerando n. 26 della stessa (148), costituisce uno sviluppo delle disposizioni dell'acquis di Schengen cui il Regno Unito non partecipa in forza della decisione 2000/365/CE.

Si rammenta, inoltre, nello stesso considerando, che appartenendo, la materia, ad una di quelle del titolo V del TFUE si applicherà il protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell'Irlanda rispetto allo spazio di libertà sicurezza e giustizia (n. 21) e, di conseguenza, non essendo stata notificata al presidente del Consiglio nessuna volontà di partecipare entro tre mesi dalla proposta della Commissione, né successivamente all'adozione dell'atto, nessuna disposizione o misura in esso sarà vincolante o applicabile nel Regno Unito (149).

4.1. La riserva d'esame del Parlamento del Regno Unito

La valutazione circa l'opportunità di prendere parte o meno ad una delle misure previste dalla parte terza, Titolo V, del TFUE non viene effettuata dal Governo britannico in piena autonomia e discrezionalità ma, fin dagli anni Settanta, si ritiene necessario un controllo parlamentare sulla legislazione europea. In particolare, nell'aprile del 1974 presso la House of Lords venne istituito il Select Committee on European Communities, che nel 1999 prese il nome di Select Committee on the European Union; mentre nel maggio dello stesso anno, nella House of Commons, si diede vita al Select Committee on European Secondary Legislation, dal 1998, European Scrutiny Committee.

Le funzioni di questi comitati parlamentari sono parzialmente differenti in quanto, se entrambi hanno il compito di prendere in esame le proposte legislative dell'Unione europea, il Select Committee presso la House of Lords si occupa, altresì, di redigere approfonditi rapporti sulle rilevanti questioni politiche e di principio sollevate dalle proposte in questione, e proprio per questo, fin da subito, si è dotato di sette Sub-committees (150), specializzati nei diversi settori di attività dell'Unione europea (151).

Nel 1998 la House of Commons e nel 1999 la House of Lords hanno adottato, tuttavia, una nuova Risoluzione, la quale ha esteso la riserva parlamentare («Scrutiny Reserve») anche ai progetti di atti legislativi dell'Unione europea, quali Libri Bianchi e Libri Verdi (152), nonché ad altri documenti prelegislativi particolarmente rilevanti, come nel caso dei procedimenti di codecisione tra Consiglio e Parlamento.

Secondo la Risoluzione appena citata nessun membro del Governo può dare assenso, in seno al Consiglio o al Consiglio europeo, all'approvazione delle proposte legislative menzionate qualora queste siano ancora sottoposte all'esame dei comitati parlamentari o oggetto di dibattito in una delle due Camere (153). Sono previste, tuttavia, due eccezioni a questa regola: un Ministro può, comunque, esprimere il suo consenso qualora si tratti di testi a carattere confidenziale, di ordinaria amministrazione o di scarsa rilevanza o che abbiano sostanzialmente lo stesso contenuto di una proposta su cui il Parlamento si è già espresso, ovvero qualora per 'motivi speciali' (special reasons) l'assenso debba essere dato (154). In quest'ultimo caso, tuttavia, il Ministro deve dare spiegazioni 'alla prima occasione' (at the first opportunity) all'European Scrutiny Committee o alla Camera che doveva esaminare il testo.

Il controllo parlamentale si attua attraverso il seguente procedimento: almeno tre settimane prima della riunione del Consiglio, il Ministro incaricato presenta allo Scrutiny Committee una annotated agenda sulle materie all'ordine del giorno della seduta e un giorno o due giorni prima della riunione un written ministerial statement in cui viene indicata la posizione del Governo sui temi che verranno discussi; dopo la riunione consiliare, il Ministro informa il Comitato dei risultati della stessa e delle implicazioni nell'ordinamento britannico delle decisioni prese (155).

In concomitanza del rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali operato dal Trattato di Lisbona, il Regno Unito emanò l'European Union (Amendment) Act 2008 con il quale il governo si impegnava a prendere in considerazione i pareri delle European Union Committees delle due Camere prima di esercitare, ai sensi del Protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell'Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, il diritto a notificare al Presidente del Consiglio il desiderio di aderire alla proposta a norma della parte terza, titolo V del TFUE. Alla luce di questo impegno la House of Lords, il 30 marzo 2010 ha adottato la Opt-in Scrutiny Resolution, in base alla quale «No Minister of the Crown may authorise such notification within eight weeks after the proposal or initiative has been presented to the Council», salvo motivi speciali, di cui il Ministro dovrà dare spiegazioni allo European Union Committee o alla Camera che avrebbe dovuto discutere la proposta.

Lo European Scrutiny Committee è formato da sedici membri nominati dalla Camera dei Comuni che rimangono in carica per tutta la durata della legislatura. Ad esso vengono sottoposti moltissimi documenti, tra cui proposte legislative del Consiglio, i documenti pubblicati per essere sottoposti al Consiglio europeo, al Consiglio o alla Banca Centrale Europea, qualunque proposta per una strategia comune o un'azione comune ai sensi del Titolo V del TUE, nonché qualunque proposta per una posizione comune, decisione-quadro, decisione o per una convenzione ai sensi del Titolo VI del TUE preparata per essere sottoposta al Consiglio (156).

Entro due giorni dal ricevimento, il governo deve trasmettere questi documenti al Comitato in questione e entro dieci giorni fargli pervenire un Memorandum esplicativo (Explanatory Memorandum), che deve contenere informazioni sui contenuti dei testi, precisare l'impatto sul diritto interno, nonché indicare l'orientamento del Governo in proposito.

Dopo aver esaminato il documento, lo European Scrutiny Committee può proporre la loro trasmissione per il dibattito a uno dei tre Comitati per le questioni europee (European Committees), a seconda dell'area tematica, oppure alla House of Lords qualora la questione sia considerata estremamente rilevante.

Nel primo caso la discussione si svolge sulla basi di un'apposita mozione (motion) presentata dal Governo, il quale può proporre di approvare, approvare con emendamenti o rigettare il documento esaminato; al termine della discussione seguirà il voto dell'European Committee. Successivamente il Ministro proporrà la deliberazione in Assemblea, sempre con apposita mozione, al termine della quale il Ministero potrà agire in sede comunitaria.

Nel secondo caso, ovvero quando il documento venga trasmesso direttamente alla Camera dei Comuni, il progetto è comunque assegnato ad uno dei tre comitati e spetterà al Governo presentare mozione di revoca dell'assegnazione in Comitato, trasferendo così l'esame e la deliberazione finale all'Assemblea (157).

Il Select Committee on the European Union della House of Lords è composto, invece, da venti membri permanenti ed è noto per l'ampiezza e la profondità delle sue analisi e dei suoi Reports. Il comitato in questione si occupa di prendere in considerazione qualsivoglia documento dell'Unione europea o altre materie ad essa correlate anche in assenza di un progetto formale. Il Salaried Officer of the House, ossia il Presidente del comitato, è colui che si occupa di scegliere quali tra i documenti trasmessi dal Governo sono più rilevanti da essere sottoposti all'esame del comitato. Se i documenti non sono considerati sufficientemente importanti la riserva di esame parlamentare viene immediatamente tolta, mentre gli altri documenti sono inviati al sottocomitato competente che procede a sua volta ad una selezione. Il sottocomitato, una volta esaminato il documento, sottopone allo European Union Committee uno schema di rapporto per l'approvazione e questi a sua volta prepara un rapporto per l'Assemblea, che può o meno raccomandare il dibattito in Assemblea, ma deve, in ogni caso, rendere conto dei lavori del sottocomitato e della sua posizione sulla proposta. Qualora si apra il dibattito in Aula, lo scrutinio sarà completato in seguito alla deliberazione finale.

4.2. La proposta di 'direttiva rimpatri' al vaglio delle Camere e la decisione di non partecipare alla sua adozione

Quando nel 2005 la Commissione presentò la 'Proposta di Direttiva recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini dei paesi terzi soggiornanti illegalmente' (158), il Governo aveva già formulato alcuni dubbi circa la volontà di adottare misure di armonizzazione in questo campo.

In seguito alla presentazione del 'Libro verde su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli Stati membri' (159), il Regno Unito aveva inviato le proprie risposte ai quesiti posti dalla Commissione (160): nonostante avesse accolto con piacere la discussione intrapresa a livello di Unione europea al fine di indagare sulle migliori pratiche messe in atto dagli Stati membri in materia di rimpatri, il governo riteneva che non vi fosse un reale urgenza di definire norme comuni in questo settore (161).

Il 16 settembre 2005 il governo ha presentato in Parlamento la proposta della Commissione affinché venisse sottoposta al vaglio delle commissioni competenti.

Lo European Scrutiny Committee valutò i documenti trasmessi due mesi dopo, il 16 novembre 2005, e raccomandò che l'European Standing Committee B (162) discutesse la proposta prima di Natale, ossia prima dello scadere del termine utile (163) per notificare alla presidenza del Consiglio la volontà di partecipare all'adozione dell'atto (164).

Il dibattito allo European Standing Committee B si tenne il 6 dicembre 2005 alla presenza del Minister for Immigration, Citizenship and Nationality, Tony McNulty, il quale colse l'occasione per ribadire i dubbi del governo sulla necessità di stabilire norme comuni soprattutto se queste sono capaci di aumentare la burocrazia di un processo già abbastanza complesso.

Fin dall'inizio il governo riteneva, infatti, che la direttiva avrebbe costituito un inutile onere amministrativo e burocratico, comportando unicamente l'indebolimento dell'efficacia dei rimpatri del Regno Unito così come degli altri Stati membri.

Di fronte al Committee, il Ministro sostenne la posizione del governo sull'intenzione di non esercitare il potere di opt-in, anche avuto riguardo alle profonde modificazioni della legislazione nazionale che un eventuale recepimento della direttiva avrebbe richiesto, nonostante lo stadio iniziale delle negoziazioni.

Infine, il giorno 8 dicembre del 2005, il Regno Unito decise in maniera risolutiva di non esercitare il proprio potere di opt-in: nel documento redatto da Tony McNulty vennero brevemente indicate le ragioni della decisione e le notevoli modifiche alla legislazione interna che l'eventuale adozione della direttiva, così come configurata al momento della proposta della Commissione, avrebbe comportato per il Regno Unito (165).

In questa occasione, il governo sottolineava, con riguardo alla procedura prevista dalla direttiva, che l'Immigration Service prevedeva già la concessione di un termine per la partenza volontaria quando ciò fosse ritenuto appropriato. Tuttavia, qualora vi fossero persone non intenzionate a lasciare volontariamente il paese, l'obbligo di prevedere un termine per la partenza volontaria avrebbe potuto indebolire le capacità dell'Immigration Service di agire in modo efficace e veloce contro chi cercava di violare i controlli dell'immigrazione (166).

Obiezioni da parte del governo britannico furono sollevate anche con riguardo alle disposizioni relative al trattenimento amministrativo, in quanto il governo non voleva accettare la possibilità di applicare la misura della detenzione solo laddove non fossero sufficienti altre misure meno coercitive (167). La legislazione interna permetteva, inoltre, di trattenere gli stranieri in attesa del rimpatrio anche per motivi diversi dal rischio di fuga.

La decisione sulla detenzione, a differenza di quanto previsto nella proposta della Commissione era adottata da un'autorità amministrativa, e non giudiziaria, e non era sottoposta ad un controllo giurisdizionale automatico (168).

Il governo, in particolare, non concordava nemmeno sulla previsione di un termine massimo alla detenzione: secondo il sistema britannico, questa, infatti, doveva essere prevista per un periodo ragionevole per l'esecuzione dell'allontanamento del soggetto, che, tuttavia, poteva variare da caso a caso. La fissazione di un tetto massimo al trattenimento avrebbe perciò compromesso la flessibilità del sistema britannico, avrebbe avuto l'effetto di impedire od ostacolare il processo di rimpatrio (169).

Infine, con riferimento alla previsione di un divieto di reingresso, questo avrebbe rappresentato delle difficoltà per il Regno Unito che non aveva accesso ad alcun aree del Sistema di Informazione Schengen (S.I.S.). Di conseguenza il Regno Unito non avrebbe potuto trasmettere né avere conoscenza dei divieti di reingresso disposti dagli altri Stati membri (170). Inoltre il governo non accettava che il divieto di reingresso potesse essere revocato con il semplice rimborso del costo della procedura di rimpatrio, come inizialmente era previsto dalla proposta di 'direttiva rimpatri' (171); il governo sosteneva che una tale previsione avrebbe costituito una forma di 'condono' delle violazioni dei controlli immigrazione solo per coloro che disponessero di adeguate risorse finanziarie, escludendo dal beneficio tutti coloro che ne fossero sprovvisti.

L'11 gennaio 2006 il Ministro confermò al Select Committee on the European Union della House of Lords la decisone del governo di non partecipare alla direttiva, ma, allo stesso tempo, dichiarò che il governo sarebbe stato presente alle negoziazioni per l'adozione della direttiva e avrebbe proposto gli emendamenti che riteneva necessari per un miglioramento del testo.

Dopo qualche mese, precisamente il 9 maggio del 2006, lo European Union Committee della House of Lords pubblicò un Report dedicato all'analisi della proposta della Commissione europea. L'inchiesta era stata condotta dallo Home Affairs Sub-Committee (Sub-Committee F) e si proponeva di mettere in luce, oltre ai propri rilievi, la posizione del governo e quella di alcune associazioni operanti sul Regno Unito in difesa dei diritti dei migranti su gli aspetti più incisivi del testo della direttiva.

Il comitato riteneva che la proposta di direttiva avrebbe potuto rappresentare l'occasione per elevare gli standard nella politica dei rimpatri di molti paesi membri; ma ciò non era successo, perché la Commissione - secondo lo European Union Committee- sembrava aver adottato un testo sulla base di un compromesso tra le varie legislazioni nazionali che rischiava di comportare un generale abbassamento dei livelli di protezione ed efficienza in alcuni Stati membri. Sulla base di questo argomento, il comitato giustificava e sosteneva la posizione del governo di non aderire alla direttiva in questione.

Con riferimento alla partenza volontaria, il comitato rammentava la posizione del governo fortemente contraria alla previsione di un termine fissato per legge, nonché quella dell'International Organization for Migration (IOM), la quale riteneva inadeguata la fissazione di un periodo per la partenza volontaria perché il termine avrebbe dovuto adattarsi di volta in volta alle esigenze dei singoli casi concreti: in questo senso si orientava anche l'opinione del comitato, il quale, nonostante concordasse con la previsione di un «congruo periodo per la partenza volontaria», riteneva inappropriata la fissazione di un limite massimo, in quanto sarebbe stato preferibile che le autorità determinassero caso per caso il congruo periodo da concedere (172).

Attualmente nessuna legge nel Regno Unito obbliga le competenti autorità ad emettere delle decisioni di rimpatrio provviste di un termine entro il quale il cittadino di paese terzo dovrebbe lasciare il territorio nazionale. La partenza volontaria, come visto, rientra unicamente nella libera scelta dello straniero sottoposto ad una procedura di allontanamento, salvo l'eventuale autorizzazione laddove la decisione di rimpatrio sia già intervenuta. La differenza con il quadro normativo che si è delineato a livello europeo con l'approvazione della 'direttiva rimpatri' è abbastanza evidente: all'art. 7 la direttiva impone - salvo quanto previsto al paragrafo 4 - agli Stati di adottare decisioni di rimpatrio che, di norma, dovranno fissare per la partenza volontaria un periodo compreso tra sette e trenta giorni (173). Tuttavia la possibilità di eseguire il rimpatrio attraverso la modalità della partenza volontaria si rivela nel Regno Unito, attraverso le linee guida fornite dalla UK Border Agency, più effettiva di quanto non sia stato previsto dagli Stati membri tenuti al recepimento della 'direttiva rimpatri', i quali, profittando della definizione di 'rischio di fuga', hanno di fatto ampliato il raggio applicativo dell'allontanamento con accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica.

L'ordinamento francese, sebbene abbia previsto che l'OQT sia di norma accompagnato da un termine massimo di trenta giorni affinché il cittadino straniero possa lasciare spontaneamente il territorio nazionale, ha declinato il rischio di fuga in maniera talmente vasta da ridurre ad eccezioni le ipotesi di partenza volontaria (174). Allo stesso modo il legislatore italiano ha previsto la concessione di un termine per partire sempre che non ricorrano le condizioni per l'allontanamento coattivo, tra le quali si è visto che rientra il rischio di fuga, la cui definizione è in grado di ricomprendere la maggioranza dei casi degli espellendi in Italia. Per di più l'Italia si è avvalsa della facoltà di cui alla art. 7 della direttiva che consente di concedere il termine in questione solo su domanda dello straniero interessato (175), non curandosi tuttavia di disciplinare le modalità attraverso le quali prospettare allo straniero le conseguenze di una mancata richiesta in tal senso.

Al momento in cui la proposta veniva presentata alle istituzioni europee, alcuni Stati non prevedevano un termine massimo alla detenzione amministrativa degli stranieri sottoposti ad una procedura di rimpatrio (176): tra questi vi era anche il Regno Unito, il quale aveva già formulato dubbi sulla possibilità di porre un limite a livello europeo (177), in risposta all'adozione del Libro verde da parte della Commissione. L'Home Office confermò la sua posizione con riferimento alla proposta di direttiva che prevedeva una durata massima di sei mesi: «A fixed upper limit on length of detention would have the effect of preventing removal or, at the very least, significantly reduce the possibilities of successful removal in many cases» (178). Dal canto suo anche il comitato ritenne che l'ipotesi di un limite assoluto, non prolungabile, avrebbe privato gli Stati membri di quella flessibilità indispensabile per trattare casi eccezionali (179).

Inoltre, secondo lo European Union Committee le disposizioni relative alle condizioni della custodia temporanea (180) non erano state formulate in modo sufficientemente preciso, né avrebbero assicurato adeguata protezione alle persone vulnerabili (181).

Come si è potuto notare dall'analisi del sistema di espulsione degli stranieri irregolari nel Regno Unito, limiti temporali e di scopo alla detenzione amministrativa sono stati fissati, oltre che dalle linee guida dell'Agenzia di frontiera britannica, anche dalla giurisprudenza, la quale, a partire dalla pronuncia nel caso Hardial Singh, ha configurato il trattenimento amministrativo sulla base degli stessi principi enunciati dalla 'direttiva rimpatri' all'art. 15.

Con riguardo alle garanzie prima del rimpatrio, la proposta prevedeva che nei confronti delle persone che non potevano essere allontanate gli Stati si adoperassero per assicurare loro condizioni che non fossero meno favorevoli di quelle previste dalla 'Direttiva accoglienza', tra le quali non ricomprendeva tuttavia quelle riguardanti l'impiego, l'assistenza sociale e l'alloggio (182): il comitato raccomandava pertanto l'inclusione anche di queste disposizioni (183).

Come si è visto, con riferimento agli strumenti a disposizione dello straniero avverso le decisioni di rimpatrio e i provvedimenti di allontanamento, la Commissione aveva lasciato agli Stati la possibilità di prevedere un ricorso giurisdizionale con effetto sospensivo oppure di attribuire al cittadino di paese terzo il diritto di richiedere la sospensione dell'esecuzione delle misure in questione.

La legge britannica, allora, prevedeva che se una persona dovesse essere rimpatriata in uno dei paesi previsti nella lista di cui alla sezione 94(4) del Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002 (184), il diritto ad un ricorso ('right of appeal') poteva essere esercitato, di norma, solo dopo che il rimpatrio in tale paese fosse stato eseguito. L'inclusione in tale lista presupponeva la valutazione del governo circa la mancanza di un rischio di persecuzione in tale Paese; pertanto, il rinvio in uno di questi non avrebbe costituito una violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Un ricorso nel Regno Unito, invece, sarebbe stato ammesso solo laddove vi fosse stato «an asylum claim, human rights claim or a claim based on the Community Treaties». Il governo sosteneva che la garanzia di un rimedio effettivo era soddisfatta dal sistema britannico laddove prevedeva un ricorso, senza effetto sospensivo, ma con la possibilità di essere esperito fuori dal Regno Unito (out-of-country right of appeal) (185). Inoltre, riteneva che la proposta di direttiva non richiedesse un ricorso necessariamente ad effetto sospensivo, ma solo di offrire un rimedio effettivo, i cui contenuti e la cui natura avrebbero potuto essere sindacati solo dalle corti dei singoli Stati membri (186).

Lo European Union Committee faceva notare, al contrario, la scarsa efficacia del ricorso predisposto dal sistema britannico, considerato che dal 2003 al 2005 solo quattro persone avevano esercitato tale diritto dal proprio paese di origine: in particolare, uno dalla Giamaica, uno dall'Albania e due dalla Romania (187); pertanto non poteva ritenersi un rimedio idoneo a tutelare questo tipo di situazioni (188). A tale proposito, tutte le associazioni, salvo MigrationWatch UK (189), che avevano formulato i propri rilievi di fronte al comitato, sostenevano la necessità di un ricorso con effetto sospensivo in quanto solo questo sarebbe stato in grado di approntare un'adeguata protezione al soggetto interessato (190).

L'art. 14, par. 2, della proposta della Commissione prevedeva, poi, che la custodia temporanea fosse disposta dalle autorità giudiziarie; tuttavia, in casi urgenti poteva essere disposta dalle autorità amministrative ed essere convalidata dall'autorità giudiziaria entro le settantadue ore successive dall'inizio della custodia temporanea.

Nei confronti del provvedimento che dispone la detenzione amministrativa dello straniero non è riconosciuto a livello legislativo nessun diritto di appello (191) di fronte all'Asylum and Immigration Tribunal (AIT); pertanto le contestazioni con riferimento alla durata o alla legalità della procedura che ha applicato la detenzione potranno essere fatte valere solo nella sede del riesame giurisdizionale della misura (judicial review), che, tuttavia, non è un appello nel merito della stessa; inoltre, la possibilità di ricorrere all'autorità giurisdizionale non è automatica, ma sottoposta ad autorizzazione.

Nonostante le raccomandazioni formulate dal Home Affairs Sub-Committee della House of Lords circa l'introduzione di un riesame giurisdizionale automatico della detenzione, alla stregua di quanto previsto dalla proposta di 'direttiva rimpatri' della Commissione europea, il governo rifiutò di modificare la legislazione interna in tal senso. In risposta a queste sollecitazioni, il governo aveva affermato che il mancato coinvolgimento dell'autorità giudiziaria nel procedimento di rimpatrio non violava l'articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che non richiede il coinvolgimento di un'autorità giudiziaria nel contesto della detenzione amministrativa degli stranieri. L'esecutivo riteneva, al contrario del comitato della House of Lords, che la previsione di un riesame giurisdizionale automatico avrebbe comportato un considerevole aggravio di lavoro per i tribunali, inserendo un ulteriore passaggio ad un procedimento, come quello in materia di immigrazione e asilo, che costantemente si tentava di semplificare (192). Inoltre la legalità della detenzione amministrativa nel Regno Unito - ad avviso del governo britannico - poteva essere comunque controllata, oltre che attraverso il judicial review, anche facendo ricorso all'antico rimedio dell'habeas corpus, panacea di tutte le privazioni arbitrarie della libertà personale (193), in quanto capace in ogni momento di far intervenire un giudice ad esprimersi sulla legalità di una detenzione.

Il governo ricordò, infine, che sussisteva pur sempre la possibilità di rivolgersi ai giudici dell'immigrazione (Immigration Judges) per richiedere il rilascio su cauzione: per questi motivi, ha ritenuto il sistema di revisione della detenzione in linea con quanto richiesto dall'art. 5(4) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (194).

Per quanto riguarda il controllo sulla detenzione amministrativa offerto dagli altri paesi europei oggetto dell'analisi, quali Italia e Francia, i meccanismi di revisione messi a punto appaiono sicuramente più garantisti di quello britannico. In Italia, infatti, il provvedimento che dispone il trattenimento amministrativo seppur adottato da un'autorità amministrativa deve essere obbligatoriamente convalidato, entro quarantotto ore dalla sua adozione, dal giudice di pace (195). Mentre, come abbia visto, in Francia la disciplina è stata recentemente modificata dalla legge 'Besson', la quale ha previsto che lo straniero dispone adesso di quarantotto ore per adire il giudice amministrativo, che a sua volta avrà settantadue ore per pronunciarsi sulla legalità della misura, mentre l'autorità amministrativa, entro cinque giorni dalla notifica del provvedimento, potrà adire il juge des libertés et de la détention (JLD) per chiedere il prolungamento del trattenimento; in questo caso dunque l'intervento di un controllo sulla misura è lasciato alla facoltà dello straniero, o ad un eventuale intervento dell'autorità amministrativa.

Secondo il comitato la previsione di cui all'art. 14 della proposta istituiva, dunque, un regime decisamente più favorevole rispetto a quello previsto da molti Stati membri, compreso il Regno Unito dove il ricorso all'autorità giudiziaria non era automatico, ma sottoposto ad autorizzazione. Lo European Union Committee raccomandò, pertanto, al governo di utilizzare la propria influenza nelle negoziazioni affinché l'art. 14 della proposta non venisse modificato e che la protezione da esso offerta non venisse diluita; allo stesso tempo spronava l'esecutivo a conformare a tale disposizione la disciplina interna relativa alla revisione giurisdizionale della detenzione (196). Qualora, tuttavia, il regime imposto dalla norma proposta dalla Commissione non si fosse rivelato adottabile nel Regno Unito, si chiedeva quantomeno di introdurre una norma che stabilisse l'illegalità della detenzione disposta da un'autorità amministrativa, laddove non fosse intervenuta una convalida da parte dell'autorità giudiziaria entro un mese dall'inizio della detenzione e, da quel momento in poi, ad ogni intervallo di tre mesi (197). Tale previsione doveva essere ritenuta - ad avviso del comitato - il necessario compromesso da accettare di fronte al potere dello Stato di trattenere in detenzione persone che non hanno commesso alcun reato.

L'ultimo aspetto della proposta preso in considerazione dal rapporto riguardava il divieto di reingresso. Il comitato metteva in dubbio, innanzitutto, la correttezza della base legale dell'art. 9, la quale, come per il resto della direttiva, si riscontra nell'art. 63, par. 3, lett. (b) del TCE.

Ad avviso dello European Union Committee, se si riteneva il divieto di reingresso meramente incidentale rispetto all'obiettivo predominante della direttiva, ossia l'adozione del provvedimento di allontanamento o della decisone di rimpatrio, la base legale individuata dalla Commissione sarebbe risultata adeguata. Se, invece, si considerava il divieto di reingresso strettamente legato al provvedimento di allontanamento o alla decisione di rimpatrio la base legale doveva necessariamente comprendere oltre alla lettera (b), anche la lettera (a) dell'art. 63, par. 3, del TCE (198), il ché avrebbe implicato la necessaria unanimità del Consiglio e un ruolo meramente consultivo del Parlamento europeo (199): e ciò perché incidendo il divieto di reingresso sulle condizioni di ingresso del cittadino di paese terzo sul territorio dell'Unione europea, qualora questo fosse considerato imprescindibile dalla decisione di rimpatrio o dal provvedimento di allontanamento, la base legale di cui all'art. 63, par. 3, lett. (b) TCE non sarebbe stata sufficiente, perché solo le misure relative al rimpatrio potevano essere adottate sotto la procedura di codecisione, e non anche quelle relative alle condizioni di ingresso.

Su questo punto, dunque, il comitato richiedeva al governo di indagare sulla correttezza della base legale con riferimento al divieto di reingresso previsto all'art. 9 della proposta di direttiva (200).

Nel Regno Unito, al momento della presentazione della proposta alle istituzioni europee, il divieto di reingresso era previsto solo per chi veniva espulso (deported) ai sensi dell'Immigration Act del 1971, sia nel caso in cui fosse stato condannato per un reato e il tribunale stesso avesse raccomandato l'espulsione nella sentenza, sia qualora l'espulsione fosse stata disposta per l'esigenza di garantire il bene pubblico, mentre era discrezionale per coloro che venivano allontanati (removed) in ragione dell'irregolarità del loro ingresso o soggiorno. L'impatto della direttiva nell'ordinamento interno, imponendo di accompagnare il divieto di reingresso in tutte le ipotesi in cui lo straniero non avesse lasciato volontariamente lo Stato membro, avrebbe comportato un abbassamento degli standard allora garantiti dalla legislazione interna (201).

Secondo il comitato, da accogliere con favore era unicamente la previsione di un divieto di reingresso a tempo indeterminato qualora il cittadino di paese terzo avesse costituito una grave minaccia per l'ordine pubblico o per la sicurezza nazionale.

Il rapporto metteva in luce, inoltre, le numerose obiezione che l'introduzione di un divieto di reingresso a livello europeo aveva suscitato nel mondo delle associazioni in difesa dei diritti dei migranti e nel Parlamento europeo.

Anche il Ministero dell'interno era critico su come era stato configurato il divieto di reingresso: il governo riteneva, infatti, che questo dovesse essere disposto a discrezione dell'amministrazione, in modo tale da adattarsi meglio ai singoli casi concreti; lo stesso comitato, contestava, infine, la previsione della possibilità di revoca del divieto qualora fossero state rimborsate le spese della procedura di rimpatrio, in quanto le capacità economiche del cittadino di paese terzo espulso non potevano influire sull'eventuale reingresso dello stesso sul territorio di uno Stato membro. Quest'ultima previsione non è stata mantenuta nel testo finale della direttiva.

Come detto, un divieto di reingresso valevole per tutti gli Stati dell'area Schengen poneva oltretutto rilevanti problemi pratici per il Regno Unito, in quanto questi, insieme all'Irlanda, non partecipava interamente al Sistema d'informazione Schengen (SIS) e, in particolare, non aveva accesso alla sezione relativa all'immigrazione. Ciò non permetteva, di conseguenza, alle autorità britanniche di inserire nel sistema le informazioni necessarie relative ai divieti di reingresso disposti dal Regno Unito, né, per contro, di accedere agli stessi dati inseriti dagli altri Stati membri. La Commissione europea, a questo proposito, aveva suggerito agli Stati che non partecipavano al SIS di cercare altri canali per la condivisione di tali informazioni, come l'instaurazione di una cooperazione amministrativa tra le autorità competenti di Stati diversi. Secondo lo European Union Committee, questa soluzione era assolutamente impraticabile considerato che le informazioni avrebbero dovuto essere trasmesse non ad una banca dati centrale ma a ventiquattro Stati membri diversi, i quali a loro volta avrebbero dovuto inviare i loro dati separatamente ad Irlanda e Regno Unito. L'unica soluzione effettiva sembrava quella di negoziare un accordo per permettere l'accesso alle informazioni relative all'immigrazione del SIS (202).

Infine il comitato raccomandava la modifica delle norme relative al divieto di reingresso così come formulate nella proposta della Commissione, affinché questo venisse imposto solo nei riguardi di coloro che rappresentassero una minaccia per la sicurezza o fossero state condannate per la commissione di un grave reato, auspicando, dunque, la revisione di un divieto indiscriminato come quello proposto dalla Commissione (203).

Il Regno Unito, attualmente, contempla un divieto di reingresso anche nei casi di partenza volontaria ma li distingue dalle ipotesi di allontanamento coattivo (204), prevedendo divieti con termini inferiori agli stranieri irregolari che abbiano lasciato volontariamente il territorio britannico. Ai sensi del paragrafo 320(7B) delle Immigration Rules (205), infatti, per coloro che si sono trattenuti illegalmente sul territorio, oltre il termine previsto dal permesso di soggiorno, è previsto un divieto di reingresso pari a ventotto giorni, se il rimpatrio avviene volontariamente senza oneri per il Secretary of State; per tutti gli altri (coloro che hanno violato le condizioni di soggiorno, hanno usato inganni o sono entrati illegalmente) il divieto di ingresso è di dodici mesi, sempre che la partenza sia volontaria e sia avvenuta a proprie spese. Per quanto riguarda, invece, gli stranieri che hanno lasciato volontariamente il territorio ma hanno beneficiato del pagamento delle spese da parte del Secretary of State l'ingresso è rifiutato per cinque anni. Seppur divergendo parzialmente dalle disposizioni della direttiva 2008/115/CE, le quali impongono agli Stati la fissazione del divieto di reingresso solo qualora non sia stato concesso un termine per la partenza volontaria o qualora tale termine non sia stato osservato (206), il Regno Unito adotta lo stesso meccanismo premiale proposto dalla direttiva, prevedendo per coloro che decidono di lasciare spontaneamente il territorio delle disposizioni più favorevoli ai fini dell'applicazione del divieto di reingresso.

Il sistema che si è delineato nel Regno Unito sembra dunque più rispondente allo spirito della 'direttiva rimpatri' rispetto a quello configurato dal legislatore italiano: nonostante la riduzione del divieto da dieci fino ad un massimo di cinque anni e l'introduzione dell'obbligo di considerare tutte le circostanze del singolo caso, non è stata, infatti, abbandonata la previsione che impone di comminare il divieto di reingresso a tutte le espulsioni, a prescindere dalle loro modalità applicative (207). Allo stesso modo la Francia, ha introdotto nel proprio ordinamento l'interdiction de retour sur le territoire français (IRTF), la quale può riguardare anche i casi di partenza volontaria; per giunta, in aperto contrasto con la 'direttiva rimpatri', la decisione è stata affidata in tutti i casi al potere discrezionale dell'autorità amministrativa (208), mentre l'atto comunitario prevede esplicitamente un obbligo di applicazione del divieto solo nel caso in cui allo straniero non sia stato concesso un termine per la partenza volontaria o, qualora concesso, non lo abbia rispettato.

Le previsioni britanniche non prevedono un termine che deve essere di volta in volta individuato come richiesto dalla direttiva (209), bensì un termine fisso, ben al di sopra della durata massima suggerita dall'atto comunitario nel caso di allontanamento forzato. Tale era, d'altronde, la disciplina italiana prima del recepimento della 'direttiva rimpatri', la quale prevedeva un divieto di reingresso di dieci anni per tutte le espulsioni.

All'inchiesta condotta dallo Home Affairs Sub-Committee della House of Lords, seguì una fitta corrispondenza tra il Minister of State, Liam Byrne MP (Member of Parliament) e il Chairman, ossia il presidente del comitato, al fine di discutere degli aspetti più rilevanti della proposta di direttiva (210).

Il governo accolse con piacere le valutazioni compiute dal comitato nel Report del 9 maggio 2006, e confermò ancora una volta l'intenzione di non voler partecipare all'adozione della direttiva, in quanto non condivisibile in molti dei suoi aspetti e idonea a comportare un abbassamento degli standard di molti Stati membri.

L'esecutivo ribadì, come era precedentemente avvenuto nel documento di dicembre, di voler mantenere le proprie prerogative con riferimento alla partenza volontaria, concedendo un termine solo qualora questo fosse appropriato al singolo caso.

Con riguardo ai dubbi sollevati sulle possibilità di ricorso contro le decisioni di rimpatrio e i provvedimenti di allontanamento, il Ministro ribadì ancora una volta la mancanza di necessità di una sospensione degli effetti, e ritenne doveroso chiarire per quali motivi il governo ritenesse il out-of-country right of appeal un rimedio effettivo a disposizione degli stranieri. A questo proposito, il Ministro precisò che i soggetti che avevano proposto un'impugnazione dal loro paese di origine a cui faceva riferimento l'inchiesta del comitato avevano già promosso un ricorso nel paese (in-country appeal), il quale era stato giudicato manifestamente infondato.

Sul divieto di reingresso, l'esecutivo riteneva che questo fosse una previsione incidentale rispetto allo scopo della direttiva, pertanto confermò che la base legale fosse da individuare unicamente nell'art. 63, par. 3, lett. (b), TCE. Secondo il governo, il divieto di reingresso avrebbe dovuto lasciare agli Stati la facoltà di decidere la durata dello stesso a seconda delle singole circostanze. Con riguardo alle difficoltà pratiche nello scambio di informazioni, il governo faceva presente che il Regno Unito in più occasioni precedenti aveva espresso la volontà di condividere i dati sull'immigrazione con gli altri Stati; tuttavia, la sua proposta era stata rifiutata, sostenendo che al Regno unito non sarebbe stato permesso di accedere a tali informazioni fino a quando non avesse iniziato ad aderire alle parti relative all'immigrazione dell'acquis di Schengen, rinunciando, di conseguenza, ai propri controlli alle frontiere. Di fronte a tale richiesta, il governo ribadiva la ferma volontà di non diventare a pieno un membro di Schengen: la volontà si fonda da sempre sulla collocazione geografica del Regno Unito, che lo esporrebbe ad una minaccia maggiore, con riferimento sia all'immigrazione irregolare che all'attraversamento delle frontiere da parte della criminalità organizzata; pertanto il controllo alle frontiere rappresentava l'unico modo per gestire i propri confini.

Note

1. L'Immigration Act del 1971 è stato modificato ed integrato dall'Immigration Act del 1988, l'Asylum and Immigration Act del 1996 e del 1999, il Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002 e l'Asylum and Immigration Act del 2004.

2. Si tratta delle norme in materia di immigrazione adottate dal Parlamento del Regno Unito nel 1994.

3. Il Commonwealth delle Nazioni (o semplicemente noto come Commonwealth) è la confederazione delle ex colonie dell'impero britannico (solo il Mozambico e il Ruanda non erano parte dell'impero), divenute successivamente Stati indipendenti che riconoscono il sovrano britannico come capo del Commonwealth stesso. Si tratta di un'organizzazione intergovernativa formata da 54 Stati membri che venne fondata nel 1926 a Balfour. In seguito tale rapporto venne formalizzato con lo Statuto di Westminster del 1931 attraverso il Parlamento inglese ha rinunciato ad ogni autorità legislativa sui Dominions e venne creato il British Commonwealth of Nations.

4. La direttiva 2003/109/CE, cit., riguarda lo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo nel territorio degli Stati membri dell'Unione europea: all'art. 12, stabilisce che gli Stati possono decidere di allontanare il lungo soggiornante esclusivamente se egli costituisce una minaccia effettiva e sufficientemente grave per l'ordine pubblico o la pubblica sicurezza.

5. Immigration Act 1971, section 7(1): "Notwithstanding anything in section 3(5) or (6) above but subject to the provisions of this section, a Commonwealth citizen or citizen of the Republic of Ireland who was such a citizen at the coming into force of this Act and was then ordinarily resident in the United Kingdom: (b) shall not be liable to deportation under section 3(5) if at the time of the Secretary of State's decision he had for the last five years been ordinarily resident in the United Kingdom and Islands; (c) shall not on conviction of an offence be recommended for deportation under section 3(6) if at the time of the conviction he had for the last five years been ordinarily resident in the United Kingdom and Islands".

6. G. Clayton, Textbook on Immigration and Asylum Law, Oxford, Oxford University Press, 2012, p. 570.

7. Ivi, p. 57.

8. The Right Honourable Hon Charles Clarke MP, Statement to the House of Commons on 3 May 2006.

9. La proposta del governo venne immediatamente appoggiata anche dal Home Affairs Committee della House of Commons: House of Commons, Home Affairs Committee, Immigration control, Fifth Report of session 2005-2006, HC 775-I, par. 535.

10. Immigration Act 1971, section 2: "A person is under this Act to have the right of abode in the United Kingdom if: (a) he is a British citizen; or (b) he is a Commonwealth citizen who (i) immediately before the commencement of the British Nationality Act 1981 was a Commonwealth citizen having the right of abode in the United Kingdom by virtue of section 2(1)(d) or section 2(2) of this Act as then in force; and (ii) has not ceased to be a Commonwealth citizen in the meanwhile".

11. Nel conteggio dei cinque anni di residenza è considerato anche il periodo trascorso sul territorio britannico in violazione della normativa sull'immigrazione: ma la giurisprudenza ha stabilito che tale regola si applica solo a chi si è trattenuto oltre il periodo concesso per il soggiorno sul territorio (overstayer) e non a chi è entrato illegalmente. Non è, invece, computato a tali fini il periodo trascorso in prigione (Lawrence Kane v. Secretary of State for the Home Department [2000] Imm AR 250).

12. Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, in GUUE L 229 del 29 giugno 2004.

13. Immigration Act 1971, section 5(1): "Where a person is under section 3(5) or (6) above liable to deportation, then subject to the following provisions of this Act the Secretary of State may make a deportation order against him, that is to say an order requiring him to leave and prohibiting him from entering the United Kingdom; and a deportation order against a person shall invalidate any leave to enter or remain in the United Kingdom given him before the order is made or while it is in force".

14. Il principio è stato formulato nel caso giudiziario da cui prende il nome: Carltona Ldt v. Commissioner of Works[1943] 2 All ER 560 CA.

15. Immigration Rules, par. 363: "The circumstances in which a person is liable to deportation include: (i) where the Secretary of State deems the person's deportation to be conducive to the public good; (ii) where the person is the spouse or civil partner or child under 18 of a person ordered to be deported; and (iii) where a court recommends deportation in the case of a person over the age of 17 who has been convicted of an offence punishable with imprisonment".

16. EO (Deportation appeals: scope and process) Turkey [2007] UKAIT 00062.

17. UK Borders Act, section 32(5).

18. Ivi, section 33(2) e (4).

19. Ivi, section 33(3).

20. Immigration Act 1971, section 3(5): "A person who is not a British citizen is liable to deportation from the United Kingdom if (a) the Secretary of State deems his deportation to be conducive to the public good (...)".

21. Immigration Rules, par. 365.

22. Immigration Rules, par. 366.

23. Immigration Rules, par. 368: "Where the Secretary of State decides that it would be appropriate to deport a member of a family as such, the decision, and the right of appeal, will be notified and it will at the same time be explained that it is open to the member of the family to leave the country voluntarily if he does not wish to appeal or if he appeals and his appeal is dismissed".

24. Immigration Act 1971, section 5(3): "A deportation order shall not be made against a person as belonging to the family of another person if more than eight weeks have elapsed since the other person left the United Kingdom after the making of the deportation order against him; and a deportation order made against a person on that ground shall cease to have effect if he ceases to belong to the family of the other person, or if the deportation order made against the other person ceases to have effect".

25. Immigration Act 1971, section 3(6): "Without prejudice to the operation of subsection (5) above, a person who is not a British citizen shall also be liable to deportation from the United Kingdom if, after he has attained the age of seventeen, he is convicted of an offence for which he is punishable with imprisonment and on his conviction is recommended for deportation by a court empowered by this Act to do so".

26. R v. Secretary of State for the Home Department ex p Dinc [1999] Imm AR 380 CA.

27. AT (Pakistan) v Secretary of State for the Home Department [2010] EWCA Civ 567. Con questa pronuncia, le corti britanniche si sono conformate alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che aveva affermato che nel caso di espulsione raccomandata da un tribunale penale, questa non doveva essere considerata una pena, ma come una sanzione amministrativa; pertanto il caso non poteva essere ricondotto ad un'ipotesi di violazione del principio del ne bis in idem (doble jeopardy): Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza del 5 ottobre 2000, Maaouia v Francia.

28. Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002, secion 82(2)(j).

29. Immigration Act 1971, section 5(2): "A deportation order against a person may at any time be revoked by a further orderof the Secretary of State, and shall cease to have effect if he becomes a British citizen".

30. Immigration Rules, par. 390: "An application for revocation of a deportation order will be considered in the light of all the circumstances including the following: (i) the grounds on which the order was made; (ii) any representations made in support of revocation; (iii) the interests of the community, including the maintenance of an effective immigration control; (iv) the interests of the applicant, including any compassionate circumstances".

31. Immigration Rules, par. 391.

32. L'atto di revoca dell'ordine di espulsione di cui alla sezione 5(2) dell'Immigration Act del 1971, richiamato alla lettera (k) di cui alla sezione 82 del Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002 non è ricompreso nella lista delle decisioni per le quali è ammesso un diritto di appello all'interno del Regno Unito, ai sensi della sezione 92 dello stesso atto, ma solo una volta fuori dal paese.

33. BA Nigeria v Secretary of State for the Home Department [2009] UKSC 7.

34. Immigration Rules, par. 362: "A deportation order requires the subject to leave the United Kingdom and authorises his detention until he is removed. It also prohibits him from re-entering the country for as long as it is in force and invalidates any leave to enter or remain in the United Kingdom given him before the Order is made or while it is in force".

35. G. Clayton, Textbook on Immigration and Asylum Law, cit., p. 588.

36. Immigration Act 1971, section 33(1): "(...) 'illegal entrant' means a person (a) unlawfully entering or seeking to enter in breach of a deportation order or of the immigration laws, or (b) entering or seeking to enter by means which include deception by another person and includes also a person who has entered as mentioned in paragraph (a) or (b) above".

37. G. Clayton, Textbook on Immigration and Asylum Law, cit., p. 590.

38. Immigration Act 1971 section 3(1)(a): "Except as otherwise provided by or under this Act, where a person is not a British Citizen (a) he shall not enter in the UK unless given leave to do so in accordance with this Act":

39. R v Governor of Ashford Remand Centre ex p Bouzagou [1983] Imm AR 69.

40. Rehal v Secretary of State for the Home Department [1989] Imm AR 576 CA. Mr Rehal era un cittadino britannico d'oltremare, il quale al momento dell'ingresso nel Regno Unito aveva mostrato il passaporto, e il funzionario dell'immigrazione, dopo aver dato un'occhiata al documento, lo lasciò passare senza apporvi il timbro. Così facendo, nonostante l'errore fosse da attribuire al funzionario, Mr Rehal risultava entrato illegalmente, perché senza il timbro sul passaporto era considerato non provvisto di un permesso ad entrare, non essendo sufficiente che il funzionario lo avesse lasciato passare.

41. Immigration Act 1971, section 5(1): "Where a person is under section 3(5) or (6) above liable to deportation, then subject to the following provisions of this Act the Secretary of State may make a deportation order against him, that is to say an order requiring him to leave and prohibiting him from entering the United Kingdom; and a deportation order against a person shall invalidate any leave to enter or remain in the United Kingdom given him before the order is made or while it is in force".

42. Zamir [1980] 2 All ER 768.

43. Khawaja [1984] AC 74.

44. Immigration Act 1971, section 24A: "A person who is not a British citizen is guilty of an offence if, by means which include deception by him (a) he obtains or seeks to obtain leave to enter or remain in the United Kingdom".

45. Immigration Act 1971, section 33: "(...) illegal entrant means a person (...) (b) entering or seeking to enter by means which include deception by another person".

46. Immigration Act 1971, Schedule 2, par. 8(1): "Where a person arriving in the United Kingdom is refused leave to enter, an immigration officer may, subject to sub-paragraph (2) below (a) give the captain of the ship or aircraft in which he arrives directions requiring the captain to remove him from the United Kingdom in that ship or aircraft; or (b) give the owners or agents of that ship or aircraft directions requiring them to remove him from the United Kingdom in any ship or aircraft specified or indicated in the directions, being a ship or aircraft of which they are the owners or agents; or (c) give those owners or agents directions requiring them to make arrangements for his removal from the United Kingdom in any ship or aircraft specified or indicated in the directions to a country or territory so specified, being either (i) a country of which he is a national or citizen; or (ii) a country or territory in which he has obtained a passport or other document of identity; or (iii) a country or territory in which he embarked for the United Kingdom; or (iv) a country or territory to which there is reason to believe that he will be admitted".

47. Nationality, Immigration and Asylum Act 2002, section 89(1): "A person may not appeal under section 82(1) against refusal of leave to enter the United Kingdom unless (a) on his arrival in the United Kingdom he had entry clearance, and (b) the purpose of entry specified in the entry clearance is the same as that specified in his application for leave to enter".

48. Nationality, Immigration and Asylum Act 2002, section 78.

49. Immigration Act 1971, Schedule 2, par. 8(2): "No directions shall be given under this paragraph in respect of anyone after the expiration of two months beginning with the date on which he was refused leave to enter the United Kingdom (ignoring any period during which an appeal by him under the Immigration Acts is pending) except that directions may be given under sub-paragraph (1)(b) or (c) after the end of that period if the immigration officer has within that period given written notice to the owners or agents in question of his intention to give directions to them in respect of that person"; Immigration Act 1971, Schedule 2, par. 10(1): "Where it appears to the Secretary of State either (a) that directions might be given in respect of a person under paragraph 8 or 9 above, but that it is not practicable for them to be given or that, if given, they would be ineffective; or (b) that directions might have been given in respect of a person under paragraph 8 above but that the requirements of paragraph 8(2) have not been complied with, then the Secretary of State may give to the owners or agents of any ship or aircraft any such directions in respect of that person as are authorised by paragraph 8(1)(c)".

50. G. Clayton, Textbook on Immigration and Asylum Law, cit., p. 598.

51. Immigration and Asylum Act 1999, section 10(1): "A person who is not a British citizen may be removed from the United Kingdom, in accordance with directions given by an immigration officer, if (...) (b) he uses deception in seeking (whether successfully or not) leave to remain".

52. Immigration Act 1971, section 3C, "Continuation of leave pending variation decision": "This section applies if (a) a person who has limited leave to enter or remain in the United Kingdom applies to the Secretary of State for variation of the leave, (b) the application for variation is made before the leave expires, and (c) the leave expires without the application for variation having been decided".

53. Immigration Act 1971, section 3(1)(c): "Except as otherwise provided by or under this Act, where a person is not a British citizen (...) (c) if he is given limited leave to enter or remain in the United Kingdom, it may be given subject to all or any of the following conditions, namely (i) a condition restricting his employment or occupation in the United Kingdom; (ia) a condition restricting his studies in the United Kingdom; (ii) a condition requiring him to maintain and accommodate himself, and any dependants of his, without recourse to public funds; (iii) a condition requiring him to register with the police; (iv) a condition requiring him to report to an immigration officer or the Secretary of State; and (v) a condition about residence".

54. Immigration adn Asylum Act 1999, section 10: (1) "(c) directions ("the first directions") have been given for the removal, under this section, of a person ("the other person") to whose family he belongs." (3) Directions may not be given under subsection (1)(c) unless the Secretary of State has given the person concerned written notice, not more than eight weeks after the other person left the United Kingdom in accordance with the first directions, that he intends to remove the person concerned from the United Kingdom".

55. Home Office UK Border Agency, Enforcement Instructions and Guidance, chapter 60, section 1.2.

56. Immigration Rules, par 320 7B: "where the applicant has previously breached the UK's immigration laws (and was 18 or over at the time of his most recent breach) by: (a) Overstaying; (b) breaching a condition attached to his leave; (c) being an Illegal Entrant; (d) using Deception in an application for entry clearance, leave to enter or remain, or in order to obtain documents from the Secretary of State or a third party required in support of the application (whether successful or not); unless the applicant: (...) (iv) was removed or deported from the UK more than 10 years ago".

57. G. Clayton, Textbook on Immigration and Asylum Law, cit., p. 601.

58. Nationality, Immigration and Asylum Act, section 82: (1) "Where an immigration decision is made in respect of a person he may appeal to the Tribunale" (2) "In this Part "immigration decision" means (...) (g) a decision that a person is to be removed from the United Kingdom by way of directions under section 10(1)(a), (b), (ba) or (c), of the Immigration and Asylum Act 1999 (c. 33) (removal of person unlawfully in United Kingdom), (h) a decision that an illegal entrant is to be removed from the United Kingdom by way of directions under paragraphs 8 to 10 of Schedule 2 to the Immigration Act 1971 (c. 77) (control of entry: removal), (i) a decision that a person is to be removed from the United Kingdom by way of directions given by virtue of paragraph 10A of that Schedule (family)".

59. Nationality, Immigration and Asylum Act 2002, section 92(1) and (2).

60. Art. 13, Direttiva 2008/115/CE, cit.: "Al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio di cui all'articolo 12, paragrafo 1, o per chiederne la revisione dinanzi ad un'autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza".

61. Art. L 512-1-I CESEDA: "L'étranger qui fait l'objet d'une obligation de quitter le territoire français et qui dispose du délai de départ volontaire mentionné au premier alinéa du II de l'article L. 511-1 peut, dans le délai de trente jours suivant sa notification, demander au tribunal administratif l'annulation de cette décision, ainsi que l'annulation de la décision relative au séjour, de la décision mentionnant le pays de destination et de la décision d'interdiction de retour sur le territoire français qui l'accompagnent le cas échéant. L'étranger qui fait l'objet de l'interdiction de retour prévue au troisième alinéa du III du même article L. 511-1 peut, dans le délai de trente jours suivant sa notification, demander l'annulation de cette décision". Art. L. 513-1-I: "L'obligation de quitter sans délai le territoire français, qui n'a pas été contestée devant le président du tribunal administratif dans le délai prévu au II de l'article L. 512-1 ou qui n'a pas fait l'objet d'une annulation, peut être exécutée d'office. L'obligation de quitter le territoire français avec un délai de départ volontaire, qui n'a pas été contestée devant le tribunal administratif dans le délai prévu au I du même article L. 512-1 ou qui n'a pas fait l'objet d'une annulation, peut être exécutée d'office à l'expiration du délai de départ volontaire".

62. Corte costituzionale, sentenza n. 105/2001 e sentenza n. 222/2004.

63. Art. 13, co. 5-bis, d. lgs. 286/1998: "Nei casi previsti al comma 4, il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera. L'esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida".

64. Corte costituzionale, ordinanze n. 485/2000 e n. 161/2000.

65. Considerando 6, Direttiva 2008/115/CE, cit.: "È opportuno che gli Stati membri provvedano a porre fine al soggiorno irregolare dei cittadini di paesi terzi secondo una procedura equa e trasparente. In conformità dei principi generali del diritto dell'Unione europea, le decisioni ai sensi della presente direttiva dovrebbero essere adottate caso per caso e tenendo conto di criteri obiettivi, non limitandosi quindi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare. Quando utilizzano modelli uniformi per le decisioni connesse al rimpatrio, vale a dire le decisioni di rimpatrio e, ove emesse, le decisioni di divieto d'ingresso e le decisioni di allontanamento, gli Stati membri dovrebbero rispettare tale principio e osservare pienamente tutte le disposizioni applicabili della presente direttiva".

66. Art. 6, Direttiva 2008/115/CE, cit.: "Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5".

67. Abdi v Secretary of State for the Home Department [1996] Imm AR 148 CA.

68. Khan v IAT [1984] Imm AR 68 CA.

69. Immigration and Asylum Act 1999, section 66: (1) "This section applies if directions are given for a person's removal from the United Kingdom (a) on the ground that he is an illegal entrant; (b) under section 10; or (c) under the special powers conferred by Schedule 2 to the 1971 Act in relation to members of the crew of a ship or aircraft or persons coming to the United Kingdom to join a ship or aircraft as a member of the crew"; (2) "That person may appeal to an adjudicator against the directions on the ground that on the facts of his case there was in law no power to give them on the ground on which they were given".

70. Nationality, Immigration and Asylum Act 2002, section 62(1): "A person may be detained under the authority of the Secretary of State pending (a) a decision by the Secretary of State whether to give directions in respect of the person under paragraph 10, 10A or 14 of Schedule 2 to the Immigration Act 1971 (c. 77) (control of entry: removal), or (b) removal of the person from the United Kingdom in pursuance of directions given by the Secretary of State under any of those paragraphs".

71. Immigration act 1971, Schedule 2, par. 16(2): "If there are reasonable grounds for suspecting that a person is someone in respect of whom directions may be given under any of paragraphs 8 to 10A or 12 to 14, that person may be detained under the authority of an immigration officer pending (a) a decision whether or not to give such directions; (b) his removal in pursuance of such directions.

72. Immigration Act 1971, Schedule 2, par. 16(1): "A person who may be required to submit to examination under paragraph 2 above may be detained under the authority of an immigration officer pending his examination and pending a decision to give or refuse him leave to enter".

73. Home Office UK Border Agency, Enforcement Instructions and Guidance, chapter 55.6.3. The six possible reasons for detention are (...) tou are likely to abscond if given temporary admission or release There is insufficient reliable information to decide on whether to grant you temporary admission or release; your removal from the United Kingdom is imminent; you need to be detained whilst alternative arrangements are made for your care (Note: As indicated above this reason must not be ticked in isolation); your release is not considered conducive to the public good; I am satisfied that your application may be decided quickly using the fast track asylum procedures.

74. Art. 14, co. 1, d. lgs. 286/1998: "Quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione ed espulsione più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Tra le situazioni che legittimano il trattenimento rientrano, oltre a quelle indicate all'articolo 13, comma 4-bis, anche quelle riconducibili alla necessità di prestare soccorso allo straniero o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità ovvero di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo".

75. Art. 551-1 CESEDA.

76. Ivi, 55.3.

77. Ivi, 55.3.1.

78. Ivi, 55.2.

79. G. Clayton, Textbook on Immigration and Asylum Law, cit., p. 543. L'autrice mostra, infatti, che all'aeroporto di Manchester (Terminal 2) il 32 % degli stranieri che arrivano sono trattenuti per una notte, mentre all'aeroporto di Heathrow (Terminal 1) appena l'1,5 %.

80. Art. 15, Direttiva 2008/1157CE, cit.: "Salvo se nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l'allontanamento, in particolare quando (a) sussiste un rischio di fuga (b) il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento".

81. Vedi nota n. 57.

82. R v Governor of Durham Prison ex p Hardial Singh [1983] Imm AR 198. Il caso riguardava un cittadino indiano che dopo aver scontato una condanna a sei mesi di detenzione era stato trattenuto in attesa della sua espulsione. Tuttavia l'espulsione non poté essere effettuata, tra le altre ragioni, per la mancata disponibilità dell'Alta Commissione indiana al rilascio di un documento di viaggio per il Sig. Singh; pertanto egli rimase nel centro di trattenimento per cinque mesi, arrivando tra l'altro ad un tentativo di suicidio.

83. Ivi, al par. 200, J. Woolf si espresse nei seguenti termini: "if there is a situation where it is apparent to the Secretary of State that is not going to be able to operate the machinery provided in the Act for removing persons who are intended to be deportet within a reasonable period, it seems to me that it would be wrong for the Secretary of State to exercise his power of detention".

84. R (Saadi) v Secretary of State for the Home Department [2002] UKHL 41, I. Macdonald and R. Toal, Macdonald's Immigration, law and Practice, London, Lexis Nexis, 2008, par. 17.41.

85. R (on the application of I) v Secretary of State for the Home Department [2002] EWCA Civ 888; R (on the application of A) v Secretary of State for the Home Department [2007] EWCA Civ 804; R (on the application of Rostami) v Secretary of State for the Home Department [2009] EWHC 2094 (QB).

86. C. Johnston, Indefinite Immigration Detention: Can it be Justified?, in Journal of Immigration and Nationality Asylum Law, 2009, 4, p. 355.

87. Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza del 15 novembre del 1996, Chahal v. The United Kingdom, § 123. Tale pronuncia è ricordata principalmente per aver stabilito che il rischio dello straniero di subire tortura o trattamenti inumani o degradanti, vietati dall'art. 3 della CEDU, non può essere bilanciato nemmeno dalla sua pericolosità per lo Stato in cui si trova, derivante dal sospetto di appartenenza dello stesso ad un'organizzazione terroristica.

88. The Detention Centre Rules, SI 2001, No. 238.

89. La preferenza per l'applicazione di misure diverse dalla detenzione amministrativa è sottolineata solo dalle linee guida dell'UK Border Agency: Home Office UK Border Agency, Enforcement Instructions and Guidance, chapeter 55.3.

90. Peraltro questa era anche la posizione espressa dal Governo al momento di decidere se partecipare o meno alla detenzione della 'direttiva rimpatri': House of Lords, European Union Committee, Illegal Migrants: proposal for a ommon EU returns policy, cit., Written evidence of Home Office, 18 January 2006, p. 28, par. 14. Nel Memorandum del Ministro degli Interni, si che il Regno Unito «does not accept that detention is only appropriate where less coercive measures would not be sufficient».

91. Immigration Act, Schedule 2, par. 21(1): "A person liable to detention or detained under paragraph 16 (1), (1A) or (2) above may, under the written authority of an immigration officer, be temporarily admitted to the United Kingdom without being detained or be released from detention; but this shall not prejudice a later exercise of the power to detain him".

92. Non è un caso che la maggioranza dei richiedenti asilo nel Regno Unito si trovino in stato di libertà.

93. G. Clayton, Textbook on Immigration and Asylum Law, cit., p. 556.

94. Immigration Act 1971, Schedule 2, par. 21(2): "So long as a person is at large in the United Kingdom by virtue of this paragraph, he shall be subject to such restrictions as to residence, as to his employment or occupation and as to reporting to the police or an immigration officer as may from time to time be notified to him in writing by an immigration officer".

95. Immigration Act, Schedule 2, par. 21(2B).

96. Nationality, Immigration and Asylum Act 2002, section 67: (1) "This section applies to the construction of a provision which (a) does not confer power to detain a person, but (b) refers (in any terms) to a person who is liable to detention under a provision of the Immigration Acts"; (2) "The reference shall be taken to include a person if the only reason why he cannot be detained under the provision is that (a) he cannot presently be removed from the United Kingdom, because of a legal impediment connected with the United Kingdom's obligations under an international agreement, (b) practical difficulties are impeding or delaying the making of arrangements for his removal from the United Kingdom, or (c) practical difficulties, or demands on administrative resources, are impeding or delaying the taking of a decision in respect of him".

97. Nationality, Immigration and Asylum Act 2002, section 67(3): "This section shall be treated as always having had effect".

98. Immigration Act 1971, Schedule 2, par. 22.

99. Immigration Act 1971, Schedule 2, par. 29.

100. Immigration Act 1971, Schedule 2, par. 22(1A).

101. Nationality, Immigration and Asylum Act, section 68(2): "In respect of an application for release on bail which is instituted after the expiry of the period of eight days beginning with the day on which detention commences, the power to release on bail: (a) shall be exercisable by the Secretary of State (as well as by any person with whom the immigration officer's power is shared under the provision referred to in subsection (1)), and; (b) shall not be exercisable by an immigration officer (except where he acts on behalf of the Secretary of State)".

102. La guida per i giudici dell'immigrazione in materia di rilascio su cauzione è reperibile sul sito del Ministero della giustizia britannico: Bail Guidance for First-tier Tribunal Judges.

103. Bail Guidance for Immigration Judges, par. 27: "By contrast with criminal proceedings, there is no statuary presumption in favour of release in immigration detention cases. Nevertheless, bail should not be refused unless there is good reason to do so, and it is for the respondent to show what those reasons are".

104. Immigration Act 1971, section 5(6): "Where a person is liable to deportation under section 3(5) or (6) above but, without a deportation order being made against him, leaves the United Kingdom to live permanently abroad, the Secretary of State may make payments of such amounts as he may determine to meet that person's expenses in so leaving the United Kingdom, including travelling expenses for members of his family or household".

105. Home Office UK Border Agency, Enforcement Instructions and Guidance, chapter 48.6.

106. Ivi, chapter 48.6.1.

107. Immigration Act 1971, section 24: "A person who is not a British citizen shall be guilty of an offence punishable on summary conviction with a fine of not more than leve 5 on the standard scale or with imprisonment for not more than six months, or with both, in any of the following cases: (a) if contrary to this Act he knowingly enters the United Kingdom in breach of a deportation order or without leave; (b) if, having only a limited leave to enter or remain in the United Kingdom, he knowingly either (i) remains beyond the time limited by the leave; or (ii) fails to observe a condition of the leave; (...)".

108. Immigration and Asylum Act 2004, section 2(1): "A person commits an offence if at a leave or asylum interview he does not have with him an immigration document which (a) is in force, and (b) satisfactorily establishes his identity and nationality or citizenship".

109. COM (2005) 391 def., cit.

110. Art. 20, par. 4, Trattato sull'Unione europea (TUE) e art. 7, Protocollo (n. 19) sull'acquis di Schengen integrato nell'abito dell'Unione europea, allegato ai Trattati sull'Unione europea (TUE) e sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), versione consolidata.

111. Protocollo n. 19.

112. A. Converti, Istituzioni di diritto dell'Unione europea, Macerata, Halley Editrice, 2005, p. 146, nota n. 203.

113. Decisione 2000/365/CE del Consiglio del 29 maggio 2000 riguardante la richiesta del Regno Unito di partecipare ad alcune disposizioni dell'acquis di Schengen, in GUCE L 131 del 1º giugno 2000; decisione 2002/192/CE del Consiglio del 28 febbraio 2002, riguardante la richiesta dell'Irlanda di partecipare ad alcune disposizioni dell'acquis di Schengen, in GUCE L 64 del 7 marzo 2002.

114. Art. 8, par. 2, decisione 2000/365/CE, cit.: "A decorrere dalla data di adozione della presente decisione si considera irrevocabilmente che il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord abbia notificato al presidente del Consiglio, ai sensi dell'articolo 5 del protocollo Schengen, che desidera partecipare a tutte le proposte e iniziative basate sull'acquis di Schengen di cui all'articolo 1. Tale partecipazione riguarda i territori di cui all'articolo 5, paragrafi 1 e 2 rispettivamente, nella misura in cui le proposte e iniziative siano basate sulle disposizioni dell'acquis di Schengen a cui detti territori sono vincolati".

115. Decisione 2004/926/CE del Consiglio del 22 dicembre 2004 relativa all'attuazione di parte delle disposizioni dell'acquis di Schengen da parte del Regno Unito di Gran Bretagna e dell'Irlanda del Nord, in GUUE L 395 del 31 dicembre 2004.

116. J.-C. Piris, Il trattato di Lisbona, Roma, Giuffré, 2013, p. 230.

117. Regolamento n. 2007/2004, cit.

118. Regolamento n. 2252/2004 del Consiglio del 13 dicembre 2004 relativo alle norme sulle caratteristiche di sicurezza e sugli elementi biometrici dei passaporti e dei documenti di viaggio rilasciati dagli Stati membri, in GUUE L 385 del 29 dicembre 2004.

119. F. Kauff-Gazin, Coopérations renforcées et participation du Royaume-Uni, in Europe, 2008, 2, p. 14.

120. Corte di giustizia, sentenza del 18 dicembre 2007, Regno Unito c. Consiglio dell'Unione europea, causa C-77/05; Corte di giustizia, sentenza del 18 dicembre 2007, Regno Unito c. Consiglio dell'Unione europea, causa C-137/05.

121. Art. 329 TFUE: "1. Gli Stati membri che desiderano instaurare tra loro una cooperazione rafforzata in uno dei settori di cui ai trattati, eccetto i settori di competenza esclusiva e la politica estera e di sicurezza comune, trasmettono una richiesta alla Commissione precisando il campo d'applicazione e gli obiettivi perseguiti dalla cooperazione rafforzata prevista. La Commissione può presentare al Consiglio una proposta al riguardo. Qualora non presenti una proposta, la Commissione informa gli Stati membri interessati delle ragioni di tale decisione. L'autorizzazione a procedere a una cooperazione rafforzata di cui al primo comma è concessa dal Consiglio, su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo. 2. La richiesta degli Stati membri che desiderano instaurare tra loro una cooperazione rafforzata nel quadro della politica estera e di sicurezza comune è presentata al Consiglio. Essa è trasmessa all'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che esprime un parere sulla coerenza della cooperazione rafforzata prevista con la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione, e alla Commissione, che esprime un parere, in particolare, sulla coerenza della cooperazione rafforzata prevista con le altre politiche dell'Unione. Essa è inoltre trasmessa per conoscenza al Parlamento europeo. L'autorizzazione a procedere a una cooperazione rafforzata è concessa con una decisione del Consiglio, che delibera all'unanimità".

122. Corte di giustizia, sentenza del 18 dicembre 2007, Regno Unito c. Consiglio dell'Unione europea, causa C-77/05, §§ 38-40.

123. Ivi, § 41.

124. Ivi, § 62.

125. V. Bazzocchi, L'acquis di Schengen e la posizione del Regno Unito nelle recenti pronunce della Corte di giustizia, in Osservatorio sul rispetto dei diritti fondamentali in Europa, 2008.

126. Protocollo (n. 20) sull'applicazione di alcuni aspetti dell'articolo 26 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea al Regno Unito e all'Irlanda, allegato ai Trattati (TUE e TFUE).

127. L'istituzione di questa Agenzia era stata preconizzata dal governo già partire dal 2007, ma è stata portata a compimento solo nel 2009. Lo scopo dell'Agenzia fissato per il periodo 2009-2012 è stato annunciato nei seguenti termini: "To secure our border and control migration for the benefit of our cuntry" (UKBA Busness Plan April 2009-March 2012). In linea con tali dichiarazioni, gli obiettivi strategici hanno riguardato la protezione delle frontiere del Regno Unito e degli interessi nazionali, l'adozione di decisioni corrette e in tempi rapidi, la lotta al contrabbando e ai reati di immigrazione, nonché all'attraversamento irregolare delle frontiere e alla frode fiscale.

128. G. Clayton, Textbook on Immigration and Asylum Law, cit., p. 45.

129. Art. 5, par. 2, Protocollo n. 19: "Laddove si ritenga che l'Irlanda o il Regno Unito, a norma di una decisione di cui all'articolo 4, abbiano effettuato la notifica, tanto l'una che l'altro possono nondimeno notificare al Consiglio per iscritto, entro tre mesi, che non desiderano partecipare a detta proposta o iniziativa. In tal caso l'Irlanda o il Regno Unito non partecipano all'adozione di detta proposta o iniziativa. Da quest'ultima notifica, la procedura per l'adozione della misura basata sull'acquis di Schengen è sospesa fino alla conclusione della procedura di cui ai paragrafi 3 o 4 o fino al ritiro di tale notifica in qualunque momento durante tale procedura".

130. J.-C. Piris, Il trattato di Lisbona, op. cit., p. 232.

131. Art. 5, par. 3, Protocollo n. 19: "Allo Stato membro che ha effettuato la notifica di cui al paragrafo 2, le decisioni adottate dal Consiglio a norma dell'articolo 4 cessano di applicarsi dalla data di entrata in vigore della misura proposta, per quanto ritenuto necessario dal Consiglio e alle condizioni da stabilirsi in una decisione del Consiglio che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione. Tale decisione è adottata in conformità dei seguenti criteri: il Consiglio si adopera per mantenere la più ampia partecipazione possibile dello Stato membro interessato senza incidere profondamente sul funzionamento pratico delle varie parti dell'acquis di Schengen e rispettandone la coerenza. La Commissione presenta la proposta quanto prima dopo la notifica di cui al paragrafo 2. Il Consiglio, se necessario dopo la convocazione di due sessioni successive, delibera entro quattro mesi dalla proposta della Commissione".

132. Art. 5, parr. 4 e 5, Protocollo n. 19.

133. Art. 2, Protocollo (n. 21) sulla posizione del Regno Unito e dell'Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia: "In conseguenza dell'articolo 1 e fatti salvi gli articoli 3, 4 e 6, nessuna disposizione della parte terza, titolo V del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nessuna misura adottata a norma di detto titolo, nessuna disposizione di accordi internazionali conclusi dall'Unione a norma di detto titolo e nessuna decisione della Corte di giustizia dell'Unione europea sull'interpretazione di tali disposizioni o misure è vincolante o applicabile nel Regno Unito o in Irlanda; nessuna di tali disposizioni, misure o decisioni pregiudica in alcun modo le competenze, i diritti e gli obblighi di tali Stati; e nessuna di tali disposizioni, misure o decisioni pregiudica in alcun modo l'acquis comunitario e dell'Unione né costituisce parte del diritto dell'Unione, quali applicabili al Regno Unito o all'Irlanda".

134. Art. 4, Protocollo n. 21: "Il Regno Unito o l'Irlanda, in qualsiasi momento dopo l'adozione di una misura da parte del Consiglio a norma della parte terza, titolo V del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, possono notificare al Consiglio e alla Commissione la loro intenzione di accettarla. In tal caso si applica, con gli opportuni adattamenti, la procedura di cui all'articolo 331, paragrafo 1 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea".

135. Art. 4-bis, Protocollo n. 21: "Le disposizioni del presente protocollo si applicano, per il Regno Unito e l'Irlanda, anche alle misure proposte o adottate a norma della parte terza, titolo V del trattato sul funzionamento dell'Unione europea per modificare una misura in vigore vincolante per tali paesi".

136. Direttiva 2003/109/CE del Consiglio del 25 novembre 2003 relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, in GUUE L 16 23 gennaio 2004.

137. Direttiva 2003/86/CE del Consiglio del 22 settembre 2003 relativa al diritto al ricongiungimento familiare, in GUUE L 251 del 3 ottobre 2003.

138. Il Select Committee on the European Union (già Select Committee on the European Communities) della House of Lords è la commissione incaricata di prendere in esame non solo le proposte legislative dell'Unione europea, al pari della Select Committee della House of Commons, ma anche di redigere rapporti sulle questioni politiche e di principio che queste comportano, a suo avviso, per l'ordinamento britannico.

139. House of Lords European Union Committe, Economic migration to the EU, 14th report of session 2005-2006, HL Paper 58, par. 102: "We consider that the United Kingdom should review its opt-out from both these measures, which together provide an excellent foundation of rights for migrant workers in the EU. They do not have any consequences for its position on border controls, and would enhance the position of third country nationals resident in the United Kingdom. When the Long-term Residents Directive comes into effect, third country nationals in the United Kingdom, for instance US or Indian nationals who have resided here for five years, will not be able to take advantage of the Directive's provisions to move, for instance, to Paris or Frankfurt. They remain blocked in the United Kingdom. This is neither in their interests nor in the United Kingdom's. Moreover, assimilating the position of long-term third country nationals' rights to that of migrant citizens of the Union, including by enabling participation in the political life of the country, is not only a matter of improving their living and working conditions: it is also a matter of fostering their harmonious integration into society".

140. Direttiva 2001/40/CE, cit.

141. Direttiva 2001/51/CE del Consiglio del 28 giugno 2001 che integra le disposizioni dell'articolo 26 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno del 1985, in GUCE L 187 del 10 luglio 2011.

142. Decisione quadro 2002/629/GAI del Consiglio del 19 luglio 2002 sulla lotta alla tratta degli esseri umani, in GUCE L 203 del 1º agosto 2001.

143. Direttiva 2002/90/CE del Consiglio del 28 novembre 2002 volta a definire il favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali, in GUCE L 328 del 5 dicembre 2002; decisione quadro 2002/946/GAI del 28 novembre 2002 relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali, in GUCE L 328 del 5 dicembre 2001.

144. Direttiva 2004/82/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 concernente l'obbligo dei vettori di comunicare i dati relativi alle persone trasportate, in GUUE L 261 del 6 agosto 2004.

145. Regolamento (CE) n. 334/2002 del Consiglio del 18 febbraio 2002 che modifica il regolamento (CE) n. 1683/95 che istituisce un modello uniforme per i visti, in GUCE L 53 del 23 febbraio 2002; regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio del 13 giugno 2002 che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi, in GUCE L 157 del 15 giugno 2002.

146. Tra questi si ricorda: regolamento (CE) n. 2725/2000 del Consiglio dell'11 dicembre 2000 che istituisce l'«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione della Convenzione di Dublino, in GUCE L 136 del 15 dicembre 2000; direttiva 2003/9/CE del Consiglio del 27 gennaio 2003 recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, in GUUE L 31 del 6 febbraio 2003; regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio del 18 febbraio 2003 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, in GUUE L 50 del 25 febbraio 2003; direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, in GUUE L 304 del 30 settembre 2004 ('Direttiva qualifiche'); direttiva 2005/85/CE del Consiglio del 1º dicembre 2005 recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, in GUUE L 326 del 13 dicembre 2005 ('Direttiva procedure').

147. Art. 79, par. 2, lett. (c), TFUE.

148. Considerando n. 26, Direttiva 2008/115/CE, cit.: "Nella misura in cui si applica ai cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni d'ingresso ai sensi del codice frontiere Schengen, la presente direttiva costituisce uno sviluppo delle disposizioni dell'acquis di Schengen cui il Regno Unito non partecipa, ai sensi della decisione 2000/365/CE del Consiglio, del 29 maggio 2000, riguardante la richiesta del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord di partecipare ad alcune disposizioni dell'acquis di Schengen; inoltre, ai sensi degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell'Irlanda allegato al trattato sull'Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea e fatto salvo l'articolo 4 di tale protocollo, il Regno Unito non partecipa all'adozione della presente direttiva e di conseguenza non ne è in alcun modo vincolato, né è soggetto alla sua applicazione".

149. Art. 3, par. 1, Protocollo n. 21.

150. Eu Sub-Committee A, Economic and Financial Affairs, and International Trade; Eu Sub-Committee B, Internal Market, Energy and Transport; Eu Sub-Committee C, Foreign Affairs, Defence and Development Policy; Eu Sub-Committee D, Agricolture, Fisheries and Environment; Eu Sub-Committee E, Justice and Institutions; Eu Sub-Committee F, Home Affairs; Eu Sub-Committee G, Social Policies and Consumer Protection. Ciascun comitato è composto da dieci o dodici membri, dove alcuni (due o tre) fanno parte dello European Union Committee, e gli altri possono essere chiamati a partecipare, direttamente dalla Camera dei Lords, in virtù delle loro specifiche competenze.

151. F. Bruno, Stati membri e Unione europea, Torino, Giappichelli, 2012, p. 77.

152. Si veda per esempio il commento del House of Lords European Union Committee al Libro verde su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli Stati membri, COM (2002) 175 def.: Letter of 17 July 2002 from Lord Brabazon of Tara to Mr Adrian fortescue, Director-General, Justice and Home Affairs Directorate-General, European Commission and to Lord Filkin, Under-Secretary of State, Home Office, published in Correspondance with Ministers, 49th report, session 2002-03, HL Paper 196, p. 222.

153. «(1) No Minister of the Crown should give agrrement in the Council or in the European Council to any proposal for European Community legislation or for a common strategy, joint action or common position under Title V or a common position, framework decision, decision or convention under Title VI of the Treaty on European Union: (a) which is still subject to scrutiny (that is, on which the European Scrutiny Committee has not completed its scrutiny) or (b) which is awiting consideration by the House (that is, which has been recommended by the European Scrutiny Committee for consideration pursuant to Standing Order No. 119 (European Standing Committees) but in respect of which the House has not come to a Resolution».

154. «(3) The Minister concerned may, however, give agreement: (a) to a proposal which is still subject to scrutiny if he considers that it is confidential, routine or trivial or is substantially the same as a proposal on ehich scrutiny has been completed; (b) to a proposal which is awaiting consideration by the House if the European Scrutiny Committee has indicated that agreement need not be withheld pending consideration. (4) The Minister concerned may also give agreement to a proposal which is still subject to scrutiny or awaiting consideration by the House if he decides that for special reasons agreement should be given; but he should explain his reason: (a) in every such case, to the European Scrutiny Committee at the first opportunity after reaching his decision; and (b) in the case of a proposal awaiting consideration by the House, to the House at the first opportunity after giving agreement».

155. F. Bruno, Stati membri e Unione europea, cit., p. 81.

156. Si veda: Standing Order No. 143, come modificato nel novembre del 1998 e nel novembre del 2009.

157. The European Scrutiny System in the House of Commons, April 2010, reperibile sul sito del Parlamento del Regno Unito.

158. COM (2005) 391 def., cit.

159. COM (2002) 175 def., cit.

160. Uk response to the Commission Green Paper on a community return policy on illegal residents, COM (2002) 175, Issued 10 April 2002, cit.

161. Ivi, p. 1: "We would welcome further discussion and analysis of Member States' best practice to explore ways of adding value to our efforts to carry out safe, sustainable returns. We should also take full account of work already underway elsewhere to develop best practice. The UK is not, however, convinced that there is a pressing need for binding common standards on returns".

162. European Standing Committee B: HM Treasury (including HM Revenue e Customs), Work and Pensions; Foreign and Commonwealth; International Development; Home Office; Ministry of Justice (excluding those responsibilities of the Scotland and Wales Office which fall to European Committee A).

163. Il termine per la notifica della volontà di partecipare all'adozione della 'direttiva rimpatri' sarebbe scadeva il 10 gennaio 2006.

164. House of Commons, European Scrutiny Committee, Documents considered by the committee on 16 November 2005, including: Return of illegal immigrants, 10th Report, Session 2005-06.

165. Il memorandum dell'Home Office del giorno 8 dicembre 2005, giorno in cui il governo decise definitivamente di non partecipare all'adozione della proposta di 'direttiva rimpatri', è riportato nel rapporto dell'European Union Committee della House of Lords: House of Lords, European Union Committee, Illegal Migrants: proposal for a ommon EU returns policy, 32nd Report, Session 2005-06, HL Paper 166, Written evidence of Home Office, 18 January 2006, p. 27.

166. Ivi, pag. 28, par. 10.

167. Ivi, pag. 28, par. 14.

168. Ivi, pag. 28, par. 15.

169. Ivi, pag. 28, par. 16.

170. Ivi, pag. 28, par. 29.

171. Art. 9, par. 3, COM (2005)391 def., cit.: "Il divieto di reingresso può essere annullato, in particolare se il cittadino di paesi terzi: (a) è la prima volta destinatario di una decisione di rimpatrio o di un provvedimento di allontanamento; (b) si è presentato al consolato di uno Stato membro; (c) ha rimborsato l'intero costo della procedura di rimpatrio".

172. House of Lords, European Union Committee, Illegal Migrants: proposal for a ommon EU returns policy, cit., p. 22, parr. 41-45.

173. Art. 7, Direttiva 2008/115/CE, cit.: "La decisione di rimpatrio fissa per la partenza volontaria un periodo congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi 2 e 4. Gli Stati membri possono prevedere nella legislazione nazionale che tale periodo sia concesso unicamente su richiesta del cittadino di un paese terzo interessato. In tal caso, gli Stati membri informano i cittadini di paesi terzi interessati della possibilità di inoltrare tale richiesta".

174. Art. L. 511-1-II CESEDA.

175. Art. 13, co. 5, d. lgs. 286/1998.

176. Si ricorda che gli Stati che non prevedevano una durata massima alla detenzione amministrativa degli stranieri, oltre al Regno Unito, erano la Danimarca, l'Estonia, la Finlandia, la Grecia, l'Irlanda, l'Olanda e la Svezia. Tuttora Regno Unito e Danimarca, non avendo recepito la 'direttiva rimpatri, che fissa un limite di diciotto mesi, prevedono una detenzione di durata indefinita e potenzialmente illimitata.

177. Uk response to the Commission Green Paper on a community return policy on illegal residents, COM (2002) 175, Issued 10 April 2002, cit., p. 6.

178. House of Lords, European Union Committee, Illegal Migrants: proposal for a ommon EU returns policy, cit., Written evidence of Home Office, 18 January 2006, p. 29, par. 17.

179. House of Lords, European Union Committee, Illegal Migrants: proposal for a ommon EU returns policy, cit., p. 27, par. 61.

180. Art. 15, COM (2005) 391 def.

181. House of Lords, European Union Committee, Illegal Migrants: proposal for a ommon EU returns policy, cit., p. 30, par. 71.

182. Direttiva 2003/9/CE, cit.

183. House of Lords, European Union Committee, Illegal Migrants: proposal for a ommon EU returns policy, cit., p. 34, par. 85.

184. La lista dei Paesi in questione è stata modificata nel tempo: nel Dicembre del 2005 gli Stati ivi compresi erano Albania, Bulgaria, Serbia e Montenegro, Giamaica, Macedonia, Moldavia, Romania, Bolivia, Brasile, Ecuador, Sri Lanka, Sud Africa, Ucraina, India, Mongolia e - con riferimento ai soli uomini - Ghana e Nigeria; nel 2007 vennero aggiunti, inoltre, Bosnia-Erzegovina, Mauritius, Perù e - con riferimento ai soli uomini - Gambia, Kenya, Liberia, Malawi, Mali, Sierra Leone.

185. House of Lords, European Union Committee, Illegal Migrants: proposal for a ommon EU returns policy, cit., Written evidence of Home Office, 18 January 2006, p. 31, par. 33.

186. Ivi, p. 31, par. 36.

187. Ivi, p. 36, par. 93.

188. House of Lords, European Union Committee, Illegal Migrants: proposal for a ommon EU returns policy, cit., p. 37, par. 97.

189. Ivi, Written evidence of MigrationWatch UK, p. 20, par. 11.

190. Ivi, Written evidence of the Refugee Council and Amesty International, p. 67, p. 3.12.1.; Written evidence of ILPA, p. 8, par. 60; Written evidece of UNHCR, p. 57; Written evidence of the Church Pressure Groups, p. 208, par. 18.

191. La misura della detenzione amministrativa non è, infatti, inserita nella lista delle 'immigration decisions' di cui alla sezione 82(2), del Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002, nei confronti delle quai è riconosciuto un diritto di fare appello.

192. House of Lords, European Union Committe, Remaining Government Responses Session 2004-2005: Government Responses Session 2005-2006, 37th Report of Session 2006-2007, HL Paper 182, p. 111: Letter from Liam Byrne MP to the Chairman of Sub-Committee F, 22 May 2007.

193. Si tratta di un importante strumento perché non sottosta ai limite temporali stringenti del judicial review, né richiede un permesso per il suo esercizio. Nell'ambito del trattenimento degli stranieri per motivi di immigrazione non se ne fa, tuttavia, un ampio uso.

194. Art. 5(4), CEDU: "Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso a un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima".

195. Art. 14, co. 3, d. lgs. 286/1998: "Il questore del luogo in cui si trova il centro trasmette copia degli atti al giudice di pace territorialmente competente, per la convalida, senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dall'adozione del provvedimento".

196. Ivi, p. 41, par. 114.

197. Ivi, p. 41, par. 115.

198. Art. 63, par. 3, lett. (a), TCE (oggi art. 79, par. 2, lett. (a)): "condizioni di ingresso e soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e di titoli di soggiorno di lunga durata, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare".

199. La procedura di codecisione si applica, infatti, solo nell'ipotesi di misure adottate ai sensi dell'art. 63, par. 3, lett. (b), del TCE.

200. House of Lords, European Union Committee, Illegal Migrants: proposal for a ommon EU returns policy, cit., p. 43, par. 121.

201. Si veda sul punto la posizione del Joint Council for the Welfare of Immigrants (JCWI): Written evidence of JCWI, p. 223, secondo il quale recepire le disposizioni relative al divieto di reingresso "would constitute a levelling down of current legal principles". "Furthermore, under UK immigration law, the entry clearance system has always been regarded as an integral element of an effective immigration control. For instance, the spouse of someone settled in the UK who may be an illegal entrant or overstayer is usually expected to leave the UK and apply for entry clearance in their capacity as a spouse. To introduce entry bans other than in the context of the circumstances described above would seriously jeopardise the integrity of that system and would serve no useful purpose. JCWI considers further that the re-entry ban is quite unsafe in the absence of EU-wide jurisdiction on the application of human rights standards to immigration issues. For instance, what would be the likelihood of an individual having been removed from one Member State, successfully applying for entry for family reunification in a second Member State? There is a grave danger that he or she would be refused".

202. Ivi. p. 46, par. 135.

203. Ivi, p. 46, par. 136-138.

204. Si ricorda che nel caso in cui lo straniero sia stato allontanato o espulso (removed o deported) vige un divieto di reingresso pari a dieci anni.

205. Immigration Rules, par. 320(7B): "Where the applicant has previously breached the UK's immigration laws (and was 18 or over at the time of his most recent breach) by: (a) Overstaying; (b) breaching a condition attached to his leave; (c) being an Illegal Entrant; (d) using Deception in an application for entry clearance, leave to enter or remain, or in order to obtain documents from the Secretary of State or a third party required in support of the application (whether successful or not); unless the applicant: (i) Overstayed for 90 days or less and left the UK voluntarily, not at the expense (directly or indirectly) of the Secretary of State; (ii) used Deception in an application for entry clearance more than 10 years ago; (iii) left the UK voluntarily, not at the expense (directly or indirectly) of the Secretary of State, more than 12 months ago; (iv) left the UK voluntarily, at the expense (directly or indirectly) of the Secretary of State, more than 2 years ago; and the date the person left the UK was no more than 6 months after the date on which the person was given notice of the removal decision, or no more than 6 months after the date on which the person no longer had a pending appeal; whichever is the later; (v) left the UK voluntarily, at the expense (directly or indirectly) of the Secretary of State, more than 5 years ago".

206. Art. 11, par. 1, Direttiva 2008/115/CE, cit.

207. Art. 13, co. 13, d. lgs. 286/1998: "Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera. La disposizione di cui al primo periodo del presente comma non si applica nei confronti dello straniero già espulso ai sensi dell'articolo 13, comma 2, lettere a) e b), per il quale è stato autorizzato il ricongiungimento, ai sensi dell'articolo 29".

208. Art. L 511-1-III Code de l'entrée et du séjour des étrangers et du droit d'asile (CESEDA).

209. L'art. 11 della direttiva 2008/115/CE stabilisce che la durata del divieto deve essere determinata con riferimento a tutte le circostanze del singolo caso e che di norma non dovrebbe superare i cinque anni, salvo il cittadino di paese terzo costituisca una grave minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.

210. House of Lords, European Union Committe, Remaining Government Responses Session 2004-2005: Government Responses Session 2005-2006, 37th Report of Session 2006-2007, HL Paper 182, p. 104.