Intervento del dott. Carmelo Cantone (*)
In effetti c'è un mercato del lavoro frammentario. Viene da pensare all'esperienza dell'officina Rizzato, che portava un certo lavoro. La considerazione che posso fare è che il committente deve essere grosso, o comunque un committente che sia referente di più interlocutori. Faccio un concreto riferimento....
Se una volta il committente era soddisfatto della qualifica professionale media, oggi non lo è più, perché richiede un tipo di preparazione più elevata rispetto ad alcuni anni fa.
Comunque quando non chiede una preparazione professionale è comunque un interlocutore piccolo. Al circondariale avevano avviato un'esperienza di lavorazione. L'interlocutore era una piccola ditta che aveva bisogno di lavoratori che gli preparassero le etichette per il gelato. Pochi assunti: 3-4-5-detenuti, che per un circondariale andavano anche bene parametrati rispetto allo zero! Poi l'interlocutore si perde per strada....., probabilmente perché non aveva fatto bene i conti. Per lui committente poteva andare anche bene, infatti io trovo gente che mi dice che potrebbe far fare un tipo di lavoro per 30 giorni. E dopo? Quindi è necessario il grosso committente.
Ma il grosso committente, o colui che garantisce una fornitura di lavoro costante?
Può anche essere un coordinatore di più commesse. Noi abbiamo una convenzione con una cooperativa che sarebbe pronta per lavorare nei nostri capannoni. Questa cooperativa cerca di recuperare delle commesse per poi portare del lavoro all'interno. Loro dicono che trovano tante piccole commesse, per cui sono costretti a lavorare con troppi interlocutori, ed essere gli unici referenti sul carcere. In termini organizzativi la cooperativa non ce la fa.
Ha bisogno del grosso committente, uno due referenti al massimo, con cui poi la cooperativa fa da filtro; è questo il nodo del problema; il difficile è trovare un grosso interlocutore che venga qui a portare commesse di lavoro. Una commessa di lavoro leggera, non complessa. Se invece si parla di lavoro specializzato, alloro quelle professionalità bisogna cercarle di crearle.
Il settore informatico è uno dei campi di maggiore interesse. Sondando il mercato del lavoro all'interno della nostra esperienza, ci siamo resi conto che non siamo noi che dobbiamo dire al mercato del lavoro di essere “questi”, e che loro, devono venire da noi, dobbiamo invece dire “cosa volete?”, e quindi formare professionalmente persone che rispondano al reale fabbisogno del mercato del lavoro.
Anche usando questo che è certamente il metodo più corretto è difficile lo stesso, la mia impressione è che il mercato del lavoro padovano fa delle resistenze e non appare molto propenso ad investire sul carcere.
Ho trovato molte disponibilità verbali... Però quando si dice, andiamo a fare un progetto concreto... all'ora non si è visto più nessuno.
Una soluzione potrebbe essere la possibilità offerte dalle grossissime realtà industriali, che però ho constatato non rispondere a pieno alle aspettative riposte.
Ad esempio ho visto in concreto con la “Diesel” (una grossa industria dell'abbigliamento che come fatturato supera la “Levis”), e dopo aver contattato i responsabili, mi hanno detto:
guardi il prodotto di punta del nostro gruppo è il pantalone con le tasche laterali, è un prodotto specialistico, e questo prodotto lo producono a Molvena (Vi) con le loro sarte ed artigiani, tutto il resto è una produzione a livello industriale Non fu possibile nessun tipo di collaborazione.
Allora dobbiamo domandarci quali sono i settori la cui produzione può avvenire qui dentro? La risposta è: quei settori che non necessitano di manodopera eccessivamente specializzata. Dovrebbero essere produzioni con materiali facilmente ricuperabili, e comunque prodotti che siano facilmente trasportabili. Ad esempio in piazza Castello (al vecchio penale, qui a Padova) c'era una falegnameria in cui una ditta esterna produceva arredamenti per bar, che poi venivano venduti qui in Veneto. La falegnameria è un tipo di produzione relativamente facile, quindi funzionava. In riferimento all'uso dell'elettronica, l'inserimento mi sembra più facile in quanto un'attività accessibile attraverso la commissione di lavoro dalle USSL le quali indicono delle gare di appalto o per assegnare trance di lavoro che in pratica si riduce a l'utilizzo di lettori ottici e trascrizioni di dati dalle ricette, il tutto informatizzato. Se ci fosse una cooperativa che parteciperebbe a queste gare di appalto questo sarebbe un tipo di lavoro possibile. E per quanto riguarda la “sicurezza” ovviamente tali attività sarebbero con esse compatibili.
Quest'anno sul capitolo di spese previste per le lavorazione penitenziarie, cioè soldi con cui l'amministrazione penitenziaria paga il lavoro, i fondi c'erano, cioè ci sono stati, e c'erano delle grosse opportunità che si potevano sfruttare, e quindi andavano bene, sia per un carcere come il nostro che può puntare a 100-150 lavoranti, ma anche per un giudiziario.
Quel meccanismo, si che può essere invitante per le ditte perché se assumiamo noi e l'imprenditore esterno ci rimborsa il costo del lavoro applicandoci un utile, allora quei problemi che avrebbe la ditta nell'assumere detenuti, verrebbero a mancare, proprio perché saremmo noi ad assumere.
Spiego il meccanismo: assume la cooperativa A, per la lavorazione in carcere. Allora i percorsi sono due: o la coop. paga i detenuti e da il costo del lavoro pari a un lavoratore libero, perché in questo momento sgravi fiscali non ce ne sono, potendo contare su voci esterne tipo finanziamenti comunali, regionali o europei, ma questo avviene difficilmente. Se non c'è la spinta che butta nel circuito non si riesce a portare avanti l'attività.
L'alternativa, che però viene poco utilizzata probabilmente perché negli anni passati soldi su questo capitolo 20/91 non ce ne sono stati; ora ci sono, e quindi i detenuti che assume l'amministrazione sono suoi dipendenti, allora l'interlocutore, da la commessa al carcere, paga l'amministrazione, rimborsa il costo del lavoro, e poi ci sarà l'applicazione dell'utile.
Vi chiedo, quanto costa a voi della cooperativa un operaio ad ora?
(risponde una responsabile della cooperativa) 23 mila lire all'ora, compreso il guadagno della struttura per mansione di pulizia.
Con l'amministrazione penitenziaria, per le pulizie il costo è di 9 mila e 500 lire all'ora, e sono compresi i contributi e la previdenza, più un 2% di utile per l'amministrazione, e quindi siamo vicino alle 10 mila lire all'ora. In questo tipo di lavoro, non c'è utile, e l'amministrazione non ha profitto o fine di lucro.
Quello che non capisco è perché non sia possibile agire in questo modo. Una cooperativa con soci in carcere e fuori dal carcere, i soci detenuti lavorano, e i liberi cercano commesse e organizzano il lavoro: Il lavoro nelle cooperative costa meno, e questo tipo di operazione è più snella se confrontata con quella suggerita dal direttore Cantone, perché non c'è di mezzo l'A.P. Potrebbe essere invece vantaggioso perché visto che l'ADP. non ha scopo di lucro tutte quelle spese di utilizzo dei locali, corrente elettrica, riscaldamento e servizi vari, potrebbero essere comprese in un'unica voce forfetaria, comprese la mancanza di spese per la mensa ad esempio, che invece fuori è un capitolo di spesa rilevante. Quindi non possiamo dire che il costo del lavoro in ambiente carcerario sia uguale a quello esterno, anche se il detenuto fosse socio della cooperativa. Quindi è tutto qui il vantaggio.
Mi scusi direttore, le 9500 lire più il 2% di cui parlava prima, era inteso solo per le cooperative sociali o per qualsiasi impresa?
Con qualsiasi impresa.
Al giudiziario, alcuni anni fa, ci contattò la Nike e la Diadora, e non potemmo prendere le commesse perché i capannoni non erano a norma di legge. Credo che anche qui avrete avuto problemi simili.
Qui al penale ci sono voluti 8 anni per mettere a norma i capannoni, ora sono in regola, ma sono rimasti per lunghissimo tempo inutilizzati. Comunque loro sapranno che c'è in previsione il progetto di legge Smuraglia, che inserirà i detenuti tra i soggetti svantaggiati. Altra opportunità: è prevista che nelle convenzioni che le coop. faranno con il carcere deve essere previsto un compenso retributivo per il detenuto assunto alle dipendenze della ditta non inferiore a quello praticato dall'amministrazione penitenziaria. Pagheranno il detenuto in pratica come lo paghiamo noi oggi.
Devo dire che negli istituti di, pena sono state fatte delle esperienze storicamente interessanti nel mondo del lavoro. Per anni in Umbria, nelle case di reclusione, una grossa ditta ha prodotto capi di abbigliamento. Sono state fatte altre esperienze, ad esempio ultimamente la direzione generale degli istituti di pena, ha commissionato degli impianti di acqua cultura, da utilizzare nelle case di reclusione dell'arcipelago toscano per la produzione ittica. Credo sia possibile tecnicamente, trovare delle soluzioni, affinché il carcere diventi economicamente appetibile.
Bisogna far capire che è un valore aggiunto, non sostitutivo. In pratica non si toglie lavoro all'esterno ma è un opportunità in più; oggi l'imprenditore produce 100 domani potrà produrne 120.
Io vedo il lavoro fatto in carcere, come un lavoro parallelo ad un altro lavoro, si può fare un reparto fuori che produce ad esempio questo libro, e un reparto simile fuori che fa lo stesso prodotto, quindi giocare con il meccanismo di compensazione e integrazione. Questa può essere una logica vincente per molti aspetti, anche perché qui non ci sono vie conflittuali.
*. Direttore della Casa di Reclusione di Padova