Quale pena (*)
Quale pena è un contributo unico nella produzione culturale italiana sulla pena, perché presenta una pluralità di voci sulla questione della pena e del carcere, intrecciate, nel corso di dodici anni, tra noti studiosi delle varie discipline giuridico-criminalistiche e psico-sociologiche (Alessandro Margara, Giuseppe Mosconi, Guido Neppi Modona, Massimo Pavarini, Livio Pepino, Gianni Del Rio, Ignazio Drudi, M. Vittoria Sardella, Vittorio Agnoletto, Renzo Piz) e 14 operatori sociali penitenziari e del servizio sociale della giustizia.
Tutto parte dal 1991, quando una rappresentanza di educatori penitenziari decise di dare vita insieme a docenti di cinque Università (Bologna, Milano Padova, Pisa, Roma, Torino) e di due Centri di ricerca (l'ARIPS di Brescia e la Scuola Regionale di Servizio sociale di Milano) a una serie di seminari sui problemi dei paradossi, delle contraddizioni e della costruzione di prospettive alternative alle politiche e alle tendenze penali in corso. Il 16 aprile 1992 l'Università di Milano ospitò il Seminario conclusivo con centinaia di adesioni da tutta Italia.
Il volume presenta nella prima parte il frutto di quello sforzo riflessivo, a partire da un Manifesto di base, nel quale venivano enucleate le criticità più rilevanti del sistema punitivo-premiale italiano, in rapporto da un lato con una normativa astrattamente ed angelicamente enunciativa, e dall'altro con la realtà tutt'altro che costituzionalmente conforme della vita carceraria effettiva. Nello sfondo già allora un carcere, che per quanto dimezzato rispetto all'attuale sovraffollamento, per la maggioranza dei suoi ospiti si mostrava come il contenitore di quella che Margara avrebbe definito "detenzione sociale": emarginati, tossicodipendenti, extracomunitari, malati di AIDS.
La prospettiva comune, al di là del dibattito centrale sulla flessibilità della pena e sul conflitto di ruolo degli operatori sociali tra attività di aiuto al reinserimento sociale e attività di controllo sociale, si palesava, allora come ora, sia quella di battersi per un "diritto penale minimo", auspicando l'adozione come pene principali di pene alternative alla detenzione, sia quella di aprire il carcere al territorio, magari anche demandando agli enti territoriali (le Regioni) e agli enti locali il cosiddetto trattamento penitenziario, nonché rinforzando il ruolo del volontariato. Un carcere monopolizzato come personale dal corpo di polizia più numeroso d'Europa con una residuale e risibile pattuglia di operatori sociali, poneva e pone, infatti, il grande ed ineludibile problema di equilibrare tale stortura e di approntare adeguati strumenti di tutela e garanzia effettiva dei diritti umani e costituzionali nel momento detentivo.
La seconda parte del libro, perciò, riprende "documenti in grado di dare testimonianza delle iniziative assunte dagli operatori del settore per sollecitare e mantenere aperto il dibattito sui castighi legali e sulla connessa necessità di un mutamento strutturale della risposta alla trasgressione penalmente rilevante".
La terza parte infine in forma di intervista recente (2004) ripone il quesito sulle attuali frontiere della penalità a Margara, Mosconi e Pavarini, formandosi così una ripresa dei nodi problematici anche alla luce del "nuovo senso comune penale" che caratterizza la politica criminale d'oltreoceano.
Chiude il volume la Postfazione di Livio Pepino, che nella sua organica disamina prospetta uno scenario, che possa portare a una seria riforma penale che sull'onda di un "diritto penale minimo" non solo punti sulle pene alternative ma si sostanzi anche attraverso forme alternative di mediazione extra-penali e penali, dove si riverserebbe l'azione degli operatori sociali.
*. Recensione di Quale pena. Problemi e riflessioni sull'esercizio della punizione legale in Italia (1992-2004), a cura di Patrizia Ciardiello, Postfazione di Livio Pepino, Edizioni UNICOPLI, Milano 2004, pp. 357.