Esternalizzazione dei controlli di frontiera e diritti fondamentali dei migranti
1. Le politiche comunitarie in materia di immigrazione ed asilo: tra accoglienza e contrasto
Dopo le timide aperture del processo di Barcellona, avviato nel 1995, e le speranze suscitate dai documenti di Tampere nel 1999, da un Consiglio Europeo all'altro, soprattutto a partire dall'11 settembre 2001, le politiche di sbarramento e di militarizzazione delle frontiere hanno condizionato le scelte degli organismi comunitari in materia di immigrazione ed asilo. Intanto l'immigrazione clandestina non è certo diminuita, inserendosi come un fenomeno strutturale in un'economia liberista di dimensione globale caratterizzata dalla delocalizzazione su scala internazionale delle attività produttive e da un consistente mercato parallelo del lavoro irregolare, dall'edilizia all'agricoltura, dai servizi ai lavori di cura. Il mercato comune europeo è così diventato una formidabile attrazione per i lavoratori migranti di tutto il mondo, disposti ad accettare il rischio di una traversata su una “carretta” del mare, la condizione di clandestinità ed una retribuzione irrisoria pur di garantire una minima possibilità di sopravvivenza alle proprie famiglie. Ed è noto il ruolo crescente delle rimesse degli immigrati nella formazione del prodotto nazionale lordo dei paesi di provenienza e di transito.
Mentre i principali paesi europei si distinguevano per il sostegno offerto alle guerre “umanitarie” promosse dagli Stati Uniti, dal Kosovo all'Afghanistan, dall'Irak alla Somalia, ed in tante altre parti del globo, si restringevano drasticamente le possibilità di ingresso, e spesso anche le vie di fuga, a milioni di potenziali richiedenti asilo. L'Unione Europea adottava direttive che comportavano una sostanziale diminuzione del numero di rifugiati, pure in presenza di un incremento di migranti costretti a lasciare il proprio paese per le guerre o per gli “effetti collaterali” della desertificazione politica e sociale, oltre che fisica, imposta dallo scontro di vecchi e nuovi potentati economici per il controllo delle risorse mondiali. Nel 2005 l'Unione Europea falliva nel tentativo di adottare una direttiva sugli ingressi per lavoro e le diverse direttive adottate in materia di asilo e protezione umanitaria hanno mantenuto situazioni molto differenziate tra i diversi paesi, con prassi delle autorità amministrative che impediscono generalmente l'accesso effettivo alla procedura di asilo.
A distanza di due anni, le uniche scelte praticabili a livello europeo sembrano circoscritte alle misure di contrasto della cd. immigrazione illegale. Sembra imminente l'approvazione di una direttiva sui rimpatri forzati che potrebbe costituire ulteriore stimolo per molti paesi nella direzione di un inasprimento delle normative e delle prassi in materia di respingimento, espulsione e detenzione amministrativa. Ma l'aspetto più preoccupante delle politiche comunitarie in materia di immigrazione ed asilo è la stipula di accordi multilaterali di cooperazione nella “lotta” all'immigrazione clandestina, da ultimo con paesi di transito come la Mauritania ed il Ghana. L'approccio è sempre quello della “condizionalità migratoria”, prospettiva adottata anche dai diversi governi italiani che si sono succeduti nel tempo: in cambio di aiuti economici e di limitate possibilità di ingresso legale per i cittadini di quei paesi in base ai cd.“decreti flussi”, si cerca di ottenere un maggiore impegno nell'arresto e nella successiva espulsione, o nel respingimento verso altri paesi dei migranti in transito, molti dei quali provenienti da lontano, spesso potenziali richiedenti asilo. Ma i tentativi di governare i flussi migratori sono falliti quasi ovunque, ed in tutti i paesi europei, di fronte alla crescita esponenziale del numero di immigrati “clandestini”, si è fatto ricorso a periodiche regolarizzazioni.
2. Rapporti tra Unione Europea e paesi di transito nel contrasto dell'immigrazione irregolare
Di fronte al fallimento delle politiche espulsive praticate a livello nazionale, che hanno ridotto i centri di detenzione amministrativa a luogo di selezione e di espulsione della forza lavoro in eccesso, o di prolungamento della detenzione carceraria, piuttosto che di effettivo allontanamento degli immigrati irregolari presenti nel territorio, i principali paesi europei hanno riscoperto la “cooperazione internazionale”, e le politiche europee di vicinato (PEV). In assenza di strumenti operativi idonei a praticare una autentica solidarietà con gli abitanti dei paesi più poveri, con iniziative affidate agli enti locali ed alle organizzazioni non governative, si è tentato di imporre ai governi degli stati di transito, soprattutto dei paesi nord-africani, accordi di collaborazione basati sul finanziamento delle politiche di arresto, di detenzione e di espulsione dei migranti irregolari, prima che questi potessero tentare l'ultimo salto, la traversata verso l'Europa. Il capitolo immigrazione è diventato così una parte integrante degli accordi economici che hanno avvicinato questi paesi all'Europa. In questa direzione l'Italia e la Spagna hanno offerto gli esempi più eclatanti, nei rapporti, rispettivamente, con la Libia e con il Marocco, concludendo accordi bilaterali e/o intese a livello di forze di polizia che hanno permesso il blocco e l'arresto di migranti, in molti casi potenziali richiedenti asilo e minori non accompagnati, anche se provenienti da paesi terzi, in cambio di trattamenti preferenziali negli scambi commerciali con i paesi dell'area comunitaria. La Grecia si è distinta invece, oltre che per i gravissimi abusi commessi ai danni dei migranti irregolari (detenzioni arbitrarie e casi di vera e propria tortura), per una politica di rimpatri verso la Turchia di migliaia di potenziali richiedenti asilo irakeni ed afgani, anche minori non accompagnati, malgrado una risoluzione del Parlamento europea che vieta i rimpatri forzati verso l'Irak.
Nei confronti dei potenziali richiedenti asilo si sono frapposti ostacoli di ogni genere, soprattutto nell'accesso alla procedura, e talora al territorio europeo. L'Italia ha applicato rigidamente la Convenzione di Dublino, che stabilisce il paese competente per l'esame delle domande di asilo, violando in qualche caso anche la legge nazionale, come nel caso dei minori irakeni scoperti a partire dal 2006 nei porti di Bari e di Ancona, dopo lo sbarco dai traghetti provenienti dalla Grecia e riconsegnati ai comandanti di quelle navi per la deportazione verso i porti greci di provenienza. Si ha notizia che quegli stessi minori sono stati poi espulsi verso la Turchia e da qui verso l'Irak, in violazione di tutte le convenzioni internazionali che vietano le espulsioni ed i respingimenti collettivi, oltre che l'espulsione dei minori.
Snodo essenziale delle politiche di “lotta all'immigrazione clandestina”, se non di vero e proprio blocco dei movimenti migratori, è costituito dagli accordi di pattugliamento congiunto e dalle attività dell'agenzia FRONTEX istituita nel 2004 dall'Unione Europea per il controllo delle frontiere esterne ed il contrasto dell'immigrazione clandestina. L'effetto deterrente costituito dallo schieramento di unità militari finanziato dall'Unione Europea non ha comunque arrestato i movimenti migratori clandestini, ma ne ha reso più pericolosi gli itinerari, anche per il ricorso ad imbarcazione sempre più piccole per sfuggire ai controlli dei radar e degli aerei ricognitori. Se è diminuito il numero degli immigrati transitati attraverso la Libia ed il Marocco verso l'Italia e la Spagna, è aumentato il numero delle partenze dalla Mauritania, dal Senegal, persino dalla Guinea Conakry, di migranti diretti verso la Spagna, e dall'Algeria, dalla Tunisia, dalla Turchia, attraverso la Grecia, di migranti diretti in Italia, non solo verso la Sicilia, ma anche verso la Sardegna, e di nuovo verso la Puglia e la Calabria.
Di recente, a seguito dell'aumento delle misure di contrasto dell'immigrazione irregolare nel Canale di Sicilia, con prassi amministrative che giungono fino al respingimento nei porti libici e tunisini di provenienza, le rotte si sono diversificate e le partenze si sono verificate anche dall'Egitto occidentale e dall'Algeria. Ancora incalcolabile il numero delle vittime di queste nuove rotte dei forzati dell'immigrazione clandestina, insieme migranti economici e potenziali richiedenti asilo, tutti costretti ad intraprendere i viaggi della disperazione in assenza di un riconoscimento effettivo del diritto di asilo nei paesi del Nord Africa, e di un canale effettivamente praticabile per l'ingresso alla ricerca di lavoro in Europa.
Quanto successo nell'estate del 2007 ha confermato le previsioni che avevamo fatto subito dopo il lancio delle operazioni Frontex, per le quali il commissario europeo Frattini continua a chiedere maggiori finanziamenti, ammettendo, di fronte all'evidenza, che altrimenti queste missioni resteranno prive di una reale efficacia di contrasto dell'immigrazione clandestina. La natura della missione di Frontex, consistente nel contrasto a mare dell'immigrazione clandestina, è risultata difficilmente conciliabile con gli obblighi di protezione che incombono sugli stati quando si tratta di salvare vite umane a mare.
Tra la Libia e la Sicilia, a partire dal 2004 soprattutto, si è giocata una partita che è costata la vita di decine di migranti, nella quale i mezzi mercantili non sono intervenuti tempestivamente, pescatori che operavano interventi di salvataggio sono stati incriminati e gli stati interessati hanno cercato fino all'ultimo di eludere le proprie responsabilità derivanti dalle convenzioni internazionali che impongono la salvaguardia della vita umana a mare ed il diritto all'accesso alla procedura di asilo. Diverse piccole imbarcazioni, avvistate da aerei ricognitori a sud di Malta, venivano poi date per disperse, e a Lampedusa, o in Sicilia, sono giunti natanti sempre più piccoli, per sfuggire ai controlli, con immigrati in stato di disidratazione, e numerose donne che hanno dichiarato di essere state stuprate, anche da appartenenti alle forze di polizia, prima dell'imbarco in Libia. Altri immigrati hanno dichiarato di avere gettato in mare i cadaveri di compagni che non avevano resistito ai lunghi giorni passati in attesa di un intervento di soccorso.
Malgrado il mutamento di governo, l'Italia ha continuato la sua politica “sommersa” di collaborazione con Gheddafi, dal vertice di Tripoli dello scorso anno, fino al viaggio di D'Alema, sempre a Tripoli, lo scorso aprile. Nessun accordo ufficiale, ma una politica di riammissione gestita a livello di alti funzionari di polizia, ufficiali di collegamento e contatti diplomatici informali, che determinano puntualmente, ad ogni situazione di crisi, ritardi nei soccorsi a mare e una totale incertezza sulla sorte dei migranti, in buona parte sicuramente proveniente da paesi dai quali può essere fatta valere una richiesta di asilo, come la Somalia o l'Eritrea, ma inesorabilmente abbandonati al loro destino di clandestini, se non di naufraghi, quando non respinti direttamente verso la Libia. La natura di Frontex, una agenzia indipendente dell'Unione Europea, con sede a Varsavia, dotata di un budget autonomo e con un suo direttore generale, non contribuisce certo né alla trasparenza né alla rapidità degli interventi di salvataggio, ancora delegati, di fatto, alle autorità nazionali di polizia marittima, e costituisce una preoccupante “esternalizzazione” burocratica delle responsabilità di controllo delle migrazioni verso l'Europa, responsabilità che dovrebbero ritornare al più presto al Consiglio, alla Commissione, ed al Parlamento Europeo, unico organo dotato di una diretta legittimazione popolare.
L'esperienza dell'estate del 2007 conferma come sia ancora dominante il ruolo di controllo e di interdizione dell'ingresso svolto dagli stati comunitari che si affacciano nel Mediterraneo. Secondo numerose testimonianze, raccolte da operatori umanitari e giornalisti, consultabili nei siti di Migreurop (Parigi), di PICUM (Bruxelles), di Borderline Europe (Berlino) e di Fortress Europe (Roma), confermate da rapporti di agenzie internazionali come Amnesty o Human Rights Watch (HRW), numerosi paesi europei, impegnati nelle operazioni di contrasto dell'immigrazione clandestina, non rispettano neppure le regole procedurali vincolanti dei regolamenti comunitari perché operano respingimenti verso paesi che non garantiscono il rispetto dei diritti fondamentali della persona, vietati anche dalla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell'uomo.
3. La esternalizzazione delle pratiche di contrasto dell'immigrazione irregolare
Italia, Spagna e Grecia stanno costituendo i principali snodi operativi delle attività promosse dall'agenzia europea FRONTEX su impulso della Commissione europea. L'obiettivo comune è quello di trasferire sui paesi di transito le responsabilità e gli oneri del contrasto dell'immigrazione irregolare, a partire da una loro partecipazione alle operazioni di contrasto. Queste operazioni consistono in pratiche di riammissione sempre più sbrigative e in azioni coordinate di polizia di frontiera, a terra ed in mare, con il ricorso al “pattugliamento congiunto” delle frontiere marittime in acque internazionali. Si cominciano a conoscere i casi di imbarcazioni cariche di migranti respinte dalle forze militari greche verso le coste turche, in alcuni casi con esiti tragici. Alcune decine di unità militari europee, e tra queste un mezzo navale italiano, hanno operato stabilmente nelle acque dell'Africa occidentale, davanti alle coste della Mauritania, tra le isole di Capoverde e le Canarie. Nel mese di novembre 2007 sembra prossima ad una ulteriore fase operativa la operazione FRONTEX nel Canale di Sicilia, dopo una serie di interruzioni per carenza di mezzi (e forse anche di risultati).
La Spagna ha inviato una sua imbarcazione militare nel Canale di Sicilia ed ha concluso nuovi accordi di riammissione con il Marocco, prevedendo il rimpatrio anche nel caso di minori non accompagnati e di migranti provenienti da paesi terzi, ed altri accordi sono stati sottoscritti con il Senegal e con diversi paesi africani, ai quali si è offerta la possibilità di quote preferenziali di ingressi legali ed un consistente fascio di aiuti economici. Malgrado questi accordi, ogni volta che viene intercettata una imbarcazione carica di migranti, si apre una lunga fase di trattative che ritarda gli interventi di salvataggio come si è verificato in Atlantico con il respingimento in alto mare del Marine I e dell'Happy Day, bloccati davanti alle coste africane con il concorso di mezzi militari italiani.
Si assiste dunque ad una moltiplicazione degli strumenti di contrasto nella lotta contro l'immigrazione clandestine con norme, accordi internazionali bilaterali o multilaterali, pratiche concordate a livello di forze di polizia o di gruppi operative tecnici, emanazione dei ministeri dell'interno e degli esteri o di specifici comitati o gruppi di lavoro a livello comunitario, con un crescente pregiudizio per la vita umana dei migranti, in parte richiedenti asilo ed in parte costretti all'ingresso irregolare per l'assenza di canali legali di ingresso per lavoro o per ricongiungimento familiare. La Commissione europea, in vista dell'estate del 2007, stagione nella quale tradizionalmente si intensificano i tentativi di traversata dei migranti, aveva rivolto un invito ai ministri dell'interno dei 27 paesi comunitari per fornire un maggiore sostegno economico a FRONTEX, in particolare per rinforzare il pattugliamento congiunto al largo delle Canarie e nel Mediterraneo.
Ancora navi militari, elicotteri, aerei da ricognizione, e poi tecnologie militari e uomini specializzati per bloccare in alto mare le imbarcazioni cariche di migranti e tentare con ogni mezzo di respingerle verso i porti di provenienza. Queste le richieste rivolte ai paesi comunitari da parte del commissario europeo Frattini. L'appello non sembra avere ottenuto risultati concreti, anche a fronte dei più generali problemi che sta attraversando l'Unione Europea dopo l'allargamento a 27 stati. Si invoca una “solidarietà” tra i diversi paesi dell'Unione, come condivisione degli oneri della lotta all'immigrazione illegale, obiettivo che appare sempre più lontano, e si continua ad insistere sulla stessa linea di politica dell'immigrazione, incentrata soprattutto sulle misure repressive, di contrasto dell'immigrazione, seppure a livello di cooperazione rafforzata o sulla base di accordi intergovernativi a dimensione regionale. Sempre più evidente in questi casi il rischio che i programmi e le attività di contrasto dell'immigrazione clandestina possano scaricarsi sulle vite dei migranti, una parte dei quali appartiene sicuramente, secondo quanto dichiarato dall'ACNUR, alla categoria dei richiedenti asilo. Tra gli altri sempre più numerosi i soggetti particolarmente vulnerabili come donne e bambini.
Uno studio pubblicato nella primavera del 2006 dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati evidenziava la necessità di una sostanziale revisione del Regolamento Dublino II, adottato nel 2003, al fine di assicurare il rispetto effettivo dei diritti di richiedenti asilo e rifugiati ed una distribuzione equa dei richiedenti asilo tra i diversi paesi europei. Il rapporto dell'ACNUR è stato reso pubblico proprio mentre la Commissione Europea era impegnata nella preparazione di una propria revisione del Regolamento. Il funzionamento del Regolamento presupporebbe che le leggi sull'asilo e le derivanti prassi dei paesi aderenti poggino su standard comuni. Tuttavia - osserva anche tale studio - un'armonizzazione delle politiche d'asilo e delle pratiche adottate all'interno dell'UE non è ancora stata raggiunta. Sia le legislazioni nazionali che le rispettive prassi in materia d'asilo variano ancora molto da paese a paese, generando così un diverso trattamento dei richiedenti asilo. Ciò produce disparità nell'applicazione del Regolamento Dublino II, prassi applicative difformi e movimenti secondari di potenziali richiedenti asilo che circolano nell'unione europea senza avere conseguito uno status legale.
La questione più importante - rileva ancora l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati - consiste nell'evitare concretamente (cioè in tutti gli Stati comunitari) che il richiedente asilo venga inviato fuori dello spazio regolato da Dublino II, senza che la sua richiesta sia stata esaminata. I controlli di frontiera dovrebbero contribuire alla lotta contro l'immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani nonché alla prevenzione di qualunque minaccia per la sicurezza interna, l'ordine pubblico, la salute pubblica e le relazioni internazionali degli Stati membri senza intaccare i diritti fondamentali dei migranti, di tutti i migranti, e dei potenziali richiedenti asilo, in particolare. Nessuna interpretazione di alcuna parte della normativa può porsi in contrasto con la tutela dei diritti dei rifugiati e dei diritti umani in genere, a partire dal diritto alla vita e dal divieto di trattamenti inumani o degradanti (art. 3 della CEDU) nei limiti di quanto internazionalmente riconosciuto e di quanto fa parte dei principi dello stesso ordinamento comunitario.
4. Contrasto dell'immigrazione irregolare ed obblighi di protezione della vita in mare
Le operazioni Hera II e III svolte nei mesi scorsi dalle unità europee coordinate dall'agenzia europea Frontex, davanti alle coste del Senegal e della Mauritania, ed il sostanziale fallimento delle operazioni Frontex denominate Nautilus, nel Canale di Sicilia (con una interruzione proprio nel momento di maggiore afflusso di migranti, ad agosto, per “carenza di mezzi tecnici”), hanno già evidenziato il groviglio di interessi contrastanti e di conflitti di competenza scatenati dal “pattugliamento congiunto” delle acque territoriali dei paesi di transito, allo scopo dichiarato di bloccare i flussi di immigrazione irregolare via mare, in Oceano dall'Africa occidentale verso la Spagna, nel Mediterraneo verso l'Italia e la Sicilia in particolare. Conflitti di competenza tra stati e ragioni di carattere economico ritardano gli interventi di salvataggio e lasciano i migranti per giorni e giorni alla deriva in balia delle onde. Elemento costante delle nuove politiche europee in difesa della Fortezza Europa è il numero dei morti, e dei dispersi in mare, mentre le cifre dell'immigrazione clandestina, su scala europea, continuano a segnalare un costante aumento.
Nei confronti dei migranti sospesi tra le onde si dovrebbe utilizzare il “pattugliamento congiunto”, in modo da garantire un contrasto “più efficace” dell'immigrazione clandestina, con l'obiettivo di respingere le carrette del mare verso i porti di partenza, mentre tutti riconoscono ormai che siamo in presenza di flussi misti, composti da migranti economici e potenziali richiedenti asilo, che avrebbero comunque, in ogni caso, diritto ad entrare nel territorio nazionale (oltre ad essere salvati). A partire dalla vicenda della Cap Anamur nel 2004, quando si impedì ad una nave umanitaria tedesca che aveva salvato 37 naufraghi di fare ingresso nelle acque territoriali italiane, e poi, in successive occasioni, anche per effetto delle diverse interpretazioni delle normative internazionali, da parte degli stati coinvolti nel salvataggio di migranti in procinto di annegare, sono state violate le norme del diritto internazionale del mare che impongono la salvaguardia assoluta della vita umana a mare. Anche durante la più recente operazione Nautilus II nel Canale di Sicilia, iniziata alla fine di giugno, non sono mancate le differenze di vedute tra i diversi governi dei paesi che vi partecipavano, circa la sorte dei naufraghi salvati da mezzi civili, e nel corso dell'estate del 2007 sono quasi raddoppiate le stragi di migranti (cfr. Fortress Europe).
Le misure adottate a livello europeo, e soprattutto quelle disposte da agenzie tecnico operative, o da gruppi riservati di coordinamento, a livello di forze di polizia o di rappresentanze diplomatiche, non possono risultare in contrasto con il diritto internazionale del mare universalmente riconosciuto. In base all'art. 10 della Convenzione del 1989 sul soccorso in mare, ogni comandante è obbligato, nella misura in cui ciò non crei pericolo grave per la sua nave e le persone a bordo, a soccorrere ogni persona che sia in pericolo di scomparsa in mare. Gli Stati sono obbligati ad adottare tutte le misure necessarie per far osservare tale obbligo.
La seconda Convenzione internazionale che va ricordata riguarda anch'essa la ricerca ed il salvataggio marittimo. La Convenzione SAR del 1979 si fonda sul principio della cooperazione internazionale. Le zone di ricerca e salvataggio sono ripartite d'intesa con gli altri Stati interessati. Tali zone non corrispondono necessariamente con le frontiere marittime esistenti. Esiste l'obbligo di approntare piani operativi che prevedono le varie tipologie d'emergenza e le competenze dei centri preposti. La zona SAR di Malta è molto vasta per ragioni di controllo sui traffici commerciali che quel paese intende ancora esercitare, mentre non ha i mezzi e la volontà politica per operare tempestivamente interventi di salvataggio. Per questa ragione unità militari italiane o mezzi da pesca di diversa nazionalità hanno operato spesso interventi di salvataggio in acque di competenza della Guardia Costiera maltese.
La Convenzione SAR impone un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare “regardless of the nationality or status of such a person or the circumstances in which that person is found”, stabilendo altresì, oltre l'obbligo della prima assistenza anche il dovere di sbarcare i naufraghi in un “luogo sicuro”.
I poteri-doveri di intervento e coordinamento da parte degli apparati di un singolo Stato nell'area di competenza non escludono, sulla base di tutte le norme più sopra elencate, che unità navali di diversa bandiera, normali mezzi commerciali o imbarcazioni da pesca, possano iniziare il soccorso quando l'imminenza del pericolo per le vite umane lo richieda. In ogni caso, la doverosa cooperazione dello Stato coinvolto nell'operazione di soccorso in mare, comprende l'obbligo dello sbarco dei naufraghi, prescindendo dal potere dello Stato stesso di perseguire i presunti favoreggiatori (comandante ed equipaggio) o di adottare verso i clandestini (ma in tutta sicurezza) i provvedimenti di espulsione o di respingimento previsti dalla legge.
Una particolare considerazione merita la problematica relativa a ciò che debba intendersi per conduzione della persona salvata in luogo sicuro. Infatti è dal momento dell'arrivo in tale luogo che cessano gli obblighi internazionali (e nazionali) relativamente alle operazioni di salvataggio, che pertanto non si esauriscono con le prime cure mediche o con la soddisfazione degli altri più immediati bisogni (alimentazione etc.). Con l'entrata in vigore (luglio 2006) degli emendamenti all'annesso della Convenzione SAR 1979 (luglio 2006) e alla Convenzione SOLAS 1974 (e successivi protocolli) e con le linee guida - adottate in sede IMO lo stesso giorno di approvazione degli emendamenti alle convenzioni e protocolli - viene fatta maggiore chiarezza sul concetto di place of safety e sul fatto che la nave soccorritrice è un luogo puramente provvisorio di salvataggio, il cui raggiungimento non coincide con il momento terminale delle operazioni di soccorso. Le “linee guida” insistono particolarmente sul ruolo attivo che deve assumere lo Stato costiero nel liberare la nave soccorritrice dal peso non indifferente di gestire a bordo le persone salvate. Malta non ha tuttavia ratificato gli emendamenti, e la Libia non ha una vera e propria guardia costiera, potendo disporre in tutto di una ventina di mezzi navali di piccole o medie dimensioni (come risulta da una visita ispettiva dell'agenzia europea FRONTEX nell'estate del 2007).
5. Le proposte : per politiche migratorie che rispettino i diritti della persona
A livello comunitario, le cd. Politiche di protezione regionale (PPR) o le Politiche di vicinato (PEV) non possono essere finalizzate, di fatto, all'esclusivo scopo di bloccare gli ingressi, facilitare i rimpatri forzati ed esternalizzare i sistemi di detenzione amministrativa e di allontanamento forzato, magari in cambio di modesti aiuti economici o di esigue quote di ingresso legale. In presenza di “flussi migratori misti”, come rilevato anche dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR), occorre invece realizzare una effettiva politica comunitaria di protezione nei confronti dei richiedenti asilo o protezione umanitaria, con una disciplina uniforme del diritto di asilo e di protezione umanitaria nei diversi stati europei, basata sulla distribuzione degli interventi di accoglienza (burden sharing) con una particolare tutela dei soggetti vulnerabili (donne, minori, vittime di tortura), ma anche riaprendo canali di ingresso legale per ricerca di lavoro, ed introducendo meccanismi di regolarizzazione permanente individuale sulla base del modello adottato con successo alcuni anni fa dalla Spagna.
Contro le organizzazioni che gestiscono il traffico dei migranti, spesso colluse con le polizie dei paesi di transito, va riaffermato il principio di legalità e vanno adottati strumenti di monitoraggio delle attività di polizia da parte di autorità indipendenti. Come è confermato da numerose testimonianze la corruzione della polizia e le organizzazioni criminali dei trafficanti di uomini formano un sistema unico che stritola migliaia di vite e che risulta invisibile soltanto ai governanti europei che con gli stati di polizia del Nord-Africa non esitano a concludere accordi di riammissione che richiamano solennemente i diritti fondamentali ed il diritto di asilo, ma che nella pratica si riducono a pratiche di deportazione e di schiavizzazione indegne di un qualsiasi paese che voglia continuare a definirsi democratico.
La risposta dell'Europa alle tragiche questioni poste dall'immigrazione irregolare via mare non può affidarsi a soluzioni univoche, di stampo esclusivamente repressivo, buone per ogni paese e per ogni luogo. Tra Italia e Spagna, ad esempio, si registrano significative differenze, dovute in parte alla diversa situazione geopolitica nella quale si trovano. Sono migliaia i migranti espulsi dalla Spagna verso il Marocco ed il Senegal, ed altri ancora respinti in mare verso la Guinea e la Mauritania, sono poi ricacciati verso i paesi dai quali sono fuggiti, come nel caso delle imbarcazioni Marine I ed Happy Day. Si registra invece una diminuzione costante, malgrado l'aumento degli sbarchi nel mese di giugno 2007, degli sbarchi (o meglio dei salvataggi) nel Canale di Sicilia, tra Lampedusa e la Sicilia meridionale. Diminuzione che corrisponde però, piuttosto che ad un successo delle operazioni di contrasto a mare, ad operazioni di rastrellamento condotte periodicamente dalla polizia libica nei confronti degli immigrati irregolari, attratti in Libia negli anni dell'embargo, ed oggi preziosa merce di scambio, per accreditare Gheddafi come partner privilegiato dei governi europei, non solo nel contrasto dell'immigrazione clandestina, ma anche negli scambi commerciali e nelle forniture di gas e petrolio.
Oltre 200.000 migranti irregolari sarebbero stati arrestati, detenuti e poi espulsi dalla Libia negli ultimi quattro anni. Altre decine di migliaia di persone sono state arrestate ed espulse ancora più a sud dal Marocco, dall'Algeria, dalla Tunisia, dall'Egitto, quegli stessi paesi con i quali l'Italia ha concluso da tempo accordi di riammissione. Tra queste persone, molti eritrei, sudanesi, somali, tutti potenziali richiedenti asilo ricacciati verso i paesi dai quali cercavano scampo. Nel carcere di Misurata in Libia sono ancora detenuti centinaia di uomini, donne, minori provenienti dall'Eritrea, alcuni con lo status di rifugiato già riconosciuto dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ma segregati in luoghi dove si subiscono violenze ed abusi di ogni genere. Prima delle stragi in mare, o dei centri di detenzione in Libia, in Algeria, in Tunisia, è spesso il deserto che arresta i viaggi della speranza dei migranti verso l'Europa. Almeno per quelli che non trovano il danaro per corrompere un funzionario della polizia di frontiera. Come è confermato da numerose testimonianze, in molti paesi di transito la corruzione della polizia e le organizzazioni criminali dei trafficanti di uomini formano un “sistema unico” che stritola migliaia di vite. Un sistema illegale bene organizzato, che si appoggia sui servizi di pagamento a distanza Western Union, e che risulta invisibile soltanto ai governanti europei che con gli stati di polizia del Nord-Africa non esitano a concludere accordi di collaborazione e di riammissione che -sulla carta- richiamano i diritti fondamentali ed il diritto di asilo, ma che nella pratica si riducono a pratiche di deportazione e di schiavizzazione indegne di un qualsiasi paese che voglia continuare a definirsi democratico. Una partita sempre più dura che si gioca sulla pelle dei migranti internati in Algeria, in Tunisia, in Libia, in condizioni disumane e poi espulsi verso i paesi di provenienza.
Quali garanzie per i diritti fondamentali della persona umana saranno riconosciuti adesso ai migranti di fronte alle nuove frontiere europee ed alle politiche di riammissione?
La prima linea di intervento va individuata a livello europeo e consiste nel sostegno a tutte quelle azioni positive poste in essere da enti locali e da ONG, che a livello nazionale ed internazionale, soprattutto nei paesi di transito, si rivolgono alla tutela dei richiedenti asilo e protezione umanitaria.
Gli accordi di cooperazione economica dovranno restituire un ruolo progettuale alle organizzazioni non governative ed agli enti locali, anche per diffondere informazioni corrette sulle prospettive dell'emigrazione in Europa e per fornire un sostegno alle famiglie dei candidati all'emigrazione clandestina. Occorre stabilire una nuova disciplina degli ingressi legali per lavoro, a livello nazionale, se non sarà possibile trovare una intesa a livello europeo. Se non si introdurranno al più presto forme di regolarizzazione individuale occorrerà ricorrere ad un'ennesima sanatoria generalizzata. Va comunque moralizzato il mercato del lavoro. Altrimenti il lavoro informale costituirà una potente attrazione che nessuna nave militare riuscirà ad offuscare.
Di fronte alla composizione mista dei flussi migratori occorre un regolamento europeo che superi la Convenzione di Dublino e garantisca la salvaguardia della vita umana a mare e la protezione dei soggetti più vulnerabili come i richiedenti asilo, le donne ed i minori. In particolare si devono depenalizzare al più presto gli interventi di salvataggio a mare da parte delle imbarcazioni non militari, in modo da rendere più tempestive le azioni di salvataggio. Le missioni FRONTEX devono essere rimodulate nella prospettiva della salvaguardia assoluta della vita umana e del diritto di asilo. Va quindi modificata la disciplina nazionale delle espulsioni e dei respingimenti, considerandola strumento eccezionale e non metodo ordinario di gestione dell'immigrazione. Di conseguenza devono essere chiusi gli attuali centri di detenzione amministrativa e i centri di identificazione.
Gli accordi di riammissione con molti paesi nordafricani sono basati sul presupposto che questi paesi hanno aderito alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Quando poi si va a considerare la dimensione effettiva del diritto di asilo in questi paesi si verifica come tale status venga concesso in poche centinaia di casi. Non si può ritenere sufficiente l'adesione alla Convenzione di Ginevra se poi i singoli stati si comportano in modo da violare i principi essenziali di quella convenzione, e neppure consentono il tempestivo intervento dei funzionari dell'ACNUR In questo quadro, può costituire la premessa per gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona il coinvolgimento nelle pattuglie FRONTEX di unità navali di paesi che non rispettano i diritti dei richiedenti asilo, come Malta e la Libia.
Devono essere evitate pratiche di polizia concretamente riconducibili al divieto di espulsioni collettive, sancito nella Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell'uomo e nella Carta di Nizza. Vanno interrotti immediatamente i finanziamenti concessi dai governi europei ai paesi di transito per mantenere centri di raccolta dei migranti irregolari, che assumono spesso, come rilevato in Libia da Human Rights Watch e da una delegazione del Parlamento europeo, il carattere di veri e propri lager. Come vanno interrotti i finanziamenti europei dei voli con i quali gli stati di transitano restituiscono molti potenziali richiedenti asilo alla polizia dei paesi, come l'Eritrea, dai quali questi sono fuggiti. Gli accordi di riammissione con i paesi nordafricani sono basati sul presupposto che questi paesi, ad eccezione della Libia, hanno aderito alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Quando poi si va a considerare la dimensione effettiva del diritto di asilo in questi stati si verifica come il diritto di asilo venga riconosciuti in poche centinaia di casi. Non si può ritenere sufficiente l'adesione formale alla Convenzione di Ginevra, se poi i singoli stati si comportano in modo da violare i principi essenziali di quella convenzione, e neppure consentono il tempestivo intervento dei funzionari dell'ACNUR.
In questo quadro, può costituire la premessa per gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona il coinvolgimento nelle pattuglie FRONTEX di unità navali di paesi che non rispettano i diritti dei richiedenti asilo, come Malta, l'Algeria e la Libia. Non si dovranno più verificare espulsioni o respingimenti verso paesi che non garantiscono i diritti fondamentali della persona umana, a partire dal diritto di asilo. Piuttosto che finanziare campi di detenzione amministrativa nei paesi di transito, strutture che diventano luoghi di abusi e di traffici di ogni tipo, occorre istituire, negli stessi paesi di transito, veri e propri centri di accoglienza per i richiedenti asilo. Bisogna estendere l'istituto dell'asilo extraterritoriale, dare quindi la effettiva possibilità di presentare una richiesta di asilo nei paesi di transito e di garantire un rigoroso rispetto del principio di non refoulement (non respingimento) previsto dalla Convenzione di Ginevra (art. 33).
Deve essere riconsiderata dai Parlamenti nazionali la materia degli accordi di riammissione, sia perché in contrasto con le normative internazionali ed interne in materia di protezione dei diritti fondamentali della persona migrante, sia perché le azioni di polizia attuate sulla base di tali accordi sono sottratte ad ogni effettivo controllo giurisdizionale. Gli accordi già stipulati con i paesi di transito e di provenienza vanno revocati o comunque rinegoziati, ed eventuali accordi futuri, comunque discussi ed approvati dalle assemblee parlamentari, dovranno essere strettamente conformi alle norme internazionali e costituzionali sulla tutela dei diritti fondamentali della persona, a partire dalla Carta di Nizza, che vieta le espulsioni collettive, e dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell'uomo, che prevede, in caso di violazione, mezzi immediati di ricorso davanti alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo.