ADIR - L'altro diritto

I rapporti tra la procedura di emersione dello straniero ex art. 103 c. 2 del D.L. 34/2020 e la domanda di protezione internazionale

Emilio Santoro (*), 2020

Un decreto della presidente della Sezione Specializzata Immigrazione, Protezione Internazionale e Libera circolazione dei cittadini UE del Tribunale di Firenze sottolinea la necessità di fare chiarezza.

Finalmente qualcuno, la dottoressa Luciana Breggia, presidente della Sezione Specializzata Immigrazione, Protezione Internazionale e Libera circolazione dei cittadini UE del Tribuna di Firenze, pone il problema delle rinunce alla protezione internazionale per accedere alla procedura di emersione regolata dal secondo comma dell'art. 103 del D.L 34 del 19.5.20. Un suo decreto fissa un'udienza per discutere i numerosi motivi che danno adito alle perplessità sollevate dalle rinunce chieste dalle questure. Il provvedimento è un importante passo avanti rispetto alle due recentissime (del 17.9.2020) pronunce gemelle del Tar delle Marche che hanno sospeso due provvedimenti questorili di irricevibilità della richiesta di emersione, presentata ai sensi dell'art. 103 c. 2, limitandosi a sottolineare la problematicità delle indicazioni ministeriali date in materia di coordinamento tra le due procedure (1).

In effetti, come sottolinea il decreto della presidente della Sezione specializzata del Tribunale di Firenze, il quadro normativo è molto più complesso di quanto possa sembrare e le indicazioni ministeriali, molte e incongruenti, sono solo un aspetto del problema.

L'occasione del decreto è l'"istanza di cessazione della materia del contendere" presentata dall'avvocato di una richiedente protezione internazionale che aveva fatto ricorso contro il provvedimento di diniego della protezione internazionale e umanitaria, emesso dalla Commissione Territoriale di Firenze. A motivazione dell'istanza l'avvocato sottolineava che un tale atto era stato "preteso dalla Questura di Milano per la presentazione della procedura di emersione ex art. 103 comma 2 D.L 19.5.20". Dagli allegati presentati all'istanza dal difensore emerge che, in occasione della "convocazione per fotosegnalamento", la questura, in effetti, avrebbe elencato, tra i documenti da presentare per "rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno/permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo" anche "copia della rinuncia al ricorso depositata in Tribunale con ricevuta della pec".

Sul rapporto tra la procedura di "emersione dei rapporti di lavoro" regolata dall'art. 103 D.L. 34/2020, e quella di richiesta della protezione internazionale ci sono stati molti cortocircuiti. Alcune questure avevano richiesto la rinuncia alla richiesta di protezione per accedere alla procedura regolata dal primo comma dell'articolo 103, subito dopo la pubblicazione in Gazzetta del decreto legge. Queste richieste avevano imposto al Ministero dell'Interno di pubblicare un'apposita FAQ, la n. 15 del 13.06.2020, per sgomberare immediatamente il campo da una prassi priva di ogni fondamento giuridico. La FAQ n. 15 ha chiarito che: "Per richiedere il permesso di soggiorno per lavoro a seguito della procedura di regolarizzazione, il cittadino straniero non è tenuto a rinunciare alla richiesta di protezione internazionale. Nel caso in cui, dopo l'ottenimento del permesso di soggiorno, il lavoratore si veda riconosciuta anche la protezione internazionale dovrà optare per uno dei due titoli". Meritano di essere sottolineati due punti.

In primo luogo la FAQ, parlando di "permesso di soggiorno per lavoro", fa implicitamente riferimento solo alla procedura regolata dal c. 1, attivata dalla richiesta di nuova assunzione del datore di lavoro o di emersione del lavoro irregolare, perché quella prevista dal c. 2, avviata dallo straniero titolare di permesso scaduto dal 31.10.2019, si conclude con il rilascio di "un permesso di soggiorno temporaneo" convertibile in un permesso per motivi di lavoro. In secondo luogo, la necessità di optare per uno dei due titoli di soggiorno non implica la rinuncia alla procedura di protezione internazionale: lo straniero può tranquillamente optare per il permesso per motivi di lavoro e proseguire la procedura per la protezione internazionale dato che quest'ultima può essere intrapresa e condotta da titolari di un permesso di soggiorno per motivi diversi dalla richiesta di protezione, perfino da titolari di permesso UE di lungo periodo. La questione è stata precisata successivamente dalla Circolare del Ministero dell'Interno n. 400/C/2020 "Decreto Legge 34/2020-disposizioni applicative", protocollo n. 44360 del 19/06/2020. Secondo questa circolare, al richiedente protezione internazionale, assunto attraverso la procedura prevista dall'art. 103, c. 1, deve essere rilasciato un permesso per motivi di lavoro valido solo per l'Italia: sarà un permesso per lavoro subordinato, cartaceo, recante la dicitura "R" (come richiedente), valido esclusivamente sul territorio nazionale. Questa previsione è dovuta al rischio che la regolarizzazione venga considerata, dagli altri paesi UE, come un escamotage per consentire ai richiedenti protezione internazionale, che hanno fatto domanda in Italia, di recarsi in un altro paese. Infine, a completare il chiarimento sulla compatibilità delle due procedure, è stata emessa la circolare congiunta del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministero dell'Interno del 24.7.2020 che dissolve ogni dubbio sul fatto che la rinuncia alla procedura di richiesta di protezione internazionale è una libera scelta del richiedente che ha intrapreso l'emersione.

Per quanto riguarda la procedura prevista dal secondo comma dell'art. 103, i problemi nascono con la circolare del 19/06/2020 che, distinguendo questa procedura da quella prevista dal primo comma dell'art. 103, informa i destinatari, per quanto qui ci interessa, che essa presuppone "lo stato di irregolarità sul territorio nazionale dello straniero". A partire da questo, erroneo, assunto ricorda che i richiedenti asilo, in quanto autorizzati a permanere nel territorio dello Stato fino alla definizione del procedimento, non hanno i requisiti per "la prosecuzione" della procedura volta al rilascio del permesso di soggiorno temporaneo ex art. 103 c. 2. Pertanto, per presentare la domanda di regolarizzazione, il richiedente asilo dovrebbe chiedere il ritiro della domanda ex art. 23 del d.lgs. n. 25 del 2008.

Lo stesso ragionamento si ritrova nel Modello diffuso dal Ministero dell'interno con circolare del 7.7.2020. In esso si avvisa allo straniero, che è richiesto sottoscrivere l'informativa, che

in qualità di richiedente asilo, autorizzato a permanere sul territorio nazionale fino alla definizione del procedimento di richiesta protezione internazionale, [...] non possiede i requisiti per il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo ai sensi dell'art. 103 c. 2 D.L. n. 3412020 valido per la ricerca di un lavoro;

e che

la Sua domanda per il rilascio del permesso di soggiorno temporaneo, ai sensi dell'art. 103 c. 2 d.l. 3412O2O, pertanto potrà essere considerata ammissibile solo qualora Lei decida di chiudere la procedura per il riconoscimento della protezione internazionale (sia essa pendente in fase amministrativa o giudiziaria), ritirando la Sua domanda nelle forme previste dall'art. 23 d.lgs. n. 25/2008.

Come giustamente sottolinea il provvedimento della presidente della Sezione Specializzata di Firenze, queste indicazioni date agli operatori delle questure pongono notevoli problemi. Il presupposto del ragionamento condotto dal Ministero è erroneo perché il secondo comma dell'art. 103 prevede che alla procedura possono accedere "i cittadini stranieri, con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, non rinnovato o convertito in altro titolo di soggiorno". Il legislatore stabilisce quindi, per presentare domanda di emersione, un criterio formale, la validità del titolo di soggiorno, e non uno sostanziale, la regolarità del soggiorno stesso. Il Ministero passa arbitrariamente(?) dall'aspetto formale, stabilito dal legislatore, della validità del permesso di soggiorno all'aspetto sostanziale della regolarità del soggiorno del richiedente protezione internazionale, ex art. 7 c. 1 del d.lgs. 25/2008, regolarità che perdura fino alla conclusione della procedura, compreso il ricorso giudiziale. E' assolutamente corretto che "l'autorizzazione alla permanenza sul territorio nazionale dello straniero richiedente protezione internazionale prescinde dall'effettivo possesso di un permesso di soggiorno in corso di validità", però l'art. 103 subordina la possibilità di presentare l'istanza di emersione alla effettiva mancanza di questo, non allo status di irregolarità, che non viene proprio menzionato.

Il decreto di fissazione dell'udienza rileva anche due macroscopiche contraddizioni presenti nelle indicazioni ministeriali sopramenzionate. Da un lato, a fronte dell'enfatizzazione, quale elemento escludente dalla procedura di emersione della sostanziale regolarità della presenza sul territorio nazionale, la circolare 19.6.2020 indica di ammettere alla procedura di regolarizzazione ex art. 103 c. 2 coloro il cui permesso è prorogato per tener conto delle misure di contenimento previste dalla normativa anti Covid, che sono stranieri sicuramente regolarmente soggiornati. Quindi si opera un'assurda e illegittima discriminazione tra stranieri regolarmente soggiornati perché in possesso di un permesso scaduto, ma prorogato e stranieri regolarmente soggiornanti, perché richiedenti asilo in attesa di conclusione della procedura, seppur titolari di un permesso scaduto. Dall'altro, anche rispetto ai richiedenti protezione internazionale, le circolari contengono indicazioni contraddittorie. Nel ricordato modello per la rinuncia alla procedura, contenuto nella circolare del 7/7/2020, si informa il richiedente che "qualora il Suo passaporto sia agli atti di questa Questura potrà chiederne la restituzione (ciò in seguito del ritiro della domanda di protezione internazionale)". Invece, nella circolare del 19/6/2020, nella parte intitolata "Fattispecie disciplinata dall'art. 103 comma 2", si prevede che "il richiedente sarà reso edotto delle condizioni necessarie per la definizione della procedura" e si specifica in particolare che "nelle ipotesi venga richiesta la restituzione del passaporto [...] lo straniero dovrà essere informato della sua facoltà di ottenere copia conforme del predetto documento". Questa indicazione sembra assumere, almeno in alcuni casi, la compatibilità tra le due procedure: essa infatti presuppone che, dato il proseguimento della procedura di protezione internazionale, la questura terrà il passaporto che il richiedente le ha consegnato al suo inizio, e perciò indica di informarlo che, per procedere alla emersione ex art. 103 c. 2, che richiede l'esibizione del passaporto, potrà ottenerne una copia conforme da presentare per la regolarizzazione.

Il testo dell'art. 103, c. 2, porta a sostenere la correttezza delle indicazioni date nella circolare del 19/6/2020 per quei casi in cui i richiedenti protezione internazionale, pur essendo regolarmente presenti sul territorio nazionale in forza del loro status, siano privi di un permesso di soggiorno valido (banalmente perché la questura non ha ancora proceduto al rinnovo o, come spesso accade, perché la questura si è rifiutata di rinnovare il titolo di soggiorno a seguito di rigetto della domanda di protezione da parte della Commissione Territoriale (2)) o siano in possesso di un permesso di soggiorno prorogato a causa dell'emergenza sanitaria COVID 19. Questi soggetti, infatti, non sembrano dover essere esclusi dalla procedura di emersione e necessitano della copia conforme del passaporto per intraprenderla.

Il decreto della presidente della Sezione specializzata è molto importante perché, oltre ad evidenziare queste incongruenze nelle indicazioni ministeriali, considera diretta emanazione del potere/dovere di cooperazione e integrazione del giudice assicurarsi che il richiedente protezione internazionale sia correttamente informato su tutti gli snodi della procedura. In altre parole, esso sottolinea che la previsione della rinuncia alla domanda di protezione internazionale per essere ammessi all'emersione ex art. 103 c. 2 va considerata a tutti gli effetti un elemento della procedura della protezione. Ricorda, infatti, che la cosiddetta Direttiva procedure (Direttiva 2013/32/UE), dopo aver affermato al considerando 22 che "i richiedenti dovrebbero ricevere già in primo grado, gratuitamente, informazioni giuridiche e procedurali, in funzione delle loro situazioni particolari", all'art. 12 lettera a) prescrive che il richiedente sia informato "delle conseguenze di un ritiro esplicito o implicito della domanda" e che tale informazione deve essere fornita "in tempo utile" (corsivi naturalmente miei).

Appare condivisibile l'idea che la nuova regolamentazione prevista dall'art. 103 c. 2 sia un "caso particolare" di "ritiro esplicito" della domanda, delle cui conseguenze, prima che esso diventi definitivo, è dovere del giudice assicurarsi che il richiedente asilo abbia piena e corretta informazione: ma perché questo avvenga tutti i dubbi esposti sulla contraddittorietà delle indicazioni del Ministero dell'Interno devono essere sciolti, perché solo quando questo è avvenuto il richiedente avrà una quadro chiaro sull'effettiva necessità di rinunciare alla domanda di protezione internazionale e sulla convenienza a farlo.

Appare pure convincente, alla luce delle disposizioni della Direttiva procedure citate nel provvedimento, considerare l'istanza della cessazione della materia del contendere come un atto che il richiedete deve fare in modo personale o quantomeno conferendo all'avvocato una procura speciale. Infatti, come sottolinea il decreto, il procedimento sulla domanda di protezione internazionale pur avendo natura dichiarativa ha un carattere sostanzialmente impugnatorio: la rinuncia viene quindi ad equivalere a una decisione di rigetto della domanda di protezione. Con la conseguenza che, se il richiedente decidesse di ripresentarla, banalmente, perché sono andate vane le sue speranze di trovare un lavoro, per cui, scaduti i sei mesi coperti dal permesso temporaneo, dovrebbe rientrare nel paese da cui è fuggito, la sua verrebbe configurata come una domanda reiterata. Secondo l'art. 2 lettera (b-bis) del D.Lgs. 25/2008, introdotto dal D.L. 113/2018, deve essere considerata "reiterata" "un'ulteriore domanda di protezione internazionale presentata dopo che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente, anche nel caso in cui il richiedente abbia esplicitamente ritirato la domanda ai sensi dell'articolo 23 e nel caso in cui la Commissione territoriale abbia adottato una decisione di estinzione del procedimento o di rigetto della domanda ai sensi dell'articolo 23-bis, comma 2". Con la conseguenza che la sua nuova domanda potrebbe essere considerata strumentale e quindi gli potrebbe essere impedito di rimanere in Italia fino alla decisione di merito (art. 7 c. 2) o addirittura essere considerata inammissibile perché presentata quando la procedura di allontanamento è già iniziata (art. 29 bis).

Per concludere, va sottolineato che il decreto attira l'attenzione sul fatto che la rinuncia alla domanda di protezione internazionale presentata in questura per accedere alla regolarizzazione mentre, come nel caso in esame, è pendente la fase giudiziale, si configura come un atto le cui conseguenze non sono regolate dalla legge. Come ricordato, infatti, la definizione di domanda reiterata presuppone che sia stata adottata una decisione "definitiva" sulla domanda precedente, cosa che, pendendo il procedimento giudiziale, nel caso in questione non è avvenuta. L'art. 23 D.Lgs. 25/2008 regola solo il caso in cui "il richiedente decida di ritirare la domanda prima dell'audizione presso la competente Commissione territoriale", stabilendo che "il ritiro è formalizzato per iscritto e comunicato alla Commissione territoriale che dichiara l'estinzione del procedimento". Ma anche questa disposizione non è applicabile al caso in questione, perché la richiesta di ritiro della questura è successiva all'audizione. Non è cosa di poco conto. Vale la pena citare per intero l'articolo 27, rubricato "Procedura in caso di ritiro della domanda", della Direttiva 2013/32/UE: "1. Nella misura in cui gli Stati membri prevedano la possibilità di un ritiro esplicito della domanda in virtù del diritto nazionale, ove il richiedente ritiri esplicitamente la domanda di protezione internazionale, gli Stati membri provvedono affinché l'autorità accertante prenda la decisione di sospendere l'esame ovvero di respingere la domanda. 2. Gli Stati membri possono altresì stabilire che l'autorità accertante può decidere di sospendere l'esame senza prendere una decisione. In tal caso, gli Stati membri dispongono che l'autorità accertante inserisca una nota nella pratica del richiedente asilo".

Sembra che, in mancanza di una esplicita previsione da parte degli Stati membri sul fatto che la rinuncia comporti il respingimento della domanda o abbia meramente effetti sospensivi, sia aperto lo spazio perché la decisione sugli effetti della rinuncia sia presa dall'autorità accertante, quindi dalla stessa Sezione specializzata.

Note

*. Presidente del comitato scientifico dell'Altro diritto ODV.

1. Il TAR afferma che "la circolare congiunta Ministero dell'Interno-Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 24 luglio 2020 prevede che l'istanza di emersione ex art. 103 D.L. n. 34/2020 può essere presentata anche dai cittadini extracomunitari autorizzati a permanere sul T.N. ai sensi del D.lgs. n. 25/2008 (dettando le modalità operative che gli uffici periferici debbono osservare al riguardo)".

2. Casi questi ultimi più volte condannati dai giudici nazionali, si veda ex multis: ordinanza del 23 dicembre 2019 del Tribunale di Roma.