ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo II
L'implementazione del sistema di accoglienza in Italia

Eleonora Ghizzi Gola, 2015

1. Uno sguardo a monte: il fenomeno delle migrazioni forzate

I dati divulgati dall'UNHCR alla fine del 2013 contano 51.2 milioni di persone sfollate nel mondo, costrette ad emigrare a causa di persecuzioni, conflitti, violenza generalizzata e violazioni dei diritti umani. Nel corso del 2013, una media di 32.000 persone al giorno ha dovuto abbandonare la propria terra per cercare protezione altrove. (1) L'onere dell'accoglienza di sfollati e rifugiati, contrariamente a quanto diffuso nell'opinione comune, ricade in misura nettamente superiore nei Paesi limitrofi a quelli di provenienza dei migranti forzati. Il Pakistan si mantiene da diversi anni in cima alla classifica dei Paesi ospitanti, avendo accolto sul proprio territorio nell'arco dello scorso anno 1.600.000 persone. Seguono, in ordine decrescente, l'Iran, il Libano, la Giordania e la Turchia. Dati alla mano, i cosiddetti Paesi in via di sviluppo ospitano l'86% del totale dei rifugiati del mondo. In termini assoluti, il numero delle persone costrette a fuggire da guerre e persecuzioni è in costante aumento, come mostrano anche i dati ad oggi disponibili relativi all'anno 2014. (2) Trattasi in particolare di persone in fuga dall'Afghanistan, che vanta il triste primato da più di trent'anni (3), dalla Siria, che si contende la prima posizione per l'anno in corso, non accennando a placarsi il conflitto che è stato definito dall'ONU la più grave catastrofe umanitaria quanto a esuli civili dopo la Seconda guerra mondiale, e dalla Somalia, martoriata da una brutale guerra civile da più di vent'anni: oltre a questi, che costituiscono la metà dei rifugiati nel mondo, seguono nell'ordine le persone costrette a lasciare il Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Myanmar, Iraq, Colombia, Vietnam ed Eritrea.

Alla luce di ciò, risulta quantomeno ingiustificabile definire il fenomeno delle migrazioni forzate un'emergenza, piuttosto che un fenomeno strutturale. Fintantoché i conflitti, spesso causati da subdoli giochi di potere a livello governativo e internazionale, continueranno a togliere la vita e la pace alla popolazione civile, la fuga non può che essere l'unica via per la sopravvivenza degli individui, costretti a lasciare alle proprie spalle la casa, la famiglia, i figli, il lavoro, le usanze. La loro vita.

Il viaggio di molti sfollati si arresta inevitabilmente nei Paesi confinanti, avvenendo la fuga nella maggior parte dei casi via terra, spesso a piedi. Emblematico l'esempio delle migliaia di cittadini afghani che si rifugiano nel vicino Pakistan o in Iran. È risaputo, tuttavia, che la vita dei rifugiati afghani in Iran sia tutt'altro che semplice: gli ostacoli per l'ottenimento di un titolo di soggiorno sono sempre più numerosi, vi è un latente razzismo da parte della popolazione iraniana nei confronti della popolazione afghana. È prassi diffusa da parte della polizia locale arrestare arbitrariamente cittadini afghani che saranno rilasciati solamente su cauzione da parte della famiglia, pena il rimpatrio in Afghanistan, dove troverebbero morte sicura. L'accesso ai servizi sanitari è pressoché inesistente, i padri di famiglia e i bambini costretti a lavorare nascosti, con ritmi di lavoro inumani, i minori non hanno accesso all'istruzione, salva l'esistenza di scuole clandestine cui vengono inviati prima di contribuire all'economia domestica. (4) Per questo motivo i più 'fortunati', i figli più grandi, in salute, dopo aver messo da parte il denaro sufficiente per affrontare un viaggio in preda ai trafficanti di uomini, ne fanno un Paese di transito e cercano di raggiungere l'Occidente: L'Europa, gli Stati Uniti, il Canada. (5)

Nel corso del 2013 il numero delle persone che hanno cercato asilo in Europa (nei 28 Stati membri dell'UE e in Islanda, Norvegia e Svizzera) ammonta a 469.085 unità, (6) il 30% in più rispetto al 2012. Nel 2014, il trend è in ulteriore crescita. Per la prima volta nel 2013 l'Italia entra nella classifica dei cinque Stati membri ospitanti il maggior numero di richiedenti asilo, con il 6% del totale delle domande di protezione presentate. Si avvicina così all'Inghilterra (7%), ma mantiene una notevole distanza dalla capolista Germania (29%), seguita da Francia (15%) e Svezia (12%). In termini assoluti, in Italia nel 2013 sono state presentate 27.930 domande di protezione internazionale. Nel secondo quarto del 2014 le domande hanno visto un incremento del 22% rispetto allo stesso periodo del 2013.

Si vedrà come l'Italia, nonostante, dati alla mano, il flusso, sia in termini assoluti sia in termini percentuali, non possa definirsi massiccio ed emergenziale, soprattutto in considerazione del fatto della prevedibilità degli arrivi in conseguenza dell'instabilità geopolitica a livello mondiale, dimostri di mostrarsi perennemente impreparata alla gestione dei richiedenti asilo, decretando sistematicamente l'attivazione di misure emergenziali inefficaci, poco garantiste e costose.

1.1. La prima accoglienza: la prassi dei diritti non rispettati

Al fine di individuare le criticità che interessano il sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e comprenderne le cause, è necessario volgere lo sguardo alla prima tappa del percorso volto al riconoscimento della protezione, che coincide, ad eccezione del caso del richiedente sur place, con l'ingesso nel territorio nazionale. Una parte consistente degli arrivi di richiedenti asilo in Italia avviene, come noto, via mare. Dei boat people che sopravvivono alle tragiche traversate che hanno fatto del Mar Mediterraneo un cimitero a cielo aperto, solo la metà restano in Italia, ove presentano la propria istanza di protezione internazionale. Altrettanti tentano di continuare il viaggio per raggiungere i Paesi del Nord Europa, ove aspirano a politiche di accoglienza migliori o di raggiungere familiari o conoscenti che ivi risiedono. Di questi, alcuni potranno vedere in toto realizzato il proprio obiettivo migratorio; altri, in forza del discusso Regolamento di Dublino, saranno rimandati nel Paese di primo ingresso nel caso in cui siano state loro rilevate le impronte digitali e/o abbiano già formalizzato una richiesta di asilo.

Il diritto alla protezione è intimamente legato al principio di non refoulement, sancito dalla stessa Convenzione di Ginevra del 1951 all'art. 33 e ripreso dalla normativa internazionale (7), europea e nazionale. In forza di tale principio, il potere discrezionale dei singoli Stati di controllare le proprie frontiere e di regolamentare gli ingressi per i cittadini dei Paesi terzi subisce una limitazione: l'accesso del richiedente protezione internazionale al territorio nazionale non deve incontrare limiti o preclusioni che possano inficiare il diritto ad accedere alla procedura di accertamento del diritto ad una forma di protezione. Pertanto, mentre il trattamento del migrante economico è sottoposto al potere discrezionale dello Stato che ha la facoltà di regolare la materia restringendo le maglie della normativa, riducendo il diritto all'ingresso e al soggiorno ad una concessione di natura amministrativa, altro deve essere il trattamento giuridico riservato al richiedente asilo. La linea di confine che separa la categoria delle migrazioni economiche da quella delle migrazioni forzate è molto più sfumata nella realtà dei fatti, ove si incrociano migranti politici, economici, volontari e forzati. (8) Questa distinzione è tuttavia netta sul piano normativo: il richiedente asilo è titolare di un diritto soggettivo a vedere esaminata la propria richiesta di protezione internazionale, non comprimibile discrezionalmente da parte dello Stato, in capo al quale sorge un obbligo di tutela e di accoglienza.

In particolare, il principio di non refoulement sancito dalla Convenzione di Ginevra, prevede che "nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche" (art. 33). L'ordinamento interno riprende tale principio nel Testo Unico sull'Immigrazione laddove vieta l'applicazione della disciplina del respingimento (da attuarsi nei confronti degli stranieri che si presentino ai varchi di frontiera privi dei requisiti per l'ingresso nel territorio) "nei casi previsti dalle disposizioni che disciplinano l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero per l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari" (art. 10 co. 4 TUI). Riprendendo letteralmente il testo della Convenzione di Ginevra, l'art. 19 co. 1, conferma il principio secondo cui è vietato disporre l'espulsione o il respingimento "verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione".

Il principio di non respingimento si applica pertanto sia ai richiedenti asilo sia ai titolari di protezione, indistintamente dalla presenza sul territorio ovvero dalla modalità di ingresso regolare o meno. Soprattutto, esso trova applicazione anche con riguardo alle attività poste in essere al di fuori del territorio dello Stato, nelle acque internazionali: la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha precisato che la speciale natura dell'ambiente marittimo non può giustificare un area franca dove gli individui non siano coperti da alcun sistema legale che assicuri loro il rispetto dei diritti e delle garanzie sancite dalla Convenzione. Tale assunto è contenuto nella nota sentenza Hirsi Jamaa and Others v. Italy del 23 febbraio 2012 con la quale l'Italia è stata condannata dalla Corte EDU per aver respinto 11 cittadini somali e 13 eritrei che erano parte di un gruppo di 200 migranti che avevano lasciato la Libia con lo scopo di raggiungere le coste italiane, in assenza di una procedura di identificazione e di esame della posizione delle persone, forzosamente consegnate alle autorità libiche. L'Italia ha violato l'art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (divieto di trattamenti inumani e degradanti), l'art. 4 del Protocollo n. 4 (divieto di espulsioni collettive) e l'art. 13 CEDU, non essendosi predisposto un rimedio al fine di esaminare i reclami dei migranti. (9) La sentenza condanna duramente la politica italiana di contrasto all'immigrazione irregolare, con riferimento nel caso di specie all'accordo bilaterale siglato con la Libia, accordo "di amicizia, di partenariato e cooperazione". (10)

A prescindere dalla regolarità dell'ingresso, quindi, al cittadino straniero proveniente da un Paese terzo deve essere riconosciuta la possibilità di avanzare richiesta di protezione internazionale e deve essere altresì assicurato che tale richiesta venga esaminata dalle competenti autorità. Il richiedente è tale qualora esprima, in qualsiasi modo, il timore di soffrire un grave danno: la richiesta non deve necessariamente essere avanzata in alcuna particolare forma, non è necessario che sia pronunciata la parola 'asilo', essendo sufficiente che la persona esprima il rischio cui incorre in caso di rimpatrio. (11) La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 26253 del 27 ottobre 2009, si è pronunciata per la prima volta sulla questione, affermando che lo straniero giunto clandestinamente e trattenuto per accertamenti all'aeroporto, ha il diritto di presentare contestualmente istanza di protezione internazionale e di permanere nello Stato fino alla definizione della procedura medesima. Trattasi di diritto soggettivo cui corrisponde il dovere dell'Amministrazione di riceverla, inoltrandola al Questore per l'assunzione delle determinazioni di sua competenza, astenendosi da alcuna forma di respingimento o misura di espulsione. La Corte rinvia espressamente ai D.L.vo n. 251/07 nella parte in cui esclude la necessità di alcuna formalità nella proposizione dell'istanza o di alcun obbligo di allegazione di documentazione a sostegno. Modalità confermata dall'art. 26 co. 1 del Decreto Procedure, laddove viene specificato che "nel caso di presentazione della domanda all'ufficio di frontiera, è disposto l'invio del richiedente presso la questura competente per territorio", escludendo la sottoposizione della stessa ad alcun vaglio o valutazione di ammissibilità.

Nonostante le condanne subite sul fronte interno e sovranazionale, alcune prassi risultano ancora illegittime. (12) In particolare, sono state denunciati casi di rimpatrio forzato di migranti di nazionalità egiziana e tunisina in forza di accordi di riammissione bilaterali, senza aver avuto la necessaria assistenza e le informazioni di base. Si registrano, inoltre, casi di richiedenti asilo giunti irregolarmente sulle coste adriatiche, che vengono rinviati in Grecia senza una adeguata disamina dei loro eventuali bisogni di protezione. (13) Non è da nascondere la difficoltà di ordine oggettivo che devono affrontare le autorità italiana nella gestione degli arrivi che si concentrano nelle coste meridionali della penisola, in particolare nell'isola di Lampedusa, in situazioni emergenziali. Deve pertanto riconoscersi l'impegno e il dispiegamento di forze messe in campo, in particolare con l'operazione Mare Nostrum, da poco conclusa, che ha soccorso migliaia di persone in condizione di pericolo in mare. Ciò nonostante, restano alcune lacune normative e la prassi rivela preoccupanti deficienze. (14)

1.2. La presentazione della domanda e il diritto di informativa

Quanto all'accesso alla procedura, le difficoltà non sussistono solamente in conseguenza delle condizioni di emergenza in cui spesso si realizza l'arrivo in Italia attraverso le frontiere marittime, che richiede una concentrazione maggiore delle risorse nelle attività di primo soccorso. Da apprezzare, a questo riguardo, la realizzazione di un progetto volto al rafforzamento delle capacità di accoglienza e dei servizi per coloro che arrivano attraverso le frontiere marittime: il Progetto Praesidium. (15) Il progetto rappresenta un'esperienza positiva, ha consentito di intercettare all'interno dei flussi misti in arrivo via mare, migliaia di richiedenti asilo proprio nella fase più delicata, che precede l'accesso alla procedura e nella fase immediatamente successiva, di avvio alle idonee strutture di accoglienza. (16) Invece ai valichi di frontiera aeroportuali, ove sono stati istituiti servizi di accoglienza e informazione, il numero delle domande presentate risulta assai contenuto. Ciò può essere letto sia in considerazione del fatto che lo straniero preferisca chiedere asilo dopo aver fatto ingresso nel territorio (per paura delle autorità ad esempio), ma anche per una carenza di informazioni adeguate sulla possibilità di accedere, in frontiera, alla procedura nonché la predisposizione di un servizio adeguato, che veda la presenza di personale di supporto ed interpreti. (17) Sono state denunciate gravi violazioni, infine, anche da parte degli stranieri trattenuti nei CIE, a causa della mancanza di informazioni e di assistenza legale, nonché di ostacoli di natura burocratica. (18) Il ritardo, in questi casi, può avere conseguenze rilevanti laddove espone i richiedenti asilo al rischio di essere rimpatriati prima che la loro domanda di protezione venga esaminata.

L'aspetto del diritto all'informativa è fondamentale al fine di garantire l'accesso alla procedura e, di conseguenza, all'accoglienza. La nuova Direttiva Procedure sottolinea l'importanza di questo aspetto, auspicando che "i pubblici ufficiali incaricati della sorveglianza delle frontiere esterne [...] ricevano le pertinenti informazioni e la formazione necessaria per riconoscere e trattare le domande di protezione internazionale. Essi dovrebbero essere in grado di dare ai cittadini di paesi terzi o agli apolidi che manifestano l'intenzione di presentare una domanda di protezione le pertinenti informazioni sulle modalità e sulle sedi per presentare l'istanza". (19) L'informativa legale rappresenta una delle precondizioni per individuare i bisogni di protezione internazionale dei migranti, al fine di disporre il trasferimento di coloro che intendono presentare domanda di asilo nei Centri di Accoglienza ad essi dedicati ove potranno avere accesso alla relativa procedura. Il trasferimento dei migranti viene organizzato, in stretto raccordo con la Prefettura territorialmente competente, dalle autorità di polizia o dall'ente gestore della struttura. (20) Si è visto come, nelle Regioni in cui è operativo il progetto Praesidium (Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna), tale passaggio sia facilitato dalla presenza delle Associazioni coinvolte nel progetto all'interno dei Centri per migranti (siano essi Centri di Primo Soccorso e Accoglienza, Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo o Centri di Identificazione ed Espulsione). Il progetto Praesidium, tuttavia, limita la sua attività ad alcune località, più coinvolte nella gestione dei flussi migratori via mare, con un'attenzione particolare all'isola di Lampedusa. Nelle aree in cui non siano presenti gli operatori delle predette associazioni, che offrono un servizio di assistenza legale alla presenza di mediatori culturali, spesso le Autorità presenti alle attività di salvataggio non rispettano il diritto di informativa: il diritto a presentare domanda d'asilo non sempre viene garantito.

La presentazione della domanda di protezione consente allo straniero di avere accesso ai diritti di cui devono poter godere coloro che rivestono lo status di 'richiedenti asilo', in primis il diritto all'ingresso e alla permanenza sul territorio per tutto il tempo dell'espletamento della procedura. Si è visto inoltre come, a mente dell'art. 5 co. 4 del D.L.vo n. 140/05, l'accesso alle misure di accoglienza sia subordinato alla condizione che il richiedente abbia presentato la domanda di asilo entro il termine di 8 giorni dall'ingresso nel territorio nazionale, all'ufficio di polizia di frontiera, ovvero presso la questura del luogo di domicilio. Una grave criticità è data dal fatto che, nella prassi, viene sistematicamente disatteso il termine previsto dalla normativa di riferimento che dovrebbe intercorrere tra la manifestazione dell'intenzione di chiedere il riconoscimento della protezione internazionale e la registrazione della domanda di asilo presso la Questura competente: da 21 giorni, si può arrivare fino a 12 mesi di attesa! Tali ritardi, non imputabili all'interessato, bensì derivanti da carenze organizzative da parte degli uffici competenti, determinano gravi conseguenze sul fronte del diritto all'accoglienza.

Il sistema così implementato, non garantendo in modo generalizzato un accesso rapido alla procedura d'asilo, desta dubbi di compatibilità con la Direttiva procedure, laddove assurge a principio fondamentale la garanzia di un "accesso effettivo alle procedure". (21) La discrezionalità lasciata agli Stati membri quanto all'organizzazione delle modalità di registrazione delle domande, non fa salvo il raggiungimento dell'obiettivo posto. La prassi si pone altresì in contrasto con l'art. 6 della Direttiva accoglienza che stabilisce il termine di 3 giorni dalla presentazione della domanda per il rilascio della certificazione che attesti che il richiedente è autorizzato a permanere sul territorio, nonché abbia accesso alle condizioni materiali di accoglienza. Nella realtà dei fatti, la situazione è eterogenea e sono riscontrabili apprezzabili differenze a livello territoriale in funzione di un dato che dovrebbe essere irrilevante, in quanto spesso dettato dalla casualità: il luogo di dimora del richiedente. In media si protrae per 3-4 mesi quella situazione di limbo giuridico che si viene creare nelle more della verbalizzazione della domanda di asilo, in cui il richiedente, già sottoposto a foto segnalamento, è munito solamente di un invito a presentarsi in una data successiva per l'espletamento della procedura. (22) A ciò si aggiunga l'ulteriore ostacolo posto da alcune Questure che richiedono la produzione di una dichiarazione di ospitalità da parte dell'istante al fine di verbalizzare la domanda. Tale prassi è del tutto illegittima: il richiedente non deve essere gravato da tale onere, né dovrebbe essere coinvolto nel procedimento il terzo che fornisce ospitalità. In ogni caso, l'assenza di mezzi di sostentamento, tra cui di un alloggio, non può assurgere a condizione ostativa, essendo anzi presupposto per richiedere l'accesso alle misure di accoglienza. (23)

Il mancato rispetto delle garanzie procedurali contenute nella normativa sopra descritte contiene in nuce le cause delle gravi lacune che caratterizzano il sistema di accoglienza implementato in Italia. Le carenze sistemiche, riconducibili a carenze sul piano organizzativo, determinano una serie di conseguenze a catena non risolvibili ex post.

2. L'articolazione del sistema di accoglienza

La complessa tematica del sistema dei centri di accoglienza verrà affrontata tentando di ricostruire in modo approfondito quello che è stato limpidamente definito il "guazzabuglio" (24) dell'accoglienza all'italiana. Le varie tipologie dei centri si differenziano per la natura dell'ente gestore (istituzionale o del privato sociale), per il livello di accoglienza (primo o secondo), per l'approccio (assistenzialista o progettuale), per il livello territoriale (nazionale o locale), per le caratteristiche strutturali (centri collettivi o appartamenti singoli). (25) Operando una macro-suddivisione, è possibile individuare un doppio binario dell'accoglienza: da un lato si collocano i grandi centri governativi (CARA - Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo e CPSA - Centri di Primo Soccorso e Accoglienza), dall'altro i progetti territoriali SPRAR (Servizio di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). Le differenze di accoglienza che si registrano, in termini di accesso ai servizi e standard minimi di tutela, sono sostanziali. Un'ulteriore ramificazione del sistema è dovuta al ricorso periodico e sempre più frequente all'emergenza, a fronte della quale la scelta delle autorità italiane è stata quella di attivare risorse speciali per la realizzazione di un percorso parallelo di accoglienza, anziché un rafforzamento di quello ordinario, che rimane nettamente sottostimato rispetto alle esigenze.

L'invio del richiedente in un CARA o in trattenimento in un CIE è determinato, come visto ai sensi della normativa vigente, dalla riconducibilità della sua situazione ai casi di cui all'artt. 20 e 21 del D.L.vo n. 25/08. Negli altri casi, la procedura di accoglienza prende avvio a seguito della presentazione della domanda di asilo ad opera della Prefettura, contattata dalla Questura laddove il richiedente manifesti la necessità di un inserimento nel sistema di accoglienza in quanto privo di mezzi sufficienti di sussistenza, che si attiverà al fine di individuare una sistemazione nello SPRAR. Laddove in questo non vi sia disponibilità, il richiedente potrà essere inviato a sua volta in un CARA.

Come anticipato, l'accoglienza nella maggior parte dei casi non avviene nel momento cruciale dell'avanzamento dell'istanza di protezione, bensì a seguito delle verbalizzazione della domanda attraverso il modello C3 presso la Questura. Nelle more, molte persone si ritrovano prive di ogni forma di supporto e vivono in condizioni di estrema marginalità, specialmente nelle zone metropolitane. Ciò si palesa in forma ancora più grave laddove il richiedente versi in una situazione di vulnerabilità non accertata, venendo così privato delle garanzie ulteriori che la normativa riconoscerebbe.

Il sistema dei centri è articolato ed eterogeneo. La normativa che regola le diverse tipologie di centro è frammentaria, da ricomporsi attraverso l'analisi in una serie di leggi e decreti. Attualmente sono attive le seguenti strutture: 4 Centri di primo soccorso ed accoglienza (CPSA) siti a Lampedusa, Elmas (Cagliari), Otranto e Pozzallo, dove gli stranieri vengono accolti, ricevono le prime cure mediche, vengono foto-segnalati e viene accertata l'eventuale intenzione di chiedere protezione internazionale; 10 Centri di accoglienza (CDA) e Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA), ove dovrebbero trovarsi solamente i richiedenti privi di documenti ovvero che si sono sottratti ai controlli di frontiera, per un tempo massimo di 35 giorni; il sistema SPRAR, ove la tipologia dell'alloggio varia in funzione di quanto offerto dal singolo progetto territoriale; altre forme di accoglienza, tra cui si segnalano i Centri Polifunzionali, istituiti dal Ministero dell'Interno di concerto con i Comuni delle aree metropolitane, e i progetti territoriali finanziati nell'ambito del Fondo Europeo per i Rifugiati che prevedono l'attivazione di strutture.

Cartina CARA

Fonte: Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione - Direzione Centrale Servizi civili per l'Immigrazione e l'Asilo. Centri governativi per richiedenti asilo (CARA-CPSA-CDA), 31.10.14.

2.1. I Centri di Primo Soccorso e Accoglienza (CPSA)

I Centri di Primo Soccorso e Accoglienza sono strutture localizzate in prossimità dei luoghi di sbarco e destinate all'accoglienza dei cittadini di Paesi terzi per garantire il primo soccorso ed espletare le pratiche di identificazione e prima accoglienza. La permanenza dei richiedenti asilo all'interno del centro dovrebbe limitarsi al tempo strettamente occorrente al loro trasferimento presso altri centri (indicativamente 24/48 ore). Quanto alla natura giuridica dei CPSA, "più che di una carenza normativa si dovrebbe parlare di una autentica vacatio legis: [...] dette strutture non paiono sorrette da alcuna disposizione normativa che disciplini le fattispecie e le modalità di accoglienza o di permanenza di fatto obbligata degli stranieri". (26) Secondo quanto reso noto dal Ministero dell'Interno, solo i centri di Lampedusa e di Cagliari sono stati istituiti con decreto ministeriale: il primo in data 16.02.2006, il secondo il 17.09.2007. Degli altri due non è dato sapere nulla di più rispetto alla loro formale istituzione.

Al di là della definizione di tali centri come sopra riportata, la natura giuridica di essi non risulta chiara, non essendo sorretti da alcuna disposizione normativa. Le modalità e la durata dell'accoglienza, infatti, non risultano disciplinate a livello normativo, ciò venendo a costituire una grave lacuna laddove, come frequentemente accade nella prassi, la permanenza di fatto obbligata degli stranieri presso il centro si protrae per diversi giorni in assenza di alcun vaglio giurisdizionale, imposto dal dettato costituzionale (art. 13 co. 3). (27) Diversi rapporti dimostrano che, in modo particolare nei periodi in cui vi è maggiore concentrazione degli arrivi, il trattenimento degli stranieri presso tali centri duri tra i 15 e i 60 giorni. La media di permanenza è calcolata tra i 20 e i 30 giorni.

Tale lacuna normativa, colmata attraverso un generico richiamo alla L. 563/1995 cd. "Legge Puglia" che per prima dispose l'istituzione di tre centri di accoglienza lungo le coste della medesima regione per fronteggiare i crescenti sbarchi, si ripercuote inevitabilmente sul piano pratico relativo alle condizioni materiali di accoglienza. La fonte da cui desumere la tipologia di servizi garantiti nell'ambito dei CPSA è l'Allegato 1A allo Schema unico di Capitolato di appalto per la gestione dei centri di accoglienza per immigrati approvato con un d.m. del 21.11.2008, recante le Specifiche tecniche integrative del Capitolato, relative all'appalto di servizi e forniture per la gestione dei Centri di Primo Soccorso e Accoglienza. L'ente gestore deve garantire che la struttura sia pronta al funzionamento in caso di "improvvisi sbarchi di immigrati", prevedendo la costituzione di un presidio sanitario fisso al fine di garantire il primo soccorso, nonché un servizio di gestione amministrativa che permetta di registrare gli ospiti, un servizio di mediazione linguistica/culturale e un servizio di informazione sulla normativa concernente i diritti e i doveri e la condizione dello straniero. La struttura dovrà inoltre attrezzarsi per quanto concerne i servizi di pulizia, mensa, vestiario e fornitura di beni di prima necessità.

La mala gestione che ha interessato (e persistente allo stato attuale) i CPSA è stata denunciata su più fronti. In primis, un dato oggettivo: le strutture, in particolare quella di Lampedusa, sono costantemente in uno stato di sovraffollamento. L'ONG Save the Children, operante nell'ambito del Progetto Preaesidium, ha più volte denunciato la situazione di "assoluta inadeguatezza delle condizioni di accoglienza dei migranti" all'interno del CPSA di Lampedusa (28) a causa del sovraffollamento, particolarmente grave per i minori non accompagnati e per le donne con bambini: i posti letto, i servizi igienici e la forniture di prima necessità non sono garantite per tutti gli 'ospiti'. (29) Ciò determina il venirsi a creare di situazioni che si pongono in contrasto con i fondamentali diritti della persona. (30) Quanto al diritto di informativa, risulta che i migranti non ricevano informazioni congrue, né in merito alla durata del trattenimento, né con riferimento ai propri diritti di difesa. Gravi carenze sono inoltre state registrate sul fronte dell'erogazione dei servizi di prima assistenza, concernenti cibo e vestiario.

Riportando l'attenzione sulla richiesta di protezione internazionale, in sede di trattenimento presso un CPSA si espletano le pratiche unicamente di identificazione e contestuale rilevamento delle impronte digitali. Lo straniero che manifesti la volontà di richiedere asilo spesso non viene ammesso alla procedura per il riconoscimento, salvo un intervento da parte di ONG o avvocati presenti all'interno del centro in virtù del Progetto Praesidium. (31) Segue l'invio ad un Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo per attivare la procedura di riconoscimento della protezione internazionale. Il tema del rilevamento delle impronte apre un importate capitolo, che verrà sviluppato ampiamente laddove si analizzerà il fenomeno dei cosiddetti "Dublinati", ovvero dei richiedenti asilo rinviati nel Paese competente ad esaminare la loro domanda in forza del Regolamento di Dublino. In proposito si segnala come molti richiedenti, in particolare di nazionalità siriana, ma anche somali ed eritrei, si rifiutino di essere sottoposti al fingerprinting e tentino di fuggire dai Centri di prima accoglienza. (32)

Analizzando brevemente la normativa in tema di foto segnalamento, la disciplina italiana introduce un obbligo di fotosegnalamento dello straniero che avanzi una richiesta di asilo ovvero che sia stato fermato a seguito dell'attraversamento irregolare delle frontiere. Le disposizioni in materia sono dettate dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza Direzione Centrale dell'Immigrazione e della Polizia delle Frontiere, cui è affidato il compito di acquisire le informazioni connesse all'attività di vigilanza e contrasto dell'immigrazione via mare. A livello europeo la disciplina è contenuta del Regolamento EURODAC, che costituisce parte integrante del Sistema Dublino, ai sensi del quale "ciascuno Stato membro procede tempestivamente al rilevamento delle impronte digitali di tutte le dita di ogni richiedente asilo di età non inferiore a 14 anni". (33) Il Regolamento, pertanto, non stabilisce un termine perentorio entro il quale effettuare il rilevamento delle impronte, limitandosi a prevedere che "la procedura di tale rilevamento è stabilita in conformità delle prassi nazionali dello Stato membro interessato". La disciplina interna in materia di fotosegnalamento è contenuta nell'art. 5 comma 2 bis del Testo Unico sull'Immigrazione, in base al quale lo straniero che richiede il permesso di soggiorno è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici, e nell'art. 6 comma 4 TUI, a mente del quale "qualora vi sia motivo di dubitare della identità personale dello straniero, questi è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici". L'unico termine previsto dal Regolamento vigente è quello relativo alla trasmissione dei dati da parte degli Stati Membri ed è fissato in 72 ore dal rilevamento delle impronte. (34)

È all'ordine del giorno la questione relativa alla possibilità dell'uso della forza da parte delle Autorità di Polizia nei confronti dei migranti che tentano di opporsi al procedimento di identificazione. La questione è delicata poiché, da un lato, "la tutela della sicurezza nazionale e dell'ordine pubblico giustifica l'adozione di misure coercitive verso chi opponga resistenza al fotosegnalamento, [...] tuttavia un limite invalicabile al potere di coazione fisica da parte dello Stato è rappresentato dalla tutela della libertà personale del privato, tutelata dall'art. 13 della Costituzione come valore universale". (35)

2.2. I Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA)

Secondo quanto disposto dal dettato normativo precedentemente oggetto di analisi, l'invio del richiedente presso un CARA dovrebbe avvenire in presenza delle tassative ipotesi enumerate all'art. 20 del D.L.vo n. 25/08. La breve durata dell'accoglienza, stabilita in un massimo di 20/35 giorni, deve consentire di espletare gli adempimenti ivi previsti (verificare o determinare la nazionalità del richiedente) e comunque non deve protrarsi oltre il tempo strettamente necessario per l'esame della domanda innanzi alla Commissione Territoriale, termine individuato, dal combinato disposto dell'art. 27 co. 1, nella misura di 30 giorni dal ricevimento della stessa. Vedremo come nella prassi nessuna delle predette condizioni venga rispettata.

I CARA rientrano nel circuito dell'accoglienza di primo livello di natura istituzionale. Essi costituiscono un'evoluzione dei vecchi Centri di Identificazione che erano stati previsti dalla L. 189/02, con la differenza che nei nuovi centri non può parlarsi di trattenimento, ma di 'accoglienza'. (36) I primi CARA sono stati istituiti nel 2008 al fine di dare attuazione a quanto disposto dal Decreto Procedure. (37) Allo stato attuale i CARA sono 10, alcuni dei quali svolgono anche la funzione di Centri di Accoglienza (CDA), commistione che rende difficile conoscere con chiarezza l'effettiva disponibilità di posti riservati ai richiedenti asilo. La ratio che sottende l'implementazione del sistema dei CARA è da rinvenirsi nella finalità alla quale gli stessi sono preposti, ovvero una rapida accoglienza in cui vengano soddisfatte le esigenze basilari nelle more dell'espletamento delle procedure di identificazione e dell'esame della domanda di protezione internazionale: la scelta degli spazi e dei servizi di cui dotarli veniva effettuata partendo dal presupposto secondo il quale essi avrebbero dovuto garantire una prima accoglienza per un elevato numero di richiedenti a seguito degli sbarchi, cui garantire i servizi di base necessari e un orientamento legale. (38)

La commistione tra ingresso per presentare domanda di protezione internazionale e ingresso irregolare, nonché problemi a livello documentale, hanno reso non infrequente il passaggio in tali centri da parte dei richiedenti. (39) Tuttavia, non dovrebbe farsi rientrare nelle ipotesi di cui all'art. 20 D. L.vo 25/08, il caso del richiedente in possesso di documenti che permettano comunque di accertarne l'identità; la fattispecie non dovrebbe configurarsi inoltre laddove lo straniero dichiari tempestivamente di avere utilizzato documenti falsi per raggiungere l'Italia al fine di poter effettuare la fuga dalla situazione di persecuzione: la norma trova applicazione solo nell'ipotesi in cui lo straniero utilizzi detti documenti per occultare la propria identità anche a seguito dell'ingresso sul territorio nazionale. (40)

Lo standard dei servizi materiali di accoglienza da garantire è contenuto nello specifico Capitolato relativo all'appalto di servizi e forniture per la gestione dei CARA. I centri possono essere gestiti da entità di diritto pubblico ovvero da enti di diritto privato specializzati nell'assistenza di richiedenti asilo, sulla scorta di convenzioni di durata triennale. (41) Diversamente da quanto previsto per i CPSA, l'ente gestore è tenuto a fornire un'assistenza molto più articolata alle persone ivi ospitate. All'interno dei servizi di assistenza alla persona, in aggiunta all'implementazione di un servizio di mediazione linguistica/culturale e di informativa dei diritti e doveri del richiedente, è prevista dal capitolato per la gestione dei CARA l'attivazione di un servizio di sostegno socio-psicologico, con un'attenzione particolare alle persone appartenenti alle categorie vulnerabili, l'organizzazione di attività ludico-ricreative, l'insegnamento della lingua italiana, l'orientamento al territorio e informazioni sulle possibilità di inserimento nello SPRAR. Deve essere rispettato il diritto all'unità familiare del richiedente, in particolare i figli non devono essere separati dai genitori. Sul fronte dell'assistenza sanitaria, deve essere garantito l'accesso alle cure nonché la somministrazione di farmaci. Ciascun richiedente viene dotato di un kit contenente vestiario e materiale per la prima accoglienza. Nel corso della sua permanenza del centro, riceverà un pocket money del valore di 2,50/giorno.

Lo straniero ospitato in un CARA riceve un opuscolo informativo e un attestato nominativo certificante il suo status di richiedente asilo, che si convertirà in un permesso di soggiorno nel momento della fuoriuscita dal centro, valido per 3 mesi e rinnovabile fino alla decisione sulla domanda (art. 20 c. 3 D. L.vo 25/08). Scaduto il breve termine di permanenza nel CARA, lo straniero dovrebbe essere inviato in un progetto territoriale dello SPRAR ovvero, in assenza di posti disponibili, l'accoglienza può proseguire all'interno del centro. In caso di mancanza di disponibilità anche nell'ambito del sistema dei CARA, la Prefettura dovrebbe garantire un supporto economico nelle more del reperimento di un posto (art. 7 co. 6 D.L.vo 140/05). Nella prassi ciò non accade: la Prefettura prolunga l'accoglienza all'interno dei CARA anche in assenza di disponibilità, superando la capienza massima e venendo a creare complicate situazioni di sovraffollamento nonché affidando ai CARA, centri di per sé di grandi dimensioni che non possono garantire la messa in atto di percorsi individualizzati, accanto al ruolo ordinario di strutture di accoglienza di breve termine volte all'espletamento di determinate procedure, anche il ruolo straordinario di strutture chiamate ad integrare le carenze dello SPRAR (42), con standard di accoglienza nettamente inferiori.

Il tema del sovraffollamento è rilevante e gravido di conseguenze sul fronte delle condizioni materiali di accoglienza. La capienza massima nell'anno 2014 dei 10 CARA è di 7.810 posti, a fronte di 10.331 persone accolte. (43) I centri con il maggiore differenziale tra presenze e capienza teorica sono nell'ordine quelli di Bari Palese (1.002 presenze in più), Crotone (800) e Mineo (792). Un'altra criticità è rinvenibile nella collocazione geografica di tali centri: da un punto di vista logistico, essi sono situati ai margini delle aree abitate, in zone remote, con un difficile accesso ai mezzi di trasporto pubblico. I centri, inoltre, si sono sviluppati all'interno di strutture prima destinate ad altre funzioni, attrezzati sommariamente per poter ricevere un target così delicato di utenti. Quanto al mancato rispetto delle tempistiche stabilite ex lege, con rilevanti discrasie tra norma e prassi, si stima un periodo medio di permanenza nelle strutture tra gli 8-10 mesi. Questo aspetto costituisce il cuore della problematica e non può trovare una soluzione se non attraverso una riforma strutturale che investa l'intero sistema asilo. Si è visto come la normativa prevede che alcune domande di protezione internazionale vengano esaminate in via prioritaria: tra queste rientra quella proposta da un richiedente accolto in una CARA (fatto salvo il caso in cui l'accoglienza sia disposta per verificare o accertare l'identità del richiedente). Nella pratica l'esame prioritario è riservato ai richiedenti trattenuti nei CIE e, talvolta, ai soggetti riportanti manifeste vulnerabilità. L'allungamento dei tempi di accoglienza, pertanto, è determinato, da un lato, dal mancato rispetto dei termini previsti ex lege per la procedura di riconoscimento della protezione internazionale, sia pure essa non prioritaria, a sua volta dovuto all'esiguo numero di Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, non adeguato a fronte delle domande di asilo pendenti. Dall'altro l'esiguità, rispetto al numero di domande di asilo presentate, dei posti in accoglienza ordinaria all'interno dello SPRAR, che permetterebbe ai CARA di espletare unicamente le pratiche di identificazione con un maggiore turnover in uscita dai centri.

Gli standard di accoglienza per i richiedenti asilo, come riconosciuto dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani (44), si sono progressivamente deteriorati, con un aggravamento a partire dal 2012. Già prima del 2011 la capacità ricettiva del sistema di accoglienza era stata giudicata insufficiente; a seguito dell'incremento del flusso migratorio nel periodo della Primavera araba, il sistema non ha saputo fornire una risposta adeguata. Per quanto riguarda i CARA, si registra una situazione di sovraffollamento costante, un accesso limitato ai servizi di assistenza, supporto legale e di inserimento sociale, inadeguatezza dell'ubicazione delle strutture. Si registrano inoltre rilevanti differenze nel livello dei servizi in funzione dell'ente gestore del centro. (45) Gli standard di accoglienza nei centri governativi, inoltre, sono scesi anche a causa dei significativi tagli ai finanziamenti che hanno contributo a far sì che i contratti per la fornitura dei servizi vengano assegnati esclusivamente secondo il criterio dell'offerta più bassa, senza tenere in debita considerazione gli aspetti qualitativi. (46)

2.3. Lo SPRAR - Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati

Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati costituisce il perno del sistema di accoglienza implementato in Italia. Esso rappresenta un virtuoso modello di accoglienza integrata a livello locale che permette di fornire un supporto inclusivo al richiedente o titolare di protezione internazionale. L'accoglienza all'interno della rete SPRAR si configura come accoglienza di secondo livello, volta primariamente all'integrazione socio-economica dei soggetti ivi inseriti.

2.3.1. Origini ed evoluzione del sistema

Lo SPRAR raccoglie l'eredità delle precedenti esperienze di accoglienza dei richiedenti asilo, in particolare il progetto Azione Comune e il Programma Nazionale Asilo (PNA), nati a livello locale. Il Sistema di protezione è stato istituito dalla L. 189/02 e consta di una rete strutturale di enti locali che realizzano progetti di accoglienza integrata destinati a richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria. Gli attori coinvolti appartengono sia alla dimensione pubblica (Ministero dell'Interno, ANCI, Enti locali) sia al mondo del privato sociale (associazioni, ONG, cooperative), in veste di enti gestori dei progetti locali. Lo SPRAR è finanziato dal Fondo Nazionale per le Politiche dell'Asilo (Fnpsa), introdotto dall'art. 1 sexies del D.L. n. 416/89 e istituito presso il Ministero dell'Interno, ove confluiscono anche gli stanziamenti annualmente assegnati all'Italia nell'ambito del Fondo Europeo per i Rifugiati. Il Dipartimento competente all'indirizzo del sistema di accoglienza è il Dipartimento per le Libertà Civili e l'Immigrazione del Ministero dell'Interno, che, in materia di asilo, si occupa altresì delle attività connesse all'applicazione del Regolamento di Dublino e fornisce supporto organizzativo e logistico alle Commissioni Territoriali per il riconoscimento della Protezione Internazionale ed alla Commissione Nazionale per il diritto di asilo, preposta all'indirizzo ed al coordinamento delle Commissioni Territoriali nonché alla formazione ed aggiornamento dei suoi componenti.

L'accesso al fondo è regolamentato da un decreto del Ministero dell'Interno con il quale viene emanato il bando per la presentazione di proposte progettuali cui possono partecipare, in modo volontario, (47) gli enti locali, anche eventualmente associati. Sarà lo stesso ente ad impegnarsi ad avvalersi di uno o più enti attuatori che vantino una significativa esperienza nella presa in carico di richiedenti e titolari di protezione internazionale. I servizi di accoglienza devono essere garantiti per un numero di persone minimo, da calcolarsi in funzione della popolazione dei Comuni in cui sono fisicamente presenti le strutture di accoglienza.

I progetti SPRAR hanno pertanto una valenza territoriale e sono attuati a livello locale, coinvolgendo numerosi attori, ciascuno con le proprie competenze e specificità. Al fine di coordinare gli interventi di accoglienza, il Ministero dell'Interno ha istituito il Servizio Centrale, affidato con apposita convenzione ad ANCI, in particolare alla Fondazione Cittalia quale supporto operativo, con sede in Roma. Il Servizio Centrale riveste un ruolo di coordinamento e di monitoraggio dei progetti realizzati a livello territoriale, fornisce assistenza tecnica nella predisposizione dei servizi di accoglienza e supporto ai servizi di informazione e orientamento attuati anche presso i centri governativi per richiedenti asilo; realizza un monitoraggio della presenza dei richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale attraverso la gestione di una banca dati che realizza un censimento di tali soggetti nonché degli interventi e dei supporti di cui hanno beneficiato da parte del progetto. (48) Il Servizio Centrale inoltre è incaricato della formazione e dell'aggiornamento degli operatori impiegati nei diversi progetti territoriali e realizza monitoraggi periodici e mirati in loco al fine di individuare i punti di forza e le criticità, a partire dalle osservazioni degli stessi operatori ma soprattutto dei cosiddetti "beneficiari finali" del progetto, i richiedenti e i titolari di protezione internazionale. Esso rappresenta il punto di raccordo tra il livello operativo locale ed il Ministero dell'Interno, che svolge le funzioni di controllo e verifica dei risultati conseguiti ed espleta le attività connesse all'assegnazione e alla gestione dei fondi FER.

Inizialmente i bandi SPRAR avevano una cadenza annuale. Ciò comportava l'impossibilità di realizzare una programmazione degli interventi di medio-lungo periodo, che assicurasse una continuità e una maggiore tenuta della rete nel suo complesso. A partire dal 2011 il finanziamento del Fnpsa ha carattere triennale. La prima annualità del Servizio di protezione si realizza nel 2003. I dati contenuti nel primo Rapporto annuale dello SPRAR risalente al 2005 rilevano che il numero totale delle persone accolte nello stesso anno è stato di 4.654 unità, mentre 1.194 persone sono state inserite in lista d'attesa. Il Sistema allora era composto da 81 Enti locali, ciascuno titolare di un progetto. (49) Rispetto al 2001, la capacità di accoglienza del sistema (allora riconducibile al Programma Nazionale Asilo) era raddoppiata, passando da 2.008 beneficiari ai 4.654 del 2004. (50) La rete ha visto un evoluzione costante fino al 2008, quando è stata raggiunta la punta massima di 8.412 persone accolte, riconducibile allo stanziamento di posti straordinari attivati a seguito della dichiarazione di uno stato di emergenza. Il biennio successivo ha visto un graduale calo delle presenze, dovuto alla chiusura dei posti straordinari e di quelli finanziati con le risorse Otto per Mille. La capacità recettiva del sistema, nonostante gli ampliamenti, si mostrava nettamente inferiore rispetto alla domanda. Il numero delle persone in attesa di entrare nello SPRAR non veniva sistematicamente assorbito, soprattutto a fronte di un trend crescente degli arrivi sul territorio nazionale.

Nel 2011, con la decretata "Emergenza Nord-Africa", aumenta nuovamente il numero di accolti, grazie allo stanziamento di fondi straordinari che ha permesso di disporre di 6.402 posti aggiuntivi, raggiungendo la quota di 7.598 posti di accoglienza. Si vedrà come la (mala)gestione della suddetta ENA attraverso l'attivazione di risorse straordinarie e l'implementazione di estemporanei progetti di accoglienza, anziché rafforzare il sistema attraverso un incremento congruo dell'accoglienza strutturata, si sia rivelata fallimentare da diversi punti di vista, in primis per i beneficiari. (51) Tra il 2012 ed il 2013 la rete SPRAR vede un notevole incremento: vengono finanziati 151 progetti territoriali per un totale di 128 enti locali coinvolti, che hanno garantito accoglienza per oltre diecimila persone. Infatti, nonostante per il triennio 2011-2013 il FNPSA avesse previsto il finanziamento di soli 3.000 posti, quelli resi effettivamente disponibili a seguito dei cinque allargamenti richiesti dal Ministero dell'Interno per fronteggiare il numero reale di richiedenti protezione internazionale bisognosi di accoglienza (52), i posti vengono rapidamente triplicati, raggiungendo quota 10.381. Ciò, tuttavia, a fronte delle 27.800 domande di protezione internazionale ricevute dall'Italia nello stesso anno.

Beneficiari complessivamente accolti nello SPRAR dal 1 luglio 2001 al 31 dicembre 2013
Fonte: ANCI, Caritas Italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, Sprar, UNHCR, Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2014.

Nonostante permanga l'incapacità di far fronte alla domanda di accoglienza, venendo continuamente sottostimati i numeri dei posti da finanziare, deve riconoscersi che nel triennio 2014-2016 la rete SPRAR vede un importante allargamento di tipo strutturale: il sistema raggiunge la massima capacità recettiva dalla sua istituzione. La decisione di avviare questa positiva riforma è giunta a seguito della proposta emersa dal neo-costituito Tavolo di coordinamento nazionale per le politiche di accoglienza, in seguito alla chiusura dell'ENA, che sostiene la necessità di ricondurre ad unità il sistema di accoglienza, abbandonando le misure di stampo emergenziale che hanno mostrato la loro intrinseca debolezza. (53) Il bando emanato coinvolge per la prima volta la quasi totalità del territorio nazionale (esclusa solamente la Val D'Aosta) per un totale di 415 enti locali e 456 progetti approvati. Il Ministero dell'Interno ha messo a bando, con il D.M. n. 9/2013 del 30 luglio 2013, 13.020 posti "ordinari", cui debbono sommarsi altri 6.490 "straordinari", da attivarsi in caso di emergenza nell'arco di 7 - 20 giorni dalla necessità. Vedremo come il Ministero, a partire da gennaio 2014, anziché attivare tali posti aggiuntivi, abbia attivato risorse straordinarie interpellando le Prefetture affinché individuassero posti di prima accoglienza, mantenendo quel doppio binario dell'accoglienza che vede, a fianco dello SPRAR, un sistema improntato su strutture che garantiscono standard di accoglienza nettamente inferiori e svincolate da una progettualità di lungo periodo che spesso comporta una ricaduta dello sfortunato beneficiario in un tortuoso labirinto assistenzialistico.

2.3.2. L'accoglienza integrata

Ciò che rende lo SPRAR un sistema di accoglienza virtuoso, un esempio di best practice a livello Europeo, è il concetto di "accoglienza integrata", ovvero la realizzazione di interventi che superino la mera distribuzione standardizzata di vitto ed alloggio, prevedendo in via complementare un paniere di supporti (accompagnamento sociale, tutela legale, percorsi individuali di inclusione e inserimento socio-economico) mirati all'acquisizione dell'autonomia del beneficiario. Nello specifico, come disposto dalle Linee Guida per la presentazione di proposte progettuali, l'accoglienza integrata è costituita da una serie di servizi minimi che consistono in: mediazione linguistico-culturale, accoglienza materiale, orientamento e accesso ai servizi del territorio, formazione e riqualificazione professionale, orientamento e accompagnamento all'inserimento lavorativo, abitativo e sociale, tutela legale e tutela psico-socio-sanitaria. (54) Quanto alle strutture di accoglienza, contrariamente a quanto visto per quanto concerne i grandi centri governativi, gli enti locali hanno l'obbligo di "avvalersi di strutture residenziali adibite all'accoglienza [...], rispettare la normativa vigente in materia residenziale, sanitaria, di sicurezza antincendio e antinfortunistica [...], predisporre e organizzare le strutture in relazione alle esigenze dei beneficiari [...] ed avvalersi di strutture di accoglienza ubicate nei centri abitati oppure, se in prossimità degli stessi, in luoghi ben collegati da frequente trasporto pubblico e/o privato".

I destinatari dei progetti della rete SPRAR sono sia coloro che rivestono la condizione giuridica di richiedenti asilo, sia coloro che sono titolari di una forma di protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria) o nazionale (protezione umanitaria). I dati riportano che vi è un equilibrio tra le varie tipologie di destinatari accolti. (55) Il richiedente ha diritto all'accoglienza fino alla notifica della decisione della Commissione Territoriale; dal momento del riconoscimento di una forma di protezione il periodo di accoglienza è previsto per sei mesi. In caso di esito negativo, invece, l'accoglienza è accordabile solo fino al momento in cui il richiedente che abbia proposto ricorso non abbia ottenuto l'autorizzazione a svolgere attività lavorativa ai sensi dell'art. 11 co. 1 D.L.vo n. 140/05. È tuttavia possibile, e nella pratica frequente, ottenere una proroga per maggiori periodi temporali per circostanze straordinarie, debitamente motivate secondo le effettive esigenze personali, connesse ai percorsi di integrazione avviati o per comprovati motivi di salute.

Tra i progetti finanziati all'interno dello SPRAR, alcuni sono specificamente dedicati all'accoglienza dei soggetti definiti "vulnerabili" ai sensi dell'art. 8 comma 1 del D.L.vo n. 140/05, ovvero i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori le persone per le quali è stato accertato che abbiano subito torture, stupri o altre forme di violenza psicologica, fisica e sessuale. Elenco ampliato dal nuovo testo del Decreto qualifiche con l'introduzione dei minori non accompagnati, le vittime della tratta degli esseri umani e le persone con disturbi psichici (art. 19 comma 2 D.L.vo 251/07). Il fenomeno dei richiedenti asilo vulnerabili è consistente: negli ultimi anni, in particolare, si è riscontrato un aumento dei soggetti in situazioni particolarmente delicate a causa di malattie fisiche e/o disagio psichico ed un ampliamento del gruppo delle donne vittime di violenza, a causa delle sempre più diffuse ed atroci forme di guerra nei confronti della fascia più debole della popolazione. (56) La differenziazione dei servizi per tali categorie di persone risponde alle specifiche esigenze di cui essi sono portatori e dovrebbe realizzarsi anche nei grandi centri governativi, laddove la normativa prevede che "sono previsti servizi speciali di accoglienza [...] ove possibile, in collaborazione con l'USL competente, che garantiscono misure assistenziali particolari ed un adeguato supporto psicologico". (57) A monte, uno degli aspetti più delicati della questione, attiene al riconoscimento di tale vulnerabilità. Spesso accade nella prassi che venga a mancare una corretta valutazione degli elementi di vulnerabilità, non tanto in riferimento a quelli "palesi" quale la monogenitorialità del nucleo, quanto quelli più celati e talvolta più bisognosi di supporto di cui sono portatori le persone con disagio mentale, ma soprattutto le vittime di tortura o violenza. In questo senso abbiamo visto essersi mossa la nuova Direttiva accoglienza 2013/33/UE laddove prevede che lo Stato membro avvii entro un termine ragionevole tale valutazione, che non dovrà assumere la forma di una procedura amministrativa, al fine di affrontare le particolari esigenze di accoglienza cui la persona necessita.

Una volta riconosciuta la specifica vulnerabilità del soggetto, risulta fondamentale che il personale preposto all'accoglienza abbia un'adeguata formazione. Lavorare con persone che, oltre al proprio vissuto persecutorio, siano portatrici di un ulteriore trauma è complesso. In considerazione di ciò, il nuovo testo del Decreto qualifiche invita il Ministero dell'Interno all'adozione di linee guida per il trattamento dei disturbi psichici di tali soggetti nonché a realizzare programmi di formazione specifici rivolti al personale sanitario. Tale necessità emerge in modo rilevante nel percorso di accoglienza rivolto alle persone che abbiano subito qualche forma di tortura. I segni e i traumi che portano nel corpo e nella mente questa tipologia di persone sono profondi e dolorosi, il recupero della loro identità richiede un approccio consapevole e mirato. La scarsa presenza di personale qualificato all'interno delle strutture sanitarie non permette spesso di realizzare una presa in carico soddisfacente.

Categoria a sé quella, infine, quella costituita dai Minori Stranieri Non Accompagnati Richiedenti Asilo (MSNARA), destinatari di specifici progetti di accoglienza. I minori non accompagnati costituiscono infatti una categoria particolarmente vulnerabile, portatori di bisogni, criticità, fragilità e caratteristiche del tutto peculiari, legate non solo al vissuto traumatico di fuga, ma anche dal distacco dal proprio nucleo familiare. (58) Il loro numero è in costante aumento, mentre invariato rimane il primo paese di origine in termini assoluti: l'Afghanistan, da cui provengono un terzo del totale dei MSNARA. Diversamente dai centri di prima accoglienza, nei quali deve essere garantito comunque un servizio di mediazione culturale e di consulenza legale specializzato, i progetti territoriali dello SPRAR garantiscono inoltre servizi di animazione, alfabetizzazione e inserimento scolastico per rispondere alle esigenze di base dei minori.

L'ingresso nel sistema dello SPRAR dei minori stranieri non accompagnati segue un percorso dettato dalla direttiva del Ministero dell'Interno del 7.12.2006 che prevede che al minore vengano fornite tutte le informazioni necessarie per un'eventuale domanda di protezione internazionale, con il supporto di mediatori linguistico-culturali. Ove il minore si esprima in tal senso, il Questore dovrebbe provvedere ad affidare temporaneamente il minore ai servizi sociali del Comune in cui si trova, in attesa della nomina del tutore da parte dell'autorità giurisdizionale. Il minore viene quindi dovrebbe essere segnalato al Servizio Centrale per un inserimento presso una struttura dedicata all'interno dello SPRAR. Nella prassi tale percorso non viene intrapreso e il minore viene di fatto trattato come un richiedente asilo tout court.

Tornando a ciò che distingue il sistema sopra descritto rispetto alla tipologia di accoglienza erogata nei centri governativi per richiedenti asilo, la pietra angolare consiste nel servizio di inserimento socio-economico che si propone di realizzare. Lo SPRAR, in particolare per i soggetti già titolari di una forma di protezione, internazionale o umanitaria, costituisce una forma di accoglienza di secondo livello che presuppone l'adozione di un'ottica di lungo periodo nella ricerca di un'autonomia da parte del beneficiario. Infatti il richiedente asilo, in particolare colui che si trova in accoglienza presso un CARA, difficilmente potrà giovarsi dell'autorizzazione a svolgere un'attività lavorativa trascorsi sei mesi dalla presentazione della domanda (come regolarmente accade), trovandosi in una situazione di "incertezza giuridica" circa l'esito della propria istanza di protezione, ma soprattutto non disponendo di un supporto sul fronte dell'inserimento lavorativo. (59) I titolari di protezione accolti nello SPRAR sono invece assistiti nel loro percorso di integrazione attraverso progetti individualizzati: a partire dalla realizzazione di un bilancio delle competenze e dalla stesura del proprio Curriculum Vitae, è previsto un inserimento graduale attraverso l'attivazione di tirocini formativi o di borse lavoro.

2.3.3. Le carenze strutturali dello SPRAR

Nonostante l'allargamento realizzato per il triennio 2014-2016, i posti in accoglienza all'interno del Servizio di accoglienza per richiedenti e titolari di protezione internazionale rimangono nettamente sottostimati rispetto alle esigenze. La persistenza di tale problematicità è apparentemente sorprendente, visto il trend costantemente crescente delle presenze di richiedenti asilo sul territorio nazionale, confermato dalle stime previste negli anni a seguire. La ragione è da rinvenirsi in scelte di natura politico-economica, come vedremo in seguito nell'analizzare l'ordinarietà dello "stato di emergenza" decretato in Italia sul tema della protezione internazionale.

I dati dimostrano che lo stanziamento dei posti per l'anno in corso copre a malapena la domanda già esistente: nel momento dell'approvazione dell'ultima graduatoria per il triennio 2014-2016, i posti immediatamente finanziati erano 13.020. Di questi, 10.000 risultavano già occupati, altri 1.000 erano destinati a persone in lista di attesa, 700 riservati a persone appartenenti a categorie vulnerabili risalenti all'accoglienza della gestione Emergenza Nord Africa. (60) Si consideri, inoltre, che la media annua delle presenze dei richiedenti asilo, negli ultimi anni, si attesta intorno alle 27.500 unità.

La scelta compiuta, anziché affrontare l'evidente criticità e rafforzare da un punto di vista strutturale l'articolazione della rete dello SPRAR garantendo un livello di accoglienza adeguato alle esigenze delle persone, consiste nel dar vita a un sistema parallelo, lacunoso, emergenziale e costoso, non rispettoso degli standard minimi dell'accoglienza e discriminatorio nei confronti di soggetti che rivestono la medesima posizione giuridica.

3. La gestione emergenziale dell'accoglienza dei richiedenti asilo

A partire dal momento in cui l'Italia è divenuta 'Paese d'asilo' tutt'altro che eccezionale è stato l'utilizzo del termine 'emergenza' di fronte agli arrivi massicci di migranti forzati sul territorio nazionale. Se è giustificabile l'invocazione di tale circostanza di improvvisa necessità agli albori del percorso di trasformazione dell'Italia in meta dei flussi dei migranti forzati, difficilmente spiegabile risulta il periodico ricorso all'emergenza che viene da allora riproposto. L'accostamento ossimorico emergenza continua descrive efficacemente il fenomeno che si trascina da più di vent'anni, nel corso dei quali la cantilena degli "interventi e provvedimenti di natura eccezionale" è stata esasperata al punto da farne perdere il significato originario: l'emergenza è stata sostituita dall'emergenzialismo, quella tendenza ad affrontare ogni difficoltà come una situazione di emergenza, senza individuarne correttamente le cause e predisporne i rimedi adeguati.

A fronte del costante incremento dell'entità delle migrazioni forzate, confermato dalle previsioni future che si fondano sull'instabilità della situazione geo-politica a livello globale, non vi sono margini per fornire una spiegazione razionale all'approccio adottato nella gestione dell'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. In qualunque campo venga applicata, una politica di stampo emergenziale non consente una gestione lungimirante della situazione affrontata. In primis gli standard garantiti in tale contesto non saranno equiparabili al livello dei servizi erogabili in una situazione di ordinarietà, a fronte di costi di attivazione di un piano di emergenza nettamente superiori rispetto alla spesa di costo preventivabile in via ordinaria. Eppure, di fronte a queste situazione, "i diversi Governi preferiscono ricorrere all'emanazione di leggi o decreti ministeriali ad hoc, anziché affrontare il problema dell'assenza di una normativa organica in materia di asilo". (61)

I posti in accoglienza da finanziare ogni anno sono costantemente sottostimati rispetto al prevedibile fabbisogno e vengono puntualmente attivati soggetti e risorse straordinarie per dar vita a un sistema parallelo di accoglienza che "tampona" temporaneamente (e malamente) le lacune del sistema, anziché programmare un intervento di stampo strutturale al sistema di accoglienza, con ricadute sul sistema ordinario che si trascinano a lungo termine. Fino a quanto non verrà affrontato il problema dell'incapacità del sistema di rispondere alle esigenze cui è tenuto a farsi carico in forza degli obblighi previsti alle norme internazionali e comunitarie, il circolo vizioso non sarà interrotto e l'emergenza dovrà mantenersi parallela al sistema strutturato. La ratio di tale scelta non può che rinvenirsi in ragioni di tipo propagandistico e di interessi finanziari (62), a scapito di persone fuggite da persecuzioni che tentano di ricostruire un percorso di vita in Europa.

Le situazioni di emergenza che vedremo essere state invocate sono da ricondursi per la quasi totalità ad un fenomeno meramente interno. L'Italia infatti non ha mai scelto di far ricorso al D.L.vo n. 85/03, con cui è stata recepita la Direttiva 2001/55/CE in materia di protezione temporanea, che consente di attivare una procedura che coinvolge l'Unione Europea a causa dell'afflusso massiccio di sfollati. In tali occasioni è stato infatti decretato in via autonoma lo stato di emergenza, non sussistendo a detta delle Istituzioni Europee i presupposti al fine di un accertamento ad opera del Consiglio dell'Unione Europea circa l'esistenza di un "flusso massiccio di sfollati" ai sensi dell'art. 5 della Direttiva: la retorica dell'emergenza umanitaria non ha fatto breccia a livello sovranazionale, dove la cautela nel dichiarare l'esistenza di una situazione emergenziale è dovuta alle importanti implicazioni a livello finanziario, ma soprattutto negli equilibri politici Europei in termini di presenze di migranti forzati.

3.1. Le prime forme di accoglienza in forma emergenziale: Albania, ex Jugoslavia, Kosovo e Somalia

La prima emergenza che viene decretata risale ai primi anni '90 in seguito all'arrivo di circa cinquantamila persone provenienti dall'Albania a causa della situazione di forte instabilità vigente nel paese nella fase transitoria seguita al crollo del regime stalinista. A partire dal luglio del 1990, con l'ampliarsi della protesta e delle dimostrazioni anti-governative, un massiccio flusso di persone si dirige verso le coste del litorale pugliese. L'atteggiamento delle autorità italiane nei confronti dei cittadini albanesi è stato altalenante: in un primo momento, sulla scorta del comportamento adottato anche da Francia e Germania, l'Italia decide di riconoscere automaticamente lo status di rifugiato senza passare attraverso l'iter ordinario, considerando l'Albania un paese comunista. Il flusso tuttavia non accennava a diminuire, vedendo anzi un incremento nei primi mesi dell'anno seguente: l'ondata del marzo del 1991 vede un ingresso di boat people senza precedenti. Nel giro di pochi giorni circa 10.000 profughi albanesi giungevano in Italia per chiedere asilo politico.

L'accoglienza fu gestita in via straordinaria, il sistema di asilo non era, nemmeno sulla carta, in grado di rispondere all'emergenza: l'onere ricadde sulle spalle della "generosità dimostrata dai pugliesi, che tentò di celare le falle di un sistema di accoglienza insistente" (63). La società civile si attivò dimostrando un dimenticato spirito solidaristico nei confronti degli sfollati, accolti in parrocchie, abitazioni private ed associazioni. Le istituzioni rispondevano parzialmente alle necessità, adibendo centri improvvisati in scuole e palestre delle città pugliesi e lucane in situazioni di grave sovraffollamento. (64) Si decise quindi di procedere ad una redistribuzione su scala nazionale per evitare il determinarsi di un ingestibile concentramento nelle regioni meridionali che si affacciavano sulla costa adriatica del Mediterraneo: vennero allestite tendopoli e adibite caserme in diverse città italiane.

Dal punto di vista della determinazione della posizione giuridica, la quasi totalità delle persone giunte non rientrava nella definizione di 'rifugiato politico' della Convenzione di Ginevra, né la normativa approvata in quel contesto (Legge Martelli) prevedeva l'esistenza di altra forma di protezione cui i quasi 20.000 richiedenti asilo albanesi potessero ambire. (65) La soluzione venne adottata con la circolare del Ministero dell'Interno n. 19 del 14 marzo 1991 con cui venne autorizzato il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo e straordinario della durata di un anno recante la dicitura "in attesa di determinazioni ministeriali", cui fece seguito la Circolare del 15 aprile dello stesso anno in cui si ravvisava l'esigenza di procedere all'adozione di un provvedimento di urgenza che consentisse ai cittadini albanesi titolari del permesso di soggiorno temporaneo di svolgere attività lavorativa ovvero di iscriversi nelle liste di collocamento. (66)

Di lì a pochi anni si apre la crisi nei Balcani che contribuirà a mettere in luce le falle ed i limiti del sistema di accoglienza italiano. La tragica guerra che portò alla dissoluzione della Repubblica Federale di Jugoslavia spinse a fuggire verso l'Italia, tra il 1991 e il 1998, circa 80.000 sfollati provenienti da Croazia, Bosnia Erzegovina, Serbia e Macedonia. Anche in questo contesto la legislazione italiana non garantiva una forma di protezione che si adattasse alla popolazione in fuga da un contesto bellico, rientrando nella definizione di 'rifugiato' unicamente la persona che fosse individualmente vittima di persecuzioni personali in ragione della propria nazionalità, razza, religione o appartenenza a determinati gruppi politici. In un primo tempo, in prossimità dell'insorgere del conflitto, il Ministero dell'Interno emanò una circolare con cui riconobbe una protezione di tipo umanitario con il conseguente rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo della durata di 3 mesi. (67) Successivamente, con la L. 390/92 recante "Interventi straordinari di carattere umanitario a favore degli sfollati delle repubbliche sorte nei territori dell'ex Jugoslavia" la durata del permesso veniva estesa ad un anno, consentendo lo svolgimento di attività lavorativa. Sul fronte accoglienza, nonostante l'intervento normativo citato affrontasse l'argomento riconoscendo la necessità di soccorso e accoglienza delle persone in fuga, (68) si registra che la maggior parte della popolazione rifugiata sia rimasta estranea al circuito dell'accoglienza: solo poche migliaia di profughi hanno avuto accesso alle strutture predisposte dal Ministero dell'Interno (o per conto di esso) presso alberghi, scuole, caserme e centri collettivi, principalmente siti in Italia settentrionale. (69) Di nuovo, come visto per l'accoglienza dei cittadini albanesi, l'onere è ricaduto sulla società civile e sulle associazioni, a volte supportati dai singoli Comuni, che ha colmato le lacune istituzionali attraverso interventi spontanei di accoglienza e integrazione a livello locale, che contengono in nuce quei modelli che verranno ripresi dal Sistema di protezione successivamente implementato a livello governativo che ha permesso di attivare forme di coordinamento tra i vari attori impegnati sul fronte dell'asilo.

La stessa cornice giuridica viene utilizzata per inquadrare la situazione degli esuli kosovari, in fuga dal conflitto che li investì sul finire degli anni '90 del secolo scorso. Di nuovo si rispose alla necessità di garantire una protezione alle persone giunte sul territorio italiano, accordando il diritto all'ottenimento di un permesso di soggiorno temporaneo in ragione delle esigenze di protezione umanitaria, (70) cui seguì un ulteriore decreto di proroga della protezione in ragione della persistente inadeguatezza della situazione socio-politica nel Paese d'origine. Sul fronte dell'accoglienza il DPCM del 12 maggio 1999 prevede che essa avvenga presso "le strutture di primo soccorso individuate sul territorio nazionale". È in questo contesto che si esperiscono i primi tentativi di istituzionalizzazione di una forma di accoglienza alternativa a quella dei grandi centri governativi, dando vita al progetto Azione Comune, antenato dell'attuale Sistema di Protezione per Richiedenti e Titolari di Protezione Internazionale. Per la prima volta si supera la logica della prima assistenza e soccorso, prevedendo una serie di servizi che non si esaurissero nella mera messa a disposizione di vitto e alloggio, bensì servizi che si concretizzassero in una presa in carico più completa, a partire dall'assistenza legale e dall'accompagnamento sociale dei beneficiari in prospettiva di un inserimento duraturo nel tessuto sociale del Paese.

Terminando brevemente questa 'carrellata' di gestioni emergenziali dei flussi di migranti forzati sul territorio italiano inaugurata agli inizi degli anni '90 e scandita dalla periodica adozione di strumenti legislativi (circolari e decreti ministeriali ad hoc) legittimanti un operato in deroga al diritto ordinario, un cenno è dovuto all'ondata migratoria proveniente dalla Somalia, tutt'ora dilaniata dalla sanguinosa guerra civile che la affligge dal 1991. Migliaia di cittadini somali si dirigono verso l'Italia, meta non casuale visto il passato coloniale del loro Paese, ottenendo regolarmente un visto da parte dell'Ambasciata italiana. La storia si ripete e nell'impossibilità di rilevare gli elementi di persecuzione individuale che consentirebbero il riconoscimento dello status di rifugiato, l'Italia concede la possibilità di ottenere un permesso temporaneo di soggiorno per motivi umanitari che abilita all'esercizio dell'attività lavorativa. (71) L'Italia, risolve così sulla carta la questione, salvando l'apparenza di un 'Paese d'asilo' che non si nasconde di fronte alle emergenze umanitarie in atto, dovere ancora più cogente visto il passato legame coloniale che univa i due Paesi. A livello materiale, tuttavia, si manifestano in tutta la loro drammaticità le falle del sistema: ancora una volta "non viene affrontata la questione di una qualche forma di accompagnamento rispetto all'alloggio e così, si inizia la pratica di occupare alcuni stabili, alberghi o ex ambasciate". (72) Si vedrà come la storia delle occupazioni abusive da parte di richiedenti e titolari di protezione internazionale non appartenga al passato, interessando tuttora parte della popolazione rifugiata residente nel nostro Paese.

3.2. I primi anni del XXI secolo e la Questione Lampedusa

La retorica dell'emergenza, la cui stagione viene inaugurata nel corso degli anni '90 nell'ambito delle migrazioni di massa di persone in fuga da situazioni di guerre e conflitti, non si esaurisce nell'ambito delle migrazioni forzate. L'intera materia afferente al diritto dell'immigrazione viene consapevolmente affrontata in maniera destrutturata, quasi a voler ostentare una mancata volontà di assunzione di responsabilità di fronte a tale fenomeno, in barba agli obblighi internazionali. La regolamentazione dell'immigrazione tout court non nasconde una stretta correlazione con il diritto penale, promovendo una politica di criminalizzazione nei confronti del migrante, che alimenta il sentimento di diffidenza della società civile nei confronti dell'altro, cavalcando la meschina onda populista di coloro che hanno dimenticato di appartenere a un popolo che, fino a pochi decenni fa, vestiva i panni dell'emigrante. (73)

L'inasprirsi delle politiche interne in materia di respingimenti ed espulsioni nei confronti di cittadini di Paesi terzi ha permesso di mostrare il pugno di ferro nella gestione dei flussi di migranti economici. Lo Stato, infatti, ha la facoltà di regolare la materia ed il legislatore può restringere discrezionalmente le maglie della normativa concedendo un titolo di soggiorno al soggetto che soddisfi determinati requisiti. Lo stesso non può dirsi in riferimento all'implementazione del sistema di protezione internazionale, essendo in questo ambito il Paese tenuto, in forza di obblighi derivanti da fonti di rango internazionale, all'implementazione di un sistema di accoglienza nei confronti del soggetto che eserciti il diritto alla richiesta di riconoscimento di una forma di protezione. Tale diritto ha la natura di diritto soggettivo, non comprimibile discrezionalmente dal legislatore. L'assenza di una normativa organica in materia di asilo è stata colmata attraverso interventi legislativi isolati, così come le carenze sistemiche sul fronte materiale dell'accoglienza e dei soggetti ad essa proposti sono state superate attraverso lo stanziamento di risorse finanziarie straordinarie che hanno determinato la creazione di opachi sistemi paralleli di accoglienza.

Nel corso dei primi dieci anni del XXI secolo intervengono importanti novità dal punto di vista normativo, l'Italia provvedendo al recepimento nel proprio ordinamento delle direttive Europee che costituiscono il perno dell'intero sistema asilo. L'introduzione in particolare della forma di protezione sussidiaria consente di superare l'empasse dovuta alla lacuna che separava il rifugiato dal titolare di protezione umanitaria, ben adattandosi alle frequenti situazioni di persone in fuga da conflitti indiscriminati nel proprio Paese d'origine. In questi anni l'entità delle migrazioni forzate non accennava a diminuire, pur cambiando la provenienza dei richiedenti: Iraq, Iran, Sri Lanka, Corno d'Africa, Afghanistan. Muta anche il luogo d'arrivo, passando dalle coste del litorale Adriatico alle terre siciliane, in particolare interessando l'isola di Pantelleria e di Lampedusa. Quest'ultima rimane ad oggi l'emblema della situazione emergenziale che lega inscindibilmente la gestione italiana del sistema asilo.

Prende avvio una delle pagine più drammatiche della storia recente che riguarda l'intera Europa. L'assenza di canali umanitari che consentano di avanzare una richiesta di protezione a partire dal Paese d'origine, evitando a migliaia di persone di mettere a repentaglio la propria vita, affidata a caro prezzo a trafficanti di uomini, costringe uomini, donne e bambini ad affrontare un disperato viaggio stipati in imbarcazioni di fortuna. La situazione sull'isola di Lampedusa si dimostra ben presto ingestibile e diventa oggetto di attenzione da parte delle istituzioni italiane: la situazione di sovraffollamento determina un notevole peggioramento delle condizioni di permanenza, "scese a di sotto di qualsiasi standard minimo di rispetto della dignità umana". (74) Il Centro di Primo Soccorso e Assistenza di Lampedusa diviene un centro di transito, che prelude al trasferimento dei richiedenti asilo nei vari centri di accoglienza dell'Italia meridionale.

Nel 2008 si registra un forte incremento degli arrivi, che sfiora le 37.000 unità. Anche in questa occasione il Governo italiano non tarda nel decretare lo "stato di emergenza per fronteggiare l'eccezionale afflusso di cittadini non comunitari giunti irregolarmente in Italia", inizialmente limitato alle regioni della Sicilia, Calabria e Puglia (con Dpcm del 14 febbraio 2008), quindi esteso a tutto il territorio nazionale, (75) dando nuovamente vita ad un sistema composito di accoglienza costituto, a fianco dei posti previsti in via ordinaria per l'accoglienza di richiedenti asilo, l'attivazione di posti straordinari attraverso la collaborazione delle varie Prefetture che potessero garantire i soli servizi di base ai propri ospiti.

Nei due anni precedenti a quel fenomeno che verrà ampiamente analizzato, etichettato sotto l'eloquente slogan "Emergenza Nord-Africa", il flusso di migranti forzati vide un drastico calo (76) dovuto alla illegittima politica di respingimento implementata dalle Autorità italiane in forza di un accordo siglato dall'allora Primo Ministro Berlusconi e da Mu'ammar Gheddafi che portò alla condanna dell'Italia da parte della Corte EDU nella nota sentenza Hirsi Jamaa and Others v. Italy del 23 febbraio 2012 (77) nonché all'inasprimento della disciplina interna con l'emanazione della Legge n. 94/09 (meglio nota come "Pacchetto Sicurezza") che apportò modifiche in senso restrittivo anche alla materia dell'asilo. (78) L'importante diminuzione degli arrivi di migranti tra il 2009 ed il 2010, determinò una situazione di calma apparente all'interno dell'isola di Lampedusa. Tale contesto costituì terreno fertile per la decretazione di quello stato di emergenza che l'anno seguente verrà invocato in considerazione del "massiccio afflusso" di migranti sull'isola. Si vedrà come sarebbe stato più corretto parlare di emergenza in riferimento alla situazione venutasi a creare all'interno della stessa isola, anziché al quantomeno generico "Nord-Africa".

3.3. L'Emergenza Nord-Africa (o Emergenza Lampedusa?)

3.3.1. Gli strumenti normativi applicati: riflessi sullo status giuridico delle persone

Il contesto di riferimento della cosiddetta Emergenza Nord Africa, cui è necessario un rapido cenno, riporta al fenomeno della Primavera Araba. A partire dalla Rivoluzione scoppiata in Tunisia, con la cacciata del Presidente Ben Ali avvenuta il 14 gennaio 2011, un crescendo di proteste popolari contagia altri Paesi del Nord Africa. In Egitto, la rivolta si inasprisce: le manifestazioni della popolazione civile concentrate in Piazza Tahrir, luogo simbolo della sommossa, portano alla deposizione dell'allora Presidente Mubārak nel mese di febbraio dello stesso anno, lasciando il posto a un regime transitorio dell'esercito.

Nel periodo compreso tra il mese di gennaio e marzo del 2011, circa 30.000 migranti in fuga giungono sulle coste italiane, la maggior parte di essi diretti verso l'isola di Lampedusa. Il Governo non tarda a reagire, riferendosi in termini allarmistici ad una situazione che, confrontata con i dati riportanti l'entità dei flussi di migranti forzati presenti in altri Paesi Extra-Europei ed Europei, risultava risibile. (79) L'emergenza realmente esistente non era da riferirsi all'entità del flusso di migranti giunti sulle coste italiane, bensì a due aspetti: la natura emergenziale della modalità degli arrivi (persone stipate fino all'ultimo centimetro in imbarcazioni improvvisate, situazioni sanitarie drammatiche a causa della disidratazione, naufragi) e la situazione di sovraffollamento presso l'isola di Lampedusa (dove il numero di migranti superava di gran lunga la popolazione residente e dove il Centro di Primo Soccorso ed Accoglienza dell'isola non poteva garantire un'adeguata accoglienza ai sopravvissuti).

Il sistema di asilo italiano, come visto, non era in grado di far fronte a tale intenso afflusso di richiedenti asilo. Le alternative che si prospettavano al Governo Italiano erano, da un lato, la possibilità di ricorrere allo strumento previsto dall'art. 20 TU Immigrazione, in forza del quale decretare misure straordinarie di accoglienza per eventi straordinari concedendo una forma di protezione temporanea alle persone in fuga da "conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità", dall'altro incanalare i migranti nella procedura ordinaria per il riconoscimento della protezione internazionale. Non è stata infatti accolta la richiesta di aiuto rivolta alle Istituzioni Europee. Nonostante l'enfasi posta sullo stato di "emergenza umanitaria" a fronte di un "flusso migratorio epocale" di "proporzioni bibliche" al fine di conseguire aiuti di tipo tecnico e finanziario dall'Unione Europea, ma soprattutto di ottenere un consenso politico dagli altri Stati membri volto all'attivazione dello strumento eccezionale della protezione temporanea previsto dalla Direttiva 2011/55/UE e il conseguente meccanismo di ripartizione (burden-sharing). (80)

Il Governo decide pertanto di intraprendere la prima via e, avvalendosi del poteri di ordinanza straordinaria del Consiglio dei Ministri, dichiara in primis con il Dpcm del 12 febbraio 2011 lo "stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa". Lo stato di emergenza è dichiarato fino al 31 dicembre 2011. Il decreto in questione non contiene alcuna disposizione specifica in riferimento allo status delle persone coinvolte dagli eventi descritti, la finalità dello stesso esaurendosi nell'attivazione delle risorse finanziarie per fronteggiare la situazione, nonché nel coinvolgimento della Protezione Civile all'interno dell'emergenza. La condizione giuridica dei migranti viene affrontata con il successivo Dpcm del 5 aprile 2011 (81), altrimenti noto come "Decreto dei tunisini", con cui viene attivata la procedura ex art. 20 TU. In linea con la natura temporanea di tale istituto, viene accordata una forma di protezione temporanea, con conseguente rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari della durata di sei mesi (82), ai cittadini appartenenti ai Paesi interessati "affluiti nel territorio nazionale dal 1 gennaio 2011 alla mezzanotte del 5 aprile 2011". Il decreto specifica che colui che avesse precedentemente avanzato richiesta di protezione internazionale, avrà la possibilità di rinunciarvi e di ottenere il titolo di soggiorno previsto dallo stesso e viene altresì evidenziato (art. 2 comma 4) che tale permesso consente la libera circolazione nei Paesi dell'Unione Europea. Ciò, per quanto superfluo, è significativo del fatto che si asseconda la volontà della quasi totalità dei cittadini tunisini di ricongiungersi con i familiari residenti in Francia (83), esodo che si è effettivamente verificato nonostante i tentativi di arginarlo da parte della polizia di frontiera francese: non risulta, peraltro, che i tunisini che abbiano raggiunto i propri familiari siano stati rimandati in Italia o rimpatriati.

Gli sbarchi, nel frattempo, non accennano a diminuire. Due giorni dopo quindi, il 7 aprile, viene emanato un nuovo decreto che si limita a sottolineare l'esistenza dello stato di emergenza (già vigente sulla base del Dpcm del 21 febbraio), a fini presumibilmente contabili; il nuovo testo, tuttavia, contiene un primo riferimento al territorio libico. Contestualmente infatti, sull'onda del fenomeno della Primavera Araba, in Libia si scatenava una sanguinosa guerra civile che vedeva contrapposte da un lato le forze lealiste di Mu'ammar Gheddafi, dall'altro i rivoltosi. Diversamente da quanto disposto nei confronti dei "fortunati" giunti sul territorio nazionale entro la data-spartiacque del 5 aprile, per i migranti giunti dopo tale data la scelta del Governo è stata ben diversa: "alle migliaia di persone in fuga dal conflitto interno della Libia durato dalla fine di febbraio alla fine di ottobre 2011 non è stata infatti riconosciuta nessuna immediata protezione temporanea o umanitaria, ma sono state fatte presentare, quasi in automatico, le istanze di protezione internazionale". (84) La problematica di non poco conto che si poneva nei confronti dei richiedenti incanalati nell'improprio percorso della protezione internazionale è relativa al fatto che i migranti in fuga dalla Libia, per la quasi totalità, non erano di nazionalità libica bensì provenienti da altri Stati africani (dell'Africa Sub-Sahariana: Nigeria, Ghana, Chad, Mali) che ivi si trovavano per lavorare da diversi anni. (85) Tale forzatura, al di là delle ripercussioni a danno degli aspiranti richiedenti protezione, ha contribuito ad un grave svuotamento di significato del nobile e secolare istituto del diritto di asilo.

Il Dpcm del 3 agosto 2011 volutamente non definisce la condizione giuridica dei 'libici', limitandosi ad estendere in modo estremamente vago lo stato di emergenza già vigente ad "altri Paesi del Continente africano". La ratio di tale scelta, di segno contrario rispetto a quella adottata nei confronti dei "tunisini", è da rinvenirsi nel fatto che, mentre era certo che questi ultimi avrebbero tentato di varcare i confini nazionali per ricongiungersi ai familiari presenti in altri Paesi Europei (in particolare la Francia), i "libici" si sarebbero stanziati sul territorio nazionale. Le conseguenze sono state drammatiche per migliaia di persone: il 60% delle domande di protezione internazionale fatte pretestuosamente avanzare al fine di dotare i migranti di un permesso di soggiorno temporaneo per richiesta asilo, si è risolto con provvedimenti negativi emanati dalle oberate Commissioni Territoriali per il riconoscimento della Protezione Internazionale (86). Per alcune nazionalità i dinieghi hanno riguardato la quasi totalità delle domande presentate, in quanto i Paesi di origine sono stati reputati sicuri (87), spesso senza neppure accordare il riconoscimento della residuale protezione umanitaria ex art. 5 comma 6 TU. Ciò ha portato ad una pioggia di ricorsi a scopo dilatorio, che ha sommerso i Consigli dell'Ordine degli Avvocati siciliani e pugliesi, cui spettava la decisione circa l'ammissibilità o meno all'istituto del gratuito patrocinio. L'accesso a tale istituto, infatti, è sottoposto ad un vaglio di fondatezza dell'agire in giudizio, ovvero di non pretestuosità dell'agire: è evidente la difficoltà di dimostrazione di tale presupposto, vista la forzatura imposta a monte dal Governo italiano che ha voluto incanalare tutte le persone provenienti dalla Libia, indiscriminatamente, nella strada dell'asilo.

Il numero dei migranti raggiunse quota 110.000-120.000. L'Emergenza Nord Africa, con riferimento alla questione relativa allo status giuridico delle persone, venne conclusa nel modo seguente: il permesso di soggiorno per motivi umanitari rilasciato ai tunisini (entrati nel territorio nazionale precedentemente al 5 aprile 2011) venne prorogato sistematicamente in vista della scadenza, di sei mesi in sei mesi; la più intricata situazione in cui sono stati impropriamente costretti i libici è stata risolta con una circolare del Ministero dell'Interno emanata nel mese di ottobre 2012, la quale, "pur non esplicitando il riconoscimento generalizzato della protezione umanitaria (ma di fatto sottintendendolo), invitava a far richiedere ai profughi denegati singole istanze di riesame finalizzate a detta protezione". (88) Si è, di fatto, con un ingiustificabile ritardo che ha tenuto in un limbo giuridico per più di un anno migliaia di persone 'parcheggiate' in improvvisate strutture di accoglienza, seguita la strada della protezione umanitaria, da più parti invocata fin dall'inizio in virtù del principio antidiscriminatorio tra l'equivalente situazione delle persone facenti ingresso prima o dopo dell'arbitraria scelta data del 5 aprile, con conseguenze anche sul fronte finanziario, come vedremo, non irrilevanti. Il termine dell'Emergenza Nord Africa viene formalizzato nel mese di dicembre del 2012 con il conseguente rientro della gestione ordinaria a partire dal 1 gennaio 2013. (89)

Un breve cenno è dovuto alla situazione dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) richiedenti asilo, categoria ampiamente presente all'interno dei flussi migratori nell'ambito dell'Emergenza Nord Africa, soprattutto con l'ondata dei 'libici'. Ciò che è accaduto, sempre con riferimento alla determinazione dello status giuridico, non risulta conforme alla tutela maggiormente garantista che avrebbe dovuto essere loro accordata. A mente di quanto stabilito nel TU a tutela dei minori nell'art. 32, il minore non accompagnato avrebbe dovuto essere inserito in un percorso di tutela, venendo disposto l'affidamento ai sensi dell'art. 2 della Legge n. 184/83 ovvero l'ammissione in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato, affinché potesse ottenere, al compimento della maggiore età, un permesso di soggiorno per motivi di studio, accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura. L'inserimento in tale percorso garantisce il minore nel momento del compimento della maggiore età, quando sarà venuto meno il divieto di espulsione sancito nei suoi confronti (ex art. 19 comma 2 lett. a, TU). Nelle more della nomina del tutore, il minore richiedente asilo deve essere assegnato ai Servizi Sociali del Comune ove si trova. Nella maggior parte dei casi, i minori giunti in Italia nell'ambito dell'Emergenza Nord Africa non sono stati incanalati nella procedura per l'affidamento, bensì unicamente nel percorso volto al riconoscimento della protezione internazionale. In questo modo il loro destino è stato vincolato unicamente all'incerto esito della domanda di asilo, con gravi conseguenze per coloro che non avevano i presupposti per il riconoscimento di una forma di protezione. L'inserimento nel percorso di cui all'art. 32 TU è doveroso in quanto tutela l'interessato al momento del compimento dei 18 anni, nell'eventualità di un diniego. Le due strade, in un'ottica garantista, avrebbero dovuto essere percorse parallelamente.

Si segnala inoltre che l'accoglienza dei minori non accompagnati, non è stata sempre rispettosa degli standard minimi sanciti dalla normativa interna e sovranazionale: prima della realizzazione di 'strutture-ponte', dislocate sul territorio nazionale al fine di ospitare i minori per una prima accoglienza in vista del trasferimento in altre strutture ordinarie, l'accoglienza dei minori nell'isola di Lampedusa è avvenuta in strutture non adeguate agli standard di legge, in condizioni di promiscuità, in centri chiusi ed inaccessibili persino agli avvocati. Molti dei minori trasferiti nelle 'strutture-ponte', inoltre, "luoghi ove avrebbero dovuto restare solo per qualche settimana, ma nei quali invece sono stati bloccati per diversi mesi, senza quelle misure di accoglienza ed integrazione che previste in loro favore" (90), hanno deliberatamente abbandonato le strutture.

3.3.2. La (mala)gestione dell'accoglienza

L'approccio emergenziale che a livello normativo si è tradotto in una pioggia di decreti, ordinanze e circolari ministeriali ad hoc, non ha risparmiato il fronte dell'accoglienza. Si può senza esitazione affermare che l'Emergenza Nord Africa abbia rappresentato un formidabile modello di mala gestione. Le ripercussioni delle scelte adottate in tale contesto si riscontrano a distanza di quasi due anni dalla chiusura dell'emergenza, con conseguenze che ricadono su quello stesso fragile "sistema asilo" che si è deliberatamente scelto di non rafforzare a tempo debito, costringendolo ad una perenne condizione di inadeguatezza.

Si è visto come, da un lato, migliaia di persone siano state forzosamente incanalate nel percorso della protezione internazionale che garantisce al richiedente asilo, in forza di obblighi di rango internazionale recepiti nell'ordinamento interno, un dovere di accoglienza da parte dello Stato ospitante. Dall'altro, i beneficiari dei protezione temporanea sono ugualmente beneficiari di un percorso di accoglienza per il tempo corrispondente alla protezione accordata. Le lacune strutturali del sistema di protezione, come detto, non sono state colmate attraverso un lungimirante piano di rafforzamento del sistema ordinario, venendo al contrario promossa l'implementazione di un sistema emergenziale parallelo, facente capo alla Protezione Civile, al fine di 'tamponare la contingenza'. Così si è venuto a creare un ingovernabile guazzabuglio di situazioni: in presenza di identici presupposti, il caso determinava che alcune persone venissero destinate a strutture pubbliche o del privato sociale, altre accolte in alberghi, alcune nelle grandi città, altre in sperduti paesini sulle Alpi, con differenze di trattamento abissali in quanto a servizi erogati.

Nelle settimane antecedenti il Dpcm del 5 aprile, la situazione di incertezza legale in cui versavano i migranti giunti a Lampedusa si tradusse nel 'confinamento' temporaneo di migranti in aree di internamento, centri di accoglienza istituzionali e campi temporanei. La piccola isola di Lampedusa si trasformò in un campo profughi a cielo aperto dove i migranti venivano trattenuti per settimane in palese violazione del rispetto del termine massimo consentito per il trattenimento finalizzato al primo soccorso e all'identificazione, venendosi a configurare una situazione di detenzione amministrativa arbitraria. (91) Il Centro di Primo Soccorso e Accoglienza di Lampedusa è arrivato ad 'ospitare' fino a 5000 persone, a fronte di una capienza massima di 804 posti. Centinaia di minori non accompagnati "sono stati raggruppati, senza alcuna documentazione e senza la prescritta notifica alle autorità competenti, [...] spesso in promiscuità con gli adulti, senza alcun supporto psicologico e legale". (92) Al fine primario di alleggerire la situazione (e le tensioni) sull'isola di Lampedusa, viene realizzato un primo intervento il 12 aprile 2011, data in cui il Capo del Dipartimento della Protezione Civile Gabrielli, in forza della nomina a Commissario Delegato per la realizzazione di tutti gli interventi necessari a fronteggiare lo stato di emergenza nell'ambito dell'Emergenza Nord Africa, adotta il Piano per l'accoglienza dei migranti, in attuazione dell'accordo Stato, Regioni ed Enti Locali del 6 aprile 2011. Il Piano si rivolge sia ai richiedenti asilo entrati sul territorio nazionale prima del 5 aprile 2011, sia a coloro che hanno beneficiato della protezione umanitaria in quanto rientranti nel Dpcm del 5 aprile. Le Regioni vengono invitate a individuare delle strutture al fine di ospitare una quota di migranti (stabilita in modo proporzionale alla popolazione residente (93)), attraverso l'individuazione di soggetti attuatori. L'assistenza da erogarsi viene differenziata a seconda dello status giuridico in cui versano gli ospiti: ai soggetti titolari di protezione temporanea ex art. 20 TU viene da subito garantito vitto, alloggio e assistenza sanitaria di base, mentre per i richiedenti asilo e i minori accompagnati viene garantita "l'assistenza in base alla normativa vigente in attuazione delle convenzioni internazionali". Il riferimento per i servizi da erogare è costituito dallo schema di Capitolato adottato dal Ministero dell'Interno per la gestione dei centri di accoglienza (94).

La maggior parte delle strutture ritenute idonee ai fini della stipula delle convenzioni per la gestione dell'accoglienza dei migranti è costituita da alberghi e ostelli che, pur garantendo l'essenziale vitto ed alloggio ai propri ospiti, non offriva altri servizi altrettanto primari, quale assistenza legale, supporto psicologico, formazione né alcun percorso di inserimento sociale. Migliaia di persone sono state confinate in un limbo, da un punto di vista giuridico e sociale, per più di un anno a causa delle lungaggini dovute al percorso del riconoscimento della protezione internazionale: gli enti preposti alla definizione del procedimento, le Commissioni Territoriali, non sono stati rafforzati a sufficienza per far fronte alla repentina impennata di richieste. Ciò ha contribuito ad alimentare quel business dell'accoglienza (95) che ha tratto vantaggi di notevole entità dagli ostacoli di ordine burocratico che hanno fatto sì che l'emergenza venisse sistematicamente prorogata. Il contributo assegnato agli enti gestori per l'erogazione di servizi di accoglienza (96) ha spinto soggetti non qualificati ad inserirsi nel sistema attraverso convenzioni, stipulate secondo modalità che si sono rivelate per nulla trasparenti. Sono mancate infatti "le necessarie verifiche previe all'affidamento del servizio, nonché la codifica di requisiti standard che avrebbero evitato le enormi disparità di trattamento e gli abusi in alcuni casi commessi dagli enti gestori". (97) Il costo economico della gestione dell'Emergenza Nord Africa ha superato la cifra di 1 miliardo e 300 milioni di euro.

Come rilevato, nel mese di Ottobre del 2012 una circolare ministeriale risolveva, con ingiustificabile ritardo, la questione relativa alla condizione giuridica dei 'libici', di fatto concedendo loro una forma di protezione umanitaria. La circolare non conteneva tuttavia alcun riferimento alla questione della gestione dell'accoglienza. Per questa si è dovuto attendere un'ordinanza del Capo Dipartimento della Protezione Civile nel dicembre dello stesso anno (98) con cui veniva sancita la chiusura dello stato di emergenza umanitaria e decretato il rientro nella gestione ordinaria a far data dal 1 gennaio del 2013, con il conseguente passaggio di consegne dalla Protezione Civile al Ministero dell'Interno. Venne concessa una lieve proroga che portò al 28 febbraio 2013, a due anni di distanza dal suo inizio, la data di chiusura dello stato di emergenza. Le disposizioni contenute nella circolare del 18 febbraio, in prossimità della data limite per l'accoglienza nelle strutture, risolte le questioni contabili, non si curavano di prevedere percorsi di fuoriuscita degli ospiti accolti da più di un anno, limitandosi, oltre ad un indefettibile richiamo al rimpatrio volontario e assistito, a disciplinare l'assegnazione di una "misura di uscita" di € 500 pro capite.

Vedremo, laddove verranno analizzati i riflessi sociologici di siffatta gestione emergenziale e non strutturata, come molte di queste persone si siano riversate nelle grandi città in condizioni di grave marginalità e precarietà, non essendo stati incanalati in un percorso di autonomia e di inserimento socio-economico. Alcuni di essi, a distanza di oltre un anno dalla chiusura dell'emergenza, sono in lista d'attesa per l'inserimento in un progetto territoriale dello SPRAR, quello stesso sistema che, se implementato a tempo debito con i cospicui fondi mal investiti, avrebbe potuto garantire un'accoglienza rispettosa degli standard minimi sanciti dalla normativa interna e sovranazionale. Lo SPRAR rimane così condannato a permanere in uno stato di inadeguatezza rispetto alle richieste cui deve far fronte: venire accolto nel circuito dello SPRAR è, di fatto, un privilegio di pochi.

3.4. Dall'Emergenza Nord Africa all'emergenza continua: l'operazione Mare Nostrum e l'accoglienza straordinaria

Le critiche che hanno messo sul banco degli imputati il sistema emergenziale implementato nel corso dell'Emergenza Nord Africa hanno sollecitato una inevitabile riflessione sul tema. Il processo di 'snaturamento' subito dal fragile sistema di accoglienza italiano richiedeva un intervento di tipo strutturale, in modo tale da non trovarsi impreparato di fronte ai flussi migratori futuri. Nel "Documento di indirizzo per il passaggio alla gestione ordinaria dei flussi migratori" di richiedenti e titolari di protezione internazionale elaborato in sede di Conferenza Unificata nel mese di luglio del 2013, le parti convengono nell'obiettivo di "uniformare i sistemi di accoglienza [...] che di fatto operano su piani diversi e paralleli tra loro, per ricondurli al modello del sistema di accoglienza SPRAR, ritenuto una best practice anche a livello europeo". In conseguenza di ciò viene decretato da un lato un aumento dei posti all'interno del sistema dello SPRAR (purtroppo nettamente inferiore rispetto alla domanda) e la parallela realizzazione di centri (HUB) che forniscano servizi di informazione, assistenza legale e orientamento socio-lavorativo nell'attesa dell'inserimento in un progetto territoriale SPRAR.

Nel corso del 2013 i flussi migratori non sono diminuiti. Migliaia di persone, la maggioranza di esse provenienti dalla Siria, hanno sfidato la sorte, attraversando quel fazzoletto di mare che li divide dalla terra della speranza con imbarcazioni fatiscenti e sovraffollate. Centinaia di esse non ce l'hanno fatta: la cifra presunta dei migranti che nel 2013 hanno terminato il loro viaggio in quel cimitero chiamato Mediterraneo ammonta a 801 unità. (99) Di questi, 363 si trovavano sulla stessa nave: il 3 ottobre 2013 ha luogo uno degli eventi più tragici della storia dell'immigrazione degli anni recenti. Il bilancio del naufragio, avvenuto al largo dell'isola di Lampedusa, arriva a scuotere quell'opinione pubblica nazionale ed internazionale che pure era rimasta indifferente alle circa 3.000 persone che hanno perso la vita 'alla spicciolata' nei due anni precedenti, determinando l'avvio di un'operazione militare ed umanitaria denominata "Mare Nostrum".

L'operazione inizia ufficialmente il 18 ottobre dello stesso anno e si propone di "fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria in corso nello Stretto di Sicilia" attraverso una duplice missione: garantire la salvaguardia della vita in mare ed assicurare alla giustizia coloro che lucrano sul traffico illegale di migranti. L'operazione ha visto un impiego massiccio di mezzi e personale da parte della Marina Militare, dell'Esercito, dell'Aeronautica Militare, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera. L'azione di pattugliamento copriva una distanza di 170 miglia dalle coste italiane. Mare Nostrum, terminata il 1 novembre 2014, ha permesso di trarre in salvo più di 100.000 persone. Queste, una volta soccorse, venivano sbarcate in uno dei tre porti selezionati (Porto Empedocle, Pozzallo o Augusta), per poi essere trasferite nei centri di accoglienza Mare Nostrum che vedremo essere sorti sull'intero territorio nazionale. L'apprezzabile sforzo messo in campo dalle autorità italiane rispetta le norme di diritto sovranazionale che impongono di soccorrere le vite umane in difficoltà in mare.

A partire dall'ultimo trimestre del 2013, in cui viene registrato il numero più alto di arrivi registrato per singolo trimestre dal 2008, senza interrompersi nel corso dei primi mesi del 2014, il flusso di migranti intercettati attraverso le frontiere marittime è un chiaro segnale dell'inarrestabilità del fenomeno, che assume ancora una volta i tratti di un fenomeno strutturale. Ciò nonostante, la perdurante retorica dello stato di emergenza umanitaria, nasconde una difficoltà di ordine sistemico: si può affermare senza indugio che l'attuale situazione abbia le caratteristiche di un'emergenza strutturale. La scelta deliberata di operare in tal senso rende così giustificabile la sistematica messa in campo di interventi straordinari, in deroga alla normativa vigente. Tale impostazione si riversa ancora una volta sul sistema di accoglienza, che mantiene quel doppio binario, ordinario e straordinario, già sperimentato (e rivelatosi inefficace, irrazionale e costoso) nel corso dell'Emergenza Nord Africa. Come accaduto allora, anche in questo caso, sul fronte della determinazione dello status giuridico di migranti sbarcati, si è seguita in maniera indiscriminata la strada della richiesta della protezione internazionale. (100) Lo sforzo che ha portato ad un importante ampliamento del sistema strutturale dello SPRAR non si è rivelato, nemmeno sulla carta, sufficiente rispetto alle necessità. A ciò si aggiunga il ritardo (per mancata copertura finanziaria) nell'attivazione dei circa 7.000 posti aggiuntivi da attivarsi in caso di emergenza, in aggiunta ai 12.000 posti strutturali, elemento di elasticità previsto nel bando SPRAR 2014-2016.

Vista la saturazione dei centri governativi, la macchina dell'emergenza è pertanto ripartita: "a partire dal gennaio del 2014, il Ministero dell'Interno ha attivato, attraverso la messa in campo di risorse straordinarie, operazioni di accoglienza, coordinate territorialmente dalle Prefetture, che hanno dato vita a un sistema parallelo, collocando i richiedenti protezione internazionale in disparate strutture, anche alberghiere, con standard di accoglienza nettamente differenti da quelli richiesti nel sistema SPRAR e svincolate da una progettualità di lungo periodo che porti a un vero e proprio percorso di integrazione". (101) Gli enti gestori, a fronte di un contributo corrispondente a un importo massimo di € 30 per ogni migrante accolto, sono tenuti a fornire vitto, alloggio e assistenza generica alla persona (tra cui mediazione linguistica e assistenza legale), secondo quanto stabilito dal noto Capitolato generale d'appalto per i centri governativi di accoglienza dei migranti. (102)

A distanza di due mesi dalla precedente comunicazione, con circolare n. 2204 del 19 marzo 2014, il Ministero dell'Intero, considerata la saturazione delle 115 strutture provvisorie Mare Nostrum attivate, invita nuovamente le Prefetture a individuare ulteriori strutture al fine di garantire la prima accoglienza dei richiedenti asilo. La giustificazione che regge la necessarietà di un piano straordinario di distribuzione nazionale dei migranti è individuata nuovamente nella eccezionalità degli arrivi: "la decisione è ancora una volta conseguenza diretta della mancata riforma di norme non coordinate tra loro e della conseguente pluriennale mancanza di un piano nazionale di accoglienza dei richiedenti asilo e di integrazione sociale dei titolari di protezione internazionale" (103). Come già verificatosi nel corso dell'Emergenza Nord Africa, sono stati nuovamente indetti bandi pubblici per l'assegnazione degli appalti per la gestione delle strutture, con aste tendenti al ribasso. Attraverso la stipula di convenzioni ad hoc si è giunti alla creazione in via estemporanea di un sistema di accoglienza parallelo dedicato ai richiedenti protezione internazionale nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum.

Un'ulteriore criticità, che contribuisce ad alimentare il mantenimento di queste strutture temporanee, è data dal mancato rispetto delle tempistiche previste ex lege concernenti il procedimento volto al riconoscimento della protezione internazionale: l'appuntamento fissato dalle Questure per la preliminare formalizzazione della domanda, che avviene attraverso la redazione del cosiddetto modello C3 (104), viene accordato a distanza di diverse settimane dall'arrivo in struttura. Un'ulteriore patologica attesa riguarda la convocazione per sostenere l'audizione in Commissione Territoriale. Non riuscendo a far fronte alle numerose domande presentate, le date vengono fissate a distanza di diversi mesi dal momento della formalizzazione della domanda di asilo. (105)

Il 1 novembre 2014, l'operazione Mare Nostrum, visto il mancato appoggio da parte della Commissione Europea per la sua continuazione, nonostante le centinaia di migliaia di vite umane salvate, ha lasciato il testimone ad una operazione di minore portata, denominata Triton. Diversamente dalla prima, Triton ha abbassato il raggio di pattugliamento a 30 miglia dalla costa (così non estendendosi alle acque internazionali in prossimità delle coste libiche), coinvolge un numero di mezzi nettamente inferiore e vede un impiego di risorse finanziarie pari a un terzo rispetto a quelle precedentemente stanziate. È significativo in merito il fatto che la nuova operazione afferisca all'agenzia Europea Frontex, la cui mission si limita ad un'attività di controllo della frontiere, venendo così posto l'accento sul lato militare della missione rispetto a quello umanitario. La ratio ispiratrice dell'operazione Mare Nostrum, incentrata sull'attività di salvataggio dei migranti in pericolo di vita nell'attraversamento delle acque del Mediterraneo, si converte in una logica di stampo puramente securitario. Il passaggio di consegne tra le due operazioni non ha tuttavia inciso in maniera significativa sul fronte operativo, costituendo l'una la continuazione dell'altra, salvo il grave indebolimento della seconda quanto all'attività di soccorso in mare. Anche sul fronte dell'accoglienza, le strutture attivate nell'ambito di Mare Nostrum non sono state dismesse in conseguenza della sua chiusura e continuano ad accogliere i migranti che raggiungono le coste meridionali della penisola.

Diversamente dall'Emergenza Nord Africa, decretata in via ufficiale a causa del verificarsi del fenomeno della Primavera Araba e circostanziata al periodo 5 aprile 2011 - 31 dicembre 2012, la situazione di "emergenza umanitaria" invocata nel corso delle operazioni Mare Nostrum e Triton è continua. Se i presupposti per la decretazione dello stato di emergenza, infatti, sono da rinvenirsi tout court nell'entità dei flussi di migranti forzati che giungono sulle coste italiane, l'emergenza che informa il sistema di accoglienza italiano sarà forse chiusa quando verranno meno le ragioni che spingono milioni di persone a lasciare alle spalle la propria terra?

4. Da richiedenti asilo a titolari di protezione internazionale: quale accoglienza?

L'articolato ed eterogeneo sistema dei centri e delle strutture di accoglienza cui si è fatto riferimento fino ad ora, soprattutto per quanto concerne quello implementato in via straordinaria ed emergenziale, si rivolge principalmente a coloro che rivestono la condizione di richiedenti protezione internazionale. Nel momento in cui interviene una decisione da parte della Commissione Territoriale, si è visto come si debba differenziare il percorso a seguire a seconda dell'esito: laddove esso sia negativo, il richiedente potrà permanere nel circuito dell'accoglienza unicamente nel caso in cui presenti ricorso giurisdizionale avverso la decisione. Tuttavia, nel caso in cui sia decorso il termine previsto per l'accesso al lavoro (sei mesi dalla presentazione della domanda di protezione), l'accoglienza si interrompe, salvo che le condizioni fisiche non gli consentano il lavoro. In questo caso, infatti, si presume che il richiedente, essendo abilitato allo svolgimento di un'attività lavorativa, non necessiti più dei supporti garantiti in fase di accoglienza. Qualora venga riconosciuta una forma di protezione internazionale o la protezione umanitaria, la scarna normativa in materia ammette la possibilità di una prosecuzione delle misure di accoglienza per un periodo di sei mesi finalizzato all'inserimento in un percorso di autonomizzazione socio-economica, decorrente dalla notifica del provvedimento di riconoscimento. (106) In situazioni specifiche è possibile avanzare una richiesta di proroga del percorso: senza necessità di motivazione, nel caso in cui il beneficiario appartenga a una categoria vulnerabile, in casi eccezionali nel caso di beneficiari 'ordinari'.

Il Servizio di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati costituisce il perno dell'accoglienza di secondo livello di cui sono beneficiari i titolari di protezione. Nell'anno 2013 il 70% del totale (107) dei soggetti accolti nei progetti territoriali dello SPRAR era titolare di una forma di protezione. Rispetto agli anni precedenti, lo SPRAR ha visto una netta trasformazione in sistema di seconda accoglienza, visto la peculiare forma di accoglienza integrata che si impegna a fornire. Considerate le note carenze strutturali del sistema, al suo fianco sono stati finanziati isolati progetti, modellati sulla falsariga dei progetti SPRAR, cofinanziati dal Fondo Europeo per i Rifugiati e dal Ministero dell'Interno volti all'integrazione socio-economica di rifugiati e titolari di protezione sussidiaria. Il limite di questi progetti, tuttavia, è da rinvenirsi nella durata delle attività e nel numero dei beneficiari accolti.

Il post-accoglienza costituisce uno dei nodi più complessi del sistema asilo in Italia: "il percorso di integrazione dei beneficiari di protezione internazionale continua ad essere seriamente limitato e rappresenta una delle aree più problematiche del sistema" (108), cui devono sommarsi le difficoltà dovute alle contingenze economiche che il Paese sta attraversando, incidenti in misura maggiore o minore a seconda della collocazione geografica del progetto. La minoranza dei beneficiari rientra nel circuito dello SPRAR e viene avviata al lavoro attraverso tirocini formativi che tuttavia raramente si traducono in posizioni lavorative strutturate. Tale condizione di precarietà determina spesso proroghe nell'accoglienza, che nella prassi si verificano frequentemente, provocando uno stallo nel meccanismo di turn over che dovrebbe realizzarsi. Purtroppo la maggior parte dei titolari di protezione non ha accesso alla seconda accoglienza, che dovrebbe concentrarsi sulle competenze linguistiche e sull'inserimento lavorativo, elementi basilari per poter ambire a un inserimento socio-economico sul territorio: gli operatori del settore riportano che vi è uno scarto amplissimo tra la richiesta da accoglienza da parte dei titolari di protezione e la risposta che viene data a tale condizione di bisogno. (109)

L'assenza di un piano nazionale sulla tematica ha sicuramente inciso negativamente sulla possibilità di colmare la grave lacuna. Si è visto come un passo nella giusta direzione dia stato compiuto con il D.L.vo n. 18/2014 che ha apportato modifiche al Decreto Qualifiche, in particolare all'art. 29, con riguardo alle norme concernenti l'integrazione dei titolari di protezione laddove prevede che il Tavolo di coordinamento nazionale instaurato presso il Ministero dell'Interno predisponga almeno ogni due anni un Piano nazionale che individui "le linee di intervento per realizzare l'effettiva integrazione dei beneficiari di protezione internazionale, con particolare riguardo all'inserimento socio-lavorativo, anche promuovendo programmi di incontro tra domanda e offerta di lavoro, all'accesso all'assistenza sanitaria e sociale, all'alloggio, alla formazione linguistica e all'istruzione, nonché al contrasto delle discriminazioni". (110) L'unico intervento tangibile ad oggi è avvenuto in data 10 luglio 2014, quando è stato varato in sede di Conferenza Unificata il "Piano nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di migranti" che delinea l'articolazione del sistema di accoglienza in tre fasi: la prima di soccorso, gestita nei Centri di primo soccorso e assistenza nelle regioni di sbarco o limitrofe, seguita da una prima accoglienza e qualificazione dei cittadini stranieri presso centri regionali/interregionali (Hub) e in una fase di seconda accoglienza da attuare nell'ambito del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR), sistema unico per la seconda accoglienza, cui deve seguire, in caso di necessità, l'attivazione di ulteriori posti "anche attraverso il riassorbimento graduale di validi progetti di accoglienza attivati di recente ed in via di urgenza dalle Prefetture".

Un numero sempre crescente di titolari di protezione internazionale, a distanza di alcuni anni dal riconoscimento della protezione, esaurite le forme di accoglienza di cui poteva fruire in virtù della propria condizione giuridica, fatica a raggiungere un livello minimo di autonomia, orbitando nel circuito assistenzialistico delle grandi città e disperdendosi sul territorio. L'uguaglianza formale con il cittadino italiano che la normativa riconosce al rifugiato, non garantisce a un soggetto privo di reti familiari e sociali, neo arrivato sul territorio nazionale, spesso con disturbi sanitari importanti dovuti a quanto vissuto nel Paese d'origine, quantomeno sul fronte psicologico, parità di condizioni dal punto di vista sostanziale. Lo stato di maggiore precarietà si riscontra nel soggetto adulto solo, con problemi di salute, nella fascia di età dai 40 - 50 anni, che deve sperimentarsi in un mondo del lavoro ostile, con un livello di conoscenza della lingua italiana scarso. Si vedrà, secondo quanto emerso dalla ricerca compiuta sul campo, come molte di queste persone vivano in condizioni di marginalità, in sistemazioni improvvisate ovvero presso dormitori pubblici, altri finiscano addirittura per vivere in edifici abbandonati o per diventare senza tetto.

Note

1. I dati sono contenuti in UNHCR, Global Trends 2013.

2. Si veda UNHCR, Mid-Year trends, June 2014.

3. Per l'esattezza l'Afghanistan è il primo Paese di provenienza quanto a numero di rifugiati nel mondo in termini assoluti a far data dal 1980.

4. Tra gli altri, si veda il recente report a cura di Human Rights Watch: Unwelcome Guests. Iran's Violation of Afghan Refugee and Migrants Rights, November 20, 2013.

5. Esula dal presente lavoro un approfondimento riguardante il tema dell'assenza di canali umanitari per garantire la possibilità di fuggire dal proprio Paese in maniera sicura, evitando di mettere a repentaglio la propria vita nel percorso migratorio. È tuttavia inevitabile una riflessione, che non può che scaturire dalle inarrestabili tragedie che si consumano regolarmente nel nostro "Mare Monstrum", ove si stima che abbiano perso la vita almeno 21.439 persone [Dal blog di Fortress Europe]. L'accoglienza, di cui si tratta nel presente scritto, non costituisce la prima responsabilità cui debbono farsi carico i Paesi ospitanti nei confronti degli individui costretti a lasciare la propria terra. È inammissibile e inumana l'indifferenza con cui ci si limiti ad accogliere, con le criticità del caso, i 'sopravvissuti', in primis alla persecuzione subita nel proprio Paese d'origine, ma anche al viaggio che li ha condotti nel Paese ove chiedono protezione, piuttosto che aumentare le alternative legali ai rifugiati in cerca di salvezza in Europa.

6. I dati sono stati tratti da AIDA Asylum Information Database, Mind the gap: an NGO perspective on challenge to accessing protection in the Common European Asylum System, Annual Report 2013/2014.

7. Art. 3, Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti del 1984; Art. 3, Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (CEDU); Art. 9 par. 1, Protocollo alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale.

8. È ampio in proposito il dibattito circa il concetto di migrazione forzata qualora la stessa sia dettata da motivi non avulsi da problematiche di natura economica: fino a che punto si tratta di migrazione volontaria quando si è costretti a fuggire a causa della totale assenza di mezzi di sussistenza nel proprio Paese?

9. Per un approfondimento si veda Nescimbene B., Condanna senza appello della "politica dei respingimenti"? La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo Hirsi e altri c. Italia, Documenti IAI 12/02 marzo 2012.

10. Mori P., "Profili problematici dell'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale in Italia" in Il Diritto dell'Unione Europea, 1/2014, p. 129.

11. Schengen Handbook - Practical handbook for Border Guards (Schengen Handbook) to be used by Member States' competent authorities when carrying out the border control of persons.

12. Ex multis, si vedano i rapporti presentati da UNHCR, OIM, Save the Children, CRI, MEDU.

13. Raccomandazioni dell'UNHCR sugli aspetti rilevanti della protezione dei rifugiati in Italia, Luglio 2013, p.3. Si veda la decisione CEDU Sharifi contro Italia e Grecia del 21.10.2014.

14. Mori P., cit., p. 132.

15. Il Progetto Praesidium, nato nel 2005 su proposta del Ministero dell'Interno, d'intesa con OIM, UNHCR e CRI, era inizialmente previsto per la gestione degli arrivi nell'isola di Lampedusa. Il progetto, ancora attivo, è stato esteso a tutta la Sicilia, alla Puglia, alla Calabria e alla Sardegna e vede la collaborazione anche dell'ONG Save the Children, che presta tutela in particolare ai Minori Stranieri Non Accompagnati.

16. ASGI, Il diritto alla protezione. Studio sullo stato del sistema di asilo in Italia e proposte per una sua evoluzione, Giugno 2011, p. 56.

17. ASGI, Il diritto alla protezione. Studio sullo stato del sistema di asilo in Italia e proposte per una sua evoluzione, Giugno 2011, p. 32.

18. Raccomandazioni dell'UNHCR sugli aspetti rilevanti della protezione dei rifugiati in Italia, Luglio 2013, p. 7.

19. Considerando n. (26), Direttiva 2013/32/UE.

20. Vassallo Paleologo F., Note tecniche e risvolti operativi del progetto Praesidium, 2011.

21. Mori P., cit., p. 134.

22. ASGI, Il diritto alla protezione. Studio sullo stato del sistema di asilo in Italia e proposte per una sua evoluzione, Giugno 2011, p. 69.

23. Cfr. art. 6 co.1, D. L.vo 140/05.

24. L'espressione è tratta dal testo di Schiavone G., "Il diritto d'asilo in Italia dopo il recepimento nell'ordinamento delle normative comunitarie. Uno sguardo d'insieme tra il de iure e il de facto" in Mondi Migranti, 3/2009.

25. Hein C. (a cura di), cit., p. 230.

26. ASGI, Il diritto alla protezione. Studio sullo stato del sistema di asilo in Italia e proposte per una sua evoluzione, Giugno 2011, p. 123.

27. ASGI, Il diritto alla protezione. Studio sullo stato del sistema di asilo in Italia e proposte per una sua evoluzione, Giugno 2011, p. 122.

28. Si segnala che il CPSA di Lampedusa, a causa delle gravi condizioni in cui versava, oggetto di numerose inchieste, è stato chiuso per ristrutturazione nel 2014 per diversi mesi.

29. Save the Children, Lampedusa: Save the Children, condizioni inaccettabili per donne, neonati e minori non accompagnati stipati al CPSA dopo gli ultimi sbarchi, 28 novembre 2012.

30. Medici Senza Frontiere ha divulgato un comunicato con cui ha criticato duramente le procedure sanitarie all'interno del CPSA di Lampedusa. Per un approfondimento di veda Lampedusa: MSF indignata per il trattamento riservato ai migranti nel Centro di Accoglienza, 18 Dicembre 2013, in Medici Senza Frontiere Italia.

31. Raccomandazioni dell'UNHCR sugli aspetti rilevanti della protezione dei rifugiati in Italia, Luglio 2013, p.7.

32. Nel 2013 si calcola che dei 9.000 profughi Siriani giunti tra Malta e l'Italia, solo 695 abbiano presentato domanda di asilo in Italia.

33. Art. 4, Regolamento (CE) n. 2725/2000.

34. Il nuovo Regolamento EURODAC n. 603/2013, in vigore a partire dal 20 luglio 2015, riduce la discrezionalità degli Stati Membri, prevedendo all'art. 9 che "ciascuno Stato membro proced[a] tempestivamente al rilevamento delle impronte di ogni richiedente protezione internazionale [...] non appena possibile e in ogni caso entro 72 ore dalla presentazione della domanda di protezione internazionale".

35. Presidio Avvocatura - Lampedusa, Parere del 10 ottobre 2014 a cura del Gruppo di studio del Progetto Lampedusa, p. 11-12.

36. Si ricorda che allo straniero ospitato in un CARA viene rilasciato un attestato nominativo. La residenza nel centro permette al richiedente di uscire dallo stesso nelle ore diurne e può essere altresì autorizzato ad allontanarsi per un periodo di tempo superiore, dietro rilascio di uno speciale permesso da parte del prefetto.

37. Nel 2008 i CARA erano 6, situati a Pian del Lago (Caltanissetta), località Sant'Anna (Crotone), Borgo Mezzanone (Foggia), Gradisca d'Isonzo (Gorizia), Milano e Trapani.

38. Hein C. (a cura di), cit., p. 231.

39. Benvenuti M., cit., p. 58.

40. ASGI, Il diritto alla protezione. Studio sullo stato del sistema di asilo in Italia e proposte per una sua evoluzione, Giugno 2011, p. 125.

41. Art. 7 D.P.R. 16 settembre 2004, n. 303.

42. Benvenuti M., cit., p. 77.

43. I dati, aggiornati al mese di agosto 2014, sono contenuti in ANCI, Caritas Italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, Sprar, UNHCR, Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2014.

44. Cfr. Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani - Resoconto sommario n. 24 del 28/11/2013.

45. Si vedano le numerose inchieste condotte sul tema del "Business dell'accoglienza" dei richiedenti asilo.

46. Raccomandazioni dell'UNHCR sugli aspetti rilevanti della protezione dei rifugiati in Italia, Luglio 2013, p. 10.

47. La volontarietà dell'ingresso degli Enti locali nella rete SPRAR è considerato un aspetto di "estrema importanza" che distingue un sistema partecipato e condiviso che supera l'approccio top-down attraverso il quale i Governi centrali impongono di realizzare determinati interventi sulla scorta di un modello da loro ideato: qui il Comune promotore diventa il titolare del progetto anche a livello di idea progettuale.

48. Cfr. SPRAR.

49. CENSIS (a cura di), Primo Rapporto Annuale sul Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, Anno 2005, p. 22.

50. Dal 2001 al 2005 vigeva una sorta di regime transitorio basato sul finanziamento nei confronti degli enti locali facenti parte precedentemente del Programma Nazionale Asilo. Nel 2004 è stato possibile un ampliamento della rete anche grazie al finanziamento derivante dai fondi straordinari dell'Otto per Mille Irpef assegnati ad Anci e distribuiti agli enti locali che presentassero proposte progettuali.

51. Il Servizio Centrale riporta che molte persone già accolte nell'ambito dell'Emergenza Nord Africa figurano nel 2014 tra i soggetti in lista d'attesa per l'inserimento in un progetto territoriale Sprar. Ciò dimostra limpidamente il fallimento del sistema e il determinarsi di un circolo vizioso di assistenzialismo.

52. Il Ministero dell'Interno ha richiesto l'allargamento della rete SPRAR attivando posti straordinari nel dicembre 2012 (702 posti), maggio 2013 (800), giugno 2013 (900), luglio 2013 (1.000) e ottobre-novembre 2013 (1.000).

53. Cfr. Intesa tra il Governo, le Regioni e gli Enti locali sul documento di indirizzo per il passaggio alla gestione ordinaria dei flussi migratori non programmati (richiedenti/titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati), 11 luglio 2013.

54. Allegato A del Bando SPRAR per il triennio 2014-2016, Linee Guida per la presentazione delle domande di contributo per il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, pp. 2-6.

55. Nel 2013, del totale delle persone accolte, il 30% era richiedente protezione internazionale il 26% titolare di protezione sussidiaria, il 24% titolare di protezione umanitaria, il restante 20% titolare di status di rifugiato.

56. L'organizzazione per la tutela dei diritti umani Human Rights Watch denuncia in recenti report l'aumento della meschina arma dello "stupro di massa" nei confronti delle donne. In Congo, in particolare, si registra un'escalation della violenza negli ultimi anni. Ciò ha spinto un coraggioso ginecologo congolese, Denis Mukwege, a occuparsi delle vittime in un centro da egli fondato. Nonostante le minacce di morte e gli attentati subiti, il Dott. Mukwege si occupa della salute delle donne che hanno subito violenza sessuale da sedici anni e nel mese di novembre 2014 è stato insignito del premio Sakharov assegnato dall'Unione Europea in segno di riconoscimento per la sua missione.

57. Art. 8 comma 2, D. L.vo n. 140/05.

58. ANCI, Caritas Italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, Sprar, UNHCR, Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2014, p. 171.

59. A questo si aggiungano le difficoltà dovute alla scarsa conoscenza della lingua italiana a causa della recente immigrazione e l'ubicazione dei CARA, spesso ai margini delle città e al servite dal trasporto pubblico.

60. I dati si riferiscono all'intervista alla Direttrice del Servizio Centrale dello SPRAR riportata da Asilo in Europa.

61. Petrović N., cit., p. 40.

62. Nel contesto italiano gli interessi finanziari non si esauriscono in ambito governativo, ma una recentissima inchiesta ancora in corso ha individuato stretti legami con la criminalità organizzata mafiosa e il suo ruolo nella gestione dei centri di accoglienza, a partire dalla cd. Emergenza Nord Africa.

63. ANCI, Caritas Italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, Sprar, UNHCR, Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2014, p. 19.

64. Si consideri che negli otto centri attivati in Puglia e Basilicata erano ospitate circa 12.000 persone.

65. Da una Relazione governativa emerge come delle 18.000 domande presentate da cittadini albanesi, solo 600 possedessero i requisiti per essere accolte.

66. Cfr. Circolare del Ministero dell'Interno del 15 Aprile 1991.

67. Cfr. Circolare del Ministero dell'Interno del 28 novembre 1991.

68. In particolare vengono finanziati interventi in favore degli "sfollati" accolti connessi alla ricezione, al trasporto, all'alloggio, al vitto, al vestiario, all'assistenza igienico-sanitaria e all'assistenza socio-economica.

69. Hein C. (a cura di), cit., p. 192.

70. D.P.C.M. 12 maggio 1999 Misure di protezione temporanea, a fini umanitari, da assicurarsi nel territorio dello Stato a favore delle persone provenienti dalle zone di guerra dell'aera balcanica.

71. Decreto del Ministero degli Affari Esteri del 9 settembre 1992.

72. ANCI, Caritas Italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, Sprar, UNHCR, Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2014, p. 31.

73. Per un approfondimento sulla condizione degli emigrati italiani all'estero si veda, ex multis, il noto saggio di Stella G., L'Orda. Quando gli albanesi eravamo noi, Milano, Rizzoli, 2003.

74. Hein C. (a cura di), cit., p. 76.

75. Cfr. Dpcm del 25 luglio 2008.

76. I dati riportano che il numero delle persone sbarcate negli anni 2009 e 2010 ammonta rispettivamente a 9.573 e 4.406 unità, rispetto ai 36.951 del 2008.

77. Si veda supra Cap. 2, par. 1.1.

78. In particolare vennero modificate alcune disposizioni del D.L.vo n. 25/08 in materia di trattenimento dei richiedenti asilo e venne inasprita altresì la disciplina del ricorso giudiziario avverso il diniego della protezione internazionale.

79. Si ricordi come i Paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati al mondo siano, in ordine decrescente, Pakistan, Iran, Libano e Giordania. Nei Paesi Europei il primato è detenuto dalla Germania, seguita da Francia e Svezia. Fonte: UNHCR, Mid-Year trends, June 2014.

80. Campesi G., The Arab Spring and the Crisis in the European Border regime: Manifacturing Emergency in the Lampedusa Crisis, EUI Working Paper RSCAS 2011/59.

81. Cfr. Dpcm del 5 apile 2011: misure di protezione temporanea per i cittadini straneri provenienti dai Paesi nordafricani.

82. Ex art. 11, comma 1, lett. c-ter), DPR 31 agosto 1999, n. 394.

83. Al contrario, qualora i migranti tunisini fossero stati incanalati nel procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale tale ricongiungimento sarebbe stato ostacolato dal Regolamento di Dublino, in forza del quale, salvo limitate clausole umanitarie, il richiedente è vincolato a vedere esaminata la propria domanda dal Paese di primo ingresso.

84. ASGI, Rilasciare il permesso di soggiorno per motivi umanitari agli stranieri fuggiti dai paesi arabi in rivolta, Documento del Consiglio Direttivo del 24 novembre 2011.

85. Alcuni di essi, invece, si trovavano in Libia da meno tempo, 'bloccati' dal "Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione" siglato il 30 agosto 2008 tra il Governo italiano e la Libia di Gheddafi che sanciva l'intensificarsi della collaborazione fra i due Paesi nel controllo alle frontiere per contrastare l'immigrazione irregolare.

86. Ciò nonostante il fatto che il numero delle Commissioni Territoriali sia stato aumentato al fine di fronteggiare il boom di domande presentate: alle 10 Commissioni già istituite (Gorizia, Milano, Roma, Foggia, Siracusa, Crotone, Trapani, Bari, Caserta e Torino) sono state aggiunte 5 sezioni ai sensi dell'art. 2 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3958 del 10 agosto 2011.

87. Si segnala tuttavia un'illuminata Ordinanza della Corte d'Appello di Cagliari del 18 maggio 2012 in cui si esamina il caso di un cittadino guineano che a lungo aveva vissuto in Libia, in cui si era trasferito esclusivamente per motivi economici e da dove è stato costretto a fuggire a causa dello scoppio della guerra civile. La Corte ha concesso la sospensiva al richiedente asilo in sede di ricordo affermando che "non risulta [...] manifestamente infondata l'equiparazione fra cittadini libici e coloro che, pur non libici, vivevano stabilmente da anni in detto luogo".

88. ANCI, Caritas Italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, Sprar, UNHCR, Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2014, p. 42.

89. Ordinanza del Capo Dipartimento della Protezione Civile n. 33 del 28 dicembre 2012.

90. Vassallo Paleologo F., Diritti sotto sequestro - Oltre lo stato di diritto: dall'emergenza umanitaria all'emergenza democratica, in Melting Pot Europa, 5 marzo 2013.

91. Campesi G., cit., pp. 10-11.

92. Vassallo Paleologo F., Diritti sotto sequestro - Oltre lo stato di diritto: dall'emergenza umanitaria all'emergenza democratica, in Melting Pot Europa, 5 marzo 2013.

93. Cfr. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, Piano per l'accoglienza dei migranti. In attuazione dell'accordo Stato Regioni Enti Locali del 6 aprile 2011, 12 aprile 2011, Tabella 1, p. 6.

94. I servizi offerti devono prevedere, oltre a vitto, alloggio e assistenza sanitaria, un servizio di mediazioni linguistica/culturale e di informativa dei diritti e doveri del richiedente, un servizio di sostegno socio-psicologico, l'organizzazione di attività ludico-ricreative, l'insegnamento della lingua italiana, l'orientamento al territorio e informazioni sulle possibilità di inserimento nello SPRAR.

95. Un cenno è dovuto alla recentissima inchiesta che a Roma ha visto coinvolta la criminalità organizzata nella gestione dell'Emergenza Nord Africa, dove è emerso come gli appalti fossero stati spartiti ai piani alti tra alcune cooperative collegate al sistema criminale. Per un approfondimento si vedano le inchieste de L'Espresso, "Gli immigrati rendono più della droga". La mafia nera nel business accoglienza, 2 dicembre 2014 e di Internazionale, Il grande affare dei centri di accoglienza, 3 dicembre 2014.

96. Il contributo massimo giornaliero erogato all'ente gestore per ciascun migrante accolto ammontava a €40,00. In realtà, come ricorda Vassallo Paleologo: "si è giunti a pagare agli enti gestori anche 46 euro al giorno per un immigrato adulto e fino ad 80 euro al giorno per un minore accompagnato, spesso senza che fosse neppure garantita la consulenza legale, l'assistenza psicologica e i percorsi di formazione ed inserimento che pure si sarebbero dovuti erogare in base allo schema tipo di convenzione predisposto dal ministero dell'interno" in Diritti sotto sequestro - Oltre lo stato di diritto: dall'emergenza umanitaria all'emergenza democratica, in Melting Pot Europa, 5 marzo 2013.

97. ANCI, Caritas Italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, Sprar, UNHCR, Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2014, p. 40.

98. Cfr. Ordinanza del Capo Dipartimento della Protezione Civile n. 33 del 28 dicembre 2012. Regolamento della chiusura dello stato di emergenza umanitaria e rientro nella gestione ordinaria da parte del Ministero dell'interno e altre amministrazioni competenti.

99. Il dato è stato estrapolato dal blog curato da Gabriele Del Grande, Fortress Europe.

100. Si anticipa brevemente come la fase della rilevazione delle impronte digitali sia stata caratterizzata da tensioni crescenti. La maggior parte dei cittadini siriani si rifiutava di venire identificata in Italia, essendo consapevole delle conseguenze che sarebbero scaturite in forza dell'applicazione del Regolamento di Dublino e volendo raggiungere il Nord Europa. Per un approfondimento si veda: Vassallo Paleologo F., Mare Nostrum - Luci e ombre sulle modalità operative, in Melting Pot Europa, 28 ottobre 2013.

101. ASGI, Parlamento, Governo e UE potenzino subito il sistema italiano per il diritto d'asilo. Raccomandazioni e richieste dell'ASGI, 12 aprile 2014.

102. Cfr. Circolare del Ministero dell'Interno n. 104 del 8 gennaio 2014.

103. ASGI, Senza un adeguato sistema di accoglienza sono a rischio i diritti dei rifugiati, Comunicato Stampa del 24 marzo 2014.

104. Il modello C3 contiene delle dichiarazioni da parte del richiedente protezione internazionale attinenti le proprie generalità, la composizione del proprio nucleo familiare, l'ingresso in Italia, il viaggio compiuto, nonché le motivazioni che lo hanno spinto a lasciare il proprio Paese d'origine.

105. Il numero di Commissioni Territoriali è stato incrementato, passando dalle dieci attuali fino a venti. Si prevede che le nuove sedi divengano operative nei primi mesi del 2015.

106. DM 22/07/2008, come modificato dal DM 05/08/2010, Linee-guida per la presentazione delle domande di contributo per il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo.

107. Nello specifico, il 20% del totale era titolare dello status di rifugiato, il 24% di protezione umanitaria e il 26% di protezione sussidiaria.

108. Raccomandazioni dell'UNHCR sugli aspetti rilevanti della protezione dei rifugiati in Italia, Luglio 2013, par. 6.

109. ASGI, Il diritto alla protezione. Studio sullo stato del sistema di asilo in Italia e proposte per una sua evoluzione, Giugno 2011, p. 299.

110. Art. 29 comma 3, D.L.vo n. 251/07.