ADIR - L'altro diritto

Note tecniche e risvolti operativi del progetto Praesidium

Fulvio Vassallo Paleologo, 2011

Premessa

Negli anni 2004 (ottobre in particolare) e 2005 (fino al mese di marzo) il governo italiano eseguiva centinaia di espulsioni collettive direttamente da Lampedusa verso la Libia, e quindi nel 2005, secondo quanto rilevato dalla Relazione annuale della Corte dei conti, finanziava oltre 5000 operazioni di rimpatrio dalla Libia verso i paesi di origine dei migranti, in gran parte potenziali richiedenti asilo. Seguivano quindi severe denunce da parte delle agenzie umanitarie per questo comportamento contrario agli obblighi di protezione internazionale ai quali anche l'Italia era soggetta, e alcuni ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (in particolare caso Hussun/Italia), che però si concludevano con un nulla di fatto, per la impossibilità di mantenere i contatti con i ricorrenti destinatari delle misure di allontanamento forzato.

Nell'aprile 2005 il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione critica sulle espulsioni collettive eseguite dall'Italia sulla base di un accordo informale con le autorità libiche, mentre un rapporto pubblicato lo stesso anno dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Alvaro Gil-Robles, ribadiva la condanna della pratica delle espulsioni collettive.

Numerose inchieste giornalistiche, si pensi ai report di Fabrizio Gatti sull'Espresso, documentavano sia le condizioni disumane nelle quali erano trattenuti gli immigrati sbarcati a Lampedusa e rinchiusi nel vecchio CIE ubicato all'interno dell'area aeroportuale, che la sorte ancora peggiore che attendeva gli immigrati deportati dall'Italia in Libia, e da qui avviati verso i loro paesi di origine, o rimessi ancora una volta nelle mani dei trafficanti collusi con le forze di polizia che ne permettevano il ritorno in Italia. Elevatissimo in quegli anni il numero dei migranti morti nel deserto libico, o durante i tentativi di raggiungere l'Italia.

Questa premessa è necessaria per comprendere le ragioni che hanno spinto il governo italiano ad avviare nel 2006 il progetto Praesidium, ed anche la sua mutevole portata nel tempo, a seconda della legislazione che nel tempo è stata profondamente modificata, basti pensare oltre ai vari pacchetti sicurezza approvati nel tempo, come la legge 94 del 2009, l'attuazione della Direttiva comunitaria sulle procedure, con il decreto legislativo n.25 del 2008, e da ultimo l'attuazione ancora incompiuta della Direttiva sui rimpatri 2008/115/CE, attualmente all'esame del Parlamento.

Una valutazione del progetto Praesidium deve quindi tenere conto delle diverse fasi politiche che ha attraversato, e delle profonde modifiche del quadro normativo. Da ultimo, a partire dal mese di gennaio del 2011, si devono segnalare rilevanti modifiche delle prassi di polizia, anche per effetto delle ordinanze di protezione civile che sono state emesse con cadenza sempre più ravvicinata, fino al punto di trasformare tendopoli già esistenti in centri di identificazione ed espulsione “temporanei” (a Trapani-Kinisia, a Santa Maria Capua Vetere ed a Palazzo San Gervaso, in provincia di Potenza). Appare rilevante anche la utilizzazione delle navi come CIE galleggianti. Con queste navi migliaia di migranti, minori compresi, sono stati trasferiti da Lampedusa verso altre località italiane in condizioni detentive, anche quando si trattava di persone in condizioni sanitarie che destavano preoccupazione.

Le nuove prassi di polizia, imposte direttamente dal Ministero dell'Interno a partire dal gennaio 2009, e la pioggia di ordinanze di protezione civile che nel 2011 hanno rivoluzionato il sistema d'accoglienza dei richiedenti asilo e dei minori non accompagnati, con un diffuso ricorso alla detenzione amministrativa anche in casi che prima erano affrontati esclusivamente con misure di accoglienza, ha profondamente mutato ruolo e funzioni delle organizzazioni che lavorano dentro il progetto Praesidium, in modo più evidente nell'isola di Lampedusa.

Appare poi esplosiva la situazione dei richiedenti asilo trasferiti da diverse regioni italiane nel mega CARA di Mineo. E non si tratta solo di ritardi nella procedura che producono esasperazione, quando si tratta di attendere un anno per la definizione della propria pratica in condizione di vita che sono sostanzialmente da ghetto, malgrado il tono esteriore delle residenze utilizzate. Le persone trattenute nel nuovo CARA/CPA non hanno neppure il permesso di alimentarsi autonomamente cucinando nelle proprie abitazioni.

Appare poi contrario con la Direttiva sull'accoglienza 2003/9/CE, che fissa termini precisi per l'accoglienza, e con la direttiva sulle procedure, attuata con il decreto legislativo 25 del 2008, il trasferimento a Mineo di richiedenti asilo da altri cara di Italia, anche di soggetti vulnerabili già sottoposti a trattamenti sanitari o in attesa di eseguire analisi cliniche, per lamentate torture o maltrattamenti, senza che poi sia stato consentito loro di eseguirle.

2. La prima fase della progettazione di Praesidium

Nel 2005 il Ministero dell'Interno rivolgeva un invito all'OIM (Organizzazione internazionale delle migrazioni ed alla ACNUR (Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite) inteso ad assicurare una presenza di queste organizzazione nell'isola di Lampedusa dove venivano portati abitualmente i migranti irregolari giunti via mare, generalmente per ragioni di primo soccorso ed accoglienza, dopo essere stati recuperati in alto mare da unità militari italiane.

A seguito delle intese avviate, il ministero dell'interno, congiuntamente alle organizzazioni individuate quali partner progettuali, OIM, UNHCR e CRI, ha presentato nel 2005 alla Commissione Europea il Progetto “Praesidium - Potenziamento dell'accoglienza rispetto ai flussi migratori che interessano l'isola di Lampedusa” per il quale ha ricevuto un finanziamento nell'ambito del Programma ARGO. Il progetto nella sua prima annualità è stato avviato solo nell'isola di Lampedusa e si è concluso il 28 febbraio 2007.

Nel 2006 proseguiva la collaborazione del ministero dell'interno con il Progetto “Praesidium II - Consolidamento delle capacità di accoglienza rispetto ai flussi migratori che interessano l'isola di Lampedusa e altri punti strategici di frontiera sulle coste siciliane”, che riceveva un finanziamento nell'ambito del predetto programma ARGO, estendendo l'attività delle tre Organizzazioni anche in altre aree della Sicilia con possibilità di intervento sulle coste interessate dagli eventuali arrivi di migranti irregolari, per l'annualità dal 1 marzo 2007 al 28 febbraio 2008.

Dal 1º marzo 2006 l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite (UNHCR) insieme ai partner Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM/IOM) e Croce Rossa Italiana (CRI) ha stabilito una presenza fissa nel Centro di Primo Soccorso e Accoglienza di Lampedusa d'intesa con il Ministero dell'Interno. Praesidium mirava al rafforzamento delle capacità di accoglienza e dei servizi per coloro che arrivavano a Lampedusa nel contesto dei cosiddetti “flussi migratori misti” secondo l'approccio multi-agenzia che caratterizza il Progetto.

Le attività dell'UNHCR, in particolare, erano rivolte alle persone in fuga da persecuzioni, violazioni dei diritti umani e conflitti armati, al fine di informarle sulla procedura di asilo italiana. Nella seconda edizione di questo progetto, partito nel marzo 2007, le attività del progetto sono state estese a tutta la Sicilia e, dal marzo 2008, anche alla Puglia, alla Calabria ed alla Sardegna, tramite dei team mobili.

Nel 2007 l'UNHCR ha rafforzato il proprio lavoro nel settore dell'informazione attraverso un progetto complementare sviluppato in collaborazione con l'Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (ASGI) e l'OIM. Il progetto è stato finanziato dall'Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) e sostenuto dal Ministero dell'Interno e dal Servizio Centrale del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR). Un obiettivo chiave del progetto era costituito dallo sviluppo di materiale informativo destinato a richiedenti asilo e a coloro che forniscono loro servizi, così come corsi di formazione per operatori di consulenza legale e altre persone responsabili di fornire servizi a questi gruppi di persone. Purtroppo negli anni successivi non è stato più possibile ripetere quell'esperienza che, soprattutto in alcune strutture come il centro polifunzionale (CIE, CARA, CID) di Caltanissetta-Pian del lago, aveva prodotto un significativo miglioramento delle prassi e dei rapporti tra gli operatori.

Alla fine del 2007 il tempo trascorso dai migranti sbarcati o tratti in soccorso a Lampedusa era stato ridotto a una media di due o tre giorni. Una durata esemplare che purtroppo negli ultimi tempi è passata a due o tre mesi, senza che da parte delle organizzazioni coinvolte nel progetto venisse elevata una decisa presa di posizione pubblica, a parte i periodici comunicati di Save The Children sulla ingiustificata permanenza dei minori non accompagnati nei centri di Contrada Imbriacola e nella ex base Loran.

Dal 2008 è subentrato, come nuovo partner del progetto, Save the Children Italia, con il compito di occuparsi dei minori, in particolare dei minori non accompagnati. I team, normalmente formati da un operatore e un mediatore culturale, oltre ad intervenire al momento dello sbarco dei migranti e richiedenti asilo, offrono anche assistenza agli ospiti nei vari centri di accoglienza. Le principali attività del progetto consistono nel fornire informazioni e consulenza legale ai nuovi arrivati, nell'individuazione delle persone vulnerabili e nella formazione degli operatori dei centri.

Va segnalato il crescente “raccordo” intercorso tra le attività poste in essere dai team delle quattro Organizzazioni e quelle condotte dagli appartenenti alle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera, Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Marina Militare, Asl ed Enti Gestori, durante tutte le fasi del percorso migratorio, dal soccorso in mare all'ospitalità presso i vari Centri di destinazione. Tra questi soggetti e le organizzazioni di Praesidium vengono svolte frequenti riunioni operative. Questa prassi accentua il rischio di un distacco, se non di una vera e propria contrapposizione con altre associazioni che pure operano nel campo dell'accoglienza e dell'assistenza ai migranti, non solo sul piano locale, ma anche a livello nazionale, che però non sono convenzionate con il Ministero dell'interno o non vogliono convenzionarsi pur avendone in astratto la possibilità.

In particolare, emerge il ruolo in Praesidium del ministero dell'interno, quindi delle questure, delle prefetture e degli uffici immigrazione.

Diverse le competenze dei diversi enti coinvolti in Praesidium e diversi i rapporti con le forze di polizia, anche se le riunioni periodiche vedono la partecipazione di tutti i partner.

L'intervento dell'UNHCR a Lampedusa consiste nel:monitorare nelle zone interessate dal Progetto il buon funzionamento del sistema di accoglienza nel contesto dei flussi misti in arrivo via mare; fornire ai migranti potenziali richiedenti asilo informazioni di carattere generale sulla possibilità di fare domanda di protezione internazionale in Italia, sulla procedura stessa e sui relativi diritti e doveri previsti dalla normativa italiana, comunitaria ed internazionale;fornire informazioni specifiche a potenziali richiedenti asilo tramite colloqui individuali;realizzare e divulgare materiale informativo secondo le rispettive competenze istituzionali, in maniera coordinata e, ove opportuno, in modo congiunto con altri partner progettuali, sotto l'egida del Ministero dell'Interno;contribuire all'individuazione di richiedenti asilo e di persone vulnerabili;contribuire all'individuazione, in collaborazione con i partner del progetto, ed alla segnalazione di vittime di tratta, di violenza sessuale e di genere, nonché vittime di trauma, tortura e minori non accompagnati, potenziali richiedenti asilo; svolgere, sulla base del coordinamento operato dal Ministero dell'Interno ed in sinergia con le altre organizzazioni, attività di sensibilizzazione e di formazione degli operatori che, a vario titolo, assistono richiedenti asilo, rifugiati, beneficiari di protezione sussidiaria e i migranti di cui al comma 8 sulle tematiche afferenti al proprio mandato istituzionale.

In un recente rapporto di valutazione si osserva come l'UNHCR dovrebbe concentrarsi sempre di più sull'offerta di sostegno tecnico agli operatori legali attivi nei centri d'accoglienza e sul monitoraggio dell'offerta di tali servizi, piuttosto che sulla gestione di un servizio parallelo d'informazione e consulenza. Comunque il coinvolgimento diretto con i beneficiari dovrebbe essere mantenuto e la formazione sul posto di lavoro (on the job) - anche attraverso l'affiancamento del personale dell'UNHCR da parte degli operatori legali dovrebbe essere incoraggiata.

L'azione di Save the Children, nell'ambito della VI fase del Progetto Praesidium, è volta in generale a rafforzare la protezione dei minori stranieri giunti in Italia via mare, siano essi soli o accompagnati da genitori, consolidando le buone prassi sviluppate nelle annualità precedenti.

In particolare, gli operatori di Save the Children (un operatore legale e un mediatore culturale) intervengono nelle operazioni immediatamente successive agli sbarchi, in team congiunti con le Organizzazioni partner del progetto, contribuendo a garantire ai migranti informazioni immediate, verificando che i minori non accompagnati vengano identificati come tali e che sia garantito il mantenimento dell'unità familiare. Save the Children fornisce ai minori non accompagnati informazioni sui loro diritti, sui rischi legati alla tratta di esseri umani e grave sfruttamento e sulla protezione internazionale, attraverso colloqui individuali e sessioni di informazione collettiva; garantisce assistenza legale ai casi che necessitano di interventi specifici (ad esempio, minori erroneamente identificati all'arrivo e minori in situazione particolarmente vulnerabile da riferire alle strutture competenti).

Nelle comunità alloggio in cui i minori giunti via mare vengono trasferiti, Save the Children svolge attività di monitoraggio degli standard di accoglienza, producendo periodicamente Rapporti che vengono diffusi pubblicamente e che comprendono anche un aggiornamento puntuale dei dati relativi alla presenza e all'allontanamento di minori stranieri non accompagnati collocati in tali strutture. Per la realizzazione del monitoraggio vengono adottati strumenti metodologici di rilevazione basati sugli standard nazionali e internazionali di tutela dei diritti dei minori e vengono utilizzati due database informatici, predisposti nelle precedenti annualità progettuali: uno con i dati relativi a ciascun minore giunto via mare e collocato in comunità alloggio, in base alle comunicazioni sui collocamenti fornite dalla Questura di Agrigento, l'altro con l'indicazione dei servizi offerti dalle diverse comunità. La metodologia utilizzata per l'indagine prevede, oltre alle visite nelle comunità, l'acquisizione di dati attraverso contatti con Questure e giudici tutelari. Le aree di indagine, oggetto delle domande rivolte ai minori, agli enti gestori delle comunità e ai menzionati soggetti istituzionali, seguono il percorso del minore in Italia: dalle segnalazioni agli organi competenti previste dalla legge, al rilascio del permesso di soggiorno fino alle condizioni di inserimento lavorativo.

Save the Children fornisce inoltre supporto, in termini di consulenza legale e mediazione culturale, agli operatori delle comunità alloggio per minori, al fine di migliorare la tipologia dei servizi offerti, nonché intervenendo su casi specifici e sviluppa attività di consultazione con i minori nel rispetto del loro diritto alla partecipazione e all'ascolto.

Nei Centri per Migranti (CIE, CARA, CPSA, CDA) gli operatori di Save the Children: contribuiscono all'individuazione di minori non accompagnati erroneamente identificati come maggiorenni ed ivi trattenuti, offrendo loro assistenza legale; congiuntamente con le Organizzazioni partner del progetto, monitorano le procedure e gli standard di accoglienza dei nuclei familiari con minori promuovendo lo sviluppo di un sistema di procedure standardizzate applicabili.

L'intervento dell'OIM comprende l'informazione e l'orientamento legale in favore di migranti, l'individuazione di gruppi vulnerabili, quali le vittime della tratta e di sfruttamento lavorativo, nonché, in collaborazione con le agenzie partner, l'assistenza ai minori non accompagnati. L'OIM inoltre continua a svolgere l'attività di monitoraggio degli standard di accoglienza dei centri per l'immigrazione che si trovano nelle aree interessate dal Progetto. L'OIM promuove congiuntamente con i partner del progetto il documento “Raccomandazioni e Buone Prassi per la Gestione dei Flussi Migratori Misti”, supportando la sistematizzazione degli interventi a livello locale.

Una specifica attenzione è rivolta all'assistenza delle vittime della tratta e, in collaborazione con le autorità giudiziarie competenti, alla definizione di nuove strategie di contrasto del fenomeno del traffico di esseri umani e dello sfruttamento, come ad esempio la stipula di protocolli di intesa ad hoc con le Procure ordinarie e le Procure Distrettuali antimafia (già finalizzati Protocolli d'intesa con la Procura Generale di Palermo e Reggio Calabria).

L'intervento dell'OIM è volto ad assicurare che:

  • i migranti siano informati sui loro diritti e doveri e sui rischi legati all'ingresso e alla permanenza irregolare in Italia;
  • le vittime di tratta e di sfruttamento lavorativo siano identificate e riferite alle forze dell'ordine, laddove possibile e inserite in percorsi di protezione ai sensi dell'art. 18 del D.Lgs 286/98 e art. 13 della legge 228/2003;
  • le forze dell'ordine, le Procure, le altre istituzioni e associazioni di categoria competenti definiscano degli indicatori di sfruttamento lavorativo condivisi volti ad una più agevole identificazione delle vittime, nell'ambito della normativa vigente (art. 22 legge 286/98 e art. 600 c.p novellato dalla legge 11 agosto 2003, n. 228) e in linea con quanto previsto dalle nuove disposizioni comunitarie in materia;
  • le istituzioni locali, la società civile e gli operatori dei centri siano in grado di identificare possibili soggetti vulnerabili per riferirli alle autorità competenti;
  • le Ambasciate ed i Consolati dei paesi di origine prestino la propria collaborazione per l'emissione di documenti necessari alla regolarizzazione di soggetti vulnerabili (minori non accompagnati, vittime di tratta, ecc.), ove necessario e richiesto;
  • i centri e le strutture che accolgono i migranti - presenti nelle Regioni di riferimento dell'OIM - rispondano a standard di accoglienza nel rispetto dei diritti fondamentali dei migranti;
  • le forze dell'ordine, le autorità locali e gli enti gestori siano informati e dotati degli strumenti necessari per comprendere la complessità dei flussi migratori misti.

La Croce Rossa Italiana ha svolto, prevalentemente, attività di carattere socio-sanitario, di monitoraggio del trattamento e delle procedure di accoglienza, di informazione ed orientamento in favore di persone coinvolte nel fenomeno migratorio, fornendo un particolare supporto ai minori non accompagnati (anche in relazione alle procedure mediche per l'accertamento della minore età) ed alle donne sole o con minori al seguito.

1,2 Nel periodo 2007-2008 il progetto Praesidium si poneva al centro della strategia del governo Prodi di attuare una migliore accoglienza dei migranti, al 70 per cento richiedenti asilo secondo stime dell'ACNUR, nell'isola di Lampedusa e quindi nel resto d'Italia. Il modello Lampedusa veniva esibito dal prefetto Morcone, della direzione generale dell'immigrazione, come un modello da seguire anche a livello internazionale.

Rispondendo ad una interrogazione alla Camera il 20 dicembre 2007, sull'arresto di alcuni pescatori tunisini che avevano tratto in salvo decine di migranti in procinto di annegare, la sottosegretaria al ministero dell'interno, con delega per l'immigrazione, Lucidi osservava che “per quanto riguarda l'accesso delle organizzazioni di tutela dei migranti ai centri per immigrati, presso il centro di Lampedusa sono operativi i presidi dell'ACNUR, della Croce Rossa Italiana e dell'Organizzazione internazionale delle migrazioni, con i quali il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ha sottoscritto, sin dal 23 febbraio 2006, singole convenzioni bilaterali nell'ambito del progetto comunitario Argo 2005, che si è concluso lo scorso 28 febbraio. In virtù degli ottimi risultati raggiunti, la Commissione europea ha rinnovato il finanziamento del programma Argo 2006, dal 1 marzo 2007 al 1º marzo 2008, per il prosieguo del progetto denominato Praesidium II - Consolidamento delle capacità di accoglienza rispetto ai flussi migratori che interessano l'isola di Lampedusa ed altri punti strategici di frontiera sulle coste siciliane. In tal modo, si estende il raggio di attività delle tre organizzazioni anche ad altri centri di accoglienza per immigrati irregolari della Sicilia, quali Trapani, Caltanissetta, Siracusa, con possibilità di intervenire sulle coste interessate da eventuali sbarchi clandestini. In base a tale iniziativa le tre organizzazioni suddette prestano il proprio contributo per potenziare il sistema di accoglienza di migranti irregolari, e, nello specifico, per fornire un primo orientamento legale ai migranti, comprensivo di un supporto informativo sulla legislazione italiana in tema di immigrazione clandestina, tratta di esseri umani e riduzione in schiavitù, nonché sulle procedure di ingresso regolare in Italia. Vengono, inoltre, illustrate le possibilità del ritorno volontario o concordato nel Paese di origine e nello stesso tempo vengono individuati i gruppi vulnerabili ai fini dell'adozione di opportune iniziative di tutela. Sull'attività svolta è assicurato un costante monitoraggio, con particolare attenzione alla conformità ed al rispetto dei diritti umani”. Nella stessa occasione si ricordava come fosse in corso di approvazione, da parte della Commissione europea, il progetto Praesidium III, che sarebbe poi entrato in vigore il 10 marzo 2008, con scadenza 2009 e per ampliare il raggio di intervento delle tre organizzazioni, oltre alla Sicilia e alla Calabria, anche alla Puglia e alla Sardegna.

La sottosegretaria concludeva che il Ministero dell'interno, per contribuire alla creazione di un diritto di asilo comune a livello europeo, opera nello spirito delle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere: si fa riferimento, in questo ambito, ai testi normativi approntati per il recepimento delle direttive comunitarie 2004/83/CE, recante «Norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta» e 2005/85/CE, concernente «Norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato».

Per la terza annualità del Progetto, che ha ricevuto un finanziamento nell'ambito del Programma comunitario Solidarity in Action, è stato ulteriormente implementato sia il contesto territoriale di attività delle citate Organizzazioni, (estendendolo anche alle Regioni di Calabria, Puglia e Sardegna) sia il numero delle stesse con l'aggiunta di Save the Children, per il periodo compreso dal 1 marzo 2008 al 28 febbraio 2009.

Malgrado il mutamento di governo il progetto ha avuto quindi una sua continuità, anche se nel 2009 si deve registrare una forte polemica tra l'ACNUR e il Ministero dell'interno italiano sulla questione dei respingimenti collettivi verso la Libia, sui quali è tuttora pendente un importante caso davanti alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo (caso Hirsi/Italia). Come si osserva nella valutazione del Praesidium dell'agenzia UNHCR “Nel corso del 2009 il contesto all'interno del quale il progetto ha operato è mutato in maniera significativa. All'inizio dell'anno si è registrato un mutamento del modello del trasferimento rapido e, al momento della missione di valutazione, una nuova politica del Governo di rafforzata cooperazione con le autorità libiche nella prevenzione delle partenze irregolari, insieme all'intercettazione delle imbarcazioni fuori delle acque territoriali italiane e il rinvio di tali barche verso la Libia, sono risultati in un netto calo nel numero di arrivi in Sicilia e a Lampedusa. Inoltre, in relazione allo sbarco delle persone soccorse in mare in Italia, è stato adottato un approccio più restrittivo. L'UNHCR ha espresso seria preoccupazione per tale cambiamento di politica e, al momento della missione di valutazione, il centro di accoglienza di Lampedusa risultava vuoto”.

Malgrado le forti polemiche del 2009 tra l'UNHCR ed il Ministero dell'interno sui respingimenti collettivi verso la Libia e sulle pratiche restrittive nei confronti dei migranti che avevano comunque raggiunto l'isola di Lampedusa o la costa siciliana, “i proficui risultati raggiunti con i citati Progetti comunitari” hanno tuttavia indotto il Ministero dell'interno “a rinnovare l'attività in partnership con le quattro Agenzie nell'ambito del Progetto ‘Praesidium IV: consolidamento delle capacità di accoglienza rispetto ai flussi migratori che interessano l'isola di Lampedusa ed altri punti strategici di frontiera sulle coste siciliane’, con decorrenza dal 1 marzo 2009 al 28 febbraio 2010”. Ritenendo il modello multi-agenzia, finora sperimentato, uno strumento idoneo e rispondente alla complessità del fenomeno migratorio che interessa l'Italia, ed applicabile anche alle realtà territoriali in cui sono stanziate le comunità di migranti, il Ministero dell'interno “ha deciso di autorizzare la quinta annualità consecutiva del rapporto di partnership con le quattro Agenzie umanitarie nell'ambito del Progetto ‘Praesidium V: consolidamento delle capacità di accoglienza e di gestione rispetto ai flussi migratori misti che interessano determinate aree dell'Italia meridionale, in particolare, Sicilia, Calabria, Campania e Marche’”. Il Progetto è stato poi rifinanziato con i fondi nazionali derivanti dall'apposito capitolo di bilancio dell'Amministrazione dell'Interno per la durata dal 1 marzo 2010 al 28 febbraio 2011, ed ulteriormente prorogato al 31 dicembre 2011.

3. Le prassi di polizia di frontiera imposte dal Ministero dell'interno dal 2009 al 2011 ed i diritti di difesa

3.1. La decisione del ministro Maroni di trasferire nel 2009 a Lampedusa la commissione territoriale già insediata a Trapani e di trattenere nell'isola pelagica tutti i migranti che vi arrivano o che sono soccorsi da mezzi militari italiani nel Canale di Sicilia, creava condizioni per gravi violazioni del diritto interno, del diritto comunitario e del diritto internazionale. La decisione di Maroni privava i migranti che ricevevano un diniego o coloro che potevano impugnare un provvedimento di allontanamento forzato, di qualsiasi possibilità di difesa, tenendo conto del fatto che in quell'isola non esiste né un ufficio giudiziario, né tantomeno una Questura o una Prefettura (che si trovano nel capoluogo della provincia, nella città di Agrigento, distante oltre otto ore di navigazione da Lampedusa e priva di un aeroporto).

Si osserva inoltre come le prassi adottate a partire dal febbraio 2011 in materia di formalizzazione delle richieste di asilo contrastino con gli standard internazionali imposti anche dalla legislazione comunitaria. In un rapporto di valutazione dell'UNHCR si osserva come La pratica in atto a Lampedusa, in base alla quale le richieste d'asilo non vengono direttamente registrate da parte dell'ufficio immigrazione, ma la loro registrazione avviene attraverso l'invio all'UNHCR, in futuro dovrebbe essere evitata a Lampedusa come in altre località.

I ricorsi contro i provvedimenti di diniego, di trattenimento, o di allontanamento forzato, disposti a carico di immigrati trattenuti a Lampedusa dovrebbero essere impugnati davanti al Tribunale ordinario o al Tribunale amministrativo di Palermo, entro termini assai brevi e perentori. Se poi il Ministro Maroni fosse riuscito nel 2009 dare corso a quanto annunciato, se le persone giunte irregolarmente a Lampedusa fossero state immediatamente rimpatriate verso i paesi di origine, con la esecuzione dell'accordo con la Libia, probabilmente anche verso i paesi di transito, il diritto di difesa dei migranti irregolari e dei richiedenti asilo che riceveranno un diniego sarebbe restato carta straccia. Sempre più cruciale dunque il ruolo delle organizzazioni che in quel periodo, come ancora oggi, erano presenti nell'isola di Lampedusa. Appariva sempre più evidente già allora come l'attività dei diversi soggetti coinvolti in Praesidium non si poteva limitare alla pur necessaria “assistenza in banchina” in prossimità degli sbarchi, ma doveva estendersi verso una puntuale informazione legale, creando anche le condizioni per una immediata formalizzazione delle procedure e per la nomina di difensori di fiducia.

A tal riguardo la giurisprudenza della CEDU ha avuto modo di rilevare come in materia di rimedi effettivi l'appello contro l'espulsione debba comportare un effetto sospensivo, nel senso che costituisce un dovere da parte dello Stato fissare la necessità di una tale tutela. Se a ciò si aggiunge la decisione della Corte europea di giustizia del 1986 nella quale si ricorda come, fra i principi generali della Comunità europea, il diritto alla protezione giudiziaria effettiva sia ben definita e come la legge comunitaria richieda un esame giudiziale effettivo delle decisioni delle autorità nazionali prese in applicazione di disposizioni di legge europea. Al contempo va previsto un accrescimento del diritto all'effetto sospensivo in fase di appello e la stessa Corte europea dei diritti umani appare sembra inglobare il principio del pieno effetto sospensivo in quello della totale salvaguardia basata sui potenziali effetti di un errato allontanamento ai sensi dell'art. 3 della Convenzione europea per i diritti umani pone il divieto di trattamenti disumani o degradanti.

3.3. Secondo la direttiva comunitaria 2005/85/CE «è un principio fondamentale del diritto comunitario che le decisioni relative a una domanda di asilo e alla revoca dello status di rifugiato siano soggette ad un rimedio effettivo dinanzi a un giudice a norma dell'articolo 234 del trattato. L'effettività del rimedio, anche per quanto concerne l'esame degli elementi pertinenti, dipende dal sistema amministrativo e giudiziario di ciascuno Stato membro considerato nel suo complesso».

La direttiva appare molto precisa sui criteri applicabili alle decisioni delle commissioni territoriali.

Gli Stati membri provvedono affinché le decisioni sulle domande di asilo siano comunicate per iscritto.
Gli Stati membri dispongono inoltre che la decisione con cui viene respinta una domanda sia corredata di motivazioni de jure e de facto e che il richiedente sia informato per iscritto dei mezzi per impugnare tale decisione negativa».

Garanzie specifiche sono previste per i richiedenti asilo o protezione umanitaria. Gli Stati membri

provvedono affinché tutti i richiedenti asilo godano delle seguenti garanzie:

  1. il richiedente asilo è informato, in una lingua che è ragionevole supporre possa capire, della procedura da seguire e dei suoi diritti e obblighi durante il procedimento, nonché delle eventuali conseguenze di un mancato adempimento degli obblighi e della mancata cooperazione con le autorità. È informato in merito ai tempi e ai mezzi a sua disposizione per adempiere all'obbligo di addurre gli elementi di cui all'articolo 4 della direttiva 2004/83/CE. Tali informazioni sono fornite in tempo utile affinché il richiedente asilo possa far valere i diritti sanciti dalla presente direttiva e conformarsi agli obblighi descritti nell'articolo 11;
  2. il richiedente asilo riceve, laddove necessario, l'assistenza di un interprete per spiegare la propria situazione nei colloqui con le autorità competenti. Gli Stati membri reputano necessario fornire tale assistenza almeno quando l'autorità accertante convoca il richiedente a un colloquio personale di cui agli articoli 12 e 13 e una comunicazione adeguata risulta impossibile in sua mancanza. In questo e negli altri casi in cui le autorità competenti convocano il richiedente asilo, tale assistenza è retribuita con fondi pubblici;
  3. non è negata al richiedente asilo la possibilità di comunicare con l'UNHCR o con altre organizzazioni che operino per conto dell'UNHCR nel territorio dello Stato membro conformemente a un accordo con detto Stato membro;
  4. la decisione dell'autorità accertante relativa alla domanda di asilo è comunicata al richiedente asilo con anticipo ragionevole. Se il richiedente è legalmente rappresentato da un avvocato o altro consulente legale, gli Stati membri possono scegliere di comunicare la decisione al suo avvocato o consulente anziché al richiedente asilo;
  5. il richiedente asilo è informato dell'esito della decisione del- l'autorità accertante in una lingua che è ragionevole supporre possa capire, quando non è assistito o rappresentato da un avvocato o altro consulente legale e quando non è disponibile il gratuito patrocinio. Il richiedente è contestualmente informato dei mezzi per impugnare una decisione negativa a norma dell'articolo 9, paragrafo 2.

3.4 Secondo l'articolo 18 della Direttiva 2005/85/CE «gli Stati membri non trattengono in arresto una persona per il solo motivo che si tratta di un richiedente asilo. Qualora un richiedente asilo sia trattenuto in arresto, gli Stati membri provvedono affinché sia possibile un rapido sindacato giurisdizionale». La direttiva prevede poi il diritto ad un mezzo di impugnazione efficace in caso di diniego della domanda di asilo o protezione umanitaria, e nei casi in cui questa sia dichiarata «irricevibile», anche al fine di stabilire misure cautelari.

Il Decreto legislativo 25/2008, come modificato dal d.lgs.159 del 2008, stabilisce che «la decisione su ogni singola domanda deve essere assunta in modo individuale, obiettivo ed imparziale e sulla base di un congruo esame della domanda effettuato ai sensi del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251. Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall'ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, o comunque acquisite dalla Commissione stessa. La Commissione nazionale assicura che tali informazioni, costantemente aggiornate, siano messe a disposizione delle Commissioni territoriali, secondo le modalità indicate dal regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 38 e siano altresì fornite agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative».

E ancora in base allo stesso decreto vengono fissate precise garanzie in favore dei richiedenti asilo, in particolare, secondo l'art. 10,

all'atto della presentazione della domanda l'ufficio di polizia competente a riceverla informa il richiedente della procedura da seguire, dei suoi diritti e doveri durante il procedimento e dei tempi e mezzi a sua disposizione per corredare la domanda degli elementi utili all'esame; a tale fine consegna al richiedente l'opuscolo informativo di cui al comma 2.

La Commissione nazionale redige, secondo le modalità definite nel regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 38 un opuscolo informativo che illustra:

  1. le fasi della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale;
  2. i principali diritti e doveri del richiedente durante la sua permanenza in Italia;
  3. le prestazioni sanitarie e di accoglienza e le modalità per riceverle;
  4. l'indirizzo ed il recapito telefonico dell'ACNUR e delle principali organizzazioni di tutela dei richiedenti protezione internazionale.

Al richiedente è garantita, in ogni fase della procedura, la possibilità di contattare l'ACNUR o altra organizzazione di sua fiducia competente in materia di asilo.

Il richiedente è tempestivamente informato della decisione.

Tutte le comunicazioni concernenti il procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale sono rese al richiedente nella prima lingua da lui indicata, o, se ciò non è possibile, in lingua inglese, francese, spagnola o araba, secondo la preferenza indicata dall'interessato. In tutte le fasi del procedimento connesse alla presentazione ed all'esame della domanda, al richiedente è garantita, se necessario, l'assistenza di un interprete della sua lingua o di altra lingua a lui comprensibile.

In caso di impugnazione della decisione in sede giurisdizionale, allo straniero, durante lo svolgimento del relativo giudizio, sono assicurate le stesse garanzie di cui al presente articolo.

Il Decreto 25 del 2008 prevede poi l'assistenza legale e precisamente, secondo l'art. 16 «Il cittadino straniero può farsi assistere, a proprie spese, da un avvocato e nel caso di impugnazione delle decisioni in sede giurisdizionale, ed è ammesso al gratuito patrocinio ove ricorrano le condizioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. In ogni caso per l'attestazione dei redditi prodotti all'estero si applica l'articolo 94 del medesimo decreto».

Il diritto di difesa previsto dall'art. 17 del decreto legislativo 25/2008 non è un dunque un mero riconoscimento formale ma è un diritto che il legislatore comunitario e quello nazionale vogliono dotato del carattere della effettività. «Al cittadino straniero o al suo legale rappresentante, nonché all'avvocato che eventualmente lo assiste, è garantito l'accesso a tutte le informazioni relative alla procedura che potrebbero formare oggetto di giudizio in sede di ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale o della Commissione nazionale, con le modalità di cui all'articolo 18». Secondo l'art. 18 “ai procedimenti per l'esame delle domande di protezione internazionale si applicano le disposizioni in materia di procedimento amministrativo e di accesso agli atti amministrativi, di cui ai capi I, ad esclusione dell'articolo 2, comma 2, II, IV-bis e V, nonché agli articoli 7, 8 e 10 del capo III della legge 7 agosto 1990, n. 241”. Il decreto legislativo 159 modifica il precedente d.legs.25 del 2009 ed all'articolo 32, comma 1, dopo la lettera b) inserisce la seguente: «b-bis) (la Commissione territoriale) rigetta la domanda per manifesta infondatezza quando risulta la palese insussistenza dei presupposti previsti dal decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero quando risulta che la domanda e' stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento». Si introduce così un criterio assolutamente discrezionale per valutare la fondatezza della istanza di asilo e tale circostanza rende ancora più importante la possibilità di fare valere effettivamente gli strumenti di difesa e assistenza legale accordati ai richiedenti asilo, soprattutto nei casi che non sono riconducibili alla protezione internazionale, ma che sono tuttavia meritevoli di ricevere la protezione umanitaria prevista dall'art. 5.6 del T.U. 286 del 1998, in combinato disposto all'art. 19 dello stesso testo unico. Una risposta alla necessità di legalizzare molti dei migranti originariamente economici, come i nigeriani o i bengalesi, che sono fuggiti forzatamente dalla Libia in guerra, che non possono fare rientro nel paese di origine per varie ragioni, e che dunque hanno diritto a conseguire uno status legale di soggiorno nel nostro paese.

3.5 In base all'art. 35 del decreto legislativo 25 del 2008, non modificato in questa parte, “avverso la decisione della Commissione territoriale è ammesso ricorso dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d'appello in cui ha sede la Commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento. Il ricorso è ammesso anche nel caso in cui l'interessato abbia richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e la Commissione territoriale lo abbia ammesso esclusivamente alla protezione sussidiaria. Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, nei trenta giorni successivi alla comunicazione del provvedimento; allo stesso è allegata copia del provvedimento impugnato. Nei casi di accoglienza o trattenimento disposti ai sensi degli articoli 20 e 21, il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, nei quindici giorni successivi alla comunicazione del provvedimento dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d'appello in cui ha sede il centro”. E ancora, “avverso la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria, è ammesso ricorso dinanzi al tribunale competente in relazione alla Commissione territoriale che ha emesso il provvedimento che ha riconosciuto lo status di cui è stata dichiarata la revoca o la cessazione. Tutte le comunicazioni e notificazioni si eseguono presso l'avvocato del ricorrente mediante avviso di deposto in cancelleria. Il procedimento si svolge dinanzi al tribunale in composizione monocratica con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio. Entro cinque giorni dal deposito del ricorso, il tribunale, con decreto apposto in calce allo stesso, fissa l'udienza in camera di consiglio. Il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza sono notificati all'interessato e comunicati al pubblico ministero e alla Commissione nazionale ovvero alla competente Commissione territoriale. La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che rigetta la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria ai sensi dei commi 1 e 2 sospende l'efficacia del provvedimento impugnato. La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria ovvero avverso la decisione adottata dalla Commissione territoriale ai sensi dell'articolo 22, comma 2, e dell'articolo 32, comma 1, lettera b-bis) non sospende l'efficacia del provvedimento impugnato. Il ricorrente può tuttavia chiedere al tribunale, contestualmente al deposito del ricorso, la sospensione del provvedimento quando ricorrano gravi e fondati motivi. In tale caso il tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito, decide con ordinanza non impugnabile, anche apposta in calce al decreto di fissazione dell'udienza. Nel caso di sospensione del provvedimento impugnato al richiedente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo ed è disposta l'accoglienza nei centri di cui all'articolo 20”.

3.6. La procedura di cui al comma 7 si applica, in ogni caso, al ricorso presentato dal richiedente di cui agli articoli 20, comma 2, lettere b) e c), e 21. Il richiedente ospitato nei centri di accoglienza ai sensi dell'articolo 20, comma 2, lettere b) e c), o trattenuto ai sensi dell'articolo 21 permane nel centro in cui si trova fino alla adozione dell'ordinanza di cui al comma 7. All'udienza può intervenire un rappresentante designato dalla Commissione nazionale o territoriale che ha adottato l'atto impugnato. La Commissione interessata può in ogni caso depositare alla prima udienza utile tutti gli atti e la documentazione che ritiene necessari ai fini dell'istruttoria.

Il tribunale, sentite le parti e assunti tutti i mezzi di prova necessari, decide con sentenza entro tre mesi dalla presentazione del ricorso, con cui rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria; la sentenza viene notificata al ricorrente e comunicata al pubblico ministero e alla Commissione interessata.

Contro la sentenza pronunciata ai sensi del comma 10 il ricorrente ed il pubblico ministero possono proporre reclamo alla corte d'appello, con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d'appello, a pena di decadenza, entro dieci giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza. Il reclamo non sospende gli effetti della sentenza impugnata; tuttavia la corte d'appello, su istanza del ricorrente, può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa quando ricorrano gravi e fondati motivi.

Nel procedimento dinanzi alla corte d'appello, che si svolge in camera di consiglio, si applicano i commi 5, 9 e 10. Avverso la sentenza pronunciata dalla corte d'appello può essere proposto ricorso per cassazione. Il ricorso deve essere proposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza. Esso viene notificato ai soggetti di cui al comma 5, assieme al decreto di fissazione dell'udienza in camera di consiglio, a cura della cancelleria. La Corte di cassazione si pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375 c.p.c.

Per i richiedenti asilo denegati sono inoltre previste appositi casi di accoglienza in apposite strutture non detentive. Secondo l'art. 36 del decreto legislativo 25 del 2008. «Al richiedente asilo che ha proposto il ricorso ai sensi dell'articolo 35, si applica l'articolo 11 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140. Il richiedente di cui al comma 1 ospitato nei centri di cui all'articolo 20 rimane in accoglienza nelle medesime strutture con le modalità stabilite dal decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140. Il richiedente trattenuto nei centri di cui all'articolo 21 che ha ottenuto la sospensione del provvedimento impugnato, ai sensi dell'articolo 35, comma 8, ha accoglienza nei centri di cui all'articolo 20 con le modalità stabilite dal decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140.

3.7. Una questione particolarmente delicata, ed ancora oggi vivamente controversa, riguarda i minori stranieri non accompagnati (MNA) che in numero crescente raggiungono le coste lampedusane (o meglio vi sono tratti in salvo).

Come ricordato anche dalle regole operative di Praesidium “Sulla base dei principi affermati dalla legislazione italiana che accorda particolare attenzione alla tutela dei diritti individuali e civili dei minori stranieri, assicurando loro un percorso formativo individualizzato, i Centri governativi per immigrati irregolari non possono ospitare stranieri minorenni, se non quando risultino al seguito del proprio nucleo familiare; inoltre, in quanto non espellibili dal territorio nazionale se non per particolari reati, hanno diritto al permesso di soggiorno fino al raggiungimento della maggiore età e devono essere affidati al Giudice Tutelare che provvederà ad inviarli presso strutture locali dedicate”.

Il 9 luglio 2007 una circolare firmata dal Ministro dell'Interno Amato, ed inviata ai questori, e dunque ben conosciuta anche da parte degli uffici di polizia di frontiera, introduceva nuovi criteri per stabilire le generalità in caso di d'età incerta, per evitare il rischio di adottare erroneamente provvedimenti gravemente lesivi dei diritti dei minori, quali l'espulsione, il respingimento o il trattenimento in un Centro di permanenza temporanea (oggi rinominati CIE, Centri di identificazione ed espulsione). Oggi nella prassi applicativa della polizia di frontiera sembra che di quella circolare non sia rimasta traccia.

La circolare prendeva atto dei gravi rischi che potevano derivare da una valutazione superficiale dell'età della persona, minore o giovane adulto che fosse, e riconosceva come, un errore nella valutazione dell'età del minore poteva comportare conseguenze “gravemente lesive dei suoi diritti, quali l'espulsione, il respingimento o il trattenimento in un Centro di permanenza temporanea o di identificazione”. Sempre secondo questa circolare, “pertanto, nei casi in cui vi sia incertezza sulla minore età, è necessario far ricorso a tutti gli accertamenti, comunque individuati dalla legislazione in materia, per determinare la minore età, facendo ricorso, in via prioritaria, a strutture sanitarie pubbliche dotate di reparti pediatrici”. Tuttavia, poiché, come è evidenziato dalla prassi, tali accertamenti non forniscono, di regola, risultati esatti, limitandosi ad indicare la fascia d'età compatibile con i risultati ottenuti, può accadere che il margine di errore comprenda al suo interno sia la minore che la maggiore età. Al riguardo, il Comitato sui diritti dell'infanzia del'Unicef, nell'affermare, al punto 31 del Commento Generale n. 6 del 3.6.2005 alla Convenzione di New York sui diritti dell'infanzia del 1989, l'importanza prioritaria della valutazione dell'età del minore in modo scientifico, sicuro e rispettoso dell'età, del sesso, dell'integrità fisica e della dignità del minore, raccomanda, nei casi incerti, di “accordare comunque alla persona il beneficio del dubbio, trattandola come se fosse un bambino”.

Peraltro, in materia di accertamento dell'età del minore, l'art. 8, comma 2, del D.P.R. 22.9.1988, n. 448, recante “Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”, fissa il principio di presunzione della minore età, stabilendo che “qualora, anche dopo la perizia, permangono dubbi sull'età del minore, questa è presunta ad ogni effetto”. Il predetto principio, fondato sul dovere di garantire al minore la più ampia tutela dei diritti, si ritiene possa trovare applicazione in via analogica anche in materia di immigrazione, ogni volta in cui sia necessario procedere all'accertamento della minore età. La circolare del 9 luglio 2007 precisa dunque “che fintanto non siano disponibili i risultati degli accertamenti in argomento, all'immigrato dovranno essere comunque applicate le disposizioni relative alla protezione dei minori. Il migrante è sottoposto all'esame per l'accertamento dell'età, l'esame consiste nella misurazione del polso e ha un margine di errore fino a due anni”. Con questa direttiva veniva dunque introdotta la presunzione della minore età in caso di dubbio.

3.8. La decisione di trasferire la Commissione territoriale di Trapani a Lampedusa nel mese di febbraio del 2009, la rapidità degli accertamenti sull'età dei migranti, effettuati sulla sola base dell'esame radiografico del polso in un ambulatorio di una piccola isola che non ha neppure un ospedale, la rapidità “annunciata” delle misure di rimpatrio forzato, rendevano dunque sempre più difficile un corretto esercizio dei diritti di difesa che la legge nazionale, il diritto comunitario ed il diritto internazionale riconoscono in capo ai migranti.

E come si è detto prima, i richiedenti asilo possono avere diritto a ben tre gradi di giudizio, come è dimostrato dalle numerose sentenze della Corte di cassazione che si sono occupate di questa materia. In particolare, secondo la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, n. 2710 del 17 novembre 2008, che pure si inquadra in un orientamento assai restrittivo, è necessaria una valutazione specifica per negare il diritto di asilo a chi possa essere oggetto di persecuzione nel paese di origine. La sentenza della Cassazione in Sezioni Unite - con cui è stato accolto il ricorso di un cittadino curdo iracheno- chiarisce un argomento molto importante per tutta la procedura per il riconoscimento della protezione internazionale: in che modo il richiedente deve dimostrare i fatti alla base della sua richiesta di protezione, e qual è il ruolo del Giudice e della Commissione Territoriale nell'accertamento dei fatti.

La Corte di Cassazione riconosce peraltro che lo straniero richiedente asilo ha un limitato e attenuato l'onere probatorio, “tenendo conto delle difficoltà determinate da un allontanamento sovente forzato e segreto, tali da rendere normalmente necessario il ricorso allo strumento presuntivo”. Tuttavia, secondo la Corte, non è sufficiente “il richiamo al notorio circa la situazione politico-economica di dissesto del paese di origine o circa la persecuzione nei confronti di non specifiche etnie di appartenenza”. Secondo la Corte “il richiedente deve provare, quanto meno in via presuntiva, il concreto pericolo cui andrebbe incontro con il rimpatrio, con preciso riferimento all'effettività e all'attualità del rischio”. Inoltre, il richiedente deve dimostrare di essere credibile nelle sue affermazioni. La Corte non attribuisce però solo al richiedente il compito di presentare gli elementi necessari per l'ottenimento della protezione internazionale. La Commissione Territoriale ed, eventualmente più avanti, il Giudice hanno il dovere di cooperare nell'accertamento dei fatti. Ciò implica una “forte valorizzazione dei poteri istruttori ufficiosi” dell'autorità giudicante. Questa deve acquisire, anche d'ufficio, “le informazioni necessarie a conoscere l'ordinamento giuridico e la situazione politica del paese di origine”. Ne risulta un preciso onere probatorio che incombe alle Commissioni territoriali o al giudice in sede di ricorso per riconoscere o escludere il diritto di asilo o il diritto alla protezione internazionale. Un onere probatorio che impone un esame individuale di ogni istanza, senza facili generalizzazioni basate sulla nazionalità del richiedente, e che corrisponde all'onere probatorio a carico del migrante che deve fornire tutti gli elementi in suo possesso e rispettare l'obbligo di fornire informazioni veritiere.

Non si vede però come i richiedenti asilo possano assolvere tale gravoso onere probatorio nel giro di qualche giorno, dopo avere raggiunto Lampedusa in condizioni fisiche e psicologiche assai deteriorate, senza alcun contatto con il paese di origine, dal quale spesso sono fuggiti mesi o anni prima. L'orientamento della Corte di Cassazione, sommato alle direttive impartite da Maroni ed alla situazione di fatto di Lampedusa, se da un lato conferma la necessità che i ricorsi giurisdizionali contro i dinieghi dello status di protezione internazionale abbiano portata effettiva, rischia di privare dei più elementari diritti fondamentali, i migranti che vi arrivano. Si può configurare in questo modo una grave violazione dell'art. 2 del Testo Unico dell'immigrazione, dell'art. 10 della Costituzione italiana e di tutte le disposizioni contenute nelle direttive comunitarie e nelle leggi di attuazione che riconoscono il diritto di asilo, la protezione sussidiaria, la possibilità di rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex art. 5.6 del testo Unico sull'immigrazione, dunque fuori dai casi previsti dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e dalle direttive comunitarie in materia di asilo e di protezione sussidiaria.

3.9. Le decisioni assunte dal ministro Maroni, di bloccare nel'isola di Lampedusa i migranti fino al momento del rimpatrio, sia nel 2009 che nell'ultima emergenza Nordafrica proclamata il 12 febbraio 2011 (con la trasformazione del CPSA di Imbriacola in un nuovo, inedito, centro di detenzione a seconda del settore e dell'afflusso di migranti, anche se non denominato CIE, Centro di identificazione ed espulsione, in ogni caso una struttura detentiva circondata da sbarre e filo spinato, sotto stretta sorveglianza militare) costituiscono un attentato ai principi dello stato di diritto, e in particolare alla riserva di giurisdizione stabilita dall'art. 13 della Costituzione, oltre che un passo decisivo nella direzione della militarizzazione del territorio dell'isola. Anche la popolazione di Lampedusa, che ha votato in massa per la Lega Nord, si sta accorgendo del prezzo che paga per questa sua scelta. Mentre nel 2008 quando i migranti venivano trasferiti entro due o tre giorni l'isola era piena di turisti, quest'anno, dopo i tentativi del governo di bloccare a Lampedusa il maggior numero di migranti, inclusi i minori, nel 2009, e soprattutto nei mesi di febbraio e marzo scorsi, l'isola è praticamente deserta, abbandonata dai turisti e tutte le attività connesse con il turismo sono in crisi. Sono pieni soltanto le strutture alberghiere che danno ospitalità alle forze di polizia presenti nell'isola.

3. 10. Come riferiva la Stampa, il 18 gennaio 2009, dieci migranti nordafricani sono stati sorpresi sulla spiaggia di Cala Galera da una pattuglia della Guardia di Finanza, dopo che erano appena sbarcati; altri 18 migranti sono stati bloccati dai carabinieri sulla terraferma a Linosa. In nessuno dei due casi, nonostante i controlli lungo le coste delle due isole, sono state trovate le imbarcazioni utilizzate dagli immigrati. I 28 profughi sbarcati sulle Pelagie sono stati trasferiti al centro d'accoglienza di Lampedusa dove alla data del 18 gennaio 2009 si trovano ancora circa 1.200 persone. Si tratta di immigrati trattenuti da settimane senza alcun provvedimento formale, senza convalida del magistrato, in una situazione fuori dal diritto insomma. Come si sta verificando anche oggi sembra che nessuno si sia accorto di queste gravissime violazione di legge interna e comunitaria?

Nella notte del 17 gennaio 2009 altri 13 migranti erano stati intercettati dalla polizia sul litorale di Licata. Anche in questo caso non è stata localizzata l'imbarcazione utilizzata per la traversata. Evidentemente le nuove direttive del governo su Lampedusa hanno spinto altri migranti a mutare rotta per tentare di raggiungere direttamente la Sicilia, passando vicino Malta. Una rotta più lunga che può significare un numero ancora più alto di vittime. Non appena il cattivo tempo ha dato una finestra di pausa, malgrado tutti gli annunci, le iniziative con l'ambasciatore libico, il patto stipulato con la Grecia, Cipro e Malta per chiedere aiuti economici all'Unione europea per sostenere i costi dei respingimenti, della detenzione e delle deportazioni, malgrado tutto questo, gli sbarchi in Sicilia sono dunque ripresi, e purtroppo si allunga anche la lista delle vittime, come confermato dalla scoperta di un cadavere, al largo di Malta, domenica 18 gennaio 2009, lo stesso giorno in cui le altre piccole imbarcazioni cariche di migranti riuscivano a raggiungere direttamente le coste di Lampedusa e Linosa. E speriamo che nel frattempo non si siano consumate altre tragedie dalle dimensioni ancora più grandi.

Di certo, come si osserva in una relazione di valutazione dell'ACNUR, mentre nei primi anni del progetto Praesidium a Lampedusa nella pratica vi sono state “poche difficoltà nel garantire che coloro che intendevano fare domanda d'asilo fossero in grado di farlo e che fossero inseriti nelle procedure appropriate. Solo in qualche caso, in genere a causa di errori, i richiedenti asilo sono stati designati in maniera non corretta e l'intervento dell'UNHCR ha fatto in modo che tali situazioni fossero corrette. Questa attività è tuttavia divenuta più difficile all'inizio del 2009, quando quelli che presumibilmente erano richiedenti asilo e migranti irregolari venivano diretti in centri separati mentre si trovavano ancora sull'isola, spesso ancora prima che l'UNHCR avesse l'opportunità di fornire loro informazioni e counselling. Anche se coloro che venivano inviati nei CIE e dotati di decreti di espulsione avevano ancora l'opportunità di chiedere asilo, vi era comunque un significativo impatto sul loro accesso alla consulenza legale e ai diritti d'appello nelle fasi successive della procedura”.

Non sappiamo se le nuove prassi amministrative relative agli immigrati irregolari ed ai richiedenti asilo giunti a Lampedusa, inaugurate nel 2009 ed ulteriormente inasprite nel 2011, potranno essere censurate dagli organi della giustizia internazionale o dalle autorità giurisdizionali nazionali. Se vi saranno violazioni di legge o di convenzioni internazionali, e se queste potranno essere individuate, interverranno i giudici e gli organi di governo dell'Unione Europea, la Commissione Europea ed il Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti del Consiglio di Europa. Prima o poi la verità verrà alla luce, e le responsabilità di queste violazioni potranno essere individuate. Ma non saranno le corti di giustizia a sanzionare il fallimento delle politiche di sbarramento e di contenimento che il governo cerca di praticare come unico modo per affrontare il complesso fenomeno dell'immigrazione irregolare e dell'asilo, imprescindibilmente connesso, è bene che si ricordi. Prima o poi anche l'opinione pubblica, come già è successo a Lampedusa, si accorgerà di essere stata raggirata dai politici-imprenditori della «sicurezza», che spacciano paura al solo fine di nascondere i loro veri interessi ed il fallimento delle loro politiche. Si potranno negare violentemente i diritti fondamentali dei migranti, sulla terraferma, si potrà considerare un'isola come un luogo extraterritoriale al di fuori del diritto, ma il filo spinato e gli altri segni esteriori di una frontiera, evidentemente, non si possono certo installare nelle acque del Canale di Sicilia.

Se nel 2010 gli sbarchi a Lampedusa erano praticamente cessati, per effetto della collaborazione del governo libico nel blocco delle partenze e per l'intensa attività di pattugliamento congiunto posto in essere dalle unità navali cedute dall'Italia alla Libia, sulle quali erano imbarcati con funzioni di istruzione e manutenzione agenti della guardia di finanza, non appena la situazione politica nei principali paesi nordafricani è mutata, gli sbarchi sono ripresi, prima con numerose partenze dalla Tunisia, quindi con la ripresa delle partenze dalla Libia. Alla fine di luglio 2011 risultavano arrivati sulle coste siciliane oltre 46 mila migranti per metà circa tunisini e per la restante parte provenienti dall'Africa subsahariana ed in misura più ridotta dall'estremo oriente (Bangladesh).

4. La nuova “emergenza immigrazione” del 2011

4.1. Nel febbraio del 2011 di fronte alla nuova “emergenza” costituita dall'arrivo di alcune migliaia di migranti tunisini nell'isola di Lampedusa la prima reazione del governo italiano è stata quella di impedire la riapertura del centro di prima accoglienza e soccorso di Contrada Imbriacola, nel tentativo immediatamente fallito di attuare rimpatri di massa verso la Tunisia. Solo dopo una settimana, quando l'isola era ormai allo stremo, con un numero di migranti in libera circolazione (ricordiamo la “collina della vergogna” a ridosso del porto, per le condizioni igieniche nelle quali era ridotta non solo quella striscia di terra ma l'isola intera) ormai vicino al numero dei suoi abitanti, arrivava da Roma la decisione di riaprire il CPSA di Contrada Imbriacola. Una decisione tardiva, dopo una settimana di mediatizzazione selvaggia dell'emergenza immigrazione, che aveva ormai compromesso la stagione turistica e creato una sacca di immigrati irregolari difficili da gestire con un sistema di accoglienza del tutto impreparato. Nel frattempo era cresciuto a dismisura l'atteggiamento degli italiani contrario in genere a tutte le migrazioni, incluse quelle forzate. Il provvedimento del 5 aprile 2011 che riconosceva soltanto ad una parte degli immigrati arrivati dal nordafrica, in prevalenza dalla Tunisia, la possibilità di conseguire uno specifico permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari, in base all'art. 20 del T.U. sull'immigrazione, e la repentina trasformazione di tutti gli immigrati arrivati dalle stesse regioni a partire dal giorno successivo concorreva a confondere il rapporto tra accoglienza e detenzione e creava non pochi problemi operativi alle organizzazioni coinvolte a vario titolo nel progetto Praesidium, soprattutto con riferimento alla condizione giuridica dei minori stranieri non accompagnati provenienti dalla Tunisia, molti dei quali ormai prossimi al compimento del 18 anno di età e dunque destinati alla clandestinità, se non all'espulsione, in assenza di una tempestiva presa in carico da parte degli enti di tutela.

E dire che secondo le regole operative di Praesidium, peraltro rispettate nel 2008, linee che il ministero dell'interno dovrebbe ben conoscere avendo sottoscritto la relativa convenzione, una volta giunti sul molo, dopo aver ricevuto le prime cure e la prima assistenza sanitaria, i migranti dovrebbero essere trasferiti nel più breve tempo possibile nelle strutture di accoglienza dedicate. Il trasferimento deve avvenire tempestivamente “in modo tale da ridurre al minimo il tempo di permanenza sul molo o in altre strutture temporanee”. Il trasferimento dei migranti viene organizzato, in stretto raccordo con la Prefettura territorialmente competente, dalle autorità di polizia o dall'ente gestore della struttura di accoglienza che “ospita” i migranti stessi. Secondo Praesidium, la struttura di accoglienza presso la quale vengono portati i migranti appena sbarcati rientra generalmente in una delle seguenti categorie: Centri di Primo Soccorso ed Accoglienza (CSPA) strutture localizzate in prossimità dei luoghi di sbarco destinate all'accoglienza degli immigrati per il tempo strettamente occorrente al loro trasferimento presso altri Centri (indicativamente 24/48 ore) o Centri di Accoglienza (CDA) strutture destinate all'accoglienza degli immigrati per il periodo necessario alla definizione dei provvedimenti amministrativi relativi alla posizione degli stessi sul territorio nazionale.

Anche coloro che sono qualificati semplicemente come migranti economici, ma si tratta di un potere discrezionale che non spetta alla polizia, hanno diritto a precise garanzie procedurali che gli operatori di Praesidium dovrebbero verificare. In particolare: in linea con la normativa esistente, è fondamentale che nei confronti dei migranti volontari che siano stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso sia sempre emesso un provvedimento di respingimento e non di espulsione. È altresì importante che venga rilasciata al migrante copia di qualunque provvedimento emesso a suo carico con l'indicazione degli eventuali mezzi di impugnazione. Non sembra che a Lampedusa tali prassi vengano rispettate anche nei casi nei quali il trattenimento si è protratto per mesi. E sul punto, lo scorso giugno, è intervenuta una importante decisione del giudice di pace di Agrigento che, interrompendo una consolidata giurisprudenza di mera ratifica delle decisioni di respingimento differito adottato a norma dell'art. 10 comma 2, del T.U. sull'immigrazione, ha annullato un provvedimento di respingimento differito emesso dal Questore di Agrigento ai danni di un migrante trattenuto per settimane senza provvedimento alcuno nel CPSA di Contrada Imbriacola a Lampedusa. Altri migranti, nelle stesse condizioni di detenzione illegale venivano invece trasferiti all'aeroporto di Palermo, riconosciuti dal console tunisino e dopo la notifica (tardiva) del provvedimento di respingimento, rimpatriati indistintamente verso la Tunisia. Eppure le regole operative del progetto Praesidium, sostenuto dal ministero dell'interno, prevedono che “nel caso in cui i migranti volontari siano oggetto di misure di respingimento o espulsione è importante che il loro trasferimento in un Centro dedicato (CIE) sia disposto nel più breve tempo possibile in modo che possano accedere senza ritardo alle garanzie di difesa previste dalla legge e, ove previsto, al patrocinio a spese dello Stato”.

E invece

  • il trasferimento a Mineo di richiedenti asilo da altri cara di Italia, anche di soggetti vulnerabili già sottoposti a trattamenti sanitari o in attesa di eseguire analisi cliniche, per lamentate torture o maltrattamenti, senza che poi sia stato consentito loro di eseguirle.
  • la totale mancanza di risposta da parte delle istituzioni alle richieste delle associazioni e dell'ASGI, che a Catania hanno richiesto invano da mesi la convocazione di un consiglio territoriale sulla situazione del centro di Mineo e sui minori.

4.2. Particolarmente precise le regole operative fissate per fornire l'informazione legale ai minori non accompagnati. Le sessioni di informazione rivolte ai migranti, e ai minori in particolare, devono tenere conto sia delle disposizioni di legge, che delle prassi effettivamente in uso, in ragione della considerazione che il migrante attribuirà a tali informazioni e del rischio di confonderlo, illuderlo ovvero deluderlo. In particolare è essenziale che nell'informativa vengano toccati i seguenti punti: definizione di minore, diritti che la legge riconosce ai minori stranieri, fasi del percorso dei minori in Italia, descrizione della comunità di accoglienza e della figura del tutore, tempi di attesa per la tutela e il permesso di soggiorno e importanza di non allontanarsi dalla comunità (chiarire che è importante non allontanarsi dalla comunità per non interrompere il proprio percorso regolare in Italia), nozione e tipologie di permesso di soggiorno, modalità di accesso a istruzione, formazione, lavoro regolare e procedure per ricongiungersi con eventuali familiari in Italia. Malgrado prescrizioni tanto precise, centinaia di minori sono stati trattenuti per settimane a Lampedusa senza ricevere alcuna notizia a tale riguardo. Circostanza non controvertibile perché risultante da decine di testimonianze dirette e di video che documentano il livello di disinformazione nel quale sono stati tenuti i migranti e tra questi i minori non accompagnati, giunti nell'isola, soprattutto quelli di nazionalità tunisina.

Nel caso di presunti minori non richiedenti asilo rispetto per i quali sussistano dubbi fondati circa l'età dichiarata, le regole di Praesidium raccomandano che l'Autorità di Polizia proceda, in primo luogo, alle verifiche consolari presso le Rappresentanze diplomatiche dei Paesi di origine dei migranti e richieda ai migranti, in considerazione dei possibili tempi di attesa per tali verifiche, l'inoltro di copie o originali dei documenti identificativi eventualmente in loro possesso. A tal fine è opportuno che il migrante disponga del telefono e di un numero di fax per l'invio del documento. Solo nel caso in cui tali accertamenti non siano possibili, si dovrebbe procedere a esame medico per l'accertamento dell'età. È di tutta evidenza come a Lampedusa negli ultimi mesi, a differenza di quanto avveniva fino al 2009, queste regole siano state violate impunemente senza che nessuna organizzazione di tutela lamentasse alcunché.

La riapertura del CPSA di Lampedusa è stata alla fine spacciata come una necessaria volta ad assicurare che gli standard minimi di accoglienza nei confronti di tutte le persone sbarcate nei primi giorni di febbraio fossero rispettati. L'attuale situazione di emergenza richiedeva però al contempo un aumento dei trasferimenti di migranti dall'isola, che non appare più in grado di reggere un così imponente numero di arrivi. E su questo aspetto il Ministero dell'interno ha praticato una politica di rallentamento, al contrario di quanto avvenuto nel 2008, con il risultato di creare una bolla migratoria che ha poi fatto esplodere il sistema di accoglienza nazionale, affidato alla Protezione Civile.

“L'improvviso arrivo di migliaia di migranti ha reso estremamente difficoltose le operazioni di assistenza al molo”, ha affermato, nel febbraio 2011 José Angel Oropeza, Direttore dell'ufficio regionale per il Mediterraneo dell'OIM. “I nostri operatori, in collaborazione con i colleghi dell'UNHCR e di Save the Children, stanno cercando di garantire che gli standard minimi di accoglienza siano rispettati e che i migranti giunti sull'isola e in attesa di essere trasferiti nei vari centri di accoglienza sul territorio - tra cui abbiamo registrato anche la presenza di alcune donne e minori - possano essere assistiti in condizioni igienico sanitarie adeguate”.

Malgrado il forte rallentamento degli arrivi, dopo i mesi di aprile e maggio, rimane particolarmente allarmante la condizione dei minori stranieri non accompagnati. Secondo un comunicato di Save The Children del 23 marzo 2011, “i minori non accompagnati attualmente ancora a Lampedusa debbono essere immediatamente trasferiti perché le condizioni generali in cui si trovano sono ormai inaccettabili. La struttura che è stata destinata loro - l'area marina protetta - è assolutamente inadeguata e di ora in ora le condizioni si fanno più critiche, dal punto di vista igienico e dell'accoglienza in genere”, dichiara Raffaella Milano, Responsabile Programmi Italia-Europa di Save the Children.

Dall'inizio dell'intensificarsi degli arrivi di migranti tunisini - il 10 febbraio scorso - sono oltre 530 i minori, per la grande maggioranza non accompagnati, giunti a Lampedusa. Di questi 283 sono stati collocati nelle comunità d'accoglienza per minori in Sicilia.

“Sono oltre 250 i minori non accompagnati ancora fermi a Lampedusa e molti lo sono da molti giorni, in una condizione che non garantisce standard minimi d'accoglienza ”, prosegue. “Ricordiamo che secondo la legislazione i minori non accompagnati sono inespellibili e c'è l'obbligo per il paese d'accoglienza di farsene carico. Sono giorni che Save the Children chiede che si dia seguito al loro trasferimento, allestendo anche strutture di prima accoglienza sulla terraferma, se necessario, dove i minori possano rimanere fino all'inserimento nelle comunità. Save the Children sta fornendo al contempo informazioni costanti sulla situazione dei ragazzi e sta facendo tutte le pressioni possibili sulle autorità competenti. Questo ritardo non è giustificabile”.

Altro allarme di Save The Children il 14 maggio Oltre ai 129 minori, partiti da Lampedusa (Ag) con il traghetto di linea per Porto Empedocle, dove sono ospitati nella polistruttura allestita nell'area del porto, “ci sono altre decine di minori - spiega Save the Children - nei vari centri di transito, per i quali è urgente predisporre un piano di trasferimenti nelle comunità d'accoglienza”. Secondo le cifre dell'organizzazione umanitaria, i ragazzi arrivati nelle ultime ore a Lampedusa sono 98, di cui 16 non accompagnati.

Secondo l'agenzia DIRE del 3 giugno a Lampedusa erano oltre 400 i minori non accompagnati ancora in attesa di collocamento nelle comunità alloggio sul territorio nazionale. Circa 1.500 i minori approdati sull'isola dall'inizio dell'anno. È quanto denuncia proprio Save the Children. Sul totale dei minori non accompagnati approdati sull'isola, 425, in prevalenza sedicenni e originari del Mali (84), del Ghana (42) e della Costa d'Avorio (37), sono ancora in attesa di essere collocati nelle comunità alloggio per minori sul territorio nazionale. Osservava Save The Children come “nonostante la legge italiana garantisca ai minori stranieri non accompagnati il diritto all'accoglienza presso questo tipo di strutture, la maggior parte si trova da più di 15 giorni in strutture diverse, inadeguate alla loro accoglienza per un tempo così prolungato”. In particolare, a Lampedusa a quella data erano 219 i minori non accompagnati presenti (in parte alla Base Loran e in parte al Cpsa), 61 dei quali arrivati tra il 12 e il 14 maggio; la maggior parte (38) sono originari del Mali; 102 hanno 16 anni, ma ci sono anche 10 ragazzi che hanno tra gli 11 e i 13 anni.

Non è un mistero per nessuno che molti minori hanno compiuto atti di autolesionismo per manifestare la loro insofferenza rispetto alla situazione in cui si trovano. Presso la tensostruttura di Porto Empedocle (Ag) la situazione è stata ancora più allarmante: sono stati trattenuti in attesa di collocamento 109 minori non accompagnati trasferiti il 13 maggio da Lampedusa, dove erano arrivati una settimana prima (tra il 5 e l'8 maggio). La maggior parte ha 16 anni ed è originaria del Mali e del Ghana. Nello stesso periodo altri minori venivano inviati in altre strutture, senza che a loro favore fossero aperte le pratiche di tutela: 13 a Pozzallo (Rg), 43 al Cara di Mineo (CT), 41 al Cara di Pian del Lago (Cl). A questi occorre aggiungere quanti sono arrivati sulle coste siciliane e pugliesi negli ultimi giorni e che sono ancor in attesa di identificazione. “Pur riconoscendo gli sforzi posti in essere dalle istituzioni a vario titolo coinvolte nell'adozione della procedura per il collocamento dei minori stranieri non accompagnati- continua l'organizzazione- Save the Children rilevava con preoccupazione la mancata attuazione operativa della stessa. Per questo motivo raccomandava che si provvedesse con urgenza a individuare una soluzione all'attuale grave situazione, che pone in serio pericolo la sicurezza e la protezione dei minori” E ancora un allarme di Save The Children il 17 giugno, alla vigilia della giornata mondiale del Rifugiato. Secondo l'organizzazione “Da gennaio ad oggi sono circa 1.500 i minori giunti a Lampedusa, di cui 544 nell'ultimo mese: il 10% sono bambini piccoli arrivati insieme a uno o entrambi i genitori, gli altri sono minori non accompagnati, ragazzi adolescenti arrivati dal Nord Africa, soprattutto da Tunisia e Libia, da cui sono fuggiti a causa della guerra, affrontando viaggi rischiosissimi - quale quello dall'esito drammatico avvenuto a largo della Tunisia tra martedì e mercoledì - in cui hanno anche visto morire familiari o amici”. A ricordare i dati è Save the Children, che opera a Lampedusa, Sicilia e Puglia nell'ambito del progetto Praesidium, coordinato dal Ministero dell'Interno, dal 2008.

Ancora con un comunicato del 23 giugno Save the Children ricorda come “sul totale dei minori non accompagnati approdati sull'isola, 425, in prevalenza sedicenni e originari del Mali (84), del Ghana (42) e della Costa d'Avorio (37), sono ancora in attesa di essere collocati nelle comunità alloggio per minori sul territorio nazionale”. Continua l'associazione: “nonostante la legge italiana garantisca ai minori stranieri non accompagnati il diritto all'accoglienza presso questo tipo di strutture, la maggior parte si trova da più di 15 giorni in strutture diverse, inadeguate alla loro accoglienza per un tempo così prolungato. In particolare, al 16 giugno Lampedusa erano 219 i minori non accompagnati presenti (in parte alla Base Loran e in parte al CPSA), 61 dei quali arrivati tra il 12 e il 14 maggio; la maggior parte (38) sono originari del Mali; 102 hanno 16 anni, ma ci sono anche 10 ragazzi che hanno tra gli 11 e i 13 anni. Nei giorni scorsi alcuni minori hanno compiuto atti di autolesionismo per manifestare la loro insofferenza rispetto alla situazione in cui si trovano”. Save the Children sottolinea poi che presso la tensostruttura di Porto Empedocle (AG) la situazione è ancora più allarmante: sono ancora in attesa di collocamento 109 minori non accompagnati trasferiti il 13 maggio da Lampedusa, dove erano arrivati una settimana prima (tra il 5 e l'8 maggio). La maggior parte ha 16 anni ed è originaria del Mali e del Ghana. Gli altri sono: 13 a Pozzallo (RG), 43 al Cara di Mineo (CT), 41 al CARA di Pian del Lago (CL).

“A questi occorre aggiungere quanti sono arrivati sulle coste siciliane e pugliesi negli ultimi giorni e che sono ancor in attesa di identificazione”. Pur riconoscendo gli sforzi posti in essere dalle istituzioni a vario titolo coinvolte nell'adozione della procedura per il collocamento dei minori stranieri non accompagnati, Save the Children rileva con preoccupazione la mancata attuazione operativa della stessa. Colpisce anche la sorte dei 43 minori non accompagnati inviati nel mega Cara di Mineo, teatro di gravi scontri etnici e di dure azioni repressive da parte della polizia, certo il luogo meno indicato per l'accoglienza di minori.

Per questo motivo Save the Children raccomanda che si provveda con urgenza a individuare una soluzione all'attuale grave situazione, che pone in serio pericolo la sicurezza e la protezione dei minori. L'organizzazione chiede, in particolare, che: si proceda in tempi rapidi all'individuazione sul territorio nazionale di “strutture ponte” in cui vengano temporaneamente trasferiti i minori in attesa di collocamento in comunità alloggio; a livello centrale, siano reperiti e aggiornati i posti disponibili in comunità alloggio per minori, ivi inclusi i minori richiedenti protezione internazionale, e che, sulla base di tale disponibilità, venga organizzato il collocamento dei minori; a livello centrale, si provveda a dare chiare indicazioni alle frontiere rispetto alle necessità di trasferimento dei minori non accompagnati.

Considerata la costante presenza dei minori nel flusso migratorio in arrivo dal Nord Africa, Save the Children chiede che sia valutata l'opportunità di “ampliare la disponibilità dei posti in accoglienza e delle risorse stanziate, secondo la previsione dell'art. 5 OPCM 3933/2011, al fine di un'assistenza, accoglienza e protezione adeguata per i minori stranieri non accompagnati in arrivo via mare”.

E con riferimento ai drammatici e rischiosissimi viaggi via mare affrontati anche da molti minori, Save the Children rinnova l'appello ad “aprire urgentemente corridoi umanitari in Libia e a mettere al primo posto delle scelte dei governi la tutela della popolazione civile, a partire dai minori”.

Secondo l'agenzia ASCA al 30 giugno, malgrado l'avvio dei trasferimenti dall'isola, la situazione dei minori a Lampedusa ha di nuovo superato livelli di guardia. A seguito degli ultimi sbarchi (con 63 nuovi arrivi), erano oltre 400 i minori non accompagnati presenti sull'isola. Lo denuncia ancora una volta Save the Children. Dei minori presenti sull'isola, spiega Save the Children, “circa 250 sono nella base Loran e gli altri nel Centro di primo soccorso e accoglienza (CPSA). Questi ultimi sono stipati anche all'interno di stanze normalmente adibite ad uffici, in gravi condizioni di sovraffollamento, con i materassi per terra, in una situazione igienica precaria. Non vi sono spazi ricreativi e ai minori, per motivi di sicurezza, non e' consentito uscire dalle strutture. 190 minori si trovano sull'isola da almeno un mese e 80 tra questi sono sbarcati a Lampedusa tra il 12 e il 19 maggio. La gran parte dei minori soli ha 16-17 anni, ma vi sono anche ragazzi più piccoli, di 12-13 anni”.

“Non e' possibile prolungare oltre la permanenza dei minori a Lampedusa, in queste condizioni del tutto inadeguate - ha dichiarato Raffaella Milano, Direttore dei Programmi Italia Europa di Save the Children - Sollecitiamo l'impegno di tutte le istituzioni, Comuni, Regioni, Governo centrale, per dare completa attuazione alla rete di accoglienza nazionale dei minori, così come prevista dal Piano varato dal Commissario Straordinario Gabrielli e implementato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sulla base delle intese raggiunte dalla Conferenza Unificata. A questo proposito, chiediamo l'immediata attivazione sul territorio nazionale di strutture di accoglienza temporanea per i minori che consentano, in caso di flussi intensi di arrivo, di garantire subito condizioni dignitose di ospitalità, in ambienti e con operatori loro dedicati, anche in attesa della collocazione definitiva in comunità alloggio per minori”.

E un appello e' stato scritto e lanciato dagli stessi ragazzi accolti nella base Loran. Save the Children ha trasmesso alle istituzioni il testo dell'appello ed e' “impegnata a fare sì che i ragazzi siano direttamente coinvolti nella definizione delle soluzioni per garantire i loro diritti”. Purtroppo quando i minori hanno fatto sentire la loro voce, rivendicando i diritti che gli spettavano, e dei quali spesso non erano stati neppure informati, sono seguite dure azioni di carattere repressivo da parte delle forze di polizia senza che gli operatori riuscissero a porre termine ai pestaggi di giovani spogliati nudi, magari allo scopo dichiarato di una perquisizione personale, della quale però non si rinviene generalmente traccia in un verbale.

Intanto nel CPSA di Contrada Imbriacola a Lampedusa, dove vengono ancora trattenuti, contro le previsioni di legge, altre decine di minori, sono sempre più frequenti i casi di autolesionismo, di ribellione o di semplice insubordinazione che vengono puniti con duri pestaggi, come rilevato personalmente da operatori delle associazioni ARCI e Terre des hommes, non convenzionato con il ministero dell'interno, che hanno visto alcuni migranti prima e dopo il trattamento loro inflitto dalle forze di polizia, e ne hanno riferito ai vertici delle rispettive organizzazioni, riservandosi di presentare denuncia una volta che i minori fossero sottratti al controllo delle forze di polizia, allo scopo di evitare ulteriori ritorsioni, come si è verificato a Mineo, dopo una denuncia di abusi, quando i denuncianti sono stati picchiati ancora una volta dalle forze dell'ordine.

Su questi fatti, che a Lampedusa sono ormai fatti notori, colpisce il silenzio di tutte le organizzazioni che operano all'interno del progetto Praesidium. L'esigenza di tutelare le vittime è naturalmente condivisibile, ma alle organizzazioni convenzionate con il ministero dell'interno non dovrebbero mancare canali di comunicazione con il ministero dell'interno per impedire la reiterazione di questi abusi. Alle altre associazioni, non appena i minori saranno in condizioni di sicurezza non rimarrà altra scelta che la denuncia giornalistica ed i ricorsi giurisdizionali.

4.3. La nuova situazione dopo il passaggio di competenze alla protezione civile. Il ruolo degli enti di tutela

Continua la difficoltà nello svolgimento dei diritti di difesa per la mancata collaborazione delle forze di polizia, in particolare nella fase dell'acquisizione delle procure, e per un atteggiamento non sempre collaborativo di alcuni rappresentanti delle organizzazioni che operano in Praesidium, soprattutto nel settore dell'assistenza e dell'informazione legale ai minori non accompagnati. Ma problemi rilevanti si pongono anche nei casi di allontanamento forzato degli adulti.

Nel caso di migranti adulti non richiedenti asilo, destinatari di provvedimenti di espulsione o respingimento, secondo le regole del progetto Praesidium è opportuno verificare che questi abbiano reale accesso alla tutela giurisdizionale e alla difesa e che i tempi di trattenimento previsti dalla legge siano rispettati. Come si spiega allora che molti migranti poi espulsi abbiano trascorso settimane a Lampedusa senza ricevere alcuna notifica, e dunque alcun provvedimento e senza fare valere alcuna possibilità di ricorso?

In molti casi si nega proprio l'accesso degli avvocati nei centri di prima accoglienza, o di prima accoglienza e soccorso, come quelli di Pozzallo e Lampedusa. Quando l'accesso è consentito è soggetto a gravi limitazioni, e spesso i colloqui si svolgono in un clima chiaramente intimidatorio.

Nel caso dei migranti provenienti dall'Egitto e sbarcati sulla costa sud-orientale della Sicilia si procede a veri e propri rimpatri collettivi, senza che neppure le organizzazioni di tutela coinvolte nel progetto Praesidium possano intervenire. In questi casi non si può proprio parlare di esercizio dei diritti di difesa o di una sia pur minima possibilità di chiedere asilo. Sarebbe interessante a questo punto se la Questura di Catania fornisse i dati dei migranti egiziani che hanno avuto accesso alla procedura di asilo, in questi ultimi mesi o dei minori non accompagnati, o anche soltanto di quante volte si sia fatto ricorso ad accertamenti medici dell'età.

Eppure, secondo i canoni di comportamento di Praesidium, convenuti con il ministero dell'interno, per garantire un adeguato follow-up delle azioni intraprese dopo l'arrivo e in particolare delle attività volte all'individuazione e al trattamento delle diverse categorie di migranti, deve essere sempre garantito l'accesso ai Centri per migranti (CARA/CIE) alle Organizzazioni/agenzie specializzate e in particolar modo, agli enti eventualmente operanti nelle aree di arrivo, nonché agli avvocati.

La situazione relativa all'attuazione del progetto Praesidium sembra comunque destinata a mutare un'altra volta all'inizio di luglio con il passaggio delle competenze per l'emergenza Nord-Africa dal Prefetto di Palermo Caruso al Commissario delegato Gabrielli della protezione civile, e, per quanto concerne i minori, al soggetto attuatore Forlani. La movimentazione dei migranti si annuncia più rapida, ma per certi versi del tutto incontrollabile e sarà determinante il contributo di tutti gli operatori, convenzionati come quelli di Praesidium o non convenzionati, per tracciare il percorso dei migranti e garantire loro in qualunque luogo, con la necessaria tempestività, l'effettivo esercizio dei diritti di difesa. Purtroppo rimangono gravi problemi di comunicazione delle sedi di trasferimento dei migranti, e soprattutto nel caso dei minori non accompagnati si rischia di innescare reazioni psicologiche, anche di tipo depressivo, che nel tempo possono avere le conseguenze più gravi. In molti i casi i trasferimenti tendono a garantire il recupero dell'unità familiare, che però va rigorosamente accertata anche allo scopo di evitare che le vittime delle violenze in Libia possano essere raggiunte da sedicenti “mariti” che di fatto sono i loro sfruttatori.

Si deve segnalare la grave situazione dei minori inseriti nelle comunità di Catania, per il sovraffollamento nelle comunità, e dei minori richiedenti asilo, per i ritardi nella formalizzazione delle domande di asilo e compilazione dei verbali C3, e nella convocazione da parte della Commissione Territoriale di Siracusa, causa di numerose fughe e rivolte.

È iniziata intanto a Lampedusa, ai primi di luglio, la fase sperimentale dell'attività di ricongiungimento familiare denominata Restore Family Links (RFL) a favore di minori non accompagnati, di donne e di bambini che per ragioni di migrazione hanno dovuto abbandonare le loro famiglie e i loro affetti. Ed in effetti il tema della dispersione familiare è uno tra più avvertiti soprattutto tra i migranti costretti a fuggire dalla Libia in guerra senza potere avere certezze della sorte e della destinazione dei loro parenti.

Secondo quanto si legge in un comunicato della Croce Rossa del 1 luglio 2011, Il Delegato del Comitato Internazionale della Croce Rossa e responsabile Eurozone RFL e Migrazione, Koen van Kooten, insieme al Responsabile del Tracing Service della Croce Rossa Italiana, Andrea Pettini, e con il supporto di due volontari stanno sviluppando un modello di risposta ai bisogni dei migranti che non hanno informazioni sui propri cari.

E ancora, “Il modello sviluppato, che sarà condiviso con i Tracing Service delle diverse Società Nazionali di Croce Rossa, potrà diventare una capacità di risposta (best practice) per l'Intero Movimento da sempre impegnato sui temi dei missing people in relazione a un quadro sempre più ampio del fenomeno della migrazione. Così, l'esclusività dell'emergenza Nord Africa, con specifico riferimento all'isola di Lampedusa, consentirà di elaborare alla Croce Rossa Italiana una capacità di risposta ad hoc che sarà presto condivisa in rete”.

Sembra però che, almeno per la Croce Rossa, il CPSA di Contrada Imbriacola sia un vero e proprio centro di detenzione. Nel recente comunicato della Croce Rossa si afferma infatti che “il team RFL presente a Lampedusa ha già visitato il Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE) raccogliendo importanti informazioni necessarie per la progettazione dell'intervento”. Per fortuna si apprende anche che la Croce Rossa Italiana, “nell'ambito del progetto PRAESIDIUM, finanziato dal Ministero dell'Interno, intende diffondere sempre più il principio di ‘protezione’ per il destino dei migranti e il diritto di conoscere le loro famiglie, impegnandosi affinché in ogni CIE o Centro d'accoglienza Richiedenti Asilo (CARA) presenti in Italia sia garantita l'attività di Tracing per tutti gli ospiti”.

Considerazioni conclusive

Rispetto alla piega presa dalle prassi amministrative del ministero dell'interno, e di fronte ad una risposta ancora frammentaria, e non sempre tempestiva, fornita dalle organizzazioni operanti dentro Praesidium, la valutazione di questo progetto diventa sempre più ardua. Mentre nei primi anni (2007-2008-2009) Praesidium aveva rappresentato un consistente avanzamento delle prassi adottate in precedenza di fronte ai “flussi misti” di migranti che raggiungevano l'isola di Lampedusa e le coste siciliane, anche per effetto delle modifiche legislative introdotte con il decreto legislativo 25 del 2008, e per il diverso clima nell'ambito dell'amministrazione dell'interno, oggi alla stregua di quanto verificato nel primo semestre del 2011, dopo il trionfo del metodo basato sulla “cattiveria” imposto dal ministro Maroni a tutti i livelli gerarchici per tentare di arginare le migrazioni “clandestine”, un metodo ormai disseminato in una miriade di provvedimenti amministrativi come ordinanze e circolari, sottratte alla riserva di legge ed al controllo giurisdizionale, vengono in mente preoccupazioni sul ruolo effettivo che anche in futuro progetti simili di collaborazione con il ministero dell'interno potranno assumere.

Un invito alla riflessione anche per le organizzazioni che fino ad oggi ne hanno fatto parte. Del resto, se alla fine del progetto Praesidium, le associazioni coinvolte nel progetto dovranno implementare le “buone prassi” alle quali si richiamano su altre ONG nazionali e su operatori locali, il clima di contrapposizione o di aperta delegittimazione che, a differenza di quanto avveniva in passato, si sta innescando nei confronti di altre organizzazioni che operano nel settore dell'accoglienza e dell'assistenza legale, appare del tutto deleterio. A Palermo, come a Catania, a Trapani e ad Agrigento si rileva un sostanziale disinteresse delle istituzioni (Prefettura) ad avere rapporti con associazioni diverse da quelle convenzionate nel progetto Praesidium. In qualche caso, come a Lampedusa, le risposte sono tardive e burocratiche e anche quando vengono consentite le procure agli avvocati, l'esercizio effettivo dei diritti di difesa appare nella maggior parte dei casi una chimera. Talvolta diventa difficile persino avere la conferma della formalizzazione delle domande di asilo, e agli avvocati mancano generalmente i tempi ed i mezzi di prova per opporsi alle convalide dei trattenimenti dei R.A. nei centri di identificazione ed espulsione. In alcuni casi si tratta di evidenti difetti di comunicazione, in altri di scelte precise determinate dai responsabili nazionali delle organizzazioni inserite in Praesidium, che non possono non risentire delle mutate sensibilità del ministero dell'interno con il quale intercorre la convenzione, in ordine alla valutazione dei flussi misti, della condizione dei minori non accompagnati e delle vittime di tortura, delle informazioni da trasmettere ai potenziali richiedenti asilo e delle procedure da seguire per la richiesta di protezione internazionale, con problematiche ancora aperte dalle recenti ordinanze di protezione civile che tendono a distinguere la posizione e la destinazione dei MNA richiedenti asilo, da quella dei MNA non richiedenti asilo. In ogni caso dovrebbe essere evidente che l'obiettivo da perseguire dovrebbe essere quello della completa informazione e della autodeterminazione del MNA.

In molti casi si tratta di comportamenti che non dipendono dalla volontà o dalla professionalità degli operatori locali. Tuttavia le divergenze tra questi rappresentanti locali di Praesidium e le associazioni locali, in situazioni assai delicate, complicate anche dalla crescente massa di dinieghi da parte delle commissione territoriali competenti a decidere sul diritto d'asilo, possono innescare intense depressioni, anche tra gli operatori, ma anche fasi acute di ribellione, come si è visto ovunque, da Mineo a Trapani, da Bari a Ponte Galeria. E le forze di polizia dovrebbero tenere bene a mente il divieto dell'art. 13 della Costituzione italiana, comma secondo, che vieta in modo categorico le violenze fisiche sulle persone comunque sottoposte a limitazioni della propria libertà personale. Un divieto sul quale in troppe occasioni si preferisce chiudere gli occhi e tappare le orecchie.