ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo V
Le proposte di riforma e il “definitivo superamento” degli OPG

Giulia Melani, 2014

A partire dagli anni '70 la misura di sicurezza del ricovero in OPG era stata messa in discussione. Giuristi, psichiatri ed altri esperti del settore auspicavano una riforma della materia. Del resto, nel secondo dopoguerra, alla luce delle critiche all'autoritarismo del Codice Rocco, si susseguirono proposte e disegni di legge che miravano a modificare sostanzialmente il diritto penale, adeguandolo ai principi della Costituzione repubblicana, sia attraverso la revisione di alcune parti del codice vigente che con l'elaborazione di una nuova codificazione (1). Questi tentativi non sono andati a buon fine e, ad oggi, è ancora vigente il Codice del 1930, solo parzialmente emendato da alcune novelle che hanno investito sia la parte generale che quella speciale (2) e, in materia di OPG, dalle importanti sentenze della Corte Costituzionale che sono intervenute sulla presunzione di attualità della pericolosità sociale - sentenze n. 139 del 1982 e n. 259 del 1983 - e sull'automatismo che impediva al giudice di valutare una misura diversa dal ricovero in OPG per l'infermo di mente autore di reato pericoloso - sentenze n. 253 del 2003 e 254 del 2005 (3).

In questo capitolo analizzeremo i progetti di riforma del Codice penale concentrandoci sugli aspetti che riguardano la materia oggetto del nostro studio; inoltre prenderemo in considerazione i disegni di legge e i progetti volti a modificare alcune caratteristiche dell'OPG, senza incidere sulla disciplina codicistica delle misure di sicurezza. Le proposte di modifica saranno esaminate seguendo una classificazione tra le tipologie di riforma e non un ordine puramente temporale. Si procederà infine all'analisi della recente Legge n. 9 del 2012, con la quale è stato disposto il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, offrendo un quadro dell'iter di modifica della disciplina della sanità penitenziaria, nel cui solco si inserisce il recente dispositivo.

1. Proposte di riforma: le tipologia

Nel corso degli anni di vigenza della misura di sicurezza del ricovero in manicomio/ospedale psichiatrico giudiziario si sono susseguite numerosissime proposte di riforma volte a modificare profondamente una misura che era da tempo oggetto di critiche (4). Da un lato emergeva la crisi delle misure di sicurezza in sé e per sé, della legittimità del sistema del doppio binario, dall'altro le critiche si dirigevano contro l'ambiguità dell'istituzione OPG, sempre a cavallo tra il perseguimento di due fini istituzionali, la cura e la custodia degli infermi di mente autori di reato e contro il funzionamento concreto della stessa, le carenze strutturali, gli edifici vetusti, le inaccettabili condizioni igienico-sanitarie. Accogliendo il monito di Pelissero tralasciamo queste ultime considerazioni - le critiche al funzionamento concreto - che, se hanno avuto il merito indubbio di riportare l'attenzione di un pubblico, più o meno esperto, sulla questione degli OPG (5), rischiano di inficiare l'analisi dei possibili modelli di approccio al fatto di reato commesso dal non imputabile affetto da disturbi psichici (6).

Con una prima approssimazione i progetti si possono suddividere in riformisti e abolizionisti. Tra questi ultimi si possono inserire tutti quei progetti che mirano ad eliminare il ricorso alla struttura chiusa OPG e che si muovono su due poli molto diversi, per non dire opposti: da un lato quelli che ritengono necessaria la medicalizzazione dell'intervento sul malato di mente autore di reato, dall'altro quelli che, passando per l'abrogazione della distinzione tra imputabili e non, prediligono la soluzione carceraria. Le proposte riformiste, dal canto loro, mantengono il doppio binario e la misura di sicurezza del ricovero in OPG, intervenendo soltanto su alcuni aspetti della normativa in materia di misure di sicurezza (7).

1.1. Le proposte abolizioniste

Le proposte di abolizione mirano ad eliminare l'istituzione OPG, seguendo due diverse direttrici: la carcerizzazione e la medicalizzazione.

1.1.1. L'opzione della carcerizzazione

Le proposte di questo genere, partendo dalla convinzione dell'esistenza di una sfera di libertà anche in capo al malato di mente, propongono l'abolizione della distinzione imputabilità - non imputabilità, per i soggetti maturi. Questi progetti hanno origine da due diverse considerazioni: una di carattere teorico-filosofico che riguarda le concezioni di imputabilità, responsabilità penale e pericolosità sociale; l'altra di carattere pratico concernente le caratteristiche della misura di sicurezza del ricovero in OPG (8). Da un lato la critica all'istituzione totale OPG, all'afflittività della misura di sicurezza, alla somiglianza con la pena e al contempo l'osservazione delle minori garanzie previste per i non imputabili (9) spingevano verso la scelta dell'unificazione tra pene e misure di sicurezza. Dall'altro le riflessioni sulla malattia mentale come etichetta totalizzante e la volontà di restituire piena dignità al malato di mente conducevano al riconoscimento di quote di responsabilità anche in capo al soggetto affetto da disturbo psichico (10). Le misure di sicurezza sono spesso apparse come una pena persino più afflittiva (11). Se il regime delle misure di sicurezza presenta aspetti sfavorevoli per il folle reo e la misura non si differenzia dalla pena per un effettivo contenuto terapeutico, tanto vale rinunciare alla distinzione e sottoporre l'infermo al medesimo trattamento previsto per il maturo sano. Se questo genere di considerazioni pratiche giustificava la soluzione abolizionista, del resto la posizione dei promotori era suffragata da una presa di posizione anche sul piano teorico. L'idea era quella del riconoscimento di una piena dignità anche al malato di mente, attraverso l'attribuzione della responsabilità dei propri atti. Questa posizione è stata sostenuta dal filone della psichiatria anti-istituzionale, difatti, il riconoscimento della responsabilità delle proprie azioni eliminerebbe una delle stigmatizzazioni che comunemente operano nei confronti del folle. A questa operazione peraltro è riconosciuto non solo il significato di restituire dignità al malato ma anche quello di contribuire ad un processo terapeutico. Molti psichiatri ritengono, infatti, che la responsabilizzazione costituisca un proficuo passaggio in un percorso di cura. Con questi progetti si mirava al ritorno ad un sistema monistico ma partendo da un presupposto completamente diverso da quello della scuola positiva. Se, per i positivisti il malato di mente costituiva un pericolo maggiore perché privo della capacità di autodeterminarsi, questi progetti avevano come presupposto essenziale quello di un'equiparazione del folle al sano, di un abbattimento dei pregiudizi sul disagio psichico (12).

In questo solco per primo si pose il disegno di legge S.177/1983 che aveva come primo firmatario il senatore Vinci Grossi. Il DDL interveniva ad eliminare l'infermità mentale come causa di esclusione o di diminuzione dell'imputabilità (13). Erano conseguentemente abrogate le norme relative alla misura di sicurezza del ricovero in OPG. All'intervento ablativo se ne accompagnava uno che andava ad incidere sulla fase esecutiva: si prevedeva l'ingresso nel carcere del S.S.N. e l'instaurazione di una collaborazione tra i servizi psichiatrici territoriali e l'amministrazione penitenziaria, al fine di mettere in atto all'interno del carcere le cure e le terapie idonee per il disagiato psichico (14). All'inizio dell'esecuzione della pena si sarebbe resa obbligatoria l'elaborazione di un piano per la cura e l'assistenza psichiatrica, approvato dal magistrato di sorveglianza. Nel corso dell'elaborazione del piano sarebbe stata prevista anche una partecipazione del condannato, cui sarebbe stata concessa la libertà di scegliere un medico di sua fiducia da cui farsi seguire. Con questo ritorno ad un sistema monistico, il folle reo avrebbe potuto fruire, al pari di ogni altro detenuto dei benefici previsti dall'ordinamento penitenziario, delle misure alternative, nonché delle sanzioni sostitutive.

Nel 1996 il deputato Corleone riprendendo lo schema tracciato dal progetto Grossi proponeva un nuovo disegno di legge intitolato “Norme in materia di imputabilità e di trattamento penitenziario del malato di mente” (15). Come il suo antecedente storico anche questo progetto proponeva di abrogare le disposizioni del codice penale che sancivano una disciplina speciale per l'infermo di mente autore di reato (gli artt. 88, 89 e 222) (16). Erano eliminate le misure di sicurezza specifiche, abrogato l'art. 148, relativo alla sospensione della pena per infermità psichica sopravvenuta e la malattia mentale era aggiunta alle cause del rinvio facoltativo previsto dall'art. 147 (17). Inoltre una serie di norme provvedevano a disciplinare il trattamento penitenziario del sofferente psichico. Si sanciva innanzitutto il diritto a ricevere, all'interno della struttura penitenziaria le cure mediche necessarie; inoltre si stabiliva che dovessero essere istituite, in ogni regione, sezioni carcerarie apposite cui inoltrare i soggetti affetti da patologie più gravi con un pena superiore ai due anni (18). Anche questo progetto riproponeva, come quello Vinci Grossi, la predisposizione di un piano di cura e di assistenza, elaborato all'inizio dell'esecuzione, cui dare seguito nel corso della stessa e fino a che ve ne fosse stato bisogno (19). Fondamentale diveniva la collaborazione tra i servizi psichiatrici territoriali e l'amministrazione penitenziaria. Per favorire il reinserimento di queste categorie di detenuti, si prevedeva che la destinazione degli stessi alle strutture detentive, seguisse principalmente il criterio della vicinanza al luogo di residenza del reo, così da consentirgli di mantenere e coltivare i rapporti affettivi e familiari nel territorio di origine (20). Infine l'art 16 sanciva espressamente la possibilità per il detenuto affetto da turbe psichiche di essere ammesso alle misure alternative, nel corso delle quali avrebbe potuto seguire il programma terapeutico predisposto dal piano.

Analoghi progetti sono stati presentati a cavallo tra gli anni '90 e i primi anni duemila, si fa riferimento in particolare al D.D.L. Milio, n. 3668 del 1998, del Progetto di legge Biondi, n. 5503 del 1999 e al D.D.L. Cento n. 845 del 2001 ripresentato alla camera dei Deputati nel 2006.

I promotori dei progetti sostenevano la capacità dell'infermo di mente di autodeterminarsi e dunque richiedevano l'equiparazione della risposta penale, che si veniva a differenziare soltanto nella fase esecutiva. L'equiparazione della risposta sanzionatoria muoveva dall'idea della transitorietà e mutabilità del disturbo psichico che non avrebbero consentito di inquadrare il fatto commesso dal malato di mente nelle rigide categorie della non imputabilità e della pericolosità sociale (21).

Il riconoscimento sempre e comunque della capacità di compiere scelte valide anche per il malato psichiatrico, è stato criticato, apparendo come una fictio iuris al pari dell'orientamento che vuole l'infermo psichico sempre incapace di intendere e di volere (22). A questi progetti non si contestava soltanto l'opzione teorica di base. Si notava che, se l'intento della normativa era quello di equiparare - al fine di restituire dignità al folle - la posizione del malato a quella del sano, l'obiettivo era disatteso dal momento che ci si limitava a spostare temporalmente la differenziazione dalla fase del giudizio di cognizione a quella esecutiva, attraverso la predisposizione di un trattamento speciale per gli autori di reato infermi di mente e l'istituzione di sezioni carcerarie regionali per i condannati a pena superiore a due anni affetti da gravi patologie (23). Sul punto delle conseguenze pratiche di un tale genere di riforme si notava come finisse per non essere raggiunto l'obiettivo di garantire un trattamento adeguato, diverso da quello perpetrato negli OPG (24). Infatti, se tra gli intenti dei sostenitori vi era quello di rinunciare all'istituzione chiusa OPG, al di là dei buoni propositi, la soluzione prospettata rischiava di tradursi in un peggioramento delle condizioni dell'infermo di mente autore di reato, in quanto si finiva per sostituire un'istituzione totale con un'altra, ancora più inadeguata ad accogliere persone con disturbi psichiatrici (25).

La riforma, secondo i critici, trascurava i problemi relativi alla gestione del disagio psichico, si rivelava superficiale nella prospettazione delle dinamiche che si sarebbero potute verificare all'interno delle carceri, non considerando le possibili problematiche di relazione tra detenuti ed il rischio di una crescente psichiatrizzazione della pena (26). Infine non mancavano problemi di connessione tra la normativa vigente e le nuove proposte; in particolare la riforma non si soffermava a chiarire quali criteri di commisurazione della pena sarebbero potuti intervenire nei confronti del folle reo. Soprattutto non si chiariva in che modo l'infermità sarebbe andata ad incidere sull'elemento soggettivo, come se l'infermità psichica del soggetto non lo falsasse e non influisse sul dolo e sulla colpa (27).

Del resto la riforma presentava degli aspetti indubbiamente positivi. L'abrogazione del regime speciale avrebbe consentito di superare le sperequazioni tra reo e non imputabile in punto di garanzie. Da un lato sottoporre anche il folle reo alla pena avrebbe evitato quelle situazioni in cui, anche in presenza di un fatto di reato di lievissima entità e scarso allarme sociale, attraverso il meccanismo delle proroghe, il soggetto finiva per essere ricoverato in OPG per anni, se non persino per decenni e ben oltre il limite edittale massimo previsto per il reato commesso (28). Inoltre l'infermo psichico avrebbe potuto accedere alle misure alternative alla detenzione, alle sanzioni sostitutive e a tutti i benefici previsti dall'ordinamento penitenziario (29). In particolare si tratta: della libertà anticipata, della semilibertà, dell'affidamento in prova al servizio sociale, della detenzione domiciliare. L'affidamento in prova, peraltro si sarebbe potuto specializzare in senso terapeutico, con la predisposizione di un progetto elaborato dal Dipartimento di Salute Mentale (DSM) (30) competente. Oltre a benefici e misure alternative anche gli istituti delle sanzioni sostitutive (31), previsti dalla l. 689 del 1981, avrebbero potuto trovare applicazione. Se il soggetto fosse stato condannato ad una pena breve avrebbe potuto evitare la pena detentiva ed essere sottoposto a: semi-detenzione (32), libertà controllata (33) o pena pecuniaria (34). La nuova normativa avrebbe consentito altresì di estendere anche ai malati di mente la sospensione condizionale della pena (35). L'importanza dell'estensione di questi istituti anche ai malati di mente autori di reato si coglie maggiormente se collochiamo nel tempo le proposte di riforma Grossi e Corleone. Difatti occorre ricordare che entrambi i progetti furono proposti prima della nota pronuncia con cui la Corte Costituzionale aprì alla possibilità di applicare, ai prosciolti per vizio di mente pericolosi, misure di sicurezza diverse dal ricovero in OPG. Infatti con la sentenza n. 253 del 2003, il regime delle misure di sicurezza è stato reso maggiormente flessibile consentendo di applicare all'infermo di mente reo una misura di sicurezza non detentiva, possibilità fino a quel momento preclusa. Infine occorre fare una riflessione su un ulteriore elemento di novità. La proposta Corleone prevedeva l'abrogazione dell'art. 148 c.p., relativo alla sospensione della pena e al relativo ricovero in OPG del condannato affetto da gravi patologi psichiatriche che non consentano di proseguire l'esecuzione, e provvedeva ad introdurre nell'art. 147 c.p., relativo al rinvio facoltativo dell'esecuzione, affianco all'ipotesi di grave infermità fisica quella di grave infermità psichica. Dunque l'autore di reato psichiatrico sarebbe stato passibile di condanna, al pari del soggetto sano, come quest'ultimo avrebbe potuto evitare la pena detentiva per condanne brevi attraverso il ricorso al meccanismo delle sanzioni sostitutive. Avrebbe potuto fruire di tutti i benefici previsti dall'ordinamento penitenziario, delle misure alternative e nel caso in cui il suo stato di salute fosse stato particolarmente grave, avrebbe potuto evitare il contatto con l'istituzione totale carcere, attraverso il rinvio facoltativo, fintanto che non fossero migliorate le sue condizioni.

Qualora il soggetto non avesse avuto i requisiti per fruire di queste possibilità, avrebbe scontato la pena nell'istituto penitenziario. In questa fase sarebbero intervenute le norme speciali volte a disciplinare il trattamento specifico per i condannati affetti da patologie psichiatriche. In particolare, le suddette proposte prevedevano l'elaborazione di un piano di cura ed assistenza al momento dell'inizio dell'esecuzione della pena. Il piano sarebbe stato concordato tra DSM e magistrato di sorveglianza con la partecipazione del malato di mente che avrebbe potuto esprimere la scelta di un medico di fiducia da affiancare al medico del servizio psichiatrico pubblico. Un elemento di particolare novità era rappresentato dall'ingresso del servizio sanitario nazionale nelle strutture penitenziarie, dato che ancora nel 1996 la medicina in carcere era materia di competenza dell'amministrazione penitenziaria e i medici che operavano nel carcere erano dipendenti non del Ministero della salute, bensì di quello della Giustizia (36).

1.1.2. L'opzione della medicalizzazione

Passiamo all'analisi delle proposte abolizioniste che prospettano una medicalizzazione dell'intervento sull'autore di reato incapace di intendere e volere. Queste proposte (37), a differenza di quelle appena trattate, non intervengono a modificare la distinzione tra imputabili e non imputabili. Il vizio di mente rimane una delle condizioni che escludono l'imputabilità. Questi progetti si caratterizzano per la proposta di cancellare il trattamento penale nei confronti del folle reo, ripristinando il modello del Codice Zanardelli, con una gestione completamente sanitaria del problema e l'affidamento dei malati di mente autori di reato ai servizi per la salute mentale territorialmente competenti (38). Occorre contestualizzare questi progetti e confrontarli con le proposte di sanitarizzazione immaginate nel corso degli anni' 70 da alcuni studiosi critici dell'istituzione OPG (39). Infatti negli anni '70, a seguito del rinnovato interesse sulla questione “manicomi giudiziari”, dovuto anche agli scandali cui abbiamo più volte fatto riferimento, alcuni esperti, sia psichiatri che giuristi, sostenevano la necessità di abolire i manicomi giudiziari. Tra i profili della disciplina di cui si rilevava maggiormente l'iniquità vi era quello della differenza del trattamento del malato di mente autore di reato rispetto al malato di mente “comune”. Il trattamento del folle reo appariva ben più simile a quello carcerario e non ispirato ad un fine terapeutico. Si profilava l'idea di affidare il soggetto sottoposto a misure di sicurezza (senza modifiche al codice penale) alle strutture sanitarie deputate alla cura dei folli comuni. Da questa idea, dalla prassi di alcuni magistrati di sorveglianza di inoltrare il malato di mente presso gli ospedali psichiatrici civili, dalla conferma legislativa di questa prassi attraverso la previsione nel Regolamento attuativo dell'ordinamento penitenziario, all'art. 100, della facoltà di stipulare convenzioni con le strutture psichiatriche ospedaliere civili, ebbero luogo da un lato l'esperienza dell'OPG di Castiglione delle Stiviere (40), dall'altro l'idea che questa istituzione potesse essere superata potenziando la collaborazione tra i servizi psichiatrici civili e amministrazione penitenziaria (41).

Le proposte di legge di cui abbiamo fatto menzione all'inizio si collocano tutte a partire dalla metà degli anni '80 (42), dunque nel valutarle è necessario tenere conto dell'intervenuta legge n. 180 del 1978. Difatti, appare evidente come, mutando il contesto della normativa in materia di assistenza psichiatrica, mutino anche le condizioni di praticabilità delle proposte di medicalizzazione. Non a caso tutte le proposte di medicalizzazione più recenti non si limitano a rivedere la disciplina relativa al trattamento dell'infermo di mente autore di reato, bensì intervengono, più in generale a riformare la normativa dei trattamenti sanitari obbligatori.

Anche questo genere di proposte, come le precedenti abolizioniste, non sono state esenti da critiche. Alcune voci ne hanno sottolineato i gravi rischi sul piano pratico. Negli anni di attuazione della riforma Basaglia i servizi territoriali si sono mostrati spesso in difficoltà nel farsi carico, come unica struttura deputata all'assistenza del disagio psichiatrico, di tutte le situazioni, in particolare di quelle più problematiche, lasciando spesso l'intero peso della gestione dei pazienti più difficili a carico delle famiglie. Il rischio che si paventa è quello di ingolfare i servizi psichiatrici territoriali, rendendo nella pratica impossibile il loro funzionamento (43). Si rileva inoltre che ai servizi territoriali verrebbe attribuito un compito di custodia, cui potrebbero efficacemente rispondere solo snaturando le loro pratiche, con il rischio di riproporre un modello di assistenza sanitaria simile a quello manicomiale (44).

Questi progetti, in particolare ci riferiamo a quello presentato dall'On. Burani Procaccini nel 2001 (45), non si limitano a riformare gli OPG equiparando la posizione dei malati di mente (tra autori di reato e non), bensì si caratterizzano per una revisione complessiva della legge 180 e della disciplina dell'assistenza psichiatrica. Prendendo in esame le proposte dell'On Burani Procaccini, in particolare quella del 2002, notiamo come, innanzitutto, si proponesse di abrogare gli articoli 34, 35 e 64 della legge n. 883 del 1978 (46). Abrogando le norme della legge sul SSN relative all'assistenza psichiatrica e ai trattamenti sanitari obbligatori, si produceva un ritorno ad una “legge speciale” psichiatrica, costruendo un percorso differenziato per l'assistenza sanitaria ai malati di mente (47). In una logica molto simile a quella dell'abrogata legislazione di epoca giolittiana, la pericolosità a sé e agli altri (48) tornava a costituire l'essenziale presupposto del trattamento coattivo sul malato di mente. La proposta interveniva sulla disciplina del TSO, inserendo a fianco di questa tipologia d'intervento altre forme di ricovero coattivo, l'accertamento sanitario obbligatorio (ASO) e il trattamento sanitario obbligatorio d'urgenza (TSOU). Sui provvedimenti limitativi della libertà personale era chiamata ad esprimere una valutazione una “Commissione per i diritti della persona affetta da disturbi mentali”, composta da giudice tutelare, uno psichiatra con almeno 10 anni di esperienza e un rappresentante delle associazioni di familiari presenti sul territorio. L'ASO poteva essere richiesto da un medico e doveva essere convalidato da uno specialista, poteva protrarsi per la durata massima di un mese. Il TSOU poteva essere richiesto da un medico convalidato da uno specialista, eseguito dal personale delle forze dell'ordine, con una durata di 72 ore e si sarebbe potuto effettuare anche con motivazioni non psichiatriche (49). Il progetto non si limitava ad ampliare le species di intervento coattivo e ad estendere le categorie di soggetti nei cui confronti poteva procedersi ad un intervento sanitario limitativo della libertà personale ma modificava profondamente anche l'istituto del trattamento sanitario obbligatorio. Innanzitutto diminuivano le garanzie previste a favore del malato, la figura del sindaco scompariva dal procedimento in cui intervenivano soltanto un medico generico ed uno specialista. Il TSO era eseguito dalle Forze dell'Ordine. Cambiavano radicalmente i presupposti per l'applicazione che venivano a coincidere con “presenza di gravi alterazioni psichiche e comportamentali” e la mancanza di accettazione da parte del paziente dei trattamenti proposti. Infine erano modificati i termini massimi di durata che diventavano di due mesi, prorogabili. Era prevista l'interruzione del TSO prima del termine ma soltanto a patto di un'assunzione di responsabilità da parte del medico per i fatti eventualmente commessi all'esterno dal paziente.

Per quanto concerne più specificamente il trattamento degli infermi autori di reato questi sarebbero destinati ad eseguire la misura di sicurezza in strutture regionali ad alta sorveglianza (SRA), completamente sanitarie. Negli SRA sarebbero stati accolti i pazienti affetti da gravi patologie che avessero rifiutato l'inserimento in altre strutture o comunità e i sottoposti a misure di sicurezza. La proposta non andava dunque ad incidere sulla disciplina di queste misure, si disponeva semplicemente che queste fossero eseguite nelle nuove strutture a gestione sanitaria. All'interno delle SRA i pazienti “comuni” sarebbero stati divisi da quelli giudiziari per i quali si prevedeva l'istituzione di apposite sezioni protette. Queste strutture riproponevano, seppure sotto una diversa nomenclatura la logica manicomiale, attraverso la riproposizione del binomio cura e custodia, la riaffermazione della pericolosità a sé e agli altri come cardine dell'intervento psichiatrico, la predisposizione di un trattamento paternalistico-custodiale. Esemplari a riguardo sono le disposizioni sul lavoro degli internati, con un ritorno alla logica dell'ergoterapia e la corresponsione di un compenso solo eventuale per il malato di mente lavoratore (50).

Il progetto fu oggetto di ampie critiche da parte degli esponenti di psichiatria democratica (51). Si trattava infatti a tutti gli effetti di una controriforma che mirava alla riproposizione di una logica manicomiale nel trattamento dell'infermo di mente (52). L'assistenza psichiatrica arduamente inserita nel Servizio Sanitario Nazionale, ritornava a presentarsi come un problema di ordine pubblico (53). Per quanto riguarda il trattamento riservato ai folli rei, la medicalizzazione era resa possibile in quanto si assisteva ad un complessivo arretramento dell'assistenza psichiatrica, verso un modello prettamente custodiale che consentiva di equiparare il trattamento del folle reo a quello del malato di mente comune, attraverso il livellamento di entrambe le forme di intervento verso una formula manicomiale (54).

1.2. Le proposte riformatrici

Si possono classificare come riformatrici tutte quelle proposte, compresi i vari progetti di riforma del Codice penale, che optano per il mantenimento dell'istituzione OPG, intervenendo su alcuni aspetti della disciplina di queste misure di sicurezza (55). Questi progetti si articolano tra quelli a legislazione penale invariata, che si occupano principalmente di disciplinare gli aspetti gestionali, e quelli che intervengono a modificare alcuni elementi delle misure di sicurezza, ridefinendo soprattutto quegli aspetti che sono stati oggetto di una maggiore critica. Non faremo un elencazione di tutti i progetti analizzandoli sistematicamente, bensì vedremo quali soluzioni offrano in merito ad alcuni aspetti specifici. Ci soffermeremo poi sull'analisi del Progetto delle Regioni Emilia Romagna e Toscana, in quanto presenta delle caratteristiche peculiari sia sul piano delle modalità di elaborazione della proposta che su quello delle soluzioni prospettate, inoltre, questo progetto anticipa la linea che sarà tenuta dalla recente riforma che dispone il superamento degli OPG, quella della sanitarizzazione del trattamento riservato all'infermo di mente autore di reato.

1.2.1. La questione dell'imputabilità

Il concetto di imputabilità rappresenta uno degli aspetti della materia entrati in crisi negli ultimi '30 anni. La crisi dell'imputabilità è stata il riflesso di un'altra crisi, quella delle certezze scientifiche, in particolare di quelle psichiatriche. Se nella prima metà del XX secolo permaneva la convinzione che la scienza potesse offrire risposte certe ai quesiti posti dal diritto, di talché il giudice si sarebbe limitato a confermare quanto gli esperti gli suggerivano, ad oggi la scienza appare un terreno instabile, non più in grado di offrire risposte che non possano essere messe in discussione (56). In materia di non imputabilità per vizio di mente occorre notare come non esista una definizione di malattia mentale genericamente valida (57). Di fronte alla crisi dell'imputabilità la scelta che il legislatore si trovava ad affrontare al momento della redazione dei progetti di codice penale era quella tra il riconoscimento della responsabilità penale anche in capo ai malati di mente oppure il mantenimento della distinzione tra imputabili e non, eventualmente rivedendone la definizione e le tipologie di cause escludenti (58). Tra gli aspetti problematici in materia, vi è proprio quello della genericità e aleatorietà della definizione di imputabilità come capacità di intendere e di volere, nonché dell'inquadramento sistematico della stessa e dei rapporti con la capacità penale e la colpevolezza. Non solo, per quanto riguarda la causa di esclusione dell'imputabilità rappresentata dal vizio di mente, non pochi dubbi ha posto il riferimento all'infermità. Infatti, com'è noto, nell'ideologia del legislatore del '30 questo serviva a circoscrivere l'inimputabilità a quelle ipotesi in cui il vizio di mente fosse stato riconducibile a precisi riferimenti nosografici. Ma il concetto di malattia mentale è stato ampiamente modificato dagli indirizzi successivi della scienza psichiatrica, prima, sotto l'influsso della psicanalisi freudiana, che ha esteso la valutazione non più ai soli elementi fisici, bensì a quelli della psiche e successivamente negli anni '60-'70, quando gli psichiatri hanno iniziato a prendere in considerazione tutti gli elementi relativi alle relazioni dei soggetti con il mondo esterno, con un approccio sociologico. Queste novità scientifiche sono state accolte dal mondo del diritto, dalla giurisprudenza, gradualmente e in modo altalenante, stante che, parte della giurisprudenza è rimasta ancorata al modello organico di infermità, mentre un'altra parte si è mostrata aperta a considerare quei disturbi che riguardano la psiche e nessuno si è spinto ad adottare il modello sociologico di malattia mentale, che rischia di ampliare a dismisura le ipotesi di patologia (59).

Se il vizio totale di mente è stato ed è una categoria problematica che pone una certa quantità di incertezze, nondimeno il vizio parziale, del quale si è persino chiesto il superamento, non ritenendola una categoria scientificamente valida.

Per quanto riguarda la definizione di imputabilità come capacità di intendere e di volere, occorre notare che alcuni progetti hanno scelto di mantenere questa definizione e di ricorrere ad un modello, quale quello del codice vigente scientifico-normativo, altri hanno pensato di ridefinire a sua volta la capacità di intendere e volere, spesso limitandosi ad introdurre nell'impianto normativo le acquisizioni più condivise (60), altri ancora hanno optato per un abbandono di una definizione positiva, consci della superfluità del ricorso a tali definizioni generiche, nonché dei dubbi sulla possibilità di separare le due sfere dell'intelletto e della volontà (61).

Per quanto riguarda il vizio di mente, alcuni dei progetti di riforma del Codice Penale e delle bozze delle commissioni, investite dell'incarico, ridefinivano le cause di esclusione dell'imputabilità, affiancando al concetto di infermità quello, proveniente dalla tradizione tedesca di anomalia psichica (62). In questo senso lo schema di legge delega per l'emanazione del nuovo codice penale del 1991 (Bozza Pagliaro (63)), all'art. 32 elencava le cause di esclusione e di diminuzione dell'imputabilità, aggiungendo al concetto di infermità, la grave anomalia psichica, nonché la clausola aperta “ogni altra causa”. Analogamente anche il DDL Riz, S.2038 del 2 Agosto 1995, estendeva la non imputabilità alle ipotesi dell'anomalia. Sempre nella direzione di un'espansione del vizio di mente, si poneva, come vedremo, anche il Progetto della Fondazione Michelucci con le Regioni Toscana ed Emilia Romagna (64). Quest'ultimo aggiungeva non solo la grave anomalia, alle cause escludenti, ma anche la grave menomazione sensoriale (65). Il primo progetto della Commissione Grosso (66) aveva anch'esso compreso l'anomalia tra le cause di esclusione dell'imputabilità, evitando, rispetto alla bozza Pagliaro di aggiungere la clausola aperta. Sul concetto di anomalia, non vi è particolare concordanza tra i medici legali, alcuni sono molto critici verso il ricorso a questo. Infatti si ritiene che, rispetto al modello tedesco, che prevede il concetto di anomalia come clausola di chiusura che seguiva ad un elencazione dettagliata delle altre cause di esclusione, nel progetto italiano questa si affianca ad un'altra clausola generica, quale l'infermità di mente. Il secondo progetto della Commissione Grosso (67) aveva sostituito la grave anomalia con il grave disturbo psichico (68), anche questo criticato per la sua portata da un lato espansiva, in quanto consentirebbe di ricomprendere una serie di disturbi non classificati, dall'altro riduttiva, in quanto lascerebbe fuori le nevrosi (69).

Alcuni di questi progetti che andavano ad ampliare il vizio di mente al contempo provvedevano a cancellare la categoria intermedia del vizio parziale. In questo senso sia il progetto della Fondazione Michelucci, che il DDL Milio (70). Del resto il disegno Riz, benché non rimuovesse la semi-imputabilità per vizio parziale incideva sulle conseguenze della stessa, eliminando per i semi-infermi la misura di sicurezza.

Alcuni dei progetti optavano per il mantenimento del concetto di infermità come dirimente tra imputabili e non, al fine di evitare un ampliamento eccessivo della causa di esclusione. In questo senso, ad esempio, il progetto di riforma del Codice penale Nordio (2005) (71), manteneva l'infermità psichica, aggiungendo però una nuova categoria, oltre al vizio totale di mente, il “vizio quasi totale”, equiparando le conseguenze delle due situazioni. Nella medesima ottica, anche il progetto Pisapia del 2006 (72) manteneva il riferimento alla capacità di intendere e di volere e all'infermità, però otteneva un'estensione delle cause attraverso la richiesta esplicita che la perizia medica prendesse in considerazione, debitamente anche i disturbi della personalità.

1.2.2. La questione della pericolosità sociale

In crisi è entrato da tempo anche il concetto di pericolosità sociale, da molti considerato strettamente connesso alla stessa esistenza delle misure di sicurezza. Soprattutto, la normativa in materia di assistenza psichiatrica ha eliminato il nesso di matrice positivista tra malattia mentale e pericolosità sociale. A livello di dibattito tra medici legali si osserva come alla scuola positiva che riconosce una maggiore pericolosità dei soggetti affetti da disturbo psichiatrico, se ne sia aggiunta un'altra, che sulla base del medesimo pregiudizio, giunge all'opposto risultato, ovvero quello della minore pericolosità degli infermi di mente (73). La teoria prevalente, ad oggi, vuole che non esista un nesso eziologico diretto tra la commissione di reati e la patologia mentale. Si sostiene la necessità di prendere in considerazione una molteplicità di fattori: sociali, economici, familiari. La malattia in sé e per sé non sarebbe indice né di una maggiore, né di una minore pericolosità sociale, dovendosi piuttosto guardare alle condizioni di vita complessive del soggetto (74).

Da un lato dunque è entrato in crisi il fondamento teorico-filosofico della pericolosità sociale del malato di mente, dall'altro ci sono altri aspetti che sono sembrati necessitare di una riforma. Per esempio la durata minima della misura di sicurezza, come espressione di una presunzione del perdurare della pericolosità (sebbene relativa, in quanto, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n.110 del 1974, è ammessa la revoca anticipata), ancora la rigidità del binomio pericoloso-non pericoloso che non consente una graduazione degli interventi, oppure il ricorso obbligatorio alla misura di sicurezza detentiva per tutti gli imputabili pericolosi, o i requisiti oggettivi dai quali scaturisce la valutazione della pericolosità e la conseguente applicazione della misura di sicurezza.

Dalla crisi della pericolosità è derivata la richiesta di una sostituzione del concetto, con altri che, pur rispondendo alla funzionalità di garantire la difesa sociale, risultino più compatibili con le recenti istanze di superamento del nesso tra malattia mentale e pericolo sociale. Del resto anche la pericolosità ha subito sorte analoga a quella dell'imputabilità per quanto concerne la certezza scientifica. Dunque, anche coloro che optavano per una posizione di conservazione della categoria ne richiedevano una ridefinizione.

Anche la pericolosità sociale è stata revisionata in molti dei progetti di riforma del Codice penale presentati a partire dal II Dopoguerra. Alcuni provvedevano ad un ablazione del concetto, sostituito da altri che sembravano dotati di maggior scientificità. In questo senso, la bozza Pagliaro richiedeva solamente la valutazione del nesso eziologico tra il fatto commesso ed il disturbo psichico. Analogamente, ma in una chiave meno deterministica e nell'ambito di una complessiva volontà di attribuire alla misura un diverso significato, alcuni progetti - il Progetto Pisapia in particolare - sostituivano la pericolosità sociale con la necessità di terapie.

Altri disegni, pur lasciando integra la pericolosità sociale e attribuendo comunque ad essa il valore di cardine del sistema delle misure di sicurezza, intervenivano a limitare il ricorso a queste ultime. Ad esempio il DDL Nordio, prevedeva che scattasse una presunzione di pericolosità relativa soltanto nelle ipotesi di commissione di fatti contro la vita o l'incolumità - sia individuale che pubblica - oppure caratterizzati dalla violenza contro le persone. Analogamente nei Progetti Pagliaro e Riz, soltanto la commissione di fatti per i quali il massimo edittale fosse stato superiore a dieci anni consentivano di ricorrere alla misura di sicurezza.

Alcuni progetti intervenivano sulla durata della misura di sicurezza, il DDL Milio, cancellava il termine minimo, mentre il Progetto Pisapia stabiliva un tetto massimo di durata, così da evitare le situazioni di cosiddetto ergastolo bianco, che andava a coincidere con il massimo di pena edittale previsto per quello specifico fatto.

Particolarmente interessante risulta il disegno Riz che disponeva una graduazione della pericolosità sociale, con misure di sicurezza diverse a seconda del grado.

1.2.3. La misura di sicurezza

Al di là dei presupposti per l'applicazione, alcuni progetti affrontavano anche le tipologie di intervento nei confronti degli infermi di mente autori di reato, affiancando alla misura al ricovero in OPG altre misure, nell'ambito di un sistema di intervento graduale, oppure modificavano la misura del ricovero in OPG. Peraltro abbiamo già affrontato il tema delle criticità riscontrate riguardo ad alcune categorie di soggetti non imputabili, tra tutti i tossico-alcool dipendenti e i semi-infermi. Al di là della necessità sollevata di rivedere le cause di esclusione/diminuzione dell'imputabilità, anche coloro che optavano per la conservazione delle categorie, proponevano una revisione della tipologia di trattamento (75). In particolare per quanto riguardava i semi-imputabili, tra coloro che ritenevano sia necessario mantenere la categoria, alcuni sostenevano che fosse comunque da abolire il sistema del doppio binario, considerato troppo repressivo (76). Altra categoria che, dal punto di vista del trattamento aveva posto non pochi dubbi e problemi era quella dei tossicodipendenti. Si riteneva che il ricovero in OPG non rappresentasse un trattamento idoneo, data la peculiarità delle problematiche che concernono questa categoria, rispetto agli infermi di mente. Alcuni avanzavano la proposta di introdurre specifiche misure di sicurezza, magari riconducendo allo schema di tali misure, gli interventi sperimentati nel trattamento penale extra-murario, come ad esempio il ricorso alle comunità, con specifici programmi di disintossicazione concordati con i Servizi per le Tossicodipendenze (Ser.T.) (77).

Riguardo ai profili di applicazione ed esecuzione della misura il Progetto Pagliaro rimaneva molto generico circa le possibili misure di sicurezza che il legislatore delegato avrebbe potuto disporre, limitandosi a parlare di misure terapeutiche giudiziarie o civili, non escludendo dunque il ricorso agli stessi OPG. Il disegno di Legge Riz proponeva una soluzione intermedia, gli OPG non risultavano abrogati ma vi erano destinati solo i prosciolti per vizio di mente che avessero commesso reati con pena edittale superiore nel massimo a dieci anni, sempre se pericolosi. Le strutture destinate ad accogliere gli internati sarebbero dovute essere presenti in ogni Regione ed accogliere solo gli internati provenienti da quel territorio, sì da evitare un completo allontanamento dal territorio di riferimento e da favorire, dunque, la risocializzazione. In queste strutture si attuava l'intervento dei Servizi sanitari del territorio di residenza. Nel disegno di legge Milio si sostituisce l'ospedale psichiatrico giudiziario con un ospedale psichiatrico obbligatorio di cui non si rendono note le caratteristiche peculiari. Il progetto Grosso prevedeva che il trattamento del non imputabile dovesse essere di competenza della giustizia penale solo ove “assolutamente necessario il ricorso a forme di coercizione personale” mentre ordinariamente il compito sarebbe spettato ad istituzioni diverse. Nel Progetto Milio non si faceva più riferimento alle “misure di sicurezza” sostituite da “misure di controllo, cura e sostegno rieducativo”. Queste misure erano suddivise in tre tipologie:

  • Ricovero in struttura giudiziaria di custodia con finalità terapeutiche o di disintossicazione;
  • Obbligo di sottoporsi ad un trattamento di cura presso strutture sanitarie civili sotto il controllo del servizio sociale;
  • Altre misure denominate dalla legge.

Queste potevano avere una durata massima di dieci anni, mentre il minimo era fissato in un anno di durata. Anche il progetto Pisapia si muoveva sulla linea tracciata dal precedente progetto Milio della previsione di un trattamento differenziato, questo spaziava dal ricovero in strutture protette alla libertà vigilata, tra le quali il giudice avrebbe potuto scegliere la più confacente al caso specifico.

1.2.4. Il progetto Regione Toscana - Emilia Romagna

Tra i progetti di legge riformatori appare degno di una particolare attenzione il Progetto delle Regioni Toscana ed Emilia Romagna in collaborazione con la Fondazione Michelucci (78). Questo progetto nel metodo si presenta innovativo in quanto elaborato da un gruppo di esperti che lavoravano con i folli-rei costituito da psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, operatori di comunità e giuristi. Attraverso la collaborazione nella fase dell'elaborazione delle professionalità che cooperano nella pratica del trattamento di questi soggetti, questo progetto si presenta come frutto della mediazione tra contrapposte visioni (79).

Il progetto prevedeva il mantenimento della distinzione tra imputabili e non imputabili. Erano ampliate le cause di esclusione dell'imputabilità che arrivavano a comprendere, come visto in precedenza oltre all'infermità, la grave anomalia psichica e la grave menomazione sensoriale. La capacità di intendere e di volere era definita dal co. 4 dell'art. 1, ove si statuiva che fosse incapace colui che avesse commesso l'atto in uno «stato di alterazione della realtà», o compiuto un atto non «coscientemente determinato».

Le misure di sicurezza continuavano ad essere applicate ai non imputabili ritenuti socialmente pericolosi ma si offrivano al giudice una serie di requisiti oggettivi per effettuare questa valutazione: la gravità del fatto commesso, l'attualità delle condizioni che avevano dato luogo all'infermità e il loro rilievo, la situazione ambientale e relazionale del soggetto (80). La misura di sicurezza era esclusa per coloro che avessero commesso un delitto punito con la reclusione inferiore a due anni, oppure per un delitto colposo o per il quale fosse prevista solo la pena pecuniaria.

Il progetto prevedeva inoltre un trattamento differenziato su due livelli (art. 4):

  • Assegnamento in regime di custodia, applicato ove la pena edittale massima fosse non inferiore a dieci anni.
  • Affidamento al servizio sociale, destinato solo a coloro che avessero commesso un reato con pena edittale inferiore nel massimo a dieci anni, con possibilità di applicare l'assegnamento in custodia ove la misura risultasse inadeguata e con possibilità di conversione successiva.

L'art. 5 della proposta designava gli istituti in cui avrebbe dovuto svolgersi l'assegnamento in custodia. Le strutture sarebbero dovute essere una per ogni regione, così da garantire il principio di territorialità. Le dimensioni di questi nuovi istituti sarebbero dovute essere ridotte, massimo trenta ospiti per ogni struttura, caratterizzate dalla funzione preminente di terapia ma attrezzate per garantire altresì la custodia. L'assegnazione a questi istituti sarebbe avvenuta per decisione del giudice, avuto riguardo al territorio di provenienza del soggetto o a quello dove egli mantiene una rete di rapporti familiari e sociali. Ove il processo di diminuzione della pericolosità sociale si fosse presentato ad uno stadio avanzato, il progetto prevedeva la possibilità di sottoporre il soggetto a misure con vigilanza attenuata.

Era prevista la possibilità, per il sottoposto a misura, nei confronti del quale si fossero configurate eccezionali esigenze di sicurezza, di affidamento a sezioni carcerarie, dotate di un adeguato reparto. Per ogni sottoposto era prevista l'elaborazione di un programma di trattamento in collaborazione con il Servizio sanitario pubblico di competenza. La gestione del programma terapeutico era affidata al SSN, la gestione della custodia interna all'amministrazione penitenziaria. I membri di questa sarebbero potuti accedere all'interno solo su richiesta del responsabile sanitario. Dunque il modello di struttura immaginato era quello a completa gestione sanitaria con controllo perimetrale esterno da parte del personale dell'amministrazione penitenziaria.

Per quanto concerne la seconda tipologia di misure, l'art. 6 del progetto le inseriva nella disciplina dell'affidamento in prova al servizio sociale ai sensi dell'art. 47 della legge n. 345 del 1975, si disponeva che il sottoposto fosse affidato al Centro Servizio Sociale per adulti (81). Tra le prescrizioni che il giudice poteva disporre nell'ordinare la misura si prevedeva quella della sottoposizione ad un programma terapeutico-riabilitativo.

Il Servizio sanitario pubblico avrebbe dovuto seguire l'andamento del programma e riferirne al Centro Sociale, anche al fine della modifica delle prescrizioni.

Ogni anno per l'affidamento ad un istituto ed ogni sei mesi per l'altra misura il magistrato di sorveglianza avrebbe dovuto espletare un accertamento sulla persistenza della pericolosità sociale. Questo accertamento sarebbe potuto essere anticipato su richiesta dell'interessato, su segnalazione del servizio sanitario, oppure d'ufficio.

Il progetto metteva mano anche alla disciplina relativa agli altri soggetti destinati all'OPG, cercando di porre rimedio a quella situazione di eterogeneità che si era mostrata essere fonte di problematiche.

Per quanto riguarda l'invio in manicomio giudiziario per i condannati affetti da patologia psichiatrica in una fase successiva alla condanna e precedente l'esecuzione, o nel corso della stessa, previsto dall'art. 148 c.p., in primo luogo il progetto accoglieva i rilievi della sentenza della Corte Costituzionale n. 146 del 1975 (82), stabilendo che il tempo in cui il soggetto era sottoposto alla misura fosse computato nella pena da espiare. Il progetto distingueva tra le due situazioni regolate dall'art. 148, da un lato si prevedeva per i soggetti affetti da infermità psichiatrica nel corso dell'esecuzione, il ricovero nelle strutture psichiatriche previsto dall'art. 73 del c.p.p. per un periodo massimo di tre mesi, mentre per quanto concerne gli affetti da infermità psichica nel corso dell'espiazione della pena detentiva, il magistrato di sorveglianza decideva sulla destinazione ai centri diagnosi e cura carcerari. Attraverso questa previsione la fetta di internati in OPG ai sensi dell'art. 148 sarebbe venuta meno, i soggetti affetti da patologia prima dell'esecuzione sarebbero stati affidati alle cure dei servizi psichiatrici pubblici, mentre coloro che erano colpiti nel corso dell'esecuzione avrebbero continuato a scontare la pena detentiva negli appositi centri interni alle carceri.

Il progetto faceva riferimento ai centri di diagnosi e cura e stabiliva le caratteristiche che questi avrebbero dovuto assumere. Ogni Regione avrebbe dovuto dotarsi di uno di questi centri, gestiti per quanto concerne la terapia da personale sanitario e attrezzati con spazi tali da consentire lo svolgimento di attività lavorative, educative e ricreative. A questi centri sarebbero dovuti essere assegnati, oltre ai detenuti di cui all'art. 148 del c.p. per i quali il giudice avesse stabilito l'assegnazione, i detenuti - sia condannati che in custodia cautelare - con problemi psichiatrici, facendo salvo l'art. 286 del c.p.p. che prevede la possibilità per il giudice del ricovero del sottoposto a custodia cautelare presso una struttura del Servizio Sanitario pubblico. Ivi si sarebbero potuti destinare anche i sottoposti a perizia psichiatrica ed i sottoposti ad osservazione psichiatrica, qualora la struttura penitenziaria di provenienza non fosse risultata in grado di rispondere alle esigenze di diagnosi e cura.

La proposta essendo sufficientemente articolata consente di poter ridurre il rischio di una riproposizione di piccoli OPG a livello regionale.

2. Gli OPG alle soglie del Duemila

Abbiamo visto come, a partire dalla metà degli anni '70, voci provenienti sia dalle istituzioni politiche, che dagli esperti in materia (magistrati di sorveglianza o psichiatri), avanzavano proposte per operare il superamento del manicomio giudiziario. L'introduzione dell'ordinamento penitenziario non aveva intaccato in modo significativo la realtà di queste istituzioni, provvedendo per lo più a modificarne soltanto la denominazione, da manicomio ad ospedale psichiatrico giudiziario. L'individualizzazione della pena e la finalizzazione alla rieducazione, perpetrate con l'appena menzionata riforma, andavano ad assottigliare maggiormente le differenze tra la misura di sicurezza in questione e la pena. Le distinzioni che permanevano erano quelle delle minori garanzie riservate agli internati, tanto da spingere alcuni autori a ritenere che la realtà dell'istituzione totale OPG si dovesse superare attraverso l'eliminazione del vizio di mente quale causa di esclusione dell'imputabilità (83). Nel 1978 veniva approvata la riforma dell'assistenza psichiatrica che, da un lato rompeva lo stretto nesso tra cura e custodia che aveva rappresentato il fulcro dell'intervento psichiatrico, dall'altro allargava a dismisura la distanza tra il trattamento dei folli comuni e dei folli rei, rendendo dubbia la supposta natura terapeutica del trattamento psichiatrico-giudiziario e la legittimità della misura (84). La Corte Costituzionale a partire dagli anni '70 interveniva consentendo la revoca anticipata della misura e scalfendo la presunzione di pericolosità sociale (85). Il legislatore nel frattempo si era a più riprese posto la questione di come riformare la materia, senza peraltro riuscire nell'intento.

Gli OPG alle soglie del XXI secolo sono ancora strutture alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria, destinate ad accogliere i prosciolti per vizio totale di mente ed altre categorie di soggetti. Per quanto concerne i luoghi, per lo più si tratta degli stessi che avevano visto nascere l'istituzione un secolo prima. Il personale che vi opera è dipendente dell'amministrazione penitenziaria, sia quello medico che quello di polizia. Gli OPG, figli dell'istituzione manicomio giudiziario, che a seguito di una visita Lombroso definì un'«immensa latrina» (86), versano ancora in condizioni igieniche e strutturali non ottimali (87).

2.1. I luoghi

Gli OPG, negli anni a cavallo tra il XX e il XXI secolo sono sei, molti dei quali si trovano ancora ospitati negli stessi edifici dove originariamente furono ubicate queste istituzioni. Di questi OPG solo uno è dotato di un reparto femminile - quello di Castiglione delle Stiviere - e tutti gli altri sono esclusivamente riservati ad uomini. Se ripercorriamo la storia che abbiamo tracciato all'inizio di questo lavoro, possiamo facilmente ricordare come il primo manicomio giudiziario fosse stato inaugurato nel 1876 ad Aversa. Al manicomio giudiziario di Aversa erano seguiti, prima quello di Montelupo Fiorentino nel 1886 e poi quello di Reggio Emilia, inaugurato nel 1897. Fino agli anni '20 del XX secolo i manicomi giudiziari rimasero questi tre (88). Soltanto nel 1923 e nel 1925 vennero inaugurate due nuove strutture, una - immaginata come succursale del manicomio giudiziario di Aversa - a Napoli annessa al carcere di Sant'Eframo, l'altra in Sicilia a Barcellona Pozzo di Gotto (89). Nel 1939 venne inaugurato attraverso una convenzione tra gli Istituti ospedalieri e il Ministero di Grazia e giustizia una sezione per pazienti giudiziari nell'ospedale psichiatrico civile di Castiglione delle Stiviere. Il primo manicomio giudiziario femminile fu aperto negli anni '60 a Pozzuoli, prima di quella data le internate erano destinate ad una sezione del manicomio giudiziario di Aversa (90).

Sul finire del XX secolo gli OPG sono sei, quello di Pozzuoli è stato chiuso a seguito della tragica morte di Antonietta Bernardini e l'unico OPG che ha conservato una sezione femminile è quello di Castiglione delle Stiviere che è stato per lunghi anni l'unico Ospedale psichiatrico giudiziario a completa gestione sanitaria. Vediamo dunque le situazioni in cui versano a cavallo del Duemila i 6 OPG italiani.

Aversa (91)

L'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa è ospitato in una struttura costruita nei primi anni del XIX secolo per finalità militari, destinata prima a sezione carceraria per invalidi, poi con decreto del 1876 dell'allora Direttore delle Carceri Martino Beltrani Scalia, a sezione per maniaci. La struttura è ampia, con un grande giardino, la capienza è di 300 posti e sono previste sia stanze singole che stanze per più ospiti, fino ad un massimo di quattro dotate di letti a castello. Le celle restano aperte dalle 8 la mattina alle 8 di sera.

Come risulta dal report dell'European Committee for Prevention of Torture and Inhumane or Degrading Treatment or Punishment (CPT) del Consiglio d'Europa (92), le condizioni in cui versava l'OPG di Aversa nel corso del Settembre 2008 - quando una delegazione del CPT ha proceduto all'ispezione dell'istituto - erano le seguenti (93):

  • Dal punto di vista delle condizioni materiali, anche se enormemente variabili da sezione a sezione, queste apparivano nel complesso insufficienti: le stanze piccole rispetto al numero di posti letto, le condizioni igieniche in alcune zone decisamente precarie. Oltre a problemi strutturali ed igienici, appariva carente l'arredamento con mancanza di sedie e tavoli nel numero necessario e servizi igienici non adeguatamente funzionanti.
  • Dal punto di vista dell'organizzazione di attività, era constatata la monotonia e ripetitività della scansione di attività nel corso della giornata. Inoltre, tutte le attività erano incentrate alla mera risposta ai bisogni primari, mentre, per l'organizzazione di diversi interventi non risultava essere presente né personale, né materiali sufficienti.
  • Dal punto di vista del trattamento, quello medico risultava essere prettamente farmacologico, non esistevano piani terapeutici personalizzati, il personale sanitario era carente e la mancanza di attività riabilitative e risocializzanti rendeva impossibile la progettazione di percorsi rieducativi. I materiali medici erano vecchi e in cattive condizioni. Le condizioni materiali, strutturali non consentivano di perseguire l'obiettivo di tutelare la salute mentale del paziente.
  • Per quanto concerne lo staff era riscontrata la mancanza di preparazione specifica per i membri della polizia penitenziaria, nonché le carenze numeriche del personale sanitario.
  • La contenzione, nelle modalità in cui era stato riscontrato essere praticata nell'OPG di Aversa - condizioni materiali inaccettabili, durata notevole, scarso monitoraggio clinico - veniva chiaramente definita come un trattamento inumano e degradante.

Montelupo Fiorentino (94)

L'istituzione è ospitata nella Villa dell'Ambrogiana, una Villa Medicea del XVI secolo. Il complesso è costituito di una serie di fabbricati immersi nel verde. I locali risultano inadeguati, soprattutto per l'antichità del complesso e per la particolarità che per raggiungere aree comuni e spazi aperti è necessario superare una serie di barriere architettoniche. Le celle sono sia singole, sia da 2-3 posti che da 5-6. La gran parte sono celle singole. Le celle rimangono aperte per un tempo variabile a seconda delle sezioni, 12 ore nella seconda, 5 ore (6 e ½ nel periodo estivo) per la terza.

Reggio Emilia (95)

L'OPG si trova all'interno dell'edificio che ospita la Casa Circondariale, dove è stato trasferito dal 1991. A differenza delle altre strutture ha uno spazio verde molto ristretto. Le varie sezioni sono organizzate con la medesima struttura: corridoio, celle, infermeria, stanze per la contenzione. Le celle sarebbero singole ma sono adibite a doppie e molto ristrette. Su 5 sezioni 4 rimangono chiuse tutto il giorno per carenza di personale.

Napoli Sant'Eframo e Secondigliano (96)

La struttura di Sant'Eframo si trova nel centro storico di Napoli, nata come sezione distaccata dell'OPG di Aversa, è ospitata in un antico convento. La parte “vecchia” della struttura non si trovava in buone condizioni ed erano presenti camerate anche di 6 persone. Le camerate restavano aperte dalle ore 08.00 alle ore 20.00.

Nel 2008, per decisione del Provveditorato dell'amministrazione penitenziaria campana, l'OPG di Sant'Eframo è stato temporaneamente (?) chiuso per operarne il restauro e i pazienti sono stati trasferiti nella sezione del carcere di Secondigliano denominata Area verde. A Secondigliano la struttura è di costruzione abbastanza recente (anni '90) e per questo le condizioni sono discrete. Le celle sono dotate di bagno interno ma nessuna dispone di doccia. La struttura si compone di due piani con 40 stanze singole e 20 doppie. Per 10 ore al giorno le celle sono aperte ed è possibile per gli internati fruire degli spazi destinati ad attività ricreative (97).

Barcellona Pozzo di Gotto (98)

L'edificio in cui si trova l'istituzione psichiatrico giudiziaria è stato costruito nel 1925. E' organizzata in sei reparti che si trovano in condizioni igieniche disomogenee. Nel reparto agitati le celle sono chiuse per l'intera giornata e sono presenti vetri rotti sia alle porte che alle finestre. Ci sono ampie zone verdi per le ore d'aria e spazi comuni grandi e ben tenuti. Le celle sono 85 singole e 40 cameroni con un massimo di 9 posti letto.

Castiglione delle Stiviere (99)

E' situato in una zona periferica di Mantova, si tratta di un complesso moderno con piscina e molto spazio verde. L'interno è pulito e spazioso, tanto da non rendere la struttura paragonabile a nessun altro OPG. Le stanze sono molto simili a quelle ospedaliere bianche e semplici. Rispetto alle altre strutture non esistono celle. Il numero di ospiti per stanza è variabile di sezione in sezione. Le stanze sono sempre aperte, l'ora d'aria dura dalle 07.30 alle 17.00 e d'estate fino alle 18.00.

Le case di cura e custodia

E' necessario fin da subito chiarire che non sono mai esistite, sin dall'introduzione della misura di sicurezza dell'assegnazione ad una casa di cura e custodia, strutture destinate esclusivamente ad accogliere questa istituzione. La misura di sicurezza è eseguita in sezioni degli OPG oppure, come per la sezione di casa di cura e custodia CCC femminile entro il reparto femminile della Casa circondariale N.C.P. di Sollicciano a Firenze, in sezioni degli istituti penitenziari (100). Questa situazione di fatto è stata legittimata dall'art. 62 della Legge n. 354 del 1975, ove si dispone che possa essere istituita una sezione di casa di cura e custodia all'interno degli ospedali psichiatrici giudiziari.

2.2. Gli internati

Quando parliamo di internati, ci riferiamo non alla singola categoria giuridica dei prosciolti per vizio di mente abitano questi luoghi. Ancora alle porte del Duemila le classi giuridiche di internati sono variegate e non omogenee, anche se, rispetto alla disciplina originaria sono intervenuti dei cambiamenti. Ripercorriamo dunque le categorie giuridiche che originariamente erano destinate a queste strutture, cercando di ricapitolare i cambiamenti intervenuti nella normativa. La prima categoria è quella dei sottoposti a misura di sicurezza prevista dall'art. 222 del c.p., dunque i prosciolti per vizio totale di mente pericolosi. Oltre a questi soggetti ve ne sono altri, sempre sottoposti a misura di sicurezza, ovvero: i condannati a pena diminuita per vizio parziale di mente, di cui all'art. 219 del c.p. e i sottoposti in via provvisoria ad una delle due misure, ai sensi dell'art. 206 c.p.

Il codice di procedura penale del 1931 disponeva che potessero essere inviati in OPG anche gli imputati a procedimento sospeso, ovvero quei soggetti che, pur avendo compiuto l'atto in uno stato di capacità di intendere e di volere, fossero risultati affetti da una patologia che non consentiva loro di prendere parte attivamente al processo (101). Questa categoria, a seguito dell'introduzione del nuovo codice di procedura penale nel 1988, dovrebbe considerarsi non più esistente. Il nuovo codice - all'art. 73 - dispone che, qualora il procedimento sia sospeso per infermità sopravvenuta del soggetto e non si possa procedere al proscioglimento oppure alla dichiarazione di non luogo a procedere, se lo stato di mente dell'imputato appare tale da renderne necessaria la cura, il giudice informa l'autorità competente per i provvedimenti relativi al trattamento sanitario delle malattie mentali. Inoltre, qualora vi sia pericolo nel ritardo, il giudice può disporre il ricovero nelle strutture idonee del servizio psichiatrico ospedaliero (102).

All'OPG potevano essere inviati i condannati a cui, ai sensi dell'art. 148 del c.p., fosse stata sospesa la pena, in virtù di una infermità psichica sopravvenuta. La possibilità di sospendere la pena produceva gravi conseguenze, con il rischio concreto di un internamento perpetuo del soggetto. Ancora oggi è possibile, in caso di infermità sopravvenuta, destinare il detenuto agli OPG ma non sospendere l'esecuzione della pena. Su questo aspetto è infatti intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 146 del Giugno 1975.

L'imputato detenuto poteva essere inviato in manicomio giudiziario anche qualora si fosse reso necessario espletare una perizia sul suo stato di mente.

I detenuti, in esecuzione della pena e gli imputati in custodia preventiva, potevano, ai sensi dell'art. 106 del regolamento carcerario del 1931, essere inviati in manicomio giudiziario in stato di osservazione. Il regolamento penitenziario del 1976 dispone, diversamente, che gli accertamenti sullo stato psichico siano espletati nello stesso istituto dove il soggetto si trova detenuto e in ipotesi di insufficienza del servizio diagnostico anche in altro istituto penitenziario. Soltanto per gravi motivi poteva disporsi l'invio negli OPG che non può perdurare oltre 30 giorni (103). La stessa previsione è riproposta nel nuovo regolamento del 2000 (104).

2.3. Il trattamento

Gli OPG non hanno seguito la strada riformatrice segnata per il trattamento del malato di mente non autore di reato dalla Legge n. 180 del 1978. La normativa codicistica delle misure di sicurezza è rimasta inalterata - salvo gli importanti interventi della Corte costituzionale in materia. Le strutture sono antiche e non versano in buone condizioni. Si sostiene dunque che negli OPG non siano intervenuti, nonostante il clamore suscitato da alcuni scandali, i cambiamenti sperati e auspicati nel corso degli anni '70. Con questo non si vuole affermare che la vita all'interno di queste strutture sia rimasta sempre immutata. Sicuramente vi è stata a partire dagli anni '80 una valorizzazione dell'aspetto terapeutico e risocializzante, nel tentativo di garantire la piena rispondenza della misura ai principi costituzionali della tutela della salute e della rieducazione. Sono state potenziate le attività di reinserimento sia intra-murarie (105) che, per gli internati con posizione definitiva, quelle extra-murarie (106). Inoltre in alcune Regioni sono stati avviati progetti inerenti le cosiddette “strutture intermedie”, comunità terapeutiche, case alloggio, luoghi destinati ad accogliere l'internato nella fase di uscita per garantire il più possibile un reinserimento graduale, soprattutto con lo strumento delle licenze finali di esperimento (107).

2.4. La scoperta di un problema: i dimissibili

Nel corso dell'ultimo decennio è emerso un nuovo problema: quello dei cosiddetti dimissibili. La scoperta di questa condizione è in parte connessa con la mutata concezione del rapporto tra follia e pericolosità. Nel contesto ideologico-culturale degli anni della promulgazione del codice penale, la pericolosità del folle era concepita in termini deterministici. Il delitto era la manifestazione patologica di qualche difetto congenito, la follia era una delle cause delle condotte criminose. Fino agli anni '60 del XX secolo questa «veniva automaticamente sovrapposta a concetti quali violenza, aggressività, incontrollabilità, anti-socialità» (108). A partire dagli anni '60 si assistette ad una progressiva messa in discussione del rigido nesso tra malattia mentale e pericolosità. La scientificità del concetto fu oggetto di un ripensamento, anche attraverso il richiamo alla teoria della self fulfilling prophecy, secondo la quale, stante che il comportamento criminale è causato da una molteplicità di fattori, il fattore dell'etichettamento incide sul comportamento futuro dell'agente tanto da potersi definire come “profezia che si auto-avvera”. La malattia cessava così di rappresentare la sola ragione della commissione dell'illecito, la spiegazione necessaria e sufficiente del reato. Dunque il malato non si riteneva pericoloso solo in ragione della sua patologia, anzi l'elemento “clinico” passava in secondo piano rispetto al contesto sociale. Si diffondeva una valutazione della pericolosità di carattere multifattoriale, oltre all'elemento clinico-diagnostico erano presi in considerazione fattori sociali, come il contesto familiare, lavorativo ed economico e la rete di servizi messa a disposizione del soggetto (109). Sotto il profilo scientifico la pericolosità negli ultimi anni è stata oggetto di numerose critiche, nonostante ciò questa ha continuato e continua ad essere il presupposto essenziale per l'applicazione della misura di sicurezza, nonché la base di tutte le vicende che intervengono nell'esecuzione della misura (revoca, proroga, modifica).

In virtù della nuova concezione che ha scavalcato l'idea positivista di un nesso eziologico tra crimine e follia, ritenendo che i rilievi clinico-anamnestici non siano sufficienti ad esprimere un giudizio in termini prognostici, soprattutto nella fase di uscita dal manicomio giudiziario (revoca o proroga della misura di sicurezza), sono andati assumendo sempre maggiore rilevanza fattori esogeni, legati al contesto in cui il soggetto vive ed opera, sostituendo così una concezione deterministico-biologica della pericolosità con una situazionale (110). Con la diffusione della pericolosità situazionale dunque, vengono ad assumere un rilievo fondamentale, le opportunità offerte all'esterno, ad esempio i progetti dei Dipartimenti di salute mentale, o l'offerta di opportunità di reinserimento da parte dei servizi sociali o ancora la presenza di una rete familiare e affettiva (111).

Prima di spiegare come il nuovo problema sia connesso alla natura della pericolosità sociale, cerchiamo di capire cosa debba intendersi con il termine dimissibili. Prima di tutto quando ci riferiamo ai dimissibili parliamo di soggetti che sono già internati in OPG, non ci riferiamo dunque ai prosciolti per vizio di mente ai quali debba ancora essere applicata una misura di sicurezza. Inoltre prendiamo in considerazione coloro che sono in OPG in esecuzione di una misura di sicurezza applicata in via definitiva e non coloro che, ai sensi del'art. 206 vi si trovano per applicazione provvisoria. Infine si tratta di soggetti cui è scaduto il termine di durata della misura di sicurezza e che, nonostante l'équipe interna si sia espressa nel senso di una scemata pericolosità sociale, si vedono prorogare la misura in ragione della mancanza di sostegni e misure adeguate a favorire il loro reinserimento sociale all'esterno (112).

Nell'anno 2011 questo problema - già noto dal 2009 (113) - è denunciato da alcuni membri della Commissione Parlamentare d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del servizio sanitario nazionale della XVI Legislatura (nota ai più come Commissione Marino, dal nome del Senatore Ignazio Marino presidente della Commissione) (114), il cui lavoro ebbe un notevole risalto sui media nazionali. Nell'aprile del 2011, avviando la campagna “Stopopg” un gruppo di associazioni, tra le quali il Gruppo Abele, Forum salute mentale, Psichiatria democratica e Antigone, denunciavano la presenza, nell'anno 2010 su un totale di 1419 internati, di 350 persone dimissibili (115), quasi il 25% della popolazione complessiva degli OPG (116). A novembre del 2011 a fronte di una popolazione di 1322 internati i dimissibili erano 213, pari al 16% circa (117). I dati forniti dal Comitato di Stopopg nelle due occasioni sono frutto di una loro stima ed elaborazione, dal momento che il DAP ha effettuato una sola ricognizione sul numero dei dimissibili nell'anno 2009 (118).

Prima di proseguire con altre conclusioni, è necessario soffermarci sulla legittimità della categoria stessa. Si parla infatti di soggetti dimissibili, il termine richiama l'idea che si tratti di soggetti non più pericolosi e che dunque sarebbero detenuti senza alcun titolo, in una situazione di palese illegittimità (119). La loro condizione non è propriamente quella appena descritta. Difatti, come abbiamo visto, la concezione di pericolosità sociale è mutata nel corso del tempo, di talché oggi la malattia non appare più essere l'unico elemento degno di essere preso in considerazione nel corso della valutazione di pericolosità.

Dalla condizione dei soggetti cosiddetti dimissibili appare opportuno trarre alcune considerazioni, di carattere più generale. Se si sceglie di abbandonare ogni posizione biologico-deterministica infatti, la stessa distinzione dei soggetti in base alla loro dimissibilità appare labile (120). La riflessione che appare opportuno iniziare prendendo spunto dalla problematica delineata è quella della necessità di offrire all'esterno soluzioni che favoriscano, non solo l'uscita dagli OPG dei soggetti ma anche una diminuzione della loro affluenza nella fase di ingresso, attraverso un maggiore ricorso alle misure di sicurezza non detentive come la libertà vigilata. La mancanza di presa in carico da parte dei Dipartimenti di salute mentale dei soggetti giudiziari, la carenza di progetti atti a favorire il reinserimento sociale - sia con soluzioni abitative che lavorative - rendono la misura di sicurezza in oggetto una sorta di “buco nero” dal quale appare difficile uscire. Assumono sicuramente importanza i progetti volti ad incrementare le uscite degli internati già presenti in OPG, progetti che dovrebbero cercare di coinvolgere gradualmente anche quello zoccolo duro di pazienti altamente “istituzionalizzati”. Ma data soprattutto la natura afflittiva del ricovero in OPG, la più volte riscontrata e affermata assenza di terapeuticità, il rischio di effetti dannosi sul paziente ed il pericolo della creazione di un nucleo di pazienti cronicizzati appare fondamentale agire su progetti volti a decrementare il ricorso stesso alla misura di sicurezza detentiva. Progetti che risultano impraticabili fintanto che i DSM non saranno disposti a prendersi in carico i provenienti dagli OPG.

3. Verso la sanitarizzazione dell'OPG: la riforma della sanità penitenziaria

Con la conversione in legge del D.L. 211/2011, “Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri”, è introdotto l'art. 3ter, con il quale era fissato un termine per il definitivo superamento dell'OPG, compiendo il percorso avviato dalla riforma della sanità in carcere. Ripercorriamo dunque i passaggi chiave di questo iter di riforma.

3.1. La sanità in carcere: breve storia

Per cogliere meglio il significato del D.L. 211/2011 è necessario inquadrarlo nel contesto della riforma della sanità penitenziaria, attuata con D.P.R. 230/2000 e DPCM 1º aprile 2008.

Preliminarmente chiariamo che fino all'avvio della riforma - nel 1999 - la sanità penitenziaria ha sempre rappresentato un settore a sé stante, separato dalla tutela della salute e dall'assistenza sanitaria per i cittadini liberi. Il regolamento degli istituti di prevenzione e pena del 1931 aveva introdotto la presenza sanitaria nelle carceri, inserendo l'obbligo per ogni istituto di dotarsi di almeno un medico. I medici che operavano in carcere, alla luce di questa normativa, erano dipendenti dal Ministero di Giustizia, anche se non si fissava il tipo di rapporto intercorrente tra il Ministero ed il personale. Questo tipo di previsione risultava coerente con l'assetto normativo dell'epoca, stante che la salute non era concepita come un diritto dell'individuo, non esisteva un Ministero della Salute (121) e il compito di assistenza sanitaria era spartito tra più soggetti tra i quali associazioni di categoria, enti benefici e di mutuo soccorso (122).

In continuità con questa normativa, la legge n. 740 del 1970 regolava il rapporto intercorrente tra l'Amministrazione penitenziaria e i medici operanti negli istituti, attribuendo alla mansione svolta nella carceri la qualità di eccezionale, consentendo così ai medici penitenziari, non inquadrati nell'organico dell'amministrazione di esercitare la professione anche all'esterno. Nel 1975 interveniva sulla materia della tutela della salute in carcere l'ordinamento penitenziario che - all'art. 11 - stabiliva che ogni struttura dovesse garantire adeguati servizi sanitari. Si specificava che per il funzionamento di tali servizi l'amministrazione potesse avvalersi della collaborazione dei servizi pubblici. La salute dei reclusi restava però una competenza del Ministero della Giustizia.

Nel 1978 fu approvata la legge n. 833 istitutiva del servizio sanitario nazionale. L'art. 1 di questa legge disponeva che la tutela della salute dell'intera popolazione fosse assicurata dal Servizio Sanitario Nazionale, senza distinzione di condizioni individuali o sociali. Non essendo dunque prevista alcuna norma specifica che stabilisse la specialità della medicina penitenziaria, alcuni autori ritennero fosse intrinseco il passaggio della stessa al SSN. Nonostante questo, la medicina penitenziaria rimase di competenza del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (DAP) all'interno del Ministero della Giustizia. Del resto nel senso del mantenimento dell'assetto previgente si era espresso il Consiglio di Stato con un parere nel 1987 (123).

Alla fine degli anni '90, nell'ambito dell'opera di ristrutturazione e razionalizzazione del SSN, il Parlamento emanò la legge delega n. 419 del 1998, con la quale si chiedeva al Governo di provvedere anche al riordino della medicina penitenziaria (124). Il decreto (/i decreti) doveva procedere all'inserimento della medicina penitenziaria nel SSN (125).

Il 22 Giugno del 1999 fu approvato il decreto legislativo concernente il riordino della sanità penitenziaria. In piena attuazione dell'art. 32 della Costituzione, si sanciva il principio dell'uniformità delle prestazioni sanitarie tra soggetti reclusi e persone in stato di libertà. Per quanto concerne il trasferimento delle funzioni dall'amministrazione penitenziaria al SSN si stabiliva che, a partire dal 1.1.2000, fossero trasferite le funzioni concernenti la prevenzione generale e la diagnosi e terapia delle tossicodipendenze, mentre per le restanti funzioni dovessero essere individuate almeno tre Regioni ove sperimentare alcuni modelli organizzativi. Con Decreto del Ministero della Salute e della Giustizia del 20 Aprile del 2000 erano individuate le Regioni che - a partire dal 22 Novembre dello stesso anno - avrebbero dovuto avviare la sperimentazione: Toscana, Lazio e Puglia. Il termine di durata della fase sperimentale fu poi prorogato al 30 Giugno 2002, con il Dlgs. 22 Dicembre 2000, n. 433; inoltre la sperimentazione fu estesa alle Regioni che ne avessero fatto richiesta nei 30 giorni successivi (126).

Le sperimentazioni si rivelarono fallimentari in quanto rimasero sulla carta. Solo con la finanziaria dell'anno 2008 - Legge 24 Dicembre 2007, n. 244 - furono stanziati fondi per l'attuazione del passaggio e con il Dpcm 1º Aprile 2008 fu stabilito il trasferimento ope legis al SSN dal 14 Giugno 2008 (127).

Le funzioni sanitarie negli istituti penitenziari, con questo ultimo passaggio, erano trasferite al SSN, comprese dunque le funzioni sanitarie all'interno degli OPG.

3.1.1. Gli effetti della riforma della sanità penitenziaria sugli OPG

Nell'ambito del processo di riforma, il 21 aprile del 2000, fu approvato con decreto interministeriale, il Progetto obiettivo per la tutela della salute in ambito penitenziario (128). Il progetto individuava tra i settori specialistici che necessitavano di interventi peculiari quello delle persone affette da disturbi psichiatrici (129). Preliminarmente, si notava la maggior incidenza di questi disturbi nell'istituzione carceraria, incidenza che aveva già portato nel 1975, a prevedere la presenza in ogni istituto di almeno un medico psichiatra, unico specialista obbligatoriamente presente (130). Gli obiettivi fissati riguardavano in primo luogo: lo studio e l'analisi delle situazioni al fine di comprendere le peculiarità, l'entità della presenza e la distribuzione dei disturbi psichiatrici nel settore penitenziario, nonché la formazione degli operatori e il loro aggiornamento su questi specifici aspetti. Tra gli obiettivi vi era quello di garantire e assicurare un trattamento equipollente a quello offerto all'esterno, cercando soprattutto di favorire la presa in carico con programmi individualizzati, rispetto alla pura e semplice risposta alla situazione emergenziale. Questo doveva raggiungersi ponendo in essere una serrata collaborazione con il settore del trattamento al fine di evitare duplicazioni nei ruoli che avrebbero potuto danneggiare il soggetto sottoposto alla cura. Si fissava il principio secondo il quale nell'assegnazione agli istituti di soggetti affetti da disturbi psichiatrici si sarebbe dovuto cercare di mantenere una vicinanza con la Regione di residenza prima della detenzione e si prevedeva dovessero istituirsi all'interno delle carceri sezioni di osservazione e di intervento. Infine, appariva necessario agire sul settore dell'internamento in OPG e in virtù di questo si poneva l'obiettivo di breve termine di definire i protocolli e le modalità di intervento (131).

Con il trasferimento - con Dpcm 1º aprile del 2008 (132) - delle funzioni sanitarie negli istituti penitenziari al SSN, vennero definite, nell'allegato C, le linee di intervento specifiche per il settore dell'internamento psichiatrico giudiziario e la responsabilità della gestione sanitaria degli OPG venne trasferita alle Regioni ove questi avevano sede. Il Dpcm si poneva l'obiettivo del graduale superamento dell'OPG. Erano fissate tre direttrici, che corrispondevano sostanzialmente alle soluzioni ipotizzate per alcuni dei problemi che erano spesso rilevati: la presenza di soggetti eterogenei, le difficoltà nell'uscita dovute all'assenza di programmi esterni e di presa in carico da parte dei servizi territorialmente competenti. Per questo si prevedeva un'azione volta a: creare reparti psichiatrici all'interno delle carceri per ridurre l'invio dei detenuti in OPG; tessere una collaborazione interistituzionale tra amministrazione penitenziaria e Dipartimenti di salute mentale (DSM); garantire il rispetto del principio di territorialità nell'assegnazione agli istituti psichiatrico-giudiziari così da favorire la dimissione degli internati attraverso la presa in carico da parte dei servizi di salute mentale e l'elaborazione di programmi esterni.

Gli obiettivi erano poi declinati in una serie di azioni organizzate in tre fasi. Nella prima fase, a passaggio di competenze avvenuto (133), i DSM nel cui territorio si trovavano gli OPG avrebbero dovuto provvedere alla stesura di un piano finalizzato principalmente alla riduzione del numero degli internati, attraverso la dimissione di quelli che avevano concluso la misura di sicurezza - con la collaborazione delle Regioni di provenienza e assicurando forme di inclusione sociale per i dimessi - il trasferimento nelle carceri degli internati detenuti e l'impegno ad effettuare le osservazioni negli istituti di pena (134). La seconda fase, che sarebbe dovuta partire dopo un anno, era funzionale ad ottenere un avvicinamento degli internati alle aree di rispettiva provenienza. A tale fine si attribuivano indicativamente ad ogni OPG dei bacini macro-regionali di utenza (135). Le Regioni competenti per la gestione sanitaria, in accordo con le Regioni di provenienza degli internati avrebbero dovuto predisporre programmi per ciascuno di questi, volti ad agevolare l'uscita dalle strutture. L'ultima fase, di due anni successiva, sarebbe stata funzionale alla regionalizzazione degli OPG. In questa fase, gli internati sarebbero dovuti passare alla responsabilità delle Regioni di competenza che avrebbero dovuto provvedere alla presa in carico e alla predisposizione di programmi da svolgere nelle strutture, così da facilitare la dimissione e favorire il reinserimento sociale. Si anticipavano le possibili soluzioni che ogni Regione avrebbe potuto adottare: dalle strutture OPG con livelli diversificati di vigilanza, a strutture di accoglienza, all'affidamento ai servizi psichiatrici e sociali territoriali.

Per attuare una cooperazione proficua tra le istituzioni coinvolte (sia sanitarie che carcerarie) si richiedeva di attivare un gruppo di lavoro all'interno del Tavolo di consultazione permanente della Conferenza Stato Regioni e a livello regionale presso l'Osservatorio. La Conferenza unificata provvide ad emanare tre accordi.

Il primo nel 2008 stabiliva la distribuzione degli incarichi e provvedeva ad attuare la cooperazione tra organismi sanitari e amministrazione penitenziaria. Nella stessa sede, seduta del 31 Luglio 2008, la Conferenza Stato Regioni con delibera istituiva un tavolo di consultazione permanente con i compiti di: monitorare l'attuazione del D.P.C.M.; valutare l'efficacia e l'efficienza degli interventi; predisporre indirizzi per favorire l'intervento nelle realtà territoriali; attuare un coordinamento inter-istituzionale. Era altresì istituito un Comitato Paritetico Interistituzionale con i compiti di: predisporre gli indirizzi per l'attuazione dell'allegato C e predisporre gli strumenti per il graduale superamento degli OPG.

Con il secondo accordo - del 2009 (136) - si individuavano le linee di intervento prioritarie, tra le quali: incrementare le dimissioni e redistribuire gli internati nei macro-bacini regionali. In particolare, erano state osservate una serie di carenze alle quali si cercava di porre rimedio. Innanzitutto era emerso, da una ricognizione del DAP, il problema dei dimissibili. A giugno del 2009 questi risultavano in numero pari a 399 uomini e 14 donne. Per risolvere questo nodo problematico le Regioni si impegnavano a raggiungere l'obiettivo di 300 dimissioni nel corso dell'anno 2010, attraverso un piano tra Regioni da avviare entro due mesi (137). Si era inoltre osservato come la previsione dei bacini macro-regionali, in via orientativa, non avesse prodotto i risultati attesi, dunque, con l'accordo, il DAP si era impegnato a rispettare il criterio della provenienza regionale nell'assegnazione ai vari istituti. Infine, riscontrando le difficoltà e le inerzie dei DSM nella presa in carico degli internati si stabilivano criteri certi: in primo luogo faceva fede la residenza prima dell'internamento, sussidiariamente ci si riferiva al luogo di dimora abituale.

L'ultimo accordo è stato stipulato nel 2011 (138), con questo si provvedeva ad integrare le linee guida del Dpcm 1º Aprile 2008. Nell'allegato A si delineavano gli aspetti problematici e gli interventi necessari. Era rilevata la mancata attuazione delle sezioni specializzate nelle carceri che non aveva consentito il trasferimento dei condannati che si trovavano in O.P.G. non in esecuzione di una misura di sicurezza. Si notava che il successo del programma relativo agli OPG era subordinato alla realizzazione di un sistema efficiente di tutela della salute all'interno degli istituti di pena. Sembrava in particolare necessario provvedere a sezioni o reparti destinati ai soggetti affetti da infermità psichica sopravvenuta.

Si era riscontrato, a seguito di un monitoraggio, come l'impegno delle Regioni nel processo di superamento apparisse tutt'altro che uniforme. In particolare si notava l'inerzia delle Regioni che allo stato non ospitavano OPG.

Per quanto concerne i macro-bacini e la relativa gestione venivano istituiti un Gruppo di Coordinamento del Bacino Macroregionale per il Superamento degli OPG, composto da un rappresentante per ciascuna delle Regioni afferenti al Bacino e in ciascuna Regione e Provincia Autonoma il Sottogruppo Tecnico Regionale per il Superamento degli OPG con i seguenti obiettivi:

  1. Finalizzare le azioni al superamento degli OPG e favorire la gestione uniforme ed omogenea dell'assistenza sanitaria in favore di tutte le persone detenute o internate.
  2. Assicurare che il DSM competente territorialmente per l'area di residenza dell'internato provveda alla presa in carico.
  3. Impegnare le Aziende Sanitarie a realizzare programmi terapeutico riabilitativi condivisi con tutti i servizi (come servizi sociali e servizi per le tossicodipendenze).

Come si può notare, durante l'intero percorso di graduale superamento degli OPG, iniziato a partire dal 2000, di pari passo con la Riforma della sanità penitenziaria, le direttive di azione rimangono sostanzialmente le stesse. Si ritiene, innanzitutto che sia necessario provvedere a rinviare nelle carceri tutti i soggetti non sottoposti a misura di sicurezza, al fine di limitare l'eterogeneità degli ospiti delle strutture psichiatrico giudiziarie. L'OPG deve dunque provvedere ad una riduzione dei propri internati, spogliandosi di alcune funzioni che sono ritenute ormai non più connaturate a questa struttura. Altro intervento, sempre con finalità deflattiva, è quello di provvedere alla dimissione dei soggetti che risulterebbero non più pericolosi, qualora fossero assistiti all'esterno dai servizi psichiatrici nonché da quelli sociali. In questo senso si possono leggere sia gli interventi con i quali le Regioni provvedono a destinare appositi fondi alla predisposizione di programmi individualizzati per favorire la fuoriuscita dall'OPG, sia il processo di trasferimento dell'internato in aree più vicine al luogo di origine, con la predisposizione dei macrobacini, sia infine l'obbligo di presa in carico da parte dei DSM.

Ad avviso di chi scrive, nell'ottica di una regionalizzazione ma soprattutto di un progressivo e graduale superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, sarebbe stato importante concentrare l'attenzione non soltanto sui meccanismi di uscita bensì anche su quelli di entrata, anche se l'attribuzione di responsabilità ai DSM potrebbe favorire anche un minore ricorso alla misura di sicurezza detentiva.

Finora ci siamo occupati dell'iter di riforma, soprattutto per quanto concerne gli obiettivi di regionalizzazione e superamento delle strutture manicomiali-giudiziarie, ma la riforma della Sanità penitenziaria è andata ad incidere anche su alcuni aspetti organizzativi e gestionali degli OPG esistenti. In primo luogo, prima della riforma, il personale medico che operava all'interno degli istituti penitenziari era personale alle dipendenze, con un tipo di rapporto definito eccezionale, dell'amministrazione penitenziaria. La gestione della salute degli internati, così come quella dei detenuti, era responsabilità dell'amministrazione. Questa modalità organizzativa portava con se il rischio di una commistione impropria delle esigenze sanitarie con quelle di sicurezza (139). Secondo Cantone il rischio di questa impropria fusione di finalità eterogenee è abbastanza concreto, lo dimostrerebbe la circolare del DAP n. 3337-5787 del 1992 in materia di costituzione e fondamento delle aree organizzative all'interno della struttura penitenziaria. Infatti, proprio la circolare, istituendo l'area sanitaria, sottolineava la compresenza di esigenze di carattere custodiale a complemento di quelle sanitarie (140). Con la riforma dunque, anche negli OPG, le funzioni sanitarie sono trasferite alla competenza delle Regioni.

L'istituzione OPG rimaneva, anche dopo la riforma, un'istituzione penitenziaria speciale dentro il contenitore organizzativo del carcere, questo poneva dei problemi, in quanto comportava spesso una compressione delle esigenze di cura, soverchiate da quelle di sicurezza. Come nota Scarpa, tale quadro diveniva ancora più preponderante dopo la prima fase di applicazione del Dpcm del 2008. Prima di questo, alla Direzione degli OPG era preposto un medico psichiatra dipendente dall'amministrazione penitenziaria. Con il Dpcm alla Direzione sanitaria, seppure inquadrata nei ruoli dell'amministrazione penitenziaria, si sostituiva una Direzione penitenziaria (141), non più con competenza e professionalità medica ma proveniente da tutt'altro ruolo. Per quanto concerne le funzioni di cura vi è preposto un dirigente sanitario, tale dirigente non è compartecipe del governo della struttura, non è dunque possibile parlare di doppia direzione (142). Il problema che si riscontra dal punto di vista gestionale e organizzativo è quello della tendenza dell'amministrazione penitenziaria ad assorbire il settore sanitario all'interno delle aree di propria competenza, al pari dell'aree trattamentale, di sicurezza, contabile, con il conseguente rischio che il settore medico finisca per svolgere funzione servente alle altre (143).

In poche parole, il problema che appare emergere anche sotto l'aspetto gestionale e funzionale della struttura, è sempre l'antico problema della duplice funzione della stessa. In pratica, l'OPG, nonostante la riforma della sanità penitenziaria e gli obiettivi volti a caratterizzare la struttura in senso terapeutico, rimane un'istituzione prevalentemente penitenziaria, con una gerarchia tipica del carcere, personale penitenziario, affiancato a quello sanitario ed una commistione di compiti che spesso vede la funzione terapeutica schiacciata dalle esigenze custodiali.

4. Il tentativo di superamento dell'OPG: tra ritardi, proroghe e lievi inversioni di rotta

Con la legge n. 9 del 2012 è stato predisposto un termine per il definitivo superamento dell'OPG. L'obiettivo del superamento già individuato dalla riforma della sanità penitenziaria, attraverso l'introduzione nella legge di conversione del D.L. 211 del 2011 dell'art. 3 ter, sembrava subire un nuovo slancio. L'introduzione dell'articolo è stata per buona parte il frutto del clamore suscitato dalle ispezioni a sorpresa nei sei OPG della commissione sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale. Il percorso a tappe previsto dalla legge n. 9 del 2012, con una tempistica assai ristretta ha subito immediatamente una serie di ritardi ed inadempimenti, ai quali hanno fatto seguito ben due decreti di proroga. Con questo paragrafo ripercorreremo l'iter della recente riforma dalle ispezioni della Commissione fino al Decreto 52 del 2014. Cercheremo inoltre di delineare i profili critici del recente intervento del legislatore.

4.1. La Commissione Marino e le ispezioni negli OPG italiani

La legge n. 9 del 2012 può essere inquadrata come il tassello finale dell'iter di riforma della sanità penitenziaria in cui era stato posto l'obiettivo del superamento ed erano state fissate come linee da perseguire quella della sanitarizzazione e della territorializzazione. Ma la repentinità dell'inserimento dell'articolo nel decreto legge sulla tensione detentiva, in fase di conversione, è piuttosto connessa al clamore mediatico che era stato sollevato sulla questione dalla Commissione d'inchiesta del Senato sull'efficacia e sull'efficienza del servizio sanitario nazionale della XVI legislatura - in particolare del Presidente della Commissione Ignazio Marino - a seguito delle ispezioni a sorpresa nei sei OPG italiani (144). I dati rilevati dai commissari, come risulta dalla relazione (145), sono allarmanti: condizioni igienico-sanitarie precarie, ricorso a misure di contenzione, strutture inadeguate allo svolgimento di qualsivoglia funzione terapeutica. L'intervento, a parere della Commissione è urgente, su più fronti.

Dal punto di vista strutturale, gli edifici che ospitano l'istituzione OPG sono apparsi in alcuni casi fatiscenti, comunque simili a strutture carcerarie, piuttosto che ad ospedali e le condizioni igieniche all'interno spesso precarie. Data l'inaccettabile condizione la Commissione richiedeva di porre rimedio alle carenze strutturali nel termine massimo di sei mesi, anticipando che, in caso di inerzia le strutture sarebbero state soggette a chiusura con atto autoritativo (146).

La seconda linea di intervento che la Commissione incentivava era relativa al trattamento terapeutico, si richiedeva l'elaborazione di una modalità di assistenza sanitaria maggiormente conforme ai Piani Regionali per la salute mentale e si preventivava la prospettiva di costituire unità funzionali più piccole in cui raggiungere standard conformi a quelli esterni. Questa attività non doveva andare in controtendenza rispetto all'obiettivo del superamento degli OPG, anzi, secondo i relatori avrebbe coadiuvato questo processo: infatti la previsione di aree con differente livello sia sanitario che sociale, avrebbe facilitato i progetti personalizzati di reinserimento.

Come già in tutto il percorso di riforma della sanità penitenziaria, appariva necessario attivare le sezioni psichiatriche all'interno degli istituti penitenziari; si ribadiva quanto già affermato nel D.P.C.M. 1 Aprile 2008, ovvero la problematicità costituita dalla presenza di categorie eterogenee che, date le carenze strutturali, strumentali, di personale e il sovraffollamento in cui sono stati trovati gli istituti non potevano essere proficuamente gestite all'interno.

Un altro aspetto problematico era stato riscontrato nella cooperazione tra la magistratura di sorveglianza ed i servizi psichiatrici territoriali. Questa sarebbe dovuta essere incentivata e stimolata, così da garantire una prassi maggiormente conforme alle pronunce della Corte Costituzionale, favorendo l'adozione di misure non privative della libertà. Il potenziamento della collaborazione tra magistratura e servizi appariva essenziale sia per favorire un minore ricorso alla misura detentiva in fase di entrata sia per evitare il susseguirsi di proroghe e dunque incentivare uscite più agevoli, più semplici.

Ma la Commissione non aveva avanzato proposte solo da un punto di vista organizzativo-gestionale delle strutture, si riteneva una necessità primaria superare la normativa vigente. L'intervento doveva provvedere a modificare sia la legge sull'assistenza psichiatrica che la normativa penale. La prima doveva essere modificata nel senso di garantire effettivamente una rete di servizi, di talché al sistema OPG-centrico, si andasse a sostituire un modello in grado di offrire risposte alternative a quella detentiva, variegate, graduate e che rispondessero nel miglior modo alle esigenze specifiche del singolo. Queste modifiche, peraltro apparivano come transitorie nella prospettiva di una revisione dell'imputabilità e delle sue conseguenze.

Per quanto concerne i condannati, o gli imputati, affetti da infermità psichica, da un lato la Commissione prospettava un intervento attraverso la messa in pratica di quelle sezioni di osservazione psichiatrica interne agli istituti penitenziari, alle quali già faceva riferimento il D.P.C.M. 1 Aprile 2008, sezioni con personale specializzato, ove il principale obiettivo perseguito fosse la tutela della salute del malato e non esigenze di custodia o securitarie; dall'altro si riteneva indispensabile prevedere delle comunità terapeutiche ove avviare quei soggetti il cui disturbo psichiatrico fosse risultato incompatibile con la condizione detentiva. Queste comunità erano immaginate secondo il modello degli appartamenti-comunità e sarebbero dovute essere ad unica gestione dei DSM.

Per quanto concerne l'infermo di mente autore di reato, la Commissione rilevava come nei suoi confronti tendesse ad operare una presunzione di pericolosità sociale, riteneva necessario che sulla predetta valutazione dovesse essere chiamato ad esprimersi un collegio di psichiatri composto da tre membri: uno del DSM di competenza del soggetto, uno facente parte dell'equipe psichiatrica dell'OPG, l'altro estraneo. Questo collegio nell'ottica della Commissione avrebbe coadiuvato il giudice attraverso l'offerta di un parere specialistico e plurale. La pronuncia di proscioglimento sarebbe dovuta essere accompagnata dalla nomina di un amministratore di sostegno che provvedesse alle necessità di cura e l'elaborazione di uno specifico programma che disponesse anche i termini per la rivalutazione periodica della pericolosità. Per rispondere alle esigenze differenziate, la Commissione riteneva si dovesse intervenire con la creazione di comunità territoriali e protette ove attuare il programma sanitario. Ma la modifica sarebbe dovuta intervenire anche sulla disciplina delle misure di sicurezza, escludendo l'applicazione provvisoria ed eliminando l'internamento sine die.

4.2. La legge n. 9 del 2012: un termine per il superamento

Come abbiamo avuto modo di anticipare la legge del 17 Febbraio del 2012, n. 9 - con la quale si convertiva con modifiche il D.L. 22 Dicembre 2011, n. 211 - fissava una serie di termini per giungere al definitivo superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari. In particolare il termine per il definitivo superamento degli OPG era fissato per il 1 Febbraio 2013. Il decreto prevedeva un processo articolato in alcune fasi, scandite temporalmente:

  1. Definizione dei requisiti delle strutture dove si sarebbero eseguite le misure di sicurezza del ricovero in OPG e dell'assegnazione ad una casa di cura e custodia, con Decreto del Ministro della salute, di concerto con quello della Giustizia, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, entro il 31 marzo 2012.
  2. Esecuzione delle misure di sicurezza nelle nuove strutture sanitarie a decorrere dal 31 marzo 2013.

Alcuni dei requisiti che le nuove strutture avrebbero dovuto presentare, erano già stabiliti dall'art. 3 ter, in particolare: a) gestione interna esclusivamente sanitaria, b) attività di vigilanza perimetrale esterna, se necessaria, c) assegnazione alle strutture adottando quale requisito quello della vicinanza al territorio di provenienza dell'internato.

Il decreto destinava alcuni fondi, una quota parte riservati alla riconversione delle strutture e alla costruzione di nuove (147), un'altra da destinarsi ai programmi di recupero e di reinserimento sociale (148).

In caso di mancata ottemperanza al termine previsto per il completamento del processo d definitivo superamento, il Governo avrebbe potuto provvedere in via sostitutiva come previsto dall'art. 120 della Costituzione.

4.2.1. Le fasi di attuazione della legge n.9 del 2012: un susseguirsi di inadempimenti

L'attuazione del cronoprogramma stabilito dall'art. 3 ter, ha subito fin dall'inizio una serie di ritardi, in primis già il Decreto del Ministero della salute, con il quale si doveva provvedere a stabilire i requisiti delle nuove strutture, è stato approvato soltanto il 1º Ottobre del 2012.

Con tale decreto - n. 270 del 2012 (149) - si individuavano i requisiti strutturali, organizzativi e tecnologici cui si sarebbero dovute adeguare le nuove strutture. In primo luogo si sottolineava la funzione terapeutico-riabilitativa di queste istituzioni e la completa gestione sanitaria. A livello generale si stabiliva che i nuovi istituti dovessero provvedere ad una differenziazione a seconda delle tipologie di disturbi psicopatologici dei soggetti presenti. Tale distinzione avrebbe dovuto articolarsi anche in una graduazione delle risposte alle esigenze securitarie di controllo, sempre nei limiti di una sorveglianza perimetrale, che esulavano dalla competenza sia delle ASL che della polizia penitenziaria e che si sarebbero dovuti attuare attraverso accordi con le Prefetture.

Per quanto attiene i requisiti strutturali, ciascuno dei nuovi istituti si sarebbe dovuto dotare di alcune aree, tra le quali: un'area verde entro il perimetro, aree comuni (cucina, dispensa, lavanderia, soggiorno, locale per attività lavorative, etc...), un'area abitativa, dotata di un massimo di 20 posti letto, disposti per una quantità pari almeno al 10% in camere singole. Ogni camera avrebbe dovuto avere servizi igienici con doccia, separati dall'area di pernottamento.

Per quanto concerne i profili organizzativi, si stabiliva che nelle nuove strutture dovesse lavorare una equipe multi-professionale. Era prevista la garanzia di un numero minimo di membri dello staff sanitario per le aree composte da 20 ospiti (150). La dirigenza della struttura sarebbe stata assunta da un medico psichiatra.

L'art 3 ter della legge n. 9 del 2012 autorizzava, per la copertura degli oneri di riconversione delle strutture e di realizzazione delle nuove, la spesa di 120 milioni di euro per l'anno 2012 e di 60 milioni per l'anno 2013. I fondi dovevano essere assegnati a Regioni e Province autonome con la procedura di attuazione del programma di investimenti straordinario. La procedura di ripartizione dei fondi è stata modificata con Decreto del 13 Settembre del 2012 (151). Ivi si stabiliva che i fondi fossero assegnati alle singole Regioni con decreto del Ministro della salute a seguito dell'approvazione di uno specifico programma di utilizzo proposto da ciascuna Regione. Si stabiliva inoltre che lo stanziamento avvenisse per gradi di avanzamento dei progetti.

Con il Decreto del Ministero della salute, emanato il 28 Dicembre 2012 (152), venivano ripartiti i fondi tra le varie Regioni. Nel suddetto decreto si fissava un termine di sessanta giorni entro il quale le Regioni avrebbero dovuto provvedere alla presentazione dei programmi. All'art. 3, con una parziale deroga al principio di territorializzazione, si consentiva alle Regioni, di predisporre accordi interregionali per consentire la gestione dei pazienti psichiatrico-giudiziari ad una soltanto delle Regioni in accordo, esonerando questa dal provvedere all'elaborazione di un piano regionale e attribuendo alla regione “ospitante” i fondi in origine destinati all'altra.

La possibilità prevista dal Decreto degli accordi inter-regionali, si pone in controtendenza rispetto ai precedenti atti del percorso di superamento degli OPG. Peraltro gli accordi interregionali non trovano alcun tipo di limite nel Decreto, non si stabilisce infatti né il numero massimo di Regioni con cui la Regione “ospitante” può stipulare gli accordi, né vincoli circa la vicinanza, o meglio la contiguità tra le Regioni che si impegnano con accordi di questo genere. Il rischio di questa nuova previsione è soprattutto quello di una de-responsabilizzazione delle ASL e dei DSM delle Regioni che “cedono” i propri pazienti psichiatrico giudiziari.

4.2.2. Il decreto Balduzzi e i primi aggiustamenti alla riforma

I tempi previsti apparivano ridotti già sulla carta e per i ritardi che si erano accumulati nel corso della procedura, a pochi giorni dal termine a partire dal quale non sarebbe più stato possibile inoltrare i sottoposti a misura di sicurezza negli OPG, interviene il Decreto noto come Balduzzi (153) n. 24 del 2013 (154), convertito con legge n. 57 del 2013 (155). Il decreto, non si limita a disporre la proroga del termine, intervenendo anche a modificare alcune disposizioni. Le fasi in cui si articola il progetto di superamento risultano le seguenti:

  • Presentazione dei programmi regionali entro il 15 Maggio 2013;
  • Relazione alle Camere sullo stato di avanzamento dei progetti da parte del Ministro della Giustizia e di quello della salute, entro il 30 Novembre 2013;
  • Chiusura degli OPG entro il 1º Aprile 2014. E' cancellato il termine per il completamento della procedura, inizialmente previsto per il 1 Febbraio 2013.

Tra le novità del decreto, per garantire maggiormente il rispetto dei termini da parte delle Regioni, il potere sostitutivo del Governo è esteso anche alle ipotesi di mancata presentazione del programma entro il termine. Data la necessaria proroga, sempre nello spirito di garantire l'effettivo rispetto dei nuovi termini (156), al comma 6 dell'art. 3 ter, sono specificati i contenuti dei programmi regionali che debbono definire prioritariamente «tempi certi e impegni precisi per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari». Ma le novità più significative dell'intervento non riguardano tanto le nuove garanzie richieste per l'effettivo raggiungimento dell'obiettivo, quanto piuttosto aspetti innovativi rispetto ai contenuti dei programmi richiesti alle Regioni. Da una prima valutazione dell'art. 3 ter si poteva concludere che lo stesso riproponesse un sistema OPG-centrico, il comma 4, difatti stabiliva che le misure di sicurezza del ricovero in OPG e assegnazione ad una Casa di cura e custodia, fossero eseguite esclusivamente presso le strutture a cui si faceva riferimento nel comma precedente, con il rischio, tutt'altro che peregrino di riproporre degli OPG più piccoli, rinnovati, a gestione esclusivamente sanitaria, ma pur sempre istituzioni totali, chiuse. Ad una lettura della prima versione della riforma, la strategia del legislatore, appariva essere soltanto quella di un restyling degli OPG e non della configurazione di un sistema che, in ottemperanza alle pronunce della Corte Costituzionale del 2003 e del 2004 (157), vedesse nella misura di sicurezza detentiva l'extrema ratio dell'intervento sul folle autore di reato. Su questo aspetto intervengono le modifiche più importanti al decreto, infatti si chiarisce come nei programmi regionali debbano essere presenti, oltre agli interventi strutturali, «attività volte ad incrementare i percorsi terapeutico-riabilitativi». A questa modifica consegue che i 120 milioni di euro stanziati per l'anno 2012 e i 60 per il 2013 debbano ritenersi destinati non più soltanto agli interventi strutturali, bensì anche a questi ultimi.

Il comma 6, così come modificato dal Decreto Balduzzi, si concentra sullo specifico tema dei dimissibili. Si stabilisce infatti, con un'espressione quanto meno imprecisa, che i programmi regionali debbano provvedere alla dimissione dei soggetti per i quali l'autorità giudiziaria abbia già escluso la sussistenza della pericolosità sociale. Questa categoria appare giuridicamente inammissibile. Se infatti l'autorità giudiziaria trattenesse soggetti non più pericolosi socialmente all'interno degli OPG, si verrebbe a configurare una situazione che totalmente illegittima (158). La proroga della misura di sicurezza è ammissibile solo ove sia positiva la valutazione circa la sussistenza della pericolosità sociale, attuale e concreta (159). Ove questa valutazione porti l'autorità giudiziaria a concludere per l'insussistenza della pericolosità, l'internato deve essere dimesso, al pari di un detenuto che abbia finito di scontare la propria pena. Date queste considerazioni la formulazione del comma 6 dell'art. 3 ter, come risultante dalle ultime modifiche, è assolutamente priva di senso, se non come monito a prendersi carico di quelle situazioni in cui, in mancanza di una valutazione positiva delle condizioni di vita familiare e sociale cui fa riferimento il n. 4 del co. 2 dell'art. 133 c.p., il magistrato di sorveglianza ritenesse persistente la condizione di pericolosità sociale.

Al di là dei rilievi sull'ammissibilità della categoria, ciò che appare positivo è il nuovo indirizzo del decreto verso un implementazione degli interventi terapeutici e riabilitativi esterni.

Come previsto dalla nuova formulazione dell'art. 3 ter il 15 Dicembre del 2013, il Ministro della Giustizia e quello della Salute, hanno trasmesso al Parlamento la relazione sullo stato di avanzamento dei programmi regionali per il superamento degli OPG (160). Prima di concentrarsi sullo stato di attuazione dei programmi regionali, la relazione fa il punto sull'attuazione degli indirizzi programmatici previsti dalla normativa precedente, riferendosi in particolare a:

  1. Attuazione dei macro-bacini.
  2. Andamento delle dimissioni.

Per quanto concerne il primo punto è rilevato come, a partire dal 2010 siano stati realizzati i macro-bacini regionali, con il conseguente trasferimento e l'assegnazione degli internati da parte del D.A.P. in base alla Regione di provenienza. Si sostiene inoltre l'influenza positiva di questo dato sull'andamento delle dimissioni (161).

La relazione si concentra dunque sull'andamento delle stesse negli anni tra il 2010 e il 2012, rilevando una tendenza all'incremento delle dimissioni nel corso dei tre anni, valutato positivamente. I dati appaiono molto differenziati da Regione a Regione, questo in parte può considerarsi legato alle differenti politiche attuate e alla diversa operosità dei servizi di salute mentale sul territorio, in parte è connesso anche al numero di internati provenienti dalle singole Regioni.

Di seguito riportiamo i dati sulle dimissioni presentati nella Relazione, non sono presenti i dati relativi alle Regioni Valle D'Aosta, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e alle Provincie autonome di Trento e Bolzano in quanto non erano soggetti al controllo LEA perché non destinatari di risorse a carico del bilancio dello Stato.

Tabella 1: Andamento dimissioni per Regione di provenienza 2010-2012
Regioni 2010 2011 2012 Totale
Piemonte 18 13 31
Lombardia 45 67 114 226
Veneto 3 25 25 53
Liguria 13 13 17 43
Emilia Romagna 23 14 8 45
Toscana 28 15 19 62
Umbria 7 2 6 15
Marche 4 8 5 17
Lazio 73 21 30 124
Abruzzo 4 8 9 21
Molise 1 2 1 4
Campania 65 41 20 126
Puglia 12 26 16 54
Basilicata 5 12 5 22
Calabria 3 7 88 98
Sicilia 33 42 75
Italia 286 312 418 1016

Come si può osservare dal dato nazionale, senza entrare nel merito dell'incremento per ciascuna Regione, le dimissioni nel corso degli anni presi in considerazione hanno subito un incremento del 46% circa (Tabella 1). Il dato appare sicuramente significativo e positivo nell'ottica di decremento della popolazione internata, prevista come prima fase del superamento degli OPG, dal DPCM 1º aprile 2008. Sembra però altrettanto importante monitorare i dati relativi all'applicazione delle misure di sicurezza. I programmi individualizzati finalizzati alla dimissione degli internati, debbono essere accompagnati, per favorire un decremento effettivo e stabile della popolazione internata, da programmi volti a garantire il minore ricorso alla misura di sicurezza detentiva, in favore, ad esempio della libertà vigilata.

Alla data della relazione tutte le Regioni, escluso il Veneto, avevano provveduto alla presentazione dei programmi, il 30 Novembre 2013, alcuni dei programmi avevano acquisito il visto di controllo da parte dell'autorità competenti ed erano stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale (162), mentre gli altri, pur avendo ricevuto parere favorevole attendevano il visto di controllo. A conclusione della relazione il ministro Anna Maria Cancellieri e il sottosegretario Lorenzin, rilevavano l'incongruità del termine rispetto allo stato di avanzamento dei progetti e si prospettava un'ulteriore ultima proroga.

4.2.3. I Programmi regionali

Come anticipato, il 30 Novembre del 2013 tutte le Regioni, escluso il Veneto, avevano provveduto a presentare i programmi per il superamento degli OPG. Un quadro dei progetti presentati è fornito dalla relazione alle Camere dei Ministri della salute e della Giustizia del 15 Dicembre del 2013. Il Ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri e il sottosegretario Beatrice Lorenzin, per il Ministro della salute, esprimono sui progetti, complessivamente, un giudizio positivo, in particolare risulta che:

  1. Tutte le Regioni abbiano tenuto conto de «l'obbligo per le aziende sanitarie locali di presa in carico all'interno di progetti terapeutico-riabilitativi individuali», anche se con «livelli diversi di approfondimento».
  2. Il numero dei posti letto previsti (990) è apparso coerente con i contenuti dei programmi, stante che il numero di posti risulta inferiore agli internati presenti al 31/12/2011 e dunque è stata positivamente tenuta in considerazione l'attesa implementazione delle misure alternative.

Su queste prime valutazioni dei due Ministeri occorre fare una riflessione. Uno dei rischi principali della Legge n. 9 del 2012, anche a seguito delle modifiche intervenute con il Decreto Balduzzi, è quello di una eccesiva concentrazione sulla costruzione delle nuove strutture che distragga fondi, risorse, personale e attenzioni da programmi terapeutici e dal necessario intervento sui DSM.

La considerazione dei due Ministeri sul numero dei posti letto, ad esempio, sembra falsata da due elementi, rispetto al numero totale di internati, il nuovo numero di posti letto non contempla gli internati provenienti dalla Regione Veneto, del resto se sono state operate un numero notevole di dimissioni nel corso dell'anno 2012, prendere in considerazione il numero di internati presenti nel 2011, rischia di sfalsare le considerazioni.

Nella relazione è sottolineata la necessità, chiarita dal documento di indirizzi inviato alle Regioni e Province autonome dal Ministero della salute il 29 Ottobre 2013, di prevedere nei programmi regionali che i finanziamenti siano destinati alle seguenti attività.

  1. Interventi per favorire la dimissione e la presa in carico da parte dei servizi del DSM dei soggetti a cui è applicata misura di sicurezza del ricovero in OPG o assegnazione in casa di cura e custodia.
  2. Interventi per garantire il funzionamento delle sezioni psichiatriche negli istituti penitenziari.
  3. Interventi per garantire il funzionamento dei REMS.

Nella relazione è presente un prospetto riassuntivo dei progetti delle singole Regioni, riportiamo gli aspetti relativi alle nuove strutture predisposte:

Tabella 2: Prospetto posti letto dai Rems regionali
Regioni Strutture Posti letto per REMS Posti letto totali
Piemonte Biella 40 70
Alessandria 30
Lombardia OPG Castiglione delle Stiviere 120 240
Como 40
Brescia 40
Milano 40
Friuli V.G. Pordenone 10 10
Liguria La Spezia 20 20
Emilia Romagna Reggio Emilia 40 40
Toscana-Umbria Firenze 72
Arezzo
Massa
Lazio Roma 95
Roma
Campania Avellino 20 160
Caserta 20
Benevento 20
Napoli 20
Salerno 20
Abruzzo-Molise Chieti 20 20
Puglia Brindisi 58
Taranto
Foggia
Basilicata Potenza 5 5
Calabria Catanzaro 60
Cosenza
Sicilia Catania 80
Messina
Caltanissetta
Sardegna Sassari 40 40

Per quanto concerne gli investimenti in progetti terapeutico riabilitativi, possono essere riassunti con questa tabella:

Tabella 3: Prospetto fondi destinati a progetti terapeutico-riabilitativi
Regioni Fondi Per P.T.-R. (163)
Piemonte 1,26 ml. € N.D.
Lombardia 34 ml. € N.D.
Friuli V.G. 2,6 ml. € 1,04 ml. €
Liguria 5,86 ml. € 1,76 ml. €
Emilia Romagna 10,34 ml. € 1,76 ml. €
Toscana-Umbria 11,6 ml. € N.D.
Lazio 17,7 ml. € N.D.
Abruzzo-Molise 4,8 ml. € N.D.
Campania 1,93 ml. € N.D.
Puglia 11,78 ml. € 1,68 ml. €
Basilicata 571.000,00 € 709.000,00 €
Calabria 6,9 ml. € N.D.
Sicilia 19,67 ml. € 1,56 ml. €
Sardegna 6 ml. € N.D.

Come si può notare (Tabella 3), alcune Regioni, per la verità la maggior parte, hanno destinato tutti i fondi alla costruzione o ai lavori per la strutturazione delle nuove Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS). Soltanto alcune Regioni hanno destinato una parte dei fondi ai progetti terapeutico-riabilitativi, in proporzioni più o meno consistenti.

Un caso interessante ci sembra quello della Lombardia, in Lombardia sono stati predisposti 240 posti letto, di cui peraltro 120 nella struttura del vecchio OPG di Castiglione delle Stiviere, dei 34 milioni di euro di fondi previsti, niente è stato destinato ai programmi terapeutico-riabilitativi.

La valutazione dei fondi destinati ai programmi individuali ci sembra uno degli aspetti da tenere maggiormente in considerazione per la valutazione dei programmi delle singole regioni. Questa riforma ha, fin dall'inizio presentato il grande rischio di riprodurre pedissequamente la realtà odierna degli OPG in altre strutture nuove. In mancanza di idonei investimenti sui programmi terapeutici, il rischio è quello che i REMS, con un nuovo cambio di nome, siano nient'altro che OPG ridipinti.

Nel caso della Lombardia, il rischio che la situazione si riproponga nelle stesse modalità e dimensioni della precedente, è accentuato dal dato che neppure i luoghi cambieranno, infatti si prevede la ristrutturazione dell'OPG di Castiglione delle Stiviere.

Dalla seguente tabella possiamo notare quale percentuale dei finanziamenti sia stata investita nei programmi regionali ai progetti terapeutico-riabilitativi:

Tabella 4: Percentuale finanziamenti in progetti terapeutico-riabilitativi

Adesso vorremmo confrontare i dati relativi al numero di posti letto con quelli che invece riguardano l'investimento nei progetti terapeutico-riabilitativi.

Tabella 5: Confronto investimento in progetti terapeutico riabilitativi e n. posti letto

I posti letto, sono senza dubbio, parametrati anche al bacino di utenza previsto, quindi il confronto tra questi due elementi può non condurre a conclusioni di carattere definitivo sui progetti. E' comprensibile che le Regioni che presentano un maggior numero di abitanti e, ad oggi, un maggior numero di pazienti in OPG, abbiano provveduto ad un numero superiore di posti letto. Ma il raffronto tra i due dati, è comunque interessante e degno di attenzioni. Infatti, per la ripartizione dei fondi è stato preso in considerazione il numero di sottoposti alla misura di sicurezza provenienti da ciascuna regione. Dunque, pur provvedendo alla predisposizione di un maggior numero di posti letto rispetto a regioni più piccole, anche le regioni più popolose e con un maggior numero di pazienti psichiatrico giudiziari avrebbero potuto optare per la destinazione di una parte di fondi alle REMS e di un'altra ai progetti terapeutici. Ciò che si riscontra è che alcune Regioni hanno predisposto un programma che non muove, come indicato a più riprese dal legislatore e dal Governo, verso un sostanziale cambiamento di direzione, dunque verso un sistema che non sia più OPG centrico, bensì continuano nel solco dell'esperienze precedenti. Regioni quali, Lombardia, Campania, Lazio, Sicilia, Toscana-Umbria e Piemonte, hanno predisposto un numero elevato di posti letto accompagnato dalla previsione di nessun fondo da destinare ai progetti terapeutico riabilitativi.

Una riflessione meritano anche le tipologie, la quantità, il numero di posti letto delle strutture previste nei programmi.

Alcune Regioni hanno immaginato la creazione di più strutture, disseminate nelle Province della Regione, con un numero esiguo di posti letto ciascuna. Il numero di posti letto era emerso, in fase di riforma come un elemento rilevante. Si ritiene che strutture più piccole siano in grado di rispondere meglio ai bisogni del singolo internato e garantiscano un'organizzazione più simile ad una comunità che non ad un'istituzione totale (164).

Con il decreto n. 270 del 2012, il Ministero della salute, che doveva definire le caratteristiche che avrebbero dovuto assumere le nuove strutture, fissa un numero massimo di posti letto per ogni area abitativa, non stabilisce niente per quanto concerne il numero complessivo di posti per ogni struttura.

Alcune Regioni prevedono un numero di posti letto per ogni struttura di 20 posti o inferiore, molte si assestano su strutture con 40 posti letto, infine c'è il caso della Lombardia che prevede di riqualificare l'OPG di Castiglione delle Stiviere predisponendovi ben 120 posti letto.

Per quanto riguarda la quantità di strutture è necessario parametrarla alle dimensioni della Regione.

Alcune Regioni hanno deciso di sfruttare la possibilità offerta dal decreto n. 32 del 2013 di stipulare accordi interregionali ed affidare gli internati di propria competenza, di conseguenza anche i fondi attribuiti a quella Regione, ad un'altra Regione, questo è avvenuto per la Valle d'Aosta che ha stipulato un accordo con la Regione Lombardia, L'Umbria che ha stipulato un accordo con la Regione Toscana e il Molise che si è accordata con la Regione Abruzzo. Da un lato è comprensibile che Regioni di piccole dimensioni e con scarsa densità di popolazione abbiano provveduto ad un tale tipo di accordi, dall'altro rischia di compromettere o danneggiare il principio di territorialità, del quale abbiamo già sottolineato l'importanza, ai fini di dimissioni e dell'attivazione di programmi terapeutici. La Regione Valle d'Aosta è proprio un esempio di Regione piccola, per la quale sembra giustificato un accordo con altra Regione.

In generale si può notare come alcune Regioni abbiano previsto un numero più ingente di REMS, diffusi sul territorio regionale, ad esempio è quanto ha previsto la Regione Campania, altre Regioni hanno previsto un numero più esiguo di REMS, in alcuni casi come il Friuli Venezia Giulia o la Basilicata (che ne hanno programmato uno solo), questa scelta è accompagnata dalla destinazione dei fondi in gran parte ai progetti terapeutico-riabilitativi, che saranno seguiti dai DSM, garantendo un proficuo rapporto tra infermo di mente autore di reato e servizi presenti sul territorio, privilegiando la scelta delle alternative su quella dei puri e semplici REMS. In altri casi, sono stati previsti pochi REMS e anche scarsi investimenti sui programmi terapeutico-riabilitativi, aspetto che pone un dubbio circa la possibilità di mantenere rapporti effettivi tra servizi e internato volti a favorire la dimissione, è il caso della Sardegna, con una solo struttura da 40 posti letto e nessuna previsione di specifici programmi terapeutici.

Per quanto riguarda la qualità, è da sottolineare la peculiarità del programma Tosco-umbro, infatti non si prevedono 5 strutture, tutte della medesima tipologia, bensì strutture graduate a seconda della pericolosità sociale del soggetto, con previsione di maggiore o minore livello di controllo.

Altro esempio di rilievo è quello della Regione Lazio. Questa ha predisposto 2 sole strutture, entrambe nella città di Roma, non ha previsto di destinare fondi ai programmi individuali, però ha destinato una parte all'organizzazione nell'ambito di una delle due strutture di uno spazio di 2000 mq. dedicato ad attività sociali e produttive, correlate alla riabilitazione e a percorsi di integrazione e inclusione sociale.

4.2.4. L'ultima proroga per il superamento degli OPG: le modifiche all'impianto originario della riforma

Il 31 marzo del 2014 (165), alla vigilia del secondo termine per il definitivo superamento, è stato emanato un nuovo decreto che ha previsto la proroga di un ulteriore anno, facendo slittare all'aprile 2015 la data di chiusura degli OPG (166). La proroga è stata di un solo anno, mentre la Conferenza delle Regioni aveva richiesto che il termine fosse posticipato al 2017, dato che le REMS non erano ancora pronte (167). Come il precedente decreto di proroga anche questo nuovo apporta ulteriori modifiche. Il nuovo percorso è segnato dalle seguenti fasi:

  • Comunicazione dello stato di realizzazione alla data di entrata in vigore del Decreto.
  • Modifica dei progetti regionali entro il 15 Giugno 2014.
  • Costituzione di un organismo di coordinamento presso il Ministero della salute, entro 30 giorni dall'entrata n vigore della legge di conversione.
  • Elaborazione e presentazione al Ministero della salute e all'autorità giudiziaria competente di percorsi terapeutico-riabilitativi individuali di dimissione di ciascuno degli internati presenti in OPG entro 45 dalla data di entrata in vigore della legge di conversione.
  • Relazione del Ministro della Salute e della Giustizia ogni 3 mesi sullo stato di attuazione.
  • Chiusura degli OPG entro il 31 Marzo 2015.

Come si potrà notare, anche in questo caso sono state adottate delle disposizioni che mirano a rendere ultimativo il termine previsto dal decreto, per tale ragione sono previsti l'istituzione dell'organismo di coordinamento e delle relazioni alle Camere dei Ministri competenti in materia da presentarsi con cadenza trimestrale. Stessa chiave di lettura può offrirsi dell'introduzione della verifica dell'attuazione delle disposizioni, come criterio del Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza.

Ma gli aspetti più rilevanti appaiono essere altri. Già dalle fasi sopraelencate si può notare l'introduzione di un nuovo onere per le Regioni quello di presentare programmi terapeutico riabilitativi, finalizzati alla dimissione, per tutti gli attuali utenti degli OPG. Questo aspetto appare di grandissima rilevanza, rispetto alle precedenti versioni. Infatti, non si limitano più i progetti di reinserimento ai soli soggetti dimissibili ma all'intera popolazione internata, nel tentativo di ridurre la popolazione degli OPG, evitando così il rischio del sublimarsi di una categoria di cronicizzati destinati quasi ineluttabilmente ad un OPG a vita. Non solo, la previsione dell'onere di presentare progetti terapeutici per tutti gli internati rappresenta un impegno concreto e pragmatico.

Abbiamo più volte sottolineato come, in assenza di un meccanismo di potenziamento dei servizi di salute mentale e di una loro assunzione di responsabilità sui soggetti a rischio di essere sottoposti alla misura di sicurezza detentiva, le pur positive iniziative sulla fase di uscita apparissero insufficienti. A tale proposito è interessante l'introduzione della disposizione che sancisce la natura di extrema ratio del ricovero in OPG. Difatti si stabilisce che il giudice, sia in fase provvisoria che in fase definitiva, debba applicare una misura diversa, salvo nessun'altra misura risulti idonea. Inoltre si interviene limitando le possibili motivazioni della giudizio di pericolosità. L'assenza di programmi terapeutici individuali non sarà più condizione sufficiente a fondare una prognosi di pericolosità.

Per quanto concerne i programmi si consente alle Regioni di apportare modifiche entro il 15 Giugno 2014, indicando alcuni punti sui quali intervenire, come: il contenimento dei posti letto e la riqualificazione dei DSM.

Il decreto interviene, questa volta, a modificare profondamente l'assetto previgente, in particolare viene introdotto un termine massimo di durata della misura di sicurezza, equivalente al massimo edittale della pena prevista per il reato commesso. Come abbiamo più volte avuto modo di riscontrare nel corso di questo studio, il problema degli ergastoli bianchi - ovvero di quegli internati che, ben oltre a quella che sarebbe la durata della pena massima prevista per il reato commesso, rimangono in OPG a causa delle ripetute proroghe della misura di sicurezza - rappresentava uno degli aspetti di svantaggio (168).

Il decreto dunque interviene sui principali aspetti critici che erano stati sollevati: richiedendo alle Regioni di investire nel potenziamento dei DSM piuttosto che nella costruzione dei nuovi REMS, ponendo l'obbligo di provvedere ad elaborare concreti programmi per l'uscita di tutti i soggetti presenti, chiarendo che la misura detentiva può essere, in attuazione delle pronunce della Corte Costituzionale, applicata soltanto qualora non risulti possibile applicarne altre, limitando la valutazione della pericolosità sociale che non può più fondarsi sull'assenza di programmi terapeutici, fissando il termine massimo di durata della misura di sicurezza.

Il decreto è stato salutato positivamente, se escludiamo le critiche alla proroga, da parte delle associazioni che si sono occupate di OPG negli ultimi anni, tra tutte: Stopopg, Forum salute mentale e Psichiatria Democratica (169).

4.2.5. Le modifiche ai programmi regionali

Il decreto legge 52 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 81 del 2014, prevedeva la possibilità per le regioni di modificare i programmi entro il 15 giugno 2014, destinando una parte del budget alla riqualificazione dei DSM e depotenziando - attraverso la previsione di un minor numero di posti letto - le REMS. Come osservato dal comitato Stopopg, con una lettera al Sottosegretario alla salute Vito De Filippo, al 28 luglio non era ancora chiaro quali regioni avessero provveduto a modificare i programmi e quali invece fossero rimaste inerti. La mancata presentazione delle modifiche ai programmi da parte di alcune regioni risultava essere uno soltanto dei termini non rispettati del processo di superamento, così come articolato dall'ultimo decreto di proroga (170).

Ad oggi non sappiamo in che direzione sceglieranno di muoversi le regioni e i ritardi che si stanno accumulando fanno presagire che non si arriverà rapidamente alla chiusura dei sei OPG ad oggi aperti.

4.3. I nuovi OPG tra pericolosità sociale e sanitarizzazione

La Legge n. 9 del 2012 è stata da molti considerata come una riforma auspicabile e necessaria. Il risvegliato interesse per la realtà OPG, le dichiarazioni di importanti organi dello Stato (171), hanno condotto ad un clima di entusiasmo per il percorso di superamento intrapreso. Su molte testate giornalistiche, ma anche su riviste specialistiche, si faceva riferimento alla chiusura dell'O.P.G. come un momento epocale. Il Consigliere parlamentare del Senato della Repubblica Piccione, individuando un fil rouge tra la riforma dell'assistenza psichiatrica del 1978 e la Legge n. 9 del 2012, ritiene che il superamento conduca a la morte di un'istituzione totale (172). La recente riforma, insistendo sulla modifica in via prioritaria dei luoghi in cui opera l'istituzione, si inserirebbe nel filone di pensiero neo-istituzionale, secondo il quale il riformismo deve in primo luogo concentrarsi su interventi relativi alla conformazione delle istituzioni attraverso le quali si realizzano alcune funzioni pubbliche. Il superamento degli OPG - secondo l'Autore - consentirebbe di portare a compimento il processo di de-istituzionalizzazione dei folli avviato con la legge Basaglia.

Non tutti i commentatori hanno condiviso l'atteggiamento entusiasta, Franco Rotelli ad esempio, ha ritenuto che la riforma rappresentasse una svolta molto pericolosa (173). Dopo anni di dibattiti e discussioni sull'istituzione totale OPG, era attesa una riforma incisiva che affrontasse i nodi problematici delle misure di sicurezza così come delineate dal codice penale del 1930. La legge n.9 del 2012 lascia invariate le norme codicistiche: non interviene a ridefinire l'imputabilità, né a sancire una diversa configurazione delle misure o in generale delle conseguenze della commissione di un reato e del proscioglimento, mutano soltanto i luoghi e l'organizzazione interna.

La moltiplicazione delle strutture fa temere un aumento complessivo degli internamenti, si preannuncia il rischio che le nuove vesti sanitarie di queste strutture facilitino il proliferare del ricorso alla misura di sicurezza, creando una miriade di piccoli OPG sparsi su tutto il territorio nazionale. La riforma non interviene, come auspicato, sul binomio malattia-pericolosità sociale e questo rende impossibile parlare di un denominatore comune con la riforma dell'assistenza psichiatrica in Italia. Rotelli paventa il rischio, prospettato da diversi psichiatri nel corso di alcuni convegni relativi alla recente riforma (174), dello snaturamento della professione psichiatrica. La riforma prevede che le nuove strutture siano a completa gestione sanitaria. La sorveglianza, di competenza delle forze dell'ordine, si limita nelle strutture dove ciò sarà previsto ad una sorveglianza perimetrale esterna. Il pericolo è quello del passaggio di compiti custodiali agli psichiatri con il conseguente ritorno a forme e pratiche manicomiali. La sanitarizzazione di queste istituzioni a detta degli psichiatri stessi, non è garanzia sufficiente di un sistema migliore, dove veramente la salute del paziente rappresenti l'obiettivo centrale. L'attribuzione di compiti custodiali al medico non rende sicuro il paziente che sarà sottoposto ad un trattamento più dignitoso, più umano.

Per i soggetti che sono stati sempre attivi nel settore e hanno condotto battaglie volte all'eliminazione del doppio binario, la soluzione appare insoddisfacente, Sergio Moccia ritiene che in assenza di norme che modifichino l'assetto codicistico la riforma si possa identificare solo come una riduzione del danno (175). L'OPG sarebbe nel nostro contesto inaccoglibile in quanto fonda una misura privativa della libertà personale su un concetto, quale quello di pericolosità sociale del quale non vi è alcuna definizione, né riguardo al quale sono previsti parametri valutativi certi ed obiettivi e questo appare in contrasto con i principi dello stato di diritto e viziato da irrazionalità.

Maria Grazia Giannichedda critica aspramente la riforma, in un suo articolo apparso su Il Manifesto si può leggere:

L'OPG non è solo un luogo, è un dispositivo solidamente ancorato nel codice penale che ne definisce l'oggetto (l'infermo di mente autore di reato o il condannato che diventa infermo di mente), la forma (misura di sicurezza) e le funzioni cura e custodia.

E poiché il codice penale non si modifica per decreto tutto questo resta immutato (176).

La riforma non va ad incidere sui molti ambiti di criticità della misura di sicurezza del ricovero in OPG, come sottolinea Pelissero gli ambiti di problematicità delle misure di sicurezza sono essenzialmente di due tipi: da un lato vi è un problema che concerne la misura di sicurezza detentiva, sul quale la recente riforma non incide minimamente, dall'altro un profilo problematico relativo alla concreta gestione delle strutture, la riforma interviene soltanto su questo secondo (177).

Da queste critiche e questi commenti alla recente riforma possiamo provare a trarre spunto per delineare alcune riflessioni preliminari sulla riforma, tenendo sempre presente che, nella fase attuativa si giocano gli aspetti più importanti, come nota Pelissero, infatti, dati i tempi irrealistici per la messa in pratica della riforma ed i limiti finanziari, questa pare che abbia finalità propagandistiche e di slogan e tutto l'assetto rischia di naufragare in assenza della messa a disposizione di finanziamenti adeguati, non solo per quanto concerne la costruzione delle nuove strutture ma anche per quanto attiene il finanziamento dei DSM, essenziale per garantire che il ricorso alle nuove strutture simil-OPG sia ridotto solo a casi eccezionali e non si trasformi nella prassi più diffusa (178).

Un primo elemento critico concerne le modalità con cui il legislatore ha scelto di intervenire su questa materia che è oggetto di dibattito da oltre 30 anni. Come spesso avviene con la legislazione emergenziale, la riforma risulta carente. La legge n. 9 del 2012, infatti, non apporta alcuna modifica al Codice. Sarebbe stato auspicabile che l'intervento sugli OPG fosse inquadrato nella riforma necessaria di un codice penale di stampo autoritario. Se negli ultimi 20 anni numerose proposte di riforma si sono avvicendate, al fine di risolvere alcuni dei nodi cruciali della normativa penale in materia di misure di sicurezza, la riforma recente non ha affrontato alcuno degli aspetti critici.

Del resto già la Commissione nella relazione sugli OPG aveva individuato alcuni piccoli interventi urgenti sul codice penale che, senza intaccare la disciplina relativa all'imputabilità e pericolosità sociale, avrebbero potuto risolvere alcune delle problematiche. Tra questi interventi ci sembra interessante quello che prevede una durata massima della misura di sicurezza. Un tale tipo di modifica avrebbe garantito una eliminazione di tutti quei casi di ricovero in OPG con disposizione di continue proroghe e dunque una situazione di reclusione per un tempo di gran lunga superiore a quello a cui sarebbe sottoposto l'autore del medesimo reato qualora imputabile, su questo aspetto è intervenuto il recente decreto n. 52 del 2014, prevedendo un tetto massimo di durata della misura di sicurezza secondo il modello spagnolo. La Commissione riteneva necessario intervenire anche sulla possibilità di applicazione provvisoria della misura di sicurezza, altro istituto ampiamente criticato.

Inoltre, illustre dottrina concorda sulla necessità di abrogare le misure di sicurezza per i condannati pericolosi, misure che presentano profili di illegittimità e che sembrano non trovare nessuna giustificazione di sopravvivenza nell'ordinamento democratico.

La recente riforma è intervenuta solo sul piano strutturale e gestionale dell'OPG. I nuovi OPG saranno a gestione completamente sanitaria, saranno strutture più piccole, con livelli diversificati di sorveglianza, a seconda della pericolosità dei soggetti che vi saranno destinati. Il rischio è quello già paventato di una diffusione di tanti piccoli OPG, disseminati nel territorio a completa gestione sanitaria. Ma la vera partita si gioca sui programmi regionali e sui fondi messi a disposizione dei DSM per mettere in campo progetti individualizzati di assistenza e ridurre il ricorso alla misura di sicurezza.

Note

1. Tra i progetti di introduzione di un nuovo codice penale si ricordano: il progetto 1949-1950, il progetto Moro del 1956, i due progetti Gonella del 1960 e del 1968 (questo secondo approvato dal Senato nel 1971 e nel 1973, in entrambi i casi il progetto non passò a causa della fine anticipata della legislatura), il Progetto Pagliaro del 1992, il Progetto Riz del 1994, il progetto Grosso del 1999, il Progetto Nordio del 2004. Per un approfondimento delle vicende del Codice Rocco nel secondo dopoguerra si rinvia a: S. Musio, La vicenda del Codice Rocco nell'Italia repubblicana, cit.; E. Dolcini, “Codice penale (voce)”, in Digesto discipline penalistiche, Torino, Utet, 2001, pp. 284 e ss.

2. Per quanto riguarda la parte generale si ricordano: la novella del 1944, con la quale è stata abolita la pena di morte e sono state reintrodotte le attenuanti generiche, quella del 1974, con la quale sono state modificate la disciplina del concorso formale di reati, il reato continuato, il concorso di circostanze, la legge n. 689 del 1981 che ridisciplina la pena pecuniaria. Per quanto concerne invece le riforme della parte speciale basti notare che vi sono stati interventi modificativi delle fattispecie di reato, interventi ablativi ed inoltre interventi additivi, soprattutto riconducibili al filone della legislazione emergenziale. Si Veda: E. Dolcini, op. ult. cit., pp. 286 e ss.

3. Si veda a riguardo cap. IV, par. 3.

4. Per le critiche alle misure di sicurezza rinviamo alla lettura dell'intero cap. II.

5. M. Pelissero, Pericolosità sociale e doppio binario. Vecchi e nuovi modelli di incapacitazione, Giappichelli, Torino, 2008, pp. 140-142.

6. Ibid.

7. Ivi, p. 143 e ss.

8. R. Malano, “Attualità delle problematiche riguardanti i manicomi giudiziari. Una revisione storica dei progetti di legge riguardanti il superamento dell'ospedale psichiatrico giudiziario e la modifica dell'attuale sistema della non imputabilità per gli infermi di mente autori di reato”, Rivista italiana di medicina legale, 4-5, 2008, pp. 1022-1026.

9. Con minori garanzie si vuol far riferimento, soprattutto, alla durata potenzialmente illimitata della misura di sicurezza, che ha portato molti autori a parlare di ergastolo bianco, alla possibilità di essere ricoverati in OPG per fatti di scarsissima offensività e rimanervi per un lasso di tempo notevole, all'impossibilità di applicare ai sottoposti a misura di sicurezza i benefici che l'ordinamento penitenziario ha introdotto in favore dei detenuti, alla mancanza di misure di sicurezza non detentive (anche se su questo è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 253 del 2003, si veda supra cap. IV, par. 3).

10. Vinci Grossi promotore, della prima proposta di legge in questo senso, fondava il suo progetto sui seguenti presupposti:

  1. la legislazione psichiatrica del 1978 disconosce la pericolosità del malato di mente e ne vieta l'emarginazione, Quindi la misura di sicurezza è in contrasto con i principi della nuova legislazione psichiatrica;
  2. è necessario trovare misure idonee a garantire il controllo sulla devianza penale in una sede diversa dall'ospedale psichiatrico giudiziario;
  3. la devianza penale del malato di mente non è un aspetto della sua malattia ed è entità autonoma di controllo.

Inoltre l'obiezione secondo la quale l'abrogazione dell'imputabilità si sostanzia in una ingiustizia in quanto si sottopone alla pena un soggetto incapace di intendere e volere rappresenterebbe un falso problema, infatti prosciogliere il malato di mente per applicargli una misura di sicurezza detentiva a tempo indeterminato non rappresenta certo un trattamento più umano della pena detentiva carceraria.

V. Grossi, “Per l'abolizione dei manicomi giudiziari”, in Fogli di informazione, 85-85, 1982, pp. 263-264.

11. In questo senso: V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano. II, 1920, cit. in T. Padovani, L'ospedale psichiatrico giudiziario, cit., p. 248.

12. M. Pelissero, op. ult. cit., p. 143.

13. Art. 1 del D.D.L. Grossi S.177/1983.

14. Artt. 18 e 19 del D.D.L. Grossi S.177/1983.

15. Disegno di legge n.151 del 1996.

16. Artt. 1 e 8 del D.d.L. n. 151 del 1996.

17. Artt. 3 e 4 del D.d.L n. 151 del 1996.

18. Nell'articolo 13 D.d.L. n. 151 del 1996, si stabiliva:

Dopo il settimo comma dell'articolo 11 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è inserito il seguente:

«I soggetti sofferenti di disturbi psichici, che si trovino in stato di detenzione per custodia preventiva o per espiazione di pena, hanno diritto di ricevere in carcere le cure mediche e l'assistenza psichiatrica necessaria per il recupero della salute a scopo di riabilitazione. Per i soggetti sofferenti di gravi disturbi psichici, condannati a pene detentive superiori a due anni, il Ministro di grazia e giustizia organizza, con proprio decreto, su basi territoriali regionali, una o più sezioni carcerarie, ognuna delle quali con capienza non superiore a venti detenuti, opportunamente attrezzate per la costituzione del gruppo terapeutico, provvedendo d'intesa con i competenti organi della regione e con i servizi psichiatrici territoriali. Le direzioni degli istituti carcerari sono tenute a segnalare ai centri medici e di assistenza sociale regionale competenti coloro che, liberati dal carcere, siano ancora bisognevoli di cure e di assistenza».

19. L'art. 14 del D.D.L. prevede che sia aggiunto all'art. 13 dell'ordinamento penitenziario il seguente articolo 13 bis:

«ART 13-bis. - (Piano di cura e di assistenza medico-psichiatrica). -

  1. All'inizio dell'esecuzione della pena detentiva, per i detenuti malati di mente viene elaborato un apposito piano di cura e di assistenza medico-psichiatrica, a cui viene data attuazione nel corso dell'esecuzione, finché occorra.
  2. I servizi psichiatrici territoriali del luogo in cui viene eseguita la pena sono tenuti a prestare ai detenuti infermi di mente l'assistenza medico-psichiatrica di cui abbisognano.
  3. In conformità con le norme sul servizio sanitario il detenuto infermo di mente, sotto il controllo del giudice di sorveglianza ed in accordo con questo, sceglie il medico dell'unità sanitaria locale cui affidare la cura della sua salute psichica. Il detenuto può chiedere l'assistenza anche di un medico di fiducia. In tal caso le cure vengono concordate tra i due medici.
  4. Il medico dell'unità sanitaria locale, dopo aver compiuto sul detenuto gli accertamenti medici necessari, elabora il piano di assistenza medico-psichiatrica che, in conformità con i principi sanciti in materia di assistenza psichiatrica dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, ritiene maggiormente idoneo alla cura ed alla riabilitazione del malato. Il piano è redatto per iscritto ed è corredato da una relazione esplicativa scritta e motivata.
  5. Il piano di cura e di assistenza me- dico-psichiatrica viene sottoposto al controllo del giudice di sorveglianza. Questi, dopo aver ottenuto il consenso del detenuto, dichiara il piano di cura esecutivo e prende, ove occorra, i provvedimenti che ne rendano possibile l'attuazione.
  6. In accordo con il giudice di sorveglianza e con il detenuto, il medico dell'unità sanitaria locale che ha redatto il piano di cura e di assistenza medico-psichiatrica provvede per la parte medica a darvi attuazione, segue il detenuto quale suo paziente e controlla l'evoluzione della terapia. Periodicamente, in ogni caso per lassi di tempo non superiori a novanta giorni, riferisce al giudice di sorveglianza. Con relazione scritta espone la valutazione clinica sull'andamento delle cure prestate ed ove occorra propone, motivandole, modifiche ed integrazioni al piano di cura e di assistenza medico-psichiatrica.
  7. E' obbligo degli organi penitenziari provvedere affinché per ogni infermo di mente sottoposto ad esecuzione di pena detentiva sia elaborato un adeguato piano di cura e di assistenza medico-psichiatrica a tutela della sua salute psichica ed a scopo riabilitativo; è diritto di ogni detenuto ma- lato di mente ottenere l'elaborazione e l'attuazione di detto piano in conformità con le esigenze della propria salute psichica. 8. Il trattamento penitenziario di cui all'articolo 13 viene attuato nei confronti dei detenuti malati di mente, tenute in debito conto le esigenze della terapia medico-psichiatrica».

20. Art. 15 comma 2 del D.D.L. n. 151 del 1996.

21. In questo senso si esprime la proposta di legge Corleone, ove si può leggere: «La transitorietà riconosciuta dalla psichiatria moderna al disturbo psichico, la variabilità e la mutabilità di forme e di intensità che questo conosce nel corso del tempo, impediscono oggi di attribuire validità alla (e quindi conservare la) soluzione adottata dal codici penale e di procedura penale e dalla legislazione penitenziaria vigenti in Italia, che catalogano gli infermi di mente che hanno commesso un reato in una categoria a sé, contrassegnata da caratteri stabili ed immanenti e come tale destinataria di una normativa penale speciale», Atti parlamentari, XIII Legislatura, Disegni di legge e relazioni, Proposta di legge n. 151, 9 Maggio 1996, p. 4.

22. M. T. Collica, “la crisi del concetto dell'autore non imputabile «pericoloso» del reato”, in A. Gaboardi, A. Gargani et al. (a cura di), Libertà dal carcere. Libertà nel carcere. Affermazione e tradimento della legalità nella restrizione della libertà personale, Torino, Giappichelli, 2013, p. 306.

23. Ibid.

24. Nella proposta di legge presentata dall'On. Corleone nel 1996 si può leggere da quali osservazioni critiche del sistema vigente avesse origine la proposta. In tal senso, ad esempio, è rilevata la non rispondenza della normativa attuale al principio rieducativo per quanto concerne l'infermo di mente, stante che: «In questo modo, tramite gli ospedali psichiatrici giudiziari la società evita il proprio dovere di punire chi infrange la legge e, in sostituzione di una riabilitazione umana e sociale in un ambito penale, il malato di mente viene punito con la restrizione e il trattamento di un contesto psichiatrico.» (Progetto n. 151 del 1996, cit., p. 3).

25. M. Pelissero, op. ult. cit., p. 144.

26. M. T. Collica, op. ult. cit., p. 306.

27. M. Pelissero, op. ult. cit., p. 145.

28. Questa condizione è meglio nota come ergastolo bianco.

29. Malano dedica un intero paragrafo del suo commento alle proposte di riforma degli OPG, a questo specifico aspetto, R. Malano, op. cit., pp. 1033 e ss.

30. Con il Progetto Obiettivo Salute Mentale 1994-1996 (D.P.R. 7 aprile 1994) si definì l'insieme delle strutture di ogni unità sanitaria locale (USL), destinato all'assistenza psichiatrica, come Dipartimento di salute mentale.

31. Le sanzioni sostitutive sono state introdotte con la L. 689 del 1981 con la finalità di evitare di ricorrere alla pena detentiva breve, verso la quale si mostra un diffuso senso di sfiducia. Le condizioni perché la pena detentiva possa essere sostituita verso coloro che:

  • non abbiano commesso il reato nei cinque anni successivi ad una precedente condanna ad una pena superiore a tre anni;
  • non siano stati condannati più di due volte per reati della stessa indole;
  • non abbiano già usufruito della semidetenzione o della libertà controllata senza il rispetto delle prescrizioni e con conseguente conversione ovvero non abbiano già usufruito del regime di semilibertà e questo sia stato revocato;
  • non abbiano commesso il reato mentre si trovavano sottoposti alla libertà vigilato o alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Si veda L. Bresci, Le sanzioni sostitutive previste dalla L. 689/1981: profili di politica penale e prassi applicativa, Tesi di laurea, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Firenze, a.a. 2004.

32. La semidetenzione è una sanzione sostitutiva che comporta la privazione della libertà personale per alcune ore del giorno, nonché l'adempimento ad alcuni obblighi. Come la semilibertà (che è una misura alternativa alla detenzione o una modalità alternativa di esecuzione della pena e non una sanzione sostitutiva) prevede l'obbligo di permanere in un istituto penitenziario (istituto per semiliberi oppure sezione per semiliberi in un istituto ordinario) per un parte della giornata (10 ore per la semi-detenzione). Il semidetenuto è sottoposto alle seguenti prescrizioni:

  1. il divieto di detenere armi od esplosivi, anche se munito di relativa autorizzazione;
  2. la sospensione della patente di guida;
  3. il ritiro del passaporto e la sospensione della validità per l'espatrio di altri documenti di identità;
  4. l'obbligo di conservare e di presentare, su richiesta degli organi di pubblica sicurezza, l'ordinanza con cui è disposta la semidetenzione.

La semidetenzione può essere concessa ai condannati a pena non superiore ad un anno.

Si veda, L. Bresci, op. cit., cap. II.

33. La libertà controllata è sanzione sostituiva modellata sull'istituto della libertà vigilata. E' una misura parzialmente limitativa della libertà personale, non detentiva. Il soggetto ammesso a questa misura è sottoposto all'obbligo di soggiornare nel comune dove aveva abitualmente dimora nel momento della condanna. A questo obbligo principale se ne aggiungono altri tra cui l'obbligo di presentarsi presso l'ufficio dei Carabinieri territorialmente competente una volta al giorno. A queste prescrizioni il giudice può aggiungere l'intervento dell'UEPE al fine di favorire la risocializzazione. Può essere concessa in caso di condanna non superiore a sei mesi. Si veda L. Bresci, op. cit., cap. II.

34. La sostituzione della pena detentiva con una pecuniaria è ammessa per condanne non superiori ai 3 mesi di reclusione.

35. La sospensione condizionale della pena è un istituto disciplinato dall'art. 163 del c.p. Si tratta di una causa estintiva del reato che opera qualora decorsi 5 anni (2 se si tratta di una contravvenzione) il soggetto si sia astenuto dal commettere reati della stessa indole. Perché la sospensione possa essere concessa: il soggetto non deve essere stato condannato a pena detentiva per un delitto né essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza; non deve essergli stata irrogata una misura di sicurezza; infine la condanna inflitta per il reato commesso non deve essere superiore a due anni di arresto o reclusione.

36. Si veda infra, par. 3.1.

37. Tra tutte si ricordano:

  1. la proposta presentata alla Camera dei deputati dall'On. Fiori, il 5 aprile 1985, Atti parlamentari, IX Legislatura, Disegni di legge e relazioni, n. 2778.
  2. la proposta presentata alla Camera dei deputati dagli On. Russo, Ronchi, Tamino, Gorla, Capanna, Pollice, Talamice, il 4 Novembre 1985, Atti parlamentari, IX Legislatura, Disegni di legge e relazioni, n. 3260.
  3. la proposta presentata al Senato della Repubblica dalla Senatrice Burani-Procaccini, il 4 maggio 2006, Atti parlamentari, XV Legislatura, Disegni di legge e relazioni, n. 212.

38. M. Pelissero, op. ult. cit., pp. 146 e ss.

39. Nel 1976 sosteneva la necessità di un superamento del manicomio giudiziario attraverso un ritorno alla disciplina prevista dal Codice Zanardelli Manacorda, si veda A. Manacorda, “Il manicomio giudiziario”, in Fogli di informazione, 27-28, 1976, pp. 69 e ss.

40. L'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere si presenta come una realtà peculiare e distinta dagli altri ospedali psichiatrici giudiziari. L'OPG di Castiglione infatti è una struttura che nasce non come manicomio giudiziario ma come ospedale psichiatrico civile. A partire dal 1938, anno in cui il Ministero di Grazia e Giustizia stipula con il manicomio civile una convenzione, ospita una sezione giudiziaria (A. Manacorda, Il manicomio giudiziario, cit., pp. 122 e ss.).

Ad oggi è l'unico OPG a completa gestione sanitaria.

41. A queste ipotesi di riforma fa riferimento Margara nel suo scritto Manicomio Giudiziario e legge n. 180, cit.

42. Prima della chiusura dei manicomi civili, alcuni autori avevano sostenuto la proposta di un ritorno alla normativa prevista dal Codice Zanardelli, dunque l'eliminazione della misura di sicurezza e la gestione amministrativa del trattamento del folle reo, attraverso il ricovero eventuale del prosciolto folle pericoloso nelle strutture psichiatriche civili.

43. M. Pelissero, Pericolosità sociale e doppio binario, cit., p. 146.

44. M.T. Collica, La crisi del concetto di non imputabile pericoloso, cit., pp. 308-309.

45. Proposta di legge n. 174 del 2001, XIV legislatura, Camera dei deputati.

46. Come abbiamo già avuto modo di chiarire nel capitolo II la legge n. 833 è la legge istitutiva del Servizio sanitario Nazionale. Questa legge incorpora le norme sui trattamenti sanitari obbligatori previste dalla legge n. 180 del 1978.

47. L. Benevelli, “Una «psichiatria correzionale», ovvero le «Norme per la prevenzione e la cura delle malattie mentali» secondo l'On. Burani Procaccini”, in Fogli di informazione, 194, 2002, p.5.

48. Con questa formula, nella legge n. 36 del 1904, si definivano presupposti soggettivi per l'internamento in manicomio.

49. Le motivazioni non psichiatriche erano le seguenti: patologie fisiche che il malato rifiuta di curare o per soggetti anziani ultra settantenni oppure per i soggetti in stato di intossicazione da alcool o droghe.

50. L'ergoterapia è un metodo curativo che prevede l'occupazione in attività lavorative come strumento di cura del disturbo psichico. Molto spesso l'ergoterapia finiva nel consistere nell'attribuzione ai malati di mansioni di scarsa responsabilità, per le quali non veniva pagato un vero e proprio salario, bensì venivano corrisposte piccole somme oppure prestato in cambio un trattamento di favore. Si veda supra cap. II, par. 4.2.2.1.

51. Si veda l'intero numero 194 dei Fogli di informazione del 2002.

52. R. Piccione, “Critica al testo Burani Procaccini”, in Fogli di informazione, 194, 2002, p. 14.

53. L. Attenasio e G. Gabriele, “Controriforma due. La Burani Procaccini si ripete”, in Fogli di informazione, 194, 2002, pp. 69 e ss.

54. M. Pelissero, op. ult. cit., p. 149.

55. M. Pelissero, op. ult. cit., p. 146.

56. Per un approfondimento sul tema si vedano: M. Bertolino, “Le incertezze della scienza e le certezze del diritto a confronto sul tema della infermità mentale”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2, 2006, pp. 539 e ss.

57. Questo quanto meno a livello generale, in quanto su alcuni disturbi (ad esempio psicosi o demenza), l'opinione degli psichiatri è tendenzialmente unanime, si tratta però numericamente della minoranza dei casi, Si veda M. Bertolino, op. ult. cit., p. 541.

58. Nella relazione del 15 Luglio 1999 della Commissione sul progetto di codice penale Grosso, si possono leggere le motivazioni, per le quali, nonostante l'asserita crisi del concetto, si opti per il mantenimento dell'imputabilità: «Pur nella consapevolezza degli aspetti di crisi, delle incertezze teoriche e delle difficoltà applicative dell'istituto dell'imputabilità, il mantenimento della distinzione fra soggetti imputabili e non imputabili appare irrinunciabile per un diritto penale conformato e delimitato secondo principi garantisti.

Definita (a livello formale) l'imputabilità come assoggettabilità a pena, i problemi di disciplina attengono, innanzi tutto, alla individuazione di categorie di soggetti nei cui confronti, secondo condivisi criteri di razionalità, un rimprovero di colpevolezza non possa essere sensatamente mosso, per le loro condizioni soggettive di incapacità, e nei cui confronti non abbia senso, anzi appaia ingiusta, l'inflizione di una pena commisurata alla colpevolezza.

La rilevazione di situazioni soggettive di 'incapacità di colpevolezza' è una costante degli ordinamenti penali moderni, con soluzioni, peraltro, anche fortemente differenziate». Il testo della relazione è interamente riportato nel sito del Ministero della Giustizia.

59. M. T. Collica, “Prospettive di riforma dell'imputabilità nel Progetto Grosso”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 3, 2002, pp. 879 e ss.

60. In questo senso il Progetto Nordio che definisce la capacità di intendere e di volere come: «possibilità di comprendere il significato del fatto e di agire in conformità a tale valutazione», si veda: D. Vittoria, Imputabilità e pericolosità sociale nel progetto di riforma Nordio del codice penale, Tesi di specializzazione in Criminologia Clinica, 2005.

61. In tal senso si muove il progetto Grosso, si veda M. T. Collica, op. ult. cit., p. 879.

62. Il Codice penale tedesco, del 1975, prevedeva le seguenti cause di esclusione dell'imputabilità: un disturbo psicotico, altro grave disturbo mentale, un profondo ottundimento della coscienza, debolezza mentale, o qualunque altra grave anomalia. (Per la traduzione del § 20 del Codice penale tedesco del 1975, si veda G.B. Traverso e S. Ciappi, “Disegno di legge di riforma del codice penale: note critiche a margine della nuova disciplina sull'imputabilità”, in Rivista italiana di medicina legale, 3, 1997, pp. 667 e ss.). Nella grave anomalia psichica, secondo la definizione che ne da Malano, si possono ricomprendere le «patologie di natura non psicotica che comunque giungano ad una gravità tale da compromettere la compagine motivazionale del soggetto» (R. Malano, “Attualità delle problematiche riguardanti i Manicomi Giudiziari. Una revisione storica dei progetti di legge riguardanti il superamento dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario e la modifica dell'attuale sistema della non imputabilità per gli infermi di mente autori di reato”, in Rivista italiana medicina legale, 4-5, 2008, pp. 1021 e ss.).

63. La proposta di articolato di legge della Commissione Pagliaro del 25 Ottobre 1991 è reperibile sul sito internet del Ministero della Giustizia.

64. Si veda infra par. 1.2.4.

65. La grave menomazione sensoriale andrebbe a sostituire il sordomutismo come causa di esclusione di esclusione dell'imputabilità. Rispetto al sordomutismo, la grave menomazione sensoriale comprende una gamma di ipotesi più vasta, come la cecità, la sordità e qualsiasi altra menomazione dei sensi purché grave e con ripercussioni sulla capacità di intendere e di volere.

66. Il primo progetto della Commissione presieduta da Carlo Federico Grosso, del 12 Settembre del 2000, è consultabile sul sito internet del Ministero della Giustizia.

67. Il secondo progetto della Commissione Grosso del 26 Maggio 2001, si può reperire sul sito internet del Ministero della Giustizia.

68. L'introduzione del grave disturbo psichico, così come la grave anomalia psichica prevista dal progetto precedente della Commissione, aveva la funzione di ampliare le tipologie di disturbi mentali che potevano dar luogo ad una dichiarazione di non imputabilità del soggetto. Mentre la locuzione “grave anomalia” è tratta dalla tradizione tedesca, quella di “disturbo psichico” è una definizione più tecnica. Infatti sia il Manuale statistico e diagnostico (DSM-IV), redatto dall'American Psychiatric Association, che rappresenta ad oggi uno dei sistemi nosografici più utilizzati al mondo, che il sistema di classificazione internazionale delle malattie e dei sistemi di salute correlati (ICD-10), sviluppato dall'OMS nel 1992 ed ampiamente utilizzato in Europa, utilizzano la terminologia “disturbo psichico” (American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder. Fourth Edition. Text Revision, Washington, American Psychiatric Association, 2000, tr. it., DSM-IV-TR. Manuale Diagnostico e statistico, Milano, Elsevier, 2009). Traverso e Ciappi si esprimevano criticamente nei confronti della scelta, operata nel progetto Riz - S.2038 XII Legislatura - di utilizzare la clausola aperta “altra grave anomalia mentale” in quanto non esisteva nei manuali di psicopatologia o nei sistemi nosografici alcun riferimento al concetto di anomalia (G. B. Traverso, S. Ciappi, Disegno di legge di riforma del Codice penale, cit.).

69. M.T. Collica, op. cit.

70. Quest'ultimo però non provvede a rivedere la definizione del vizio di mente, limitandosi a cancellare il vizio parziale (D.d.l. n. 3668 del 1998).

71. Un estratto dell'articolato del Progetto elaborato dalla Commissione Nordio è riportato in D. Vittoria, Imputabilità e pericolosità sociale nel progetto di riforma Nordio del codice penale, Tesi di specializzazione in Criminologia Clinica, 2005.

72. La proposta di articolato presentata dalla Commissione Pisapia è pubblicata sul sito del Ministero della Giustizia.

73. I. Merzargora Betsos, “Imputabilità, pericolosità sociale e capacità di partecipare al processo”, in G. Giusti (a cura di), Trattato di medicina legale. Vol. IV: Genetica, psichiatria forense e criminologia, medicina del lavoro, Padova, Cedam, 2009, pp. 162-163.

74. Ibid.

75. G.R. Bassiri, op. cit., pp. 434 e ss.

76. Ivi, p.437.

77. Ivi, p. 435.

78. Il progetto fu presentato come disegno di legge di iniziativa regionale, ai sensi dell'art. 121 della Costituzione (D.D.L. 8 agosto 1997, n. 2746, Senato della Repubblica, Disposizioni per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari).

79. M. Miravalle, La riforma della sanità penitenziaria: il caso ospedali psichiatrici giudiziari, Tesi di laurea, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli studi di Torino, a.a. 2010-2011, pp. 185-186.

80. Ai sensi dell'art. 3 del Progetto.

81. Il Centro Servizio Sociale per Adulti (CSSA), era l'ufficio alle dipendenze dell'Amministrazione Penitenziaria, preposti, in particolare, allo svolgimento delle inchieste per la concessione delle misure alternative, su richiesta dalla Magistratura di Sorveglianza e a seguire all'esterno il soggetto cui sia stata concessa una misura alternativa alla detenzione. Oggi, i Centri sociali per adulti hanno cambiato denominazione in Uffici dell'esecuzione penale esterna (UEPE). Si veda P. Truscello, Il ruolo dell'UEPE, in Ce.Do.St.Ar., Centro di documentazione studi e ricerca sul fenomeno delle dipendenze patologiche della Azienda USL 8 di Arezzo.

82. Con la sentenza n. 146 del 19 Giugno 1975 la Corte Costituzionale rilevava l'illegittimità dell'art. 148 c.p. nella parte in cui prevedeva la sospensione della pena per il condannato affetto da infermità psichica nel corso della detenzione nei confronti del quale fosse stato disposto il ricovero in manicomio giudiziario o in casa d cura e custodia. Si veda cap. III, par. 4.3.

83. Si veda supra par. 1.1.1.

84. Si veda cap. III, par. 3.3.

85. Si veda cap. III, par. 4.1. e cap. IV par. 1.

86. C. Lombroso, Sull'istituzione dei manicomi in Italia, in Rendiconti del Regio Istituto Lombardo di scienze, Lettere ed Arti, 1872, Vol.III, p.45.

87. Queste condizioni sono state verificate nel corso delle ispezioni effettuate sia dal European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT), nel a Barcellona Pozzo di Gotto e nel 2008 ad Aversa, sia dalla Commissione d'inchiesta sull'efficacia ed efficienza del Servizio Sanitario Nazionale in tutti gli OPG italiani nel corso del 2011, si veda infra par. 2.3.1.

88. Si veda par. 1.6. cap. I.

89. Sulla Storia dei singoli istituti si rinvia a: D. Vanni, “OPG: un inquadramento storico”, in Atti della Fondazione Giorgio Ronchi, 59, 2004, 4, pp. 567 e ss.

90. A. Bonazzi, Squalificati a vita. Inchiesta e testimonianze sui manicomi criminali italiani, Torino, Gribaudi, 1975, pp. 49 e ss.

91. Le notizie sull'OPG di Aversa sono tratte dai seguenti testi: G. Pugliese e G. Giorgini, Mi firmo per tutti, cit., pp. 22-25; D.S. Dell'Aquila, Se non t'importa il colore degli occhi, cit., pp. 35 e ss.

92. Il CPT è un organo del Consiglio d'Europa, istituito dall'art. 1 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, entrata in vigore nel 1989 e ratificata da 47 membri del Consiglio d'Europa. E' composto di esperti in materie giuridiche, penitenziarie o mediche, indipendenti, eletti dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa uno per ciascuno degli stati contraenti. Il CPT opera attraverso visite periodiche nei luoghi di detenzione da parte delle sue delegazioni, nel corso delle quali verifica le condizioni detentive e redige un rapporto (CPT, European Committee for the Prevention of Torture and Inhumane or Degrading Treatment or Punishment).

93. Report to the Italian Government on the visit to Italy carried out by the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT) from 14 to 26 September 2008, Strasbourg, 20 April 2010, in CPT.

94. I testi consultati per ricostruire la situazione dell'OPG di Montelupo sono: G. Pugliese e G. Giorgini, Mi firmo per tutti, cit., pp. 26-28; G. Simonetti, op. cit.

95. G. Pugliese e G. Giorgini, Mi firmo per tutti, cit., pp. 35-37.

96. Ivi, pp. 18- 23.

97. Report di Antigone, OPG di Napoli, osservatorio online.

98. Ivi, pp. 13-17.

99. G. Pugliese e G. Giorgini, Mi firmo per tutti, cit.

100. La casa di cura e custodia è stata istituita presso la Casa Circondariale di Sollicciano per decisione del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del 1984, come prima sezione di casa di cura e custodia femminile. Si veda M. Bartolini, La questione psichiatrica all'interno degli istituti di pena. L'esperienza del carcere di Sollicciano, Tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Giurisprudenza, a.a. 1998, parte II.

101. Si veda a riguardo supra capitolo III, par. 4.3.

102. Art. 286 c.p.p.

103. Art. 99 del D.P.R. del 29 Aprile 1976, n. 431.

104. Art. 112 del D.P.R. del 30 Giugno del 2000, n. 230.

105. Si fa riferimento, ad esempio alle attività lavorative, culturali, scolastiche.

106. Tra tutte licenze e lavoro all'esterno.

107. Per quanto riguarda le attività finalizzate al reinserimento attuate nell'OPG di Montelupo Fiorentino si rinvia a G. Simonetti, op. cit., cap. III.

108. G. Rocca, C. Candelli (et al.), “La valutazione psichiatrico forense della pericolosità sociale del sofferente psichico autore di reato: nuove prospettive tra indagine clinica e sistemi attuariali”, Rivista italiana medicina legale, 2012, 4, p. 1442.

109. La valutazione multifattoriale è resa possibile dall'art. 133 del c.p. che tra gli indici di cui tenere conto per valutare la pericolosità sociale (l'art. 133 elenca i fattori di cui tenere conto nella determinazione della pena, ma l'art. 203 vi fa rinvio) uno si riferisce alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

110. M. T. Collica, La crisi del concetto di autore non imputabile pericoloso, cit., pp. 286 e ss.

111. Per valutare il peso, nelle decisioni dei magistrati di sorveglianza dei vari elementi - il quadro clinico, la condizione socio-familiare, le prospettive esterne di reinserimento - si rinvia alle interessanti ricerche di Calvanese in collaborazione con Benetti e Bianchetti, relative alle revoche da parte dei magistrati di Sorveglianza di Mantova, nei periodi 1987-1991 e 1992-2002, E. Calvanese e A. Benetti, “La revoca della misura di sicurezza dell'ospedale psichiatrico giudiziario. Un'indagine sulle pronunce della magistratura di sorveglianza di Mantova”, in Rassegna italiana criminologia, 1995; E. Calvanese e R. Bianchetti, “L'internamento in O.P.G.: le revoche della misura nelle ordinanze del magistrato di sorveglianza di Mantova (anni 1992-2002)”, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 1, 2005, pp. 27 e ss.

112. R. Accivile, A. Ferraro et al., Applicazione, riesame e revoca delle misure di sicurezza dell'OPG: i dati del Filippo Saporito di Aversa.

113. Si veda infra par. 3.1.

114. Sulla Commissione Parlamentare di inchiesta si veda infra par. 3.2.1.

115. Ansa, Sanità: Opg; 350 subito dimissibili, + 11,5% internati dal 2007. Parte campagna nazionale per abolizione, 19 Aprile 2011, in Gruppo Abele.

116. Occorre ricordare che nel numero complessivo dei pazienti presenti in OPG sono presi in considerazione anche coloro che si trovano in OPG non al fine di eseguire una misura di sicurezza.

117. Opg, 1322 internati. 213 i dimissibili ma restano dentro: non c'è collocazione, in Redattore Sociale, 18 Ottobre 2011.

118. Vedi infra par. 3.2.1.

119. In senso analogo di esprime Schiaffo in un commento all'art. 3 ter del D.L. 211/2011, F. Schiaffo, “La riforma continua del «definitivo superamento degli OPG»: la tormentata vicenda dell'art. 3 ter del D.L. 211/2011”, in Critica del diritto, 1, 2013, pp. 44 e ss.

120. Dito si oppone all'insistenza con cui i media continuano a sottoporre la questione dei dimissibili come il fulcro del problema OPG. Si oppone in quanto questa problematica appare quasi un distrattivo dai nodi essenziali di politica criminale, dalle riflessioni profonde sui presupposti della misura di sicurezza, che sono divenuti qualcosa di scontato ma che necessitano di un ripensamento, si veda F. Dito, Le insidie degli OPG. Brevi pensieri sulla sintassi dell'esclusione, in Forum salute mentale.

121. Questo sarà istituito solo nel 1958, con legge 13 marzo 1958, n. 296.

122. B. Brunetti, La tutela della salute in carcere, Organizzazione del servizio sanitario penitenziario. Evoluzione normativa, in Ristretti orizzonti.

123. Con il parere n. 305 espresso il 7 Luglio 1987 dalla 3ª Sezione il Consiglio di Stato ribadì la specialità di questo settore medico. Nelle motivazioni si sosteneva che questo compito dovesse ricomprendersi tra quelli attribuiti allo Stato e da svolgersi ricorrendo alle preesistenti strutture. Le ragioni per cui si sosteneva la necessità e l'opportunità di mantenere tra le competenze del Ministero della Giustizia quelle sulla salute dei detenuti vi erano esigenze di sicurezza, nonché la necessità di coordinare l'assistenza medico-sanitaria con le esigenze di trattamento. Si veda A. Salvati, “Il passaggio dell'assistenza sanitaria in carcere al sistema sanitario nazionale”, in Amministrazione in cammino. Rivista elettronica di diritto pubblico, di diritto dell'economia e di scienza dell'amministrazione, p.2.

124. Art. 5, Legge 30 Novembre 1998, n. 419.

125. L'art. 5 infatti attribuiva al Governo la delega ad emanare uno o più decreti legislativi, osservando i seguenti principi:

«a) prevedere specifiche modalità per garantire il diritto alla salute delle persone detenute o internate mediante forme progressive di inserimento, con opportune sperimentazioni di modelli organizzativi anche eventualmente differenziati in relazione alle esigenze ed alle realtà del territorio, all'interno del Servizio sanitario nazionale, di personale e di strutture sanitarie dell'amministrazione penitenziaria;
b) assicurare la tutela delle esigenze di sicurezza istituzionalmente demandate all'amministrazione penitenziaria;
c) prevedere l'organizzazione di una attività specifica al fine di garantire un livello di prestazioni di assistenza sanitaria adeguato alle specifiche condizioni di detenzione o internamento e l'esercizio delle funzioni di certificazione rilevanti a fini di giustizia;
d) prevedere che il controllo sul funzionamento dei servizi di assistenza sanitaria alle persone detenute o internate sia affidato alle regioni ed alle aziende unità sanitarie locali;
e) prevedere l'assegnazione, con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, al Fondo sanitario nazionale delle risorse finanziarie, relative alle funzioni progressivamente trasferite, iscritte nello stato di previsione del Ministero di grazia e giustizia, nonché i criteri e le modalità della loro gestione.».

126. Richiesero di partecipare alla sperimentazione le Regioni: Campania, Emilia Romagna e Molise.

127. G. Starnini, “Il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale”, in Autonomie locali e servizi sociali, 1, 2009, pp. 3-14.

128. Decreto del Ministro della Sanità e del Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica, 21 aprile 2000, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 120 del 25.5.2000.

129. Nº 7, Punto 3.2., Allegato A del D.M. 21 aprile 2000.

130. Questa previsione non fu esente da critiche. I fautori sostenevano che la presenza di un medico psichiatra fosse giustificata dalla rilevazione dell'esistenza nella popolazione carceraria di una quota di soggetti affetti da patologie psichiatriche. Queste però, non sono le uniche patologie che si riscontrano in una percentuale considerevole della popolazione penitenziaria. Da questo scaturiva la critica alla presenza obbligatoria di un'unica categoria di medici specialisti: gli psichiatri. A. Manacorda, Il manicomio giudiziario, cit.

131. Punto 3.2.7., Allegato A, D.M. 21 Aprile del 2000.

132. Dpcm 1º Aprile 2008, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 30 maggio 2008, n. 126.

133. Nello specifico: per lo stabilimento di Castiglione delle Stiviere subentra la Regione Lombardia, per quello di Reggio Emilia subentra l'Emilia-Romagna, per quello di Montelupo Fiorentino la Toscana, per quello di Napoli e quello di Aversa subentra la Campania e per quello di Barcellona Pozzo di Gotto la Sicilia.

134. Come peraltro previsto dal nuovo regolamento penitenziario D.P.R. 230 del 2000.

135. In particolare sarebbero stati assegnati:

  • all'OPG di Castiglione delle Stiviere gli internati provenienti dal Piemonte, dalla Val d'Aosta, dalla Liguria, oltre che naturalmente dalla Lombardia, nonché tutte le internate di sesso femminile, dal momento che l'OPG di Castiglione è l'unico dotato di una sezione per donne;
  • all'OPG di Reggio Emilia, gli internati delle Regioni Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli V. Giulia e Marche, oltre che dall'Emilia Romagna;
  • all'OPG di Montelupo Fiorentino, gli internati della Toscana, dell'Umbria, del Lazio e della Sardegna;
  • all'OPG di Aversa e all'OPG di Napoli, gli internati della Campania, dell'Abruzzo, del Molise, della Basilicata e della Puglia;
  • all'OPG di Barcellona Pozzo di Gotto, gli internati della Sicilia e della Calabria.

136. Conferenza Stato Regioni, accordo 26 novembre 2009.

137. Il Ministero della salute, nell'anno 2011 ha provveduto a stanziare 5 milioni di euro alle regioni, per l'attivazione di progetti finalizzati a favorire le dimissioni dagli OPG, ma soltanto poche regioni hanno presentato i programmi per ottenere i fondi, F. Grandis, Ospedali psichiatrici giudiziari. La follia è non occuparsene, in Gruppo Abele.

La Regione Toscana ha presentato un programma e richiesto i fondi, per l'anno 2011 come risulta da: A. Leto, M. R. Caciolli e L. Giglioni, “Come dare l'addio agli Opg. Territorio, DSM e percorsi di dimissione al centro degli interventi”, in Il sole 24 ore. Sanità Toscana, supplemento al n. 26 anno XVII del 8-14 luglio 2014, p. 1.

138. Conferenza Stato Regioni, Accordo 13 ottobre 2011.

139. Contra A. Salvati, op. cit. L'Autore ritiene che questa osservazione sia poco rispettosa della professionalità dei medici penitenziari, i quali di norma agiscono in scienza e coscienza nell'unico interesse del paziente. Ma il punto centrale della questione non è tanto quello relativo alle qualità professionali della categoria, piuttosto è un rilievo che concerne l'intera gestione dell'aspetto sanitario all'interno dell'istituzione penale.

140. C. Cantone, “La riforma della sanità penitenziaria: problemi e percorsi possibili”, in C. Cantone, F. Gui et al., Riforma della sanità penitenziaria. Evoluzione della tutela della salute in carcere, Quaderni ISSP, 11, 2012, p. 13.

141. Si nota che in realtà in tutti e sei gli istituti è rimasta la medesima direzione.

142. F. Scarpa, Audizione in qualità di direttore dell'OPG di Montelupo Fiorentino, in Atti parlamentari, Senato, XVI Legislatura, Commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio Sanitario nazionale, resoconto stenografico n. 84, seduta n. 87 del 13 Ottobre 2010, pp. 10-11; contra A. Calogero, “Superamento degli OPG - Attuazione del DPCM 1 aprile 2008”, in Psicologia e Diritto, 13 Marzo 2009, pur ammettendo cha la responsabilità rimane in capo al solo Direttore penitenziario fa espresso riferimento alla Doppia direzione.

143. F. Scarpa, Un progetto per il superamento, cit.

144. La commissione è stata istituita con deliberazione del Senato del 30 Luglio 2008.

145. Atti del parlamento, Senato della Repubblica, XVI Legislatura, Doc. XXII bis, n. 4, Commissione Parlamentare d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, Relazione sulle condizioni di vita e di cura all'interno degli Ospedali psichiatrici giudiziari, Approvata il 20 Luglio 2011, Relatori sen. M. Saccomanno e D. Bosone, Tipografia del Senato.

146. Il 19 Dicembre 2012, la Commissione sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale, con l'ausilio dei Carabinieri, ha proceduto al sequestro di uno dei reparti di Montelupo Fiorentino, il reparto “PESA” e dell'intero OPG di Barcellona Pozzo di Gotto, nonché di alcuni container all'Aquila dove a seguito del terremoto, si svolgevano attività terapeutico-riabilitative. Notizie sul sequestro possono essere reperite sul quotidiano online Quotidiano Sanità del 19 Dicembre 2012, inoltre su La Repubblica. Firenze, 20 Dicembre 2012, p. 7.

147. Si tratta di 120 milioni di euro per l'anno 2012 e 60 milioni per il 2013.

148. Si tratta di 38 milioni di euro per l'anno 2012 e di 55 milioni per il 2013.

149. Decreto 1º Ottobre 2012, n. 270.

150. In particolare l'equipe doveva essere composta da: 12 infermieri a tempo pieno; 6 OSS a tempo pieno; 2 medici psichiatri a tempo pieno con reperibilità;1 educatore o tecnico della riabilitazione psichiatrica a tempo pieno; 1 psicologo a tempo pieno; 1 assistente sociale per fasce orarie programmate.

Nelle ore notturne doveva essere garantita la presenza di almeno 1 infermiere e 1 OSS.

151. Decreto-Legge del 13 Settembre del 2012, n. 158.

152. Decreto del 28 Dicembre 2012, n. 32.

153. Dal nome del Ministro della Sanità che lo ha emanato.

154. Decreto-Legge 25 Marzo 2013, n. 24.

155. Legge 23 Maggio 2013, n. 57.

156. Così commenta F. Schiaffo, “La riforma continua del «definitivo superamento degli OPG»: la tormentata vicenda dell'art. 3 ter del D.L. 211/2011”, in Critica del diritto, 1, 2013, pp. 44 e ss.

157. Si rinvia per l'analisi dettagliata al cap. III, par. 3.

158. F. Schiaffo, op. cit.

159. Sono dunque illegittime quelle pronunce che, come mostra Schiaffo (nell'opera appena citata), ancora si possono trovare che fanno riferimento alla pericolosità latente, in virtù della Sentenza della Corte costituzionale n. 139 del 1982, per la quale si rinvia al cap. III di questo studio.

160. A. Cancellieri, B. Lorenzin, “Relazione al Parlamento sul programma di superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari, ai sensi dell'art. 3 ter del Decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito dalla legge 17 febbraio 2012, n.9, come modificato dal decreto-legge 25 marzo 2013, n.24 convertito con modificazione, dalla legge 23 maggio 2013, n. 57, alla data del 30 novembre 2013”, reperibile nell'area documentazione del sito Stopopg.

161. Nella relazione si sostiene che il buon andamento delle dimissioni sia il frutto, tra l'altro, anche dell'attuazione dei macro-bacini regionali. A sostegno della tesi dell'effettiva attuazione dei macro-bacini non è portato però nessun dato.

162. Si tratta delle Regioni: Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Marche, Lazio, Campania, Calabria e Sardegna.

163. Con la sigla si vuole fare riferimento ai fondi destinati a progetti terapeutico riabilitativi.

164. Ad esempio Piccione, in uno scritto con il quale presenta le possibili strade per il superamento degli OPG, ricorda come quasi tutte le strutture per l'assistenza psichiatrica di carattere residenziale, presentano un numero massimo di posti di letto non superiore a 16, con ciò attribuendo al dato quantitativo del numero di pazienti una discreta importanza. R. Piccione, “Gli ospedali psichiatrici giudiziari”, in Fogli di informazione, 201, 2004, p. 117.

165. Decreto-legge 31 Marzo 2014, n. 52.

166. Il decreto è stato convertito con modificazioni con la legge n. 81 del 30 maggio 2014.

167. La notizia è riportata e commentata nel sito Stopopg, si veda in particolare il Comunicato di Stopopg a cura di S. Cecconi e G. Del Giudice, Le Regioni chiedono il rinvio al 2017 della chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

168. Su questa importante novità ritorneremo più diffusamente nel cap. VI, par. 3.2.

169. Si vedano per Stopopg: S. Cecconi, G. Del Giudice, Superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari: dopo il voto del Senato, che ha migliorato il Decreto Legge 52/2014, si è avviato l'esame del provvedimento alla Camera, in Stopopg; per Psichiatria Democratica si veda il Comunicato stampa del 7 Maggio 2014, reperibile sul sito internet Psichiatria Democratica; per Forum salute mentale P. Dell'Acqua, Approvata in commissione, ora al voto dell'assemblea di Montecitorio, Forum salute mentale.

170. S. Cecconi, G. Del Giudice, P. Gonnella, A. Zappolini (a nome del comitato nazionale di Stopopg), Lettera al Sottosegretario alla salute De Filippo, in Stopopg.

171. Tra tutte ricordiamo la dichiarazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che nel messaggio di fine 2012, ha definito gli OPG «istituzione indegna di un Paese appena civile».

172. D. Piccione, “Morte di un'istituzione totale, il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari”, Rivista telematica dell'associazione italiana dei costituzionalisti, 1, 2012.

173. F. Rotelli, I nuovi vestiti degli ospedali psichiatrici giudiziari (a proposito di una legge molto “pericolosa”), in Forum salute mentale.

174. Così almeno sembra potersi rilevare dalla partecipazione ad alcuni incontri tra cui:

175. S. Moccia, Giustizia: la legge sugli O.P.G. solo una “riduzione del danno”, Il Manifesto, 15 Febbraio 2012.

176. M. G. Giannichedda, Giustizia: OPG; chiuderne sei... ma per aprirne quanti?, Il Manifesto 17 Febbraio 2012.

177. M. Pelissero, Commenti articolo per articolo.

178. M. Pelissero, “Il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari nel tempo della crisi”, in Diritto penale e processo, 8, 2012, p.1026.