ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 1
Il minore straniero nelle fonti normative internazionali e nazionali

Giulia Martini, 2007

1.1 Premessa

La questione del trattamento giuridico dei minori stranieri non accompagnati è una materia decisamente complessa poiché coesistono molteplici disposizioni, disorganiche e in parte contrastanti tra loro, che danno origine ad enormi difficoltà di orientamento.

La ricostruzione delle pratiche e delle procedure attraverso cui si definisce il "minore straniero" comporta preliminarmente il passaggio attraverso i termini che compongono tale identità: il minore e lo straniero. Termini che vanno considerati uno a completamento dell'altro come condizioni necessarie ma non sufficienti per la definizione del soggetto. Il trattamento giuridico è posto al confine tra due legislazioni di segno opposto: quella sui minori, improntata a principi di protezione e sostegno e quella sugli stranieri, nata come legislazione di pubblica sicurezza, improntata a principi di controllo e di difesa.

La normativa di riferimento, relativa ai minori stranieri, appartiene, infatti, in parte alla normativa riguardante i minori (Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo del 1989, il Codice Civile, la legge n. 184/83 sull'affidamento e l'adozione), in parte alla normativa sull'immigrazione (T.U. sull'immigrazione n. 286/98 come modificato dalla legge n. 189/02), in parte ancora alla normativa riguardante specificamente i minori non accompagnati (regolamento concernente i compiti del Comitato per i Minori Stranieri D.P.C.M. n. 535/99).

Efficacemente Gabriella Petti ritiene che

il minore straniero può essere definito con una certa approssimazione, come un costrutto sociale, ossia il prodotto dell'interrelazione tra le costruzioni e le rappresentazioni sociali del minore e dello straniero; entrambe sono caratterizzate da una forte ambivalenza che si traduce nel binomio tra tutela e controllo e in sostanza tra inclusione ed esclusione (1).

Il minore straniero non accompagnato è, quindi, una particolare figura di straniero e di minore e come tale destinatario di una normativa specifica che spesso non ha tutelato i diritti dei minori ed ha lasciato ampio spazio ad una legislazione forte come è quella in materia di stranieri. Lorenzo Miazzi sintetizza, attraverso un'immagine, la contraddittorietà di tale condizione

la condizione giuridica (...) del minore extracomunitario costituisce un interessante territorio in cui, come alla foce di un fiume l'acqua dolce e quella salata, si toccano, confondendosi e scontrandosi, due questioni oggi cruciali in Italia: quella dei minori e quella degli stranieri. A seconda dell'evoluzione del contesto culturale e sociale, che come la marea oscilla ora verso il mare ora verso il fiume, a volte l'acqua salata del problema degli stranieri indurisce la legislazione minorile e a volte l'acqua dolce del trattamento dei minori ammorbidisce quello dello straniero (2).

1.2 Le fonti normative internazionali

Gli accordi internazionali più importanti che regolamentano l'entrata e la permanenza dei minori stranieri sono la Convenzione dell'Aja sulla Protezione dei minori del 5 ottobre 1961 (3), la Convenzione Europea relativa al rimpatrio dei minori, anch'essa stipulata all'Aja il 28 maggio 1970 (4) e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del Fanciullo del 20 novembre 1989 (5).

La prima dichiara che lo Stato in cui il minore risiede abitualmente è responsabile della protezione della sua vita e delle sue proprietà. Ciò è vero, generalmente quando il minore risiede in un determinato paese da più di sei mesi.

La suddetta Convenzione ha, quindi, determinato l'abbandono dei criteri della cittadinanza del minore e della cittadinanza, residenza o domicilio del genitore e l'assunzione invece, a criterio generale, della residenza abituale del minore. Si possono, dunque, individuare due tipi di competenza: una generale di cui è titolare lo Stato di residenza abituale del minore e una sussidiaria di cui, invece, è titolare lo Stato di nazionalità del minore e che si esplica ove il minore lo esiga.

Gli stati contraenti sono obbligati a garantire ai minori gli stessi diritti degli altri minori, secondo le leggi nazionali vigenti. Il requisito per cui si possano applicare le norme italiane di protezione al minore straniero è che questi abbia "residenza abituale" in Italia. Ciò va ritenuto non solo quando il minore, regolare, ha formalmente la residenza nel nostro paese ma anche quando, pur non regolarizzato, è presente in modo costante sul territorio italiano. In casi particolarmente urgenti, lo Stato deve adottare adeguate misure di protezione anche se non sussiste l'affermarsi della residenza. Ne consegue che i minori stranieri non accompagnati hanno il diritto di ricevere la necessaria protezione dal paese in cui vivono.

La Convenzione dell'Aja non contiene al suo interno una definizione di "residenza abituale" e nella giurisprudenza straniera si è andato consolidando il riferimento al centro di gravità della vita del minore, ai suoi effettivi legami familiari e sociali. Dunque, la definizione dello Stato di residenza abituale, sostanzialmente consiste in una valutazione di fatto e non di diritto (6). In questa valutazione assume particolare importanza l'elemento temporale: lo Stato in cui il minore si trova può essere considerato "Stato di residenza abituale" dopo un certo periodo di tempo, che in giurisprudenza viene solitamente fissato intorno ai sei mesi. Un altro aspetto importante nella valutazione è la volontà del minore e della sua famiglia, fattori che naturalmente hanno una loro rilevanza nel far sì che un determinato ambiente possa essere considerato come il centro di gravità della vita del minore. Dunque, anche il minore straniero irregolarmente soggiornante nel territorio italiano, può essere considerato "abitualmente residente" in Italia in considerazione degli effettivi legami che si sono creati tra il minore ed il territorio, del tempo trascorso, della volontà sua e dei suoi genitori.

In tal caso, dove il minore venga considerato "abitualmente residente" nel territorio italiano, lo Stato italiano diviene competente in via generale ad adottare tutte le misure di protezione nei suoi confronti (7). Secondo Turri è necessario "sfumare il concetto di residenza fino a farla coincidere con il luogo in cui il minore si trova, se si vuole dare attuazione alla Convenzione" (8).

La Convenzione delle Nazioni Unite (9) contiene numerose norme sui minori stranieri che prevedono:

  • la proibizione di ogni discriminazione motivata dall'origine nazionale, etnica o sociale del minore (art. 2);
  • la preminenza in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, sia dei Tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, dell'interesse superiore del fanciullo (art. 3);
  • la separazione del fanciullo dai genitori contro la sua volontà solo se ciò è ritenuto nel suo interesse superiore (art. 9);
  • la considerazione di ogni domanda, presentata ai fini di ricongiungimento familiare con spirito positivo, umanità e diligenza (art. 10);
  • il diritto del fanciullo di esprimere liberamente la propria opinione su ogni questione che lo riguarda (art. 12);
  • l'obbligo degli Stati contraenti di adottare ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono e di negligenza, di maltrattamenti o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale (art. 19);
  • il diritto dei fanciulli ad ottenere il più alto standard possibile di cure mediche, protezione sociale ed istruzione (artt. 28 e 29).

L'art. 3 positivizza il principio secondo cui "l'interesse superiore del fanciullo" deve essere considerato preminente in tutte le decisioni che lo riguardano. Nella sostanza le esigenze del minore potranno prevalere o meno, ma solo dopo essere state oggetto di primaria considerazione.

Diventa dunque fondamentale capire cosa intende il legislatore per "interesse superiore" o preminente del minore: è necessario sottolineare come tale nozione non sia suscettibile di essere predefinita in astratto in quanto deve conformarsi, quanto al suo contenuto, al caso concreto. E' evidente, infatti, che le esigenze del minore emergeranno dalla sua specifica situazione di riferimento, utilizzando criteri che consentano di valutare in concreto cosa debba intendersi per superiore interesse del minore, verificando la sussistenza delle condizioni e dei presupposti per l'attuazione dei diritti del minore. Tali diritti sono contenuti negli articoli della Convenzione e consistono nel poter godere di "un livello di vita sufficiente per consentire lo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale del minore" (art. 27); del "miglior stato di salute possibile" (art. 24); "di un'educazione e una formazione lavorativa in funzione alle capacità" (art. 28) e "di essere protetto contro lo sfruttamento economico e non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi, o che sia suscettibile di mettere a repentaglio la sua educazione, di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale" (art. 32).

Secondo le norme di tale Convenzione, è lo Stato in cui il minore si trova che deve provvedere alla concretizzazione dei suoi diritti, indipendentemente dalla nazionalità, assicurando al minore il diritto ad una crescita e ad uno sviluppo armonioso della sua personalità (art. 2).

L'Italia ha firmato e reso esecutiva la Convenzione così che si delinea la sua competenza in merito alla tutela dei minori che si trovano sul proprio territorio; la diversa cittadinanza non potrebbe giustificare l'estraneità dello Stato davanti all'obbligo di provvedere alla realizzazione del superiore interesse del minore.

Nel 1997 il Consiglio dell'Unione Europea ha adottato una risoluzione sui minori non accompagnati cittadini di paesi terzi usando il termine "non accompagnati". Si tratta di

cittadini di paesi terzi di età inferiore ai 18 anni che giungono nel territorio degli Stati membri non accompagnati da un adulto per essi responsabile in base alla legge o alla consuetudine (...) [e quelli] rimasti senza accompagnamento successivamente al loro ingresso nel territorio degli Stati membri (10).

La Risoluzione stabilisce che gli Stati membri garantiscono a tutti i minori non accompagnati, non richiedenti asilo, accoglienza temporanea e rappresentanza tramite una tutela legale o un organismo incaricato della cura e del benessere dei minori o attraverso un'altra forma di rappresentanza, tuttavia, promuovono contemporaneamente il rimpatrio, una volta accertata la presenza nel paese d'origine dei genitori o di altri adulti o organizzazioni disposti a prendersene cura. La possibilità di restare sul territorio dello stato membro è prevista, per tali minori, come ipotesi residuale nel caso in cui non siano soddisfatte le condizioni per provvedere al rimpatrio (11). A seguito di tale risoluzione fu sostenuta, con sempre maggior vigore la necessità di uniformare la normativa italiana agli orientamenti europei sulla tematica.

L'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite li ha definiti come

minori al di sotto dei 18 anni di età, che si trovano fuori dal loro paese d'origine separati da entrambi i genitori o da un adulto che per legge o consuetudine è responsabile della sua cura e della sua protezione. Alcuni minori sono completamente soli, mentre altri (...) potrebbero vivere con membri della famiglia allargata. (...) I minori [potrebbero essere] vittime di traffico sessuale o di altro tipo di sfruttamento o [sfuggirebbero] a situazioni di grave deprivazione (12).

1.3 La normativa italiana

1.3.1 L'affidamento e la tutela

Nella legislazione italiana, i diritti del minore sono sanciti in primo luogo nella Costituzione che all'art. 2 riconosce e garantisce i diritti e le libertà fondamentali dell'uomo e parla anche di "formazione della personalità". La norma statuisce l'applicabilità delle norme costituzionali che tutelano i diritti fondamentali anche al minore straniero. Più fonti normative assegnano alla famiglia il compito di tutelare e guidare il minore nel rispetto delle sue "inclinazioni naturali" (13) ed il legislatore ha previsto forme di aiuto e di sostegno in favore della famiglia stessa, prevedendo che lo Stato supplisca laddove vi siano problematiche di natura economica per evitare che l'incapacità dei genitori a provvedere al minore sia causata da situazioni di indigenza.

Per ciò che concerne specificatamente i minori stranieri, tale sostegno si deve concretizzare in riferimento all'irregolarità della loro presenza sul territorio o alle difficoltà derivanti dalla diversità tra la cultura di provenienza e quella del paese d'origine. A tal proposito, va sottolineato come l'identità del minore debba essere assunta come valore da preservare, proprio in considerazione dell'armonico sviluppo cui la formazione del minore deve tendere. La cultura della famiglia naturale è dunque un valore meritevole di tutela.

Nella legge n. 184/83 si afferma, infatti, che

lo Stato, le Regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, sostengono con idonei interventi (...) i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia (14).

Da quanto finora detto ne deriva che il minore d'età è titolare di un diritto fondamentale primario: il diritto ad una crescita ed ad uno sviluppo armoniosi della sua personalità. Tuttavia, il concreto esercizio di tale diritto potrebbe risultare inibito qualora la famiglia naturale del minore, temporaneamente o in via definitiva, per volontà propria o per cause di forza maggiore, si trovi in situazioni tali da non potervi provvedere. In tal caso, proprio in virtù dell'interesse pubblico che la materia riveste, è previsto il ricorso agli strumenti predisposti dal legislatore per far fronte alle differenti situazioni. Tali interventi di sostegno sono utilizzabili anche per i minori stranieri.

Qualora si sia in presenza di una situazione di impossibilità temporanea, da parte della famiglia naturale a sostenere le esigenze primarie del minore, è previsto l'istituto dell'affidamento inteso come forma di protezione sostitutiva, in conformità alla legge n. 184/83 (15): il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, potrà essere affidato ad un'altra famiglia, possibilmente con figli minori, oppure ad una singola persona, così come ad una comunità di tipo familiare, affinché gli vengano assicurati il mantenimento, l'educazione e l'istruzione.

La ratio sottesa alla legge n. 184/83 configura l'ambito familiare come il "luogo" più consono per favorire la crescita del minore: famiglia naturale o altra famiglia (nell'ordine: altro nucleo familiare, persona singola e comunità di tipo familiare). Solo in ultima istanza è consentito "il ricovero del minore in un istituto di assistenza pubblica o privata, da realizzarsi di preferenza nel luogo di residenza del minore stesso" ex art. 2 co. 2 legge n. 184/83.

Nell'ordinamento italiano gli organi competenti a disporre l'affidamento sono il Giudice Tutelare ed il Tribunale per i Minorenni. Si ha il cosiddetto affidamento consensuale, nel caso in cui il Giudice Tutelare renda esecutivo l'affidamento disposto dai Servizi Sociali, previo consenso da parte dei legali rappresentanti del minore (16). Invece, ove tale consenso manchi, è il Tribunale per i Minorenni che dispone l'affidamento (cosiddetto affidamento giudiziale) (17).

Diversa è l'ipotesi in cui la situazione di difficoltà della famiglia sia definitiva. In tal caso è necessario assicurare al minore una tutela ed una rappresentanza stabile. Ciò si concretizza attraverso l'apertura di una tutela ai sensi e per gli effetti dell'art. 343 del Codice Civile (18). In questo caso, competente a disporre l'apertura della tutela è il Giudice Tutelare presso il Tribunale ordinario. Il tutore, oltre al dovere di curare il minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni. In queste fattispecie l'apertura della tutela è obbligatoria; perciò essa deve trovare applicazione anche nei confronti dei minori stranieri, qualunque sia il loro status giuridico (19).

Non risulta però chiaro se, il Tribunale per i Minorenni, in caso di minore in stato di abbandono e il Giudice Tutelare presso il tribunale ordinario in tutti gli altri casi (20), dovrà sempre provvedere all'apertura della tutela nei confronti del minore straniero non accompagnato.

Per un'interpretazione positiva, oltre al disposto dell'art. 343 del Codice Civile già citato, si è pronunciata la Corte d'Appello di Torino il 10.12.1999 che nel decreto riconosce quanto sia importante per il minore straniero disporre della rappresentanza di un tutore nell'ambito del procedimento in cui si decide sul suo interesse a restare in Italia o ad essere rimpatriato ed inoltre indica la "stabile lontananza dei genitori" fra le cause che impediscono loro di esercitare la potestà con i diritti-doveri e conseguentemente una delle precise ipotesi in cui deve essere aperta la tutela del minore. Nel decreto si afferma che

(...) attribuire una rappresentanza tutoria ad un minore straniero, che si trovi in Italia da solo, è importante perché possano essere fatti valere i suoi diritti (allo studio, alla salute, all'educazione, ad una casa dove poter abitare, ad una crescita equilibrata ecc.), sia per la sua assistenza ove commetta un reato, sia specificamente perché il tutore possa rappresentare l'interesse del minore nelle procedure amministrative o giudiziarie che devono portare ad una decisione circa la permanenza in Italia o il rimpatrio per il ricongiungimento alla famiglia.(...) Di qui la necessità che un tutore ci sia (...) per dare al minore una voce in scelte che non possono essere prese sulla sua testa e che così profondamente segneranno tutta la sua vita (21).

Significativa è la pronuncia, in senso contrario, del Giudice Tutelare presso la Pretura di Mantova secondo cui

la mera presenza in Italia di un minore, legittimamente sottoposto alla potestà dei genitori stranieri residenti all'estero, non configura un'ipotesi di totale, anche se temporaneo, impedimento all'esercizio della potestà, risultando di conseguenza impossibile l'apertura di una tutela ai sensi della legislazione vigente (22).

Secondo tale interpretazione, la stabile lontananza dei genitori non comporta l'impossibilità di esercitare la potestà, presupposto per cui la situazione possa essere ricompresa nell'ambito di applicazione della norma sopra citata. Si fa, inoltre, riferimento a quanto stabilito nel Regolamento del Comitato per i Minori Stranieri che prevede la segnalazione al Giudice Tutelare per l'apertura della tutela non in via generale ma "in caso di necessità" e solo come ipotesi eventuale (23). La norma è ritenuta incomprensibile da Lorenzo Miazzi che in un suo articolo afferma che "i requisiti per l'apertura della tutela sono chiari nel codice civile e in loro presenza l'apertura della tutela è un atto dovuto e non discrezionale che porta alla nomina di un tutore stabile, non provvisorio" (24).

Il maggior sostenitore della obbligatorietà e della necessarietà dell'apertura della tutela per i minori stranieri non accompagnati è stato, in questi anni, Gian Cristoforo Turri che nei suoi articoli ha esposto un'interessante tesi interpretativa, "mai sottoposta a verifica giudiziaria" (25) ma concettualmente condivisibile. Secondo Turri, i minori che sono in possesso del permesso per minore età possono ottenere il permesso per motivi familiari per "ricongiungimento familiare" ai sensi dell'art. 30 co. 1, lett. c) (26) e dell'art. 30 co. 4 (27), con il tutore straniero, se dotato di carta di soggiorno o con il tutore italiano. In riferimento al ricongiungimento familiare, il minore affidato è equiparato al figlio naturale ex art. 29 co. 2 T.U. n. 286/98 (28).

Altra problematica legata alla tutela del minore emerge nel caso in cui sia nominato tutore l'ente locale. In tal caso può ravvisarsi la sussistenza di un conflitto d'interessi poiché l'ente è al contempo soggetto che gestisce l'accoglienza del minore - sostenendone i relativi costi - e soggetto titolare della tutela del minore. Nella prima veste l'ente ha interesse a contenere la spesa pubblica per l'assistenza, nella seconda ha, invece, il compito/dovere di assicurare il perseguimento del miglior interesse del minore (29). Il paradosso si realizza quando è l'ente stesso che chiede il rimpatrio assistito dei minori che ha in accoglienza a motivo della semplice scelta di limitare gli esborsi di denaro per il loro mantenimento e il Comitato per i minori stranieri si muove in assenza di un reale pericolo per i minori ovvero di necessità urgenti che sconsiglino la sua permanenza in Italia (30). In alcune realtà locali sono stati progettati corsi di formazione per tutori volontari (31).

Diversa è la fattispecie relativa all'ipotesi in cui il minore si trovi in una situazione di abbandono, ovvero privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a cause di forza maggiore di carattere transitorio (32). L'art. 37 bis della legge n. 184/83 come modificato dalla legge n. 476/98 che ratifica la Convenzione europea in tema di adozione e di affidamento stabilisce che "al minore straniero che si trova nello Stato in situazione di abbandono si applica la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso d'urgenza". In tal caso il Tribunale per i Minorenni competente per territorio è tenuto a dichiarare, previo accertamento in merito all'esistenza dei presupposti voluti dalla norma, lo stato di adottabilità del minore, disponendo l'inserimento stabile e definitivo dello stesso in un'altra famiglia. Ciò è ribadito anche dal regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione che all'art. 28 stabilisce che "se si tratta di minore abbandonato è immediatamente informato il Tribunale per i Minorenni per i provvedimenti di competenza" (33).

L'ordinamento giuridico italiano prevede, dunque, in relazione alle situazioni sostanziali, differenti procedimenti giuridici idonei a garantire al minore le forme di rappresentanza e di tutela per l'attuazione dei suoi diritti. Si sono incontrate molte difficoltà nell'applicazione di tali forme di protezione ai minori stranieri. In particolare, è stato problematico l'"adattamento" della nozione "interna" di abbandono ai "grandi minori soli" (34), primi fra tutti gli albanesi che giungono in Italia privi dei genitori ma con il consenso di questi. Il distacco volontario dal figlio secondo il metro di valutazione contenuto nella normativa coincide con l'abbandono. I Tribunali quindi, inizialmente hanno affermato in questi casi l'esistenza dello stato legale di abbandono, successivamente si è arrivati a ripensare l'applicazione di tale istituto e a ritenerlo non sussistente nel caso dei minori albanesi che si allontanano dal proprio paese d'origine

con il presumibile consenso della famiglia di sangue, che mant[engono] rapporti a distanza con i propri familiari poiché in tale ipotesi questi ultimi continuano a prodigare al minore assistenza morale, mentre l'assistenza materiale è di fatto impedita dalla lontananza dalla patria e a causa del volontario esodo del minore stesso (35).

Questo orientamento si è consolidato nella giurisprudenza anche in seguito all'emanazione della legislazione in materia di minori non accompagnati.

1.3.2 L'affidamento a parenti entro il quarto grado

Una delle situazioni più frequenti e al contempo più discusse è quella dei minori stranieri affidati di fatto a parenti entro il quarto grado. Si tratta di situazioni in cui il minore è affidato senza alcun provvedimento formale dai genitori, rimasti nel paese d'origine, a familiari adulti quali lo zio, il cugino o il fratello maggiore, che sono emigrati in Italia.

La problematica che emerge da tale situazione di fatto è se possa essere disposto l'affidamento formale del minore al parente in base all'art. 4 della legge n. 183/84.

Per quanto riguarda l'affidamento giudiziale, alcuni giudici hanno disposto affidamenti a parenti entro il quarto grado a volte adducendo come motivazione la mancanza di assenso dei genitori (36).

Altri Tribunali per i Minorenni si sono, invece, dichiarati incompetenti a provvedere alla domanda di affidamento dei parenti entro il quarto grado.

Secondo questo orientamento, non si può procedere ad un affidamento giudiziale se il parente si dimostra idoneo a provvedere al minore poiché il presupposto per tale affidamento è una condotta pregiudizievole del genitore a cui consegue la limitazione o la decadenza dalla potestà genitoriale. In tal senso si è pronunciata la Corte d'Appello di Torino secondo la quale, nel caso di minore affidato a parenti entro il quarto grado, idonei a provvedervi, "non [è] ravvisabile una situazione di pregiudizio che [giustifichi] provvedimenti di affidamento a mente della legge 4 maggio 1983, n. 184" (37).

Tale dichiarazione d'incompetenza si fonda sull'argomentazione a contrariis dell'art. 9 co. 6 della legge n. 184/83 (38) secondo il quale il parente entro il quarto grado non ha dovere di segnalare l'affidamento di fatto del minore al Giudice Tutelare ma ciò non esclude che questi possa segnalare tale circostanza, chiedendo un provvedimento formale, né che possa chiedere la formalizzazione dell'affidamento consensuale ai servizi locali.

Questa interpretazione è condivisa dal Tribunale di Torino che in una sua pronuncia ritiene che

l'affidamento in via di fatto, poiché il congiunto è parente entro il quarto grado, avrebbe pienamente efficacia anche se non formalizzato da alcun provvedimento giurisdizionale (...) dando così implicita rilevanza al semplice "affidamento di fatto" nell'ambito della c.d. "famiglia allargata" (39).

L'importanza della pronuncia si rinviene nell'aver preso atto delle situazioni di fatto che si sono create tra i minori e i loro affidatari attribuendo ad esse gli stessi effetti giuridici del legame "formale" previsto dalla legge.

La disposizione formale dell'affidamento, oltre a consentire il rilascio del permesso di soggiorno, rappresenta una maggiore garanzia per tutelare l'interesse del minore. Sarebbe, infatti, necessario un controllo da parte delle istituzioni italiane sull'identità e sull'idoneità del parente a provvedere al minore. In caso contrario, non vi sarebbe alcuna verifica sul fatto che l'adulto al quale il minore è affidato sia realmente un parente entro il quarto grado, né che questi sia effettivamente idoneo dal punto di vista materiale e morale. Tale assenza di controllo, che può essere ritenuta discutibile anche per i minori italiani, lo è ancor di più quando si tratta di minori stranieri i cui genitori risiedono all'estero.

Questa prassi sembra escludere l'affidamento giudiziale ma lascia spazio all'affidamento consensuale. Solitamente il minore è affidato al parente dai genitori stessi e quindi con il loro consenso. L'assenso dei genitori manca, quindi, non in senso sostanziale ma in senso formale. Manca un atto con cui i genitori manifestano il loro consenso al servizio locale. In quest'ipotesi dovrà essere chiarito con quali modalità i genitori possano manifestare ai servizi locali il proprio consenso all'affidamento del minore. Si può ipotizzare che tale consenso possa essere manifestato attraverso un atto notarile legalizzato presso la rappresentanza diplomatico-consolare italiana nel paese d'origine. In questo modo emergerebbe il consenso espresso dei genitori e con esso anche un primo ma significativo contatto con i genitori per attivare una collaborazione nell'interesse superiore del minore, sia in vista della sua permanenza in Italia, sia in vista di un suo possibile rientro (40).

1.3.3 Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale

L'art. 18 del T.U. n. 286/98 prevede il rilascio del "permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale". Questo permesso può essere concesso ad una persona straniera vittima di "violenza o di grave sfruttamento" e prevede la possibilità di un suo inserimento in programmi di assistenza ed integrazione sociale.

La peculiarità della disciplina italiana consiste nell'aver predisposto un sistema a cosiddetto "doppio binario" (41). Il rilascio del permesso ex art. 18 è, infatti, previsto sia nel caso in cui la vittima fugga dai trafficanti, sia pronta a presentare alla polizia una denuncia contro i suoi sfruttatori e cooperi con le successive procedure giuridiche (cosiddetta procedura giuridica (42)), sia nell'ipotesi in cui la vittima si ritiri dal sistema di sfruttamento e accetti di intraprendere un programma di riabilitazione amministrato da una organizzazione no profit, senza dover necessariamente presentare denuncia contro gli sfruttatori. In questo caso l'organizzazione no profit, con il sostegno dei servizi sociali, si fa garante per la vittima e richiede il permesso di soggiorno (cosiddetta procedura sociale (43)).

Quest'ultima tipologia di intervento è stata dunque pensata per quelle situazioni in cui la vittima del reato non è in grado di fornire un rilevante contributo alle indagini mediante concreti riscontri o particolari dettagliati e vi sia il fondato timore, da parte della vittima, che alle proprie dichiarazioni possano seguire gravi ripercussioni per sé e soprattutto per la propria famiglia rimasta nel paese di origine (44). Questo percorso valorizza la conoscenza, il contatto diretto che gli operatori delle unità di strada instaurano con le persone trafficate consentendo loro di rimanere all'interno di un contesto che loro stesse hanno prescelto e che considerano affidabile.

In questo senso, l'art. 18 nella misura in cui consente allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza e integrazione sociale, è stato definito da Tullio Padovani

una norma di civiltà umana, che qualunque ordinamento dovrebbe inserire, (...) volta al ripristino e alla tutela dei valori essenziali della persona. L'art. 18 contiene un imperativo categorico che, in quanto tale, si sottrae a qualunque valutazione in termini di utilità (45).

L'innovatività dell'art. 18 consiste nell'aver compreso la inscindibilità degli aspetti repressivi da quelli sociali e culturali, pur non avendo sancito un rapporto di strumentalità tra i due obiettivi. Nessuna o pochissime collaborazioni si verificheranno se prima non si riconosce agli interessati uno status di cittadinanza che permetta alle vittime del traffico di essere protette (46).

Questa è, infatti, la principale critica che viene rivolta alla direttiva del Consiglio dell'Unione Europea (47) la quale dispone il rilascio del permesso di soggiorno, di breve durata, a favore delle vittime di tratta degli esseri umani, solo se sono disponibili a cooperare con le autorità competenti, prevedendo un sistema premiale, basato sulla cooperazione fornita dalla vittima alle autorità, non disciplinando le ipotesi di coloro che, pur essendo vittime, non abbiano intenzione di collaborare o non siano in possesso di informazioni decisive riguardo ai propri sfruttatori.

Pur avendo chiarito che l'obiettivo della direttiva era la lotta all'immigrazione illegale e non la tutela dei diritti umani delle vittime,

non riuscendo a creare quel clima di fiducia necessario affinché le vittime decidano di collaborare con le autorità, fallisce anche rispetto al suo obiettivo principale, ossia quello di incrementare il numero di denunce e di procedimenti penali nei confronti dei trafficanti e degli sfruttatori di esseri umani (48).

La legislazione italiana si discosta da tale approccio e prevede una maggiore attenzione alla tutela delle esigenze di protezione delle persone trafficate attraverso la predisposizione di percorsi per la concessione del permesso di soggiorno che, permettendo la regolarizzazione, aprono la strada alla possibile e conseguente integrazione sociale.

Le condizioni richieste per beneficiare di questo programma sono le seguenti:

  • essere vittima di violenza, di grave sfruttamento (49) e/o costretto/a alla prostituzione;
  • trovarsi in una situazione di "grave e attuale" pericolo di subire ulteriori violenze;
  • voler lasciare la prostituzione e/o voler chiedere aiuto e protezione alla polizia o ad una organizzazione no profit;
  • cooperare con le autorità contro le organizzazioni criminali, se necessario;
  • essere pronto/a ad iniziare un percorso di riabilitazione sociale.

Per i minori è importante che sia riconosciuta la loro condizione di vittime di traffico a scopo di sfruttamento così da poter usufruire delle disposizioni di protezione sociale previste dall'art. 18. Il non riconoscimento della condizione di vittima collocherebbe, invece, il minore nella categoria di "non accompagnato".

Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale ha la durata di sei mesi e può essere rinnovato per un anno. Consente, inoltre, l'accesso ai servizi assistenziali, allo studio, nonché allo svolgimento di lavoro subordinato. La normativa prevede la possibilità di conversione del permesso da motivi umanitari a motivi di studio e motivi di lavoro. Il permesso è revocato qualora venga riscontrata l'interruzione del programma o il compimento di condotte incompatibili con le finalità dello stesso (50).

Dalle ricerche effettuate emerge una maggiore difficoltà nel coinvolgimento di minori all'interno di progetti di protezione sociale ex art. 18 dovuta proprio alla specifica condizione dei soggetti. I minori, infatti, sono assoggettati ad una maggiore soggezione psico-fisica, hanno maggiore difficoltà, rispetto agli adulti, a elaborare una possibile via di uscita dal circuito della prostituzione e a rivedere il proprio progetto migratorio. L'analisi di tali dati sembra confermare la marginalità socioeconomica dei minori, provenienti da situazioni di estremo disagio, di povertà e, spesso, con bassa scolarizzazione (51).

La prostituzione minorile maschile, a differenza di quella femminile, presenta caratteristiche di minore coercitività quasi da far supporre modalità autonome di prostituzione alternate a forme di sfruttamento lavorativo e/o di accattonaggio (52).

Nell'ambito delle misure di protezione sociale, è stata prevista la possibilità del rilascio di un permesso di soggiorno per sei mesi, suscettibile di rinnovo per un anno e convertibile in motivi di lavoro o di studio, "anche su proposta del Procuratore della Repubblica o del Giudice di Sorveglianza presso il Tribunale per i Minorenni" (53), "allo straniero che ha terminato l'espiazione di una pena detentiva, inflitta per i reati commessi durante la minore età e ha dato prova concreta di partecipazione ad un programma di assistenza ed integrazione sociale" (54). Di tale possibilità gode anche il minore che al momento del temine della pena abbia già compiuto diciotto anni. La norma, infatti, richiede che la minore età sussista solo al momento della commissione del reato.

Il comma 6 dell'art. 18 individua, dunque, un'ulteriore situazione meritevole di tutela per la quale sono previsti gli strumenti di tutela sanciti nei commi precedenti. In questo caso la situazione di debolezza deriva dal disagio sociale e dalle difficoltà del minore che si sono concretizzati nella commissione del reato. La norma richiede l'espiazione di una pena definitiva non di tipo pecuniario (55) prescindendo dalle modalità con cui, in pratica, è avvenuta l'esecuzione della pena.

Sostiene Fachile che

(...) una interpretazione tesa ad applicare la norma solo in presenza di una detenzione in carcere sarebbe contraria alla ratio della norma, ai principi costituzionali relativi alla funzione rieducativa della pena, alle finalità perseguite dall'istituto delle sanzioni alternative, al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. e, infine, anche alla lettera stessa dell'art. 18 c.p. che in fondo distingue solo le pene detentive e quelle pecuniarie (56).

In tal senso si pronuncia il Tribunale per i Minorenni di Trieste che rilette su

quali ragioni potrebbero giustificare la concessione del permesso al condannato a pena detentiva e il diniego all'imputato che abbia svolto la messa alla prova con esito positivo. (...) Sia il detenuto dimesso dall'istituto di pena, sia l'imputato che abbia terminato la probation sono soggetti stranieri che hanno investito personalmente, e con profitto, in un progetto ispirato a criteri di legalità; essi, tuttavia, proprio per la condizione di migranti, restano esposti alle insidie di una eventuale condizione di ritorno alla clandestinità, da cui discende l'esigenza di una specifica "protezione sociale" (57).

Tale previsione normativa, pur essendo un importante strumento per i migranti che hanno scontato una pena detentiva, ha trovato scarsissima applicazione, a fronte di un progressivo ed estensivo sviluppo degli strumenti di protezione previsti nei commi precedenti dell'art. 18 T.U. n. 286/98.

1.4. La situazione giuridica dei minori stranieri non accompagnati in Italia

1.4.1 La definizione e le tipologie di minore straniero non accompagnato

Dalla normativa sopra esposta, emerge in modo chiaro la competenza dello Stato italiano in merito alla tutela dei minori che si trovano sul suo territorio.

Il Regolamento del Comitato per i minori stranieri stabilisce, riprendendo sostanzialmente la definizione della Risoluzione del Consiglio d'Europa, che per minore straniero non accompagnato si intende

il minore non avente cittadinanza italiana o di altri stati dell'Unione Europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano (58).

Questa definizione raccoglie in sé condizioni spesso molto eterogenee e accomunate dal solo fatto che il minore non si trova sotto la stretta tutela di un adulto. Infatti, sono ricompresi all'interno della definizione "non accompagnati" varie tipologie di minori stranieri quali:

  • i minori che giungono in Italia per ricongiungersi con i propri genitori i quali non hanno i requisiti per avviare le procedure finalizzate ad un ricongiungimento familiare regolare;
  • i minori sfruttati da organizzazioni criminali. Questa realtà è abbastanza diffusa e ci sono organizzazioni malavitose che utilizzano per le loro attività illecite minori stranieri (accattonaggio, prostituzione, trasporto e spaccio di sostanze stupefacenti...) rapiti ma talvolta anche ceduti dalle famiglie d'origine;
  • i minori stranieri definiti "emigranti economici" (59) che hanno un progetto migratorio simile a quello degli adulti appartenenti alla medesima nazionalità. Una parte di essi è inviata all'estero dalle famiglie con finalità di sopravvivenza e di miglioramento socio economico, mentre altri vengono in Italia di loro iniziativa, senza il consenso dei genitori ma comunque senza essere stati loro sottratti.

In controtendenza rispetto agli altri contesti europei dove numerosi sono i minori richiedenti asilo, i giovani migranti economici costituiscono la tipologia maggioritaria di minori presenti in Italia (60).

Essi possono essere ulteriormente suddivisi nelle seguenti categorie:

  • esploratori di contesti nuovi, nei quali domina lo spirito avventuriero che li spinge all'emigrazione;
  • "anchor children", inviati dai genitori nella speranza di fungere da ancora per un inserimento futuro nel nuovo paese della famiglia rimasta nel paese d'origine;
  • passanti che hanno l'intenzione di transitare per i paese al fine di recarsi in un paese terzo di più facile accesso o in cui hanno familiari.

In relazione, poi, ai vari gruppi di minori immigrati sembra possibile parlare di "specializzazione etnica" (61), i minori sfruttati provengono principalmente dall'area del Maghreb, mentre i piccoli migranti economici sono soprattutto di origine balcanica, in prevalenza albanesi. Riconducibile entro il gruppo dei migranti economici è il non indifferente numero di minori che intraprendono veri e propri viaggi di esplorazione frutto del fascino e dell'attrazione che l'Italia esercita sull'immaginario delle popolazioni di stati limitrofi o comunque prossimi.

In riferimento a tali minori l'ordinamento giuridico italiano considera due situazioni che comportano differenti percorsi normativi: il momento dell'ingresso del minore sul territorio italiano e la sua presenza in Italia.

Nel primo caso, l'art. 33 della legge n. 184/83 (62) sancisce un divieto d'ingresso per i minori che non sono muniti di visto rilasciato ai fini dell'adozione (63) o che non sono accompagnati da genitori o parenti entro il quarto grado. Il minore non accompagnato è quindi destinatario di un provvedimento di respingimento, senza godere di alcuna garanzia o tutela.

Questa previsione normativa quale unica soluzione, non solo ignora una situazione di estremo disagio per il minore, ma evita anche la richiesta d'aiuto di chi spera di trovare, nel paese d'arrivo, quelle condizioni minime che gli permettano di soddisfare le sue esigenze primarie. Risulta così doveroso che il legislatore italiano si appresti a regolare la materia con la predisposizione di misure idonee, in adempimento agli obblighi internazionali assunti, per tutelare lo status del minore. Potrebbero essere realizzate le misure, già previste a livello comunitario (64), che mettono in relazione il minore non accompagnato con una figura adulta di riferimento con le competenze necessarie per rappresentarlo e far valere i suoi diritti. Si potrebbe ipotizzare la presenza di un tutor particolarmente qualificato (con competenze giuridiche ma anche esperto conoscitore del paese d'origine) che sia in grado di svolgere un servizio di consulenza ed assistenza giuridica al minore non accompagnato che si trova alla frontiera.

Del resto, appare ingiustificato che lo Stato venga meno ai suoi obblighi nei confronti dei minori utilizzando una circostanza di fatto che non ha alcuna incidenza sulla competenza dello stato italiano, essendo pacifico che tale competenza è presente anche alla frontiera.

Tale divieto non opera in caso di eventi bellici, calamità naturali o eventi eccezionali sempre che sussistano motivi di esclusivo interesse del minore all'ingresso nello Stato (65). La formulazione della norma è però ambigua poiché essa fa riferimento ad un minore che sia accompagnato, tralasciando completamente la possibilità che il minore giunga solo alla frontiera. In questo caso non viene quindi individuata l'autorità competente per la segnalazione alla Commissione per le adozioni internazionali e al Tribunale per i Minorenni poiché la norma la individua solo in riferimento al luogo di residenza di coloro che hanno accompagnato il minore. Non è chiaro se la Commissione dovrà segnalare al Comitato per i Minori Stranieri anche i minori segnalati dagli uffici di frontiera in analogia a quanto previsto dal D.P.R. n. 492/99 per i minori presenti sul territorio italiano, o se per questi minori sia competente direttamente la Commissione per le adozioni internazionali e, limitatamente ai minori ai quali viene consentito l'ingresso, il Tribunale per i Minorenni, come sembrerebbe in base alla legge n. 476/98.

In ogni modo, va evidenziato come il legislatore non abbia previsto alcuna garanzia procedurale, poiché alla frontiera non ci sono organi o uffici che possano sostenere ed informare il minore riguardo all'esercizio dei suoi diritti.

Così non viene data applicazione a quanto è stabilito nell'art. 22 della Convenzione sui Diritti del Fanciullo:

gli Stati (...) prendono misure necessarie affinché un bambino che cerchi di ottenere lo status di rifugiato (...) che sia solo o accompagnato dei genitori, dai tutori legali o dai parenti prossimi, benefici della protezione e dell'assistenza umanitaria appropriate. (...) Gli Stati partecipi della Convenzione collaboreranno (...) per proteggere i bambini in simili condizioni e per rintracciare i genitori o i parenti prossimi (...) al fine di ottenere le informazioni necessarie per riunirlo alla sua famiglia: quando i detti soggetti non possono essere rintracciati, al bambino sarà accordata, secondo i principi enunciati nella presente Convenzione, la stessa protezione che viene accordata ad ogni altro bambino privato definitivamente del suo ambiente naturale per qualsiasi ragione.

L'art. 20 del T.U. sull'immigrazione prevede "misure di protezione temporanea da adottarsi, anche in deroga alle disposizioni del presente T.U., per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in paesi non appartenenti all'Unione Europea", da stabilirsi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Dette misure, quindi non conseguono automaticamente al verificarsi delle situazioni prese in considerazione dalla norma ma solo quando gli eventi citati dalla stessa vengono formalizzati per decreto dal governo. Con questo presupposto è evidente che i minori non accompagnati non sono oggetto di valutazioni obiettive ma di scelte politiche non legate alla tutela dei diritti fondamentali dell'individuo.

Inoltre tale deroga non riguarda in modo specifico la tutela del minore ma è rivolta più in generale ai soggetti (giovani e adulti) che rientrano nell'ambito di previsione del decreto.

1.4.2 La normativa vigente

Le norme che riguardano la presenza dei minori stranieri non accompagnati sul territorio italiano si sono sovrapposte negli ultimi anni, creando confusione e fraintendimenti. Ritengo quindi utile una trattazione dell'argomento in ordine cronologico.

La legge n. 39/90 (legge Martelli) è stata la prima legge organica che ha disciplinato la condizione giuridica dello straniero in Italia. In essa solo due norme erano dedicate ai minori stranieri, del tutto insufficienti a regolare la disciplina della condizione giuridica del minore straniero (66). Vennero così individuate le forme d'intervento affidate alla competenza degli organi giurisdizionali - Tribunale per i Minorenni e Giudice Tutelare - in modo da non lasciare margini di discrezionalità agli organi di polizia.

Le prassi che si consolidarono partivano dall'impossibilità di espellere il minore sancita dalla Convenzione di New York. Partendo da tale dato, connesso agli obblighi derivanti dal dovere di protezione dello stato sul cui territorio si trova il minore, è stato possibile inserire l'ipotesi del rientro del minore nello Stato d'origine nell'ambito del rimpatrio assistito, limitatamente nel caso in cui il superiore interesse del minore ne consigliava l'adozione. La valutazione del superiore interesse del minore e, di conseguenza, la scelta in merito al rimpatrio assistito o alla permanenza in Italia, era affidata alla competenza esclusiva dell'autorità giudiziaria.

Nel periodo di vigenza di questa legge (1990-1998), la materia venne regolamentata dalla normativa generale e da alcune circolari ministeriali che, nel tentativo di uniformare il trattamento dei minori non accompagnati in Italia, chiarirono la necessità di prevedere per questi ultimi una figura adulta di riferimento tramite la nomina di un tutore. Il Tribunale per i Minorenni si occupava dei minori fino a quattordici anni; il Giudice Tutelare, invece, dei ragazzi con età superiore ai quattordici anni. In seguito, c'era la possibilità di accedere ad un impiego e di soggiornare, con il raggiungimento della maggiore età, il possedimento di un permesso di soggiorno e l'iscrizione alle liste di collocamento, regolarmente in Italia.

La previsione di queste procedure, oltre a rendere possibile e concreta l'integrazione dello straniero entrato in Italia solo e minorenne, non operava alcuna differenziazione tra il minorenne italiano e quello straniero in relazione alla tutela e alle garanzie previste. Pertanto, può essere ritenuta consona al principio di non discriminazione la scelta legislativa di non includere nell'ordinamento alcuna norma specifica per i minori stranieri dal momento che, per la loro tutela, non può essere ritenuto elemento differenziale la cittadinanza di provenienza.

La legge n. 40/98 (legge Turco-Napolitano (67)), invece, oltre a disciplinare la condizione giuridica dello straniero, ha regolato anche il tema dei minori non accompagnati dettando norme specifiche in materia. Questa legge è stata successivamente inserita nel Decreto Legislativo n. 286/98 che ha raccolto in un testo unico l'intera disciplina dell'immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero.

Nel titolo IV del presente T.U., dedicato al "Diritto all'unità familiare e tutela dei minori" viene ribadito quanto già positivizzato nel nostro ordinamento con la legge di ratifica della Convenzione sui Diritti del

Fanciullo. Recita, infatti, la norma:

in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all'unità familiare e riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione, con carattere di priorità, il superiore interesse del fanciullo (68).

Tale criterio valutativo impone alla pubblica autorità di considerare, in relazione ad ogni singolo caso, quale delle soluzioni possibili sia più favorevole al minore e di adottarla a preferenza di ogni altra, senza automatismi nel ritenere l'unità familiare o la permanenza nel paese il diritto prevalente.

L'art. 19 co. 2 lettera a) del suddetto T.U. sancisce il principio secondo il quale "non è consentita l'espulsione degli stranieri degli anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi", se non per motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico (69). Come è noto, l'espulsione consiste nel far uscire dallo Stato lo straniero che vi sia entrato irregolarmente e se il genitore o l'affidatario viene espulso il minore può scegliere di seguirlo all'estero (70). Sotto questo profilo la Cassazione (71) ha affermato che la disposizione non può interpretarsi in modo da estendere il divieto di espulsione che vale per il minore, per insopprimibili esigenze di unità familiare, anche ai genitori clandestinamente introdottisi nel territorio nazionale. In tal caso, il genitore ha il diritto di portare con sé il minore nel luogo di destinazione senza ledere l'unità familiare. La ratio emerge nel voler a tutti i costi evitare che una situazione di fatto, avere dei figli minorenni, venga strumentalizzata per l'eludere i limiti di rigidità della nostra normativa sull'ingresso dei cittadini extracomunitari.

La normativa precisa che "qualora, ai sensi del presente T.U., debba essere disposta l'espulsione di un minore straniero, il provvedimento è adottato, su richiesta del Questore, dal Tribunale per i Minorenni" (72). Viene ribadita pertanto la competenza dell'autorità giudiziaria per i provvedimenti più importanti concernenti i minori. Nel decidere sull'espulsione il Tribunale dovrà valutare sia la sussistenza dei motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello stato, per i quali può essere disposta l'espulsione, sia l'effettivo interesse del minore, nonché l'effettiva necessità e congruità della misura qualora dalla sua adozione possa derivare una lesione al diritto all'unità familiare (73). Ferma la generale previsione di inespellibiltà, il provvedimento di espulsione nei confronti di un minore potrà essere disposto esclusivamente per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello stato, difficilmente riferibili ad un soggetto minore.

E' stato, inoltre, previsto che il Tribunale per i Minorenni "per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova sul territorio italiano, può autorizzare l'ingresso e la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato" (74). La norma è di particolare importanza, in quanto unico strumento che consente di tutelare le esigenze del minore, ma è correlata esclusivamente alla sussistenza di situazioni eccezionali, le quali non possono assumere carattere di normalità e stabilità (75). La presenza del familiare, dunque, è conseguente a tali condizioni e necessariamente strumentale al benessere del fanciullo.

Ravvisata la necessità della permanenza del familiare mediante un'indagine sociale, il Tribunale per i Minorenni (76) autorizza la permanenza per un periodo determinato e dispone il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di cure mediche (77).

Secondo il Tribunale per i Minorenni di Firenze,

[tale] permesso deve prendere in prioritaria considerazione il preminente interesse del fanciullo, secondo quanto sancito nell'art. 29 del d. lgs. 286/98, e tale interesse può essere concretamente tutelato ed attuato con la possibilità per i genitori (...) di adempiere all'obbligo di mantenimento, che può essere assolto con lo svolgimento di regolare attività lavorativa in Italia (78).

Sull'argomento è intervenuto il recentissimo D. Lgs. n. 5/2007 (79) che, nel disciplinare le condizioni per l'esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cittadini di Paesi terzi in conformità alle disposizioni della Direttiva Europea (80), ha previsto il rilascio di un permesso per "assistenza minore" di durata corrispondente a quella stabilita nel decreto del Tribunale per i Minorenni, che autorizza l'ingresso o la permanenza, al familiare del minore. La norma ha esplicitamente sancito che tale permesso, oltre ad essere rinnovabile, consente lo svolgimento di attività lavorativa ma non può essere convertito in un permesso per motivi di lavoro (81).

A prescindere dalla regolarità del soggiorno è garantita "la tutela della salute del minore" (82) e i minori presenti sul territorio "sono soggetti all'obbligo scolastico; ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all'istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica" (83).

La novità più importante per la disciplina di minori stranieri non accompagnati è stata l'istituzione di un Comitato per i Minori Stranieri (84) "al fine di vigilare sulle modalità di soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato e di coordinare le attività delle amministrazioni interessate" (85). La sua istituzione avrebbe potuto trovare giustificazione unicamente al fine di uniformare il trattamento sul territorio nei confronti dei minori temporaneamente accolti nell'ambito di programmi solidaristici, non vi è infatti nella norma alcun riferimento alla competenza in merito ai minori non accompagnati.

L'esecutivo, avvalendosi della delega contenuta nell'art. 47 comma 2 della legge n. 40/98 (86), ha emanato il Decreto Legislativo n. 113/99 che ha rinnovato il contenuto dell'art. 33 concernente il Comitato per i Minori Stranieri.

Il governo ha introdotto tra le competenze del comitato quella di vigilare sulle modalità di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati presenti sul territorio dello Stato; ha delineato i compiti di impulso e di raccordo di tale organismo con le amministrazioni interessate ai fini dell'accoglienza, del rimpatrio assistito, del ricongiungimento del minore con la sua famiglia nel paese d'origine o in un paese terzo (87). E' stato, inoltre, stabilito che il provvedimento di rimpatrio del minore straniero non accompagnato è di esclusiva competenza del Comitato.

Nel caso in cui risulti instaurato nei confronti dello stesso minore un procedimento giurisdizionale, l'autorità giurisdizionale rilascia il nulla-osta, salvo che sussistano inderogabili esigenze processuali (88).

In relazione a queste innovazioni sono stati sollevati dubbi sulla incostituzionalità delle deleghe contenute nel T.U. perché troppo generiche oltre che del decreto sopra citato che introduce, ex novo, competenze non previste dalla legge (89).

Secondo Moyerson e Tarzia

tale delega è priva di quei principi e di quei criteri direttivi che l'art. 76 Cost. prevede perché possa effettuarsi un conferimento di delega al Governo, limitandosi a un generico richiamo ai principi contenuti nelle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia (90).

Bonetti ritiene che si possa affermare

che l'art. 47, comma 2, L. n. 40/1998 finisc[a] col conferire al Governo non già una delega legislativa nei limiti consentiti dall'art. 76 Cost., bensì lo stesso esercizio della funzione legislativa in materia di disciplina della condizione dello straniero, la quale, invece, anche in tal materia, spetta soltanto alle Camere in virtù degli artt. 72 e 77, comma 1, Cost. (91)

Miazzi sostiene che non è possibile considerare

ai sensi dell'art. 47 l. n. 40/98 "disposizioni correttive... necessarie per realizzare pienamente i principi della legge" quelle che introducono ex novo la competenza del Comitato per i minori stranieri relativa ai minori non accompagnati e sconvolgono tutta la disciplina vigente di tutela dei minori stranieri "soli" (92).

Turri afferma che

il Governo agendo in base alla delega ricevuta dal Parlamento al fine di correggere disposizioni che si rivelassero necessarie per assicurare il perseguimento coerente delle finalità poste dalla legge [ha ampliato] la delega stessa. Come può il Governo autorizzarsi da sé, auto-delegarsi a riscrivere la disciplina della condizione giuridica del minore straniero solo (...) quando il Parlamento l'ha delegato a disciplinare unicamente al condizione dei minori che entrano nel nostro paese all'interno di programmi solidaristici? (93)

In attuazione dell'art. 33 co. 2, 2-bis del T.U. è stato emanato il Regolamento concernente i compiti del Comitato per i Minori Stranieri (D.P.C.M. n. 535/99) (94).

In quanto minori e perciò inespellibili, i minori immigrati non accompagnati hanno tutti diritto ad un permesso di soggiorno per minore età (95). In base alla Circolare del Ministero dell'Interno del 13 novembre 2000, questa tipologia di permesso non consente di lavorare e non può essere convertito in permesso per studio o lavoro al compimento della maggiore età "in ragione della provvisorietà dell'autorizzazione che non è finalizzata a tutelare un diritto di stabilimento" (96). Il divieto di svolgere attività lavorativa e la non convertibilità del permesso di soggiorno è sancita da una circolare amministrativa, senza alcun supporto normativo. Conseguentemente questi minori diventano irregolari al raggiungimento della maggiore età, anche se sono inseriti in un percorso di integrazione e di formazione.

Le conseguenze di questa disciplina - definite "paradossali" da Lorenzo Miazzi in un suo articolo (97) - portano all'espulsione del minore che ha fornito le esatte generalità, che ha accettato e proseguito l'inserimento in un percorso di studio o di lavoro; mentre "premiano" con il permesso di soggiorno i minori che sono stati affidati, magari in seguito alla commissione di reati nell'ambito di un programma di recupero, ex art. 2 legge n. 184/83.

La Circolare del Ministero dell'Interno del 9 aprile 2001 chiarisce che il permesso per minore età deve essere rilasciato solo a quei minori per cui è previsto il rimpatrio assistito o per cui non è stato previsto l'affidamento, ma sia stato soltanto nominato un tutore da parte del Giudice Tutelare. Entro sessanta giorni dalla segnalazione ricevuta il Comitato dovrebbe verificare la situazione del minore ed avviare indagini nel paese d'origine per un eventuale rimpatrio.

Nei casi in cui il Comitato ritenga di non dover procedere al rimpatrio, viene autorizzata la permanenza del minore sul territorio attivando i servizi sociali per l'affidamento ex art. 2 legge n. 184/83, che dà diritto al rilascio un permesso di soggiorno per affidamento, convertibile al compimento del diciottesimo anno in un altro permesso di soggiorno e senza alcuna preclusione per lo svolgimento di un'attività lavorativa (98). Tale ipotesi consente, dunque, ai minori titolari di permesso per minore età di convertire questo permesso in uno per affidamento qualora, dopo che il Comitato abbia stabilito che nel loro interesse essi non debbano essere rimpatriati, vengano affidati ai sensi della legge n. 184/83, ossia con affidamento disposto dal Tribunale per i Minorenni oppure dai Servizi Sociali e reso esecutivo dal Giudice Tutelare. Il permesso per affidamento, a differenza di quello per minore età consente di lavorare e di essere convertito in uno per studio o lavoro al compimento della maggiore età. Si riscontrano forti dubbi sulla possibilità che una circolare possa derogare ad una legge ordinaria. Finché rimarrà in vigore la legge n. 184/83 si dovrà ritenere che, in presenza dei presupposti previsti dalla legge, il minore potrà ricevere un provvedimento di affidamento anche se il Comitato non si è ancora pronunciato sull'opportunità del rimpatrio.

Sulla condizione dei minori ha, inciso in maniera rilevante l'abrogazione, ad opera della legge n. 189/02 (c.d. Bossi-Fini), della lettera d) dell'art. 29 del T.U. sull'immigrazione, che prevedeva, attraverso l'istituto della sponsorizzazione, la possibilità di ingresso regolare a flussi di stranieri. In questo modo è stata preclusa la possibilità di ingresso regolare ai fratelli minori dei lavoratori stranieri (99).

La legge, inoltre, è intervenuta direttamente sulla condizione dei minori stranieri non accompagnati, quindi dei ragazzi non affidati e neppure oggetto di tutela, introducendo il comma 1 bis dell'art. 32 T.U. n. 286/98 che disciplina la possibilità di conversione del permesso di soggiorno per i minori stranieri non accompagnati che, non avendo ricevuto un provvedimento di rimpatrio assistito, siano entrati in Italia da almeno tre anni, cioè prima del compimento del quindicesimo anno d'età, abbiano seguito per almeno due anni un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che sia iscritto in un apposito registro, frequentino corsi di studio o svolgano attività lavorativa legale o siano in possesso di un contratto di lavoro e abbiano la disponibilità di un alloggio (100).

Lorenzo Miazzi sostiene che questa normativa ha scelto

di prendere in considerazione i minori (e permettere loro la permanenza) in quanto attuali o potenziali lavoratori. Quindi - capovolgendo i principi su cui si basava la legge n. 40/98 - non come soggetti da tutelare ma come forza lavoro da occupare (101).

Questa normativa categorizza i minori stranieri non accompagnati delineandone condizioni differenti. Secondo Gabriella Petti

l'aver sancito secondo parametri giuridici alcuni diritti e apparati specifici per i minori stranieri ha fatto già di per sé emergere la convinzione che il minore straniero sia un minore diverso dal minore italiano avviando così un lento processo di esclusione. Processo tanto più ambiguo, perché fondato sugli stessi principi posti a tutela del soggetto. Semplificando: "Tu sei diverso e per questo devi essere tutelato di più e se devi essere tutelato vuol dire che qui stai male e quindi è meglio che torni da dove sei venuto" (102).

Riassumendo, se, in presenza di un affidamento, la conversione del permesso per minore età in quello per affidamento non avviene rapidamente, il minore viene a trovarsi al compimento dei diciotto anni ancora con un permesso per minore età, di difficile conversione in uno per studio o per lavoro, soprattutto quando questi è emigrato dopo aver compiuto quindici anni di età ed ha iniziato un cosiddetto progetto di integrazione solo recentemente.

Una conseguenza di questo quadro normativo è l'elevata probabilità che i flussi di minori immigrati non accompagnati avranno un'età più bassa, ovvero saranno composti prevalentemente da infraquattordicenni, per aggirare le restrizioni menzionate, con maggiori rischi per l'equilibrio della loro crescita e con un carico economico molto maggiore per gli enti che dovranno prendersi carico della loro accoglienza e del loro inserimento fino al raggiungimento della maggiore età (103).

Per quanto riguarda la "sorte" dei minori affidati "di fatto" a parenti entro il quarto grado al compimento della maggiore età, assume importanza la pronuncia del T.A.R. Piemonte che, rilevando l'incompletezza dell'art 31 del T.U. n. 286/98 in riferimento alla situazione dei minori affidati di fatto ex art. 9 legge n. 184/83, colmata dall'art 28 D.P.R. n. 394/99 che prevede il rilascio del permesso di soggiorno per minore età a tutti i minori, senza però disciplinare le vicende successive al raggiungimento della maggiore età, ritiene applicabile, in via analogica, a tutti i minori divenuti maggiorenni la norma di cui all'art. 32 del T.U. n. 286/98

tale soluzione, oltre a comportare il superamento dei problemi di costituzionalità (...) con riferimento alla violazione del principio di uguaglianza sostanziale e di quello di tutela della famiglia e del minore, consente a quest'ultimo, una volta raggiunta la maggiore età, di richiedere un permesso di soggiorno anche per accesso al lavoro, riconoscendogli in tal modo una più ampia possibilità di inserimento nel contesto socio-economico italiano (104).

Anche in riferimento all'affidamento del minore all'ente locale, la giurisprudenza equipara questa forma di affidamento all'affidamento "formale" che ai sensi dell'art. 32 T.U. n. 286/98 consente al raggiungimento della maggiore età il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di studio o di lavoro (105).

Di questo avviso la pronuncia del T.A.R. Toscana, secondo la quale

l'art. 32 del d. lgs. 286 del 1998 nell'uso della locuzione "e ai minori comunque affidati ai sensi dell'art. 2 della l. 4.5.1983 n. 184" evidenzia la ratio propria di una norma di chiusura di carattere omnicomprensivo sottolineata dall'uso dell'avverbio "comunque" (...) non sussistendo sul piano degli effetti giuridici alcuna apprezzabile differenza fra la posizione del minore non accompagnato affidato ad un tutore con provvedimento del giudice tutelare (...) ed il minore destinatario del provvedimento di affidamento emesso dal tribunale per i minorenni ex art. 2 e 4 della legge 184 del 1983 (106).

Dalla normativa analizzata e dalle pronunce riportate emerge in modo chiaro la contrapposizione tra l'orientamento restrittivo delle questure, che non hanno ritenuto equiparabile alla condizione di minore affidato prevista dall'art. 32 quella dei minori stranieri affidati di fatto a parenti entro il quarto grado e hanno negato il permesso di soggiorno ai minori stranieri sottoposti a tutela anziché ad affidamento (107), e l'orientamento giurisprudenziale che ha cercato di integrare le lacune normative attraverso "un'interpretazione costituzionalmente corretta" che oltrepassasse il dato letterale.

Importante ed attesa è stata la sentenza n. 198/2003 della Corte Costituzionale (108) chiamata a pronunciarsi sulla questione di illegittimità costituzionale dell'art. 32 del T.U. n. 286/98, nella parte in cui non prevede che al compimento della maggiore età il permesso di soggiorno possa essere rilasciato anche ai minori stranieri "sottoposti a tutela, ai sensi degli artt. 343 e seguenti del codice civile".

Nell'ordinanza di remissione il T.A.R. dell'Emilia Romagna tracciava il profilo di illegittimità della norma citata riconoscendo la sostanziale equivalenza tra gli istituti dell'affidamento e della tutela e la disparità di trattamento tra i minori stranieri affidati ex art. 2 e 4 della legge n. 183/84 ed i minori stranieri sottoposti a tutela, ravvisando la violazione del "principio di uguaglianza" sancito nell'art. 3 della Costituzione.

La Corte Costituzionale dichiara che gli istituti dell'affidamento e della tutela sono affini nelle loro finalità, in quanto destinati entrambi alla cura del minore, pur scaturendo da due presupposti differenti (109).

Il tutore, infatti, oltre ad amministrare il patrimonio del suo pupillo, si prende cura dei suoi bisogni, della sua educazione ed istruzione, sotto il controllo del giudice tutelare, proprio come l'affidatario è tenuto a fare tenendo conto delle indicazioni dei genitori. Di conseguenza, le analogie esistenti tra i due istituti permettono di affermare che, come l'articolo 32 del T.U. n. 286/98 trova applicazione ai casi di affidamento "amministrativo", "giudiziario" e "di fatto" (110), così esso può applicarsi anche nei confronti dei minori stranieri sottoposti a tutela.

La Corte Costituzionale ha quindi affermato che tale articolo 32, indubbiamente lacunoso nella sua formulazione a causa del mancato riferimento ai minori stranieri soggetti a tutela, può essere integrato con un'interpretazione estensiva in via analogica, proprio per l'affinità di scopo presente tra la tutela e l'affido, nel pieno rispetto dei principi ispiratori della Costituzione italiana.

Sarebbe riduttivo affermare che l'importanza della pronuncia consiste esclusivamente nell'aver equiparato tutti i tipi di affidamento (consensuale, giudiziario e di fatto, previsti e disciplinati dagli artt. 2, 4 e 9 della legge n. 183/84) alla tutela.

Il significato più profondo della pronuncia risiede nell'aver sancito in materia di minori stranieri la prevalenza delle norme e dei principi in materia di protezione dei minori sulla legislazione prevista per gli stranieri affermando l'alternatività e la conseguente non cumulabilità dei requisiti, rispettivamente contenuti nel primo e nei due commi seguenti 1 bis e 1 ter dell'art. 32 che regolano fattispecie diverse (111).

Conseguentemente l'applicazione delle norme previste per gli adulti stranieri potrà avvenire solo se compatibile con il superiore interesse del fanciullo (112).

In proposito il Ministero dell'Interno, con circolare (113) ha sottolineato come l'equiparazione tra minori affidati e minori sottoposti a tutela, introdotta in seguito alla pronuncia della Corte Costituzionale, sia riferita alla legislazione in vigore prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 189/2002. Pertanto, i permessi di soggiorno per "minore età" rilasciati a minori divenuti maggiorenni prima dell'entrata in vigore della citata legge possono essere convertiti. Per coloro che, invece, hanno compiuto il diciottesimo anno d'età successivamente dovranno essere verificati i requisiti di cui ai commi 1 bis e 1 ter dell'art. 32 (114).

La circolare però è stata smentita dal Consiglio di Stato che ha seguito l'orientamento della Corte Costituzionale affermando che il permesso per affidamento debba essere rilasciato al minore non solo quando è destinatario di un affidamento amministrativo o giudiziario, ai sensi e per gli effetti dell'art. 4 co. 1-2 della legge n. 184/1983, ma anche quando è sottoposto a tutela (115), riconoscendo l'applicabilità dell'art. 32 co. 1 e la corrispondente non applicabilità dei due commi successivi a tutte le ipotesi in cui il minore risulti affiancato da una figura di riferimento poiché "l'affidamento e la tutela, pur avendo presupposti diversi, sono entrambi finalizzati ad assicurare la cura del minore" (116).

Note

1. G. Petti, Il male minore. La tutela dei minori stranieri come esclusione, Ombre Corte, Verona 2004, p. 42. Sulla nozione di straniero e di minore, vedi anche Miazzi L., La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia, in Minori Giustizia n. 3/1999, pp. 105-108; Long J., Il ruolo del principio del superiore interesse del minore nella disciplina dell'immigrazione, in Minori Giustizia, n. 1/2006, pp. 251 ss.

2. Miazzi L., La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia, in Minori Giustizia n. 3/1999, p. 104. Cfr., le riflessioni di E. Rozzi in AA.VV., Atti del seminario Focus sui minori migranti non accompagnati: in cerca di risposte efficaci per un aspetto problematico dei processi migratori, Modena 2003, pp. 3 ss.

3. Convenzione resa esecutiva in Italia con legge n. 742/80, entrata in vigore nel 1995. Campanato G., La tutela internazionale del minore straniero e l'intervento del giudice italiano, in Minori Giustizia, n. 1/2006, p. 33.

4. Convenzione resa esecutiva in Italia con legge n. 396/75 ma internazionalmente non ancora in vigore.

5. Convenzione resa esecutiva in Italia con legge n. 176/91. Cfr. la relazione di Saulle M.R., La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino e la sua applicazione negli ordinamenti interni con particolare riferimento all'ordinamento italiano, in Affari Sociali Internazionali, n. 2/2004, pp. 75 ss., negoziatore a tempo pieno per l'Italia per la redazione della Convenzione.

6. Con questa interpretazione concorda Lorenzo Miazzi, secondo il quale "per identificare la residenza abituale vanno principalmente considerati i legami affettivi ed importanti che il bambino ha con l'ambito familiare o sociale in cui vive e quindi essa deve essere valutata caso per caso", in La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia, in Minori Giustizia n. 3/1999, p. 119.

7. Sull'argomento cfr. Franchi M., Protezione dei minori e diritto internazionale privato, Giuffrè, Milano 1997, pp. 23-27.

8. Turri G.C., I bambini stranieri non accompagnati, in Minori Giustizia n. 3/1999, p. 16.

9. Sui diritti riconosciuti ai minori stranieri dalla Convenzione O.N.U., vedi Turri G.C., I bambini stranieri non accompagnati, in Minori Giustizia n. 3/1999, pp. 13-14; la ricerca condotta dall'Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali, I centri di primo intervento ed i minori immigrati non accompagnati: da una cultura dell'emergenza a una cultura dell'adolescenza?, Presidenza del Consiglio, Dipartimento Affari Sociali, Roma 2000, cap. 1; Campani G., Lapov Z., Carchedi F., (a cura di), Le esperienze ignorate. Giovani migranti tra accoglienza, indifferenza, ostilità, Franco Angeli Editore, Milano 2002, pp. 34-37; Campani G., Salimbeni O., (a cura di) La Fortezza e i ragazzini, Franco Angeli Editore, Milano 2006, cap. 1. Bertozzi R., Le politiche sociali per i minori stranieri non accompagnati. Pratiche e modelli locali in Italia, Franco Angeli, Milano 2005, pp. 63 ss. Cfr. "Commento Generale n. 6, Trattamento dei minori non accompagnati e separati fuori dal Paese di origine, adottato dal Comitato sui diritti del fanciullo, 39ª sessione, 17 maggio-3 giugno 2005" che fornisce un'interpretazione autentica dei principi e degli articoli enucleati nella Convenzione O.N.U.

10. Risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea del 26.6.97, art. 1, co. 1. Del tutto simile è la definizione contenuta nell'art. 2 lettera f) della direttiva 2003/86/CE del Consiglio dell'Unione Europea relativa al diritto al ricongiungimento familiare del 22.9.2003.

11. Cfr., artt. 3 e 5 Risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea del 26.6.1997.

12. Cfr., programma Save the Children - Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (per brevità, d'ora in poi A.C.N.U.R.) del 1999.

13. Art. 147 del Codice Civile; art. 30 della Costituzione italiana; art. 1 della legge n. 184/83.

14. Art. 1 co. 3 legge n. 184/83.

15. Art. 20 co. 3 Convenzione di New York e art. 2 legge n. 184/83. Sulla tematica, vedi Campani G., Lapov Z., Carchedi F., op. cit., pp. 37 ss.; Di Bari C., I minori in stato di abbandono. Aspetti giuridici e sociologici, cap. 2; Rozzi E., I minori stranieri non accompagnati e irregolari, tra accoglienza in Italia e rimpatrio. Aspetti giuridici, Save the Children - Italia 2001, pp. 30 ss.; Miazzi L., La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia, in Minori Giustizia n. 3/1999, pp. 118 ss.

16. Art. 4 co. 1 legge n. 184/83. Sull'operato dei servizi sociali, vedi l'importante sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo del 13.7.2000 - Scozzari e Giunta c. Italia, che ha introdotto il principio secondo il quale i Tribunali per i Minorenni hanno il dovere di vigilare sull'operato dei servizi sociali, verificando puntualmente le condizioni dell'affidamento e non conformandosi in maniera incondizionata alle relazioni presentate regolarmente dai servizi sociali; con commento di Sonaglioni A., in Minori Giustizia, n. 3/2000, pp. 149-164.

17. Art. 4 co. 2 legge n. 184/83 che rinvia agli artt. 330 e ss. del Codice Civile.

18. "Se entrambi i genitori sono morti, o per altre cause non possono esercitare la potestà dei genitori, si apre la tutela".

19. L'art. 3 della legge n. 183/84, così come modificato dalla legge n. 149/2001, stabilisce il divieto di nominare quale tutore del minore "i legali rappresentanti delle comunità di tipo familiare e degli istitutivi assistenza pubblici o privati (...) e coloro che prestano gratuitamente la loro attività" in tali strutture. Questi soggetti ricoprono il ruolo provvisoriamente, per un massimo di trenta giorni, in attesa della nomina del tutore.

20. Competenza attribuita rispettivamente dall'art. 10 co. 2 legge n. 183/84 e dall'art. 343 del Codice Civile.

21. Decreto della Corte d'Appello di Torino del 10.12.1999, est. Pazè. In questo senso, vedi Miazzi L., La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia, in Minori Giustizia n. 3/1999, pp. 122-123; ---, I giudici minorili e la tutela dei minori stranieri nell'applicazione della legge n. 40/98, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 1/2001, pp. 15-16.

22. Pretura di Mantova, Sezione Distaccata di Castiglione delle Stiviere - Comunicazione del 15.2.1999 del Giudice Tutelare, Dott. Bortolato.

23. Art. 3 co. 6 D.P.C.M. n. 535/99. In questo anche la Circolare del Tribunale per i Minorenni del Veneto del 21.6.2000, che, dopo aver statuito che "il minorenne non accompagnato (...) è pur sempre un minore nei confronti del quale i genitori non possono esercitare la potestà", indica che "il caso potrà [corsivo mio] essere segnalato al Giudice Tutelare del luogo ove il minore è stato accolto per l'apertura della tutela ai sensi dell'art. 343 Cod. Civ.". Cfr. anche quanto stabilito dalla Circolare del Ministero dell'Interno del 9.4.2001, che stabilisce che il Comitato per i minori stranieri "interessi" il Giudice Tutelare per la nomina di un tutore provvisorio.

24. Miazzi L., Il rimpatrio assistito del minore straniero: ancora un caso di diritto speciale?, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 2/2000, p. 42. Cfr., la direttiva del Consiglio dell'Unione europea sulla protezione temporanea degli sfollati (2001/55/CE) che, nel riconoscere l'importanza di fornire tutori ai minori non accompagnati, investe gli Stati membri di particolari responsabilità per quanto riguarda la tutela. La direttiva richiede iniziative per assicurare la necessaria rappresentanza dei minori non accompagnati attraverso una tutela legale o da parte di qualsiasi altra rappresentanza adeguata e responsabile (art. 16).

25. Turri G.C., Un tutore per i minori stranieri non accompagnati, in Minori Giustizia n. 1/2005, p. 133. Vedi anche, ---, Minori stranieri non accompagnati: dalla legge Turco-Napolitano alla Bossi-Fini, in Minori Giustizia n. 3-4/2002, pp. 68-71; Morozzo della Rocca P., La condizione giuridica del minore straniero: norme, giurisdizione e prassi amministrative, in Minori Giustizia, n. 3-4/2002, pp. 34 ss.

26. "Il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato: (...) c) al familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento con il cittadino italiano o di uno stato membro dell'Unione europea residenti in Italia, ovvero con lo straniero regolarmente soggiornante in Italia. In tal caso il permesso di soggiorno del familiare è convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari. La Conversione può essere richiesta entro un anno dalla data di scadenza del titolo di soggiorno originariamente posseduto dal familiare".

27. "Allo straniero che effettua il ricongiungimento familiare con il cittadino italiano o di uno stato membro dell'Unione Europea, ovvero con lo straniero titolare della carta di soggiorno di cui all'art. 9, è rilasciata una carta di soggiorno".

28. "Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a 18 anni. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli".

29. Cfr., le critiche rivolte all'operato degli enti locali, Turri G.C., Minori stranieri non accompagnati: dalla legge Turco-Napolitano alla Bossi-Fini, in Minori Giustizia, n. 3-4/2002, pp. 73-74; Milanese F., La questione dei minori stranieri non accompagnati nell'esperienza di una realtà di frontiera, in Cittadini in crescita, n. 1/2005, pp. 49 ss.; Rozzi E., La valutazione dell'interesse del minore straniero nella scelta tra accoglienza e rimpatrio, in Minori Giustizia, n. 3-4/2002, p. 104; Campus A., (a cura di) Minori stranieri soli. Tra politiche di accoglienza e politiche di controllo. Un'analisi territoriale, Officina Edizioni, Roma 2004.

30. Eclatante è stato il caso del comune di Trieste che, "strangolato" finanziariamente dagli obblighi di assistenza di quasi 300 minori, ha richiesto al Comitato il rimpatrio assistito degli stessi in Milanese F., op. cit., p. 53. Cfr. tra le altre, la pronuncia del Tribunale per i Minorenni di Trento, decreto del 26.03.2002 - rel. Spina, in cui si dispone la sostituzione del tutore, nella persona del responsabile del servizio sociale del comune di Trento, che si trovava in una situazione di conflitto d'interesse poiché "deve svolgere da una parte l'interesse del minore e, dall'altra, quella dell'organo istituzionale preposto a dare attuazione ai decreti di rimpatrio (il comune di Trento)". In tal senso anche le riflessioni di Mauro Valeri che critica la linea assunta dagli enti locali che richiedono le indagini solo per alcuni minori, intervista realizzata a Roma presso la sede del Comitato il 20.02.2006.

31. Trento è stata la prima città ad attivare il corso di formazione per tutori volontari. Iniziative simili si ritrovano a Trieste, Venezia. Cfr. l'esperienza della Regione Veneto che, con legge regionale n. 42/1988 - applicata dal 2001 - ha istituito la figura del pubblico tutore dei minori.

32. Cfr. art. 8 legge n. 184/83. Sulla nozione di abbandono e la procedura di adottabilità, vedi Di Bari C., op. cit., cap. 1; Miazzi L., Immigrazione, regole familiari e criteri di giudizio, in Questione Giustizia, n. 4/2005, pp. 765 ss.; Morozzo della Rocca P., op .cit., pp. 31-33.

33. Art. 28 del D.P.R. n. 394/99 - Regolamento di attuazione del T.U. n. 286/98.

34. Miazzi L., Immigrazione, regole familiari e criteri di giudizio, in Questione Giustizia, n. 4/2005, p. 765.

35. Pronuncia del Tribunale per i Minorenni di Venezia del 19.5.1992.

36. Vedi la pronuncia del Tribunale per i Minorenni di Venezia, decreto del 21.12.1998 - est. Picaroni e l'ordinanza Tribunale di Torino del 12/14.9.2001 - est. Beltramino.

37. Decreto della Corte d'Appello di Torino del 10.12.1999, est. Pazè.

38. "Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l'accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al giudice tutelare, che trasmette gli atti al Tribunale per i Minorenni con relazione informativa".

39. Tribunale di Torino ordinanza del 12/14.9.2001 - est. Beltramino.

40. In questo senso, vedi Miazzi L., Minore straniero in affidamento parentale di fatto e raggiungimento della maggiore età, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 1/2005, p. 89.

41. Sul tema, vedi Camilletti E., intervento al convegno internazionale Stop tratta, Regione Emilia-Romagna e Associazione On the road, Bologna 2002, pp. 37-39; Garcia M., ivi, pp. 128-134; Oberlies D., ivi, pp. 135-141; Giammarinaro M.G., Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale previsto dall'art. 18 del T.U. sull'immigrazione, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 4/1999, pp. 34 ss.; Scarpa S., La tutela dei diritti delle vittime di tratta degli esseri umani ed il sistema premiale previsto dalla direttiva comunitaria 2004/81/CE, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 2/2005, pp. 45-67; Battaglia G., Tratta degli esseri umani e immigrazione clandestina: protezione e collaborazione delle vittime. La direttiva 81/2004 e l'articolo 18 D.Lgs. 286/98: modelli a confronto, in Gli Stranieri, n. 5/2004, pp. 422-432. Contra, vedi Palidda S., Dieci spunti su immigrazione, politica e diritto, in Questione Giustizia, n. 4/2001, p. 677, il quale sostiene che "l'applicazione della legge 40/98 ha privilegiato l'azione repressiva trascurando l'inserimento".

42. Art. 27 co. 1 lett. b) - D.P.R. n. 394/99.

43. Art. 27 comma 1 lett. a) co. 2 lettere b), c) e d) - D.P.R. n. 394/99. Vedi, Barberi A., La protezione sociale delle vittime di tratta attraverso l'esperienza dei progetti ex art. 18 DLGS. 286/1998, in Cittadini in crescita n. 1/2005, pp. 20-25; Carchedi F., Il traffico di minori a scopo di grave sfruttamento in Italia, caratteristiche del fenomeno e interventi di servizio sociale, in Cittadini in crescita n. 1/2005, pp. 31-37.

44. Anche se manca una formale denuncia da parte della persona straniera, quest'ultima potrà essere sentita a sommarie informazioni e deve, comunque, rimanere a disposizione per gli eventuali adempimenti giudiziari e investigativi. Vedi Petrini D., I risultati e i nodi problematici emersi dall'Osservatorio sull'applicazione dell'art. 18 del D. Lgs. n. 286 del 25/7/1998. Gli aspetti giuridici, in Stop tratta. Atti del convegno internazionale, op. cit., pp. 110-112; Direzione Nazionale Antimafia, Analisi dei procedimenti penali in materia di tratta di persone (sintesi), in Gli Stranieri, n. 3/2004, pp. 308 ss.

45. Intervento di T. Padovani al convegno internazionale, op. cit., pp. 53 ss.

46. Prima dell'entrata in vigore della legge n. 40/98 alle vittime di traffico era rilasciato un permesso per motivi di giustizia. La vittima poteva essere espulsa immediatamente o al massimo alla fine del processo.

47. Proposta della Commissione Europea del 2002 (in G.U.C.E. C 126 E del 28.5.2002) poi confluita nella Direttiva del Consiglio dell'Unione Europea 2004/81/CE (in G.U.C.E. L. 261 del 6.8.2004). Per un'analisi comparativa delle legislazioni di altri paesi, tra cui l'Albania, in materia di sfruttamento sessuale dei minori, vedi lo studio curato da Menichini I. e Moyersoen J. in Cittadini in crescita, n. 3-4/2001 pp. 147-201.

48. Scarpa S., op. cit., p. 46.

49. Lo sfruttamento non deve necessariamente essere inteso come sfruttamento sessuale. Sono ricompresi nell'ambito di applicazione dell'art. 18 anche i casi di sfruttamento sul lavoro, sfruttamento minorile. Sul tema, vedi Giammarinaro M.G., op. cit., pp. 44 ss.; Castelli V., ivi, pp. 80 ss.; Konrad H., Il miglior interesse del minore: la lotta al traffico dei minori, in Cittadini in crescita, n. 1/2005, pp. 5-9.

50. Art. 18 co. 4 e 5 T.U. n. 286/98. Per le problematiche relative alla legittimità della revoca disposta dalla Questura nei casi in cui la persona sia tornata a prostituirsi, in particolare sulla automaticità di tale disposizione, vedi Petrini D., op. cit., pp. 113-114; Giammarinaro M.G., Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale previsto dall'art. 18 del T.U. sull'immigrazione, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 4/1999, pp. 50-52; cfr. Consiglio di Stato, sez. IV sentenza n. 3716 del 10.6.2004 - rel. Inastasi; T.A.R. Emilia-Romagna sez. I sentenza n. 4155 del 9.12.2005 - rel. Testori.

51. Vedi, Barberi A., op. cit., pp. 25-30; Carchedi F., op. cit., pp. 37-46.

52. A livello normativo è molto importante il contributo offerto dalla legge n. 228/2003 recante misure contro la tratta, che recepisce le indicazioni contenute nel protocollo di Palermo (dicembre 2000) della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, configurando il traffico degli esseri umani come una specifica e autonoma ipotesi di reato e dal D.P.R. 237/2005, regolamento di attuazione dell'art. 13 della legge n. 228/2203 che ha previsto speciali programmi transitori di assistenza per le vittime del traffico di esseri umani. Vedi, Michelini G., I protocolli delle Nazioni Unite contro la tratta di persone e contro il traffico dei migranti: breve guida ragionata, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 1/2002, pp. 37-47; Brattoli B., Lotta alla tratta dei minori: dall'articolo 18 del testo unico sull'immigrazione alla nuova legge 228/2003, in Cittadini in crescita, n. 3/2003, pp. 1-9; Konrad H., op. cit., pp. 1-5. Giammarinaro M.G., Aspetti positivi e nodi critici della normativa contro la tratta di persone, in Questione Giustizia, n. 3/2005, pp. 456-47; Mascellini F., I programmi di assistenza per le vittime di tratta previsti dal DPR 19 settembre 2005, n. 237, in Gli Stranieri, n. 1/2006, pp. 15-22; Carazzone C., Indagine giuridica sulle problematiche legislative connesse ai fenomeni della migrazione clandestina di minori non accompagnati e della tratta di minori, rapporto finale del progetto per il "Rafforzamento delle politiche e delle azioni di lotta all'esclusione sociale minorile in Albania", V.I.S. (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) con il contributo del D.A.S. (Dipartimento per gli Affari Sociali) 2001.

53. Tale facoltà è prevista anche per i servizi sociali competenti e per le associazioni accreditate, ossia iscritte negli appositi registri di cui all'art. 27 del D.P.R. n. 394/99.

54. Art. 18 co. 6 T.U. n. 286/98. Sull'argomento, vedi Petrini D., La comunità protetta per i minori stranieri non accompagnati, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 4/2003, pp. 87-88; ---, op. cit., p. 115; Fachile S., Il permesso di soggiorno per motivi umanitari ex art. 18 co. 6 T.U. 286/98: un importante strumento di tutela per le persone straniere che scontano una pena, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 4/2005, pp. 66-79. Un'applicazione estensiva della norma è auspicata da Rossolini R., Minori immigrati in istituto penale: proposte educative ispirate al principio dell'ibridazione culturale, in Minori Giustizia, n. 3-4/2002, pp. 151-152.

55. L'art. 18 del codice penale classifica le pene principali in "pene detentive" e "pene pecuniarie", per cui devono intendersi come detentive tutte le pene che non sono pecuniarie.

56. Fachile S., op. cit., p. 74. Cfr., Campus A., op. cit., pp. 125 ss.; Bertozzi R., op. cit., pp. 145 ss.

57. Tribunale per i Minorenni di Trieste, Giudice per l'udienza preliminare, sentenza n. 197 del 20.9.2005 - est. Gaspari.

58. Art. 1 co. 2 D.P.C.M. n. 535/99 - Regolamento concernente i compiti del Comitato per i Minori Stranieri del 9.12.1999.

59. Campani G., Lapov Z., Carchedi F., (a cura di), op. cit., p. 23. Cfr., inoltre, Valeri M., Minori non accompagnati, in Gli Stranieri, n. 3/1998, pp. 2 ss.

60. Per una panoramica sul fenomeno dell'emigrazione minorile in Europa, vedi i risultati delle ricerche nei seguenti volumi: Campani G., Lapov Z., Carchedi F., op. cit., parte terza; Silva C., Campani G., Crescere errando. Minori immigrati non accompagnati, Franco Angeli Editore, Milano 2004; Smith T., Minori non accompagnati in Europa, in Cittadini in crescita n. 1/2004, pp. 30-43; Campani G., Salimbeni O., op. cit., capp. 3-7; Bertozzi R., op cit., cap. III; Silva C., Moyersoen J., Minori stranieri non accompagnati, in Rassegna bibliografica infanzia e adolescenza, n. 1/2006, p. 6.

61. Silva C., Campani G., op. cit., p. 23. Per le classificazioni, vedi Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali, Il rimpatrio volontario dei minori albanesi non accompagnati presenti in Italia: un'analisi psicologica delle condizioni di rimpatrio e di reinserimento, Presidenza del Consiglio, Dipartimento Affari Sociali, Roma 1999, pp. 18-19; ---, I centri di primo intervento ed i minori immigrati non accompagnati: da una cultura dell'emergenza a una cultura dell'adolescenza?, Presidenza del Consiglio, Dipartimento Affari Sociali, Roma 2000, pp. 9-11; Bertozzi R., op. cit., pp. 24-25.

62. Articolo così modificato dalla legge di ratifica n. 476/98 della Convenzione europea in tema di tema di adozione e di affidamento. Su questo tema, vedi Turri G.C., I bambini stranieri non accompagnati, in Minori Giustizia n. 3/1999, pp. 20-21.

63. Rilasciato ai sensi dell'art. 32 legge n. 184/83.

64. Vedi art. 19 co. 2 della direttiva del Consiglio Europeo 2003/9/CE del 27 Gennaio 2003, che chiede agli stati membri di "take measures to ensure the necessary representation of unaccompanied minors by legal guardianship or (...) by any other appropriate representation". Su questo tema vedi, inoltre, il rapporto "Children's Rights in the EU - A Call for Action" di Save the Chidren del settembre 2002 che richiede per tutti i minori "to be assisted by a guardian or adviser at all stages of the asylum process and in relation to durable solutions. Providing such guidance and representation is not always easy - for reasons of language or sheer numbers, for example - but is vital for the protection of children's rights". Cfr, la legge inglese "1993 Asylum and Immigration Appeals Act", che all'art. 3 co. 2 lett. b) stabilisce, per i minori non accompagnati richiedenti asilo, la necessità della presenza di "a person who for the time being takes responsibility for the child and is not an immigration officer, constable, prison officer or officer of the Secretary of State" in tutte le fasi della richiesta d'asilo; la stessa previsione è contenuta nella sezione 11, artt. 350 ss. delle "Immigration Rules" in vigore.

65. Art. 33 co. 4 legge n. 184/83.

66. Le due norme della legge n. 39/90 prevedevano il diritto allo studio e la segnalazione al Tribunale per i Minorenni dei minori stranieri che richiedevano lo status di rifugiati. Per la prima volta viene usata l'espressione "minore non accompagnato".

67. Per un'analisi più approfondita della legge, vedi, tra gli altri, Di Tora G., La politica dell'immigrazione dopo la legge 40/1998, in Affari Sociali Internazionali, n. 3/1999, pp. 51-56; Pittau F., Legge n. 40/1998: documenti del governo sulla presenza straniera irregolare e sulla programmazione dell'immigrazione, in Affari Sociali Internazionali, n. 2/1999, pp. 15-23; Pepino L., Immigrazione, politica, diritto (note a margine della legge n. 40/1998), in Questione Giustizia, n. 1/1999, pp. 1-18.

68. Art. 28 co. 3 T.U. n. 286/98.

69. Cfr., nell'ordinamento francese gli artt. L 511-4 e L 521-4 del Code de l'entrée et du séjour des étrangers et du droit d'asile, nell'ordinamento belga l'art. 118 dell'Arret royal dell'8.10.1981.

70. Vedi la pronuncia del Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta (decreto del 4.8.1998) che individua un'ipotesi di espulsione del minore nei casi di minore irregolarmente presente in Italia e affidato di fatto ad un parente (il fratello) anch'egli irregolare. Per un'interpretazione restrittiva delle ipotesi di espulsione di minore, vedi Miazzi L., I giudici minorili e la tutela dei minori stranieri nell'applicazione della legge n. 40/98, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 1/2001, p. 15.

71. Cassazione, sez. I, sentenza n. 9326 del 14 luglio 2000.

72. Art. 31 co. 4 e art. 13 co. 3 del T.U. n. 286/98. Il Tribunale di Caltanissetta, nell'ordinanza del 27.3.2003 - est. De Nicola, nega il nulla-osta all'espulsione, richiesto dal Questore ex art. 13 co. 3 T.U. n. 286/98, di un minorenne straniero comprendendo fra le situazioni che l'Autorità Giudiziaria considera rilevanti per tale diniego "la posizione processuale del (...) cittadino straniero imputato, e dunque la mera pendenza del procedimento penale iscritto a suo carico: configurandosi altrimenti una palese violazione del diritto di difesa costituzionalmente tutelato". Sul tema, vedi Miazzi L., Due questioni in materia di minori stranieri: l'omessa esibizione di documento identificativo e l'espulsione come sanzione sostitutiva, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n.1/2002 pp. 117-118; Turri G.C., Minori stranieri non accompagnati: dalla legge Turco-Napolitano alla Bossi-Fini, in Minori Giustizia n. 3-4/2002, pp. 60-61, Pratelli F., L'espulsione del minore extracomunitario in Italia. Aspetti giuridici e sociologici, cap. 2.

73. Diritto tutelato dall'art. 28 co. 3 T.U. n. 286/98.

74. Art. 31 co. 3 T.U. n. 286/98. Sull'argomento, vedi l'intervento di Miazzi L., I giudici minorili e la tutela dei minori stranieri nell'applicazione della legge n. 40/98, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 1/2001, pp. 12-15; Laera L., Tarzia G., Il diritto del bambino straniero che si trova in Italia ad avere con sé i suoi genitori, in Minori Giustizia n. 2/2003, pp. 153-156; Miazzi L., Superiore interesse del minore straniero e autorizzazione alla permanenza del familiare, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 4/2004, pp. 52-66. Cfr. ex multis, Corte d'appello di Bari - sez. minorenni, decreto del 31.12.2001 - rel. Mininni ha ritenuto che, pur non richiamando esigenze di salute riguardanti il minore, le ragioni esposte dal padre integrassero i gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico del minore. Su questa pronuncia vedi il commento di Tomaselli M.L., Il permesso di soggiorno per motivi attinenti allo sviluppo psicofisico di figli minori, in Gli Stranieri, n. 2/2002, pp. 105-109. Contra, Cassazione, sez. I sentenza n. 3991 del 19.3.2002, rel. Losavio che fa riferimento esclusivamente alla "sussistenza di circostanze contingenti ed eccezionali che non possono essere riconosciute in rapporto a situazioni con carattere di normalità e stabilità [...] escludendo le ordinarie esigenze di scolarizzazione del minore fino al completamento della istruzione obbligatoria"; nello stesso senso, Cassazione, sez. I sentenza n. 17194 del 14.11.2003, Cassazione, sez. I sentenza n. 396 dell'11.01.2006 nella quale viene chiarito che, "pur ammettendo che i 'gravi motivi' possano consistere anche in evenienze diverse da quelle 'terapeutiche' (...), esse debbono presentare pur sempre un carattere di obiettiva gravità ed eccezionalità" così da arginare la riscontrata "fenomenologia patologica nella prassi applicativa della norma in esame"; cfr. Long J., op. cit., in Minori Giustizia, n. 1/2006, pp. 254-259, Campanato G., op. cit., p. 40-41.

75. La giurisprudenza minorile offre un quadro fortemente contraddittorio. In questo senso, cfr. ex multis, Corte d'appello di Torino - sez. minorenni, decreto del 15.1.2002 - est. Grasso, che chiarisce come i gravi motivi non possano essere evocati per tutelare esigenze o evitare pregiudizi di lunga durata, ma "debbano essere letti ed interpretati relativamente e limitatamente ad un periodo di tempo determinato collegato a necessità contingenti"; Corte d'appello di Napoli, decreto del 9.2.2005 - est. Viciglione che, invece, fa riferimento alla considerazione del pregiudizio che nel caso concreto deriverebbe alla salute psicofisica dei minori, tenendo conto delle esigenze del minore considerate nella loro globalità; Contra Miazzi L., I diritti dello straniero minorenne. La tutela del diritto d'asilo. Gli interventi delle regioni in materia d'immigrazione, relazione tenuta al Convegno regionale di studi sulla condizione giuridica dei cittadini stranieri - Trieste 14.2.2004, pp. 10-11; Laera L., Tarzia G., op. cit., p. 154, secondo i quali "i gravi motivi, riguardando la fruizione di diritti fondamentali, non limitano la valutazione ad esigenza di carattere medico, ma la estendono [alle] esigenze primarie del minore"; Carbone E., Picardi A., Welfare del minore e flussi di ingresso: i diritti fondamentali del fanciullo tra "universalismo costituzionale" e "realismo politico", in Minori Giustizia, n. 1/2006, pp. 49 ss., sostengono che "qualunque lettura della norma che la costringa nei confini angusti dell'emergenza sanitaria, della grave patologia del minore - oltre che contraria al testo della disposizione - denunzia un ritardo nella considerazione dell'"interesse del fanciullo", rispetto all'evoluzione che il concetto ha guadagnato negli ultimi decenni"; Morozzo della Rocca P., La condizione giuridica del minore straniero: norme, giurisdizione e prassi amministrative, in Minori Giustizia, n. 3-4/2002, p. 38, secondo cui "l'autorizzazione al soggiorno dei familiari del minore presente in Italia non può essere piegata a strumento sistematico di elusione della disciplina dell'immigrazione. Pure è vero, però, che le gravi ragioni cui fa riferimento l'art. 31 co. 3 del T.U. n. 286/98 devono essere valutate con realismo e senza chiusure dal giudice di merito".

76. Il decreto emesso dal Tribunale dei Minorenni in ordine alla domanda di autorizzazione all'ingresso o alle temporanea permanenza sul territorio del genitore ex art. 31 co. 3 D. Lgs. n. 286/98 può essere impugnato dinnanzi alla Corte d'Appello che decide in camera di consiglio ai sensi degli artt. 739-742 bis del codice di procedura civile. La sentenza n. 396/06 della prima sezione della Corte di Cassazione, ponendosi in contrasto con la precedente sentenza n. 4798/05 della stessa prima sezione, ha riconosciuto l'ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, avverso il decreto del giudice d'appello, ravvisandone i requisiti della decisorietà e della definitività. L'ammissibilità del ricorso straordinario per Cassazione è stata confermata dalla recente pronuncia delle sezioni unite civili della Corte di Cassazione, n. 22216 del 16.10.2006. Per un dettagliato commento alla pronuncia, vedi Minisola A., Un passo avanti della Cassazione per il riconoscimento del diritto all'unità familiare del minore straniero, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 2/2006, pp. 69-72.

77. Art. 11 D.P.R. 334/2004. Per una disapplicazione di tale norma regolamentare, vedi Tribunale di Lucca, decreto n. 2047 del 5.12.2005 - est. Lucente.

78. Tribunale per i minorenni di Firenze, decreto del 5/20.3.2002 - rel. Romagnoli. Nello stesso senso, vedi ex multis anche il decreto dell'8.10.2002 dello stesso Tribunale - rel. Trovato; Tribunale per i minorenni di Milano, decreto del 25.10.2004 - est. Laera, decreto del 7.3.2005 - est. Laera, decreto del 20.3.2006 - rel. Calzolari; decreto del 12.05.2006 - est. Zamagni e decreto del 23.05.2006 - rel. Ghezzi; Corte d'Appello di Perugia, sez. Minorenni, decreto del 22.11.2005 - rel. Cossu. Sul tema, vedi Laera L., Tarzia G., op. cit., p. 155; contra Ministero dell'Interno - Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari, risposta ad interrogazione parlamentare n. 4-15792 del 16.11.2005, on. A. Rusconi, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, n. 1/2006, pp. 230-232.

79. D. Lgs. n. 5/2007 - Attuazione della Direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare, pubblicato in G.U. n. 25 del 31.01.2007. Il decreto entrerà in vigore il prossimo 15 febbraio.

80. La direttiva europea 2003/86/CE del Consiglio del 22.9.2003 era stata pubblicata in G.U.C.E. L251/12 il 3.10.2003 e doveva essere recepita dagli stati membri entro due anni. Per il testo e l'analisi della direttiva, vedi Favilli C., Scheda sulla direttiva europea 2003/86/CE, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 3/2003, pp. 191-204.

81. Art. 2 lett. e) co. 6 D. Lgs. n. 5/07.

82. Art. 35 co. 3 lett. b) T.U. n. 286/98.

83. Art. 38 co. 1 T.U. n. 286/98. Sul diritto alla salute ed allo studio, vedi Miazzi L., La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia, in Minori Giustizia n. 3/1999, pp. 115-117; Di Bari C., op. cit., pp. 63 ss.

84. Vedi cap. 2.

85. Art. 33 co. 1 T.U. n. 286/98.

86. "Il governo è altresì delegato ad emanare, entro il termine di due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti le disposizioni correttive che si dimostrino necessarie per realizzare pienamente i principi della presente legge o per assicurarne la migliore attuazione. Con le medesime modalità saranno inoltre armonizzate con le disposizioni di legge riguardanti la condizione giuridica dello straniero". Sul tema, vedi Bonetti P., Anomalie costituzionali delle deleghe legislative e dei decreti legislativi previsti dalla legge sull'immigrazione straniera, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 2-3/1999, pp. 53 ss.

87. Art. 33 co. 2 lettera b) T.U. n. 286/98 modificato dal D. Lgs.vo n. 113/99.

88. Art. 33 co. 2-bis T.U. n. 286/98. La disciplina attuale riserva l'intervento dell'autorità giudiziaria alla sola concessione di un nullaosta al rimpatrio per assenza di procedimenti giurisdizionali, intendendosi per tali soltanto i procedimenti in materia penale. Critiche al ruolo riservato al Tribunale per i Minorenni sono state mosse, fra gli altri, da Moyerson J. Tarzia G., L'evoluzione della normativa sui minori stranieri non accompagnati, in Cittadini in crescita, n. 3-4/2002, pp. 15 ss.; Miazzi L., Il rimpatrio assistito del minore straniero: ancora un caso di diritto speciale?, in Diritto Cittadinanza e Immigrazione, n. 2/2000, pp. 41 ss.

89. Sui dubbi di costituzionalità del D. Lgs.vo n. 113/99, vedi Turri G.C., I bambini stranieri non accompagnati, in Minori Giustizia n. 3/1999, pp. 18 ss.; Miazzi L., Il rimpatrio assistito del minore straniero: ancora un caso di diritto speciale?, in Diritto Cittadinanza e Immigrazione, n. 2/2000, pp. 36 ss.

90. Moyerson J., Tarzia G., op. cit., p. 15.

91. Bonetti P., op. cit., p. 58.

92. Miazzi L., Il rimpatrio assistito del minore straniero: ancora un caso di diritto speciale?, in Diritto Cittadinanza e Immigrazione, n. 2/2000, p. 36.

93. Turri G.C., I bambini stranieri non accompagnati, in Minori Giustizia n. 3/1999, p. 19.

94. Per un'analisi più dettagliata, vedi capp. 2 e 3.

95. Articolo 28 D.P.R. 394/99.

96. Dal testo della Circolare. Dall'analisi del modello milanese d'accoglienza risulta che dal 2004 il permesso di soggiorno per minore età non comporta più il divieto di svolgere attività lavorativa, in Bertozzi R., op. cit., p. 228.

97. Miazzi L., I giudici minorili e la tutela dei minori stranieri nell'applicazione della legge n. 40/98, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 1/2001, p. 18.

98. Per riflessioni e critiche sulla illegittimità dei testi delle circolari, vedi Console M., Questioni connesse al permesso di soggiorno per "minore età": evoluzione normativa e giurisprudenziale, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 1/2002, pp. 109-110; E. Rozzi intervento al seminario Focus sui minori migranti non accompagnati: in cerca di risposte efficaci per un aspetto problematico dei processi migratori, p. 4; Turri G.C., Minori stranieri non accompagnati: dalla legge Turco-Napolitano alla Bossi-Fini, in Minori Giustizia n. 3-4/2002, pp. 63-68; Bertozzi R., op. cit., pp. 90-91. Tra le pronunce, vedi Tribunale di Torino - sez. VII, ordinanza del 21.11.2001 est. Mughetti che rileva come "le indicazioni contenute nella circolare [del 13.11.2000], pur rappresentando l'espressione di indirizzi organizzativi della P.A., non hanno valore normativo e vincolante per i soggetti estranei all'amministrazione"; T.A.R. Toscana - sez. I, sentenza n. 880/2002 - rel. Nicolosi ribadisce che "una circolare di natura interpretativa [si riferisce a quella del 13.11.2000] non è vincolante per il giudice, al quale è demandato di interpretare ed applicare la legge".

99. Il ricongiungimento familiare, disciplinato dall'art. 29 co. 1 del T.U. n. 286/98, prevede che lo straniero possa chiedere il ricongiungimento solo con il coniuge, i figli minori, i figli maggiorenni solo se invalidi e con i genitori in casi specifici. Nessuna previsione è rivolta ai fratelli e alle sorelle minori dello straniero con conseguente esclusione di tale possibilità. Sull'argomento, vedi Miazzi L., Minori non accompagnati nella legge 189/2002: un passo avanti e mezzo indietro sulla strada dell'integrazione, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 3/2002 p. 69; Pepino L., La legge Bossi-Fini. Appunti su immigrazione e democrazia, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 3/2002, p. 10; Pittau F., Politica europea in materia di immigrazione, integrazione e sviluppo. Audizione pubblica del Parlamento europeo del 14-15 marzo 2005, in Affari Sociali Internazionali, n. 4/2005, p. 106; Caputo A., La condizione giuridica dei migranti dopo la legge Bossi-Fini, in Questione Giustizia, n. 5/2002 p. 973; Zazzeri E., I nuovi utenti: i minori stranieri non accompagnati, in Minori Giustizia, n. 4/2005 suppl., pp. 54-56; cfr. la disposizione dell'art. 4 della Direttiva del Consiglio dell'Unione Europea relativa al diritto al ricongiungimento familiare del 22.9.2003.

100. Art. 32 co. 1-bis ss. del T.U. n. 286/98, come modificato dall'art. 25 della legge n. 189/02. Sull'argomento vedi, Miazzi L., Minori non accompagnati nella legge 189/2002: un passo avanti e mezzo indietro sulla strada dell'integrazione, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 3/2002, pp. 74-76; ---, I minori stranieri non accompagnati, lavoratori, affidati ..., in Minori Giustizia n. 3-4/2002, pp. 82-84.

101. Miazzi L., I diritti dello straniero minorenne. La tutela del diritto d'asilo. Gli interventi delle regioni in materia d'immigrazione, relazione tenuta al Convegno regionale di studi sulla condizione giuridica dei cittadini stranieri - Trieste 14 febbraio 2004, p. 4. Vedi anche Miazzi L., I minori stranieri non accompagnati, lavoratori, affidati ..., in Minori Giustizia n. 3-4/2002, pp. 79-80.

102. G. Petti, op. cit., pp. 47-48.

103. Numerosi e ripetuti sono stati gli interventi, dottrinari e non, sulla problematica relativa al probabile abbassamento dell'età dei flussi migratori minorili, vedi, fra gli altri, l'intervento di E. Rozzi al seminario "Focus sui minori migranti non accompagnati: in cerca di risposte efficaci per un aspetto problematico dei processi migratori", op. cit.; Silva C., Campani G., op. cit., p. 53; Campus A., op. cit., pp. 126-129; Bertozzi R., op. cit., p. 133; Sbraccia A., Scivoletto C., op. cit., p. 49.

104. T.A.R. Piemonte - sez. II, sentenza n. 2259/01 rel. Corciulo. Vedi sulla pronuncia, Console M., Questioni connesse al permesso di soggiorno per "minore età": evoluzione normativa e giurisprudenziale, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 1/2002, pp. 112-114.

105. Vedi la pronuncia della Corte d'appello di Bari - sez. minorenni, decreto del 23.11.2001; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sentenza n. 247/2001 - rel. Settesoldi.

106. T.A.R. Toscana - sez. I, sentenza n. 880/2002 - rel. Nicolosi.

107. T.A.R. Umbria, sentenza del 25.9.2002 - rel. Cardoni.

108. La sentenza della Corte Costituzionale ha rigettato la questione di legittimità costituzionale che le veniva sottoposta, indicando però quale fosse l'interpretazione della legge conforme alla Costituzione. Questo tipo di pronuncia non ha effetto di legge, previsto, invece, per le sentenze di accoglimento.

109. La tutela si apre con la morte o l'assenza di entrambi i genitori o l'impossibilità di questi di esercitare la potestà quindi in via tendenzialmente definitiva, l'affidamento può essere disposto allorché la famiglia di origine sia temporaneamente inidonea a offrire al minore un adeguato ambiente familiare.

110. Vedi, T.A.R. Piemonte, sez. II sentenza n. 3860 del 29.12.2004 - est. Leggio.

111. In tal senso si esprimeva anche la nota del Comitato per i minori stranieri del 14.10.2002 avente come oggetto: "Art. 25 L. 30.7.2002 n. 189: Modifica alla normativa in materia di immigrazione e asilo".

112. Sulla pronuncia, vedi gli interventi di Miazzi L., La Corte Costituzionale rafforza i diritti dei minori stranieri: due pronunce sul ricorso contro il provvedimento di rimpatrio del minore non accompagnato e sul permesso di soggiorno ai minori sottoposti a tutela, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 3/2003, pp. 63-79; ---, I diritti dello straniero minorenne. La tutela del diritto d'asilo. Gli interventi delle regioni in materia d'immigrazione, relazione tenuta al Convegno regionale di studi sulla condizione giuridica dei cittadini stranieri - Trieste 14 febbraio 2004, pp. 8-11; Tomaselli M.L., Il trattamento del minore straniero sottoposto a tutela alla luce della sentenza n. 198/2003 della Corte Costituzionale, in Gli Stranieri, n. 2/2003, pp. 223-225; in linea con la pronuncia costituzionale, vedi le pronunce del Tribunale Regionale di giustizia amministrativa Trentino-Alto Adige, sentenza n. 131 del 3.5.2005 - rel. Mosconi e n. 114 del 14.4.2006 - rel. Iuni; TAR Lombardia, sez. di Brescia, sentenza n 646 del 23.6.2005 - rel. Mielli; T.A.R. Piemonte, sez. II sentenza n. 2427 del 4.7.2005 - rel. Plaisant; contra T.A.R. Piemonte, sez. II sentenza n. 2269 del 18.6.2005 - rel. Loria; per un confronto sulla tematica con l'ordinamento francese, vedi Perin G., Il trattamento giuridico dei minori stranieri non accompagnati al compimento della maggiore età: uno sguardo comparato all'esperienza francese, in Minori Giustizia, n. 1/2006, pp. 69-82.

113. Ministero dell'Interno - circolare del 23.10.2003 "Conversione dei permessi di soggiorno per minore età".

114. Vedi le pronunce T.A.R. Toscana, sez. I sentenza n. 2300 del 9.6.2003 - est. Vacirca; T.A.R. Toscana, sez. I sentenza n. 2599 del 1.7.2003 - est. Vacirca; T.A.R. Emilia-Romagna, sez. I sentenza n. 1104 del 20.8.2003 con il commento di Tomaselli M.L., Attuali orientamenti dei T.A.R. sulla convertibilità del permesso di soggiorno per minore età, in Gli Stranieri, n.5/2003, pp. 448 ss. Secondo la posizione ministeriale, l'interpretazione dei requisiti previsti dai commi 1-bis e 1-ter come alternativi al co. 1, implica un automatismo del rilascio del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età poiché tutti i minori presenti devono essere sottoposti a tutela o affidati.

115. Contra T.A.R. Veneto, sentenza del 26.5.2005 che esclude l'ipotesi di affidamento a comunità di tipo familiare o a struttura tutelare. Sulle pronuncia, vedi il commento di Campanato G., op. cit., pp. 36-38.

116. Consiglio di Stato, sez. VI sentenza n. 1681 del 12.04.2005 - rel. Maruotti; in tal senso, vedi anche T.A.R. Veneto, sez. III sentenza n. 2166 del 1.4.2005 - rel. Savoia; T.A.R. Toscana, sez. I sentenza n. 2180 del 20.4/16.5/2005 - rel. Vacirca; T.A.R. Veneto, sentenza n. 118 del 24.1.2006 - rel. Gabbricci. Contra, Valeri M., intervista realizzata presso il Comitato per i minori stranieri il 20.2.2006, secondo cui tale soluzione "è una sanatoria aperta, è assurdo (...) tutti i minori hanno la tutela, ci saranno un paio di tribunali che non aprono la tutela".