ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo IV
L'esperienza pratica: il centro di Ponte Galeria e di via Corelli

Ornella Di Mauro, 2002

4.1. I centri di seconda generazione

Con l'emanazione della circolare ministeriale del 30 agosto 2000, contenente disposizioni dettagliate sia in materia di trattamento dello straniero, sia in materia di struttura e organizzazione, i centri di permanenza temporanea e assistenza hanno cominciato a darsi un nuovo volto.

Le generiche disposizioni del T.U. e del regolamento di attuazione avevano generato una forte disuguaglianza di trattamento dello straniero fra i vari centri, con la conseguente emanazione di circolari interne alle diverse prefetture contenenti risoluzioni ai problemi di gestione che di volta in volta venivano riscontrati, ma soprattutto avevano permesso che questi centri trovassero collocazione in edifici dalle evidenti carenze strutturali.

Tali carenti condizioni sono state denunciate all'inizio del 2000 in un comunicato stampa del Sindacato Italiano Unitario Lavoratori di Polizia (SIULP) di Torino, città nella quale fin dai primi mesi del 1999 è stato allestito un centro di permanenza temporanea in Corso Brunelleschi. Nel comunicato si legge:

La Segreteria Regionale del Siulp Piemonte e quella Provinciale del Siulp Torino chiedono la chiusura dei "campi di detenzione temporanea" per cittadini stranieri.
Tali campi detentivi hanno dimostrato nel corso di questi mesi, come, per carenze strutturali ed evidente irrispettosità dei più semplici diritti umani, siano inopportuni. Sia per chi vi è ospitato sia per chi su questi deve vigilare. Inoltre l'inefficacia degli stessi si è dimostrata dalle percentuali di rientro in Italia delle persone rimpatriate.
Le forze di polizia non accettano di essere indicate quali responsabili di situazioni indegne per un Paese civile, capri espiatori di una situazione ingestibile consentendo ad alcune forze politiche di esimersi dalle proprie responsabilità e scaricare su poliziotti e carabinieri scelte fallimentari di politiche della sicurezza. Quando è proprio lo Stato che istituisce tali strutture, distogliendo i poliziotti da attività di contrasto della reale criminalità e relegandone la figura professionale qualificata a quella di meri custodi.
L'enorme quantità di denaro utilizzata per l'istituzione dei campi sarebbe stata ben più utile se utilizzata per aiutare i corpi di polizia nel fornirsi di mezzi e strutture adeguate nella lotta al grande crimine e le organizzazioni che gestiscono i traffici di persone che emigrano clandestinamente.
Se il fenomeno immigratorio viene distinto da quello criminale, si può giungere ad una normativa che tenendo conto delle condizioni sociali non si esime da soluzioni concrete e di facile attuazione, cosa che i "campi" hanno dimostrato di non essere (1).

Il centro di permanenza di Trapani, sorto in un'ala dell'ospizio "Serraino Vulpitta", alloggiava gli stranieri a gruppi di 12 in stanzoni di m 5 x 6, dotati di letti a castello e bagno esterno. Per carenze organizzative, in questo stesso centro per tutto il 1999, si era soliti timbrare gli stranieri sul polso, così da poterli riconoscere. Il problema dell'identificazione veniva risolto nel centro di Pian del Lago (Caltanissetta) facendo indossare agli ospiti una collana di cordoncino alla cui estremità, su un cartoncino plastificato, era scritto con pennarello rosso e indelebile un numero, corrispondente al nome e al fascicolo della persona.

Una dettagliata descrizione delle anomalie organizzative del centro milanese di via Corelli nel corso del 1999 è riportata nel Dossier del Centro delle Culture, riportato in appendice.

Il Ministero dell'Interno, invitando alla compilazione della direttiva del 30 agosto numerose associazioni, molte delle quali contrarie all'esistenza stessa dei centri (2), ha voluto 'riformare' i centri di permanenza tenendo conto delle esperienze svolte (3) e delle numerose polemiche e denunce che avevano investito il loro funzionamento mostrando così di voler dar vita a una vera e propria seconda generazione di centri di permanenza.

I centri, istituiti all'indomani della legge '40, adottando edifici preesistenti o ricorrendo a strutture mobili quali container, sono stati così via via ristrutturati, riallestiti e adeguati alle nuove funzioni individuate con la circolare (4).

Nell'agosto del 2000 è stato ristrutturato il centro di Caltanissetta, a settembre, sempre del 2000, il centro di Trapani ha chiuso per ristrutturazione. Si noti che questo centro era già stato chiuso a ottobre del 1999 per ristrutturazione, riaperto a novembre e richiuso nuovamente a seguito del rogo del dicembre del 1999. L'ultima ristrutturazione del Vulpitta risale all'aprile 2001, a seguito della quale il piano terra dell'edificio è stato adibito a centro di smistamento. Oggi è previsto che questo si trasformi totalmente in un centro di smistamento e che il centro di permanenza venga costruito ex novo in un sito, ancora da inviduare all'interno dell'ex aeroporto Milo.

Il Centro di Trieste, dislocato all'interno dell'area doganale del porto, è stato chiuso a causa della mancanza di adeguate strutture igenico-sanitarie riscontrata nel monitoraggio dei centri di permanenza temporanea e assitenza ordinato dal Ministro Bianco.

In Puglia è stato chiuso il centro la Badessa sito in località Squinzano (Lecce), ed è stato allestito un nuovo centro, in località Restinico (Lecce) nell'area dell'ex Caserma del Battaglione S.Marco. Il Restinico pur avendo aperto il 13 maggio 2000, è un centro di "seconda generazione" la cui gestione è stata affidata alla Comunità Emmanuel di Lecce, con la collaborazione della Croce Rossa per quanto riguarda gli aspetti sanitari. L'altro centro pugliese, il Regina Pacis, allestito in un'area del centro di prima accoglienza omonimo, è stato riconosciuto operativo il 12 febbraio 2001.

Sono stati chiusi il centro di Termini Imerese (Palermo) e quello di Fontanarossa presso aeroporto di Catania che versavano in pessime condizioni strutturali.

Sono stati infine previsti lavori di ristrutturazione per il centro milanese di via Corelli, che ha chiuso a marzo del 2000 e riaperto a ottobre dello stesso anno, e per quello romano di Ponte Galeria.

Per quanto non ne venga fatta menzione nella circolare ministeriale, nel corso del 2001 sono stati allestiti nuovi centri di smistamento a Otranto, Taranto e Trapani dove il piano terra dell'ex ospizio "Serraino Vulpitta" è stato interamente destinato a tale funzione. È inoltre di imminente apertura un nuovo centro di smistamento a Mazara del Vallo (Trapani).

I centri di smistamento sono utilizzati per le prime operazioni di identificazione degli stranieri appena entrati in Italia e per il successivo smistamento, in caso di respingimento, presso il centro di permanenza temporanea e assistenza più vicino (5).

Non essendo riconosciuti come centri di permanenza temporanea, i centri di smistamento non sono soggetti né alle disposizioni contenute nella Circolare del Ministero dell'Interno, né a quelle previste dal legislatore del '98: tali centri hanno trovato la loro legittimazione inizialmente nella prassi e in seguito nel regolamento di attuazione del '99. Questi centri sono infatti previsti dall'art. 23 del regolamento di attuazione che li descrive come centri in cui le "attività di accoglienza, assistenza e quelle svolte per le esigenze igienico-sanitarie, connesse al soccorso dello straniero, possono essere effettuate per il tempo strettamente necessario all'avvio dello stesso ai centri di permanenza o all'adozione dei provvedimenti occorrenti per l'erogazione delle specifiche forme di assistenza di competenza dello Stato". In realtà la struttura di accoglienza e soccorso di Lampedusa, come le zone di transito aeroportuale istituite in diverse regioni o come la sezione transiti del centro di permanenza trapanese, costituisce a tutti gli effetti un vero e proprio centro di permanenza, dove il transito degli immigrati che vi sono rinchiusi si protrae spesso anche oltre i 10 giorni. Oltre al tempo necessario per operare una prima identificazione dello straniero, nel caso in cui questi debba essere allontanato dal territorio italiano e vi siano alcuni degli impedimenti, previsti per legge, all'immediata esecuzione dell'accompagnamento alla frontiera, possono occorrere altri giorni perché questi venga condotto in un centro di permanenza temporanea. L'autorità di polizia dovrà infatti adoperarsi per trovare un centro avente la capienza per accogliere gli stranieri da allontanare e organizzare il trasferimento presso questa struttura.

Spesso poi le zone aeroportuali funzionano come un ulteriore proseguo del centro di permanenza e a volte, nonostante sia tutto pronto, gli imprevisti e le attese sono lunghe. Si noti inoltre che le zone di transito degli aeroporti sono zone militari di confine e non sono accessibili da parte di associazioni o di privati cittadini.

Oggi è prevista la creazione di 3 nuovi centri di permanenza da collocarsi a Bologna, Bari e Trapani (a sostituzione del Vulpitta) (6).

Il centro di Bologna, in particolar modo, ha suscitato notevoli interessi in quanto rappresenta un progetto pilota di centro di seconda generazione, a cui è previsto che si ispirino altri due centri da ubicare sempre in Emilia Romagna, uno a Modena e l'altro a Rimini.

In questa regione, estranea fino ad ora a queste strutture, si è creato un forte movimento d'opinione contro la realizzazione di questo progetto. L'Associazione Ya basta, il Bologna Social forum, i rappresentanti bolognesi dell'Asgi, numerosi centri sociali emiliani, il partito umanista agli inizi del 2001, quando si è cominciato a materializzare questo progetto sono scesi in piazza molte volte coinvolgendo gran parte della popolazione bolognese per lo più ignara dell'esistenza di tali strutture. Accanto alle associazioni hanno manifestato persone comuni, alcune delle quali per niente coinvolte nell'associazionismo in favore degli immigrati, spinte come spesso capita nell'Emilia da grande senso civico che li rende curiosi, capaci di informarsi e di schierarsi, altre spinte dal desiderio che un tal centro non venisse costruito proprio nella loro città, timorosi che il mancato allontanamento dello straniero, al termine del trattenimento, avrebbe aumentato il numero di immigrati disperati nella loro città.

La struttura bolognose è stata prevista e individuata in periferia, nel quartiere S. Vitale in via Mattei n. 60, al posto dell'ex caserma Chiarini. Alla gente del quartiere, per premiare la loro responsabilità civica, sono state in cambio promesse le strutture sociali e sportive che da tempo aspettavano.

Anche se la costruzione di un centro di permanenza è un opera dello Stato non soggetta a concessione edilizia, è stato richiesto il rilascio di un parere di conformità urbanistica da parte delle Regione entro il 15 marzo 2001. Parere favorevole della Commissione Edilizia è stato espresso sugli aspetti architettonici degli interventi previsti nei 5000 mq coperti, ma non sugli strumenti e sulle strutture che verranno realizzati per i controlli e la sicurezza. Il progetto e i relativi elaborati, che sono stati presentati nella Commissione comunale Urbanistica e Assetto del Territorio l'11 febbraio 2001, hanno riguardato solo il corpo centrale della struttura. Risulta pertanto impossibile comprendere da queste autorizzazioni come sarà organizzata la vita e la gestione all'interno del centro di permanenza temporanea di via Mattei. Il 15 marzo 2001 si è svolta la gara d'appalto a "licitazione privata al massimo ribasso con anomalia". Il costo dei lavori per la trasformazione della caserma in centro di permanenza è stato previsto dalla ditta appaltatrice, la COGE di Parma, in 8 miliardi e mezzo di lire e i lavori sono iniziati a settembre 2001.

Il "recupero funzionale", illustrato sommariamente nella delibera approvata dal Consiglio Comunale in occasione della gara, prevede la realizzazione di opere di ristrutturazione edilizia per consentire l'adattamento degli edifici esistenti alle nuove destinazioni d'uso che comportano la presenza di "alloggi controllati per gli stranieri ospitati nel complesso, locali di servizio per l'assistenza sanitaria e legale, e alloggiamenti e uffici per il personale di servizio".

All'apertura del cantiere il progetto è stato secretato: la prefettura bolognese, con una decisione che ha spiazzato molti, ha deciso su indicazione del Ministero dell'Interno di "secretare" il progetto impedendo, "per ragioni di sicurezza", di fornire indicazioni sul progetto, sullo stato delle attività e sulle condizioni di lavoro all'interno della caserma Chiarini (7).

Allo stato attuale sussistono pertanto limitazioni all'accesso alla struttura derivanti dalla vigente normativa in merito alle opere destinate ad attività che richiedono particolari misure di sicurezza (art. 33 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e art. 3 Decreto ministeriale 10 maggio 1944, n. 415 come successivamente modificato e integrato).

Quello che si conosce della struttura del centro sono solo alcune anticipazioni rilasciate dal consigliere comunale Valerio Monteventi, esponente del partito di rinfondazione comunista. Secondo il Consigliere il piano di ristrutturazione prevede la creazione di una struttura di almeno 170 posti con stanze da 6 letti ciascuna, al cui interno "non ci sarà molto altro spazio se non quello per rimanere sdraiati sulle brande". Le stanze avranno come unico punto luce naturale la porta di ingresso comportando così la necessità di far ricorso continuamente all'illuminazione artificiale. Ogni stanza sarà collegata con un cortile di dimensioni simili a quelle della camera, circondato lungo il perimetro da una rete metallica alta circa 3 metri e mezzo. Gli ospiti trascorreranno la stragrande maggioranza delle ore del giorno all'interno di questo spazio. Dato, però, che i cortili non sono coperti, nelle giornate piovose o fredde (a Bologna buona parte dell'anno) dovranno stare dentro la stanza.

Tutto intorno al fabbricato, dove sono alloggiati gli immigrati, correrà un percorso protetto con una cancellata continua alta circa 4 metri e mezzo e con la punta delle inferriate ripiegate alla loro estremità verso l'interno per sconsigliare eventuali propositi di fuga.

Da questo spazio, che Monteventi chiama 'recinto', gli immigrati potranno uscire due volte al giorno per essere accompagnati, secondo turni, da agenti di polizia alla mensa collettiva che si troverà in un corpo esterno al fabbricato centrale. Anche eventuali attività ricreative (che dovrebbero trovare "ampio spazio" nell'area di 15 mila mq al di là della cancellata) si limiterebbero in realtà all'utilizzo di un campo da calcetto in cemento (e non quindi i due campi da calcio in erba descritti nel corso della commissione consiliare), in cui a turno, potrebbero accedere non più di 10/12 persone.

Attorno a tutto il complesso, ci sarà il muro di cinta esterno, contornato agli angoli da quattro "torri faro" che potranno raggiungere l'altezza di 15/20 metri.

Secondo Monteventi infine i parametri igienico-ambientali non saranno consoni a fabbricati che hanno lo scopo di "ospitare" delle persone, ma assomigliano piuttosto a quelli previsti per le carceri. "Il problema è proprio lì - spiega Valerio Monteventi - per essere considerata vivibile una struttura residenziale pubblica ha bisogno di una particolare metratura in relazione alle persone che dovranno risiedervi". Inutile dire che l'edificio che sta sorgendo nell'area della ex caserma Chiarini non rispetta affatto quei parametri, mentre sarebbe perfettamente accettabile come prigione. Inoltre, secondo le norme per la sicurezza sul lavoro, ogni volta che si apre un cantiere la ditta incaricata dei lavori deve fare denuncia formale alla Asl locale. L'unica eccezione è per le "strutture di sicurezza" quali caserme, basi Nato e, ovviamente, carceri. I lavori di via Mattei non sono stati registrati presso gli uffici sanitari competenti. Insomma conclude Monteventi gli stessi amministratori che da un anno non fanno che ripetere che il centro di via Mattei "non sarà una galera" poi, a riflettori spenti, applicano alla costruzione del centro norme che riguardano le strutture detentive.

D'altro canto il centro bolognese viene presentato come un centro modello di seconda generazione. È stato fin dall'inizio il Prefetto di Bologna, Enzo Iovino, ad affermare che il centro bolognese "sarà diverso, una struttura aperta al controllo democratico", dove "allorquando saranno completati anche i relativi allestimenti e prima che il centro diventi operativo, sarà intenzione del prefetto richiedere al Ministero dell'Interno di poter concordare una regolamentazione delle modalità d'accesso allo stesso da parte dei rappresentanti degli enti territoriali, onde consentire di constatare tutti gli sforzi compiuti al fine di garantire il rispetto dell'incolumità, dei diritti civili, religiosi e sociali delle persone che verranno ivi ospitate, secondo le normative vigenti".

La segretazione dei lavori è sicuramente un elemento non lineare a queste buone intenzioni e richiama alla mente una vicenda quanto mai sintomatica della strana natura di questi centri. Proprio nel 2000, nell'anno in cui tanta attenzione è stata dedicata a quella che doveva essere la strada per l'apertura di centri di seconda generazione, l'Italia, ricevuta nei propri centri la visita del Comitato per la prevenzione della tortura, non ha autorizzato la pubblicazione e divulgazione del rapporto di detto Comitato. Il Comitato si occupa di tutti i luoghi in cui si verifica la restrizione della libertà personale. Con la sentenza della Corte europea del 92 (8) tra tali luoghi rientrano a tutti gli effetti anche i centri di permanenza temporanea e assistenza poiché, come affermato dalla stessa Corte, "ivi la libertà personale viene limitata per più di 72 ore".

Il dottor Mauro Palma, rappresentante italiano del Comitato, durante il suo intervento al Convegno "Immigrazione: centri detentivi (cpt) e attuali tendenze normative" tenutosi a Padova il 9 Febbraio 2002, ha elencato gli aspetti analizzati dal rapporto sui centri di permanenza italiani: il Comitato si è incaricato di controllare i registri di ogni centro, stilare statistiche sulla durata e sulla reiterazione della misura, di verificare la reale possibilità di richiedere asilo o lo status di rifugiato per l'ospite del centro, di verificare le condizioni di permanenza, l'idoneità delle strutture, l'uso e l'eventuale abuso di farmaci all'interno delle diverse strutture (9). A causa della mancanza dell'autorizzazione alla pubblicazione e alla divulgazione del rapporto, il rappresentante italiano del Comitato non ha potuto anticipare niente sul contenuto del rapporto. Un altro elemento di segretezza, voluto ancora una volta dagli organi di governo, viene quindi a caratterizzare queste particolari strutture.

4.2. Due centri a confronto

Quanto segue è il resoconto delle visite presso i centri di permanenza di Milano e Roma, fatte rispettivamente a novembre 2001 e gennaio 2002. In entrambi ho avuto la possibilità di parlare con i direttori del centro, il personale medico e, nel centro di Roma, con il responsabile di turno dell'ufficio immigrazione della questura.

Mi sono avvicinata a queste strutture con l'intento di verificare il loro adeguamento alla circolare ministeriale del 30 agosto e con l'obiettivo di analizzare le loro caratteristiche in riferimento a quelle di un istituto di detenzione.

Ho avuto modo di trattenermi nel centro di Ponte Galeria a Roma per otto ore, mentre in quello milanese la visita è terminata dopo tre ore di colloquio. Poiché numerosissime sono le similitudini riscontrate nel funzionamento dei due centri, cercherò di raccontare in un unico resoconto quanto mi è stato riferito in entrambe le esperienze. Laddove un particolare aspetto sarà riferito unicamente al centro romano non dovrà intendersi come una sua caratteristica peculiare non riscontrabile anche nel centro milanese, ma soltanto come una specificazione colta grazie a una visita maggiormente approfondita.

Seguiranno infine le mie osservazioni scaturite anche dalla corrispondenza tenuta in questi mesi via e-mail con alcuni rappresentati dell'Asgi, dell'associazione Centro delle Culture, del Bologna Social forum e dell'Associazione migranti.

Non si pretende in questa sede di delineare un quadro esauriente del funzionamento e della natura dei centri di permanenza vistitati. Le troppe resistenze incontrate (è stato impossibile effettuare una seconda visita nei centri e parlare direttamente con gli immigrati ivi trattenuti), le numerose domande a cui è stato risposto "questo non posso dirglielo", i luoghi rimasti celati ai miei occhi e l'impossibilità di colloquiare con gli addetti al servizio di informazione giuridica e interpretariato all'interno dei centri, rendono parziale il quadro che seguirà. Ove possibile ho cercato di ovviare a queste carenze con informazioni derivanti da altre fonti indirette, ovvero da persone che come me sono entrate nei centri, ma con più abilità, sono riuscite a carpire maggiori notizie durente le loro visite.

4.2.1. La struttura e il personale

Il centro di permanenza temporanea milanese è collocato in via Corelli n. 28, quello romano in località Ponte Galeria, nelle vicinanze dell'aeroporto di Fiumicino. Raggiungerli non è facile, entrambi sono situati in periferia dove al momento non è presente alcun servizio di trasporto pubblico. Il Corelli sta in una zona di vuoto urbanistico, nelle vicinanze del cavalcavia che porta verso Milano Lambrate. La località di Ponte Galeria, dall'inizio del 2001, è raggiungibile con il treno metropolitano Tiburtina-Fiumicino, ma il centro di permanenza si trova a quasi 10 Km dalla stazione di Ponte Galeria. Per chi animato da buona volontà decidesse di raggiungere con i propri mezzi tale centro, bisogna avvertire che è molto pericoloso percorrere a piedi tale strada, attraversata a doppia senso da numerosissimi mezzi pesanti, priva di marciapiedi e costeggiata da capannoni industriali e campagne abbandonate. Ai centri si accede mediante una piccola traversa cieca, quasi nascosta e non segnalata, che appena imboccata si allarga e diventa un grande spazio delimitato dal muro di cinta del centro e presidiato, all'inizio dell'imbocco della traversa e nella prossimità dell'ingresso, da due volanti delle forze dell'ordine.

Entrambi sono stati istituiti all'indomani della legge 40: il centro di via Corelli, utilizzando inizialmente container della Croce Rossa, comincia a funzionare l'11 gennaio 1999, il centro di Roma, entra in funzione a settembre 1999. Quest'ultimo, costruito appositamente come centro di permanenza, prende vita in uno spazio in cui dall'agosto del 98 erano collocati 5 capienti container della protezione civile funzionanti come centro di prima accoglienza. Il centro di via Corelli è stato ricostruito nel novembre del 2000 e i vecchi container precedentemente utilizzati e rimasti al lato della nuova struttura, sono ormai abbandonati tanto che oggi il centro viene spesso chiamato Corelli 2. La gestione di entrambi i centri è affidata alla Croce Rossa Militare Italiana il cui responsabile nel centro romano è il capitano Bomba, e in quello milanese il capitano Cappelletti.

Sono centri grandi, la cui capienza è di 140 persone per il Corelli e di 208 per il centro romano. Durante il colloquio mi viene precisato che i centri, a differenza delle strutture carcerarie, non possono mai essere sovraffollati in quanto l'esigenza di trattenere lo straniero al fine di poterlo allontanare in un secondo momento, deve soccombere alla necessità di garantire alla persona una permanenza dignitosa e confortevole. La capienza massima è un dato solo indicativo che non viene mai raggiunto. In media i posti occupati nel centro romano sono 150 e in quello milanese 120. Questa scelta permette una collocazione degli stranieri consona alle loro esigenze consentendo così di non far convivere nelle stesse stanze etnie diverse, di dividere le persone malate, sieropositive, tossicodipendenti dalle persone 'sane', di disporre di stanze di riserva per suddividere ulteriormente persone che durante la permanenza mostrano insofferenze alla convivenza.

Lungo il perimetro i centri sono circondati da muri alti con supporto di filo spinato alto circa un metro e mezzo. Ai quattro angoli vi sono postazioni di vedetta e grossi riflettori mobili. L'ingresso è costituito da un grande cancello metallico (in entrambi i centri la totale apertura di tale cancello permette il passaggio di due camion di dimensioni medie). I cancelli, in entrambe le strutture, sono sormontati da due telecamere e piantonati dalle forze dell'ordine.

Superati i confini esterni si apre un grosso spazio scoperto lasciato appositamente libero per le operazioni di manovra dei mezzi. Si cominciano a individuare i vari fabbricati che caratterizzano la struttura del centro di permanenza. A una estremità, parte dello spazio è adibita a parcheggio e deposito di autoveicoli (in entrambi i centri stanzia un'autoambulanza), all'altra estremità vi è una struttura destinata alle forze dell'ordine. Al centro vi è il fabbricato (con pianta a T) destinata agli uffici, all'alloggio dello staff della Croce Rossa e alla permanenza degli stranieri. In entrambi i centri, rispettando le disposizioni della circolare ministeriale, la prima parte di questo fabbricato è adibito a diverse destinazioni d'uso. Entrando vi è un distaccamento dell'ufficio immigrati della questura dove vengono svolte le operazioni necessarie all'ingresso dello straniero. Qui l'immigrato viene registrato e viene aperto a suo nome un fascicolo che conterrà copia dei provvedimenti emessi a suo carico, l'eventuale convalida e ogni altra informazione che verrà acquisita sulla sua posizione. Proseguendo si incontrano gli uffici degli operatori della Croce Rossa, la loro mensa e le sale per i colloqui. Tali sale sono previste per gli incontri con le autorità consolari, con gli avvocati, con i familiari, con le associazioni autorizzate a svolgere servizi di mediazione culturale e informazione giuridica richiesti dalla direttiva ministeriale. Due sale sono inoltre adibite allo svolgimento dell'udienza di convalida del trattenimento. In entrambi i centri i magistrati si recano nella struttura per svolgere tale attività quando le persone, il cui trattenimento sia da convalidare, siano superiori a dieci. Negli altri casi gli stranieri vengono condotti dalle forze dell'ordine in Tribunale.

Vi è poi un ambulatorio medico attivo 24 ore su 24. Lasciati questi spazi si accede a un corridoio dove sono collocati numerosi armadi contenenti medicinali, vestiari prodotti per igiene intima, biancheria per gli alloggi e i beni degli stranieri trattenuti. Si giunge infine, al di là di una grossa porta di ferro con sportello-finestra, al vero e proprio centro di permanenza per gli immigrati. A Milano non mi è stato concesso, "per motivi di sicurezza" guardare al di la di quella grossa porta, mentre a Roma il comandante Bomba mi ha guidato all'interno della struttura predisposta all'ospitalità degli stranieri. Qui mi viene indicato un fabbricato in costruzione che ultimato sarà destinato alle donne. Il progetto finale prevede quindi due centri di permanenza attigui, uno per gli uomini e uno per le donne, entrambi collegati al fabbricato centrale adibito allo staff nel quale verranno ricavate ulteriori sale colloquio.

La scelta di alloggiare in due strutture separate gli uomini e le donne mi viene motivata come una scelta obbligata visti i numerosi episodi di tentativi di abusi sessuali verificatisi in passato. Mi viene raccontato che numerose volte gli uomini provenienti per lo più da un ambiente carcerario si sono introdotti negli alloggi riservati alle donne importunando quelle che all'esterno svolgevano l'attività di prostituta.

Lo spazio che mi si presenta al di là della grande porta di ferro è del tutto simile a quello descritto dal consigliere comunale Valerio Monteventi riguardante il centro bolognese in via di ultimazione. Il comandante Bomba mi spiega che la struttura odierna dei centri, o almeno di quelli che sono stati ristrutturati, è per lo più analoga. È un ampio spazio rettangolare coperto nel quale si aprono numerosi accessi alle aree destinate alle attività e ai servizi offerti dal centro. Vi è una lavanderia, una sala adibita a parrucchiere-barberia, una sala dotata di televisore con antenna satellitare, una sala biblioteca con quotidiani e riviste di vari paesi, libri di diritto italiano, libri religiosi e numerosi libri di narrativa in lingue straniere. I libri e le riviste provengono dal vicino aeroporto di Fiumicino dove saltuariamente gli operatori della Croce Rossa si recano a ritirare quanto viene lasciato sugli aerei e nelle sale di aspetto. Su un tavolo della sala libreria sono presenti copie del regolamento del centro tradotto in quasi tutte le lingue (polacco, rumeno, slavo; portoghese, spagnolo, arabo, tedesco, inglese, francese, albanese, cinese, russo, serbo, croato, turco). Nella stessa sala vi è una bacheca per le comunicazioni di servizio. Per la presenza di un cospicuo gruppo di persone non mi è stato consentito avvicinarmi alla bacheca e leggerne i comunicati. Mi è stato riferito che i comunicati affissi in quel momento, tradotti in inglese, francese e spagnolo, davano informazioni sugli orari delle attività del centro (presenti anche sul regolamento interno), sul menù del giorno, sui turni dei pasti, sugli orari delle funzioni religiose della settimana, sulle prenotazioni del campo di calcetto e su altro ancora.

Accanto alla biblioteca vi è inoltre la sala mensa. Un'ampia sala dipinta di giallo, con molti punti luce, dove sono posizionati tavolini bianchi di plastica a quattro posti fissati al pavimento grigio chiaro di linoleum e sedie arancioni anch'esse di plastica. La sala mensa funziona come self service: alla fine dei tavoli vi è un grande bancone dove vengono esposti i cibi che vengono per lo più preparati all'interno del centro, con l'ausilio, quando la capienza del centro è quasi al massimo o quando vi sono richieste particolari, di un servizio di catering esterno che confeziona i cibi in vaschette sigillate per porzioni singole. Da questa sala si accede alla cucina e alla dispensa, riservate solo al personale del centro e che per motivi igienici non mi è stato consentito visitare.

Vi è infine un campo di calcetto in erba che a causa della piovosa giornata in cui svolgo la mia visita, osservo solo da lontano.

Conclusa la visita di questa prima parte destinata alla socialità degli stranieri si accede ad uno spazio distributivo, costituito da numerosi corridoi a cielo aperto, che permette di raggiungere gli alloggi degli ospiti. Ogni alloggio è formato da un fabbricato con un piccolo cortile antistante anch'esso a cielo aperto, con pavimentazione in battuto di cemento, arredato da sedie di plastica e due panchine in cemento e circondato lungo tutto il perimetro da un'alta recinzione metallica.

Il fabbricato coperto è suddiviso in 4 stanze per la residenza, un locale wc, e un locale docce. Le stanza, che vengono tinteggiate ogni tre mesi, contengono da 4 a 6 letti, altrettanti comodini, due armadietti. Attaccati alla parete, posizionati abbastanza in alto per non essere continuamente rotti, un televisore di 14 pollici e un condizionatore di aria calda e fredda. La stanza è illuminata da neon e prende luce da una piccola finestra, con vetro camera, posizionata in alto e dotata di sbarre.

Gli alloggi, chiamati sezioni o settori sono separati tra di loro da larghi corridoi che permettono l'accesso diretto al fabbricato coperto e al cortile antistante attraverso due porte. A Ponte Galeria i settori destinati agli alloggi sono 11, di cui 6 per gli uomini e 5 per le donne. Vi è poi una piccola sezione per le famiglie, con stanze dove i letti possono essere accostati in quanto non ancorati al suolo come nelle altre stanze, ma che non mi viene mostrata perché ritenuto inutile vista l'assoluta somiglianza di questa struttura a quella già visitata. Si noti che con il termine famiglia si intende coppia sposata e non coppia di fatto.

Per quanto riguarda il centro milanese di via Corelli ho avuto modo di guardare la planimetria, affissa all'ingresso della struttura, relativa alla area adibita alla permanenza degli stranieri. Ho potuto vedere che al di là della porta, che non mi è stata possibile oltrepassare, vi sono 5 settori, ognuno dei quali composto da un cortile a cielo aperto e un fabbricato coperto suddiviso in 4 stanze, un vano wc e uno per le docce. Considerato che la capienza del centro milanese è di 140 posti letto, presumo che ogni stanza contenga sette letti.

La mensa al Corelli è assicurata da un servizio catering e viene offerto un menù diverso per cinesi, magrebini e donne nigeriane. I cibi arrivano in vaschette singole preconfezionate, le posate sono di plastica e le porzioni abbondanti, ma contate, per cui non è concesso fare il bis. In entrambi i centri vengono rispettate le particolari esigenze alimentari, come il ramadan, dettate dalle diverse fedi religiose.

Tra le due strutture solo il centro di Roma è adibito a ospitare famiglie. Mi viene comunque specificato che a Roma non vi sono mai stati bambini al seguito dei genitori. La struttura, inizialmente dotata di una stanza nido, oggi smantellata, non è in grado di ospitare bambini.

Il personale

In entrambi i centri la Croce Rossa garantisce la presenza di operatori 24 ore su 24. Nell'area riservata alla permanenza degli uomini stazionano 10 operatori di giorno e 6 di notte. Altrettante operatrici donne svolgono analogo turno nei settori dove sono ospitate le straniere. Gli operatori in turno di notte hanno il compito di percorrere, alternandosi in gruppi di 2 alla volta, il perimetro delle varie sezioni dove alloggiano gli stranieri. Nel centro di Roma di notte ogni singola stanza viene chiusa a chiave dall'esterno, mentre in quello di Milano viene chiuso solo il fabbricato contenente le stanze, impedendo agli stranieri l'accesso notturno al cortile esterno. La ronda degli operatori garantisce l'intervento della Croce Rossa per qualunque problema o esigenza.

Buona parte del personale della Croce Rossa svolge le proprie mansioni nella struttura antistante il fabbricato adibito alla permanenza degli immigrati. A Milano l'organico della Croce Rossa conta 80 operatori, a Roma 120. La maggior parte degli operatori è stata in precedenza impegnata in operazioni internazionali a tutela dei diritti civili e conosce l'inglese e/o il francese. In entrabi i centri sono presenti 24 ore su 24 interpreti di lingua francese, spagnola e inglese. A richiesta sono inoltre disponibili interpetri di arabo, portoghese e albanese.

Il capitano Cappelletti, di sua iniziativa, consegna ogni tre mesi un resoconto sull'andamento del centro al Capo Gabinetto Dott. Plevani della prefettura di Milano.

In entrambi i centri è presente un medico e un infermiere 24 ore su 24. I medici operanti nel centro di Roma sono tutti chirurghi, capaci cioè di mettere punti di sutura ai tagli che gli immigrati, soprattuto magrebini, sono soliti infliggersi con atti di autolesionismo.

La sicurezza delle due strutture è affidata ad un comando "interforze" (polizia, carabinieri e guardia di finanza), composto sempre dagli stessi funzionari. Al contrario, inizialmente in entrambi i centri gli agenti venivano sostituiti ogni due mesi così come i funzionari che lasciando il centro assumevano altri incarichi all'interno del corpo. Ciò rendeva necessario un impegno costante per la formazione degli agenti da inserire nella struttura, un continuo passaggio di pratiche da un funzionario ad un altro, nonché alcuni problemi di coordinamento con la Croce Rossa. Oggi, sia nel centro romano che in quello milanese, questo problema è stato ovviato e i funzionari delle forze dell'ordine sono stati specificatamente formati e addetti stabilmente a prestare servizio nel centro. Questo ha consentito la formazione di un vero e proprio rapporto di collaborazione tra la Croce Rossa e le forze dell'ordine. Nonostante una forte separazione degli spazi (le forze dell'ordine entrano nella parte riservata agli stranieri solo su richiesta del personale della Croce Rossa per gestire le eventuali emergenze) il gestore e le forze dell'ordine collaborano nelle loro diverse funzioni aiutandosi a vicenda.

In entrambi i centri la Croce Rossa ha ottenuto una sorta di tacito accordo volto a chiudere un occhio verso gli eventuali atti di intolleranza degli immigrati. Le urla, le piccole risse, i danneggiamenti, gli oltraggi vengono ignorati dalle forze dell'ordine al fine di non creare all'interno del centro tensioni e ostilità. Gli atti di danneggiamento vengono per lo più tollerati in quanto la maggior parte di questi non è fine a sé stessa, ma lo straniero danneggia un oggetto per avere un corpo contundente con cui procurarsi lesioni.

Lo scrivere sui muri è considerato normale. Dopo l'11 settembre i muri di quasi tutte le stanze degli uomini magrebini erano dipinti con immagini che richiamavano la tragedia e con preghiere. Tale tacito accordo permette agli operatori della Croce Rossa di poter sollecitare l'intervento degli ufficiali di pubblica sicurezza all'interno della parte adibita al soggiorno degli stranieri tutte le volte che ne ravvisino la necessità, senza scrupoli di coscienza, ovvero senza il pensiero che l'intervento della forza pubblica possa penalizzare la persona ospitata rendendola passibile di un provvedimento penale. Inoltre la Croce Rossa collabora con l'ufficio immigrazione della questura per la definizione di ogni dettaglio riguardante la posizione dello straniero. In entrambe le strutture i funzionari della questura sono sempre pronti ad ascoltare il personale della Croce Rossa che stando a diretto contatto con gli immigrati riesce spesso a conquistarne la fiducia, ottenendo così informazioni rilevanti sulla situazione degli stranieri all'interno del centro. In particolare mi viene detto con orgoglio da entrambi i comandanti che è spesso merito del personale del loro ente se si scoprono motivi di inespellibilità degli immigrati. Nel caso in cui durante il periodo di trattenimento l'operatore viene a conoscenza di una possibile causa di inespellibilità, questa viene riferita ai funzionari dell'ufficio immigrati i quali si impegnano ad accertare gli elementi e le informazioni raccolte. Qualora queste abbiano fondamento, lo straniero non viene allontanato dal territorio. Anche se non è più possibile esperire ricorso e far valere in sede giurisdizionale il divieto di espulsione o di respingimento, mi viene detto che "il questore trova sempre un modo per annullare il provvedimento".

Il 13 aprile del 2000 si è tenuto a Roma un corso di formazione per tutti gli operatori della Croce Rossa del centro per spiegar loro la normativa del T.U. Questo corso, intitolato "Modalità di ingresso in Italia, permesso di soggiorno, espulsione, respingimento alla frontiera" è stato in parte tenuto dal personale delle forze dell'ordine che operano nel centro Tali funzionari hanno spiegato agli operatori della Croce Rossa quali sono le informazioni e le prove necessarie che si devono raccogliere per poter identificare con certezza lo straniero e per poter rilevare ogni eventuale impedimento all'espulsione. È ormai prassi assodata in entrambe le strutture che gli operatori della Croce Rossa, interpellati dagli ospiti del centro sulle possibilità di allontanamento, si rivolgano agli agenti dell'ufficio immigrazione per ricevere le informazioni richieste dagli immigrati. Non di rado, pertanto, alla fine del proprio turno, l'operatore della Croce Rossa si trattiene nel centro per fornire allo straniero le informazioni da lui richieste.

Non c'è quindi una netta separazione dei ruoli. Cappelletti afferma al riguardo che "si è tutti coscienti di lavorare in una struttura che ha come fine rimandare a casa al più presto gli immigrati e al contempo non commettere errori espellendo chi non dovrebbe esserlo".

Oltre a sedare le rivolte, le piccole risse e garantire la sicurezza nel centro, i funzionari delle forze dell'ordine sono chiamati all'importante compito di ripristinare la misura nel caso in cui lo straniero si allontani indebitamente dal centro. Il Comandante Bomba mi spiega che in caso di fuga, se lo straniero viene ripreso entro 24 ore, la misura viene ripristinata ex tunc; altrimenti la misura del trattenimento viene ripristinata ex nunc e ricomincia a decorrere il termine di 20 giorni. Se lo straniero fugge dal centro durante la proroga e viene ricondotto nel centro dopo 24 ore, ridecorrono per lui 20 giorni.

Accanto agli operatori della Croce Rossa e ai funzionari delle forze dell'ordine, nel centro gravitano molte altre persone, la cui presenza è per lo più richiesta dalla circolare ministeriale del 30 agosto 2000.

Il servizio di informazione giuridica, nel centro milanese, è garantito da 15-20 avvocati che hanno stipulato una convenzione con la Direzione. Questi, a turno, si recano a gruppi di due e incontrano gli ospiti a seguito della espressa richiesta degli immigrati di svolgere un colloquio.

La presenza degli avvocati viene segnalata dagli operatori della Croce Rossa a tutti gli ospiti del centro. In ogni settore vengono raccolti i nominativi degli ospiti che chiedono un colloquio con gli avvocati del servizio di informazione giuridica. Nel caso in cui lo straniero non abbia fatto richiesta di colloquio, gli avvocati del servizio non possono convocarlo. Agli avvocati è consentito venire anche in orari diversi da quelli in cui vengono svolti solitamente i colloqui. Tali avvocati non possono essere nominati dallo straniero, né ovviamente chiedere o ricevere soldi da questo. Hanno una funzione informativa di consulenza, lo aiutano a nominare un difensore di fiducia per l'udienza di convalida e a presentare personalmente il ricorso avverso il provvedimento di espulsione. Ma soprattutto, mi spiega il capitano Cappelletti, la funzione più importante svolta dagli avvocati è che questi prima di andarsene si intrattengono spesso con i funzionari dell'ufficio immigrazione della questura, fornendo loro informazioni rilevanti sulla posizione dello straniero e contribuendo a far emergere eventuali condizioni di inespellibilità dello straniero. Tali avvocati, essendo molto spesso le prime persone a svolgere colloqui con i nuovi arrivati, collaborano anche con la Croce Rossa informando gli operatori di turno sulle problematiche personali dello straniero di cui sono venuti a conoscenza. Il capitano milanese mi specifica però che non viene mai violata la privacy. Nessuna notizia riservata viene svelata; quello che gli avvocati e gli operatori della Croce Rossa si trasmettono sono consigli e impressioni che vengono utilizzati sempre nel rispetto della dignità dell'ospite.

All'interno del centro milanese, opera anche una 'squadra di assistenza e servizi' che offre un sostegno psicologico e svolge funzione di mediazione culturale. Tale squadra, composta da sei persone, svolge spesso anche funzione di informazione giuridica e a tal fine, nei primi mesi del 2001, ai sei operatori è stato fatto un apposito corso di informazione giuridica.

Ci sono inoltre due associazioni autorizzate dalla prefettura ad entrare nel Corelli due volte a settimana. Queste associazioni, di cui non mi viene rivelato il nome, "perché informazione riservata", entrano una per volta a giorni alterni, dalle 15.00 alle 18.00, e svolgono assistenza psicologica una e consulenza giuridica l'altra. All'interno di ogni sezione, in una apposita bacheca, nonché nel regolamento interno del centro che non mi viene mostrato perché anch'esso riservato, sono presentate tutte le attività, le associazioni e i funzionari religiosi che entrano nel centro, con specificazione delle loro mansioni e dei loro orari. In particolare, il capitano del centro milanese mi informa che ogni giorno fanno visita agli immigrati due suore di Madre Teresa di Calcutta, non sono sempre le stesse, un prete cattolico e un prete ortodosso. Oltre a svolgere le funzioni di preghiera, aiutano gli ospiti del centro dal punto di vista psicologico, svolgendo il lavoro di veri e propri assistenti sociali. I funzionari religiosi non entrano nelle sezioni dove alloggiano gli stranieri ma nelle sale colloquio del centro, previa preventiva richiesta dello straniero.

Nel centro romano non ci sono associazioni (perché il prefetto di Roma non ha mai indetto un bando per scegliere le associazioni) né funzionari religiosi, né suore, né preti (mi dicono che dai religiosi non è mai arrivata richiesta di entrare). La Direzione del centro ha stipulato una convenzione con tre avvocati che nel centro svolgono consulenza giuridica. Gli avvocati entrano nei settori e ricevono gli stranieri dove meglio credono, per lo più in sala biblioteca. Detti avvocati collaborano con il centro per 60 ore mensili ciascuno, ma in effetti, quasi ogni mese, fanno molti straordinari. Tali avvocati non possono essere nominati come difensori ma possono soltanto fornire informazioni. Ci sono inoltre due assistenti sociali e uno psicologo che lavorano nel centro per 220 ore al mese. Gli interpreti sono tre e lavorano per 300 ore al mese.

4.2.2. L'ingresso nel centro

Lo straniero, non appena arrivato nel centro, viene sottoposto a una visita medica.

La Dottoressa Neri del centro di Ponte Galeria mi precisa che questa prima visita è molto importante ed ha carattere obbligatorio. In vista dell'inserimento in un ambiente di vita comune, un'accurata visita iniziale rappresenta la garanzia, per tutti gli ospiti e per gli operatori, di vivere e lavorare in un ambiente sano. La dottoressa mi spiega però che tale visita presenta molte difficoltà.

Proprio perché la visita è il primo atto cui viene sottoposto lo straniero, ed è un atto obbligatorio, spesso il paziente presenta un atteggiamento ostile nei confronti del medico, non collabora. Il 70% degli ospiti nega patologie importanti, stati morbosi in trattamento ed eventuali terapie in corso. Le barriere linguistiche e culturali non contribuiscono inoltre ad instaurare un rapporto di fiducia e di collaborazione. Ciò impedisce l'esatta storia anamnestica delle vaccinazioni. Poiché nel centro è presente un quadro dettagliato che indica le vaccinazioni obbligatorie nei vari paesi di emigrazione, spesso il medico è in grado di risalire ad alcune vaccinazioni chiedendo al paziente da quale paese proviene, quando è nato e per quanti anni è andato a scuola, se ha svolto il servizio militare, etc. Infatti molte vaccinazioni, nei paesi poveri, sono state fatte per alcuni anni particolari, o ai bambini in età scolare o durante il servizio militare. Per fare un esempio mi dice che in tutto il Magreb, durante il servizio militare, gli uomini vengono vaccinati contro il colera. Il più delle volte, quando tali colloqui non aiutano ad avere informazioni precise, i medici del centro romano praticano il vaccino contro la tubercolosi.

Inoltre per il medico è necessario poter distinguere tra stranieri respinti e quelli espulsi. I primi possono essere portatori di patologie poco diffuse in Italia. È pertanto necessario conoscere da dove provengono, quali paesi hanno attraversato e le modalità del loro viaggio, fattori che possono essere determinanti per risalire ad alcune patologie. Tutte queste informazioni sono però rilasciate con fatica dagli stranieri, spesso inconsapevoli di ciò che gli sta accadendo, spauriti e angosciati. La poca collaborazione che incontra il medico, si manifesta spesso in silenzi o bugie da parte dello straniero. Nei casi in cui sia necessario effettuare accertamenti sulla possibile presenza di patologie rare o di malattie infettive, lo straniero viene condotto al Servizio di Medicina delle migrazioni dell'Istituto San Gallicano. Il centro milanese di via Corelli, in caso di malattie infettive accertate o da diagnosticare, fa riferimento all'ospedale Sacco. Le visite in ospedale sono a porte chiuse, senza la presenza né di operatori della Croce Rossa, né tanto meno di funzionari delle forze dell'ordine. Oltre ad accertare il buono stato di salute, la visita è volta a rilevare eventuali allergie o intolleranze alimentari.

Nel centro non si effettuano visite ginecologiche perché le donne, quasi tutte prostitute, durante la permanenza richiederebbero continuamente tali visite. È però vero che tali visite sono spesso necessarie e, in quei casi, si ricorre ad una visita specialistica che viene effettuata, solitamente dopo pochi giorni, nelle strutture ospedaliere romane. A Roma il ricorso al ricovero in ospedale si è reso necessario nel 99-2000 (unici dati alla mano del medico al momento del colloquio) in 13 casi: 10 volte per tentati suicidi dimostrativi, mediante ingestione di piccoli oggetti al chiaro scopo di essere trasportati fuori dal centro e tentare la fuga; un caso di emorroidi prolassate strozzate; un caso di cisti ovarica torta; un caso di tubercolosi. In questi ultimi due casi il ricovero è stato disposto in seguito alla iniziale visita di controllo. Il capitano Cappelletti non mi ha rilasciato dati riguardanti i ricoveri, perché dati 'riservati'. Sia dalla dottoressa Neri che dal capitano Cappelletti mi è stato specificato però che i medici non esitano mai a richiedere il ricovero pur essendo pienamente consapevoli che la maggior parte delle volte ciò è volutamente provocato dallo stesso straniero con atti di autolesionismo al fine di tentare la fuga.

A Roma mi viene raccontato che nel 2001 si sono verificati tre casi di stranieri fuggiti dal ricovero in ospedale e poi tornati di loro spontanea volontà nel centro. In tutti e tre i casi gli stranieri, provenendo da altre città, si trovavano a Roma del tutto spaesati. Inoltre, particolare non insignificante, i loro soldi e il loro vestiario era custodito nel centro di permanenza.

Nel caso in cui lo straniero si dichiari tossicodipendente, viene accettato nel centro solo se non necessita di terapia metadonica o se dichiara di essere già in cura presso un SERT che ne garantisce la terapia. Non è cioè possibile iniziare una terapia di disintossicazione all'interno del centro di permanenza. Nel caso in cui lo straniero viene rifiutato dal personale medico del centro, non può essere trattenuto nella struttura e gli deve essere rilasciato, dall'ufficio immigrazioni della questura interno al centro, un provvedimento di intimazione a lasciare il territorio italiano entro 15 giorni.

Anche il capitano Cappelletti mi spiega che non possono essere ospitati stranieri che hanno necessità di un SERT per intraprendere una terapia di disintossicazione. Mi racconta che solo due volte è stato somministrato il metadone, ma in entrambi i casi gli immigrati, tutti e due ex detenuti, avevano già iniziato la terapia, con la possibilità quindi di essere seguiti nel centro dal SERT che li aveva in cura durante la detenzione.

Raramente, in questa prima visita di ingresso, vengono prescritte terapie. È solitamente lo straniero, durante il periodo di permanenza a recarsi nell'ambulatorio medico per essere assistito dal personale medico ed infermieristico. La maggior parte delle volte la visita è dovuta al manifestarsi di stati ansiosi. In larga misura, frutto di emulazione, lo stato ansioso è manifestato da circa il 50% degli ospiti del centro romano, di cui la maggior parte ex detenuti, ai quali già in precedenza, durante il periodo detentivo, venivano somministrati calmanti. Secondo la testimonianza della dottoressa Neri nel centro vi è una richiesta eccessiva di Diazepam e di Valium, che comporta spesso il capovolgimento dei ritmi circadiani sonno-veglia. Anche il capitano Cappelletti mi conferma che gli stranieri che provengono dal carcere sono abituati a fare grande uso di farmaci tranquillanti e che davanti alle loro richieste, il personale medico del centro, dopo essersi fatto inviare la cartella clinica dal carcere, continua la terapia da questi iniziata. Aggiunge inoltre che poiché tali terapie sono davvero eccessive il personale medico del centro ne riduce le dosi. Davanti alle continue richieste degli immigrati molte volte vengono loro somministrate pillole prive di principi farmacologici, capaci di calmare il paziente con il solo effetto placebo.

La dottoressa Neri, concludendo, mi confida che "nel centro la medicina mette solo una pezza", non vi sono abbastanza soldi per praticare le corrette terapie, il limitato periodo di permanenza dello straniero non permette spesso di portarle a termine e inoltre, molto spesso, allo straniero che viene dimesso dal centro o che viene preso in carico dalle forze dell'ordine per essere allontanato coattivamente dall'Italia, non viene consegnata una dettagliata documentazione relativa alle patologie di cui è affetto e alle terapie seguite.

Una volta passata la visita di controllo, lo straniero viene preso in carico dagli operatori della Croce Rossa che sono effettivamente i primi a cercare di spiegargli la natura della sua permanenza nel centro. Entrambi i direttori dei centri mi dicono che ciò che si cerca di far capire immediatamente allo straniero è il ruolo della Croce Rossa all'interno del centro. È importante conquistare la fiducia dell'immigrato e fargli capire la differenza delle mansioni e dei ruoli tra gli operatori della Croce Rossa e le forze dell'ordine. In particolare, fin dall'inizio, gli viene specificato che solo questi ultimi gestiscono la sua posizione, si adoperano per rimuovere gli ostacoli che si frappongono al suo effettivo allontanamento e che sono invece gli operatori della Croce Rossa a garantirgli una comodo e dignitosa permanenza nel centro.

L'operatore di maggior grado della Croce Rossa consegna allo straniero il regolamento, la Carta dei diritti e dei doveri e il modulo di informazioni sulla misura, anch'esso predisposto, come la carta, dal Ministero dell'Interno in occasione della Circolare del 30 agosto 2000 (10).

Entrambi i direttori mi precisano che chiunque consegni il regolamento e gli allegati alla circolare ministeriale, deve accertarsi che lo straniero comprenda che verrà svolta un'udienza di convalida della misura del trattenimento e che in tale sede dovrà essere assistito da un avvocato di fiducia o d'ufficio. A ogni nuovo ospite viene pertanto consigliato di iscriversi ai colloqui con gli avvocati che prestano nel centro servizio di consulenza giuridica.

Superata questa prima fase di presentazione, lo straniero viene preparato per la permanenza nella struttura. I suoi eventuali bagagli e i suoi soldi vengono depositati in un armadietto; gli viene consegnata una scheda telefonica di L. 10.000 e il kit di ingresso. La persona trattenuta può portare con sé il proprio telefonino. In entrambi i centri vi è un telefono pubblico in ogni settore e due telefoni nella parte adibita alla socialità. Il kit di ingresso è composto da: biancheria intima, vestiario, lenzuola e coperte, in buono stato di conservazione e di pulizia, sapone di Marsiglia, shampoo, bagno-schiuma, dentifricio, spazzolino, prodotti per l'igiene intima.

All'interno dei centri vi è un magazzino contenente vestiario e gli ospiti che lo desiderino e ne abbiano bisogno possono fare richiesta di indumenti. Il vestiario che viene consegnato con il kit consiste in una tuta, un pigiama, un paio di pantofole. Lo straniero può comunque portare all'interno del centro i propri indumenti e depositare una piccola scorta negli armadietti della sua stanza. Il capitano Bomba mi riferisce che il vestiario del magazzino del centro romano proviene anch'esso, come molte riviste e libri, dalle valige dimenticate o inizialmente sequestrate nell'aeroporto di Fiumicino. La maggior parte dei vestiti sono di buona qualità e di ottimo stato, e capita spesso che gli stranieri che devono essere rimpatriati, prima di partire chiedano 'un bel vestito per tornare a casa'.

Ogni settimana lenzuola asciugamani e quant'altro lo straniero desideri viene sostituito.

Lo straniero ha la possibilità di ricevere da familiari o conoscenti i propri beni e di potersi servire eventualmente anche della Croce Rossa per recuperare i propri oggetti personali e il proprio vestiario.

Consegnati i propri bagagli e ricevuto, con il kit, il necessario per la permanenza nel centro, lo straniero oltrepassa la porta che divide il mondo dello staff dalla residenza degli ospiti e, accompagnato da un operatore della Croce Rossa, viene condotto nel suo alloggio. L'assegnazione degli alloggi non è casuale ma segue tre criteri: innanzitutto si dividono gli uomini dalle donne, si collocano negli stessi settori persone della stessa nazionalità o di culture simili, facendo attenzione a non mettere insieme persone provenienti dallo stesso paese ma di etnie rivali, e se vi sono conoscenti o amici nel centro, si cerca di collocare lo straniero nella stessa stanza di questi. Lo straniero a cui è stata assegnata una stanza può cambiarla. Se vi sono letti liberi nel suo stesso settore può in ogni momento cambiare stanza avvertendo gli operatori della Croce Rossa. Se invece una persona vuole alloggiare in un altro settore, sempre con persone dello stesso sesso, deve preventivamente chiedere il permesso agli operatori della Croce Rossa. Il comandante Bomba mi riferisce che solo una volta è capitato che un tunisino chiedesse di alloggiare nel settore degli slavi in quanto in una stanza risiedeva un suo conoscente. Non vi sono stati problemi ad acconsentire a tale trasferimento.

I transessuali, che in numero esiguo sono però quasi costantemente presenti, non hanno un settore apposito ma vengono messi in stanze separate, nei settori dove alloggiano le donne.

A differenza dei centri siciliani, calabresi e pugliesi, caratterizzati da una popolazione in gran parte costituita da immigrati appena 'sbarcati', la composizione delle persone trattenute sia a Roma che a Milano, essendo centri lontani da zone di confine, è molto eterogenea. Anche se la maggioranza è costituita da magrebini e albanesi, vengono trattenute nelle due strutture persone di diverse nazionalità. La situazione non è particolarmente critica e difficile da gestire poiché quasi tutte le persone sono da molto tempo presenti in Italia, capiscono o parlano l'italiano e soprattutto sono spesso già abituate alla convivenza con persone di altre nazionalità in quanto il 90% a Roma e il 70% a Milano proviene direttamente o è stato in passato in carcere. Mi viene infine fatto notare che le donne rappresentano il 50% degli ospiti.

4.2.3. La giornata nel centro

Nei due centri di permanenza la giornata trascorre secondo alcuni appuntamenti: ogni attività ha un suo orario, e ogni persona ospitata è libera di accedere a tutti i servizi offerti nelle diverse fasce orarie previste dal gestore del centro.

La giornata inizia con la colazione che viene servita dalle 8.00 alle 10.00. In entrambi i centri, uomini e donne accedono alla mensa separatamente; non vi è libertà di alzarsi e recarsi a consumare la colazione entro le due ore previste. Infatti gli operatori della Croce Rossa invitano gli uomini e le donne a recarsi secondo orari stabiliti, alternando ogni due giorni la precedenza di un gruppo rispetto all'altro. I capitani mi dicono che si tratta di un invito e se un uomo vuole dormire e fare colazione nel turno riservato alle donne, gli viene concesso. Quando chiedo quante volte capiti che in mensa vi sia promiscuità di sessi durante la colazione, il capitano Bomba mi spiega che non avviene quasi mai "perché ormai gli stranieri sono stati svegliati e pertanto vanno a fare colazione tutti insieme"; il capitano Cappelletti mi dice invece di non essere in grado di rispondere.

Orari flessibili, che nascondono turni prestabiliti, si ripetono per il pranzo e la cena. Dalle 12.00 alle 14.00 è servito il pranzo, dalle 18.00 alle 20.00 la cena. Anche questi pasti vengono consumati in due turni diversi. I turni si alternano, ogni giorno nel centro di Ponte Galeria, ogni tre giorni in quello di Milano. Il capitano Bomba mi precisa che quando le donne mangiano per prime, gli uomini, che nella mattinata hanno giocato a calcio, quasi sempre chiedono di potersi recare anche loro in mensa per consumare il pasto. Tale richiesta viene sempre soddisfatta.

Durante la colazione vengono pulite le stanze e i bagni dei vari settori, raccolti gli indumenti da lavare e sostituiti i prodotti per l'igiene che sono terminati. Le lenzuola e gli asciugamani vengono cambiati ogni settimana. Mi viene inoltre detto che spesso è necessario cambiare anche le coperte che vengono usate come tappeti per pregare. La maggior parte delle donne lava da sé i propri indumenti che poi vengono stesi alle sbarre che delimitano il cortile. Nel centro di Milano la ditta appaltatrice che svolge il servizio di pulizia del centro è una cooperativa che dà lavoro a numerosi immigrati.

Nel centro di Ponte Galeria, dalle 9.00 alle 12.00 è consentito accedere ai campi sportivi facendone richiesta al personale. Il campo è inoltre aperto dalle 15.00 alle 17.00. Il capitano Cappelletti mi dice che anche a Milano il campo di calcetto in battuto di cemento è aperto sia la mattina che il pomeriggio, ma non mi precisa in quali orari.

Dopo la colazione gli operatori della Croce Rossa invitano gli stranieri a rientrare nei loro settori, successivamente viene fatto l'appello. Gran parte della giornata viene trascorsa all'interno del proprio settore, tra il cortile e la stanza. Ogni settore durante il giorno è chiuso ovvero non è consentito il libero accesso agli altri settori o agli spazi comuni. Mi viene però specificato da entrambi i comandanti che è una chiusura che non ha niente a che vedere con la detenzione. Ogni persona può uscire chiedendolo agli operatori per recarsi nella sala comune, nella biblioteca, al servizio barberia, al piccolo spaccio, insomma viene affermato che "c'è libero movimento nel centro". Unica limitazione è se negli spazi comuni sono presenti le donne. Poiché in entrambe le strutture per evitare "tafferugli o situazioni spiacevoli" si tenta di tenere divisi i due sessi, se negli spazi comuni sono presenti le donne, gli uomini vengono invitati ad attendere nei loro settori il momento in cui queste siano rientrate negli alloggi. Mi viene spiegato che ogni attività che si svolge nello spazio comune è suddivisa in due fasce orarie di cui una riservata alla fruizione delle donne, l'altra agli uomini. Per le donne il servizio di parrucchiere nel centro romano è accessibile i lunedì, mercoledì, giovedì e venerdì, dalle ore 13.00 alle 16.00; gli uomini vi hanno invece accesso nei giorni di lunedì, mercoledì, giovedì e venerdì dalle ore 10.30 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 18.00. Questa è l'unica attività di cui usufruiscono regolarmente tutte le donne. A Milano il capitano Cappelletti mi dice che quasi tutte le donne si recano a farsi i capelli e molte lo fanno tutti i giorni che il sevizio è aperto. All'interno dei centri vi è cura del proprio aspetto fisico. Questa attenzione, deriva dalla mancanza di altre attività di interesse femminile, ma anche per la cura del proprio aspetto in vista del possibile rimpatrio.

Entrambi i direttori mi dicono che solitamente le donne non si recano nella libreria o nella sala comune dotata di televisione e per lo più trascorrono la loro permanenza all'interno dei loro settori. Così la maggior parte del tempo sono i settori degli uomini ad essere aperti e questi ad usufruire degli spazi comuni.

Solo al servizio ambulatoriale e alle sale colloqui, gli ospiti del centro accedono negli stessi orari indistintamante dal sesso, ma ovviamente a questi servizi si accede uno alla volta.

Nei due centri gli ospiti che vogliono recarsi all'infermeria devono preventivamente rivolgersi agli operatori della Croce Rossa che a turni provvedono ad accompagnarli seguendo l'ordine delle richieste. L'infermeria è aperta 24 ore su 24 per le emergenze, mentre vi è un preciso orario per il servizio ambulatoriale di visite e somministrazione dei medicinali. A Roma l'ambulatorio è aperto dalle 9.00 alle 13.00, dalle 16.00 alle 18.00 e dalle 21.00 alle 22.00. Se l'ospite ha bisogno di una visita specialistica urgente viene condotto dalle forze dell'ordine ad un pronto soccorso. Se invece la visita non ha il carattere dell'urgenza, il centro richiede e prenota la visita presso una struttura pubblica della città. Se la prenotazione è fissata oltre il periodo massimo di permanenza dello straniero nel centro, il medico dell'ambulatorio rilascia al paziente un tesserino STP con il quale l'immigrato irregolare che non lasci il territorio può recarsi alla visita specialistica a spese della ASL.

Per quanto riguarda i colloqui, anche questi vengono svolti in precisi orari, ad eccezione di quelli richiesti dal proprio avvocato e dalle autorità consolari. Nel centro romano le visite sono consentite dalle 9.00 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 19.00, in quello milanese invece solo dalle 15.00 alle 18.00. Mi spiega il Comandante Cappelletti che la scelta di non predisporre visite durante il mattino, è "obbligata dal fatto che dalle 15.00 alle 18.00 è l'unico periodo della giornata in cui non vi sono altre attività e che se venisse predisposto un orario per le visite anche al mattino, si rischierebbe la paralisi di ogni altra attività: nessun immigrato si recherebbe in barberia o in biblioteca per trascorrere invece il proprio tempo in attesa del possibile colloquio".

Mi viene spiegato che ogni colloquio deve essere richiesto dallo straniero. Anche quando un'associazione, un religioso o gli operatori del servizio di consulenza giuridica abbiano già in precedenza svolto dei colloqui con uno straniero, affinché l'incontro possa avvenire nuovamente occorre che l'ospite rinnovi ogni volta la sua richiesta. Il personale della Croce Rossa informa gli ospiti della presenza dei vari operatori e per ogni settore viene stilato l'elenco degli stranieri che desiderano recarsi ai colloqui. Tale elenco viene poi portato agli operatori esterni ai quali è permesso incontrare solo le persone indicate nella lista secondo un ordine che ritengono loro più idoneo.

Nel settore adibito all'alloggio non è concesso portare cibo dalla sala mensa, né libri o giornali dalla sala libreria, né giocare a pallone nel cortile. Per quanto riguarda il cibo è consentito avere all'interno degli alloggi solo alimenti secchi che non necessitano di conservazione in frigo e bibite in contenitori di cartone. Tali generi alimentari sono acquistabili nello spaccio presente in entrambi i centri. In questi locali sono inoltre vendute sigarette, schede telefoniche per i telefoni pubblici presenti nel centro (non ricariche per telefonini) e prodotti per l'igiene personale. Comunque sia, in tutti e due i centri gli operatori della Croce Rossa, ogni giorno a Roma e a giorni alterni a Milano, si recano all'esterno per fare la spesa su commissione degli ospiti. In questo caso lo straniero, dopo aver espresso all'operatore le proprie necessità, consegna i soldi per la spesa, riceve gli oggetti acquistati, lo scontrino e l'eventuale resto, in presenza di un pubblico ufficiale. Qualora lo straniero non disponga di proprie risorse economiche, l'acquisto, se autorizzabile, è a carico della Prefettura competente. Non è possibile acquistare alcolici che non possono essere consumati all'interno del centro. Neanche durante i pasti serviti nella mensa può essere servito vino o altre bevande alcoliche.

Il divieto, in entrambi i centri, di portare i pasti nei settori adibiti all'alloggio crea particolari problemi per gli ospiti di fede musulmana durante il ramadam. Durante questo periodo il cibo deve essere consumato in particolari fasce orarie. Ciò costringe i praticanti a nutrirsi con alimenti acquistati allo spaccio o all'esterno dagli operatori. Non potendo disporre di un frigo sono così costretti a mangiare per lo più alimenti secchi, spesso poco sostanziosi vista la loro natura di generi alimentari conservati a temperatura ambiente.

La giornata scorre lenta e si conclude in entrambi i centri ad un orario preciso: alle 23.30. Gli ospiti vengono invitati a spegnere le televisioni e ad andare a dormire; le luci dei cortili vengono abbassate. Le porte delle stanze vengono chiuse a chiave dall'esterno nel solo centro di Roma; in quello di Milano ad essere chiusa è invece la porta che dal fabbricato delle stanze consente l'accesso al cortile. La ronda degli operatori, presente tutta la notte lungo il perimetro dei diversi settori, garantisce ogni eventuale bisogno dello straniero. Vista la chiusura a chiave delle stanze, nel centro di Ponte Galeria gli stranieri devono rivolgersi agli operatori anche per andare in bagno durante la notte.

4.3. Osservazioni sulla natura dei centri di permanenza

Durante le mie visite ai centri, i comandanti delle strutture hanno entrambi sottolineato che il centro di permanenza temporanea e assistenza non è un carcere. Sebbene abbiano osservato che in entrambe le istituzioni vi sia la restrizione della libertà personale del trattenuto, ritengono profondamente erroneo definire le strutture che gestiscono come 'centri di detenzione'. La classificazione del trattenimento presso i centri di permanenza come "detenzione amministrativa" o "detenzione temporanea" è però di uso comune e le associazioni che si occupano di immigrazione, fin dall'indomani della istituzione dei primi centri di permanenza, hanno denunciato la natura detentiva di queste strutture. Viceversa, la relazione di accompagnamento alla legge n. 40 aveva accuratamente precisato che "i centri di permanenza temporanea sono estranei al circuito penitenziario": per legge queste strutture non possono essere assimilabili alle carceri.

Vista la distanza tra l'opinione dell'associazionismo e la relazione di accompagnamento alla legge 40 e le affermazioni dei due comandanti, sostanzialmente in linea con essa, si pone il problema di analizzare la reale differenza tra i centri di permanenza e le strutture detentive. In mancanza di una definizione legislativa di carcere, per confrontare le due strutture mi sono servita della nozione sociologica di "istituzione totale" elaborata da E. Goffman in Asylums (11). Secondo Goffman il carcere è un'istituzione totale, ovvero un "luogo di residenza e di lavoro di gruppi e persone che, tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo, si trovano a dividere una situazione comune trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato" (12). Nel prosieguo di questo capitolo cercherò di mostrare che sicuramente all'interno della categoria delle istituzioni totali rientrano anche i centri di permanenza. Questa appartenenza non li assimila però ad un carcere. Istituzioni totali sono, secondo Goffman, anche "le case di cura, gli ospedali generali, le case per anziani, le cliniche geriatriche, le case per ritardati mentali, le fattorie di lavoro, gli orfanotrofi e le case di ricovero" (13). Affronterò quindi la questione, più controversa, delle differenze tra l'istituzione totale centro di permanenza e l'istituzione totale carcere.

All'interno di ogni istituzione totale si sviluppano una serie di processi standardizzanti che comportano la "mortificazione del sé". Al momento dell'ingresso in tali luoghi, l'individuo viene privato del suo aspetto abituale, del corredo, degli strumenti con cui conservarlo, venendo così a subire una "mutilazione personale". Fin dal momento dell'ingresso, l'istituzione comincia ad erigere una barriera tra l'internato e il mondo esterno provocando un cambiamento radicale nella carriera morale dell'internato, "carriera determinata dal progressivo mutare del tipo di credenze che l'individuo ha su di sé e su di coloro che gli sono vicini" (14).

L'ingresso in un centro di permanenza prevede una procedura di ammissione che può essere descritta con le parole di Goffman come "un'azione di smussamento o una programmazione, a seguito della quale, il nuovo arrivato si lascia plasmare e codificare in un oggetto che può essere dato in pasto al meccanismo amministrativo dell'istituzione" (15).

Tale procedura comporta una perdita e un acquisto. La perdita consiste in una spoliazione o un abbandono di ciò che si possiede, importante, osserva Goffman, "nella misura in cui le persone investono un sentimento del sé in ciò che posseggono" (16). Alcuni beni vengono custoditi e portati con sé dallo straniero nei propri alloggi, altri, la maggior parte, vengono archiviati e posizionati in armadi situati nella parte della struttura riservata al personale e non accessibile allo straniero. Spesso, dato il carattere improvviso del trattenimento, molti dei beni personali rimangono fuori, incustoditi, destinati o ad essere consegnati allo straniero da amici o parenti rimasti all'esterno, o ad essere recuperati dagli operatori della Croce Rossa, o ad essere abbandonati. "Una volta che l'internato si sia spogliato di ciò che possiede, l'istituzione provvede a un rimpiazzamento, che tuttavia consiste in oggetti standardizzati, uniformi nel carattere ed uniformemente distribuiti. Questo tipo di beni sostitutivi è chiaramente indicato come appartenente all'istituzione e, in alcuni casi, essi vengono ritirati- ad intervalli regolari- per essere disinfettati dalla possibilità di venire identificati come beni personali" (17). Nella descrizione di Goffman si può riconoscere il kit di ingresso che viene consegnato allo straniero al momento dell'ammissione nel centro e sostituito dagli operatori ogni settimana.

Con il trattenimento si attua una mortificazione della dignità e del prestigio dello straniero. L'immigrato subisce una menomazione grave della sua reputazione e della sua immagine, menomazione forse irreparabile ed ancor più degradante, allorché il provvedimento di espulsione sia adottato nei confronti di persona ritenuta sospetta di essere socilamente pericolosa. L'immigrato condotto nel centro è improvvisamente sottratto al proprio mondo: non può più rientrare nella propria abitazione, adempiere ai propri impegni lavorativi, rispettare gli appuntamenti presi. La sua libertà viene ristretta e assoggettata all'altrui potere. A causa della barriera che il centro erge tra lo straniero e il mondo esterno, l'individuo trattenuto perde i propri ruoli e si ritrova impossibilitato ad ottenere un profitto e a continuare a mantenere le presone che all'esterno da lui dipendevano (moltissimi stranieri inviano parte dei loro guadagni alla famiglia residente nel proprio paese di origine). La permanenza nel centro crea all'immigrato una frattura con il proprio mondo esterno, che potrà più o meno essere ricomposta a seconda dell'esito del trattenimento. Lo straniero che non viene espulso coattivamente e che, nonostante l'intimazione, sceglie di restare sul territorio italiano, può tornare al vecchio lavoro e nella propria abitazione. Più frequentemente però l'immigrato, 'positivo Schengen', e stigmatizzato dal provvedimento di espulsione adottato nei suoi confronti, farà perdere le proprie tracce, si darà un nuovo nome, una nuova storia, un nuovo paese di provenienza, cambierà lavoro, abitazione e a volte anche città.

Dopo la "mortificazione del sé", segue, in un'istituzione totale, "l'esposizione contaminante". L'individuo, spogliato in parte del suo mondo e delle sue difese, subisce una violazione del privato che viene messo continuamente davanti a spettatori a lui estranei, diventando suscettibile di 'contaminazioni'. "Nel mondo esterno l'individuo può contare su oggetti che gli danno un sentimento di sé- il suo corpo, le sue azioni immediate, i suoi pensieri, ciò che possiede- il tutto libero da contatti con elementi estranei e contaminanti. Ma nelle istituzioni totali questi territori appartenenti al sé sono violati, la frontiera che l'individuo edifica fra ciò che è e ciò che lo circonda è invasa e la incorporazione del sé profanata" (18).

Se uno degli assetti sociali fondamentali nella società moderna è la tendenza dell'uomo "a dormire, a divertirsi e a lavorare in luoghi diversi, con compagni diversi, sotto diverse autorità o senza alcuno schema razionale di carattere globale" (19), la caratteristica peculiare delle istituzioni totali è rappresentata dalla rottura delle barriere che abitualmente separano queste tre sfere di vita. In un'istituzione totale tutti gli aspetti della vita si svolgono nello stesso luogo e sotto la stessa, unica autorità; ogni fase delle attività giornaliere si svolge a stretto contatto di un enorme gruppo di persone, trattate tutte allo stesso modo e tutte obbligate a far le medesime cose; le diverse fasi della giornata sono rigorosamente scandite da un ritmo prestabilito. Il complesso delle attività che si svolgono in tali istituzioni è imposto dall'alto, da un sistema di regole formali esplicite ed è tutelato da un corpo di operatori addetti alla sua esecuzione. Precisando Goffman scrive:

ogni istituzione si impadronisce di parte del tempo e degli interessi di coloro che da essa dipendono, offrendo in cambio un particolare tipo di mondo: il che significa che tende a circuire i suoi comportamenti in una sorta di azione inglobante. Questo carattere inglobante o totale è simbolizzato nell'impedimento allo scambio sociale e all'uscita verso il mondo esterno, spesso concretamente fondato nelle stesse strutture fisiche dell'istituzione: porte chiuse, alte mura filo spinato.

In un centro di permanenza lo straniero abbandona gli agi a cui è abituato (quali ad esempio un letto morbido, la tranquillità durante la notte, ecc.) e si trova costretto a condividere la stanza e il bagno con altri individui, perdendo la propria intimità e subendo una violazione del privato (l'esposizione contaminante di Goffman). La vita del trattenuto è permeata da una costante interazione con l'altro e continuamente controllata e osservata dagli operatori della Croce Rossa.

La giornata è scandita da orari e regole e l'individuo si trova privato dell'opportunità di equilibrare i propri bisogni e i propri obiettivi in modo efficace, perdendo quella che Goffman, riferendosi al medesimo aspetto riscontrato nelle istituzioni totali, chiama "l'autonomia dell'azione".

Inoltre, nel corso della sua permanenza, lo straniero è obbligato a chiedere il permesso o a domandare aiuto per attività che, fuori dal centro, potrebbe portare a termine da solo: acquistare le sigarette presso lo spaccio, recarsi in bagno durante la notte, giocare a calcio, recarsi in biblioteca, nella sala comune, anticipare o posticipare il suo turno di pasto, ecc. Il dover chiedere viene individuato da Goffman come uno dei "modi più espliciti di rompere l'economia di azione di un individuo" (20) ponendolo nel ruolo, "innaturale" per un adulto, di essere sempre sottomesso e supplice, e in balia del personale dell'istituzione.

All'ospite del centro è impedito, dagli operatori e dalle sbarre che circondano i diversi settori, accedere ai bracci riservati agli ospiti di sesso opposto. Il colloquio tra uomini e donne è possibile solo attraverso le sbarre dei cortili, parlando a voce alta per potersi udire a vicenda (21).

Tornando alla descrizione delle istituzioni totali, Goffman le paragona a una sorta di "mare morto, nel mezzo del quale pullulano piccole isole di attività vitali e molto stimolanti" (22). Queste attività, che possono aiutare l'individuo a sostenere la tensione psicologica generalmente prodotta dagli attacchi al sé, sono sempre insufficienti nelle istituzioni totali. "È proprio nell'insufficienza di queste attività che si può riconoscere l'effetto di privazione determinato dalle istituzioni totali" (23). Si diffonde pertanto negli internati la sensazione che il tempo passato nell'istututo sia sprecato, inutile, derubato dalla propria vita. "È in questo contesto che si può comprendere quale influenza demoralizzante possa avere la condanna per un tempo indefinito o per un tempo molto lungo" (24).

Anche nei centri di permanenza la giornata non può definirsi ricca di attività, le quali appaiono limitate a quelle obbligatoriamente previste dalla circolare ministeriale del 30 agosto 2000. Il tempo, per gli ospiti trattenuti, trascorre lento e, attreavrso le desrizioni dei miei interlocutori, si delinea la stessa condizione: nel centro gli immigrati aspettano che il tempo passi. Da parte loro non vi è cura della struttura in cui si trovano a risiedere, né interesse ai rapporti interpersonali. Il breve periodo di 20 o 30 giorni al massimo da trascorrere nella struttura scoraggia la nascita di legami di amicizia, sia tra gli immigrati sia tra questi e gli operatori. Il tempo viene ingannato aspettando le notizie relative al proprio rimpatrio. Come in una sala di attesa si aspetta il proprio turno sperando che l'operatore della Croce Rossa comunichi l'impossibilità della partenza. In giornate dove il tempo più che essere vissuto è subito, numerosi sono gli ospiti che si abbandonano alla depressione, all'angoscia e che fanno continua richiesta di farmaci tranquillanti per riuscire a placare il senso di vuoto e di ansia.

Goffaman scrive:

in molte istituzioni totali viene a formarsi un tipo e un livello particolari di giudizio di sé. La posizione di debolezza, rispetto a quella di cui godevano nel mondo esterno, cui gli internati giungono attraverso l'iniziale processo di spoliazione, crea un'atmosfera di fallimento personale in cui viene costantemente riproposta la propria caduta in disgrazia. Come reazione, l'internato tende a costruirsi una storia, un precedente, una triste biografia -una sorta di lamentazione e di apologia- da raccontare continuamente ai compagni, per giustificare in quelche modo lo stato di degradazione in cui si trova (25).

La dottoressa Neri mi spiega che nei centri di permanenza è molto forte il senso di disperazione e di angoscia che gli stranieri vivono per il fallimento del loro progetto di emigrazione. Una scelta di vita pagata spesso a caro prezzo e dalla quale dipendono anche molti altri familiari rimasti in patria, ma sostentati dall'emigrato, è, nei centri, sospesa ad un esile filo di speranza.

All'angoscia dell'attesa o all'apatia, a volte si sostituisce un comportamento attivo, combattivo volto alla ricerca degli elementi capaci di dimostrare la non eseguibilità della misura di allontanamento nei propri confronti.

Il capitano Cappelletti mi dice inoltre che nei centri di permanenza "si deve imparare a far fronte al senso di inguistiza". Capita, troppo spesso a suo avviso, che persone condotte insieme nel centro e nella stessa 'condizione' (entrambi espulsi per lo stesso motivo e provenienti dallo steso paese) abbiano in sede di convalida un trattamento diverso: uno straniero permane nel centro, l'altro viene rilasciato per la mancata convalida. Questo è dovuto alla possibilità di valutare in maniera diversa gli elementi, discrezionali, che sono alla base del provvedimento di espulsione con accompagnamento coattivo e i presupposti di legge che giustificano la misura del trattenimento. Inoltre, il provvedimento di mancata convalida può derivare dalla non manifesta infondatezza di questioni di legittimità costituzionale riguardanti la misura del trattenimento sollevate in corso di udienza dall'avvocato difensore o dello stesso giudice. Ma anche qualora gli stranieri abbiano lo stesso avvocato che sollevi in camera di consiglio le medesime eccezioni, il trattamento loro riservato può differire: giudici diversi dello stesso Tribunale hanno mostrato spesso opinioni divergenti riguardo alla legittimità della misura del trattenimento. Il periodo più difficile per la gestione del centro milanese di via Corelli è stato a detta del capitano Cappelletti, il periodo della 'rivolta dei giudici milanesi'.

Anche per i molti stranieri trasferiti direttamente dalle carceri ai centri di permanenza, la misura appare ingiusta, incomprensibile. Un altro mese di privazione della libertà per procedere alla identificazione o al reperimento di un vettore idoneo è vissuto come un ulteriore sanzione inutilmente vessatoria. Entrambe le attività necessarie per il rimpatrio si sarebbero potute compiere durante la detenzione, senza così aggiungere a questa il trattenimento presso il centro di permanenza.

Infine, nelle istituzioni totali c'è una distinzione fondamentale fra un il gruppo delle persone controllate, chiamate "internati", e un piccolo staff che controlla. Al riguardo Goffman osserva:

gli internati vivono generalmente nell'istituzione con limitati contatti con il modo da cui sono separati, mentre lo staff presta un servizio giornaliero di otto ore ed è socialmente integrato nel mondo esterno. Ogni gruppo tende a farsi un'immagine dell'altro secondo stereotipi limitati e ostili: lo staff spesso giudica gli internati malevoli, diffidenti e non degni di fiducia; mentre gli internati ritengono spesso il personale si conceda dall'alto, che sia la mano tesa e spregevole (26).

Nei centri di permanenza temporanea il mondo dello staff e quello degli ospiti sono nettamente separati. Strutturalmente una porta in ferro con un sportello-finestra separa la parte del centro riservata allo staff e quella destinata alla permanenza degli stranieri. Nonostante gli operatori forniscano un grande aiuto collaborando con le forze dell'ordine per far presente ogni elemento ostativo all'allontanamento, mi viene confidato dai quattro operatori incontrati durante gli spostamenti in auto che come i detenuti si dicono sempre innocenti, anche i trattenuti raccontano spesso bugie, ingigantendo i loro drammi e mostrandosi vittime di provvedimenti sbagliati o della stessa società.

4.3.1. Il diritto di comunicare con l'esterno

Come evidenziato nel paragrafo precedente i centri di permanenza sono istituzioni totali, così come i carceri. Tra le istituzioni totali, i centri di permanenza e le strutture detentive hanno in comune sicuramente la caratteristica di comportare la privazione coattiva della libertà personale del soggetto: proprio a seguito di questa peculiarità entrambi questi luoghi sono soggetti al controllo del Comitato per la prevenzione della Tortura (27), mentre non rientrano nell'ambito di competenza del Comitato gli ospedali, la case di ricovero per anziani, e le altre istituzioni nelle quali il soggetto può decidere di mettere fine al suo internamento. Ma questa analogia non basta a eguagliare i centri di permanenza con le strutture detentive.

Livio Pepino sostiene che queste due istituzioni totali, nelle quali si consuma una misura privativa della libertà, si differenziano per un'unica caratteristica:

il trattenimento ha evidente carattere forzoso e la condizione di chi vi è sottoposto è in tutto coincidente con la detenzione tout cour: la sola differenza pratica sta nella libertà di corrispondenza, anche telefonica, con l'esterno prevista per la detenzione amministrativa (28).

La comunicazione con l'esterno per chi si trova trattenuto in un centro di permanenza è un diritto molto importante, sia che venga esercitato per conferire con il proprio avvocato, con i familiari o con gli enti o associazioni che prestano servizio nel centro. L'ospite di un centro può contattare telefonicamente chi desidera utilizzando il proprio telefono cellulare o i telefoni pubblici installati in ogni settore e ha la garanzia di poter incontrare, se lo desidera, persone addette a svolgere servizi di consulenza giuridica e di assistenza sociale e psicologica.

I colloqui con familiari e amici, come per i detenuti in carcere, sono consentiti solo con persone 'in regola con i documenti' e devono essere preventivamente richiesti e autorizzati. Tali incontri devono essere svolti nei luoghi e nei tempi indicati nel regolamento interno di ciascuna struttura.

Poiché i centri presenti in Italia sono soltanto 11, capita frequentemente che lo straniero provenga da altra città rispetto a quella dove si trova il centro in cui viene condotto. Così familiari e i conoscenti si trovano a dover affrontare un viaggio per giungere, in ore stabilite, nel centro, collocato a sua volta in zone periferiche spesso difficilmente raggiungibili. I contatti con il proprio mondo esterno vengono quindi per lo più mantenuti via telefono, per mezzo di una scheda di L. 10.000 consegnata dagli operatori ogni 10 giorni, o del proprio telefonino, di cui però non è acquistabile una ricarica all'interno del centro.

Anche il contatto con l'avvocato di fiducia non è facile. Sebbene all'avvocato sia consentito conferire con il proprio assistito anche al di fuori dei ristretti orari in cui si devono svolgere gli altri colloqui, il difensore la maggior parte delle volte risiede nello stesso comune in cui domiciliava lo straniero e difficilmente riesce a incontrare l'immigrato prima dell'udienza di convalida.

Diventa perciò fondamentale l'incontro con il servizio di consulenza giuridica garantito dal centro. Ma la libertà di comunicazione con l'esterno è in questo caso subordinata a una esplicita richiesta dell'ospite del centro. Gli avvocati addetti al servizio di informazione giuridica non possono incontrare tutti i nuovi entrati, ma solo coloro che esplicitamente chiedono agli operatori della Croce Rossa di poter accedere a questo servizio. Questi colloqui sono ritenuti dai Comandanti di entambi i centri fondamentali per far acquisire allo straniero consapevolezza della natura del trattenimento, facendogli comprendere la restrizione della libertà personale senza farlo sentire colpevole di reato.

La possibilità di comunicare di persona è quindi solo garantita dall'interno verso l'esterno e non viceversa. Io stessa, durante le mie visite, non ho potuto incontrare le persone trattenute nella struttura perché loro, non conoscendomi e non essendo state messe al corrente della mia visita, non hanno potuto richiedere un colloquio.

I colloqui con funzionari religiosi sono consentiti su esplicita richiesta dello straniero. Difficilmente l'immigrato richiede la visita del religioso o lo svolgimento di una funzione all'interno del centro e questo secondo i Comandanti è dovuto a un duplice ordine di motivi:

  • l'individuo non si considera degno di richiedere un incontro con il religioso;
  • la richiesta come atto in sé comporta acquisizione e consapevolezza da parte dello straniero dei propri diritti.

Per chi è trattenuto in un centro i contatti con l'esterno sono spesso il veicolo per poter dimostrare la propria 'inespellibilità': permessi di soggiorno, documenti medici attestanti lo stato di gravidanza, cedole di richiesta di sanatorie e quanto altro lasciato a casa diventano elementi di fondamentale importanza da recuperare e consegnare alla questura.

'Grazie' al diritto di poter comunicare con l'esterno, non è istituito nei centri un servizio di ricezione e di inoltro delle eventuali denunce che l'ospite voglia effettuare, servizio garantito invece negli istituti di detenzione dall'art. 123 del codice di procedura penale.

Al riguardo, F. Vassallo Paleologo, in occasione del convegno di Padova "Immigrazione: centri detentivi e attuali tendenze normative" del 9 Febbraio 2002 ha sostenuto che nonostante non manchino nei centri situazioni di tensione che sfociano in piccole risse in lesioni o addirittura in rivolte, "gli immigrati, unici reali testimoni di quello che accade nei centri, non denunciano mai altri immigrati o funzionari della pubblica sicurezza e, se non vengono rimpatriati, difficilemente si recano in questura a denunciare tali fatti, poiché una volta usciti o lasciano il territorio dello Stato o fanno perdere le loro tracce e decidono e vivere da clandestini".

I Centri di permanenza temporanea e assistenza che non sono carceri e che permettono la libertà di comunicazione con l'esterno sono però al contempo strutture dalle molte sfaccettature segrete: segreto è il progetto del centro di via Mattei a Bologna in costruzione, segreti nel centro di Milano sono gli ambienti riservati al trattenimento degli stranieri e il regolamento interno, segreti sono i pensieri e le parole degli immigrati per chi non ha accesso a colloquiare con loro, segreti sono i nomi delle associazione e degli Enti che vi svolgono servizio, segreto è il rapporto ufficiale del Comitato per la prevenzione e tortura, segreta secondo il dottor Plevani Capo ufficio di Gabinetto della Prefettura di Milano è la circolare del Ministero dell'Interno del 30 agosto 200.

Non c'è da stupirsi quindi se nonostante la possibilità degli stranieri di comunicare con l'estreno, i giornali e le televisioni non si occupino di queste strutture se non in occasione di eventi eclatanti (come la 'rivolta dei giudici di Milano' o le morti violente al Serraino Vulpitta).

La facoltà di comunicare con l'esterno, che permette di distinguere tali strutture dalle istituzioni carcerarie e che è garantita solo dall'interno verso l'esterno, non allevia certo il peso della privazione della libertà, né fa sentire meno il senso di reclusione provocato delle sbarre che circondano ogni settore. La misura del trattenimento seppur, come recita la relazione alla legge, "avviene in una struttura estranea al circuito penitenziario", può a mio avviso essere percepita dal trattenuto come una misura maggiormente afflittiva della detenzione in una struttura carceraria.

A seguito degli studi fatti in occasione di questo lavoro condivido l'opinione del dottor Mauro Palma, rappresentante italiano del Comitato per la prevenzione della tortura, quando afferma, sulla base del rapporto svolto dal Comitato sui centri, che "ad oggi, in Italia, le condizioni carcerarie sono migliori di quelle dei centri di permanenza temporanea e assistenza" (29). Non sono a conoscenza delle motivazioni che hanno portato il rappresentante italiano del Comitato a fare questa affermazione: la sua dichiarazione non può essere motivata pubblicamente a causa dell'attuale natura segreta del rapporto sui centri di permanenza. Quest'affermazione mi pare però verosimile almeno per quanto riguarda la condizione della persona trattenuta in queste strutture.

La 'brevità' della misura e la comunicazione con l'esterno non garantiscono una dignitosa permanenza nella struttura e il carico emotivo che caratterizza la vita nei centri di permanenza giustifica l'uso di terminologie come "centri di detenzione", "detenzione amministrativa" o "detenzione temporanea".

4.3.2. Le osservazioni dei Comandanti delle due strutture sul funzionamento dei centri

Il quadro generale della situazione dei due centri è, secondo i loro gestori, soddisfacente. Il personale della Croce Rossa è qualificato e in numero adeguato. In entrambi i centri ogni anno vengono fatti al personale corsi di aggiornamento sulla normativa in materia di immigrazione, permettendo così agli operatori di essere utili agli ospiti ai fini dell'emersione delle eventuali cause ostative all'allontanamento. Il capitano Bomba mi riferisce che nel dicembre del 2000 la dottoressa Diodati (responsabile della gestione del centro fino al 2001) ha organizzato un corso di aggiornamento, tenuto dagli addetti al servizio di assistenza psicologica, dai mediatori e dai traduttori del centro, volto ad illustrare agli operatori della Croce Rossa le peculiarità delle diverse culture e le modalità per interagire con gli ospiti.

Entrambi i Capitani mi riferiscono che per gli immigrati la giornata all'interno del centro è spesso noiosa. Lo scopo della Croce Rossa è rendere quanto più gradevole la permanenza a tutti gli ospiti del centro e, se non vi si riesce a pieno, mi spiega il capitano Bomba, è per problemi culturali e strutturali. Gli ospiti che nella società sono stati emarginati e hanno subito discriminazioni e razzismo hanno un atteggiamento diffidente verso gli operatori della Croce Rossa: difficilmente si rivolgono a questi per chiedere e ottenere quanto in loro diritto e transitano dal centro quasi come fantasmi, influenzando a volte con pessimismo e apatia anche l'ambiente del loro settore. Strutturalmente la parte del centro riservata alla permanenza degli immigrati è troppo piccola, ci sono pochi ambienti per le attività in comune e molti spazi sono vuoti e all'aperto, così che nei giorni di pioggia o freddo gli ospiti sono costretti a passare la maggior parte del tempo nelle loro stanze, non potendo riversarsi tutti nella sala tv o nella biblioteca. Inoltre, osserva il capitano, all'interno di un centro di permanenza non si può far svolgere alcuna attività lavorativa retribuita e si può essere accusati di sfruttamento anche se si organizzano attività di falegnameria o di ceramica.

Comunque sia, la situazione nel centro romano è destinata a cambiare non appena i lavori della struttura riservata ad ospitare le donne saranno pronti. La capienza del centro non aumenterà, in quanto sebbene il settore ora riservato alle donne ospiterà gli uomini, verrà ridotto il numero dei letti in ogni stanza, così da consentire la permanenza di un ugual numero di persone in maniera più confortevole. Le stanze dei settori degli uomini oltre a contenere meno letti, verranno dotate di tavoli e armadietti più grandi e, se ci saranno abbastanza fondi, verrà allestita in ogni settore una stanza comune con televisione satellitare e decoder, così da permettere agli ospiti di vedere le partite di calcio e gli altri eventi di loro interesse. Vi è inoltre in progetto l'allestimento, nell'attuale stanza comune adibita a sala-tv, di un laboratorio teatrale e, in uno spazio ancora da ricavare, di una sala adibita alla preghiera, "arredata alla musulmana". Il capitano Bomba ha infine un progetto personale che vorrebbe poter realizzare, ma che per ora mi dice è soltanto un'idea. Vorrebbe costruire negli spazi aperti una sala musicale, uno spazio insonorizzato dotato di strumenti di percussione e adibito all'ascolto di musica tradizionale dei paesi di provenienza degli stranieri.

Per quanto riguarda il centro milanese di via Corelli, il capitano Cappelletti mi riferisce che il centro è ormai collaudato, funziona bene e per ora non è previsto alcuna modifica strutturale o organizzativa.

4.4. Osservazioni sui dati statistici forniti dal Ministero nel 1999

Le rilevazioni statistiche sono uno dei punti dolenti nel settore dell'immigrazione. Il Ministero dell'Interno, Dipartimento di pubblica sicurezza - Servizio immigrazione e polizia di frontiera, ha fornito dati ufficiali completi, relativi alle espulsioni e ai trattenimenti presso i centri di permanenza, solo per l'anno 1999 (30). Nei dati relativi all'anno 2000 il Ministero non ha infatti fatto menzione dei provvedimenti di trattenimento presso i centri, rendendo noti soltanto i dati concernenti i provvedimenti di espulsione e gli sbarchi (31).

Dai dati del 1999 si ricava che in quell'anno gli stranieri respinti alla frontiera per mancanza dei requisiti per l'ingresso sono stati 36.937, a cui debbono essere aggiunti 11.500 respinti alla frontiera dai questori perché rintracciati in un momento successivo all'ingresso illegale. Per quanto concerne le espulsioni, 40.489 sono state intimate con l'invito a lasciare il territorio dello Stato, 12.036 sono state effettuate con accompagnamento immediato alla frontiera e 520 sono state disposte dall'autorità giudiziaria. Delle 12.036 espulsioni disposte con accompagnamento coattivo ben 11.269 hanno presentato uno degli impedimenti previsti per legge dall'art. 14 del T.U. comportando il trattenimento dello straniero da epellere presso un centro di permanenza temporanea e assistenza (32). Di questi 11.269 stranieri ospitati nei cpt, 3.987 sono stati rimpatrtiati all'esito del trattenimento, 6.773 dismessi, mentre 509 risultano ancora presenti nei centri al 31 dicembre 1999. Dunque, dei 10.760 (11.269-509) ospiti dei centri per cui il trattenimento si è concluso nel 1999 solo il 37% è stato effettivamente espulso, mentre il 63% è stato rimesso in libertà.

Le mancate convalide nel 99 sono state 348 pari al 3,08% dei provvedimenti di trattenimento. Questo il dettaglio territoriale (33):

Inserimenti nei centri Mancate convalide
Piemonte 836 26 (3,11%)
Lombardia 2.555 104 (4,7%)
Lazio 1.642 122 (7,43%)
Puglia 1.995 21 (1,05%)
Sicilia 1.817 75 (4,12%)

Relativamente all'anno in esame Livio Pepino ha svolto una ricerca relativa alla nazionalità degli espulsi transitati per i centri di permanenza temporanea (34). Dai dati si ricava che il trattenimento non garantisce l'espulsione, ma funziona come una sorta di sala d'aspetto, in cui lo straniero viene posto in attesa del verificarsi di condizioni che, "il più delle volte non si verificano" (35). Un esame più analitico dei dati, mostra che le espulsioni eseguite sono effettuate, nella quasi totalità, verso paesi con cui l'Italia ha sottoscritto accordi di riammissione.

L'effettività della misura espulsiva per gli stranieri trattenuti nei centri varia notevolmente a seconda della nazionalità: se per gli albanesi sfiora il 90% (957 espulsioni effettive su 1073 persone trattenute, pari all'89%), per irakeni e jugoslavi è pressoché nulla, mentre per gli algerini è pari circa all'11%. Tali dati sembrerebbero evidenziare che ciò che più conta per dare effettività ai provvedimenti espulsivi non sono tanto i centri di permanenza temporanea, quanto l'esistenza e l'applicazione degli accordi di riammissione bilaterali sottoscritti con i principali paesi di emigrazione (36).

Illuminante è il raffronto degli esiti del trattenimento relativi agli stranieri provenienti dai due paesi che, per ragioni alfabetiche, aprono le statistiche ministeriali: l'Albania, con cui esiste accordo di riammissione, e l'Algeria, con cui non esistono accordi di sorta.

Tab. 1 - Presenze nei centri di permanenza dei cittadini albanesi. Anno 1999
ingressi mancate convalide espulsioni dismissioni a scadenza dismissioni per altro asilo politico varie*
Piemonte 257 2 251 0 2 0 2
Lombardia 718 23 632 51 0 7 5
Lazio 55 1 51 2 0 0 1
Puglia 21 0 14 1 3 0 3
Sicilia 22 4 9 8 0 1 0
Totale 1073 30 (2,7%) 957 (89,1%) 62 (5,7%) 5 (0,4%) 8 (0,7%) 11 (1%)

* La voce varie comprende evasioni, arresti, decessi.

Tab. 2 - Presenze nei centri di permanenza dei cittadini algerini. Anno 1999
ingressi mancate convalide espulsioni dismissioni a scadenza dismissioni per altro asilo politico varie*
Piemonte 34 0 6 24 2 0 2
Lombardia 86 1 9 72 0 1 3
Lazio 101 1 6 80 7 2 5
Puglia 51 0 2 35 0 0 14
Sicilia 149 5 26 102 3 0 13
Totale 421 7 (1,6%) 49 (11,6%) 313 (74,3%) 12 (2,8%) 3 (0,7%) 37 (8,7%)

* La voce varie comprende evasioni, arresti, decessi.

I dati riportati nelle tabelle allegate possono essere così riassunti: su 1.073 albanesi entrati nei centri nel 1999 ben 957 (89%) sono stati espulsi coattivamente, mentre solo 62 (5,7%9) sono stati dimessi per mancata identificazione o impossibilità di procedere all'accompagnamento; per contro, su 421 algerini entrati nei centri nello stesso periodo gli espulsi sono stati 49 (11,6%), mentre i dimessi alla scadenza sono stati 313 (74,3%9). Sottraendo dal totale coloro per i quali non vi è stata convalida del trattenimento e quelli la cui uscita è stata determinata da cause diverse (arresto, evasione, ecc.) gli espulsi coattivamente diventano il 93,5% degli albanesi e il 13, 3% degli algerini (mentre i dimessi ammontano rispettivamente al 6,5% e all'86,5%).

Gli accordi di riammissione permettono di superare l'ostacolo che più frequentemente si presenta al momento dell'esecuzione del provvedimento di espulsione: la necessità di procedere ad accertamenti supplementari in ordine alla identità o nazionalità dello straniero.

A titolo di esempio dell'incidenza di tali accordi sull'effettività del provvedimento di allontanamento, si riporta l'art. 2 dell'accordo di riammissione tra Italia e Marocco, sottoscritto il 27 luglio 1998, secondo cui:

in mancanza di questi documenti (carta di identità nazionale o passaporto) il consolato territorialmente competente rilascia un lasciapassare alle persone identificate come cittadini, alle seguenti condizioni:

  1. sulla base di un documento trasmesso dalle autorità locali competenti quale, in particolare la fotocopia del passaporto o della carta di identità nazionale, un lasciapassare scaduto, la patente, la tessera d'immatricolazione consolare, o ogni altro documento rilasciato dalle autorità nazionali dello Stato richiesto che dimostri l'identità e la nazionalità dell'interessato. Quando questi elementi sono giudicati probanti dalle autorità consolari, il lasciapassare è rilasciato nel più breve tempo possibile, ed al più tardi entro un termine di due giorni feriali a decorrere dalla ricezione dei documenti da parte delle autorità consolari dello Stato richiesto;
  2. in caso di dubbio sulla nazionalità o in mancanza di uno di questi documenti, le autorità consolari dello Stato richiesto procedono all'audizione dell'interessato nei locali dove si attua il fermo, negli istituti penitenziari, nei centri di accoglienza o, eventualmente, nei locali consolari. Tale audizione è organizzata in accordo con l'autorità consolare competente nel più breve tempo possibile ed al più tardi entro il termine di 5 giorni feriali a decorrere dalla domanda della parte richiedente;
  3. qualora questa audizione non consenta di determinare se l'interessato è cittadino dello Stato richiesto, l'autorità consolare ne informa immediatamente le autorità locali competenti. Queste ordinano di provvedere alla rilevazione delle impronte digitali che sono trasmesse senza indugio alle autorità della parte richiesta tramite il consolato territorialmente competente.

Ben consapevoli della rilevanza degli accordi di riammissione nel procedimento di espulsione, il Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno ha emanato, in data 6 marzo 2000 (37), una circolare con la quale ha invitato le questure "a non trattenere inutilmente nei centri di permanenza temporanea gli immigrati clandestini difficilmente espellibili, ovvero le persone che non provengono dai paesi con cui l'Italia ha sottoscritto accordi di riammissione". Tale circolare ha provocato numerose polemiche. Inizialmente il Governo si è difeso dichiarando questa circolare "non vincolate", ma in un secondo tempo il Ministro ne ha preso le distanze. Il 29 marzo, intervenuto in Camera dei Deputati, il Ministro dell'Interno Bianco ha definito questa circolare "una nota tecnica inviata alle questure dal Dirigente del servizio immigrazione e polizia di frontiera del Dipartimento di pubblica sicurezza" e, prendendone le distanze, ha ribadito l'impegno del Governo affinché gli immigrati clandestini vengano espulsi "senza discriminazione alcuna in ordine al paese di provenienza". La circolare, o nota tecnica che fosse, è stata revocata, scongiurando così il pericolo, ravvisato dall'opposizione di centro destra, che a seguito di questa nel futuro bastasse "dichiararsi jugoslavo o algerino per essere lasciato libero in clandestinità e diventare una potenziale fonte di reato" (38).

Simili circolari non si sono più ripetute, ma non c'è dubbio che il problema sollevato non è di poco conto.

Servirebbero dati più completi ed analitici e, soprattutto, un periodo di osservazione maggiore, per poter trarre conclusioni sulla funzionalità dei centri e sull'effettivo contributo degli accordi di riammissione ai provvedimenti di espulsione. Da quanto sopra riportato credo comunque non sia azzardato osservare che:

  • il funzionamento complessivo del sistema delle espulsioni è ignoto (mancando in particolare il numero delle ottemperanze spontanee alla intimazione a lasciare il territorio dello Stato);
  • la sua effettività non è stata significativamente incrementata dai centri di permanenza, la cui incidenza sulle espulsioni sembra limitata ai casi di stranieri provenienti da paesi con cui l'Italia ha stipulato accordi di riammissione.

4.4.1. L'esecuzione dell'allontanamento dello straniero trattenuto

Durante la visita nel centro di permanenza di Ponte Galeria, ho potuto prendere visione di dei dati numerici relativi ai trattenimenti effettuati nei primi tre anni di attività del centro. A Milano tali dati sono stati definiti "di assoluta irrilevanza" dal capitano Cappelletti, e "assolutamente segreti" dal Capo di Gabinetto dottor Plevani. Nel centro romano ho potuto discutere questi dati con il dottor Mancini, responsabile dell'ufficio immigrazione della questura all'interno del centro.

Nel 1999 il numero delle persone trattenute è stato di 1.711, nel 2000 di 1.973, nel 2001 di 2.043. Dei 2043 entrati nel centro nel 2001, 229 sono stati dimessi per mancata convalida, 53 per aver richiesto asilo politico (39) e 15 sono stati invece dimessi per altri motivi (permesso di soggiorno "scoperto" solo in un secondo momento, possibilità per lo straniero di richiedere ricongiungimento familiare, permesso di soggiorno per motivi di giustizia rilasciato alle prostitute che decidono di collaborare con la Giustizia). Nello stesso anno dalla misura si sono sottratte 12 persone, tutte trattenute al di fuori del centro, in strutture sanitarie per esigenze di cura. Al momento della mia visita, effettuata il 17 dicembre 2001, sono presenti nel centro 93 persone. Dei rimanenti 1.641 trattenuti nel 2001, 705 sono stati rimpatriati e 936 rilasciati dal centro per scadenza dei termini del trattenimento con intimazione a lasciare il territorio entro 15 giorni. Mi viene precisato dal dottor Mancini che, di questi ultimi stranieri, pochi effettivamente lasciano il territorio, la maggior parte fa perdere le loro tracce, ed alcuni, dopo i 15 giorni concessi loro per lasciare l'Italia, vengono nuovamente individuati e, in presenza dei medesimi impedimenti, riportati nel centro. Così, il numero totale delle persone trattenute nel centro deve essere letto considerando che alcuni vi transitano più volte: non vi sono state 2.043 persone diverse trattenute a Ponte Galeria nel 2001, bensì un numero inferiore poiché verso alcuni la misura è stata reiterata. Nei registri della struttura non è presente la suddivisione del numero delle persone trattenute una sola volta nel centro e di quelle nei cui confronti la misura è stata invece reiterata. A memoria, il dottor Mancini, mi riferisce che nell'ultimo anno uno straniero è stato portato nel centro 7 volte e un altro 5, e numerosi sono quelli che prima di essere espulsi vengono trattenuti 2 o 3 volte. I magistrati del Tribunale di Roma che convalidano tali trattenimenti sembrano dunque non abbracciare, l'interpretazione dell'art. 14 del T.U. data dal Tribunale di Milano con ordinanza dell'11 febbraio 2000 e seguita da molti dei suoi magistrati secondo la quale "l'applicazione della misura del trattenimento non può essere reiterata per l'esecuzione del medesimo provvedimento di espulsione per il quale l'accompagnamento alla frontiera non sia effettivamente avvenuto".

La permanenza media nel centro è di 15-20. Più precisamente, la permanenza nel centro è di circa una settimana, nel caso di stranieri da rimpatriare in Albania, in Tunisia, o in Romania, e di 20 giorni, nel caso l'immigrato debba essere riaccompagnato in Marocco, l'Egitto, Ghana o Nigeria. La proroga è richiesta raramente, in quanto mi viene spiegato che 20 giorni sono sufficienti a trovare un vettore per provvedere al rimpatrio e, quando vi è un accordo di riammissione, anche ad ottenere il lascia passare necessario per rimpatriare lo straniero che non sia in possesso di documenti di viaggio o sulla cui identità o nazionalità siano necessari accertamenti supplementari. Quando per rimpatriare lo straniero è necessario l'interessamento di un consolato di uno Stato con il quale l'Italia non ha stipulato un accordo di riammissione, difficilmente viene richiesta la proroga di 10 giorni, in quanto il consolato o si mostra interessato e disposto a collaborare fin dall'inizio o difficilmente nei residui 10 giorni massimi di trattenimento effettuerà le ricerche necessarie sull'identità dello straniero e lascerà il proprio lascia passare.

La collaborazione dei consolati è necessaria e fondamentale per poter effettivamente eseguire l'allontanamento dello straniero. Oltre agli immigrati non in possesso di alcun documento, di cui sia da verificare l'identità e/o la nazionalità, l'intervento del consolato è necessario anche quando lo straniero, pur provvisto di carta di identità o di patente, non abbia con sé il passaporto. Solo con quest'ultimo documento è consentito varcare la frontiera con la sicurezza di essere accettati nello Stato di destinazione. L'attività eseguita dai funzionari della questura che svolgono servizio nei centri di permanenza temporanea è per lo più dedicata alla ricerca dei lascia passare che permettano di rimpatriare l'immigrato.

Il dottor Mancini mi spiega, inoltre, che la maggior parte dei lascia passare hanno breve scadenza; in media il documento permette il rimpatrio entro 3-10 giorni al massimo. Se l'espulsione non avviene in quei giorni, perché, ad esempio, non si riesce ad organizzare il viaggio, bisogna chiedere un'altra volta il lascia passare. Capita spesso in questi casi che però un secondo lascia passare non venga concesso: anche inoltrando nuovamente la richiesta allegando la copia del primo lascia passare e spiegando i problemi tecnici intercorsi, "i consolati difficilmente prestano attenzione una seconda volta".

Mi viene spiegato che nella regione del Magreb vengono prese, durante il servizio militare, le impronte digitali di tutti cittadini di sesso maschile. Pertanto, quando si deve ottenere il lascia passare da uno di questi paesi, la questura procede a prendere le impronte dello straniero e ad inviarle a tutti gli Stati che compongono la regione. Questo procedimento permette di avere rapporti con più consolati contemporaneamente e di aumentare le possibilità di risposta e di un accertamento sulla identità dello straniero. Anche con questa procedura si verificano delle disfunzioni: più volte Stati diversi hanno riconosciuto come proprio cittadino la stessa persona. In questi casi, mi spiega il dottor Mancini, da parte della questura vi è l'obbligo di accertare la nazionalità della persona, ma puntualmente quando si richiedono accertamenti e conferme, da entrambi gli Stati esteri si riceve la smentita sulla attribuzione della loro cittadinanza allo straniero.

Inoltre, se lo straniero da rimpatriare è stato condannato in Italia per reati relativi agli stupefacenti, il dottor Mancini precisa che, se si eccettuano gli Stati con cui l'Italia ha stipulato accordi di riammissione, si può liberamente affermare che i consolati non collaboreranno assolutamente al rimpatrio della persona.

Qualora si ottenga il lascia passare, o nei casi in cui il trattenimento è stato disposto a causa della mancanza di un vettore, la questura si occupa di organizzare il viaggio di ritorno in patria per l'immigrato. Anche questa attività presenta delle difficoltà. Il mezzo di trasporto utilizzato nel 90% sono aerei di linea, a volte si ricorre alle navi in servizio nell'Adriatico per rimpatriare gli albanesi, imbarcandoli da Ancona e da Brindisi. In tutti i viaggi, gli immigrati vengono scortati dalle forze dell'ordine.

Innanzitutto verso alcune destinazioni è difficile trovare posti disponibili in aereo. Per i principali paesi di emigrazione si usa prenotare 5 posti per ogni volo spostandoli di giorno in giorno fino a che non vengono effettivamente utilizzati.

Ma la difficoltà all'allontanamento deriva dal fatto che non si rimpatriano più di tre persone alla volta (40). Questo viene praticamente imposto dai comandati di volo, che per motivi di sicurezza non ammettono sul loro volo più di due o tre immigrati da rimpatriare. Il dottor Mancini mi spiega che il viaggio è un momento molto traumatico per lo straniero, che non solo vede infrangere il suo sogno di emigrazione, spesso pagato a caro prezzo, ma che subisce l'umiliazione di tornare a casa accompagnato dalla polizia e consegnato, non appena sbarcato, alla polizia del proprio paese per le pratiche di rimpatrio. Sui voli si assistono spesso a scene di disperazione, di ansia, a molti vengono somministrati farmaci calmanti, e non infrequenti sono anche sfoghi di ira e rabbia. Dopo l'11 settembre rimpatriare in aereo persone di fede musulmana si è inoltre complicato ulteriormente. Nel caso in cui il comandante rifiuti di avere a bordo l'immigrato lo straniero è riportato nel centro a meno che non vi sia un altro volo nella stessa giornata, nel qual caso lo si attende nella zona di transito dell'aeroporto che diventa una sezione distaccata del centro di permanenza. Per quanto non riceva conferma dal mio interlocutore, c'è da ritenere che gli articoli di denuncia che si trovano su Internet (41) sul trattenimento anche per qualche giorno negli aeroporti degli stranieri nei cui confronti stiano per scadere i termini non siano inverosimili.

Oggi, con tre anni di lavoro alle spalle, il dottor Mancini mi dice di essere in grado di prevedere quando una persona entra nel centro se e quando verrà rimpatriata. Spesso, se necessario per l'equilibrio dell'ospite, tali previsioni gli vengono riportate dagli operatori della Croce Rossa.

Concludendo, quanto emerge dall'incontro è in piena linea con i dati analizzati nel paragrafo che precede: solo una piccola percentuale delle persone trattenute viene effettivamente espulsa; di queste persone la quasi totalità è cittadina di Stati con i quali l'Italia ha sottoscritto accordi di riammissione.

Le proposte per garantire una maggior effettività delle espulsioni da parte di chi si occupa del rimpatrio degli immigrati sono volte alla ricerca di migliori rapporti di collaborazione tra le questure e i consolati. Nessun vantaggio deriva, secondo il dottor Mancini, dalla possibilità di trattenere lo straniero nel centro per maggior tempo. La causa principale della non piene efficienza dei centri, a suo avviso, è da ricercare solamente nella mancanza di collaborazione da parte dei consolati dei paesi di emigrazione con i quali l'Italia non ha sottoscritto accordi di riammissione. Perché la macchina delle espulsioni funzioni, sono necessari accordi, e al contempo una forte collaborazione con i consolati. Mancini auspica che ogni consolato individui un ufficio e un addetto ai rapporti con le questure per le operazioni di rimpatrio e che al contempo vi sia la garanzia dell'impegno del paese a contrastare l'emigrazione clandestina. Mi porta come esempio di mal funzionamento l'accordo con l'Albania. Se da un lato verso questo paese, in una settimana o poco più, si riescono a rimpatriare gli stranieri, dall'altro gli stessi stranieri dopo poco sono nuovamente sulle coste italiane. Tali immigrati inseriti nel Sistema Informativo Schengen sono destinati al primo controllo di polizia a far rientro nel circuito dei centri di permanenza con un inevitabile dispendio di costi. Lo Stato italiano, tra il trattenere gli stranieri con una spesa media giornaliera di L. 12.000, e il provvedere al rimpatrio con scorta, spende una cifra che si aggira tra i 50 e gli 80 miliardi annui.

Note

1. Comunicato stampa del SIULP - Sindacato Italiano Unitario Lavoratori di Polizia - Segreteria provinciale di Torino, gennaio 2000, riportato nel sito ufficiale della Polizia di Stato.

2. Il Comitato Nazionale antirazzista e il Coordinamento per i rifugiati hanno sottolineato che il sedersi al tavolo delle trattative con il Governo non ha significato legittimare i centri che rimangono negli obiettivi delle associazioni 'luoghi da chiudere'. Le associazioni hanno collaborato per rendere migliori le condizioni di permanenza degli stranieri, ma senza rinunciare alla loro campagna per lo smanetllamento di queste strutture.

3. In vista della necessaria emanazione della Direttiva, nei primi mesi del 2000 il Ministro Bianco ha affidato a funzionari del Governo il monitoraggio dei centri di permanenza temporanea e assistenza allestiti in Italia. I risultati di tale monitoraggio non sono stati diffusi.

4. Oltre ad ospitare gli stranieri in attesa del loro allontanamento i centri devono loro garantire servizi di interpretariato, di informazione giuridica e di mediazione culturale al fine di rendere gli stranieri consci del motivo della loro permanenza nella struttura e delle possibilità giuridiche di difesa previste nei loro confronti dalla normativa.

5. Lo straniero sbarcato sul nostro territorio e privo di documenti deve essere identificato e fotosegnalto. Solo a seguito di queste attività l'autorità competente può valutare se emettere o meno un provvedimento di respingimento o se invece sussitano impedimenti al rimpatrio dello straniero.

6. Per un quadro grafico della situazione descritta in questo paragrafo si veda l'Appendice. Si noti inoltre che agli inizi del 2001 è stato proposto l'allestimento di centri di permanenza temporanea e assistenza anche nelle provincie di Firenze, a Sesto Fiorentino, e in quella di Brescia, ma entrambi i progetti non hanno trovato seguito.

7. Il capo di gabinetto Matteo Piantedosi ha dichiarato al Manifesto che "per quanto riguarda la struttura dove alloggeranno gli immigrati, il progetto è pubblico", articolo di Sara Menafra del 7 febbraio 2001 dal titolo "Bologna la gabbia". Le tante richieste di maggiori informazioni da parte di esponenti dell'associazionismo non hanno avuto ancora nessuna risposta.

8. La sentenza della Corte europea, caso AMOUR contro Francia, riguardava la richiesta di ingiusta detenzione di 4 fratelli somali entrati in Francia dalla Siria con un passaporto falso e trattenuti in un centro di permanenza temporanea. A seguito di tale trattenimento, non convalidato da alcuna autorità giudiziaria, dopo venti giorni i fratelli Amour furono allontanati coattivamente dalla Francia e rimandati in Siria. Da lì adirono la Corte per ingiusta detenzione ottenendo ragione. La Corte Europea riconoscendo la limitazione della libertà che si verifica in tali centri, ha condannato la Francia per l'ingiusta detenzione afflitta ai fratelli Amour stabilendo che la privazione della libertà che si verifica in tali strutture deve essere soggetta al vaglio dell'autorità giurisdizionale. Con questa sentenza la Corte ha aperto la strada all'ampliamento delle competenze del Comitato per la prevenzione della tortura che fino ad allora non comprendevano il controllo sui centri di permanenza temporanea e assistenza.

9. Il rapporto del Comitato sui centri di permanenza francesi, reso pubblico nel 2000, grazie al consenso del Governo francese, ha avuto come esito la richiesta e l'effettiva chiusura del centro di Marsiglia.

10. Solo a Ponte Galeria mi è stato consegnato il regolamento del centro. Al Corelli il capitano Cappelletti non mi ha concesso di prendere visione, né tanto meno di portar via una copia del regolamento del centro milanese attribuendo a tale regolamento natura di "documento riservato".

11. E. Goffman, Asylums, Einaudi, Torino 1974. Il libro descrive i meccanismi dell'esclusione e della violenza delle istituzioni totali, soffermandosi in particolare sugli ospedali psichiatrici.

12. E. Goffman, op. cit., p. 29.

13. E. Goffman, op. cit., p. 11.

14. E. Goffman, op. cit., p. 45.

15. E. Goffman, op. cit., p. 46.

16. E. Goffman, op. cit., p. 48.

17. E. Goffman, op. cit., p. 47.

18. E. Goffman, op. cit., p. 53.

19. E. Goffman, op. cit., p. 35.

20. E. Goffman, op. cit., p. 69.

21. Ad oggi nel centro di Roma i settori delle donne sono di fronte a quegli degli uomini, a una distanza di circa 10 metri. Non appena sarà pronta la nuova struttura uomini e donne saranno collocati in due strutture completamente separate e non sarà più possibile per loro vedersi o parlarsi.

22. E. Goffman, op. cit., p. 96.

23. E. Goffman, op. cit., p. 96.

24. E. Goffman, op. cit., p. 94.

25. E. Goffman, op. cit., p. 93.

26. E. Goffman, op. cit., p. 37.

27. Il Comitato per la prevenzione della tortura si occupa di tutti i luoghi in cui si verifica la restrizione della libertà personale. Con la sentenza della Corte europea del 92, caso AMOUR contro Francia, tra tali luoghi rientrano a tutti gli effetti anche i centri di permanenza temporanea e assistenza poiché, come affermato dalla stessa Corte, "ivi la libertà personale viene limitata per più di 72 ore".

28. L. Pepino, Centri di detenzione: le parole e la realtà, "Narcomafie" 2000, 6, p.13.

29. Dichiarazione del dottor Palma al convegno "Immigrazione: centri detentivi (cpt) e attuali tendenze normative" del 9 Febbraio 2002, Padova. Questa dichiarazione rappresenta l'unica anticipazione sul rapporto sui centri di permanenza italiani fatta dal Rappresentante italiano del Comitato.

30. "Riepilogo nazionale relativo ai provvedimenti degli stranieri in posizione irregolare e ai trattenimenti presso i centri di permanenza", sul sito del Ministero dell'Interno.

31. Il documento del Ministero che riporta i dati sulle espulsioni e gli sbarchi relativi all'anno 2000 è riportato in Appendice.

32. Nel 1999 vi sono stati 11.269 stranieri entrati nei cpt e 23.000 stranieri detenuti in carcere. Da questi dati, ancora una volta di fonte Ministeriale si evince che per ogni due stranieri che sono stati ristretti in carcere perché imputati o condannati per reati, c'è stato un terzo straniero trattenuto in un centro di permanenza per irregolarità amministrative.

33. L. Pepino, Centri di detenzione per stranieri in attesa di espulsione e controllo giudiziario, "Questione Giustizia", 2000, 3. p. 569.

34. I risultati della ricerca sono stati pubblicati nell'articolo Centri di detenzione ed espulsioni (irrazionalità del sistema e alternative possibili) "Diritto, immigrazione e cittadinanza" 2000, 2 pp. 11 e ss.

35. L. Pepino, Centri di detenzione ed espulsioni (irrazionalità del sistema e alternative possibili) "Diritto, immigrazione e cittadinanza" 2000, 2, p. 15.

36. Ad oggi l'Italia ha sottoscritto accordi con Albania, Jugoslavia, Marocco, Romania, Tunisia, Austria, Bulgaria, Francia, Lettonia, Macedonia, Slovenia, Slovacchia, Croazia, Estonia, Lituania, Polonia, Svizzera, Ungheria, Georgia, Egitto, Grecia, Malta, Russia, Spagna e Ucraina. Sono inoltre in corso di definizione accordi con Bielorussia, Pakistan, Ucraina, Cina, Filippine, Moldavia, Turchia, Nigeria.

37. Circolare Ministero Interno 6 marzo 2000, "Diritto, immigrazione e cittadinanza", 2001,2, pp. 200 e ss.

38. Così l'Onorevole Carlo Giovanardi nell'intervento alla Camera del 29 marzo 2000.

39. In presenza di una richiesta di asilo la questura è obbligata a dimettere lo straniero dal centro e a revocare il provvedimento di allontanamento, che potrà essere ripristinato solo ad esito negativo della procedura di concessione dell'asilo. Unico controllo che la questura effettua sulle domande di asilo riguarda l'assenza di motivi ostativi indicati nell'art. 380 del codice di procedura penale. Nel centro di Roma non sono molte le domande di asilo per un duplice ordine di motivi: molti dei trattenuti hanno precedenti penali, le richieste di asilo vengono per lo più effettuate dagli stranieri all'ingresso nel nostro paese e non essendo il centro di Ponte Galeria situato presso una zona di confine non raccoglie molti stranieri appena entrati.

40. Se le persone pronte per essere rimpatriate nello stesso paese sono più di tre intraprendono il viaggio prima gli ex detenuti e i clandestini. In queste categorie l'ordine di precedenza è determinato dai giorni di permanenza trascorsi nel centro: più si è stati trattenuti (e quindi meno giorni rimangono per poter eseguire coattivamente l'allontanamento) più si ha diritto a partire per primi.

41. Si veda l'articolo di F. Vassallo Lacrime di coccodrillo, 2001, che riporta la testimonianza di un cittadino della Costa D'Avorio trattenuto per due giorni nell'aereoporto Fontanarossa di Catania, per un totale di 31 giorni di trattenimento.