ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo II
La crisi dell'indeterminate sentencing: l'approdo a modelli commisurativi determinati

Salvatore Cannata, 2002

1. Cause della riforma del sentencing

La dinamica che ha storicamente portato all'abbandono sia da parte dei sistemi statali che di quello federale dell'indeterminate sentencing può essere sinteticamente riassunta nell'interazione, inserita in un contesto di sovraffollamento delle carceri che ne determinò l'amplificazione degli effetti, di due distinti fattori fondamentali: la crisi dell'ideale riabilitativo, con il corrispondente riemergere delle istanze retributive, e il crescente movimento di critica all'esercizio della discrezionalià giudiziale postulato dal c.d. sentencing indeterminato.

È un dato incontestabile che, dopo essersi mantenuto sostanzialmente costante per più di cinquanta anni, il numero di soggetti complessivamente detenuti nelle prigioni statali e federali era aumentato, dal 1972 al 1981, dell'80%, e di altrettanto nella decade '80-'90: tradotto in termini matematici, ciò significa che nel periodo 1970-1990, la popolazione carceraria statunitense complessiva è cresciuta del 160% rispetto al dato registrato all'inizio degli anni '70 (1).

L'aumento progressivo, costante e quasi inarrestabile della popolazione carceraria americana e la percezione "sociale" di questo aumento eclatante in termini assoluti costituiscono il quadro al cui interno si sono mossi i rilievi critici dell'indeterminate sentencing: i dati statistici, da soli, parlavano già di una secca sconfitta del modello riabilitativo.

Ma al di là del dato strutturale, statistico del sovraffollamento delle carceri, che di per sé non poteva essere univocamente ricondotto all'opzione per il modello commisurativo riabilitativo, la riforma del sentencing nordamericano in chiave determinata fu dettata dal convergere di due grandi movimenti di critica all'indeterminate sentencing.

Quello che appuntava la sua attenzione al fallimento del c.d. trattamento, al collasso dell'ideale riabilitativo.

E quello che criticava l'essenza processuale stessa dell'indeterminate sentencing, l'esercizio della discrezionalità giudiziale.

Non è azzardato affermare che i primi ad abbandonare la convinzione che tramite il processo penale si potesse incidere, positivamente, sul trattamento delle varie forme di devianza furono proprio gli psichiatri e la comunità medico-scientifica in generale.

Durante gli anni settanta, una dopo l'altra uscirono ricerche che, sebbene affrontate con metodologie scientifiche e per finalità di studio differenti, erano univocamente concordanti nel fallimento prasseologico dell'idea rieducativa, nell'inefficacia dei programmi di trattamento quanto a risultati riabilitativi e quanto ad efficacia deterrente.

Le ricerche di Martinson (2) sull'impatto del trattamento sul tasso di recidiva, quelle di Greenberg (3) e Brody (4), sugli effetti del modello rieducativo sulla delinquenza giovanile, furono certificate dall'autorevole National Academy of Sciences (5), che ufficializzò la "morte scientifica" dell'idea riabilitativa.

Dopo quasi un secolo di supremazia, l'idea della funzione risocializzatrice della pena, della sua astratta idoneità alla rieducazione del condannato veniva ufficialmente abbandonata, ai più alti livelli della comunità scientifica statunitense. Il sentencing c.d. indeterminato si vedeva così privato della sua stessa ragione d'esistere: il carattere indeterminato della pena, teleologicamente preordinata al recupero sociale del condannato. Decenni di ininterrotto aumento esponenziale in termini assoluti della popolazione carceraria e di incapacità del sistema ad affrontare le sfide del recidivismo e del crimine giovanile decretarono l'inaffidabilità della cultura riabilitativa.

Che fu messa sotto accusa anche sub specie di opzione processuale commisurativa. L'idea della doppia indeterminatezza della pena, cioè indeterminata in fase giudiziale, per il tramite del meccanismo della comminatoria da parte del giudice "aperta" nel massimo, e soggetta al fenomeno della c.d. trasformazione in fase esecutiva ad opera delle executive authorities (prison institutions, parole board, managers of the reformatory), aveva irrimediabilmente perso la sua attrattiva.

Ad essa si attribuiva, la responsabilità per i tre punti deboli dell'amministrazione della giustizia penale che emersero negli USA degli anni settanta, e cioè per la scarsa tutela offerta ai prisoners' rights, per la contraddittorietà della tendenziale lievità della pena rispetto all'aumento vertiginoso del tasso di criminalità, e soprattutto per la c.d. sentencing disparity.

Invero, i primi due profili critici dello stato della commisurazione e dell'esecuzione penale nordamericana sul finire degli anni '70, compressione dei diritti dei detenuti e inadeguatezza della lievità delle sanzioni recuperative, potevano essere anche imputati a fattori in qualche modo esterni all'opzione processuale per un modello di sentencing c.d indeterminato. Si pensi al fatto che la questione della erosione dei diritti dei detenuti poteva dirsi direttamente connessa con il fenomeno del sovraffollamento carcerario alla base della inadeguatezza degli istituti di pena da un punto di vista risocializzativo (6) e induttivo del progressivo decremento del carattere individualizzato dell'intervento del parole baord. Intervento sempre più amministrativizzato nel tentativo di costituire una sostanziale "valvola di sfogo" del sistema carcere prossimo al collasso e non più informato al reale trattamento clinico-recuperativo del reo.

Lo stesso ragionamento può applicarsi alla critica mossa alla tendenziale lievità della pena recuperativa che, proprio per il suo carattere riabilitativo, non mira alla "mortificazione" del reo: il suo valore scarsamente afflittivo era ritenuto ingiustificato a fronte di una criminalità costantemente in crescita e quindi per nulla intimorita dalla minaccia della sanzione penale da parte dell'ordinamento.

L'argomento tipico dell'assenza di efficacia deterrente della pena trattamentale (7).

Tale assenza piuttosto che intrinseca al modello recuperativo della pena, può essere ricondotta alla gestione concreta di tale modello, ad esempio avendo riguardo al fenomeno della c.d. formalizzazione del rilascio anticipato, cioè alla sua concessione quasi automatica e all'inadeguatezza della struttura individualizzatrice del parole, acuita dal fenomeno dell'aumento esponenziale della popolazione carceraria e quindi dei soggetti potenzialmente oggetto del trattamento.

A ben vedere, infatti, il carattere riabilitativo della condanna a pena indeterminata, dal punto di vista del detenuto, può significare rilascio "anticipato" (rispetto ad un termine non previsto né prevedibile) per il soggetto ritenuto socialmente riqualificato, ma può anche tradursi nella perdita della speranza di uscire dal carcere per coloro che non potevano, volevano o comunque non erano stati giudicati riabilitati né riabilitabili (8).

Ma mentre le argomentazioni basate sulla compressione dei diritti legati allo status di detenuti e sull'inefficacia deterrente del trattamento prescindevano dalle responsabilità discrezionali del giudice, a quest'ultime era invece univocamente legato il fenomeno della c.d. sentencing disparity.

Per essa si intende qualsiasi variazione arbitraria nella commisurazione della pena per ipotesi simili di reato, non spiegabile né in base alle caratteristiche del fatto, né in base alla pericolosità del suo autore (9). Storicamente, ad una diffusa percezione "aneddotica" della disparità di trattamento sanzionatorio tra casi simili si è accompagnata la difficoltà della sociologia criminale di individuare la metodologia di ricerca più corretta, quella in grado di garantire, cioè, risultati scientificamente attendibili e quindi oggettivamente utilizzabili.

Non è certo questa la sede per proporre un'ampia sintesi delle numerose analisi empiriche in tema di sentencing disparity che, dall'inizio del '900, si sono succedute negli USA.

Guardando però ai risultati delle più importanti fra di esse, pur affrontate con metodologie ed obiettivi diversi, in particolare quanto alle ipotesi di fondo postulate, un dato emerge in modo incontrovertibile: tutte hanno concluso per l'esistenza di una sostanziale disparità di trattamento sanzionatorio tra casi simili, costante nei sistemi caratterizzati dall'opzione per modelli di sentencing indeterminato.

Ciò significa che pur guardando alla sentencing disparity come ad un fenomeno originato dall'appartenenza a minoranze etniche [minority status] (10), piuttosto che a quella ad un sesso (11) oppure determinato dalle caratteristiche attinenti al giudice-persona fisica (12) e pur differendo tra loro le ricerche empiriche quanto ad attendibilità o a opzioni metodologiche (13), univoco è stato il riconoscimento dell'esistenza di questa forma di disparità nella pratica commisurativa indeterminata.

A loro volta, le misure suggerite per ridurre o eliminare la sentencing disparity hanno conosciuto le formulazioni più variegate (14).

Ma anche in questo caso la maggior parte di esse ha tratto ispirazione da un'unica idea comune: la limitazione dei margini di discrezionalità giudiziale come condicio sine qua non per l'eliminazione della sentencing disparity.

Nell'esperienza giuridica nordamericana di c.d. sentencing indeterminato, quindi, al dato della molteplicità dei fattori presuntivamente causativi della sentencing disparity si accompagna quello della sostanziale convergenza della scienza penalistica sulla sua stessa esistenza e sugli strumenti per affrontarla. Strumenti tutti informati al principio dell'attenuazione dell'incidenza della discrezionalità del giudice nel processo commisurativo. L'idea che la judicial discretion, l'asse portante tradizionale del procedimento commisurativo indeterminato, non solo non fosse più connotata del carattere della necessarietà ma che ad essa potessero essere imputate le più rilevanti degenerazioni del sistema punitivo aprì la porta al progressivo abbandono dell'assioma sentencing - pena indeterminata. Si faceva così largo il movimento di rifoma del sentencing volto a ridurre la discrezionalità del giudice attraverso l'adozione di nuovi moduli commisurativi predeterminati.

Era iniziata l'epoca del c.d determinate sentencing.

2. Il rilancio dell'idea retributiva: il just desert model come presupposto teorico-filosofico dei sistemi commisurativi determinati

Il vuoto ideologico verificatosi in tema di filosofia giustificatrice della sanzione penale e le cause stesse che contribuirono al "collasso" dell'idea riabilitativa, disparità sanzionatoria e inefficacia deterrente, crearono lo spazio, inteso come condizioni sociologiche favorevoli e situazione di opportunità intellettuale, per l'ascesa e la definitiva affermazione della teoria della retribuzione (il c.d. just desert model) all'interno della gerarchia degli scopi della pena.

Si può discutere se il rapporto di causa-effetto tra la crisi dell'ideale riabilitativo e l'affermazione del neoretributivismo vada interpretato nel senso che l'emergere del just desert abbia determinato la crisi del trattamento o se, viceversa, quest'ultima situazione abbia creato le condizioni ambientali perché l'istanza neoretributiva ricevesse unanime sostegno (15), ma è indubbio che, contestuale alla frantumazione della convinzione filosofica della funzione recuperativa della pena, emerse e si affermò come nuovo dogma l'idea che la sanzione penale dovesse considerarsi come soltanto uno dei mezzi per combattere il crimine, da utilizzarsi secondo il canone della extrema ratio e da dosarsi secondo un criterio di stretta proporzionalità con la gravità del reato (16).

Impostazione assolutamente speculare a quella postulata dalla filosofia trattamentale: la pena non è più vista come lo strumento omnicomprensivo della risposta dell'ordinamento a tutte le manifestazioni di devianza sociale, carattere questo che ne determinava la necessaria flessibilità tanto in sede commisurativa che esecutiva.

Piuttosto, il just desert impone che ad essa si debba ricorrere solo quando tutte le altre strade, recuperative e rieducative (17), siano già state, inutilmente, intraprese.

Con la conseguenza che laddove si determinino le condizioni per l'applicazione della sanzione criminale, essa dovrà essere certa e determinata.

Certa in quanto conoscibile ex ante, assolvendo così alla funzione di deterrenza della minaccia punitiva e allo stesso tempo di garanzia soggettiva del reo dal pericolo di un immotivato trattamento sanzionatorio discriminante.

Determinata cioè "oggettiva", predeterminata sulla base di criteri oggettivi essendo da una parte, proporzionata ob malum actionis (18), cioè graduata in proporzione alla gravità del reato commesso, ed essendo, dall'altra, la percezione e "quantificazione" di questa gravità rimessa non all'apprezzamento discrezionale, soggettivo del singolo giudice, ma subordinata alle valutazioni di ordine generale operate dal legislatore in sede di definizione della sua politica sanzionatoria e, quindi, indistintamente applicabili nella stessa misura a qualsiasi soggetto (19).

Il procedimento commisurativo ispirato al just desert model è quindi caratterizzato dal binomio certezza-razionalità della pena, che presuppone la sua predeterminazione sulla base di criteri logico-razionali oggettivamente applicati (gravità del reato commisurata dal legislatore preventivamente all'intervento comminativo, meramente applicativo e non manipolativo, creativo, del giudice) e la sua insuscettibilità ad essere modificata nel quantum tanto in sede giudiziale che esecutiva (la pena minacciata dall'ordinamento sarà quella realmente scontata, accompagnando quindi alla minaccia sanzionatoria un forte messaggio deterrente).

La "secolarizzazione" delle teorie neoretributive conoscerà il suo vertice proprio nell'adozione, prima da parte dei sistemi statali e poi ad opera dell'ordinamento federale, del c.d. determinate sentencing.

Il c.d. just desert model ha in realtà conosciuto più formulazioni, tra di loro, in alcuni casi, molto differenti. Da quelle più radicali, le c.d. teorie propriamente neoretributive, i cui sostenitori più importanti sono Dershowitz, Fletcher e Singer, a quelle più moderate, espresse nelle opere di Fogel e Morris, attraverso l'indirizzo intermedio e predominante di Von Hirsch.

Il neoretributivismo più radicale esprime la sua essenza nella forte riduzione della discrezionalità del giudice che esso postula: il giudice è riconosciuto vincolato dalla legge tanto nella selezione degli elementi attinenti l'imputato da prendere in considerazione nella valutazione del caso quanto nella scelta della quantità e qualità della sanzione.

A questa notevole riduzione dell'autorità giudiziale corrisponde l'adozione di un modello commisurativo di c.d. statutory determinate sentence, cioè imperniato sulla predeterminazione legislativa della pena, agganciata alla gravità del fatto, per ciascuna fattispecie di reato e sulla previsione dell'obbligatorietà di tale predeterminazione: il giudice potrà allontanarsi da essa soltanto in presenza di circostanze eccezionali, dandone però adeguato conto nella motivazione del suo provvedimento, soggetto a quel punto al sentence review davanti alle corti superiori (20).

La formulazione "moderata" del just desert model, conosciuta come "modified desert model" o "limiting retributivism", proposta da Morris e da Fogel rifiutava la dogmaticità della retribuzione pura e le sue conseguenze applicative, soprattutto sub specie di perfetta uguaglianza di trattamento sanzionatorio di casi simili e di unifomità delle sanzioni penali. I due autori sostenevano, piuttosto, la necessità che l'ordinamento, pur sposando in via di principio il just desert come criterio ordinante, permettesse limitate variazioni nelle sanzioni inflitte per fattispecie simili di reato in modo da rispondere alle diverse istanze rieducative che potevano incontrarsi caso per caso.

Per usare le parole di Morris, l'uguaglianza di trattamento doveva essere una "tendenza", piuttosto che un principio acquisito, dovendosi guardare ad essa come ad un principio che va "coordinato con gli altri valori dell'ordinamento", in primis con quello del recupero del condannato (21).

Quanto all'indirizzo intermedio di Von Hirsch, esso muove dall'arricchimento del principio retributivo con il richiamo alla necessarietà dell'efficacia deterrente della sanzione penale. La combinazione così proposta di retribuzione e deterrenza permette di distinguere la legittimazione generale e iniziale della risposta punitiva dello Stato (il principio retributivo) dalle implicazioni successive legate all'attuazione di specifiche strategie puntive: la sanzione penale può essere spiegata e finalizzata anche all'interesse sociale al controllo della criminalità e quindi può trovare applicazioni diverse a seconda del diverso modo di atteggiarsi di esso.

Così, i reati bagatellari, pur in un quadro generale retributivo della pena, possono essere affrontati ricorrendo alle varie misure alternative al carcere (probation, community service, fine, etc.), mentre i crimini gravi, per i quali alla generale legittimazione retributiva si sommano le istanze generalpreventive della deterrenza, soggiacciono inevitabilmente alla pena detentiva.

La cui durata però, aggiunge Von Hirsch, deve essere informata a due principi fondamentali: esse deve essere predeterminata dal legislatore e, da questi, orientata ad ottimizzare l'individualizzazione del trattamento, anche ricorrendo all'abbassamento delle cornici edittali di pena (22).

Il retributivismo, in conclusione, costituì il presupposto e la legittimazione teorica dei sistemi a c.d. sentencing determinato: le opzioni processuali che essi introdussero, (minimi edittali, sentencing guidelines, etc.), rispondevano al minimo comune denominatore rappresentato dalle istanze filosofiche retribuzioniste per una pena connotata dei caratteri della extrema ratio, della certezza e razionalità, e della proporzionalità.

Così come i sistemi di indeterminate sentencing si erano nutriti dell'ideale riabilitativo, erano stati da questo sostenuti e per questo abbandonati alla vigilia della sua crisi, il determinate sentencing affonda le sue radici nella cultura retributiva della proporzionalità, nel messaggio di fondo dell'essere la pena giustificata come "reazione afflittiva" dell'ordinamento proporzionata alla "azione" (condotta) offensiva perpetrata dal singolo membro.

Una proporzionalità "laica", però, alla quale, cioè, vennero ricollegati meccanismi commisurativi volti a renderne l'attuazione pratica "razionale", cioè connotata di passaggi, processuali e non, volti a depurare la dinamica sanzionatoria da interventi "soggettivizzanti" (il giudice) o comunque "modificativi" (le executive authorities) della minaccia punitiva di quella pena, per quel dato crimine, rivolta alla generalità dei consociati.

La rivoluzione copernicana rappresentata dall'introduzione di just desert models nella prassi commisurativa statunitense non stava quindi nel prescindere le sue premesse filosofiche dal trattamento ma dall'aver segnato la più forte compressione della discrezionalità giudiziale, dell'autorità stessa del giudice nel procedimento commisurativo che l'esperienza giuridica nordamericana avesse mai conosciuto.

"Rivoluzionari", rispetto alla tradizione della pena indeterminata, erano tutti gli strumenti che l'attuazione del principio di "certa proporzionalità" postulava: mandatory minimum sentence, statutory determinate sentence, etc. Strumenti che esprimevano un nuovo modo, altrettanto rivoluzionario, di concepire l'allocation of authority, la ripartizione di competenze e dei rapporti di forza tra gli organi interessati dall'applicazione della sanzione penale.

Un nuovo schema sanzionatorio, dunque, ispirato a due direttrici di fondo.

Da un lato, la centralità dell'intervento del legislatore nel momento definitorio della fattispecie incriminatrice e della sanzione proporzionalmente corrispondente, perché alla graduazione legislativa della condotta offensiva e non più a quella giudiziale corrispondesse la misura di pena ad essa proporzionale, stabilita in via preventiva e vincolante dal legislatore stesso.

Dall'altro, marginalità del ruolo del giudice, spogliato della sua tradizionale autorità di sentencer, di colui che, sin dai tempi delle prime colonie, era chiamato ad individuare la pena concretamente comminabile caso per caso: a costui è invece rimesso il solo momento applicativo della pena, svuotato di qualsiasi autonomo profilo creativo.

Nel just desert model, il giudice è vincolato tanto nella quantificazione della gravità e corrispondente proporzionalità del fatto storico che nella determinazione della pena concretamente applicabile al caso dalle premesse, sostanzialmente immodificabili, valutazioni compiute dal legislatore penale.

La convergenza di fattori teorici, cioè l'emersione del modello teorico di commisurazione della pena di c.d. just desert a scapito dell'ideale riabilitativo, e di circostanze prasseologiche, individuabili nella esplosione della risonanza del fenomeno della sentencing disparity e del problema del sovraffollamento carcerario, hanno prodotto, verso la fine degli anni '70, le premesse per l'abbandono, nell'esperienza giuridica nordamericana, del c.d. sentencing indeterminato e per la sua riforma in chiave determinata.

3. Nozione e modelli di attuazione del determinate sentencing

La sostituzione dei modelli commisurativi di sentencing indeterminato non si è avvalsa degli stessi strumenti in tutti gli stati dell'Unione. Sebbene ispirate alla stessa filosofia, il c.d. just desert, dettate dalla comune esigenza di affrontare la crisi filosofica e prasseologica dell'ideale riabilitativo (crisi scientifica del trattamento, sovraffollamento carcerario, sentencing disparity) e storicamente contestuali, cioè tutte riconducibili al periodo che ricompreso tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli '80 (23), le modifiche in senso determinato del procedimento commisurativo cui si è proceduto nell'esperienza giuridica statunitense sono state molte e tra loro molto eterogenee.

Fu così possibile raggiungere l'obiettivo di ridurre la flessibilità della pena, tanto nella fase comminativo-giudiziale quanto in quella esecutiva, attraverso la predisposizione di una vasta gamma di strumenti, tra loro differenti quanto a modulo processuale presupposto e, quindi, quanto ad intensità dell'impatto riformatorio, ma univocamente finalizzati alla predefinizione della pena applicabile, alla anticipazione della sua concreta determinazione rispetto alla fase commisurativo-giudiziale (24).

Sostanzialmente, i singoli ordinamenti statunitensi si trovarono di fronte a due differenti opzioni di attuazione del determinate sentencing: quella che postulava una riforma c.d parziale dell'ordinamento all'epoca vigente e quella che invece necessitava di un intervento organico sull'intero sistema commisuratorio, di una sua rifoma c.d. globale. Al primo modulo attuativo del sentencing c.d. determinato corrispondevano la riforma, quando non l'abolizione secca, dell'istituto del parole e la predisposizione di meccanismi di sentence review, di appellabilità dei profili sanzionatori della sentenza penale di condanna.

Il meccanismo del parole fu il primo ad essere messo in discussione, nell'ottica di una riforma della prassi commisurativa che garantisse certezza ed uniformità di trattamento sanzionatorio (25). Nel tentativo di recuperare il significato riabilitativo dell'istituto della "libertà sulla parola" all'interno di un contesto sanzionatorio che privilegiasse però la certezza della pena, molti stati optarono per l'adozione delle c.d. parole guidelines, "linee-guida" formulate per vincolare la discrezionalità dei parole officials allo scopo di rendere più razionale e controllabile la procedura di rilascio anticipato dei detenuti. L'opera di razionalizzazione della prassi del parole board si espresse, dapprima, nella redazione di parole guidelines limitate alla mera esplicitazione e sistematizzazione del decision-making, del procedimento decisionale cui i boards avrebbero dovuto obbligatoriamente uniformarsi.

Nell'estremo tentativo di salvare l'istituto dal suo completo abbandono, alle parole guidelines fu rimessa la predeterminazione del quantum di pena, compreso tra un minimo ed un massimo, che doveva obbligatoriamente intercorrere nel caso di specie perché il board potesse disporre il rilascio anticipato del detenuto.

Nell'ultima fase della loro esistenza giuridica, le "linee-guida" per la concessione del parole erano formulate e cristallizzate in una vera e propria tabella geometrica, contenente la classificazione della gravità del reato, la standardizzazione delle prognosi di recidiva del soggetto e la corrispondente individuazione dei termini entro cui il board fosse autorizzato a disporre il rilascio. Al parole official non rimaneva, dunque, che individuare il livello di gravità corrispondente al reato commesso, effettuare una valutazione della personalità del reo, fissare infine una data per il rilascio compresa nei valori indicati nella tabella.

Nonostante l'inesorabile svuotamento dell'autonomia del parole, già nel 1984 dodici giurisdizioni avevano formalmente abolito il parole (26).

L'ordinamento federale, dopo aver tentato la strada delle parole guidelines sin dal 1972, lo fece con il Sentencing Reform Act del 1984 (27).

Per quanto attiene al contenuto riformatore del c.d. sentence review, va notato come l'introduzione di un sistema di revisione delle sentenze relativamente alla misura della pena abbia, storicamente, rappresentato il primo tentativo di far fronte al problema della sentencing disparity e, implicitamente, il primo passo degli ordinamenti che lo adottarono verso una riforma in chiave determinata del proprio sistema commisurativo.

Con la predisposizione di meccanismi di controllo dell'imposizione della sanzione penale (28), veniva garantita cognizione in appello alle ipotesi in cui l'imputato lamentava che gli fosse stata inflitta la pena senza il rispetto delle garanzie processuali previste o in violazione di norme di legge. Nel corso dei decenni, a partire dai primi esperimenti in Winsconsin negli anni '30, più della metà degli ordinamenti giuridici nordamericani si è dotata di meccanismi di sentence review, organizzati complessivamente secondo tre modelli fondamentali.

Il primo, adottato nel Connecticut, prevede la creazione di giudici speciali, le c.d. Superior Courts, con il compito esclusivo di riesaminare, su istanza di parte e con provvedimento motivato le sentenze appellate per la parte che attiene alla congruità della misura della pena detentiva: la corte può intervenire per aumentare o diminuire, a seconda dei casi, la pena giudicata sproporzionata.

Nel secondo modello, in vigore nell'Illinois, competenti alla sentence review sono le corti d'appello esistenti: in prima istanza le Intermediate Appellate Courts, per le questioni di merito legate alla quantificazione della pena e solo eventualmente, per ciò che attiene alle questioni squisitamente procedurali, la Supreme Court statale.

L'ultimo è quello applicato in California. Esso si caratterizza per il fatto che il controllo delle condanne detentive è rimesso, principalmente, ad uno speciale organo amministrativo, il Board of Prison Terms, e non ad un organo giurisdizionale, preesistente o appositamente creato. Al board spetta il controllo sistematico di tutte le condanne a pene detentive comminate da un tribunale statale.

Controllo che si sostanzia nella verifica della uniformità della sanzione comminata nel caso specifico con le altre precedentemente irrogate in ipotesi simili di reato. Nel caso in cui a seguito di tale verifica si rilevi che vi sia stata disparità di trattamento, il board provvede a darne notizia motivata al giudice, al prosecutor, al condannato ed al suo difensore. Entro 120 giorni dalla data della notifica delle conclusioni del board, nel caso in cui sia stato dal medesimo ravvisato il vizio della incongruità della pena, il giudice di prima istanza deve fissare una nuova udienza di sentencing, nella quale provvederà e stabilire una nuova pena, sulla base delle valutazioni effettuate dal board, ma che non potrà essere comunque superiore a quella inflitta in precedenza.

Per quanto riguarda il sistema federale, sin dalle sue origini, esso prevedeva che le appellate courts "dovessero procedere alla pronuncia della sentenza definitiva" (29). Disposizione che fu interpretata nel senso di permettere alle corti d'appello di valutare non solo l'illegittimità della sentenza pronunciata in primo grado - cioè il suo esorbitare dai limiti edittali - ma anche se la pena da essa imposta fosse eccessiva: in questo caso, la corte d'appello aveva il potere di modificarla.

Ma la reale portata dell'Act del 1879, che apparentemente istituisce un sindacato generale delle corti d'appello sulla legittimità e congruità della comminativa sanzionatoria di primo grado, va desunta con riguardo all'organizzazione dell'ordinamento giuridiziario federale dell'epoca. Fino al 1891, anno in cui fu creato un sistema generale d'appello federale con la ristrutturazione delle competenze e dell'organico dei Circuits, non esistevano a livello federale organi dotati di una generale competenza d'appello. Tanto le U.S. District Courts che le U.S. Circuit Courts erano giudici di primo grado: le prime competenti per i reati meno gravi (misdemeanours), le seconde competenti per i reati più gravi (felonies). Alle Circuit Courts era inoltre attribuito il potere di valutare legittimità e congruità della pena solo limitatamente alle sentenze emesse dalle District Courts, e quindi solo nel caso di comminatorie sanzionatorie di reati minori.

Allo stato del Judiciary Act del 1789, le U.S. Circuit Courts erano tribunali di primo grado con una giurisdizione d'appello limitata alle sentenze emesse dalle District Courts. Il potere di sentence review riconosciuto ai Circuits era di fatto scarsamente incisivo nell'ottica del sentencing federale.

Nel 1891, il Congresso riformò struttura e competenze delle U.S. Circuit Courts: con l'Act del 1891, assegnò loro un organico stabile ed indipendente da quello delle District Courts, e sostituì la loro originaria competenza di giudice di primo grado per i felonies con una generale giurisdizione penale d'appello, disponendo che queste nuove corti avrebbero avuto giurisdizione "in tutti i casi sorti sotto la legge penale" (30). Sebbene l'interpretazione più coerente di questa disposizione fosse quella di permettere ai nuovi Circuits of Appeal la c.d. criminal sentence review, a prevalere, alla fine, fu proprio quella di segno opposto: la riforma del 1891 aveva abrogato in via generale la revidibilità in appello dei profili sanzionatori delle sentenze di condanna di primo grado (31). Sulla base della dottrina e giurisprudenza maggioritaria, l'appellabilità della sentenza di condanna emessa a livello federale, almeno fino alla riforma del 1984, è stata sistematicamente esclusa (32).

All'interno della seconda tipologia di interventi riformatori del sentencing, quelli a carattere globale, si può distinguere tra le riforme settoriali, rappresentate dalle c.d. mandatory minimum prison sentence laws e dall'istituto del c.d. flat time sentencing e le riforme sistematiche, che trovarono la loro più estrema realizzazione nella predisposizione delle c.d. presumptive sentencing guidelines (33).

Prima di procedere però all'analisi delle soluzioni adottate dal sistema federale, limitandoci, per ora, ad accennare al fatto che esso optò per quest'ultimo e più radicale modulo di attuazione del determinate sentencing (34), meritano un approfondimento i due istituti che hanno storicamente segnato il passaggio dalle prime, timide istanze attuative di una pena determinata concretizzatesi soprattutto nel ripensamento dell'autonomia dei parole boards, al tentativo di una più complessa riforma in senso generale del sentencing c.d. indeterminato: mandatory minimum prison sentence laws e flat time sentencing.

Ciò che distingue i due istituti dai precedenti tentativi di attuazione di sentencing c.d. determinato, accomunandoli reciprocamente, è l'aver spostato l'attenzione sulla necessarietà dell'intervento che incidesse ab origine sul carattere indeterminato della pena, sull'inevitabilità del ripensamento complessivo del ruolo e della discrezionalità del giudice nel procedimento commisurativo come garanzia dell'effettività della sua riformulazione in chiave determinata.

Se con la rifoma, spesso abrogratrice, del parole si era cercato di intervenire sulla indeterminatezza della pena a livello di fase esecutiva, con l'imposizione di minimi edittali di pena vincolanti per il giudice (mandatory minimum) o con la predisposizione legislativa direttamente del quantum di pena applicabile al caso concreto, si voleva rendere predeterminata anche la fase commisurativa della sanzione penale, fino ad allora regno indiscusso della sovranità del giudice.

Queste due soluzioni legislative miravano direttamente ad espropriare il giudice della sua autonomia nella determinazione della pena, della sua tradizionale discrezionalità nell'individuare il quantum comminabile al caso concreto, discrezionalità processualmente sorretta dalla tradizionale struttura delle cornici edittali nordamericane, caratterizzate per essere aperte nel minimo e molto estese verso il massimo.

Quanto al loro funzionamento processuale, il mandatory minimum si sostanzia nella previsione legislativa del minimo di pena detentiva che il condannato deve obbligatoriamente scontare: ciò significa che la legge, e non il giudice né il parole, stabilisce, per ciascun illecito penale, l'entità minima della pena concretamente comminabile (35).

Meccanismo processuale che, in concreto, conosce diverse formulazioni giuridiche, che vanno dalla previsione in via generale da parte dell'ordinamento di livelli minimi di pena per specifiche categorie di illeciti, in alcuni casi accompagnata anche da quella dei massimi, al mantenimento in capo al giudice della possibilità di scegliere, per i reati meno gravi, per il ricorso ad una sanzione non detentiva. In generale, però, gli strumenti cui si poteva ricorrere, per il tramite del mandatory minimum, alla compressione della discrezionalità del giudice erano due.

Il legislatore provvede, cioè, a fissare direttamente la durata minima obbligatoria di pena detentiva, escludendo del tutto il giudice dal procedimento commisurativo del minimo di pena. Oppure, indica più semplicemente i limiti del minimo di pena che il giudice, questa volta discrezionalmente, è chiamato ad individuare caso per caso: ad esempio, stabilendo che il minimo di pena stabilito dal giudice non sia "inferiore a tre anni" o che non superi la misura di "un terzo del massimo di pena comminata".

Indipendentemente dalle forme attuative che il mandatory minimum conosce, la filosofia alla base dell'istituto è chiara: l'intervento sulle cornici edittali, inserendo un termine minimo legale di pena detentiva, produce un effetto espoliativo dell'autorià tanto in capo al giudice, che perde il potere di stabilire discrezionalmente il minimo di pena applicabile al caso concreto, che in capo alle c.d. executive authorities, la cui soglia di intervento è arretrata alla esecuzione della parte di pena detentiva che sfugge alla previsione minima legale obbligatoria.

La tecnica del flat time sentencing si traduce nel mantenimento in capo al giudice la scelta tra comminatoria detentiva e sospensione condizionale della pena con corrispondente applicazione del probation: ma laddove il giudice opti per la custodia in carcere, la durata della pena detentiva non viene fissata discrezionalmente dallo stesso giudice, ma sarà quella che il legislatore ha predeterminato avendo avuto a riguardo alla personalità criminale del condannato, cioè distinguendo tra delinquenti primari e deliquenti recidivi o socialmente pericolosi.

Pur cambiando i profili procedurali dell'intervento riformatorio, il flat time condivide lo stesso obiettivo del mandatory minimum: attribuire al legislatore il compito di individuare la pena detentiva appropriata al tipo di reato (i.e. alla sua gravità) e alla personalità del suo autore (i.e. la sua reale o potenziale recidiva), spogliando il giudice del potere di procedere a ciò autonomamente.

Note

1. I dati riassuntivi del decennio 1990-2000 dimostrano che questa tendenza all'aumento della popolazione carceraria non solo non accenna a diminuire, ma, piuttosto si dirige verso nuovi, eclatanti record. Alla fine del 2000, la popolazione carceraria degli Stati Uniti d'America conta poco più di due milioni di persone (!), che equivale ad un tasso (incarceration in prison rate) di 478 condannati ogni 100.000 cittadini statunitensi a fronte di tasso pari a 292 riscontrato nel 1990. Ciò significa che 1 uomo ogni 109 e 1 donna ogni 1.695 sono detenuti in carcere sotto la giurisdizione delle autorità statali o federali. Ma se nel computo si inseriscono anche i dati relativi alla custodia detentiva nelle local jails, istituti penitenziari gestiti a livello municipale o di contea preposti di regola all'esecuzione del periodo di carcerazione preventiva o delle condanne fino ad un anno di reclusione, ma nella pratica, cfr. infra, nota 6, sono chiamati ad ospitare anche quella parte di prison sentenced, condannati a pene detentive lunghe, che fuoriescono dalla capacità strutturale-accoglitiva delle prisons statali o federali, il rapporto tra detenuti e cittadini statunitensi (incarceration in prison and in jail rate) sale, nel 2000, fino alla soglia di 699: nel 1990, gli USA contavano "soltanto" 458 detenuti ogni 100.000 residenti sul suolo degli USA. Fonte: U.S. Departement of Justice, Office of Justice Programs, Bureau of Justice Statistics, Prisoners in 2000, August 2001.

2. Martinson R., What works? Questions and Answers About Prison Reform, in The Public Interest, 1974. Il suo contributo consiste in un'analisi dei dati emersi da 231 studi empirici pubblicati tra il 1945 ed il 1967 sull'efficacia del trattamento, utilizzand come parametro di valutazione la recidiva. Pur con tutte le riserve di ordine metodologico generale relative al ricorso all'andamento del tasso di recidiva come strumento di analisi sociologico-criminale, ed in particolare nella verifica di efficacia dei programmi riabilitativi dei condannati, (si pensi alla "rigidità" della tecnica della recidiva: i dati che essa esprime non permettono di distinguere al loro interno le ipotesi di commissione di un nuovo reato di minore gravità rispetto al precedente o riconducibili a fattori diversi, successivi al trattamento, ipotesi cioè indicative di un avvenuto, benché parziale, recupero del soggetto), il lavoro di Martinson e soprattutto le sue conclusioni ebbero un forte impatto nella cultura giuridica nordamericana, fino a quel momento compatta nell'assestarsi su posizioni riabilitative: l'Autore concludeva, sulla premessa che "tranne poche, isolate eccezioni, gli sforzi rieducativi non hanno avuto un effetto apprezzabile sulla recidiva" ["with few and isolated exceptions, the rehabilitative efforts that have been reported so far have had no appreciable effect on recidivism"], (Martinson R., op. cit., p. 25; citato nella traduzione di Mannozzi, Razionalità e giustizia nella commisurazione della pena, cit., p. 119), rispondendo con un perentorio "nothing works" ["non ha funzionato niente", n.d.A.; l'espressione completa dello studioso recita: "... rehabilitation, tested empirically, is a failure; "nothing works" as a prison reform program to reduce recidivism ... "] alla domanda iniziale della ricerca: "che cosa ha funzionato nell'attuazione dei programmi riabilitativi del reo?".

3. Greenberg D.E., Corrections and Punishment, Sage, Beverly Hills, 1977.

4. Riportato in National Academy of Sciences, The Rehabilitation of Criminal Offenders: Problems and Prospects, Washington D.C., 1979, p. 31.

5. L'Accademia Nazionale delle scienze di Washington dichiarò che "le conoscenze acquisite sulla efficacia della pena risocializzatrice dovrebbero indurre, se non ad abbandonare l'ideale rieducativo, perlomeno a non continuare ad investire massicciamente in questo settore", National Academy of Sciences, The Rehabilitation of Criminal Offenders: Problems and Prospects, citato, pp. 32 e ss., parafrasate da Mannozzi, Razionalità e giustizia nella commisurazione della pena, cit., p. 120.

6. Il fenomeno della detenzione dei detenuti di lunga durata, quindi degli autori di crimini gravi e, come tali, bisognosi di forme di intervento recuperativo più incisive, in strutture come le local jails, destinate a soggetti in attesa di giudizio o condannati a pene detentive inferiori ad un anno e quindi strutturalmente inadeguate all'espletamento di efficaci programmi riabilitativi è statisticamente molto diffuso negli USA. Alla fine del 2000, poco più di 63.000 condannati a pene detentive superiori ad un anno a livello federale (2.500) e a livello statale (61.000, rappresentativi di 34 stati e del District of Columbia), hanno scontato la loro pena in local jails o altre strutture gestite da autorità locali (municipali o di contea). Questo fenomeno riguarda il 4.6% del totale della popolazione carceraria statunitense riscontrato nel 2000 ed è direttamente riconducibile a quello del sovraffollamento delle carceri. Le stesse statistiche riferiscono che alla fine del 2000, gli istituti di pena di 27 stati e del District of Columbia operavano al 99% della loro capacità, mentre quelle di altri 21 stati e del sistema penitenziario federale addirittura al di sopra del 100% della loro capacità massima; si stima che le prigioni federali, alla fine del 2000, operassero al 131% della loro capacità, cioè di un 31% oltre la loro massima capacità accoglitiva. Fonte: U.S. Departement of Justice, Office of Justice Programs, Bureau of Justice Statistics, Prisoners in 2000, cit., August 2001.

7. L'inefficacia del trattamento fu uno dei "cavalli di battaglia" della proposta politica delle forze conservatrici nell'America degli anni '70. Per alcuni commentatori, "... conservatives and law enforcement interests [desired determinate sentencing because] parole boards seemed often to release prisoners who continued to pose a danger to society [and judges seemed] "reclutant to send "marginal defendants" to prison ..."; Casper J.D., Determinate Sentencing and Prison Crowding in Illinois, in University of Illinois Law Review, 1984, p. 236, citato da Stih-Cabranes, op. cit., nota 131, p. 206.

8. La critica che spesso è stata mossa all'idea della pena come strumento di controllo e recupero delle forme di devianza sociale è quella costituire da "facciata" [Kate Stith e José A. Cabranes parlano di "sham", cioè di "finzione", "simulazione", se non più incisivamente di "truffa"; Stith-Cabranes, cit., p. 30], da legittimazione scientifica alla "naturale" reazione sociale di fronte al soggetto deviante "irrecuperabile", cioè quella di renderlo permanentemente inoffensivo, condannandolo ad un "trattamento" che non avrà mai fine, e quindi ad una pena che non miri al suo recupero, ma alla tutela della generalità dei soggetti "normali".

9. Su tutti, Kadish che definisce la disparity come "the imposing of different sanctions for the same crime without apparent justification", in Encyclopedia of Crime and Justice, The Free Press, New York, 1983, p. 1449. Sulla stessa linea, Morris N., Punishment and sentencing Reform in the United States, in Revue International de Droit Pénal, 1982, citato da Mannozzi, Razionalità e giustizia nella commisurazione della pena, cit., nota 40, p. 122.

10. Sellin T., Race Prejudice in the Administration of Justice, in American Journal of Sociology, 41, 1935. L'indagine di Sellin dimostrava come i giudici di Detroit punivano con sanzioni più severe gli imputati neri rispetto a quelli bianchi.

11. Nagel S.S.-Weitzman L.J., Women as Litigans, in Hastings Law Journal, 23, 1971. Lo studio, condotto su più di undicimila casi, concludeva che per lo stesso tipo di condotta, le donne avevano più probabilità di ottenere la sospensione condizionale della pena che gli uomini. Conclusione viziata però, come risultò dalla ricerca condotta da Pope nel 1975, dal non avere, gli autori dell'indagine del 1971, tenuto in debito conto dei precedenti penali dei soggetti esaminati: l'indagine successiva dimostrò che le probabilità di scontare la pena in carcere erano sostanzialmente le stesse per uomini e donne; a cambiare, in favore di quest'ultime, era semmai la predisposizione giudiziale a disporre nei loro confronti pene meno severe, di durata inferiore. Si veda Pope C.E., The Influence of Social and Legal Factors on Sentence Disposition, in Journal of Criminal Justice, 4, 1976.

12. Numerose e molto articolate sono state le indagini che nel corso degli anni si sono appuntate sull'incidenza nella commisurazione di alcune caratteristiche individuali del giudice - razza, sesso, estrazione sociale, convinzioni politiche, grado di esperienza - le c.d. extralegal characteristics. Tra le più importanti merita segnalare Gibson J.L., Enviromental Costraints on the Behaviour of Judges: A Representation Model of Judicial Decision-Making, in Law and Society Review, 1980; Hogart J., Sentencing as Human Process, University of Toronto Press, 1961; Nagel S., Off-the-Bench Judicial Attitudes, in Schubert G. (a cura di), Judicial Decision-Making, The Free Press, New York, 1963.

13. In via schematica, le tecniche di indagine sul sentencing possono essere di due tipi. Si può cioè procedere ad una analisi reale, condotta sulla base di studi statistici, cioè su dati reali o ad una indagine di tipo virtuale, condotta attraverso il ricorso alla tecnica dell'indagine di opinione, sottoponendo cioè all'attenzione di un campione di giudici gruppi identici di fattispecie immaginarie per le quali si chiede di irrogare una sanzione. Mentre nel primo caso la disparity verrà provata con riguardo a casi realmente verificatisi, ma la cui classificazione in categorie omogenee nasconde insidie metodologiche tante e tali da metterne in forte discussione i risultati (si pensi alla intrinseca disomogeneità delle caratteristiche individuali di ciascun reo), nel secondo, pur al riparo dai problemi legati alla sistematizzazione di dati empirici disomogenei, il carattere simulato della fattispecie incriminatrice e della sanzione corrispondente ne determina un'eccessiva "virtualità" dei risultati: le risposte sanzionatorie date dai giudici e così collezionate sarebbero prive di un reale riscontro empirico, poiché riferite a fattispecie astratte, dirette ad imputati meramente "virtuali" e soprattutto valutate nel loro aspetto nominale, non essendo prevista la partecipazione al modello simulato anche degli organi diversi dal giudice (prosecutor, probation officer, etc ...) che partecipano al procedimento commisurativo.

14. Tra gli esempi: la tecnica del mandatory minimum sentencing, in cui il legislatore fissa il minimo di pena per ciascun crimine; il c.d. flat time sentencing, il modulo per cui si mantiene in capo al giudice la scelta tra carcere e sospensione condizionata della pena (probation), prevedendo però che laddove il giudice opti per la custodia in carcere, la durata della pena detentiva venga fissata dal legislatore e non dal giudice stesso. Ma anche l'ammissibilità della sentence review, la modificabilità in appello della misura di pena "ingiusta", tradizionalemente negata dai sistemi a c.d. sentencing indeterminato va ascritta a questo movimento di riduzione del margine discrezionale commisurativo del giudice. Cfr. infra.

15. La discussione sulla "direzione" da attribuire al rapporto intercorrente tra emersione istanze noeretributive e collasso del modello trattamentale è intrinsecamente viziata da circolarità. Si può, cioè, legittimamente sostenere che le prime nacquero su input della crisi dell'idea riabilitativa, come del resto altrettanto plausibile è che quest'ultima sia stata determinata, se non del tutto almeno nella sua particolare intensità, dal ripensamento in chiave retributiva della sanzione penale. Certo è che i due fattori hanno interagito in modo fondamentale per la svolta "determinata" del sentencing nordamericano. A nostro avviso, andrebbe privilegiata la tesi secondo la quale sia stata l'erosione di credibilità del trattamento come risposta punitiva globale ad aver creato le condizioni socio-ideologiche per l'avvento della riflessione neoretributiva.

16. Questi, in sintesi gli aspetti unificanti e caratterizzanti le varie formulazioni che sono state date del modello ideale di just desert. Sul punto, si veda Mannozzi, Razionalità e giustizia nella coommisurazione della pena, cit., p. 138.

17. L'adesione alla teoria neoretributiva della pena non ha comportato l'estinzione delle istanze recuperative del reo. Semplicemente, il ruolo del modulo riabilitativo è stato arretrato rispetto alla rilevanza penale delle manifestazioni di devianza o posticipato ad esso, attraverso il mantenimento dei programmi trattamentali nella fase preventiva della responsabilità penale (forme di devianza non penalmente rilevanti) ed in quella esecutiva, subordinando il loro esperimento alla volontaria adesione del condannato. Si capisce il ben diverso impatto della funzione recuperativa della pena nel sentencing c.d. indeterminato e in quello c.d. determinato: tradotta nell'imposizione obbligatoria del traguardo della risocializzazione di se stesso come condizione estintiva della pena nel primo caso, opzione volontaria del detenuto, espressione della sua autonoma volontà di recupero concorrente ma subordinata a quella principale della pena come retribuzione, nel secondo.

18. L'espressione appartiene a Grozio, De jure belli ac pacis libri tres, lib. II, cap. XX, § 1.

19. Così la sezione 1170 del Codice Penale della California, promulgato nel 1976: "Le Assemblee legislative riconoscono e dichiarano che lo scopo della reclusione è punire: tale obiettivo può essere conseguito attraverso comminatorie di pena proporzionate alla gravità del reato, corredate da una clausola che preveda l'uniformità delle pene per coloro che hanno commesso lo stesso tipo di reato in simili circostanze. Le Assemblee legislative riconoscono e dichiarano inoltre che l'eliminazione della disparità di trattamento e l'assicurazione della uniformità nelle risposte sanzionatorie possono essere ottenute attraverso pene determinate, fissate dalla legge in proporzione alla gravità dei reati, anch'essa stabilita dal legislatore, imposte dalle corti con uno specifico procedimento discrezionale"; California Penal Code, 1170 (a) (i), così come riportato in Mannozzi, Razionalità e giustizia nella commisurazione della pena, cit., pp. 137-138.

20. A tal proposito, si vedano Fletcher G., Rethinking Criminal Law, Little, Brown and Company, Boston, 1978; Singer R., Just Desert: Sentencing Based on Equality and Desert, Ballinger Publishing, Cambridge, 1979.

21. Cfr. Morris. N, Punishment and Sentencing Reform in the United States, in Revue Internationale de Droit Pénal, 1982, p. 732, citato da Mannozzi, Razionalità e giustizia nella commisurazione della pena, cit., pp. 143-144.

22. Per tutti, Von Hirsch, Doing Justice. The Choice of Punishment, (Basic Books, New York, 1976), testo che costituisce il rapporto finale dei lavori del Committee for the Study of Incarceration, presieduto dal senatore Goodell, di cui Von Hirsch era direttore esecutivo e al quale partecipò anche Dershowitz.

23. Tra il 1975 ed il 1982, undici stati hanno abolito completamente il parole e diciassette hanno invece introdotto parole guidelines con il compito di vincolare la libera discrezionalità dei parole officials a parametri predeterminati. Più di trenta giurisdizioni hanno promulgato le c.d. mandatory minimum sentence laws, mentre altre giurisdizioni si sono limitate ad istituire meccanismi di revisione delle sentenze, sotto il profilo del carattere discriminatorio della determinazione della condanna, la c.d. sentence review. Ciò per dire che, indipendentemente da come la si voglia guardare, cioè se ad un movimento di riforma parziale piuttosto che ad uno di riforma globale o viceversa, il movimento di riforma in senso determinato del sentencing nordamericano ha coinvolto, seppur in maniera diversa, la stragrande maggioranza dei sistemi giuridici statunitensi. E per precisare che gli istituti attuativi del determinate sentencing non erano, ovviamente, in rapporto di reciproca alternatività: tutt'altro. Infatti nella maggior parte dei casi, l'adesione ad un modello commisurativo determinato si è sostanziata nella progressiva introduzione, da parte dell'ordinamento, di istituti di riforma parziale prima, come ad esempio l'abolizione del parole, per arrivare poi all'adozione di presumptive sentencing guidelines. È questo il caso dell'ordinamento federale, ma anche del Minnesota (1980), dell'Oregon (1977), della California (California's Uniform Determinate Sentenciing Act of 1976) e di molti altri. Sul punto, Kadish, S.H., cit., § 2, pp. 1440-1449; Mannozzi, Razionalità e giustizia nella commisurazione della pena, cit.; Stith-Cabranes, op. cit.

24. "Determinate sentencing can be defined as a system that uses explicit standards to determine how much convicted offenders should be punished, and ensures that the amount of prison time (if any) that the offender will serve is fixed at the time of conviction or very soon thereafter"; Kadish S.H., cit., § 2, p. 1440.

25. Sul punto, si vedano Kadish, S.H., cit.; Mannozzi, Razionalità e giustizia nella commisurazione della pena, cit.; Stith-Cabranes, cit.

26. Cfr. supra, nota 63, Cap. I.

27. Cfr. supra, nota 63, Cap. I.

28. Tecnicamente attuati con l'attribuzione all'imputato della legittimazione a proporre una c.d. motion to correct or reduce the sentence all'organo competente sulla base del modello di review adottato dal singolo ordinamento. Sul punto: Fanchiotti, op. cit., p. 154.

29. Act of March 3, 1879, ch. 176, 20 Stat. 354: "[appellate court] shall proceed to pronounce final sentence". Disposizione così commentata in Stith-Cabranes, cit., nota 3, p. 197: "[t]his provision was interpreted to permit appellate courts to consider not only whether the sentence imposed was lawful - within statutory limitations - but also whether it was excessive, and if so, to modify it".

30. In originale, il testo recita: "in all cases ... arising under the criminal laws".

31. In questo senso, Kutak R.J. - Gottschalk M., In Search of a Rational Sentence: A Return to the Concept of Appellate Review, in Nebraska Law Review, 1974 e Richey C.R., Appellate Review of Sentencing, in Hofstra Law Review, 1978, menzionati in Stith-Cabranes, cit.

32. Per tutti, Freeman v. United States, 243 F. 353 (9th Cir. 1917).

33. Finora ci siamo avvalsi della terminologia proposta in materia da Mannozzi, nel suo lavoro, Razionalità e giustizia nella commisurazione della pena, cit., p. 164. Pur condividendo con l'Autrice l'impostazione che mira a differenziare gli interventi di riforma in chiave determinata dell'indeterminate sentencing in interventi di riforma parziale e interventi di riforma globale, ci sentiamo di dissentire dalla medesima per ciò che attiene alla equiparazione dei fenomeni del mandatory minimum sentence e del flat time con quelli delle sentencing guidelines, in particolari di quelle vincolanti (presumptive sentencing guidelines), sotto l'etichetta unitaria di "riforme globali". A nostro avviso, le due realtà non possono, tuttavia, dirsi equivalenti quanto al loro impatto sistematico nell'assetto tradizionale del sentencing a pena indeterminata. Mentre i primi segnarono limitate, benché indubbiamente penetranti, innovazioni, limitative dell'autorità del giudice, del procedimento commisurativo tradizionalmente orientato al riconoscimento della più ampia discrezionalità giudiziale possibile, quindi pur sempre delle innovazioni di un sistema ancora (perlomeno formalmente in vigore), l'adozione di un sistema di sentencing guidelines prodotte da organi diversi da quelli giurisdizionali e puntigliosamente vincolanti il procedimento commisurativo giudiziale, o quello che ne restava, ha comportato l'adesione sistematica, generale ad un nuovo modello complessivo di determinazione della pena, postulando con ciò il completo superamento di quello tradizionale di pena flessibile. Ben altro significato, quindi, rispetto alla mera introduzione del minimo edittale. Muovendo da queste riflessioni, pare linguisticamente più corretto rendere tale differenza distinguendo, come abbiamo proposto di fare, all'interno del genus delle riforme globali, tra riforme settoriali e riforme sistematiche.

34. Cfr. infra, Cap. III.

35. Valga per tutte la definizione riportata in Kadish S.H., Encyclopedia of Crime and Justice, The Free Press, New York, 1983: "A "minimum" prison sentence is the length of time an inmate must serve before becoming eligible for discretionary release in the absence of a pardon or commutation to a lesser sentence by a state's governor (or the President in the federal system). A "mandatory minimum" sentence law is a statute that requires an offender convicted of a specified crime to be incarcerated, thereby foreclosing probation or any form of suspended sentence; and that requires the imposition of a minimum period of imprisonment, either as a uniform and inflexible statutory provision or as a mandate to the sentencing judge to set a minimum term. In short, a mandatory minimum sentence is a legislative requirement that certain convicted offenders must be sent to prison and must spend a specific period of time there before even being considered for release"; p. 1466, § 7. Più sinteticamente, "il comune denominatore di tutti i modelli di MMPS [mandatory minimum prison sentencing, n.d.A.] attualmente in vigore è rappresentato dalla indicazione legislativa della misura di pena per determinati reati commessi da soggetti con un dato numero di precedenti penali"; Mannozzi, Razionalità e giustizia nella commisurazione della pena, citato, p. 178.