ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 1
I minori extracomunitari in Italia

Federica Pratelli, 2001

1.1. Cenni sul fenomeno dell'immigrazione

I movimenti migratori hanno accompagnato e ritmato la storia della civiltà, storia di scambi e mescolanze. L'epoca presente è caratterizzata da un fenomeno migratorio la cui tendenza dominante è costituita dallo spostamento dai paesi del sud del mondo e dell'est europeo verso i paesi occidentali.

Le cause del processo migratorio vanno ricercate nell'interdipendenza del sistema economico mondiale, caratterizzato dallo sviluppo economico ineguale dei paesi e dallo sfruttamento dell'occidente con l'esportazione dei suoi valori del mercato e del consumo (1).

A determinare i flussi migratori (2) sono quindi ragioni economiche, sociali e politiche come il drammatico impoverimento di molti paesi e la necessità di sfuggire a situazioni di guerra, a regimi oppressivi, a persecuzioni politiche e/o religiose. Nelle spinte migratorie gioca un ruolo determinante l'attrazione esercitata dall'occidente, con la sua capacità di rappresentarsi tramite l'incisività e pervasività dei suoi mezzi di comunicazione come regno della ricchezza, del consumo, della libertà per tutti. A queste cause, che non vanno comunque intese in senso esclusivistico, poiché le spinte migratorie sono anche il prodotto di progetti individuali, va aggiunta la peculiarità della struttura economica della società europea, soprattutto di quella italiana. La struttura economica italiana è caratterizzata sia da un doppio mercato del lavoro, uno ufficiale, garantito, l'altro sotterraneo, non protetto, sia da una crescente tendenza alla flessibilità, aspetti questi che rappresentano un ulteriore fattore di attrazione per gli immigrati (3).

È presente inoltre, nel mercato di lavoro italiano, una considerevole corrente di manovalanza straniera, tendente a riempire gli spazi occupazionali, rifiutati o non desiderati dalla popolazione nazionale, che non vuole svolgere attività faticose o non attraenti.

I governi europei largheggiano nelle affermazioni di ripulsa del razzismo, ma le loro politiche concrete mantengono e rafforzano le condizioni d'ineguaglianza fra europei ed extraeuropei. Appare un'idea prevalente e costante nelle diverse normative italiane e non, quella del migrante come soggetto economico, forza-lavoro, la cui presenza sul territorio e i cui diritti sono condizionati e limitati al suo ruolo di lavoratore per l'economia nazionale.

Anche il nostro paese, che per oltre un secolo è stato terra di emigrazione, (4) si trova oggi di fronte ad un cambiamento di ruoli ed è chiamato a misurarsi, sia sul piano culturale che politico, con l'afflusso di persone provenienti da varie parti del mondo, afflusso crescente e sempre più visibile. (5)

È soprattutto dagli anni ottanta che l'Italia diventa meta per molti stranieri e si trova così a dover gestire un fenomeno nuovo, con tutte le improvvisazioni del caso, con ritardo nelle indispensabili iniziative legislative spesso, caratterizzate dall'emergenza, e senza avvertire l'urgenza della formazione di un'opinione pubblica informata correttamente.

1.2. L'accordo di Schengen

Lo studio dei fenomeni migratori in Italia richiede un accenno sull'impatto dell'accordo di Schengen nel nostro paese. Il 14 giugno 1985 è stato stipulato l'accordo di Schengen tra Francia, Germania, Olanda, Belgio e Lussemburgo che prevedeva la soppressione graduale dei controlli alle frontiere comuni sia per le persone che per le merci. Tale accordo era un'anticipazione di quanto sarebbe stato successivamente deciso in ambito comunitario con l'Atto unico europeo del 1986, che prevedeva la realizzazione del mercato interno, con la libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali dal 1 gennaio 1993.

L'accordo di Schengen è molto importante per le politiche migratorie di tutti i paesi, tre ne sono i punti qualificanti:

  1. libera circolazione di tutti i cittadini aderenti all'accordo e di tutti gli stranieri entrati legalmente in uno degli stati aderenti;
  2. armonizzazione della politica dei visti, di circolazione e di soggiorno dei cittadini extracomunitari; cooperazione tra le polizie di frontiera e doganali per la lotta alla criminalità, alla frode fiscale, all'immigrazione clandestina, al traffico d'immigrati, di armi e di droga;
  3. soppressione dei controlli alle frontiere comuni con conseguente trasferimento e rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne.

L'ingresso o il rifiuto d'ingresso in un paese per un cittadino extracomunitario ha effetti per tutti i paesi aderenti all'accordo. A questo proposito si è incominciato a parlare di 'fortezza Europa'. (6)

L'accordo di Schengen del 1985 comprendeva prevalentemente norme programmatiche che impegnavano gli stati membri a negoziare altri accordi, necessari per l'esecuzione delle misure compensative del deficit di sicurezza derivanti dall'abolizione di controlli alle frontiere. Le trattative tra i cinque stati continuarono pertanto fino alla stesura della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen, composta da 142 articoli che precisavano tutti gli impegni presi nel 1985, firmata il 19 giugno 1990 dai cinque paesi promotori. Tutto il sistema dei controlli previsto dalla convenzione ruota intorno al Sistema Informativo Schengen (Sis).

Il Sis ha l'obiettivo di garantire la pubblica sicurezza, l'ordine pubblico e l'applicazione delle disposizioni della convenzione nell'ambito della circolazione delle persone. Questo sistema consente di controllare in tempo reale da ogni valico di frontiera se la persona in transito è una persona gradita o meno nell'ambito di tutti i paesi aderenti all'accordo.

Per quanto riguarda l'Italia, sin dal 1986 ha chiesto di partecipare all'accordo, ma prima di essere accettata ha dovuto adempiere ad alcune condizioni imposte dagli altri paesi che temevano un afflusso di immigrati illegali dai paesi terzi, attraverso le nostre frontiere. In particolare ha dovuto:

  • abolire la riserva geografica che consentiva il riconoscimento dello status di rifugiato a persone provenienti dagli stati europei;
  • modificare in senso restrittivo la legislazione nazionale in materia di ingresso e soggiorno di stranieri extracomunitari;
  • introdurre l'obbligo del visto d'ingresso per le persone che provengono da alcuni stati, fra i quali quelli del Maghreb e la Turchia;
  • concludere un accordo di riammissione dei clandestini con la Francia.

Nel 1988 l'Italia ha iniziato a partecipare come osservatore ai gruppi di lavoro di preparazione della convenzione. Il 27 novembre 1990 a Parigi ha firmato l'accordo di adesione sia all'accordo di Schengen che alla convenzione di applicazione. La legge di ratifica del 30 settembre 1993, n. 388 comprende tutti gli atti internazionali conseguenti all'adesione dell'Italia all'accordo di Schengen e alcune modifiche all'ordinamento giuridico vigente necessarie per adempiere agli obblighi assunti con la ratifica dell'accordo.

Il 26 marzo 1995 è entrato in vigore l'accordo di Schengen in tutti i paesi aderenti con l'esclusione dell'Italia e della Grecia, per ritardi nella realizzazione di alcuni adempimenti. L'Italia è entrata l'anno successivo: il 26 ottobre 1996.

A partire dall'entrata in vigore degli accordi di Schengen si nota l'adozione di una politica europea di sbarramento nei confronti dei flussi migratori. I successivi accordi di Dublino del 1997, in ordine alla determinazione dello stato competente ad esaminare le domande di asilo, la creazione di strutture collaborative come Europol ed Eurodac, il Trattato di Amsterdam del 1997, ed infine numerosi vertici governativi, sono state tappe di un processo che ha eroso le carte costituzionali di tutti gli stati europei, restringendo i diritti fondamentali degli stranieri entrati clandestinamente nel territorio europeo: 'si è creato per loro un diritto "speciale", caratterizzato dalla negazione sostanziale del diritto di difesa, dalla crescente discrezionalità degli organi di polizia, dell'assenza o della superficialità del controllo giurisdizionale" (7)

1.3. La legge 6 marzo 1998 n.40

L'emanazione di regole relative all'immigrazione è un fenomeno recentissimo, sino al 1989 non esisteva una legge organica in materia. L'ingresso era principalmente una questione di polizia e di sicurezza pubblica, la presenza di stranieri non era tale da destare particolari reazioni e il flusso di clandestini non aveva dimensioni così rilevanti da sollevare problemi urgenti riguardanti i diritti della salute, dello studio, delle famiglie di queste persone. Ovviamente in questo quadro del tutto assenti erano norme specifiche per i ragazzi stranieri adeguate alle nuove caratteristiche del fenomeno migratorio.

Il D.L. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito in legge 28 febbraio 1990 n. 39, recante il titolo Norme urgenti in materia di asilo politico, d'ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato, disciplinò le situazione relative all'ingresso e al soggiorno dei cittadini extracomunitari e regolarizzò la posizione di coloro che nei 180 giorni successivi all'esecuzione del decreto si fossero trovati presenti nel territorio. (8)

Questo provvedimento, detto legge Martelli, dal ministro che l'aveva concepita, si affiancava alla precedente la n. 943 del 1986, senza abrogarla ma cercando di integrarla e di innovarla. In complesso però risultava tutt'altro che agevole rinvenire con sufficiente certezza la disciplina applicabile ad ogni singola fattispecie. Ciò dipendeva anche dalle innumerevoli circolari ministeriali che invece di fornire gli opportuni chiarimenti contribuirono a rendere la materia maggiormente caotica e di difficile comprensione.

A grandi linee tale legge disciplinava l'ingresso e il soggiorno dei cittadini stranieri per motivi di lavoro di studio, di famiglia, di cura e di culto. Si regolarizzava l'accesso al lavoro autonomo, alle libere professioni e si 'dettarono norme relative all'espulsione e si giunse a disciplinare la materia relativa ai rifugiati politici'. (9)

La legge intendeva regolarizzare l'ingresso in Italia attraverso il concetto dei flussi; per cui l'entrata dell'extracomunitario era subordinata alla verifica della disponibilità di forza lavoro in relazione alle diverse mansioni, all'interno delle liste di collocamento secondo un ordine che privilegiava rispettivamente: il lavoratore italiano in stato di disoccupazione, quello comunitario e quello extracomunitario già presente sul territorio.

Nonostante tutti gli sforzi realizzati l'immigrazione veniva ancora affrontata come una situazione di emergenza. Infatti 'uno degli obiettivi principali di queste due leggi è stato la sanatoria delle posizioni irregolari, sia per motivi di lavoro subordinato che di lavoro autonomo'. (10)

Con la nuova legge sull'immigrazione, 6 marzo 1998 n. 40 Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, l'Italia è uscita da una lunga fase di gestione sostanzialmente emergenziale del fenomeno migratorio. Il nuovo quadro normativo trova il suo fondamento in tre linee guida che caratterizzano, o dovrebbero caratterizzare la nuova politica dell'immigrazione:

  • una programmazione degli ingressi legali nell'ambito delle quote stabilite annualmente;
  • un più puntuale ed efficace contrasto dell'immigrazione clandestina e dello sfruttamento criminale dei flussi migratori;
  • un maggiore e più concreto sostegno ai percorsi di integrazione per gli immigrati regolarmente soggiornanti in Italia. (11)

Fra le principali novità introdotte dalla riforma si segnalano la definizione di politiche migratorie attraverso un documento programmatico triennale e la determinazione di quote per l'accesso al lavoro subordinato ed autonomo; una più rigorosa disciplina dell'ingresso, del soggiorno, dell'allontanamento; l'istituzione di centri di permanenza in attesa di espulsione e di respingimento; il riconoscimento di più precisi diritti e doveri e l'istituzione di una carta di soggiorno che contraddistingue la condizione dello straniero 'lungo residente' (da almeno cinque anni), assimilandola a quella del cittadino; il notevole aggravamento delle sanzioni contro coloro che compiono attività dirette a favorire l'ingresso clandestino; l'istituzione di un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale ovvero a favore dei 'collaboratori di giustizia'; un complesso di disposizioni che tutelano il diritto all'unità familiare e i diritti dei minori; più efficaci e incisive norme in materia di assistenza sanitaria, istruzione, alloggio, integrazione sociale; 'specifiche forme di protezione in caso di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi' (12).

Dopo un lungo iter parlamentare, viene così approvata questa legge, ricca di novità positive per quanto riguarda gli inclusi, ma nonostante le intenzioni dichiarate (13), assai 'restrittiva nel settore della politica dell'immigrazione che stabilisce chi da 'esterno' può diventare 'interno' di un paese' (14).

La disciplina dell'immigrazione scelta dall'Italia, non era l'unica possibile (15), non sul piano di principio perché numerose ed eterogenee erano e sono le posizioni favorevoli ad una sostanziale liberalizzazione degli ingressi (16), non sul piano delle compatibilità economiche nazionali, perché il 'fabbisogno annuo di immigrati' (17) per l'economia italiana era ed è maggiore a quello corrispondente agli ingressi regolari (18), non infine sul piano dei vincoli internazionali, perché la tendenziale omogeneità di disciplina richiesta a livello europeo poneva e pone vincoli politici suscettibili di negoziazione e modifiche. (19)

La L. 40/98 va assunta come punto di partenza della politica dell'immigrazione del nostro paese, il punto di arrivo è ancora lontano e richiede immediate precisazioni in sede amministrativa e modifiche normative mirate.

Perno del sistema di controllo dell'immigrazione previsto nella L. 40/98 - in continuità con quanto disposto dall'art. 2 della L. 39/90 - è la politica dei flussi o delle quote (20). Politica di quote significa strategia di programmazione ed indica un metodo, ma poi la questione è aperta perché il tetto annuo di stranieri ammessi può essere di poche unità o molto elevato. A seconda del tetto previsto le quote assumono una funzione stabilizzatrice oppure una funzione promozionale, facendosi così veicolo di chiusura o di apertura delle frontiere. A fronte di questa situazione una politica di quote lungimirante e realistica deve prevedere 'tetti elevati' (21), solo in questo modo si possono arginare gli ingressi clandestini (22).

Nei primi tre anni di effettivo funzionamento, sotto il vigore della legge Martelli, il sistema delle quote ha avuto un univoco ruolo di chiusura, con il tetto di 25.000 ingressi (di cui 10.000 per lavoro a tempo determinato) nel 1995, di 23.000 ingressi nel 1996 e di 20.000 ingressi nel 1997. Né la situazione appare mutata per 1998, posto che il decreto interministeriale 24 dicembre 1997 ha previsto l'ammissione all'ingresso in Italia 'per lavoro a tempo determinato e indeterminato, incluso quello stagionale' di una quota massima di 20.000 cittadini non comunitari (23). Per quanto riguarda il 1999 sono stati previsti 58.000 nuovi ingressi, mentre per il 2000 sono stati previsti 63.000 ingressi, di cui 13.000 per lavoro stagionale (24), e sembra che tale scelta sarà ripetuta anche per l'anno 2001.

Realismo dei flussi significa non solo previsione di tetti elevati ma anche esclusione dagli stessi degli ingressi conseguenti a sanatorie o ad altri fenomeni come i ricongiungimenti familiari e il rifugio umanitario. È la stessa struttura dei flussi che richiede un ripensamento alla luce della cause delle attuali migrazioni e delle caratteristiche del nostro sistema economico. Continuare a configurare l'immigrazione come acquisizione di braccia per lavori prestabiliti, oltre che ingiusto e antistorico, è irrealistico.

Un'accettabile politica dei flussi richiede, come necessaria integrazione, la possibilità di regolarizzazione in maniera permanente chi, al momento dell'accertamento dell'irregolarità, sia in condizioni che ne legittimerebbero l'ingresso (25). Ciò è radicalmente escluso dalla L. 40/1998 che fa della 'tolleranza zero' nei confronti della irregolarità un punto di principio irrinunciabile. Tale ragionamento è nel solco delle strategie che si propongono di governare con la coazione i fenomeni sociali, ma 'l'irregolarità è una costante' (26) di tutte le migrazioni e la possibilità di farla venire alla luce è l'unico antidoto contro la sua trasformazione in criminalità. La possibilità di regolarizzazione permanente è, dunque, strumento fondamentale per una politica duttile e pragmatica dell'immigrazione: razionalità e senso comune vogliono che chi ha trovato una collocazione sociale stabile e adeguata ottenga per ciò riconoscimento e non punizione.

Con questa nuova legge sull'immigrazione, secondo Livio Pepino (27) si realizza un doppio livello di cittadinanza, e il primo indice normativo di questa tendenza è dato dalla considerazione dell'immigrato come ospite in prova perpetua. Questo non è solo implicito nel permesso di soggiorno, ma emerge anche nella disciplina della carta di soggiorno, introdotta dall'art. 7 comma 1 della L. 40/98. La carta di soggiorno è istituto di grande rilievo pratico e simbolico: trasforma il soggiorno da concessione in diritto, attribuisce allo stesso un carattere di tendenziale definitività, radica l'immigrato sul territorio sancendone l'inespellibilità, eppure anche in tale istituto si riaffaccia la precarietà. Il terzo comma del citato art. 7 prevede la revoca della carta da parte del questore in caso di condanna, anche non definitiva, per uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 del codice di procedura penale, e dunque anche per un furto di una lattina in un supermercato, o per un ipotetico danneggiamento aggravato con danno di poche lire. (28)

Un secondo indice di inserimento differenziato, o di cittadinanza parziale per gli stranieri si riscontra sul terreno dei diritti politici. Vi è poi l'estrema difficoltà per lo straniero di ottenere la cittadinanza italiana, tuttora improntata allo jus sanguinis, disciplina, arcaica ed escludente. Tale scelta è condivisa tra le grandi nazioni europee solo dalla Germania, nella quale il governo rosso-verde, una volta insediatosi, ha subito presentato un progetto di legge per 'consentire, gradualmente, a milioni di immigrati che da decenni vivono e lavorano in quel paese l'accesso alla cittadinanza tedesca ed ai loro figli di non restare a vita cittadini di 'serie B'. (29)

Un ulteriore profilo di doppio livello di cittadinanza, sottolinea ancora Pepino sta infine nell'esistenza di un diritto amministrativo e penale parzialmente speciali per gli stranieri. Gli esempi sono numerosi: obbligo di fornire a richiesta dell'autorità di pubblica sicurezza 'informazioni e atti comprovanti la disponibilità di un reddito, di un lavoro o di altra fonte legittima, sufficiente al sostentamento proprio e dei familiari conviventi nel territorio dello stato (30), previsione di un reato ad hoc, punito con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda fino a lire 800.000, per l'ipotesi di mancata esibizione all'autorità di polizia senza giustificato motivo, dei documenti di identificazione (31). Il dato più evidente in questo senso è l'introduzione per gli stranieri di una sorta di detenzione amministrativa del tutto ignota al nostro sistema, ovvero i centri di permanenza temporanea e assistenza (32).

Con l'approvazione della L. 40/98 recepita ed integrata dal decreto legislativo 286 del 1998 -Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (33) -, ai quali articoli si farà riferimento, è possibile prendere atto dell'esistenza di un tentativo di legislazione organica relativa ai diritti e doveri dei cittadini stranieri in Italia.

Un aspetto rilevante della normativa in esame riguarda la disciplina inerente al diritto di famiglia. La L. 40/98 disciplina espressamente 'il diritto all'unità familiare e tutela del minore'; il titolo IV può essere considerato tra le parti più innovative della legge stessa. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 28 del 1995 aveva riconosciuto il rincongiungimento familiare come un diritto soggettivo: la novità di tale formula rispetto alla legislazione precedente consiste proprio nella configurazione del ricongiungimento come un diritto. Particolare attenzione è posta alle misure a tutela dei minori. L'art. 28 del T.u. stabilisce che nei procedimenti amministrativi o giurisdizionali, relativi all'unità familiare, deve essere preso in considerazione il 'superiore interesse' del minore in conformità con quanto previsto dalla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989. È disciplinata, inoltre, la tutela e l'assistenza dei minori a prescindere dalla loro condizione di legalità nel territorio italiano, in particolare in materia di istruzione e salute.

Successivamente il parlamento ed il governo hanno continuato ad emanare provvedimenti in materia di immigrazione, provvedimenti per lo più attuativi della legge e che complessivamente sono comunque in sintonia con la stessa oggi pertanto si deve affrontare, anche per quanto riguarda i minorenni, un corpus normativo assai più completo, coeso e coerente del passato.

Per la loro importanza si segnalano il regolamento di attuazione della legge il D.P.R. del 31 agosto 1999, n. 394 e il decreto che ha ampliato le competenze del Comitato per i minori stranieri, il D. lvo del 13 aprile 1999, n. 113, con relativo regolamento contenuto nel decreto del Consiglio dei ministri del 9 dicembre 1999, n. 535, tali provvedimenti hanno introdotto novità rilevanti la cui portata non si è ancora colto per esteso.

Altre e rilevanti modifiche della condizione giuridica del minore dei ragazzi stranieri si sono realizzate con leggi riguardanti altri temi: vanno ricordate la legge sulla prostituzione minorile e la pedofilia, e quella sul lavoro minorile, in quanto le persone offese dei reati in esse previsti sono principalmente minorenni stranieri. Va però aggiunto che non sempre queste norme emanate sull'onda di spinte emotive pongono la necessaria attenzione alla particolare condizione del minore straniero, per cui di fatto le norme stesse finiscono per non tutelare sufficientemente questi ragazzi.

1.3.1. I minori regolari presenti in Italia

La condizione del minore straniero in Italia è un fenomeno poco conosciuto e scarsamente oggetto delle politiche sociali.

Analizzare questa condizione vuol dire affrontare due ordini di problemi. Il primo è di ordine terminologico-concettuale; infatti finché il termine straniero è utilizzato in contrapposizione a quello di cittadino, il suo significato appare abbastanza chiaro: lo straniero è colui che non è cittadino italiano. La situazione cambia profondamente se invece si tiene conto delle molteplici categorie sociologiche e giuridiche che rientrano nella definizione di straniero. È una logica conseguenza che ciò valga anche per il minore straniero: il bambino adottato brasiliano, la bambina nomade, il figlio di immigrati cinesi, il minore non accompagnato che giunge da un paese in guerra. Nel campo dell'intervento psicologico, ad esempio, ci si chiede se il minore straniero è colui che ha la pelle di colore diverso, anche se nato o cresciuto in Italia, come gli adottati o i figli degli immigrati giunti piccoli o nati nel nostro paese (34), nel campo educativo si distinguono diversi tipi di alunni stranieri, alcuni dei quali sono considerati tali pur essendo cittadini italiani.

Secondo le norme in materia di cittadinanza (35) non sono stranieri i bambini adottati, che acquistano la cittadinanza nel momento in cui diventa definitivo il provvedimento di adozione, mentre lo sono quelli in affidamento preadottivo o in affidamento ex legge 4 maggio 1983, n.184. Sono stranieri i bambini nati in Italia da genitori stranieri, potranno acquisire la cittadinanza italiana se avranno risieduto in Italia senza interruzioni e se al raggiungimento della maggiore età ne faranno richiesta. Infine sono cittadini italiani i figli di un genitore italiano, ovunque nati, e i figli di ignoti trovati nel territorio dello stato.

Fra gli stranieri così individuati, occorre fare un ulteriore distinzione, giuridicamente consacrata dal trattato di Maastricht: quella tra stranieri comunitari ed extracomunitari, basata sull'appartenenza ad uno degli stati della Comunità Europea. Gli stranieri comunitari, o meglio i cittadini dell'Unione, sono di fatto sottratti, a tutta la normativa in materia di stranieri, essendo soggetti di fatto ad una normativa speciale che li equipara agli italiani, ciò ancora di più dopo l'adesione dell'Italia all'accordo di Schengen.

Questo moltiplicarsi delle tipologie del minore straniero è sicuramente il segno di una trasformazione cui sta andando rapidamente incontro la società italiana, in cui più che con lo straniero si ha a che fare con gli stranieri, differenti tra loro per status giuridico, condizione socio-economica, cultura, lingua e progetti.

Il secondo ordine di problemi è invece di tipo statistico: se la possibilità di comprendere un fenomeno sociale è strettamente legata alla capacità di avere il maggior numero di informazioni riguardo ad esso, nel caso del minore straniero la disponibilità di dati attendibili, soprattutto a livello nazionale, è fortemente limitata. Non sempre è chiaro a quale figura di minore straniero si riferiscano i dati statistici relativi a questo fenomeno.

È lecito chiedersi perché di un fenomeno così imponente e rilevante non esista una statistica completa. È la difficoltà di tale operazione a renderla impossibile? Oppure manca una reale presa di coscienza a livello istituzionale della necessità di affrontare questa realtà come un aspetto fondamentale nella vita del nostro paese?

La risposta più probabile è che si continua a ragionare ancora in un'ottica di emergenza, non accettando la realtà di essere divenuti un paese dove il numero degli stranieri sarà sempre maggiore: si continua a non pensarsi come un paese di immigrazione, di rifugio politico, un paese dove giungono coloro che scappano da una guerra, e dove nascono, crescono moltissimi bambini stranieri.

Paradossalmente le statistiche sono molto più attente ed implacabili quando si tratta di conteggiare il numero di minori stranieri che fanno ingresso nelle istituzioni penitenziarie.

L'incertezza delle statistiche sui minori stranieri oggi in Italia non è soltanto un problema formale, ma rischia di fornire un quadro distorto della realtà.

La presenza straniera non si distribuisce uniformemente sul territorio nazionale, determinando così aree di maggiore e di minore attenzione al problema (basta pensare alle diverse leggi regionali dedicate a questi problemi). Ne consegue che, mentre alcune amministrazioni sono riuscite a rispondere a queste nuove esigenze attraverso la riorganizzazione dei servizi, in altre realtà locali il compito è lasciato ancora al volontariato (36).

Non è sicuramente semplice individuare i criteri per far rientrare o meno un minore in una determinata categoria; indubbiamente la caratteristica che accomuna questi ragazzi stranieri riguarda i processi di separazione e distacco dall'ambiente di origine, la difficile costruzione di un'identità ed i problemi di inserimento che la famiglia straniera trova nelle nostre città. (37) Il viaggio sia reale che simbolico dalla cultura di appartenenza (per ambiente familiare o per paese d'origine) alla società d'accoglienza, comporta per tutti i minori che vivono tra due culture, un riorientamento, un cambiamento nelle pratiche quotidiane e nella lingua utilizzata per comunicare.

È comunque stabilita la parità di trattamento nel godimento dei diritti, per i minori stranieri, sia dalla Legge 6 marzo 1998 n. 40 sia dalla fondamentale Convenzione di New York 1989, sui diritti del fanciullo, ratificata in Italia con L. 27 maggio 1991 n. 176.

A queste disposizioni non corrisponde un effettivo riconoscimento della parità di trattamento, riconoscimento che si potrà iniziare a realizzare solo se si verificano alcune modifiche all'organizzazione sociale, degli adattamenti necessari a rimuovere tutti gli ostacoli che continuano a pregiudicare il reale godimento di tali diritti. un esempio eclatante è rappresentato dal sistema scolastico.

Alcune disposizioni della L. 40/98 riguardano in specifico l'istruzione degli stranieri e in particolare, per quanto riguarda i minori si sottolinea l'importanza della disciplina dell'obbligo scolastico, l'effettività del diritto allo studio e l'educazione interculturale (38). Fino al raggiungimento dell'età scolare, i bambini stranieri residenti in Italia possono frequentare l'asilo nido e la scuola materna a parità di condizioni con i figli di italiani. Per quanto concerne la scuola dell'obbligo, in ossequio all'art. 28 della Convenzione di New York sui diritti dei fanciulli, la legge del '98 ha espressamente previsto che tutti i minori stranieri presenti sul territorio nazionale sono soggetti all'obbligo scolastico. A prescindere dalla regolarità del soggiorno, ai minori si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all'istruzione, accesso ai servizi educativi, partecipazione alla vita dell'attività scolastica.

Si è inoltre rifiutato il metodo della creazione di apposite classi speciali e l'alunno straniero è stato inserito nel normale corso scolastico.

Tali cambiamenti non hanno eliminato i problemi legati all'integrazione visto che la scuola si trova ancora impreparata a far fronte ai bisogni di apprendimento dei bambini non italofoni. (39) Non esistono percorsi didattici o materiali specifici, né gli insegnanti hanno oggi una competenza professionale che permetta loro di insegnare l'italiano come seconda lingua, in una situazione in cui essa è la lingua d'uso.

La lingua, dunque, è al centro delle preoccupazioni della scuola, ma solo la lingua italiana, dato che l'essere italofoni rappresenta la condizione indispensabile per un inserimento positivo. La lingua del bambino e della sua famiglia viene ignorata dalla scuola, o ritenuta quasi un ostacolo all'apprendimento dell'italiano. La padronanza della prima lingua, orale e, a volte, anche scritta, viene raramente considerata come una ricchezza, una risorsa dell'alunno straniero (40).

1.3.1.1. I minori accompagnati

La componente numerica più consistente di minori presente in Italia è data dai minori nati nel nostro paese da genitori immigrati. Appare evidente che ormai anche in Italia si sta lentamente verificando quel cambiamento che è già avvenuto in molti altri paesi; dopo una fase in cui erano presenti soprattutto immigrati senza prole, si sta passando ad un'immigrazione caratterizzata da una maggiore rilevanza dei minori.

Tali minori, in base alla normativa del 5 febbraio 1992 n. 91, Nuove norme sulla cittadinanza, acquisteranno la cittadinanza italiana al compimento dei diciotto anni. Un figlio di genitori stranieri nato in Italia potrà ottenere la cittadinanza italiana al compimento di diciotto anni, un mese e un giorno, presentando la domanda all'ufficio cittadinanza del Comune di residenza. Dovrà inoltre dimostrare, con un certificato di avere ininterrottamente vissuto in Italia fin dalla nascita e che i suoi genitori sono in possesso di un regolare permesso di soggiorno. Questo perché in Italia non vige lo ius soli, grazie al quale la cittadinanza è concessa a tutti coloro che nascono sul territorio di una nazione, come avviene negli Stati Uniti, ma lo ius sanguinis, che lega la cittadinanza a quella dei propri genitori (41).

Il minore straniero che entra in Italia con uno o entrambi i genitori rappresenta la fattispecie meno numerosa.

Si è osservato come i minori immigrati con uno o entrambi i genitori (42) possono sentirsi doppiamente stranieri, sia rispetto al paese d'origine dei familiari sia rispetto al paese d'arrivo. Il minore cerca quindi di mediare tra due mondi, è abitante di quella 'terra di mezzo', che può determinare insicurezza e disagio, ma che può essere anche vista come l'inizio di una condizione di scambio, di arricchimento e d'interculturalità.

Tale minore deve essere provvisto dei documenti richiesti, cioè il passaporto e il visto d'ingresso (43): in mancanza viene respinto alla frontiera. L'ingresso può avvenire in base a specifici motivi, ognuno dei quali richiede un iter specifico. Una volta entrato in Italia regolarmente il minore viene iscritto nel permesso di soggiorno del genitore (44). Sia la legge 28 febbraio 1990 n. 39- Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello stato - che la recente legge 6 marzo 1998 n.40 - Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero - prevedono tassativamente i motivi per i quali è consentito l'ingresso nel territorio italiano:

  • motivi di carattere umanitario;
  • motivi di lavoro:
    • subordinato;
    • domestico;
    • autonomo;
    • stagionale;
    • rapporti di lavoro speciali o atipici;
  • motivi di ricongiungimento familiare;
  • motivi sanitari.

Il permesso di soggiorno è un'autorizzazione che lo stato italiano rilascia agli stranieri che sono entrati nel nostro paese regolarmente. Tale documento è richiesto al questore della provincia in cui lo straniero si trova entro il termine di otto giorni lavorativi dall'ingresso in Italia. La durata del permesso è variabile e dipende dai motivi per cui viene rilasciato; può essere rinnovato per un periodo non superiore al doppio della durata stabilita nel rilascio iniziale, 'il rinnovo deve essere effettuato con richiesta al questore competente per territorio almeno trenta giorni prima della scadenza' (45).

Il permesso e l'eventuale rinnovo possono essere rifiutati o revocati sia quando mancano i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello stato, sia sulla base di convenzioni o accordi internazionali resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli stati contraenti, salvo che ricorrano motivi di carattere umanitario, o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano.

Il permesso di soggiorno consente allo straniero di soggiornare per periodi limitati nel nostro paese: se si trova in Italia da almeno cinque anni può ottenere la carta di soggiorno (46), che a differenza del permesso ha una durata illimitata. Perché sia concessa, dal questore, è necessario che il permesso sia stato rilasciato per un motivo che consente un numero indeterminato di rinnovi. Lo straniero al momento della richiesta deve dimostrare di avere un reddito sufficiente per il sostentamento della propria famiglia. Dopo la concessione, a prescindere dal motivo per il quale ha ottenuto la carta, può, tra l'altro, fare ingresso in Italia senza visto, svolgere ogni tipo di attività che non sia espressamente riservata dalla legge al cittadino italiano, accedere ai servizi erogati dalla pubblica amministrazione, partecipare alla vita pubblica locale, esercitando anche l'elettorato. Su quest'ultimo punto è stato osservato come, anche ai fini di facilitare l'integrazione dello straniero nella realtà locale dove è destinato a vivere, sarebbe stato più opportuno che il 'rilascio del documento in questione fosse stato di competenza non del questore ma del sindaco' (47). Questo documento può essere concesso solamente a determinate condizioni e può essere revocato. Tra le condizioni richieste si ritiene che vi sia, pur non citata dalla legge 40/98, 'l'assenza di richiesta di inammissibilità da parte di uno degli stati firmatari l'accordo di Schengen'. (48)

La legge 40/98, disciplina la condizione del minore straniero, con riguardo alla possibilità di usufruire di un permesso di soggiorno, distinguendo tra minori e maggiori di quattordici anni, e tra minori conviventi con i genitori e minori affidati. Si possono individuare i seguenti casi:

  • il minore straniero infraquattordicenne, convivente con il genitore straniero regolarmente soggiornante, è iscritto, come ho già detto, nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno di uno o di entrambi i genitori, fino al compimento del quattordicesimo anno di età. (49) Il minore segue in tal caso la condizione giuridica del genitore convivente. Nel caso in cui i genitori, entrambi conviventi con il minore, abbiano condizioni giuridiche differenti, il minore segue la condizione del genitore che si trova nella condizione più favorevole. Se di regola l'iscrizione del minore nel permesso o nella carta di soggiorno del genitore deve avvenire a seguito di ricongiungimento familiare o ingresso al seguito, nonché ovviamente in caso di nascita in Italia, l'iscrizione dovrebbe riguardare anche i figli minori già presenti nel territorio italiano, ma in condizione irregolare (50);
  • Il minore infraquattordicenne affidato ai sensi dell'art. 4 (51) legge 4 maggio 1983, n. 184 - Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori -, è iscritto nel permesso, o nella carta di soggiorno dello straniero cui è affidato e ne segue la condizione giuridica. (52) La formulazione di questa norma appare lacunosa, in quanto nulla si prevede nel caso in cui il minore straniero sia affidato ad un cittadino italiano, o ad una comunità di tipo familiare. Alcuni sostengono che in tal caso verrà rilasciato al minore un analogo permesso di soggiorno per motivi familiari di affidamento, non essendo giustificabile un trattamento differenziato nel caso in cui l'affidatario sia di nazionalità italiana.
  • Il minore ultraquattordicenne beneficia di un autonomo permesso di soggiorno per motivi familiari, valido fino al compimento della maggiore età, oppure di una carta di soggiorno (53). Il rilascio del permesso di soggiorno al minore ultraquattordicenne sembrerebbe riservato soltanto al minore che conviva con almeno un genitore regolarmente soggiornante in Italia, ovvero con un affidatario straniero. Anche nel disciplinare la condizione giuridica del minore al compimento del quattordicesimo anno di età, la norma appare lacunosa, in quanto niente dice riguardo l'affidamento a comunità di tipo familiare o a famiglie o a singoli di nazionalità italiana. Vedremo successivamente le diverse posizioni riguardo questo delicato tema.

1.3.1.2. Il ricongiungimento familiare

Il criterio base delle nuove politiche dell'immigrazione, cioè la complementarietà tra gli interventi volti a facilitare l'integrazione nel nostro paese degli immigrati regolari e le iniziative per il contrasto e il controllo dell'immigrazione clandestina trova applicazione nell'ambito delle politiche familiari. Tali scelte mirano a riconoscere il più possibile il diritto universale all'unità familiare e a cercare di combattere il fenomeno dei cosiddetti ricongiungimenti di fatto. Questo tipo di ricongiungimento si ha quando la famiglia divisa si riunisce nella clandestinità soprattutto a causa delle difficoltà incontrate nel raggiungere i requisiti richiesti per la riunificazione legale e per il lungo iter burocratico legato alla concessione del ricongiungimento. (54) Con l'obiettivo di evitare le ricomposizioni familiari illegali, aspetto dell'immigrazione clandestina di particolare rilievo per i suoi risvolti sociali e umanitari, il legislatore è andato a modificare, rispetto alla normativa precedente, i requisiti per la domanda di ricongiungimento, le figure familiare per cui è possibile chiederlo e le modalità di attuazione dello stesso.

L'art. 26 della L. 40/98, che introduce tale diritto, si occupa di tre aspetti fondamentali:

  • la condizione dei familiari stranieri di cittadini stranieri, cioè di cittadini di paesi non appartenenti all'Unione Europea, titolari in Italia di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, cui la legge riconosce il diritto a mantenere e/o riacquistare l'unità familiare;
  • la condizione dei familiari stranieri di cittadini italiani o dell'Unione Europea;
  • il preminente interesse del minore che dovrà costituire criterio di valutazione prioritario, da considerarsi in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali, finalizzati a dare attuazione al diritto all'unità familiare, come sancito dall'art. 26, comma 3, ove si richiama l'articolo 3, comma 1 (55) della Convenzione di New York del 1989.

Va segnalato, in proposito, che nella stessa L. 40/98, alcune disposizioni riguardanti i rapporti familiari dei minori appaiono costituire diretta applicazione di questo principio. Si pensi in particolare al ricongiungimento del genitore naturale, al trattamento più favorevole riservato ai genitori stranieri di minori italiani, e ancora alla speciale procedura con cui il Tribunale per i minorenni può autorizzare temporaneamente l'ingresso o la permanenza in Italia di parenti di minori che già si trovano sul territorio nazionale. (56)

Il diritto al mantenimento o alla riacquisizione dell'unità familiare risulta configurato dalla normativa come un vero e proprio diritto soggettivo, pur sottoposto a limiti e condizioni precisati con modalità diverse. La disciplina si differenzia a seconda che si tratti di familiari stranieri di cittadini stranieri, o di familiari stranieri di cittadini italiani, o dell'Unione Europea, nei confronti degli specifici istituti e delle procedure preposti alla tutela dell'unità familiare.

Data l'impostazione di questo lavoro mi soffermerò ad analizzare solo l'ipotesi dei familiari stranieri di cittadini stranieri, cioè di cittadini non appartenenti all'Unione Europea.

Il ricongiungimento familiare può essere richiesto solo da coloro che sono titolari di una carta di soggiorno o di un permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, rilasciato per lavoro subordinato, lavoro autonomo, per asilo o per motivi religiosi. (57)

Lo straniero può chiedere il ricongiungimento familiare per:

  • il coniuge non legalmente separato;
  • i figli minori a carico, anche del coniuge, o nati fuori dal matrimonio, non coniugati oppure legalmente separati, a condizione che l'altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso;
  • i genitori a carico;
  • parenti entro il terzo grado a carico, inabili al lavoro secondo la legislazione italiana. (58)

Lo straniero, salvo che si tratti di rifugiato, (59) per poter richiedere il ricongiungimento, deve avere la disponibilità di un alloggio in linea con i parametri minimi, previsti per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica; deve inoltre percepire un reddito annuo rapportato all'assegno sociale o a multipli di quest'ultimo, a seconda del nucleo di familiari per cui si richiede il ricongiungimento. È importante sottolineare che, ai fini della determinazione del reddito, si tiene conto del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente. (60)

La domanda va presentata alla questura del luogo di dimora del richiedente, verificata d'ufficio la sussistenza delle condizioni di legge, il provvedimento di accoglimento o di diniego deve essere pronunciato entro novanta giorni. Pertanto se in questo arco di tempo nessun provvedimento viene adottato, l'interessato può ottenere il visto d'ingresso direttamente dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, presentando copia degli atti contrassegnati dalla questura e da cui risulti la data in cui la domanda è stata presentata. (61) Ipotesi questa di silenzio/assenso sulla richiesta del visto per il ricongiungimento, che secondo il legislatore può contribuire a sveltire il procedimento, e rendere meno pesante per gli stranieri la richiesta, date le innumerevoli procedure burocratiche, con le quali sono costretti a convivere. Allo straniero che è entrato in Italia con visto d'ingresso per ricongiungimento familiare viene rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari. (62)

Tale tipo di soggiorno consente al titolare l'accesso ai servizi assistenziali, l'iscrizione nelle liste di collocamento, lo svolgimento di lavoro subordinato o autonomo, fermi i requisiti minimi di età per lo svolgimento di attività di lavoro. (63)

La portata innovativa di queste disposizioni è notevole, soprattutto riguardo la possibilità dell'immediato ingresso nel mondo del lavoro, se si considera che la L. 39/90 riconosceva ai titolari di permesso di soggiorno per motivi familiari l'autorizzazione al lavoro solo dopo un anno di soggiorno regolare nello stato. Obiettivo del legislatore del '98 non è quindi solo quello di garantire il diritto all'unità familiare, ma 'favorire la piena integrazione dei familiari dello straniero' (64).

Un altro aspetto importane e innovativo della legge del '98, è dato dal rapporto tra ricongiungimento familiare e quote. Come ricordato uno dei principi alla base della legge è l'individuazione di quote annuali. (65) È previsto, infatti, che il governo annualmente emani un provvedimento, detto decreto-flussi, con il quale si prevede il numero di ingressi in Italia, di lavoratori stranieri per l'anno in corso. Il decreto flussi non ha come scopo la delimitazione delle entrate totali di stranieri sul territorio nazionale, ma solo di quelle dei lavoratori extracomunitari, non rientrano nel numero degli ingressi: i ricongiungimenti familiari, i richiedenti asilo, e le ipotesi di protezione temporanea. L'intenzione manifestata dal governo in questo senso si è realizzata col decreto sulle quote del 16 ottobre 1998, nel quale si è chiarito che i ricongiungimenti non rientrano nelle quote. Inoltre nel decreto devono essere prese in considerazione le condizioni generali del mercato del lavoro e la capacità di accoglienza in modo da individuare le reali opportunità di inserimento presenti in Italia, 'nel rispetto sia dei diritti delle persone immigrate che della necessaria gradualità con la quale la società italiana è in grado di accettare la crescente presenza straniera (66).

Si è detto che il questore, esaminata la domanda per ottenere il ricongiungimento, verificati i requisiti o concede il nulla osta o emette un espresso provvedimento di diniego.

Contro il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare, nonché agli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa, in materia di diritti all'unità familiare, l'interessato può presentare ricorso al giudice monocratico, ex pretore, del luogo di residenza, il quale sentito l'interessato emette un decreto motivato ai sensi degli articoli 737 e seguenti c.p.c., il giudice, può direttamente disporre il rilascio del visto anche in assenza di nulla osta.

Al di là delle specifiche disposizioni dettate dalla L. 40/98 a tutela del diritto all'unità familiare, e in particolare in tema di ricongiungimento familiare, è opportuno ricordare che in tema di garanzia della convivenza del nucleo familiare nei confronti di stranieri nel nostro ordinamento la Corte Costituzionale è intervenuta con due importanti pronunce.

Tali sentenze sono entrambe relative a questioni di legittimità costituzionale, sollevate con riferimento all'art. 4 (67) L. 30 dicembre 1986 n. 943, Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine, che prima dell'entrata in vigore della L. 40/98, disciplinava il ricongiungimento familiare.

Con la prima sentenza n. 28 del 1995 la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal T.A.R. Friuli- Venezia Giulia con riferimento all'art. 4 citato, ritenendo non accettabile l'interpretazione che restringeva i destinatari dell'istituto del ricongiungimento familiare ai soli immigrati extacomunitari titolari di lavoro subordinato, escludendo chi svolge lavoro familiare. Tale interpretazione restrittiva era per la Corte, lesiva delle norme costituzionali che assicurano protezione alla famiglia, ai minori al lavoro.

La seconda sentenza, n. 203 del 1997, ha invece dichiarato l'illegittimità dell'art. 4 comma 1, L. 943/86, nella parte in cui non prevedeva, a favore del genitore straniero extracomunitario, il diritto al soggiorno in Italia per ricongiungersi al figlio minorenne e convivente in Italia con l'altro genitore, non unito al primo in matrimonio.

Il giudice costituzionale, al fine di garantire in ogni caso la tutela degli interessi del figlio minorenne, disancora il diritto al ricongiungimento familiare dallo stato di rapporto dei genitori fra di loro, per ricostruirlo interamente intorno al nucleo genitore-figlio. A questo rapporto viene riconosciuta un'autonoma rilevanza costituzionale, a prescindere dal fatto che esso si collochi nell'ambito di una famiglia. I diritti della cui tutela si discute, non sono quelli della 'famiglia di fatto', ma quelli del genitore e del figlio: il diritto del figlio minorenne a poter beneficiare dell'affetto e della presenza del genitore, e il reciproco diritto-dovere del genitore di poter contribuire al mantenimento, all'istruzione, all'educazione del figlio.

Questi diritti fondamentali dell'uomo, in quanto tali spettanti anche allo straniero, sono violati da qualsiasi disciplina normativa che, ai fini del ricongiungimento familiare, ignori la situazione di 'coloro che, pur non essendo coniugati, siano titolari della loro condizione di genitori.'

Strutturata e focalizzata com'è sulla tutela del rapporto genitore-figlio, la sentenza ottiene il risultato di configurare un diritto soggettivo al ricongiungimento in capo ad ogni genitore che si trovi in un paese estero rispetto al figlio minore che già risiede legittimamente in Italia, indipendentemente dal fatto che egli possa avere altro titolo legale di soggiorno, e indipendentemente dal fatto che egli abbia ancora qualche rapporto con l'altro genitore. Sicché ha diritto a ricongiungersi con il proprio figlio anche chi non è già legittimamente residente e occupato in Italia, ed anche chi non è coniugato e neppure convivente more uxorio con l'altro genitore.

In entrambe le pronunce, la Corte Costituzionale ha chiaramente riconosciuto che nel nostro ordinamento la garanzia della convivenza del nucleo familiare si radica nelle norme costituzionali che assicurano protezione alla famiglia e in particolare, nell'ambito di questa ai figli minori. Vengono qui in rilievo il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio (68) e il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell'unità della famiglia. (69)

1.3.1.3. Il diritto d'asilo

Per evidenti motivi di ordine giuridico, storico, sociologico e psicologico è importante tenere distinta la figura del minore richiedente asilo, da quella del minore immigrato, con cui spesso viene confusa.

L'intera disciplina normativa riguardante l'asilo si inserisce solo in parte nel sistema della disciplina generale dell'immigrazione straniera, perché sempre più di frequente il diritto ha dovuto disciplinare fenomeni non soltanto di fuga individuale, ma anche di esodo di massa di un numero notevole di persone. Si spiega dunque perché siano stati conclusi molti accordi internazionali in materia, anche diretti a creare forme di asilo provvisorio in attesa di una soluzione definitiva.

L'asilo, nel diritto internazionale generalmente riconosciuto, consiste: 'nella protezione accordata da uno stato, all'interno della propria sfera territoriale (asilo territoriale), o in altro luogo (asilo extraterritoriale nelle missioni diplomatiche, a bordo di navi o di aereomobili), ad uno straniero che ne faccia richiesta' (70). L'art. 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo prevede che ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni, (salvo che la persona sia ricercata per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite). Di per sé ogni stato è libero di determinare se e a quali condizioni concedere o negare l'asilo sul proprio territorio.

Il diritto d'asilo in Italia è previsto dalla norma costituzionale, (71) tale articolo rimase inattuato fino a quando l'Italia non ratificò e diede esecuzione con legge 24 luglio 1954, n. 722 alla Convenzione di Ginevra del 1954, sui rifugiati.

È opportuno distinguere tra il diritto d'asilo e i rifugiati. Il diritto d'asilo si può definire come il diritto soggettivo di cui gode lo straniero e consiste nella facoltà di entrare per soggiornare in un territorio straniero in cui trova protezione contro l'espulsione e il respingimento verso un paese nel quale la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate, o come meglio stabilisce l'art. 10, comma 3 della Costituzione, nel quale sia impedito l'effettivo esercizio delle libertà democratiche (anche di una sola) a tale diritto corrisponde per lo stato, l'obbligo di ammettere lo straniero nel proprio territorio.

Il termine 'rifugiato' non è invece menzionato dalla Costituzione e non coincide con quello del richiedente asilo. Infatti è considerato rifugiato dalla Convenzione di Ginevra colui che: "temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trovi fuori dal paese in cui è cittadino e non possa e non voglia, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori dal paese di cui aveva la residenza abituale, a seguito di tali avvenimenti non può e non vuole tornarvi per il pericolo di cui sopra". La Convenzione di Ginevra individua il concetto di rifugiato in quello dello straniero che, almeno, è in pericolo di subire persecuzioni individuali, mentre per godere del diritto d'asilo è sufficiente non poter effettivamente esercitare anche una sola delle libertà democratiche garantite nella Costituzione. 'Il rifugiato (sottoinsieme) è soltanto una delle categorie di stranieri (insieme) che hanno diritto all'asilo nel territorio italiano in base all'art. 10, comma 3. Si può dunque affermare che attualmente quasi soltanto allo straniero cui è riconosciuto lo status di rifugiato è concesso asilo dalla legge e dalla prassi, così che la Costituzione appare violata nei confronti degli altri stranieri.' (72) Inoltre lo status di rifugiato sembra assicurare particolari benefici a chi lo ottenga, mentre il diritto d'asilo sembra avere un contenuto tendenzialmente minore, cioè il diritto a permanere nello stato, a non esserne espulso.

Al momento della ratifica della Convenzione di Ginevra l'Italia ha mantenuto la limitazione geografica, in base alla quale lo status di rifugiato politico veniva attribuito solo a coloro i quali provenivano dai paesi europei. Tale limitazione è stata abolita dalla l. 39/90, che ha tentato di regolamentare un fenomeno così delicato.

La procedura da seguire per chiedere lo status di rifugiato non è molto semplice: la domanda scritta nella propria lingua, di regola va presentata alla polizia di frontiera (73) al momento dell'ingresso in Italia. La domanda deve contenere i dati anagrafici e i motivi della richiesta dello status di rifugiato politico o di asilo e, per quanto è possibile, idonea documentazione comprovante la persecuzione subita. La polizia di frontiera invierà la pratica alla questura del luogo di dimora, il questore rilascia un permesso di soggiorno temporaneo valido fino alla definizione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato. Normalmente il permesso è valido tre mesi, tempo ritenuto necessario affinché la domanda venga esaminata dalla specifica Commissione Centrale (74) per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Le decisioni della Commissione possono essere: di accoglimento o di rigetto. Il rifugiato riconosciuto è stato equiparato all'apolide, con l'esclusione degli obblighi inerenti al servizio militare, può chiedere la naturalizzazione dopo cinque anni di residenza legale o dopo tre anni dalla data del matrimonio con cittadino italiano. In caso di rigetto della richiesta può essere proposto ricorso giurisdizionale. Proprio questa materia è stata oggetto di una sentenza della Corte di Cassazione datata 8 ottobre 1999. La Suprema Corte sezioni unite civili ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie relative al mancato riconoscimento dello status di rifugiato da parte della Commissione Centrale. La Corte ha preso le mosse dall'espressa abrogazione, contenuta nell'art. 46 L.40/98, dell'art. 5 della L. 39/90 che attribuiva al giudice amministrativo TAR la decisione sull'impugnazione del provvedimento di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato.

La Cassazione ha sostenuto come la giurisdizione deve essere determinata in base ai principi generali dell'ordinamento, secondo i quali tutte le controversie concernenti lo status delle persone rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario. In appoggio a tale argomento, la Corte ha fatto riferimento alla disposizione contenuta nella Convenzione di Ginevra 1951 che garantisce ad ogni rifugiato il libero e facile accesso ai tribunali degli stati contraenti, parificando la sua condizione a quella di cittadini.

In generale l'accoglienza dei rifugiati non implica il riconoscimento di status di rifugiato; ed è così che in tutti i paesi europei si registra uno scarto molto notevole tra il numero dei richiedenti asilo e il numero di coloro che effettivamente ottengono lo status di rifugiato politico. Questo accade sia perché la richiesta d'asilo, in qualche caso, può essere una sorta di escamotage per entrare in un determinato paese, ma anche perché è oggettivamente difficile definire l'effettiva situazione di rifugiato.

La circolare del Ministero dell'Interno del 23 dicembre 1999 relativa al regolamento di applicazione della legge sull'immigrazione conferma per la prima volta per iscritto la possibilità, già ampiamente diffusa e consolidata nella prassi, per le questure di rilasciare appositi permessi di soggiorno per motivi umanitari. Questi permessi hanno una durata annua, sono validi per accedere al mondo del lavoro, possono essere rilasciati ai richiedenti asilo che si siano visti respingere l'istanza di riconoscimento dello status di rifugiato, ma ai quali l'apposita Commissione Centrale abbia riconosciuto valide ragioni per non far ritorno nel paese d'origine. Le motivazioni per le quali può essere concesso tale permesso sono quelle richiamate dall'art. 5, comma 6 del Testo Unico (75), riconducibili a ragioni di carattere umanitario o derivanti dagli obblighi internazionali, o da quelli costituzionali inerenti al diritto d'asilo.

La formulazione della circolare sembra sottolineare il carattere di raccomandazione della segnalazione della Commissione Centrale, non giuridicamente vincolante per la questura. Il richiamo contenuto nella circolare deve essere valutato positivamente, nell'attesa che il disegno di legge sull'asilo possa completare il suo iter parlamentare e consentire una piena attuazione nel nostro paese di un sistema normativo organico in materia di diritto d'asilo.

Dato lo squilibrato rapporto tra richiedenti asilo ed effettiva concessione dello status di rifugiato, molti paesi sono ricorsi a soluzioni contingenti, che portano all'accettazione legale dell'immigrato nel territorio nazionale, senza il riconoscimento di tale status. Nonostante la norma costituzionale sia ritenuta di immediata applicazione, soltanto agli inizi del 1990 sono state di fatto introdotte nell'ordinamento italiano alcune figure di 'asilo umanitario'distinte dallo status di rifugiato, mediante una disciplina tardiva e sostanzialmente improvvisata con forme disomogenee. Primo intervento in questo senso per gli albanesi sbarcati in massa in Italia dall'ottobre 1990 al marzo 1991, poi a partire dall'autunno 1991 per gli sfollati dagli eventi bellici nelle Repubbliche dell'ex Jugoslavia, infine dal settembre 1992 per tutti i cittadini somali. Da ultimo una disciplina più generale sembra essere stata introdotta con il decreto di programmazione per il 1993 dei flussi di ingresso in Italia per lavoro.

Al di là di questi istituti la Costituzione resta non pienamente attuata nella prassi, perché tuttora manca una disciplina organica dell'asilo umanitario che in generale consenta allo straniero che ne gode, di soggiornare per lavorare e per studiare fino alla cessazione degli eventi che lo hanno costretto alla fuga. Perciò lo straniero che non sia albanese, somalo o ex jugoslavo, e che però sia in fuga dal suo paese senza essere individualmente perseguitato, 'utilizza la sola via praticabile per poter godere almeno di un asilo provvisorio, presentando la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, pur non avendone i requisiti' (76). Si susseguono così moltissime domande di riconoscimento dello status di rifugiato che sono poi respinte senza che peraltro lo straniero possa lasciare il paese.

Nel caso di minore richiedente asilo alla frontiera si possono verificare due differenti situazioni: quella in cui il minore giunge insieme ad almeno un familiare che chiede di essere riconosciuto come rifugiato; quella in cui il minore straniero non è accompagnato da alcun familiare. Qualora si tratti di minori non accompagnati, viene data comunicazione della domanda al Tribunale dei minori competente per territorio 'ai fini della adozione dei provvedimenti di competenza'. In realtà gli interventi che devono essere adottati in questo caso sono alquanto complessi, poiché le problematiche relative alla richiesta di asilo si sommano a quelle riguardanti i minori non accompagnati. Le diverse situazioni possono essere distinte a seconda che il minore sia giunto in Italia per sua scelta o per imposizione del familiare; che la famiglia d'origine esista ancora, e in caso positivo che si possa realizzare il rimpatrio.

Quando la riunificazione con la famiglia risulta impossibile, allora, in assenza di una persona adulta che eserciti la patria potestà sul minore straniero, viene richiesta l'apertura della tutela, che permette al minore di soggiornare regolarmente in Italia. Con l'apertura della tutela, si cerca anche una sistemazione idonea del minore, in genere in istituto o facendo ricorso all'affido eterofamiliare, o anche all'affidamento preadottivo.

Affinché la classificazione delle diverse tipologie dei minori sia il più esauriente possibile è necessario effettuare un cenno sul minore apolide.

Una persona può essere apolide fin dalla nascita oppure diventarlo perché lo stato la priva della cittadinanza, circostanza che avvicina notevolmente la figura dell'apolide a quella del rifugiato.

La condizione di apolide è regolamentata nel nostro paese dalla L. 1 febbraio 1962, n.306, che ha ratificato la Convenzione di New York del 28 settembre 1954, secondo la quale è apolide 'una persona che nessuno Stato considera come suo cittadino in base al proprio ordinamento'.

Vi sono anche situazioni in cui è lo stesso soggetto a rinunciare alla cittadinanza. In questo caso, accanto alla possibilità di una condizione di apolidia de facto può anche realizzarsi quella de jure, in cui all'apolide viene rilasciato, dalle autorità centrali o consolari del suo paese, un documento attestante che non è più un cittadino di quel paese. In questo caso, però, il riconoscimento dello status di apolide avviene dopo un iter abbastanza lungo: la domanda deve essere presentata al Ministero dell'Interno, accompagnata da una documentazione che, nel caso sia rilasciata dall'autorità straniera, deve essere opportunamente legalizzata, tradotta in lingua italiana e redatta su carta legale. Una volta ottenuto lo status, all'apolide è rilasciato un permesso di soggiorno rinnovabile senza limiti.

Sul problema dell'apolidia si è soffermata anche la l. 91/1992, relativa alle nuove norme sulla cittadinanza, la quale stabilisce che 'l'apolide che risiede legalmente nel territorio della Repubblica è soggetto alla legge italiana', (77) e che raggiunta la maggiore età deve svolgere il servizio militare; (78) nella stessa legge si sostiene che dopo cinque anni di soggiorno oppure dopo tre anni di matrimonio con cittadino italiano l'apolide può chiedere la naturalizzazione.

1.3.1.4. Il minore rom

Un'altra importante figura di minore straniero è quella del nomade, oltre a quanto già enunciato dal dettato costituzionale, (79) l'art. 30 della Convenzione delle Nazioni Unite su diritti del fanciullo stabilisce che il 'minore appartenente a minoranze linguistiche non può essere privato del diritto di avere una propria vita culturale, di professare e di praticare la propria religione o di far uso della propria lingua insieme ai membri del suo gruppo'.

In diverse occasioni è emersa una certa contrapposizione tra differenti approcci alla realtà nomade. Il primo considera i nomadi, al di là delle differenze di cittadinanza, una minoranza specifica; ed è questo in genere l'approccio presente in diverse convenzioni internazionali ed europee. Tali provvedimenti sono volti ad impegnare i vari stati ad adottare efficaci misure di prevenzione contro la discriminazione e il pregiudizio di cui sono spesso vittima gli zingari, inoltre mirano ad interventi idonei a salvaguardare il patrimonio culturale e l'identità dei nomadi, e anche a favorire l'inserimento scolastico dei minori. Un secondo approccio, risente soprattutto delle diverse legislazioni che negli ultimi anni hanno tentato di affrontare il problema immigratorio, e tende a differenziare all'interno del gruppo nomade le diverse componenti nazionali e soprattutto i cittadini stranieri.

Quest'ultima prospettiva è stata prevalente in Italia, tanto che a tutt'oggi non è stata adottata una legislazione nazionale dedicata alla popolazione nomade. Si è ritenuta più idonea la distinzione tra italiani e stranieri; per questi ultimi la legislazione nazionale di riferimento rimane quella relativa agli extracomunitari. Tuttavia, soprattutto a partire dagli anni Ottanta, probabilmente perché maggiormente sensibili al problema della presenza nomade sul proprio territorio, numerose Regioni hanno legiferato in materia. L'obiettivo di gran parte di queste leggi regionali è soprattutto la tutela degli zingari, intesi come minoranza sia etnica sia culturale da proteggere. Si determina così una trasformazione importante sulle modalità con cui affrontare il tema dei nomadi: non più soltanto come problema di ordine pubblico, ma come popolazione sprovvista di sostegni sociali ed assistenziali.

In quest'ottica si sono orientate anche numerose circolari ministeriali dedicate specificatamente al 'problema nomadi'. Questi provvedimenti contengono sia indicazioni relative ad un maggiore controllo nei confronti della popolazione nomade, sia richiami all'attenzione dei sindaci (80) al fine di favorirne l'iscrizione anagrafica, l'erogazione di prestazioni sanitarie, l'istituzione di appositi campi sosta, la convivenza con la popolazione locale, il mantenimento della cultura di origine. L'atteggiamento che emerge da queste circolari è quello di una doppia attenzione: sia riguardo ai comportamenti illeciti all'interno della comunità zingara, sia in relazione alle forme di violenza e di discriminazione contro gli stessi nomadi. Va anche osservato che in gran parte della legislazione regionale, ma anche negli stessi regolamenti dei campi sosta, la scolarizzazione dei minori nomadi è considerato uno dei requisiti indispensabili per accedere a fondi regionali o comunali o per poter usufruire di alcuni servizi.

Accanto al problema dell'inserimento scolastico dei minori nomadi, un tema assai importante è quello relativo all'istituzione dei campi sosta attrezzati. Già con decreto del Ministero dell'Interno del 7 aprile 1989, ad esempio, si individuano i comuni interessati alla predisposizione di infrastrutture necessarie alla realizzazione di aree attrezzate per l'ospitalità dei nomadi. Su questo tema quasi tutte le legislazioni regionali hanno posto l'accento, sebbene ancora oggi, anche per un mancato utilizzo dei fondi regionali, il problema abitativo appare irrisolto, ed alimenta il disagio della popolazione nomade e favorisce le tensioni con la popolazione locale.

In Italia ci sono circa un centinaio di aree attrezzate, ma altrettante sono quelle abusive, sorte perché le prime risultano in numero molto inferiore al fabbisogno reale dell'utenza. Inoltre le aree attrezzate spesso sono dislocate in zone lontane e mal collegate con la città, ubicate in base al principio di evitare tensioni con la popolazione locale, senza tenere nella debita considerazione le esigenze culturali della popolazione nomade, i bisogni igienico-sanitari e di trasporto. La tragica morte, negli ultimi anni, di circa quaranta bambini nomadi bruciati dentro le baracche o le roulotte in incendi scoppiati nel tentativo di riscaldare l'abitazione rende l'idea dell'estrema precarietà in cui spesso sono costretti a vivere i minori nomadi. Altri problemi, oltre a quello abitativo, riguardano l'inserimento lavorativo, la convivenza culturale, la difficoltà di uniformare i sistemi amministrativi.

Queste difficoltà sembrano dovute a problemi legati alle relazioni con la comunità locale, del resto non si possono sottovalutare i problemi connessi ad una suddivisione che sembra colpire la stessa comunità zingara. Comunità sempre più stretta tra la paura di perdere la propria identità culturale e una condizione di emarginazione socio-economica, dovuta non soltanto ai pregiudizi di cui è vittima ma anche alle trasformazioni che hanno caratterizzato la comunità europea. In questa delicata fase di transizione, contrassegnata da una netta riduzione del nomadismo, gli zingari sembrano trovare notevoli difficoltà a conquistarsi una loro identità all'interno della nostra società che appare proporgli soltanto un'assimilazione.

L'attenzione verso il fenomeno dei minori nomadi è nato contestualmente all'interesse da parte degli organi giudiziari verso di loro: una parte di questi minori, fin dalla tenera età, è infatti colpevole di furto o borseggio. Le statistiche giudiziarie ne hanno posto in rilievo l'entità, senza però distinguere tra minori zingari italiani, slavi o di altra nazionalità, nomadi, o non nomadi, omettendo di sottolineare che i minori che vengono in contatto con le autorità giudiziarie, e quindi inseriti nelle statistiche, non sono che una frazione, minima, dell'intera popolazione zingara presente.

La maggior parte degli zingari in Italia ha la cittadinanza italiana; gli stranieri costituiscono una minoranza in preponderanza di origine slava. Questi ultimi incappano con frequenza nel nostro ordinamento giudiziario, ponendosi in contrasto con la società ospitante, che poi non distingue fra le diverse comunità. Ne consegue che "tutti gli zingari vengono considerati 'devianti', talvolta 'criminali', mentre si tratta soltanto di 'diversi' per il sistema di vita, il modo di vestire, i comportamenti fuori dai modelli così detti 'normali' e perciò rifiutati" (81).

Lo zingaro che derubi un non zingaro è deviante e criminale per la legge italiana, ma non lo è per la sua, consuetudinaria, che non considera rilavante appropriarsi di beni dei gagi (82).

Se deruba un altro zingaro è deviante sia per la nostra cultura sia per quella di appartenenza, la quale non ammette il furto tra i suoi componenti. Il minore nomade, a prescindere dalla cittadinanza, non infrange le regole della società di appartenenza, ma di quella ospitante, è quindi 'incongruo parlare di consapevolezza dei ragazzi nomadi riguardo ai concetti di reato e più ampiamente di giustizia'. (83)

1.3.1.5. I programmi di accoglienza temporanei e il Comitato per i minori stranieri

Il fenomeno dell'accoglienza temporanea per motivi solidaristici ha avuto inizio nell'ambito del volontariato e del privato sociale, principalmente a seguito della tragica esplosione nucleare di Chernobyl che aveva determinato un gravissimo inquinamento ambientale. Sorse l'esigenza di allontanare periodicamente i bambini dalla zona radioattiva organizzando soggiorni terapeutici in zone climaticamente appropriate.

Col passare del tempo, l'originario collegamento con la tragedia di Chernobyl è andato gradualmente attenuandosi e i programmi di accoglienza temporanea hanno assunto una motivazione più generica di solidarietà verso i minori in difficoltà, provenienti principalmente dall'Europa orientale.

Questo fenomeno, originato da uno spirito solidaristico, è stato regolamentato con D.P.C.M. del 7 marzo 1994, che ha istituito il Comitato per la tutela dei minori, presso il Dipartimento per gli Affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Il Comitato per la tutela dei minori è costituito dai funzionari della Presidenza del Consiglio, dei Ministeri degli Affari Esteri, dell'Interno e di Grazia e Giustizia.

Compito di questo organo è di raccogliere e verificare i progetti di accoglienza concedendo o meno il nullaosta. La domanda deve essere accompagnata da una regolamentazione relativa: ai rappresentanti legali ai minori da ospitare, agli accompagnatori, al referente estero, alla tipologia di accoglienza. La valutazione favorevole dell'iniziativa è subordinata alle informazioni sulla serietà e sull'affidabilità del proponente ed, eventualmente, sull'affidabilità del referente estero (84).

I minori interessati a tali programmi possono essere anche abbastanza piccoli (sei anni è il limite massimo) per il loro soggiorno in famiglia è previsto un periodo di novanta giorni continuativi, estendibili a centocinquanta, entro tali limiti il soggiorno può essere ripetuto per più anni consecutivi presso la stessa famiglia. I minori provengono in parte dalla famiglia di origine ed in parte da istituti di assistenza, dove fanno ritorno al termine del periodo trascorso presso la famiglia italiana di accoglienza.

L'allontanamento temporaneo dall'ambiente di vita e dal paese d'origine va ponderato con attenzione, per gli effetti psicologici negativi che può avere sul bambino e per il pregiudizio che può derivargliene. Il minore posto periodicamente a contatto con realtà diverse e lontane; inserito in un clima familiare caldo ed accogliente ma poi da questo allontanato, 'rischia di subire frustrazioni e disadattamenti gravi ritornando alla sua situazione abituale' (85). Tale problema è accentuato nell'ipotesi in cui si tratti di bambini provenienti da istituti assistenziali. occorre dunque riflettere se per questi casi non sia più opportuno e corretto il ricorso all'adozione internazionale.

I paesi dai quali questi bambini provengono sono principalmente: Bielorussa, Ucraina, Russia, dall'ex Iugoslavia, Romania ed Algeria.

Il Comitato si è così occupato di definire i casi e le modalità di ingresso dei minori (emanando il 16 febbraio 1995 le prime disposizioni sugli adempimenti per l'ingresso e il soggiorno temporaneo di minori non accompagnati da genitori o dai legali rappresentanti), di coordinare gli interventi delle Amministrazioni interessate e di definire le linee-guida degli interventi umanitari di accoglienza dei minori. Una preoccupazione costante è stata che in tali interventi fossero rispettati i diritti dell'infanzia e gli interessi dei minori.

Secondo i dati forniti dallo stesso Comitato negli anni 1994-96 sono stati complessivamente concessi, a seguito di valutazione di singoli progetti, nulla-osta all'ingresso e al soggiorno in Italia nei confronti di circa 120mila minori e 7.900 accompagnatori. Per quanto riguarda gli anni dal 1996 al 1999 risultano 179.513 i minori autorizzati all'ingresso in Italia dal Comitato. (86)

La legge 40/98 ha modificato composizione e competenze di questo organo: del nuovo Comitato fanno parte, oltre ai rappresentanti dei Ministeri interessati, anche due rappresentanti dell'ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), un rappresentante del UPI (Unione Province d'Italia) e due rappresentanti di organizzazioni maggiormente rappresentative operanti nel settore dei problemi della famiglia. Il Comitato è istituito al fine di:

  • vigilare sulle modalità di soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello stato;
  • coordinare le attività delle amministrazioni interessate.

La stessa legge ha previsto che tale Comitato avrà una più ampia competenza concernente la tutela dei diritti dei minori in conformità alla Convenzione di New York del 1989. Tale competenza è stata definita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Tale provvedimento è il decreto del presidente del consiglio dei ministri, 9 dicembre 1999, n. 535, che contiene il regolamento concernente le attività, le funzioni del Comitato per i minori stranieri, a norma dell'art. 33, commi 2 e 2bis del D.lgs. 286/98. Nel testo vengono ribadite e specificate le competenze relative ai minori stranieri con più di sei anni che entrano in Italia nell'ambito di programmi solidaristici, definiti minori accolti, e soprattutto, viene precisato l'ambito di intervento del Comitato relativamente ai minori definiti 'non accompagnati'.

Il regolamento comprende le definizioni di 'minore straniero non accompagnato' (87), di 'minore straniero non accompagnato accolto' (88) e di rimpatrio assistito.

L'art. 2 del regolamento elenca i diversi compiti del Comitato, e stabilisce: 'il Comitato opera al fine prioritario di tutelare i diritti dei minori non accompagnati e dei minori accolti, in conformità alle previsioni della Convenzione sui diritti dei fanciulli, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176'. Il Comitato:

  • vigila sulle modalità di soggiorno dei minori;
  • coopera e si raccorda con le amministrazioni interessate;
  • delibera, ai sensi dell'art. 8, previa adeguata valutazione, secondo criteri predeterminati da enti, associazioni o famiglie, per l'ingresso dei minori accolti nell'ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea, nonché per l'affidamento temporaneo e per il rimpatrio dei medesimi;
  • provvede alla istituzione e alla tenuta dell'elenco dei minori accolti nell'ambito delle iniziative di cui alla lettera c);
  • accerta lo status del minore non accompagnato ai sensi dell'art. 1, comma 2 sulla base delle informazioni di cui all'art. 5;
  • svolge compiti di impulso e di ricerca al fine di promuovere l'individuazione dei familiari dei minori presenti non accompagnati, anche nei loro paesi d'origine o in paesi terzi, avvalendosi a tal fine della collaborazione delle competenti amministrazioni pubbliche e di idonei organismi nazionali ed internazionali e può proporre al dipartimento per gli affari sociali di stipulare apposite convenzioni con gli organismi predetti;
  • in base alle informazioni ottenute, può adottare, ai fini di protezione e di garanzia del diritto all'unità familiare di cui all'art. 1, comma 4, il provvedimento di cui all'art. 7, di rimpatrio assistito (89) dei minori non accompagnati;
  • definisce criteri predeterminati di valutazione delle richieste per l'ingresso di minori accolti cui al comma 2, lettera e)
  • provvede al censimento dei minori presenti non accompagnati, secondo le modalità previste dall'art. 5.

Note

1. È visibile la tendenza da parte dei paesi occidentali dominanti, con una sorta d'imperialismo culturale, ad omologare tutte le diverse culture alla propria.

2. I fattori che favoriscono i movimenti migratori possono essere distinti tra fattori di spinta, interni al paese d'origine, e fattori di attrazione presenti nel paese di destinazione. Le basse condizioni di vita, le minori opportunità di lavoro nel paese d'origine, le particolari situazioni 'politiche' (persecuzioni, guerre, conflitti etnici) costituiscono in genere le cause determinanti dei flussi migratori. Tra i fattori di attrazione possono annoverarsi l'esistenza nel paese prescelto di relazioni sociali che assicurano un certo sostegno iniziale ai neo-arrivati, la presenza di una comunità di concittadini già ben insediate più in generale la rapida circolazione di informazione, e il crescente numero di imprese clandestine che organizzano l'immigrazione illegale. Crf. ISMU (a cura di), Primo rapporto sulle migrazioni 1995, Milano, 1995.

3. Cfr. con Immigrati: devianza e controllo sociale, Cedam, Padova 1995.

4. Gli italiani sono stati protagonisti del più grande esodo migratorio della storia moderna. Nell'arco di poco più di un secolo, a partire dal 1861, sono state registrate più di ventiquattro milioni di partenze, un numero quasi equivalente all'ammontare della popolazione al momento dell'Unità. Si tratta di un dato al lordo dei rientri, ma da solo basta a dare un'idea della vastità del fenomeno. È stato un esodo che a differenza di quanto si crede comunemente, toccò tutte le regioni italiane. Il tasso di emigrazione ha avuto dei picchi nel periodo compreso tra i primi del '900 e il 1930, seguito da un altro ingente flusso da metà del 1900 al 1970 circa.

5. In Italia gli stranieri extracomunitari presenti con regolare permesso di soggiorno sono attualmente meno di un milione ad essi vanno aggiunti circa 150.000 stranieri comunitari vanno inoltre considerati gli irregolari: nell'impossibilità di avere dati ufficiali, la consistenza numerica di questi stranieri può stimarsi in una forbice che va da un minimo di 200.000 ad un massimo di 300.000 unità. Il rapporto tra immigrati, contando anche gli irregolari, e popolazione residente è in Italia di poco superiore al 2% ben al di sotto della media europea. Si tratta di un fenomeno, quello migratorio che va ridimensionato, rispetto alle immagini e i toni allarmistici usati dai mezzi di comunicazione, che tendono ad alimentare la sindrome dell'invasione. Fonte: Relazione sulla presenza straniera in Italia e sulla situazioni di irregolarità - Ministero dell'interno- luglio 1999.

6. L'idea di un'Europa fortezza, libera all'interno, ma non per tutti, può alimentare un nazionalismo sovranazionale, altrettanto gretto e pericoloso come i vecchi nazionalismi; si accentua ancora di più la stigmatizzazione degli immigrati per il loro non essere europei. L'orientamento dell'Europa comunitaria, ma anche le misure legislative recentemente assunte dai singoli paesi europei sono tese a realizzare una politica dell'immigrazione, all'insegna del 'sorvegliare e respingere', l'importante sembra essere il contenimento, il controllo e l'espulsione degli immigrati.

7. Vedi F. Vassallo Paleologo I centri di permanenza temporanea per stranieri espellendi in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n. 4, 1999, p. 26.

8. Si può fare solo un accenno al fatto che tale materia doveva essere disciplinata da una legge discussa in Parlamento, l'art. 10 della Cost. individua, infatti, una riserva di legge, non attraverso un D.L. elaborato e applicato dal Governo.

9. Vedi C. Frondizi Immigrati, Ediesse, Roma 2000, p.15.

10. Vedi P. Bonetti La condizione giuridica del cittadino extracomunitario, Maggioli editore, Rimini 1993, p. 67.

11. Vedi A. Marra- F. Pontrandolfi Diritti e doveri degli immigrati. Procedure, documenti e prassi, Esselibri, Napoli 1999, p. 5.

12. Vedi B. Nascimbene Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, in Diritto penale e processo, n. 4, 1998, p. 421 ss.

13. La relazione illustrativa della legge afferma infatti che il provvedimento si muove in modo 'positivo, realistico, aperto verso l'immigrazione, alieno da velleità di chiusura e da complessi di timore e di rifiuto'.

14. Vedi C. Frondizi Immigrati, Ediesse, Roma 2000, p. 16.

15. La tesi che si tratti dell'unica via possibile è sostenuta con forza da G. Bolaffi, Una politica per gli immigrati, il Mulino, Bologna 1996, p.44: 'oggi non c'è nessuno, neppure tra le organizzazioni più apertamente favorevoli agli interessi degli immigrati, che crede possibile e opportuno tenere le frontiere completamente aperte e invocare una libertà totale di immigrazione'.

16. Questa impostazione muove sia da matrici solidaristiche (per es. S. Briguglio intervento al convegno La disciplina di immigrazione e asilo in Europa, Torino 2-4 ottobre 1998, inedito) che da matrici liberiste (secondo cui anche i flussi migratori, come tutti i fenomeni sociali, devono essere regolati dal mercato). In questa prospettiva si colloca il Rapporto Italia 1999 dell'Eurispes che così si esprime: "la proposta dell'Eurispes è quella di liberalizzare gli ingressi degli immigrati: riceverli non sulle spiagge di notte, ma nei porti di giorno, tale provvedimento avrebbe l'immediato l'effetto di impoverire organizzazioni criminali. [...] A favore di tale ipotesi concorrono una serie di circostanze e di argomentazioni. Pensiamo, ad esempio, a quanto costa la spesso inutile, perché differisce soltanto la soluzione di un problema, difesa delle coste. Ogni giorno il sistema di sicurezza e il sistema di difesa impiegano sia per mare sia per terra un notevole quantitativo di uomini e di mezzi in una attività che risulta solo in parte efficace nonostante l'impiego profuso. Gli oppositori della liberalizzazione obietteranno che tale provvedimento provocherebbe soltanto un'esplosione quantitativa del problema immigrazione, quand'anche i flussi migratori assumessero davvero dimensioni spropositate, l'ufficialità e la trasparenza degli ingressi consentirebbe l'immediato riconoscimento degli immigrati, anche attraverso il rapido rilascio di una carta di identità e la possibilità di selezionarli".

17. La cruda espressione è tratta dal citato Rapporto dell'Eurispes.

18. Non è un caso che posizioni di grande apertura sui temi dell'immigrazione siano sostenute dai vertici della Confindustria, e da un quotidiano come Il Sole 24 Ore: tali fonti individuano in 50.000-100.000 unità il flusso annuo di lavoratori stranieri necessario per compensare il calo demografico e di popolazione attiva del nostro paese.

19. 'È vero che l'Italia - come sostiene G. Bolaffi op. cit. p. 7 - non può certo pensare di adottare politiche di immigrazioni difformi, se non addirittura opposte, a quella degli altri paesi europei', ma è altrettanto vero ed importante che la politica europea non è immodificabile, ma una realtà in divenire grazie al concorso di tutti gli stati membri, Italia compresa.

20. L'art. 3 comma 4 prevede che con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti i ministri interessati e le competenti Commissioni parlamentarti, sono definite annualmente, sulla base dei criteri e delle altre indicazioni del documento programmatico di cui al comma 1, le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello stato, per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e per lavoro autonomo, tenuto conto dei ricongiungimenti familiari e delle misure di protezione temporanea eventualmente disposte a norma dell'art. 18.

21. Per una netta presa di posizione in questo senso già nel dicembre 1996 Magistratura democratica, Associazione studi giuridici sull'immigrazione e Associazione italiana giuristi democratici, scrissero, Per una legislazione sull'immigrazione giusta ed efficace, in Questione giustizia 1996, p. 895.

22. È, infatti, esperienza comune a tutti i paesi di accoglienza che la difficoltà di ingresso regolare non frena l'immigrazione ma alimenta gli ingressi irregolari.

23. È su questo decreto che si innesta la sanatoria in corso.

24. Vedi Stranieri in Italia.

25. L'inserimento di tale possibilità è stato proposto sin da dicembre 1995 nel Decreto legge 489/1995 e politica dell'immigrazione, curato da Magistratura democratica, Associazione studi giuridici sull'immigrazione e Associazione italiana giuristi democratici in Questione giustizia 1995, p. 990.

26. Vedi S. Collinson, Le migrazioni internazionali e l'Europa, il Mulino, Bologna 1994, pp. 38, 46-47, 51.

27. Vedi L. Pepino Immigrazione, politica, diritto, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1, 1999, pp. 22 ss.

28. Gli episodi delittuosi, piccoli o grandi che siano, non vanno certo sottovalutati, ma devono essere perseguiti, se commessi da stranieri da molti anni e in modo stabile inseriti nella società italiana con le stesse sanzioni previste per i cittadini, questo per evidenti principi di equità.

29. L'espressione è di G. Bolaffi, Il concittadino straniero, La Repubblica, 16 ottobre 1998. Il progetto del governo Schroeder, che sta provocando violente proteste dall'opposizione, prevede la possibilità di acquistare la cittadinanza tedesca dopo otto anni di residenza in Germania, senza necessità di rinunciare alla cittadinanza di origine, con previsione, dunque della doppia cittadinanza come condizione normale e non eccezionale. L'innovazione aprirebbe la strada alla naturalizzazione immediata di 4.100.000 stranieri presenti in Germania da più di otto anni.

30. Vedi art. 6, comma 4 L. 40/98.

31. Vedi art. 6, comma 3 L. 40/98.

32. Vedi L. Pepino op. cit., p. 25.

33. Tale T.u. non comporta innovazioni legislative, ma è un importante strumento di coordinamento delle norme in materia.

34. Vedi N. Martini, Minori stranieri e disagi psicologici, in Polis, nn. 41-42, 1998, p. 8.

35. Si tratta principalmente della legge 5 febbraio 1992 n. 91 Nuove norme per la cittadinanza.

36. Le regioni ed i comuni in assenza di indicazioni di indirizzo sufficientemente precise hanno finito per accordare forme di tutela anche molto diverse agli stranieri soggiornanti sui rispettivi territori, dando luogo in definitiva, a fenomeni di disparità entro il medesimo territorio. Si ritiene quindi auspicabile che la regolamentazione degli effetti del fenomeno migratorio non debba essere lasciata alle sole sensibilità di uffici pubblici esistenti a livello regionale e comunale, ma debba necessariamente approdate, in mancanza di soddisfacenti soluzioni di diritto positivo, all'attenzione dei più organi di giustizia. Vedi L. Melica op. cit., p. 129.

37. Questi elementi di vulnerabilità caratterizzano anche altri minori, che pur avendo la cittadinanza italiana, crescono all'interno di famiglie attraversate da riferimenti culturali diversi. Si tratta dei bambini giunti in Italia attraverso la strada dell'adozione internazionale, i figli di coppie miste e i minori nomadi.

38. Vedi C. Rubinacci La società multiculturale, i minori stranieri e il ruolo della scuola, in Minorigiustizia n. 3, 1999, pp. 38 ss.

39. Gli allievi stranieri sono soli davanti ai problemi di apprendimento. La famiglia raramente è in grado di sostenere il figlio in questa prima fase ed esprime nei suoi confronti forti aspettative che possono apparire contraddittorie; gli chiede di riuscire a scuola e di mantenere al tempo stesso intatti i legami della filiazione e dell'identità culturale: la lingua materna, i comportamenti, i valori e le tradizioni.

40. A questo proposito una ricerca significativa, svolta in Francia nel 1990, ha messo in luce come gli insegnanti francesi applichino il termine 'bilinguismo' solamente ai casi di padronanza di una prima lingua prestigiosa; nel caso degli alunni immigrati stranieri, la loro competenza nella lingua wolof, araba o portoghese, non viene presa in considerazione come facente parte a pieno titolo di un sistema di bilinguismo. Vedi G. Varro, Les representations autour du bilinguisme des premiers arrivants, in Migrants Formation, n. 83 dicembre 1990.

41. Vedi P. Bonetti La condizione giuridica del cittadini extracomunitario, Maggioli editore, Rimini 1993, pp. 431 ss.

42. L'inserimento di questi minori è più 'silenzioso' e non genera il clamore che possono suscitare le notizie sui minori clandestini o irregolari, ormai troppo spesso etichettati come 'delinquenti'.

43. Il visto deve essere rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello stato di origine o di stabile residenza dello straniero.

44. Nel caso in cui l'ingresso e il soggiorno in Italia avvengano in maniera regolare il minore straniero gode degli stessi diritti del minore italiano.

45. Vedi O. Vercelli La nuova legge sulla disciplina dell'immigrazione e sulla condizione dello straniero in Italia. Osservazioni di carattere generale, in Stato Civile Italiano, Maggio 1998, p. 368.

46. La carta di soggiorno è una novità introdotta dalla L. 40/98 nei confronti di tutti i cittadini extracomunitari.

47. Vedi O. Vercelli La nuova legge sulla disciplina dell'immigrazione e sulla condizione dello straniero in Italia. Osservazioni di carattere generale, in Stato Civile Italiano, Maggio 1998, p. 369.

48. Vedi A. Marra- F. Pontrandolfi Diritti e doveri degli immigrati. Procedure, documenti e prassi, Esselibri, Roma 1999, pp. 17 ss.

49. Vedi art. 29, comma 1, L.40/98; art. 31 comma 1, del D.lgs.25 luglio 1998, n.286 Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 18 agosto 1998, n.191, supplemento ordinario 139/l.

50. Vedi paragrafo 1.3.1.3.

51. L'art. 4 stabilisce: l'affidamento familiare è disposto dal servizio locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e, se opportuno anche di età inferiore.
Il giudice tutelare del luogo dove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto. Ove manchi l'assenso dei genitori esercenti la potestà o del tutore, provvede il tribunale per i minorenni. Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile.
Nel provvedimento di affidamento familiare debbono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario. Deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell'affidamento ed il servizio locale cui è attribuita la vigilanza durante l'affidamento con l'obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni, a seconda che si tratti di un provvedimento emesso ai sensi del primo o del secondo comma. [...]

52. Vedi art. 29, comma 1, l. 40/98; art. 31, comma 1, d.lgs. 286/98.

53. Vedi art. 29, comma 2, L. 40/98; art. 31, comma 2, d. lgs. 286/98.

54. Secondo me si dovrebbe prescindere da vincoli economici per poter richiedere il ricongiungimento, riconoscere i ricongiungimenti di fatto e semplificare le procedure per i nuovi.

55. L'articolo 3, comma 1, della Convenzione di New York stabilisce: 'in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente'.

56. Il Tribunale per i minorenni può autorizzare tale l'ingresso o permanenza in Italia, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del medesimo. L'autorizzazione all'ingresso o al soggiorno del familiare può in tali casi essere concessa dal Tribunale per i minorenni anche in deroga alle altre disposizioni della L. 40/98 e del relativo testo unico 286/98. L'autorizzazione è comunque concessa per un periodo di tempo determinato ed è revocata quando vengono a cessare le ragioni che ne giustificano il rilascio, oppure quando il familiare autorizzato all'ingresso o al soggiorno pone in essere attività incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza di quest'ultimo in Italia. Si tratta evidentemente di una previsione tesa a dare concreta attuazione ai principi dettati dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e in particolare al principio secondo cui il superiore interesse del fanciullo deve essere preso in considerazione con carattere di priorità. La decisione di autorizzare temporaneamente l'ingresso o la permanenza può essere assunta dal Tribunale per i minorenni d'ufficio, qualora la necessità venga ravvisata nell'ambito di un procedimento già instaurato davanti al Tribunale, oppure su richiesta della parte interessata o di altri soggetti (tutore, curatore, servizi sociali) nell'interesse del minore. La norma non richiede che il minore sia regolarmente residente in Italia essendo soltanto richiesto che questi si trovi nel territorio, inoltre l'autorizzazione può riguardare qualsiasi familiare e non soltanto i genitori del minore. Qualora il Tribunale per i minorenni decida di rilasciare un'autorizzazione speciale per i familiari di minori i relativi provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare italiana all'estero e al questore, rispettivamente responsabili del rilascio del visto d'ingresso e del permesso di soggiorno in favore del familiare autorizzato a permanere temporaneamente in Italia. Vedi in questo senso il decreto 28.9.1998, Tribunale per i minori di Venezia, in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n. 1, 1999. Rilavanti anche il decreto 15.5.200 del Tribunale per i minori di Firenze, i decreti 14.6.200, 21.6.2000 del Tribunale di Trieste quest'ultimi in Diritto immigrazione, cittadinanza, n. 3, 2000.

57. Vedi art. 26, comma 1, L. 40/98.

58. Vedi art. 27, comma 1, L. 40/98.

59. Nei confronti del rifugiato è riconosciuto il diritto ad attuare il ricongiungimento familiare, ma è anche accordata una speciale protezione in tal senso. La L. 40/98, ha previsto che il permesso di soggiorno per motivi familiari sia concesso al familiare del rifugiato che si trovi a qualsiasi titolo in Italia, anche a prescindere dal possesso di un valido permesso di soggiorno. Da ciò consegue che i ricongiungimenti familiari di fatto possono essere regolarizzati con concessione di permesso di soggiorno, in favore del familiare a condizione che si tratti di familiare per il quale è prevista la possibilità di ricongiungimento e che ovviamente il ricongiungimento avvenga con persona riconosciuta come rifugiato e regolarmente residente in Italia. Per quanto concerne invece i ricongiungimenti con familiari che ancora si trovano all'estero, esistono programmi specifici in materia, gestiti dall'ACNUR, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, anche in collaborazione con il CIR, il Consiglio Italiano per i Rifugiati: nell'ambito di tali programmi è prevista in via eccezionale la possibilità di sostenere le spese di trasferimento dei familiari del rifugiato.

60. Vedi art. 27 comma 3, L. 40/98.

61. Vedi art. 27 commi 7, 8, L. 40/98.

62. Art. 28 L. 40/98, permesso di soggiorno per motivi familiari, comma 1: fatti salvi i casi di rilascio o di rinnovo della carta di soggiorno, il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato:

  1. allo straniero che ha fatto ingresso in Italia con visto di ingresso per ricongiungimento familiare, ovvero con visto di ingresso al seguito del proprio familiare nei casi previsti dall'art. 27, ovvero con visto di ingresso per ricongiungimento al figlio minore;
  2. agli stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano contratto matrimonio nel territorio dello Stato con cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione Europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti;
  3. al familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento con il cittadino italiano o di uno Stato membro dell'Unione Europea residenti in Italia, ovvero con straniero regolarmente soggiornante in Italia [...];
  4. al genitore straniero, anche naturale, di minore italiano residente in Italia [...]

63. Vedi art. 28 comma 2, L. 40/98.

64. Vedi G. Favaro I bambini della nostalgia, Mondadori, Milano 1993, p. 25.

65. L'art. 3 comma 4, L 40/98, stabilisce: con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti i ministri interessati e le competenti Commissioni parlamentari, sono definite annualmente, sulla base dei criteri e delle altre indicazioni del documento programmatico di cui al comma 1, le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato, per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e per lavoro autonomo, tenuto conto dei ricongiungimenti familiari e delle misure di protezione temporanea eventualmente disposte a norma dell'art 18. I visti d'ingresso per lavoro subordinato, anche stagionale, e per lavoro autonomo sono rilasciati entro il limite delle quote predette.

66. Questo è quanto emerge dalla bozza approvata dal Consiglio dei ministri, il 15 dicembre 2000, per la stesura del decreto flussi 2001.

67. L'art 4 comma 1, dispone che: i lavoratori extracomunitari legalmente residenti in Italia ed occupati hanno diritto al ricongiungimento con il coniuge nonché con i figli a carico non coniugati, considerati minori dalla legislazione italiana, i quali sono ammessi nel territorio nazionale e possono soggiornarvi per lo stesso periodo per il quale è ammesso il lavoratore e sempre che quest'ultimo sia in grado di assicurare ad essi normali condizioni di vita.

68. Vedi art. 30, comma 1, Cost.

69. Vedi artt. 29,30,31, Cost.

70. Vedi P. Bonetti op. cit. p. 376.

71. L'art. 10, comma 3 della Cost. stabilisce: lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

72. Vedi P. Bonetti op. cit. p. 382.

73. Tutte le associazioni che si occupano dei rifugiati politici hanno fatto rilevare come sia discutibile lasciare che sia l'autorità di frontiera a ricevere la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato, e a valutare se la persona sia o meno da accogliere e la pratica da inoltrare. Su questo punto vedi M.I Macioti- E. Pugliese Gli immigrati in Italia, Laterza, Bari 1993, p.207.

74. La Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato è strutturata in tre sezioni, ciascuna presieduta da un prefetto, alle quali partecipa un rappresentante dell'Alto Commissariato per i rifugiati dell'ONU, in veste consultiva. Ciascuna sezione si riunisce una volta settimana. Le autorità di polizia hanno il compito di ricevere le domande, accertare che i singoli casi non siano di competenza di altri stati e che la persona interessata non abbia riportato precedenti condanne. Dopo questi accertamenti la Questura rilascia il permesso di soggiorno provvisorio ed invia la domanda all'unità Dublino, per l'accertamento di un eventuale altro stato europeo responsabile per l'esame, a alla Commissione Centrale.

75. L'art. 5, comma 6 del T. u. stabilisce che 'Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base sulla base di convenzioni o accorsi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli stati membri, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultati da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano.

76. Vedi P. Bonetti op. cit. p. 386.

77. Vedi art. 16, comma 1 L. 91/92.

78. Vedi art. 4, comma 1. L. 91/92.

79. Vedi artt 2, 6, 8 e 19 della Costituzione.

80. È stata sottolineata l'illegittimità di molte espulsioni dal territorio comunale effettuate dai sindaci senza che fosse regolarmente riconosciuta una situazione di pericolo per la comunità locale.

81. Vedi G. Marotta Immigrati: devianza e controllo sociale, Cedam, Padova 1995, pp. 230, 231.

82. Il termine gagi, indica chi non è zingaro.

83. Vedi G. Marotta op. cit. p. 232. Cfr. con p. Pazè La condizione giovanile zingara e la giustizia, in M. Cavallo Le nuove criminalità. Ragazzi vittime e protagonisti, FrancoAngeli, Milano 1995.

84. Sulla procedura da eseguire per ottenere il nullaosta vedi Dipartimento degli Affari Sociali - Ufficio Immigrazione.

85. Vedi L. Fadiga, Presidente della Commissione per le adozioni internazionali, I rischi e le potenzialità dell'accoglienza temporanea di bambini stranieri nel nostro paese, Seminario di ricerca, Malosco (Tn), 2-6 luglio, 2000, in corso di pubblicazione.

86. Vedi Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli Affari Sociali, Comitato per la tutela dei minori stranieri, Principali dati relativi ai gruppi di minori stranieri extracomunitari non accompagnati, autorizzati all'ingresso in Italia dal Comitato per la tutela dei minori stranieri, Periodo 1 gennaio- 31 dicembre 1999.

87. Con minore straniero non accompagnato si intende il minore non avente cittadinanza italiana o di altri stati dell'Unione europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano.

88. Con minore straniero non accompagnato accolto si intende il minore non avente cittadinanza italiana o di altri stati dell'Unione europea, di età superiore a sei anni, entrato in Italia nell'ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea promossi da enti, associazioni, o famiglie, anche se il minore stesso è seguito da uno o più adulti con funzioni generiche di sostegno, di guida di accompagnamento.

89. Il tema del rimpatrio assistito sarà oggetto del cap. 2.