ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 2
Il minore irregolare tra espulsione e rimpatrio

Federica Pratelli, 2001

2.1. L'espulsione dello straniero adulto ed il divieto di espulsione del minore

La L. 40/98 ha previsto più di un tipo di espulsione. In primo luogo l'espulsione può essere disposta attraverso un provvedimento amministrativo ed è, in questo caso predisposta dal Ministero dell'Interno attraverso il prefetto. L'espulsione amministrativa può aversi per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato quando lo straniero:

  • è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli e non è stato respinto;
  • non ha richiesto il permesso di soggiorno entro otto giorni lavorativi dall'ingresso;
  • si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno o si trattiene malgrado lo stesso sia scaduto, sia stato revocato o annullato.

L'espulsione può essere anche comminata quale misura di sicurezza o quale sanzione sostitutiva della detenzione. Nella prima ipotesi la pena cui lo straniero è stato condannato non deve essere superiore a due anni di reclusione, non devono, inoltre, sussistere le condizioni per la concessione della sospensione condizionale della pena. Nel secondo caso l'espulsione può essere comminata in caso di condanna per reati per i quali è previsto l'arresto obbligatorio o facoltativo in fragranza, artt. 380 e 381 del codice di procedura penale; in questo caso l'espulsione è eseguita dal questore anche se la sentenza non è passata in giudicato.

L'espulsione amministrativa è disposta dal prefetto, al quale viene inviato d'ufficio il decreto del questore che rifiuta l'istanza di regolarizzazione dello straniero, a quest'ultimo, quindi è intimato di lasciare il territorio dello Stato. Il decreto di espulsione è un atto dovuto, non discrezionale; contro tale provvedimento, entro cinque giorni dalla comunicazione del decreto, lo straniero può proporre ricorso al giudice unico (ex pretore) del luogo in cui ha sede l'autorità che ha disposto l'espulsione.

È interessante sottolineare (1) come il termine di cinque giorni, appare troppo breve per poter consentire una tutela adeguata (2). Lo straniero può avvalersi di un difensore e può essere ammesso, ricorrendone i presupposti, al gratuito patrocinio; è previsto, inoltre che, qualora non conosca la lingua italiana, gli sia affiancato un interprete. Il ricorso viene deciso dal giudice unico (ex pretore), sentito il ricorrente, con rito camerale, entro il termine di dieci giorni, il provvedimento non è reclamabile; l'art. 13 bis del D.lgs. 286/98, come modificato dal D.lgs 113/99, prevede che contro questo possa solo esperirsi il ricorso per Cassazione (3).

Altro elemento significativo è l'eliminazione dell'effetto sospensivo dell'impugnazione, previsto dalla legge Martelli: nelle intenzioni del legislatore, i serrati tempi previsti per la decisione, coincidenti con quelli dell'intimazione a lasciare il territorio dello stato, dovrebbero rendere inutile l'istituto della sospensiva. (4)

Questa procedura di espulsione merita alcune considerazioni di approfondimento. Occorre, innanzitutto, esaminare il rapporto sussistente tra i mezzi di tutela predisposti a favore dello straniero avverso i provvedimenti del questore (ricorso giurisdizionale al TAR e il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica) ed il ricorso giurisdizionale davanti al giudice unico (ex pretore) avverso il decreto di espulsione adottato dal prefetto.

Lo straniero che si è visto rigettare dal questore l'istanza volta ad ottenere il permesso di soggiorno, può proporre ricorso al TAR entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento di diniego ovvero dal momento dell'acquisita conoscenza dello stesso come alternativa è prevista l'ipotesi del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

Si pensi, ad esempio, alla ipotesi in cui allo straniero vengano notificati il provvedimento di diniego del questore ed il conseguente provvedimento di espulsione adottato dal prefetto e lo straniero li impugni entrambi. Come detto, il ricorso avverso il provvedimento del questore potrà essere proposto al TAR entro trenta giorni dalla notifica dello stesso, mentre il ricorso avverso il decreto prefettizio dovrà essere presentato al giudice unico (ex pretore) competente entro il termine di cinque giorni dalla notifica (o piena conoscenza) del provvedimento.

Occorre precisare che l'eventuale provvedimento di espulsione adottato dal prefetto ha, come necessario presupposto logico-giuridico, il provvedimento del questore di diniego del permesso di soggiorno. Il giudice unico (ex pretore), investito della questione della legittimità del provvedimento prefettizio, potrà convalidare o meno la decisione del prefetto.

Nell'ipotesi in cui il giudice unico accolga il ricorso dello straniero si pone il problema del rapporto tra questa decisione e una eventuale disposizione del TAR che ritenga legittimo il provvedimento del questore.

Un altro problema può nascere qualora il TAR accolga il ricorso, mentre il giudice unico lo abbia già rigettato, e ancora quale potrà essere il rapporto tra le decisioni contrastanti del TAR e del giudice unico visto che queste sono collegate da un nesso stretto.

In considerazione del fatto che la decisione del prefetto trova il suo fondamento giuridico nella decisione del questore, si pongono 'diversi quesiti ai quali solamente l'applicazione giurisprudenziale potrà dare risposta' (5). Emergono in questo senso alcune importanti sentenze: una della Corte di Cassazione, l'altra del Consiglio di Stato in base alle quali il mero ritardo sia per la richiesta, che per il rinnovo del permesso di soggiorno, non può costituire da solo elemento sufficiente per disporre l'espulsione.

La prima è la n. 6374/1999 della Corte di Cassazione, questo l'antefatto: una cittadina (6) di Capoverde ricorreva al pretore contro il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal prefetto di Palermo per il mancato rinnovo del permesso di soggiorno. Il giudice unico (ex pretore) di Palermo rigettava l'opposizione, ritenendo tra l'altro che la ricorrente non avesse un diritto alla cittadinanza, pur risiedendo in Italia da oltre dieci anni, ma un semplice interesse legittimo all'accoglimento della domanda. L'interessata proponeva allora ricorso in Cassazione contro il decreto pretorile a norma dell'art. 111, secondo comma (7), della Costituzione, tale articolo prevede la possibilità di ricorrere immediatamente in Cassazione contro i provvedimenti riguardanti la libertà personale, e anche in base all'art. 13 bis del T. u., come introdotto dal D.lgs. 113/99, (8) tale articolo si è limitato a recepire il contenuto della norma costituzionale, e ha eliminato un grado di tutela. La Cassazione ha chiarito che il sistema di tutela giurisdizionale introdotto con la nuova normativa sull'immigrazione, in special modo sulle espulsioni amministrative disposte dai prefetti presupponeva la denuncia della lesione di un diritto soggettivo e comportava la ricorribilità in Cassazione, davanti alla quale era posta 'la contrapposizione tra la valutazione del prefetto e la pretesa dell'espulso alla verifica delle condizioni legittimanti l'esclusione del suo diritto' (9).

La Suprema Corte ha ritenuto che per poter arrivare all'espulsione doveva ricorrere la scadenza del titolo ma anche la mancata presentazione dell'istanza del rinnovo, in qualsiasi momento purché prima del provvedimento sanzionatorio. Con questa sentenza si reputa che chi ha ottenuto la condizione di persona regolarmente soggiornante in Italia ha diritto, prima di essere espulso ad un esame della sua domanda che può anche concludersi con un rifiuto, secondo le previsioni generali dell'art. 5 del T.u., nel caso in cui non sia più in possesso dei requisiti per mantenere il soggiorno nel nostro paese 'consistente essenzialmente nel possesso di un reddito adeguato e ovviamente lecito' (10).

Dalla decisione emerge che importa verificare il mantenimento o la perdita dei requisiti per la prosecuzione del soggiorno, utilizzando come parametri positivi la regolare presenza in Italia da molti anni e il possesso di un buon livello di inserimento socio-lavorativo, come nel caso della ricorrente, e non parametri esclusivamente formali, come un ritardo nella richiesta del rinnovo del permesso di soggiorno.

Sulla stessa strada si è mosso il Consiglio di Stato con la decisione n. 820 del 1999, tale sentenza è relativa all'espulsione legata al superamento del termine di otto giorni dall'ingresso regolare per la presentazione della richiesta di permesso di soggiorno (11). Appare di grande importanza come gli organi di ultima istanza della giurisdizione ordinaria e amministrativa pur occupandosi di due casi diversi siano giunti ad un risultato analogo secondo il quale il ritardo sia per la richiesta, che per il rinnovo del permesso di soggiorno, non può essere da solo motivo di espulsione.

L'espulsione ha un rilievo centrale nella gestione del fenomeno migratorio: uno degli strumenti per attuare questo istituto è costituito dai centri di permanenza e temporanea assistenza. Un aspetto criticato della 'legge Martelli' (12) era la previsione che assegnava al cittadino extracomunitario espulso il termine di quindici giorni per abbandonare il territorio dello stato: secondo la dottrina 'tale norma consentiva agevolmente allo straniero di rendersi irreperibile ed eludere così il provvedimento di espulsione' (13). Né tale sottrazione poteva essere ostacolata adeguatamente dall'applicabilità, quando non era possibile procedere immediatamente all'esecuzione dell'espulsione, della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, dal momento che gli obblighi connessi con tale misura non impedivano comunque all'espulso che lo desiderasse di allontanarsi dalla propria dimora, senza darne preventivo avviso all'autorità di pubblica sicurezza. La L. 40/98, al fine di garantire l'effettività dei provvedimenti di espulsione, introduce con l'art. 12, nel nostro ordinamento, la nuova misura del 'trattenimento dello straniero espulso in un centro di permanenza temporanea e assistenza'. La relazione di accompagnamento al disegno del decreto legislativo sottolinea le caratteristiche tranquillizzanti del nuovo istituto: 'l'estraneità dei centri di permanenza e di assistenza temporanea al circuito penitenziario; la conformità del trattenimento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo; e non ultima, la sua omogeneità rispetto alle normative previste in molti ordinamenti europei'. (14)

L'art. 12 della legge 40/98, art. 14 del T.u. prevede, infatti che 'quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all'acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l'indisponibilità di vettore o di altro mezzo idoneo', il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea e assistenza più vicino. Il provvedimento del questore, trasmesso all'ex pretore entro quarantotto ore, deve essere convalidato nelle quarantotto ore successive e comporta il trattenimento dello straniero per un periodo massimo di venti giorni, prorogabili fino a trenta. (15)

I centri di detenzione, come sono ormai comunemente definiti, sono entrati nel nostro ordinamento come concessione alle richieste di chi sollecitava la configurazione dell'immigrazione clandestina come reato; sono degli istituti sanzionatori ad hoc, privi di un'efficacia significativa ai fini dell'esecuzione di provvedimenti espulsivi. Tali centri sono stati introdotti nel nostro ordinamento come strumento per consentire o facilitare le espulsioni amministrative; ma sia la legge che il regolamento di attuazione della stessa omettono di definirne la natura e di descriverne le caratteristiche (16). Se la legge tace completamente, il regolamento fornisce solo alcune indicazioni nelle norme che disciplinano il 'trattenimento' nei centri, le relative 'modalità' e il 'funzionamento' delle strutture (17).

Merita attenzione in questo ambito la questione relativa alle modalità dell'esercizio del diritto di difesa dello straniero trattenuto nei centri di temporanea accoglienza e assistenza 'impedito quindi ad uscire e a provvedere personalmente al tempestivo deposito in cancelleria del ricorso avverso il decreto di espulsione' (18). Deposito che non pare ammettere procedure equivalenti (spedizione a mezzo posta, per esempio) e su cui non è intervenuto nemmeno il regolamento del T.u. dell'immigrazione (d.p.r. 394/99).

La mancanza di qualsiasi strumento che consenta allo straniero ristretto nel centro di permanenza di accedere al giudice viola gli artt. 3, comma 1, 24 e 113 della Costituzione, il cui contenuto minimo consiste appunto nel garantire che ogni soggetto possa far valere i propri diritti ed interessi legittimi davanti ad una autorità giudiziaria (19). In merito emerge la decisione del Tribunale di Lecce: il decreto del 30 ottobre 1999 (20). Il giudice investito del caso si è rapidamente sbarazzato del dubbio di costituzionalità affermando che gli inconvenienti evidenziati riguardano situazioni di fatto e non di diritto dipendenti dalla disciplina in concreto prevista dal legislatore, e che la doglianza non avrebbe avuto ad oggetto la norma, infine la posizione dello straniero non è assimilabile ex art. 3 della Costituzione a quella del detenuto o del soggetto sottoposta a misura di sicurezza. (21) Interessante il commento su questo decreto di D'Agostino e di Corvaja:

ciò che il giudice non ha compreso è che la censura si appunta proprio sull'omissione della legge, su ciò che la norma non dice; quello che si lamenta in altre parole, è il difetto di una disciplina di attuazione, costituzionalmente necessaria, sul modello di quella dettata dall'art. 123 comma 1 del c.p.p (22)., che impedisca appunto di considerare un inconveniente di fatto l'impossibilità per il recluso di rivolgersi all'autorità giudiziaria. Il riferimento all'art. 123, che dovrebbe fungere da 'rima obbligata' per l'intervento addittivo della Corte Costituzionale, è perfettamente giustificato in forza dell'identità di situazione tra soggetto detenuto straniero internato nel campo. Entrambe sono persone private della libertà personale e ristrette in un luogo dal quale non possono uscire; la possibilità di far pervenire all'esterno un ricorso o istanza passa, quindi, necessariamente attraverso il personale dell'istituzione (carcere o campo) (23).

Nel negare l'assimilabilità della situazione dello straniero internato nel centro di permanenza a quella del detenuto o della persona soggetta a misura di sicurezza, sembra che emerga un diritto speciale per gli immigrati, infatti i campi nascono 'non dal diritto ordinario ma dallo stato di eccezione e dalla legge marziale'. (24)

L'espulsione (25) continua ad avere come presupposto la semplice violazione della disciplina dell'ingresso e del soggiorno: non sono previste valutazioni sulla gravità della violazione commessa né esistono meccanismi di una possibile regolarizzazione della condizione di chi è entrato irregolarmente nello stato, 'meccanismi che ben potrebbero essere costruiti in base al decorso di un certo periodo di tempo ed alla sussistenza di determinate condizioni lavorative, abitative e di assenza di condotte penalmente rilevanti'. (26) La disciplina dell'allontanamento diviene così il principale, se non l'unico strumento di governo dell'immigrazione irregolare, configurata 'come quasi delitto' a cui rispondere con una 'inedita quasi detenzione'. (27)

La disciplina inerente l'istituto dell'espulsione è applicabile esclusivamente all'adulto straniero irregolare o clandestino: infatti con l'introduzione della L. 40/98 e del suo relativo T.u. si è previsto il divieto di espulsione del minore straniero. L'art. 19 (28) secondo comma 2, lettera a) del T.u., prevede accanto ad altri casi di inespellibilità, anche il divieto di espulsione nei confronti degli stranieri minori di anni diciotto, fatto salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi (29).

Come per gli altri casi previsti dall'art. 19, comma 2, del T.u., il divieto di espulsione previsto per i minorenni riguarda tutti i tipi di espulsione (amministrativa o giudiziaria), ad eccezione dell'espulsione per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello stato. La decisione su tale provvedimento può essere adottata solo dal Tribunale per i minori, su proposta del questore (30), c'è quindi un arco di discrezionalità, non sappiamo quanto ampio, del Tribunale che può prevedere tale atto. Per alcuni in dottrina, come Lorenzo Miazzi, (31) giudice presso il Tribunale di Rovigo tale norma dovrebbe essere interpretata, in maniera restrittiva, cioè ritiene che il minore possa essere espulso dal Tribunale per i minori solo quando il questore espelle i suoi genitori o l'affidatario. Si avranno così delle espulsioni ridotte, e questo corrisponde, secondo tale interpretazione, almeno astrattamente, all'interesse del minore.

Nel decidere circa l'adozione del provvedimento di espulsione il Tribunale per i minori dovrà valutare e tenere nella dovuta considerazione sia la sussistenza dei motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello stato, per i quali può disporre l'espulsione, come prospettati dal questore proponente, sia l'effettivo interesse del minore, sia l'effettiva necessità e congruità della misura, qualora dalla sua adozione possa derivare una lesione del diritto all'unità familiare. Diritto questo tutelato dalla L. 40/98 ma anche dalla Convenzione di New York sui diritti dei fanciulli. Particolarmente delicate si prospettano soprattutto le decisioni di espulsione da adottare nei confronti di minori stranieri nati in Italia o che comunque abbiano perduto qualsiasi legame significativo con il loro paese di origine.

È bene sottolineare che l'adozione di provvedimenti di espulsione nei confronti dei minori è di per sé vincolata alla sussistenza di motivi di particolare gravità. Trattandosi, infatti di soggetti inespellibili, il provvedimento può essere adottato solo per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello stato, che difficilmente potranno configurarsi nei confronti di un soggetto minorenne.

Un intervento rilevante sul tema dell'espulsione è fatto dal primo Presidente del Comitato per i minori stranieri, Paolo Vercellone, in un testo approvato dal Comitato nella riunione del 2 maggio 2000 (32).

I membri del Comitato ritengono il provvedimento di espulsione previsto dall'art. 13, comma 1 del T.u., cioè per motivi di 'ordine pubblico, o di sicurezza dello stato', una questione delicata. Infatti l'espressione 'motivi di ordine pubblico' è sufficientemente elastica e potrebbe consentire, sempre in base al testo che sto analizzando, un'espulsione di ragazzi 'grandi' che abbiano già compiuto molti reati (si pensi allo spaccio reiterato) e che non siano stati condannati a pene detentive da scontare: si tratta di situazioni non infrequenti dove potrebbe configurarsi un 'motivo di ordine pubblico' a causa della reazione dei cittadini nei confronti dell'impotenza' dei pubblici poteri.

Come risvolto negativo si rischierebbe di introdurre una sorta di espulsione giudiziaria - amministrativa che potrebbe ledere il principio del divieto di espulsione per i minorenni; come risvolto positivo, però, si potrebbe evitare 'un uso eccessivo del rimpatrio assistito, fondato sul presunto interesse del ragazzo ad evitare, tornando nel suo paese d'origine, di rimanere affondato nei guai già ora e soprattutto quando raggiungesse la maggiore età'. (33) L'articolo si conclude su questo punto, sostenendo che sarebbe opportuno conoscere come i Tribunali per i minorenni abbiano applicato queste norme. Questo intervento non si occupa però in maniera soddisfacente del minore, concentrandosi sulla sola valutazione della possibile reazione dei cittadini che non si sentono tutelati dai pubblici poteri in caso di condotte criminose. Esso parte dal presupposto per cui tutti o quasi i minori stranieri sono dediti ad attività criminose, soprattutto lo spaccio di sostanze stupefacenti, e come l'unico rimedio possibile per 'tranquillizzare' il cittadino possa essere l'espulsione di questi minori.

2.2. Lo status dei minori irregolari e clandestini

Con il termine clandestini si intendono gli immigrati entrati illegalmente in Italia, mentre l'irregolarità fa riferimento ad una situazione sopravvenuta di perdita del permesso di soggiorno.

Uno degli argomenti centrali di questo studio è rappresentato dalla figura del minore straniero non accompagnato irregolarmente presente sul territorio italiano, non richiedente asilo o protezione umanitaria, ed emigrato con il sostanziale consenso degli esercenti la potestà genitoriale o comunque non contro la loro volontà. È rilevante in questo senso il regolamento 535/99, che definisce i compiti del Comitato per i minori, e per la prima volta dà una definizione precisa, di questa categoria riprendendo quella della Risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea del 1997, si può dire che istituzionalizza questa categoria di minori.

Per quanto riguarda i bambini, al di sotto dei 14 anni di età, il fatto che siano soli in un paese straniero coincide di per sé almeno con la mancanza di assistenza, perché soggetti tanto immaturi hanno bisogno del genitore presente che stia con lui e a lui provveda. Di qui la prassi di molti Tribunali per i minorenni di aprire la procedura per la dichiarazione di adottabilità, dopo le necessarie ricerche dei genitori o di altri parenti che si trovano all'estero. Questa disciplina non è però sempre applicabile all'adolescente minore straniero che rappresenta la fascia più numerosa presente in Italia.

La questione del trattamento dei minori stranieri non accompagnati è una materia decisamente complessa, perché coesistono molteplici disposizioni disorganiche e in parte contrastanti tra loro, che danno luogo ad enormi difficoltà di orientamento e di conseguenza a prassi giudiziarie disparate tra loro.

Questi ragazzi immigrano sperando in una sopravvivenza decente, con il beneplacito ed il sacrificio ingente, (anche economico) dei loro genitori. Se da una parte possono essere spinti da una smania consumistica, le ragioni del loro sradicamento sono da ricercare soprattutto nella necessità. È possibile che qualcuno venga immediatamente attratto da modelli di vita illegali o se li sia già prefigurati prima di raggiungere il nostro paese; ma è più probabile che la maggior parte dei ragazzi stranieri che si rende colpevole di illeciti, lo sia a causa delle difficoltà, degli ostacoli e degli scarsi aiuti che riceve lungo il percorso di ricerca di un inserimento sociale decente e dignitoso: casa, scuola, lavoro, socializzazione, tutela dell'identità. (34)

Un primo problema sorge per il minore solo alla frontiera. La normativa italiana prevede che sia respinto e rimpatriato senza nessun tipo di tutela. Infatti il nostro ordinamento non prevede la possibilità per il minore di entrare nel territorio da solo per motivi di lavoro. Se comunque il minore riesce ad entrare, eludendo i controlli alla frontiera, allora, data la sua posizione di minorenne potrà usufruire di tutta una serie di strumenti che potranno, almeno temporaneamente tutelarlo.

Per completezza espositiva è utile evidenziare la differente situazione dei minori stranieri durante la vigenza della precedente legge sull'immigrazione n. 39/90 e la nuova situazione creatasi in seguito alle ultime disposizioni in tema di immigrazione. Tendenzialmente il legislatore, nel regolamentare la materia, dimentica la peculiarità minorile assimilando così il minore all'adulto. Non sfugge a questa scelta la produzione legislativa in tema di immigrazione, infatti la L. 943/86 e la L. 39/90, consideravano l'immigrazione quasi esclusivamente come fenomeno economico. Si osserva come la legge 39/90 abbia volutamente ignorato il problema dei minori irregolari e spesso soli. Tale legge conteneva due sole indicazioni specifiche per i minorenni: una in materia di studio, che prevedeva che per i minori stranieri ospitati in istituti di istruzione, il permesso di soggiorno fosse richiesto dal preside. L'altra che stabiliva la segnalazione al Tribunale per i minorenni dei minori che richiedevano lo status di rifugiati (35). La marginalità di queste previsioni è evidente. Tra le due è più significativa la seconda disposizione soltanto perché introduce una definizione che poi verrà usata dai successivi legislatori: per la prima volta infatti si parla di 'minori non accompagnati' (36).

Dopo la legge 39/90 iniziò un periodo di effervescenza normativa, con numerosi decreti legge, sovente non convertiti, che sulla base di impulsi spesso contraddittori innovavano la disciplina degli stranieri, in particolare con riguardo agli ingressi e alle espulsioni. (37) In maniera sempre più rilevante questi decreti contenevano accenni o disposizioni specifiche per i minori, a testimonianza della crescente importanza che cominciava ad assumere tale aspetto del fenomeno migratorio. Complessivamente però la disciplina della condizione giuridica del minore rimaneva del tutto inadeguata per cui un peso assai rilevante assumevano le prassi dei vari uffici (Tribunali per i minorenni, Questure) creando così grossi problemi di omogeneità di trattamento nel paese (38).

Da questa mancata trattazione della problematica relativa ai minori stranieri soli, sorse l'esigenza di individuare, ricorrendo alla normativa generale, forme di intervento a loro favore. (39) Vale la pena citare le fonti giuridiche interne ed internazionali in tema di protezione della condizione minorile (40).

È prima di tutto dal dettato costituzionale (41) che emerge la figura del minore non più destinatario di un generico favor imposto dall'alto, ma titolare di veri e propri diritti soggettivi, perfetti ed azionabili (42). Nella Costituzione si rinvengono norme a tutela del minore sia tra i principi fondamentali, artt. 2, 3, sia nella parte relativa ai diritti e doveri dei cittadini, sia nel titolo riguardante i rapporti etico-sociali, artt. 29, 30, 31, e nella parte relativa ai rapporti economici, art. 37; tale complesso di norme tutela il minore come 'uomo', 'cittadino', come 'figlio', come 'lavoratore' e mai come personalità da forgiare per renderla conforme ad una astratta morale di stato o della famiglia (43).

Dopo l'introduzione della legge Martelli che non affrontava se non marginalmente l'aspetto dei minori, è stata determinante la legge 27 maggio 1991 n. 176, che ha ratificato la Convenzione sui diritti dei fanciulli di New York del 1989, tale provvedimento è la più compiuta espressione normativa sui diritti del fanciullo e con i suoi 54 articoli, costituisce un documento complesso. La Convenzione rafforza, per ciò che concerne le modalità formative ed educative del minore, le norme sopra viste della Costituzione italiana, ponendo il superiore interesse del minore quale chiave di lettura circa la predisposizione delle misure da attuare nei suoi confronti.

L'art. 3 afferma che "l'interesse superiore del fanciullo" debba essere la prima considerazione, in tutte le decisioni che lo riguardano e da qualunque soggetto provengono, compresi gli organi legislativi, ribadendo l'importanza di "soddisfare le speciali e specifiche esigenze dell'infanzia e dell'adolescenza" (44); rispetto ad altre esigenze in concorso, le esigenze del minore, potranno prevalere oppure no, ma dopo essere state oggetto di primaria considerazione.

L'art. 20 dichiara il diritto di ogni fanciullo, temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare, ad una protezione e ad aiuti speciali dello stato di origine, e ove esso non li garantisca, alla protezione sostitutiva degli stati parti. Tale assistenza può realizzarsi, continua l'articolo, attraverso l'affidamento, l'adozione o il collocamento in istituti di assistenza. Nell'attuare questi collocamenti si deve tener conto dell'opportunità di assicurare al bambino la continuità dei metodi educativi, di ambiente etnico, religioso, culturale e linguistico. Interessante è l'osservazione che compie la Dottoressa Melita Cavallo (45), su questo aspetto:

Il bambino ha diritto ad una cittadinanza universale, che gli deve essere riconosciuta ovunque egli sviluppi il suo processo di crescita, al di là della osservanza delle normative sul soggiorno, che può e deve riguardare l'adulto ma non il soggetto ancora non in grado di determinarsi autonomamente. (46)

Tale visione sottolinea l'importanza di differenziare la posizione del minore straniero da quella dell'adulto, garantendo al minore un diritto all'educazione, formazione, crescita non speculare alla cittadinanza ma concepito come un diritto primario che da essa prescinde e che crea obblighi per lo stato nel cui territorio il minore si trova.

Nel successivo art. 22 si riafferma la priorità del diritto del minore che chiede 'rifugio' alla protezione e assistenza umanitaria nello stato di arrivo; quindi si impegnano gli stati parti ad attivarsi anche "per ricercare i genitori o altri familiari... al fine di ottenere le informazioni necessarie per ricongiungerlo alla sua famiglia" (47).

In materia di protezione dei minori l'individuazione della legge applicabile e della autorità competente avviene in base all'art 42 della legge 31 maggio 1995 n. 218, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, con riferimento alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, resa esecutiva in Italia con legge 24 ottobre 1980, n.742 (48).

In base all'art. 1 di questa Convenzione le autorità, sia giudiziarie che amministrative, dello stato di residenza abituale di un minore sono competenti ad adottare misure tendenti alla protezione della sua persona e dei suoi beni. Con questo atto viene risolto quindi il discusso problema di quale fosse la legge da applicare al minore straniero, individuandola, come già la prassi giudiziaria aveva iniziato a fare, in quella dello stato di effettiva residenza del minore, e nella conseguente applicazione della lex fori rispetto a quella della lex patriae. Parimenti si concordò che l'assistenza e l'attività di protezione deve essere erogata dall'ente locale nel cui territorio di competenza il minore si trova. Le autorità amministrative e giudiziarie dello stato di residenza abituale adottano le misure previste dalla loro legislazione interna, come stabilisce la Convenzione del 1961. Per il minore, dunque, viene prevista una tutela 'forte', che non ammette alcuna distinzione 'per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere' (49). Questo significa che al minore straniero in Italia si applicheranno le normali misure di protezione previste dalle nostre leggi. Un primo problema da risolvere è quando si possono applicare le norme italiane in materia di protezione. Prima di tutto occorre che il minore straniero abbia 'residenza abituale' (50) in Italia. Secondo Gian Cristoforo Turri, procuratore presso il Tribunale di Treviso, si può parlare di residenza abituale quando il minore ha formalmente la residenza in Italia, cioè quando è regolare ma anche quando pur senza regolarizzare la sua posizione è presente in modo costante nel territorio. Inoltre, prosegue Turri, che è necessario sfumare il concetto di residenza fino a farla coincidere con il luogo in cui il minore si trova. Si tratta, comunque, di un espressione infelice, che ingenera incertezze e rende possibili applicazioni non uniformi nella normativa. (51) Atteso che la Convenzione dell'Aja del 1961 non contiene una definizione delle misure tendenti alla protezione del minore, né una elencazione esaustiva o indicativa. Secondo Lorenzo Miazzi, giudice presso il Tribunale di Rovigo, e Walter Citti (52), si debbano intendere ricomprese nell'ambito della Convenzione: la tutela, artt. 343 e seguenti del codice civile, gli interventi urgenti di protezione della pubblica autorità, art. 403 codice civile (53), i provvedimenti giudiziari relativi all'esercizio della potestà genitoriale, infine artt. 330 e seguenti del codice civile, e altri ancora. (54) Sono inoltre applicati gli affidamenti eterofamiliari artt 2-5 della l. 184/83 sull'adozione e l'art 37 (55) che dichiara applicabile al minore straniero in condizione di abbandono in Italia la legge italiana in materia di adozione di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza. Molto importante è anche l'art. 371 c.c. che demanda al Giudice Tutelare il compito di stabilire il luogo in cui il minore sottoposto a tutela deve vivere e che, rispetto ai minori stranieri non accompagnati è stato per analogia interpretato da alcune realtà locali, come attribuente all'autorità giudiziaria la valutazione dell'interesse o meno del minore a rimanere in Italia o ad essere rimpatriato.

Ho cercato di evidenziare come la mancata regolamentazione giuridica della materia dei minori soli, o non accompagnati che dir si voglia da parte della L. 39/90, costrinse diverse realtà locali ad individuare forme d'intervento ispirate ai principi generali di diritto minorile e a quelli della Convenzione di New York, con l'intento di sottrarre all'autorità di polizia i poteri di determinazione in merito al trattamento dei minori stranieri non accompagnati per trasferirli a quella giudiziaria, individuata alternativamente nel Tribunale per i Minorenni ovvero nel Giudice Tutelare (56). La prassi di quegli anni era tesa ad avviare l'apertura di una tutela da parte del Tribunale per i Minorenni, per i minori di anni quattordici, o del giudice Tutelare, per gli ultra quattordicenni, con conseguente affidamento all'Ente locale. Tale prassi si basava su un'interpretazione 'lata' dell'art. 37 della L. 184/83, secondo cui il giudice può emettere provvedimenti urgenti a favore del minore straniero in stato di abbandono. Se il Tribunale per i minorenni ravvisava fin dall'inizio lo stato di abbandono, per questi minori si apriva la procedura di adottabilità, ai sensi dell'art. 37 della L. 184/83. Questo orientamento non arrivava a sostenere che tutti i minori entrati clandestinamente in Italia e privi di riferimenti familiari dovessero essere dichiarati in maniera indiscriminata, adottabili, in quanto dovevano essere verificati i motivi per cui si trovavano in Italia, le loro condizioni personali, sociali e familiari, e soprattutto, doveva essere accertata, nonostante le numerose difficoltà, per escludere l'adozione, l'esistenza di familiari nel paese di origine (57).

L'Autorità giudiziaria minorile disponeva con decreto l'affidamento in via urgente del minore all'ufficio del tutore pubblico o ad una associazione del volontariato o ad un volontario, con precise prescrizioni, al fine di garantirgli il diritto ad un ambiente familiare idoneo alla scuola e alla salute. (58)

Da questa prassi, evidenziata in maniera precisa da Melita Cavallo nel suo intervento al Convegno Minori stranieri e giustizia: verso un approccio interculturale, tenutosi a Messina nel 1997, risulta come la maggior parte dei Tribunali aprisse un procedimento di tutela, in generale attraverso il Servizio Sociale Internazionale, o la Caritas, o il Consolato. Era frequente che a seguito del provvedimento di tutela del minore straniero, attuato attraverso un affido familiare, un collocamento in casa-famiglia, comunità o istituto, la questura rilasciasse al minore un permesso di soggiorno (59) provvisorio; facendo così acquisire al minore il diritto all'inserimento scolastico o all'apprendistato lavorativo.

Questa era la prassi a metà degli anni novanta, consolidatasi anche sulla spinta innovativa data dal Comune di Torino con la deliberazione del Consiglio comunale del 9 giugno 1992. Tale delibera aveva ad oggetto 'Minori extracomunitari: criteri e procedure sulla presa in carico dei servizi socio-assistenziali. Istituzione di un apposito ufficio'.

In assenza di qualsiasi organica normativa nazionale di tutela e protezione dei minori irregolari, il Comune di Torino siglava con l'autorità giudiziaria minorile, nel 1992 e successivamente nel 1994, un'intesa volta essenzialmente a garantire i diritti fondamentali previsti dalla Convenzione di New York e ratificata dallo stato italiano. Tali diritti sono resi esigibili tramite 'permessi di soggiorno per motivi di giustizia'. In altri termini, a fronte di un provvedimento dell'autorità giudiziaria minorile la questura rilasciava un permesso di soggiorno valido per il periodo del provvedimento civile o penale e comunque non oltre il compimento del diciottesimo anno di età, fatti salvi i casi specifici quali quelli della tutela per stato di abbandono, la presenza di un lavoro regolare, la frequenza ad un corso professionale o ad una borsa di formazione e lavoro. In questi casi il permesso veniva rinnovato per il periodo di lavoro o di frequenza.

Questa intesa (60) risulta un escamotage che si legittima non sulla base di norme specifiche, ma attraverso interpretazioni ed estensioni della legislazione generale sull'immigrazione, in materia minorile e delle circolari ministeriali. Tenendo conto sia dei livelli di autonomia che della necessità di verificare la reale volontà di inserimento è stato attivato un progetto denominato 'tutele civili'. In poche parole tutti i ragazzi senza genitori sul territorio nazionale che si iscrivevano a scuola e la frequentavano regolarmente venivano segnalati al giudice tutelare per l'apertura di una tutela che permetteva così di avere una persona che sostituisse i genitori. Tali tutele erano deferite: a parenti in possesso del permesso di soggiorno e che davano un minimo di garanzie; a persone appartenenti ad organizzazioni di volontariato (in assenza di parenti o in presenza di parenti che non accettavano la tutela o risultano inadeguati); al Comune di Torino per i casi più gravi che necessitavano dell'accoglienza in una comunità.

Dall'esame della situazione del minore solo in Italia, emerge come negli anni successivi alla legge Martelli, la disciplina che si applicava a tali minori fosse complessa ed eterogenea. In quegli anni, grazie all'intervento molto pressante dell'autorità giudiziaria, si ottenne che il nostro paese portasse l'attenzione sui minori stranieri in generale, al di là dell'esistenza sul nostro territorio di un genitore o di un familiare regolare. Prendendo spunto dal complesso quadro normativo, dalla prassi giudiziaria così come dalle esperienze di collaborazione tra diversi contesti locali, nel corso del 1994, le autorità centrali del Ministero dell'Interno, di quello di Grazia e Giustizia e del Lavoro decisero di avviare una serie di incontri e discussioni che condussero all'emanazione di circolari. Si tentava così di regolamentare in modo uniforme sul territorio nazionale la questione del trattamento dei minori stranieri non accompagnati.

In base a tali circolari amministrative, all'autorità di polizia (61) veniva sottratto ogni potere di determinazione sulla condizione ed il trattamento del minore, demandando all'autorità giudiziaria minorile (62) il difficile e delicato compito di individuare la soluzione più confacente agli interessi supremi del minore richiamati dalla Convenzione Internazionale sui diritti del fanciullo. Significativa in questo senso è la circolare n. 67 del 16 giugno 1994 del Ministero del Lavoro, grazie alla quale viene riconosciuto il diritto al lavoro del minore straniero ultra-quindicenne. Tale provvedimento stabiliva le condizioni e le procedure da seguire per l'accesso al lavoro di minori extracomunitari in stato di abbandono in Italia, prescindendo dalla iscrizione del minore stesso nelle liste di collocamento.

Venendo, poi incontro a ragioni di carattere umanitario, con una successiva circolare del 23 settembre 1995 del Ministero del Lavoro, si consentì la possibilità per il minore straniero non accompagnato e sottoposto a tutela, una volta raggiunta la maggiore età, di rimanere in Italia, usufruendo delle iscrizione alle liste di collocamento, alla pari degli altri cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia per motivi di lavoro anziché essere sottoposto al provvedimento espulsivo. Sebbene le autorità a livello locale applicassero spesso i provvedimenti amministrativi in maniera discrezionale e disomogenea, risulta dal quadro fatto, che in linea generale, erano state poste le basi nel trattamento dei minori non accompagnati per un superamento della logica delle espulsioni a favore di una logica alternativa di accoglienza ed integrazione. Vedremo più avanti come questo orientamento, troverà conferma con la L 40/98 ma non, almeno appare, con i decreti attuativi della legge stessa.

Questa era la strada da seguire, per la maggior parte dei magistrati e giudici minorili come Melita Cavallo e Lorenzo Miazzi (63) era la più garantista perché il Tribunale dei minori poteva sempre intervenire a favore del minore straniero con un provvedimento urgente ai sensi dell'art. 37 della L.184/83, sull'adozione. In tal modo la segnalazione, al Tribunale per i minorenni o al giudice tutelare, del minore entrato clandestinamente senza genitori poteva attivare l'iter procedurale idoneo a realizzare la tutela.

Da questa analisi sembra che le soluzioni più opportune da adottare nei confronti del minore straniero non accompagnato, anche nel senso del rimpatrio o della sua permanenza in Italia, siano di competenza dell'Autorità Giudiziaria minorile.

Tale convinzione appare oggi messa in discussione per effetto di nuovi strumenti normativi, che dovrebbero trasferire la competenza all'autorità amministrativa; infatti tale materia pare ora sotto il controllo del Comitato per i minori stranieri istituito dalla legge n. 40/98, così come è stata modificata dal d.lgs. 113/99, al quale spetta adottare il provvedimento di rimpatrio del minore straniero non accompagnato, previo eventuale nulla osta del tribunale per i minorenni qualora sia instaurato un procedimento giurisdizionale nei suoi confronti (64).

2.2.1. La questione dei parenti entro il quarto grado

Il minore, che si trovi in Italia privo di rappresentanza costituisce secondo il decreto della Corte d'Appello di Torino del dicembre 1999 una delle precise ipotesi, data la stabile lontananza dei genitori, in cui deve essere aperta una tutela (65). La nomina di un tutore garantisce al minore di avere assistenza e di vedere rappresentato il proprio interesse nel corso delle procedure amministrative che porteranno o al suo rimpatrio o all'accoglienza nel nostro paese. Del decreto riporto il seguente brano:

A mente dell'art. 343 del codice civile quando i genitori per qualsiasi causa, compresa una stabile lontananza, non possono esercitare la potestà con i poteri-doveri ad essa conseguenti (mantenimento, istruzione, educazione) deve essere aperta una tutela, affinché un tutore rappresenti il minore o abbia cura della sua persona. Questa disposizione si riferisce a qualsiasi minore, italiano o straniero. Attribuire una rappresentanza tutoria ad un minore straniero, che si trovi in Italia da solo, è importante sia perché possono essere fatti valere i suoi diritti (allo studio, alla salute, all'educazione, ad una casa dove poter abitare, ad una crescita equilibrata), sia per la sua assistenza ove commetta un reato, sia specificatamente perché il tutore possa rappresentare l'interesse del minore nelle procedure amministrative o giudiziarie che deve portare ad una decisione circa la permanenza in Italia o il rimpatrio per il ricongiungimento alla famiglia. [...] Uno dei compiti del tutore di un minore non accompagnato deve essere quello di rappresentarlo per la delicata scelta fra il suo rimpatrio o l'accoglienza nel nostro paese. [...] Di qui la necessità che un tutore ci sia, si tratti di un familiare o di un tutore burocratico per dare al minore una voce in scelte che non possono essere prese solo sulla sua testa e che così profondamente segneranno tutta la sua vita". (66)

La Corte rileva che secondo l'art. 343 del codice civile se entrambi i genitori sono morti o per altre cause non possono esercitare la potestà dei genitori viene aperta la tutela. In questi casi il giudice tutelare nomina tutore una persona, che se possibile è preferibilmente scelta tra gli ascendenti o i parenti del minore, la quale dia affidamento di educare ed istruire il minore come un genitore. Oltre a curare la persona il tutore rappresenta il minore in tutti gli atti civili e ne amministra i beni, ne fissa la residenza e ha diritto di richiamarvelo, infine il minore è tenuto ad obbedire al proprio tutore (67). L'apertura della tutela troverà applicazione sia nei confronti degli adolescenti stranieri soli che si occupano di se stessi sia dei minori stranieri che si trovano in Italia senza genitori, affidati di solito a parenti più o meno prossimi.

Quest'ultima ipotesi in cui il minore è affidato di fatto ad alcuni familiari adulti, che nella maggior parte dei casi sono parenti entro il quarto grado come lo zio, il fratello maggiore o il nonno, è una condizione che accomuna diversi minori non accompagnati. La situazione di fatto diffusissima è quella del minore straniero affidato, dai propri genitori rimasti nel paese d'origine, senza alcun provvedimento formale, ad un parente entro il quarto grado emigrato in Italia. Notevoli sono state e sono tuttora le oscillazioni della giurisprudenza in ordine alla sussistenza in tal caso dei presupposti per l'intervento a tutela del minore da parte dell'autorità giudiziaria, nonché in ordine all'individuazione del giudice competente, se il Tribunale per i minorenni o il giudice tutelare. L'art 4 della legge 184/83 prevede che l'affidamento familiare sia disposto:

  1. dal servizio locale, previo consenso manifestato dai genitori, o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore (cosi detto, affidamento consensuale)
  2. dal Tribunale per i minorenni, ove manchi l'assenso dei genitori esercenti la potestà o del tutore; in tal caso si applicano gli artt. 330 e seguenti del codice civile (cosi detto affidamento giudiziale).

Per quanto riguarda quest'ultimo tipo di affidamento, alcuni giudici hanno effettivamente disposto affidamenti a parenti entro il quarto grado (per es. il Tribunale di Venezia), talvolta con la motivazione della mancanza dell'atto di assenso dei genitori.

Altri Tribunali, tra cui quello di Torino si sono invece dichiarati incompetenti a provvedere in ordine alla domanda di affidamento da parte di parenti entro il quarto grado, non ravvisandosi una situazione di pregiudizio ed argomentando a contraris in base all'art. 9 (68) della legge 184/83. Questo secondo orientamento sembra effettivamente più corretto, dato che il Tribunale per i minorenni ha la funzione di controllo dell'esercizio della potestà genitoriale e di tutela del minore della condotta pregiudizievole dei genitori, con conseguente limitazione o decadenza della potestà, mentre non sembra sostenibile, ove il parente risulti idoneo a provvedere al minore, l'ipotesi di una condotta pregiudizievole da parte dei genitori. Questa prassi del Tribunale di Torino sembra escludere, quindi la disposizione dell'affidamento giudiziale, mentre sembrerebbe propensa al stabilire l'affidamento consensuale. In genere, infatti, il minore è affidato al parente dai genitori stessi e quindi con il loro pieno consenso. L'assenso dei genitori manca non in senso sostanziale ma in senso formale. In questa ipotesi dovrà essere chiarito con quali modalità i genitori potranno manifestare il loro consenso all'affidamento del minore, ed in particolare se tale autorizzazione debba essere manifestata attraverso un atto notarile legalizzato presso la rappresentanza diplomatica consolare italiana nel paese d'origine.

In base all'art. 9, quindi, della legge 183/84, sembrerebbe che il parente entro il quarto grado non abbia il dovere di segnalare l'affidamento di fatto al giudice tutelare, ma tale disposizione non sembra escludere che egli possa segnalare tale circostanza, chiedendo un provvedimento formale, cioè un affidamento consensuale. La formalizzazione dell'affidamento a tale parente non è necessaria ma non è nemmeno esclusa, e rappresenterebbe una maggiore garanzia per tutelare l'interesse del minore in quanto comporterebbe un controllo da parte del servizio sociale sull'identità e idoneità del familiare.

In questa contesto si ipotizza che i parenti non siano clandestini ma abbiano almeno un permesso di soggiorno: che 'esistano' anche documentalmente, quindi e che il minore abbia trovato presso di loro un sostegno sostanziale, ad esempio abitativo (69).

Secondo la prassi, che emerge dal Tribunale di Torino, si tratterebbe di una forma di 'affidamento di fatto' che per essere giuridicamente rilevante, non richiederebbe i provvedimenti amministrativi o giudiziari previsti dagli artt. 2 e 4 della legge 184/83. La liceità dell'accoglienza stabile del minore presso parenti entro il quarto grado sarebbe sufficiente a far considerare il minorenne come facente parte di quel nucleo familiare. Secondo alcuni (70) questo affidamento di fatto dovrebbe essere assimilato agli 'affidamenti' previsti dagli artt. 31 e 32 (71) del Testo unico 286/98, e dunque consentire l'iscrizione del minore nel permesso di soggiorno del parente; con il rilascio successivo, al compimento di quattordici anni, di un proprio permesso di soggiorno per motivi familiari. Infine al raggiungimento della maggiore età, il rilascio facoltativo di permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro ecc. Il fondamento di tale interpretazione si ricaverebbe dall'art 29, comma 2 del T.U., che ammette il ricongiungimento familiare dei figli minori, ai quali sono equiparati 'i minori adottati o affidati o sottoposti a tutela (72). Il Tribunale dei minori di Torino, fondandosi appunto sulla liceità dell'accoglienza stabile del minore presso parenti entro il quarto grado, ha ritenuto di non disporre un affidamento familiare richiesto da quei parenti in quanto non c'era bisogno di un provvedimento per convalidare la scelta fatta dal genitore (dichiaratosi d'accordo dinanzi ad autorità o notaio locale) di lasciare il proprio figlio presso zii, nonni o fratelli maggiori (73). Il Tribunale almeno così pare, ha controllato che quei parenti avessero tutti i requisiti previsti per ottenere il ricongiungimento familiare, per sapere se tali familiari fossero in grado di provvedere al minore (74).

È opinione di alcuni, primo fra tutti Paolo Vercellone, Presidente del Comitato per la tutela dei minori, che quegli affidamenti di fatto non abbiano alcuna rilevanza giuridica ai sensi del T.U. Infatti, sostiene Vercellone (75) nei confronti di questo minore non potrà nemmeno iniziare un procedimento di stato di abbandono, perché i genitori lo hanno lasciato nell'ambito della famiglia allargata. Starà in questo ambito come ospite e fino a quando i suoi parenti lo vorranno tenere: proprio perché non affidatari non hanno alcun dovere giuridico nei suoi confronti. Si intuisce così l'importanza di questi inserimenti familiari ma indubbiamente emerge anche il bisogno, la necessità di una maggiore chiarezza a livello legislativo e anche una maggiore uniformità delle pronunce giurisdizionali.

2.3. La nuova funzione del Comitato per la tutela dei minori introdotta dal D.lgs. 13 aprile 1999, n. 113: il rimpatrio assistito

Con la nuova legge sull'immigrazione non si è voluto prevedere una griglia normativa precisa ed organica sulla materia dei minori non accompagnati e questo atteggiamento ha favorito un elevato esercizio di discrezionalità amministrativa. L'elevato numero dei minori stranieri non accompagnati affidati e accolti presso istituti e centri di accoglienza dei comuni, ha accresciuto le difficoltà di gestione da parte degli amministratori locali. A ciò si sono aggiunte le preoccupazioni da parte governativa di alimentare flussi migratori clandestini attuando una politica di accoglienza.

Successivamente alla L. 40/98 sono stati emanati il T.u. (D.lgd. 286/98) e il D.lgs 13 aprile 1999, n. 113 (76). Con quest'ultimo ed in particolare con l'art. 5, sono state introdotte delle disposizioni correttive al T.u. sull'immigrazione riferite ai poteri e alle funzioni del Comitato per i minori stranieri di cui all'art. 33 del D.lgs 286/98.

La nuova funzione del Comitato sottrarre il sindacato sul preminente interesse del minore, soprattutto sul suo rimpatrio o meno alla competenza giurisdizionale. Tutto questo sembra in rottura con il sistema fino ad oggi vigente, teso all'inserimento, anche nel mondo lavorativo, di questi ragazzi soli, sia prima che dopo il raggiungimento della maggiore età.

Abbiamo visto come accanto alle funzioni tradizionali, già con l'art. 33 del T.u. si era fatto cenno, anche se in modo sfuggevole, ad ulteriori e non precisati compiti concernenti la tutela dei minori stranieri in conformità alla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, in relazione anche all'affidamento temporaneo e al rimpatrio dei medesimi.

Con l'art. 5 (77) del D.lgs 113/99 si fa esplicito rimando ad un regolamento, successivamente emanato con il D.P.C.M. del 9 dicembre 1999, n. 535. Tale regolamento definisce i compiti del Comitato anche con riferimento alle modalità di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati da parte dei servizi sociali, degli enti locali, e individua le soluzioni praticabili nei loro confronti di accoglienza, di rimpatrio assistito, di ricongiungimento con la famiglia nel paese d'origine o in un paese terzo. In particolare, il decreto legislativo prevede che il provvedimento di rimpatrio del minore straniero non accompagnato venga adottato dal Comitato e che l'autorità giudiziaria rilasci il nulla-osta in caso di pendenza di un procedimento giudiziario, fatta salva la sussistenza di inderogabili esigenze processuali.

Per rimpatrio assistito si intende l'insieme delle misure adottate allo scopo di garantire al minore interessato l'assistenza necessaria fino al ricongiungimento coi propri familiari o al riaffidamento alle autorità responsabili del paese di origine, in conformità alle Convenzioni internazionali, alla legge, alle disposizioni dell'autorità giudiziaria ed al 'presente regolamento'. Il rimpatrio deve essere finalizzato a garantire il diritto all'unità familiare del minore e ad adottare le conseguenti misure di protezione.

L'art. 7 del regolamento disciplina il rimpatrio assistito stabilendo che 'il rimpatrio deve svolgersi in condizioni tali da assicurare il rispetto dei diritti garantiti al minore dalle Convenzioni internazionali, dalla legge e dai provvedimenti dell'autorità giudiziaria e tali da assicurare il rispetto e l'integrità delle condizioni psicologiche del minore, fino al riaffidamento alla famiglia o alle autorità responsabili. Dell'avvenuto riaffidamento è rilasciata apposita attestazione da trasmettere al Comitato'. È inoltre stabilito che 'il Comitato dispone il rimpatrio assistito del minore presente non accompagnato, assicurando che questi sia stato previamente sentito, anche dagli enti interessati all'accoglienza, nel corso della procedura. Le amministrazioni locali competenti e i soggetti presso i quali il minore soggiorna cooperano con le amministrazioni statali cui è affidato il rimpatrio assistito'.

La presenza di un minore straniero 'solo' viene segnalata al Comitato sia quando si tratta di un minore che entra o tenta di entrare clandestinamente nel territorio dello stato (78), sia quando si tratta di un minore da tempo presente, sia pur in modo irregolare.

L'accertamento dello status di minore non accompagnato è effettuato dal Comitato per i minori stranieri e avviene sulla base delle informazioni fornite dai pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio che danno la notizia, sia degli esiti delle indagini dell'autorità di pubblica sicurezza in ordine all'identità del minore, anche attraverso la collaborazione delle rappresentanze diplomatico-consolari del paese di origine.

Una volta che il minore straniero è censito come 'non accompagnato', il Comitato svolge compiti di impulso e di ricerca per individuare i familiari dei minori. Qualunque siano le informazioni acquisite, senza che sia previsto un tempo per queste ricerche, il Comitato può adottare il provvedimento di rimpatrio assistito.

In concreto, le modalità del rimpatrio, previste dall'art. 7 del regolamento, non sono specificate, se non con un richiamo a diritti, convenzioni, leggi e provvedimenti. Per cui il rimpatrio può avvenire nel paese di origine, come in un paese terzo dove si trovano i genitori, consegnando il minore alla famiglia o a non meglio specificate 'autorità responsabili', presumibilmente di un altro paese o di un'organizzazione internazionale. Non è indicato da quale organismo o ente il rimpatrio sia effettuato: la previsione dell'art. 7, comma 3 secondo cui le amministrazioni locali e i soggetti presso i quali il minore soggiorna cooperano con le amministrazioni statali cui è affidato il rimpatrio, lascia intuire che il Comitato, che non ha suoi organi a ciò deputati, delegherà l'esecuzione del rimpatrio alla polizia, curandosi però di ricevere 'apposita attestazione' dell'avvenuto riaffidamento.

Tutta l'attività relativa al rimpatrio è gestita da un'autorità amministrativa senza precise regole da rispettare, ma con amplia discrezionalità sui tempi e i modi dell'azione.

L'istituto del rimpatrio, secondo la posizione governativa, va tenuto però, distinto dall'espulsione in quanto, si realizzi mediante le garanzie sostanziali e procedurali contenute nella Risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea del 26 giugno 1997. Il provvedimento di rimpatrio può essere adottato, secondo il Consiglio d'Europa, solo nel caso in cui siano disponibili per il minore al suo arrivo, una accoglienza ed un'assistenza adeguata, a seconda delle sue esigenze in base all'età ed al grado di indipendenza, e 'finché non sia possibile un rimpatrio a tali condizioni in linea di massima gli stati dovrebbero offrire al minore la possibilità di restare nel loro territorio. Inoltre nella risoluzione del Consiglio dell'unione Europea, il rimpatrio è vietato ogni qualvolta lo stesso sia contrario alle convenzioni relative allo status di rifugiato, alla convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, alla convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o alla convenzione sui diritti dei fanciulli. Da questo si evince che il 'provvedimento di rimpatrio ha precisi limiti soggettivi ed oggettivi, ed è solo nell'ambito di detti limiti che può essere attuato' (79).

Almeno teoricamente e formalmente la differenza fra espulsione e rimpatrio sembra essere data dall'assenza della coercizione (80), del rimpatrio. L'espulsione è, infatti un provvedimento in base al quale lo straniero viene semplicemente rinviato, coattivamente, nel suo paese d'origine, senza che ci si curi di quale situazione vi incontrerà, salvo il caso in cui ci siano dei rischi di persecuzione; il rimpatrio assistito si dovrebbe fondare sulla valutazione del superiore interesse del minore, e comporta il rispetto del diritto del minore alla protezione e quindi che il minore venga affidato, dopo attente indagini, ad adulti responsabili che se ne prendano cura.

Il rimpatrio dovrebbe essere, quindi, un provvedimento completamente diverso dall'espulsione dal punto di vista dei presupposti e delle motivazioni in quanto è adottato nell'interesse del minore: tale provvedimento si fonda sul presupposto che il minore si troverebbe in condizioni migliori nel proprio paese d'origine. Per valutare questo aspetto è necessario prendere contatto con la famiglia e verificare le opportunità assistenziali, formative lavorative offerte in tale paese. Il più delle volte risulta quasi impossibile comunicare con la famiglia, specialmente in Albania molte famiglie risiedono in villaggi sperduti sulle montagne, con i quali non vi sono collegamenti telefonici.

Il Dipartimento per gli Affari Sociali della Presidenza del Consiglio dei ministri in collaborazione con il Servizio Sociale Internazionale (81), ha promosso in Albania progetti finalizzati ad accogliere e supportare il ragazzo rimpatriato, per adesso sembra che non ci siano gli stessi rapporti con altri paesi. Tuttavia non risulta che 'tutti i ragazzi rimpatriati siano inseriti in questi progetti, né che la loro situazione nel paese d'origine sia effettivamente migliore di quella in cui si trovano in Italia' (82).

Proprio in ragione della diversa natura, prospettata dal dlgs.113/99, del rimpatrio rispetto all'espulsione, anche le modalità di esecuzione dovrebbero essere diverse, ma la norma legislativa non le prevede, devolvendole la disciplina alla norma secondaria. Il minore deve essere accompagnato fino alla casa della sua famiglia o ad una struttura di accoglienza e ciò non sempre è effettivamente avvenuto (83).

Il rimpatrio viene così percepito 'come una vera e propria espulsione: il minore senza avere alcuna possibilità di partecipazione al procedimento e addirittura senza esserne precedentemente avvertito, viene prelevato (84) dalle forze di polizia e accompagnato al valico di frontiera dove è messo sull'aereo, sulla nave o sul treno che lo riporteranno nel paese d'origine' (85).

La fase di accertamento dello status e di adozione del provvedimento di rimpatrio è delegata all'autorità amministrativa, senza la previsione di alcuna forma ordinaria di impugnazione del provvedimento, sul punto è tale il vuoto normativo che lo stesso Comitato ha ritenuto opportuno esprimere un suo parere, affermando che la propria decisione sia impugnabile al Tribunale Amministrativo Regionale, trattandosi di un atto amministrativo. Non è, quindi, prevista alcuna forma di controllo sull'attività del Comitato: in questo senso la condizione giuridica del minore straniero non accompagnato, a prescindere dai richiami alla tutela del minore 'appare peggiore di quella dell'adulto che almeno in caso di espulsione o respingimento gode di un minimo di garanzie giurisdizionali formalizzate' (86).

La mancata previsione degli strumenti di tutela a favore di un minore destinatario di un provvedimento di rimpatrio assistito è una 'dimenticanza' molto grave. Se è indubbio, infatti, che si tratti di un atto amministrativo e che come tale sia impugnabile al Tribunale amministrativo, secondo i principi generali, è parimenti indubbio che detto Tribunale non possa essere competente a valutare se nella specie sia stato o meno rispettato l'unico principio che renda legittima l'adozione di un provvedimento di rimpatrio assistito. Principio da riconnettere al superiore interesse del minore rapportato alle condizioni e ai presupposti per la realizzazione della personalità, della formazione della personalità nel paese d'origine.

Né potrebbe venire in rilievo il Tribunale per i minorenni, in mancanza di una previsione esplicita, infatti la sua competenza è tassativamente attribuita da una norma di legge, che in questo caso manca (87).

Del tutto assente è poi l'indicazione dei criteri con i quali va valutata l'opportunità di disporre il rimpatrio: da una serie di rinvii delle varie norme, secondo Lorenzo Miazzi:

si evince che l'unico criterio legislativamente previsto è quello secondo il quale il rimpatrio è sempre e comunque il provvedimento migliore per il minore straniero non accompagnato, e ciò addirittura se non fossero trovati i familiari dei minori, in quest'ottica diventano concepibili due aspetti del procedimento di rimpatrio altrimenti incomprensibili: la mancata previsione di un contraddittorio con il minore o con chi lo rappresenti e l'esclusione dal procedimento dell'autorità giudiziaria minorile. (88)

Scorrendo le norme appare che la disciplina introdotta, contrariamente a quanto affermato, non ha come priorità l'assistenza al minore, ma 'è strumentale a dare inizio, consentire ed eseguire il rimpatrio' (89): in quest'ottica non si vede in che cosa si differenzi il rimpatrio dall'espulsione, se non nell'eleganza formale dell'espressione. (90)

Numerosi sono stati i rilievi, le critiche mosse da più parti (91) verso le incertezze e contraddizioni del nuovo decreto legislativo, inoltre le disposizioni del regolamento non fugano i pesanti dubbi di incostituzionalità dell'art. 5 D.lgs. 113/99, sollevati da alcuni (92), né il contenuto di tale provvedimento può essere ritenuto soddisfacente da chi ha evidenziato il pericolo di sovrapposizione di competenze e la contraddittorietà della normativa.

Un aspetto importante perché possa realizzarsi il rimpatrio assistito è dato dal valutare il 'superiore interesse del minore, la legge, lo abbiamo detto, tace completamente su quali criteri usare a riguardo.

I criteri su cui fondare la decisione se sia nell'interesse del minore restare in Italia o essere rimpatriato, costituiscono una delle problematiche più complesse e delicata di tutta la questione dei minori stranieri non accompagnati; naturalmente la scelta dovrà sempre fondarsi su una valutazione caso per caso, che tenga conto della specifica situazione del minore. Tuttavia è inevitabile che vi siano dei criteri più o meno generali relativi a che cosa e a quali fattori debbano essere valutati: è sufficiente la mera esistenza dei genitori, ovvero è necessario valutare la loro capacità di mantenere il minore, la loro volontà, la loro eventuale condotta pregiudizievole nei confronti del minore, le opportunità offerte al minore in Italia e nel suo paese d'origine. Il superiore interesse del minore non dovrebbe essere rigidamente definito, ma è al contrario un concetto altamente discrezionale e tale deve essere per consentire un'effettiva valutazione caso per caso della situazione di ogni singolo minore. (93)

In questo dossier citato si distingue tra la capacità, e la volontà dei genitori di provvedere al mantenimento, educazione ed istruzione dei figli.

Se i genitori hanno mezzi sufficienti ed accettano di riaccogliere il minore e di provvedervi, il rimpatrio potrà essere ipotizzabile, tenendo conto naturalmente, della volontà della famiglia e del minore, valutando le opportunità formative, lavorative assistenziali offerte dal paese d'origine e dall'Italia.

Nell'ipotesi in cui i genitori hanno i mezzi sufficienti, ma si rifiutano di provvedere al minore, e quindi rifiutano il suo rimpatrio, sembra di poter affermare che il Tribunale per i minorenni dovrebbe dichiarare la decadenza dei genitori dalla potestà genitoriale e lo stato di adottabilità, in base a quanto disposto dalla L. 184/83, artt. 12, 15.

Un aspetto secondo me, molto importante è il come valutare le capacità della famiglia di provvedere al mantenimento educazione, istruzione del minore. Al di sotto della soglia della povertà assoluta non ci dovrebbero essere dubbi di valutazione: se la famiglia muore letteralmente di fame, si può affermare che non è in grado di mantenere il minore. Ci sono però ipotesi in cui si pone la questione se la valutazione debba fondarsi su standard di mantenimento, istruzione dei paesi industrialmente avanzati o su quelli del paese d'origine.

Consideriamo il caso, assai frequente, in cui la famiglia viva in una zona molto povera di campagna o di montagna, dove il minore non può frequentare la scuola ed è costretto, per contribuire al mantenimento suo e della famiglia, a lavorare duramente o ad emigrare in città per cercare lavoro (94). Tale situazione verrà valutata in base ai nostri standard e quindi si considererà che il minore non potrebbe esercitare il diritto all'istruzione, alla salute, alla tutela dello sfruttamento economico, riconosciutogli dalla Convenzione di New York? Oppure gli standard assunti saranno quelli del paese d'origine, e si riterrà che dato che il reddito, il livello di istruzione e la qualità della vita medi nel paese d'origine, sono bassi, si potranno ritenere sufficientemente soddisfatti i diritti del minore alla salute, all'istruzione, e la famiglia potrà essere considerata in grado di provvedere al mantenimento del minore? L'autorità giudiziaria o amministrativa dovrà quindi applicare criteri diversi al minore italiano e al minore straniero? Questa ipotesi sembra improponibile, (95) anche in base a quanto disposto dalla Convenzione di New York. (96)

A queste osservazioni mi sembra necessario aggiungere che dovrebbe essere data maggiore rilevanza alla volontà del minore (97), per allontanarsi da una concezione della 'valutazione dell'interesse del minore' paternalistica, e poco attenta alla persona e alla libertà di ciascuno di stabilire che cosa sia meglio per sé. Anche perché i ragazzi non accompagnati, almeno la maggior parte, arrivano nel nostro paese, con un loro progetto migratorio come qualsiasi altro gruppo di immigrati adulti.

In un Convegno tenutosi a Torino il 4 luglio 2000, il Presidente del Comitato per i minori stranieri, Paolo Vercellone, cerca di chiarire l'attività del nuovo organo, rilevando alcune linee guida sul rimpatrio assistito, discusse all'interno di quest'organo amministrativo (98).

In base a questi orientamenti si ritiene che se il minore non accompagnato ha meno di dodici anni non vada ascoltato, se è piccolo è meglio il rimpatrio (99), sopra i dodici anni, il ragazzo va sentito, e deve essere trasmessa al Comitato o la dichiarazione sottoscritta o un verbale da cui risulta che il minore sia stato interpellato su che cosa preferisca fare, se rientrare nel proprio paese d'origine o rimanere in Italia. Il Comitato chiede a chi effettua le varie segnalazioni di minori non accompagnati stranieri di comunicare quale sia la situazione, anche psicologica, del minore e quali percorsi formativi lavorativi sono stati da lui seguiti o almeno proposti. Il presidente prosegue poi, sostenendo che i ragazzi con gravi problemi sanitari, psichiatrici, di tossicodipendenza e di alcolismo, sarebbe opportuno farli rimanere in Italia.

Secondo me da questo intervento emerge come ancora le linee guida i criteri per effettuare il rimpatrio siano poco chiari anche agli stessi membri del Comitato stesso. È comunque significativo che sia lo stesso Presidente a sostenere che qualunque 'organo che abbia dei poteri di decidere così ampi, così discrezionali al limite dell'arbitrarietà, è necessario che si autolimiti, dicendo a priori come si comporterà' (100).

2.3.1. L'interesse del minore

Il minore straniero non accompagnato una volta entrato irregolarmente nel territorio italiano gode degli stessi diritti dei minori cittadini italiani ha quindi, perché minore la possibilità di rimanere in Italia. In questo senso si innesca la normativa che disciplina le questioni relative al permesso di soggiorno. Tale materia è frammentaria e confusa a causa della difficoltà nell'individuare i permessi di soggiorno da rilasciare ai minori, caratterizzati da diversi status.

In base all'art. 28 del d.p.r. 394/99 al minore non accompagnato viene rilasciato un permesso di soggiorno per minore età. Tale articolo stabilisce che: 'Quando la legge dispone il divieto di espulsione, il questore rilascia il permesso di soggiorno per minore età, salvo l'iscrizione del minore degli anni quattordici nel permesso di soggiorno del genitore o dell'affidatario stranieri regolarmente soggiornanti in Italia. Se si tratta di minore abbandonato, è immediatamente informato il Tribunale per i minorenni per i provvedimenti di competenza'. Al riguardo, si chiarisce che 'tale titolo di soggiorno verrà rilasciato solo in via residuale e qualora si verifichino situazioni non riconducibili ad altre tipologie di soggiorno già previste dalla normativa in vigore, ad es. motivi familiari, di giustizia, di protezione sociale'. (101)

Tale permesso sembrava dover risolvere tutti i problemi relativi al soggiorno dei minori, soprattutto dei minori soli e ai diritti connessi, rendendo quindi non necessario né opportuno l'intervento suppletivo dell'autorità giudiziaria minorile. Non sono però, per niente chiari, i requisiti per ottenere questo tipo di permesso, né i diritti ad esso connessi, la sua durata, la possibilità di rinnovo al compimento della maggiore età.

Un problema fondamentale è rappresentato dalla possibilità di rinnovare o meglio convertire il permesso di soggiorno dopo il compimento dei diciotto anni. Dal T.u., da relativo regolamento di attuazione e da alcune circolari sembrerebbe che quasi tutti i permessi di soggiorno concessi ai minori possano essere convertiti ad altro titolo, lavoro, studio, al raggiungimento della maggiore età, con l'eccezione del permesso di soggiorno per minore età.

Numerosi aspetti relativi al permesso di soggiorno per minore età restano da chiarire, interessante e chiara la disamina effettuata nel Dossier sui minori non accompagnati:

  1. i requisiti necessari per il rilascio del permesso per minore età. In particolare si dovrà chiarire se per il rilascio è necessario, che vi sia un tutore, che il Comitato per i minori stranieri e/o il Tribunale per i minorenni si sia già espresso in merito all'interesse del minore a restare sul territorio italiano e a non essere rimpatriato, che il minore sia identificato con certezza e che sia in possesso di un passaporto valido o altro documento equipollente;
  2. la durata di questo tipo di permesso non è specificata dal regolamento di attuazione;
  3. i diritti connessi a questa tipologia di permesso: dovrà essere chiarito se tale provvedimento consenta di lavorare. Per me sembra ragionevole, che i titolari di questo permesso possano lavorare, in analogia a quanto disposto per i minori titolari di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia, o titolari di un permesso perché affidati;
  4. se e a quali condizioni il permesso per minore età possa essere rinnovato al raggiungimento della maggiore età, anche in questo caso in analogia a quanto disposto dal T.u. per i minori affidati ex artt. 2, 4 della L. 184/83 e della circolare del Ministero dell'interno del 23 settembre 1995, n. 29 per il permesso per motivi di giustizia.

Molti dei minori stranieri non accompagnati, che in base al regolamento di attuazione, d.p.r. 394/99, del T.u. 286/98, otterranno il permesso per minore età, sono di solito inseriti in un positivo percorso educativo e di integrazione: frequentano la scuola, frequentano corsi di formazione professionale, lavorano con contratti di lavoro regolari. In via generale l'art. 5, comma 9 (102) sembra prevedere la convertibilità dei permessi di soggiorno. Ora nonostante che il regolamento di attuazione non stabilisca la convertibilità di questo tipo di permesso, non vi è, né nel T.u., né nel regolamento di attuazione, alcuna disposizione che vieti la conversione o il rinnovo, come accade per i permessi di soggiorno di cui all'art. 27 del T.u. (103), per i quali il regolamento di attuazione stabilisce che 'non possono essere rinnovati e [...] non possono essere convertiti, salvo quanto previsto dall'art. 14, comma 5 (104)', così stabilisce l'art. 40 del regolamento di attuazione 394/99.

Se non sarà riconosciuto la convertibilità del permesso di soggiorno per minore età, al compimento dei diciotto anni, 'questi ragazzi diventeranno improvvisamente immigrati clandestini, privati di quasi ogni diritto e passibili in qualsiasi momento di espulsione; il percorso di integrazione si interromperà e questi adolescenti verranno risospinti nel mondo del lavoro nero e dello sfruttamento, o addirittura della delinquenza e della criminalità (105). In mancanza di una chiara disposizione, resta però alla discrezionalità delle questure la scelta tra consentire o meno la conversione, e sembra che le 'questure siano attualmente orientate a rifiutare tale possibilità' (106).

È dunque urgente una modifica legislativa che stabilisca chiaramente, che il permesso di soggiorno per minore età possa essere convertito al compimento della maggiore età, (almeno nei casi in cui vi sia un percorso di integrazione in corso o progettato), in permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura, in analogia a quanto disposto in merito per il permesso di soggiorno rilasciato ai minori affidati e a quello rilasciato per motivi di giustizia.

Sembra che una risposta a queste domande sia data, forse in maniera superficiale ed affrettata, dalla circolare dal Ministero dell'interno, del 13 novembre 2000, che ha ad oggetto i permessi di soggiorno per minore età, rilasciati ai sensi dell'art. 28, comma 1 del d.p.r. 394/99 (107).

In questo provvedimento amministrativo si stabilisce che il permesso di soggiorno per minore età dovrà essere riservato ai minori stranieri non accompagnati, come definiti dal d.p.r. 535/99, per i quali la legge stessa prevede la possibilità di un loro rimpatrio assistito a seguito dell'individuazione dei familiari nel paese d'origine, ovvero nell'ipotesi in cui il Tribunale per i minorenni, sia pure tempestivamente informato, non determini formalmente l'affidamento dei soggetti interessati, ai sensi dell'art. 2 della L. 184/83. Si ritiene di dover ricorrere al permesso di soggiorno per minore età, inoltre anche qualora, in assenza di detto provvedimento di affidamento, il competente giudice tutelare abbia semplicemente nominato un tutore ai sensi del codice civile.

In quanto preordinato alla immediata tutela del minore non accompagnato nelle more dell'adozione dei provvedimenti più adeguati ai fini del reinserimento nella sua famiglia d'origine, si reputa che detto titolo non consenta lo svolgimento di attività lavorativa, in ragione della provvisorietà dell'autorizzazione che non è finalizzata a tutelare un diritto di stabilimento.

La circolare esclude, che al minore straniero con un permesso di soggiorno per minore età, possa essere applicata la disposizione di cui all'art. 32 del T.u. che disciplina la possibilità di rilascio di un ulteriore permesso di soggiorno, al compimento della maggiore età, allo straniero cui, in applicazione dell'art. 31, sia stato rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari o sia stato inscritto in quello del genitore o dello straniero affidatario ovvero a seguito dell'emanazione di un provvedimento ex art. 4 L. 184/83 sia titolare di un permesso di soggiorno per affidamento.

Tale atto, essendo interno all'amministrazione, dovrebbe avere solo una valenza di integrazione, di interpretazione di quelle che sono le disposizioni della normativa In altre parole la circolare non potrebbe stabilire le condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per minore età, perché non ha il conforto della legge, infatti né il T.u. 286/98, né il relativo regolamento d'attuazione D.P.R 394/99, escludono la possibilità per il minore di lavorare, e l'opportunità di convertire tale permesso di soggiorno.

Questo provvedimento amministrativo appare, secondo me decisamente approssimativo, sbrigativo, per niente attento al 'superiore interesse del minore', risulta, inoltre preponderante l'approccio del rimpatrio assistito, come unica possibilità per il minore non accompagnato. Sembra poi che per poter effettuare il rimpatrio sia sufficiente l'individuazione dei familiari nel paese d'origine, aspetto questo che non è soddisfacente a valutare l'interesse del minore essendo necessario considerare soprattutto la volontà di quest'ultimo, e soprattutto le condizioni oggettive.

Le disposizioni del Ministero dell'interno mirano esplicitamente ad impedire in ogni modo l'integrazione dei minori stranieri non accompagnati. Questi ragazzi venuti in Italia soprattutto per lavorare e per aiutare la propria famiglia, non potendo lavorare regolarmente, sono costretti a lavorare in nero, esposti al peggiore sfruttamento; o peggio ancora, rischiano fortemente di essere sfruttati come manodopera in attività illegali. In ogni caso a diciotto anni, malgrado tutti gli sforzi fatti per studiare, per integrarsi, imparando un lavoro, sanno che li aspetta l'espulsione. In queste condizioni che valore possono avere la scuola, i corsi di formazione o il lavoro per i ragazzi, che anche se si impegnano non vedranno 'ripagato' tale 'sforzo'.

Si può notare una certa apertura con nuova circolare del Ministero dell'Interno del 9 aprile 2001 avente ad oggetto i minori non accompagnati, permesso di soggiorno per minore età, rilasciato ai sensi dell'art. 28, comma 1, let.) a, del D.P.R. 394/99. Tale atto è successivo alla circolare del 13 novembre 2000, con la quale si erano date indicazioni in ordine al rilascio del permesso di soggiorno per minore età ma il ministero dell'Interno ritiene utile fornire ulteriori precisazioni anche alla luce di intese intercorse con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli Affari Sociali.

La circolare sembra prevedere la seguente procedura: per ogni minore segnalato al Comitato per i minori stranieri (108), quest'ultimo avvia entro sessanta giorni le indagini nel paese d'origine per individuare la famiglia o l'autorità del paese d'origine disponibili ad assumere l'affidamento del minore. Inoltre il Comitato richiede al giudice tutelare competente la nomina di un tutore provvisorio e si informa presso il Tribunale per i Minorenni se vi siano provvedimenti giurisdizionali a carico del minore tali da impedirne il rimpatrio. Nel caso in cui le indagini per il rintraccio dei familiari risultassero positive, il minore sarà rimpatriato e riaffidato alla famiglia ovvero, qualora non fossero stati rintracciati i parenti, alle autorità del paese d'origine. Ove il rimpatrio non sia realizzabile, qualsiasi valutazione in ordine ad una permanenza più duratura del minore sul territorio nazionale spetta unicamente al Comitato, dopo aver esaminato caso per caso la documentazione, formulare la raccomandazione ai Servizi Sociali territorialmente competenti per l'affidamento del minore ai sensi dell'art. 2 della L. 184/83, informando il giudice tutelare e la questura competenti; dopo che l'affidamento è stato convalidato dalla competente autorità giudiziaria, i Servizi Sociali possono far richiesta alla questura per la conversione del permesso di soggiorno per minore età in permesso per affidamento. È importante sottolineare come il permesso di soggiorno per affidamento, che sia stato disposto ai sensi della L. 184/83, consente al minore non accompagnato l'accesso allo studio e ad attività formative e, ove sussistano i requisiti previsti dalla normativa italiana in materia di lavoro minorile, anche al lavoro, consentendo di ottenere, al raggiungimento della maggiore età, un nuovo titolo di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, come stabilisce l'art. 32 del d.lgs. 286/98. Non è ancora chiaro in quali ipotesi il rimpatrio non sia realizzabile, ed è altrettanto allarmante che nel caso in cui non fossero rintracciati i genitori il minore sia riaffidato alle autorità competenti.

Certo è che queste nuove disposizioni consentiranno ad alcuni minori, e in primo luogo i minori già avviati in percorsi di inserimento, di poter ottenere un permesso di soggiorno per affidamento. Tuttavia resta la preoccupazione per quei minori che non accetteranno il rimpatrio e che resteranno in Italia con il permesso di soggiorno per minore età, non potendo lavorare. Tali soggetti, al compimento del diciottesimo anno di età, essendo clandestini, potranno subire l'espulsione. Continua a restare poco chiara, la situazione dei minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado, che secondo alcuni esponenti della magistratura minorile, che si richiamano all'art. 9 della L. 184/83, non possono essere affidati ai sensi di questa ultima legge (109).

2.4. La competenza del Comitato in rapporto a quella del Tribunale dei minori e del Giudice tutelare

Nel regolamento di attuazione del D.lgs. 113/99 si prevede che i pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico servizio e gli enti, che vengano a conoscenza dell'ingresso e della presenza sul territorio italiano di un minore straniero non accompagnato, siano tenuti a darne immediata notizia al Comitato, art. 5, così come a cooperare con le amministrazioni statali cui è affidato il rimpatrio assistito, art. 7, comma 3. L'assegnazione di questo compito al Comitato, sottraendolo all'autorità giudiziaria minorile, non sembra in linea con la giurisprudenza costituzionale, che ha annoverato il Tribunale per i minori tra gli istituti che la Repubblica ha predisposto in base all'art. 31 della Costituzione, per l'adempimento del precetto costituzionale che la impegna alla 'protezione della gioventù' (110).

Con l'introduzione di questa normativa sono sorti alcuni problemi, soprattutto per quanto riguarda l'organo al quale va effettivamente segnalato il minore non accompagnato.

Dalle diverse discipline risulta, secondo il Documento sui minori non accompagnati (111) che ci sono quattro autorità alle quali viene fatta la segnalazione: il Tribunale per i minorenni, il Giudice Tutelare, il Comitato per i minori stranieri e la Commissione per le adozioni internazionali.

Per quanto riguarda i minori presenti sul territorio italiano, in base:

  • alla L. 184/83 e il D.p.r. 394/99, art. 28: I pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità, devono segnalare il minore in stato di abbandono al Tribunale per i minorenni;
  • al regolamento del Comitato per i minori stranieri, all'art. 5: I pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico servizio e gli enti che vengono comunque a conoscenza dell'ingresso o della presenza sul territorio dello stato di un minore straniero non accompagnato devono segnalare il minore al Comitato e agli altri enti o uffici previsti dalla legge; il Comitato segnala il minore agli uffici o enti previsti dalla legge se non è già stata fatta la segnalazione;
  • alla L. 476/98, che modifica la L. 184/83 il relativo regolamento di attuazione, D.p.r. 492/99, art. 18: Il pubblico ufficiale o l'ente autorizzato che ne ha notizia devono segnalare il minore non accompagnato da genitore o parente entro il quarto grado entrato in Italia al di fuori delle situazioni consentite, al Tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova; il Tribunale, se non adotta un provvedimento di affidamento, di adozione o un provvedimento necessario in caso di urgenza, segnala a sua volta il minore alla Commissione per le adozioni internazionali perché prenda contatto con il paese di origine; tale Commissione segnala a sua volta il minore al Comitato per i minori stranieri;
  • alla L. 184/83, art. 9: Il minore affidato a persona diversa dal parente entro il quarto grado per un periodo superiore a sei mesi deve essere segnalato al Giudice Tutelare, che trasmette gli atti al Tribunale per i minorenni;
  • al codice civile, all'art. 343: Il minore i cui genitori non possono esercitare la potestà genitoriale viene segnalato al Giudice Tutelare per l'apertura della tutela.

Si nota come le disposizioni riguardano di volta in volta il 'minore in stato di abbandono', il 'minore straniero non accompagnato', senza specificazioni ulteriori, il 'minore straniero non accompagnato da genitori o parenti entro il quarto grado', il 'minore i cui genitori non possono esercitare la potestà'. Ci sono quindi delle sovrapposizioni fra le diverse autorità alle quali viene fatta la segnalazione e non c'è una chiara definizione di queste diverse categorie.

Rimangono alcune questioni da chiarire, che sono elencate con molta precisione nel Documento sui minori non accompagnati 2000 della Provincia di Torino:

  1. per quanto riguarda i minori non accompagnati da parenti entro il quarto grado, anche se non in stato di abbandono, e i minori accompagnati da parenti entro il quarto grado, ma in stato di abbandono morale e materiale, pare di capire che essi debbano essere segnalati contestualmente al Comitato per i minori stranieri e al Tribunale per i minorenni. Per quanto riguarda invece i minori accompagnati da parenti entro il quarto grado idonei a provvedervi, non è chiaro se dovranno essere segnalati:
    • al Comitato per i minori stranieri, includendoli così nella definizione di minore non accompagnato;
    • al Tribunale per i minorenni, ipotesi che sembra però assai discutibile, in quanto il minore non si trova in stato di abbandono, l'art. 9 della L. 184/83 prevede la segnalazione al Giudice Tutelare che trasmette gli atti al Tribunale in caso affidamento a persone diverse dai parenti entro il quarto grado (112) e l'art. 33 della legge medesima, come modificata dalla L. 476/98 prevede che debba essere segnalato al Tribunale per i minorenni o alla Commissione per le adozioni internazionali, il minore non accompagnato da genitori o parenti entro il quarto grado, sembra a contraris doversi intendere che il minore, accompagnato da parenti entro il quarto grado, non debba essere segnalato;
    • a nessuno di questi due enti, ipotesi in cui spetterebbe ai pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio controllare che la persona che accompagna il minore sia effettivamente un parente entro il quarto grado moralmente e materialmente idoneo a provvedervi;
  2. non è chiara la funzione della segnalazione alla Commissione per le adozioni internazionali. In primo luogo vi è contraddizione tra quanto previsto dalla L. 184/83, come modificata dalla L. 476/98 e il relativo regolamento di attuazione D.p.r. 492/99: mentre la legge stabilisce che la Commissione debba prendere contatto con le autorità del paese di origine, nel regolamento si prevede che tale organo debba segnalare il caso al Comitato per i minori stranieri;
  3. andrà chiarito se il minore privo di rappresentanza dovrà sempre essere segnalato anche al Giudice Tutelare affinché nomini un tutore, art. 343 codice civile (113);
  4. non si capisce perché il Dipartimento degli Affari Sociali, fornendo istruzioni in merito ai minori non accompagnati, sul sito internet dell'Ancitel, indichi che l'unico ente al quale vanno segnalati i minori albanesi non accompagnati è il Servizio Sociale Internazionale, il quale espletati gli interventi opportuni, richiederà l'autorizzazione al Comitato tutela minori e procederà alla organizzazione del rimpatrio. A conferma di questa indicazione sembra essere la circolare del Dipartimento degli affari sociali del luglio 1998 in cui si prevede che il Servizio Sociale Internazionale comunichi il nulla osta al rimpatrio direttamente alla Questura o alla Prefettura, senza prevedere alcuna comunicazione al Tribunale per i minorenni e stabilendo la formula del silenzio-assenso da parte del Comitato per i minori stranieri. (114)
  5. Si ravvisa, inoltre, la difficoltà di coordinamento tra la norma del decreto che attribuisce al Comitato la responsabilità della decisione in materia di rimpatrio assistito del minore e quella dell'art. 28 del d.p.r. 394/1999 che, in attuazione dell'art. 19 del T.u., attribuisce al Tribunale per i minorenni la competenza per l'emanazione dei provvedimenti concernenti il minore straniero non accompagnato. Sembra che l'esecutivo abbia voluto da un lato coinvolgere l'autorità giudiziaria minorile per quanto concerne l'apertura della tutela del minore individuato sul territorio nazionale privo di accompagnamento di una persona adulta di riferimento, ma poi tralascia questo aspetto, e prevede la stesa competenza per il Comitato.

Indubbiamente l'attribuzione di nuove funzioni al Comitato ha creato ancora più incertezza producendo così una sovrapposizione tra questi diversi organi.

A questi dubbi cerca di dare una soluzione il testo approvato dal Comitato, nella riunione del 2 maggio 2000 (115).

Prima di tutto si sostiene che l'adozione è di esclusiva competenza del Tribunale per i minori e della Commissione per le adozioni internazionali (116), inoltre la categoria dei minorenni in stato di abbandono in Italia, non coincide con quella dei minori stranieri non accompagnati. Infatti si può avere un minore straniero non accompagnato che non sia in stato di abbandono, ad esempio perché il bambino o ragazzo è autorizzato dai genitori nel esercizio della potestà, perché studi, lavori cerchi qui una situazione migliore di quella che aveva precedentemente. Ci può essere poi un minore non accompagnato che sia davvero in stato di abbandono in Italia, senza riferimenti come parenti, amici.

È questo, per il Comitato, l'unico caso in cui può profilarsi un conflitto di competenze tra il Tribunale per i minorenni e il Comitato, quando il Tribunale ritenga di avviare la procedura per la dichiarazione dello stato di adottabilità e la successiva adozione.

Pare, però, sempre secondo il Comitato, che non dovrebbero porsi gravi problemi, se si chiariscono alcune cose:

  1. è bene che il procedimento di adottabilità sia riservato ai minori di anni quattordici, i maggiori di quattordici anni devono dare il loro consenso ed è ben difficile che lo diano dei ragazzi che sono venuti in Italia per emigrare, mandare i soldi a casa e poi magari tornare specialmente se provenienti da paesi di origine islamica, dove l'adozione è vietata;
  2. se si apre il procedimento di adozione si devono assolutamente fare tutte le ricerche per individuare la famiglia, pare opportuno che in questo caso Tribunale per i minorenni e Comitato si scambino le informazioni a loro disposizioni e forse che le ricerche all'estero siano svolte dal Comitato che comunque le deve svolgere ex art. 5 del regolamento 535/99, e probabilmente avrà mezzi più idonei, soprattutto dove agiscono enti internazionali convenzionati;
  3. il Tribunale per i minorenni potrà rifiutare il nulla osta al rimpatrio assistito in quanto la presenza del minore in Italia è indispensabile anche proceduralmente, il Comitato rispetterà le esigenze del Tribunale per i minorenni, per il quale è necessaria la presenza del minore in Italia per fini procedurali.

Nonostante queste spiegazioni, non mi sembrano risolte le problematiche poste da alcuni in dottrina (117), anche perché per quanto riguarda la possibilità per il Tribunale per i minorenni di negare, ex art. 33, comma 2 bis, il nulla osta al procedimento di rimpatrio, per 'inderogabili esigenze processuali', una procedura civile nell'interesse del minore non può avere tale caratteristica di inderogabili esigenze processuali. Inoltre per quel che concerne i mezzi per compiere le indagini sulle famiglie dei minori nel paese d'origine, il Comitato a tutt'oggi è un organo centralizzato (118) che non ha nessun tipo di strumento per effettuare queste ricerche, con l'esclusione dell'Albania. Infatti attualmente come ho già detto, vi è un'unica convenzione stipulata nell'aprile del 1999, tra il Dipartimento affari sociali della Presidenza del Consigli dei Ministri ed il Servizio Sociale Internazionale, in accordo con il Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali albanese, nell'ambito di un più vasto programma di inserimenti di formazione professionale dei minori. (119)

Interessanti sono le risposte date da Paolo Vercellone, Presidente del Comitato per i minori stranieri, a queste delicate questioni, al seminario dal titolo 'Minori stranieri non accompagnati e irregolari, tra accoglienza e rimpatrio', svoltosi a Torino il 4 luglio 2000. Secondo il Presidente la definizione dei minori stranieri non accompagnati comprende non solo i minori completamente soli, ma anche quelli affidati di fatto ai parenti entro il quarto grado che non siano tutori o affidatari in base ad un provvedimento formale.

Per quanto riguarda la segnalazione del minore non accompagnato al Comitato, secondo Vercellone, può essere finalizzata o solo al censimento, a tal fine i minori dovranno essere sempre segnalati, ex art. 5 del regolamento, o anche per chiedere il rimpatrio assistito del minore, tale richiesta andrà fatta solo nel caso in cui si ritenga che il rimpatrio corrisponda al superiore interesse del minore. La comunicazione deve essere fatta utilizzando l'apposita scheda e inviandola alla prefettura, che provvederà ad inviarla al Comitato, se la segnalazione è finalizzata solo al censimento si dovranno comunicare solo i dato sintetici richiesti dalla scheda, se la segnalazione è tesa anche alla richiesta del rimpatrio assistito, si dovranno comunicare tutte le informazioni relative alla situazione psicologica, percorsi formativi o lavori eseguiti dal minore o che gli sono stati proposti.

Appare dall'intervento che l'unico organo competente a disporre il rimpatrio assistito è il Comitato per i minori stranieri; non sono competenti né il Tribunale per i minorenni, né il Giudice Tutelare. Il Presidente del Comitato ribadisce che:

La competenza al rimpatrio assistito è sicuramente solo del Comitato per i minori stranieri: tutte quelle interpretazioni, corrette in mancanza di una norma, non lo sono più. L'unico Tribunale per i minorenni che non l'ha ancora capito è quello di Bari, che fa provvedimenti in ciclostile per i ragazzi che arrivano in Italia, vengono sistemati provvisoriamente negli istituti e scappano. La primitiva motivazione che il Tribunale di Bari usava suonava all'incirca: 'Poiché sono arrivati clandestinamente, poiché sono disperati, poiché sono scappati e con ciò dimostrano che non vogliono essere integrati, non vogliono accoglienza, [...] perciò dispongo il rimpatrio assistito'. Adesso tali motivazioni sono più articolate e si esprimono così: 'dispongo il rimpatrio assistito da effettuarsi con le modalità che indicherà il Comitato per i minori stranieri', ne mandano poi una copia allo stesso Comitato. [...]

Risulta chiaro, da questo discorso, la difficoltà e la difformità della disciplina applicabile ai minori non accompagnati, e sottolinea la disparità di trattamento del minore da città a città. Il Presidente prosegue poi con una significativa dichiarazione:

Perché uno stato che aveva fatto questo Comitato per il problema Chernobyl ha deciso di dargli questo incarico? Io mi domando ancora perché, non se ne sentiva affatto il bisogno, nessuno lo chiedeva. Io non ho partecipato ai lavori preparatori, so solo che ad un certo punto Livia Turco mi ha telefonato per propormi di fare il Presidente di questo Comitato. L'unica possibile interpretazione è che il ministro Turco e i suoi abbiano davvero pensato che il rimpatrio assistito fosse un fatto eccezionale, e che la regola fosse l'accoglienza quasi ad ogni costo, e allora si sono preoccupati di non lasciare la scelta all'interpretazione spesso discorde di vari organismi sparsi per l'Italia, perché non succeda che il Tribunale di Bari rimpatri tutti ed il Tribunale di Torino non rimpatri nessuno salvo che proprio non stiano chiedendo di tornare. Penso che sia l'unica ragione sensata: per uniformare la giurisprudenza. (120)

Certamente nella legislazione minorile mancavano delle precise e univoche disposizioni in materia di minori soli, derivante dalla sfasatura fra una legislazione creata per la protezione di minorenni italiani abbandonati e la realtà di un fenomeno nuovo e forse imprevedibile come quello dell'immigrazione di masse di minorenni stranieri senza famiglia. Da qui l'intenzione di creare un organo libero di agire senza seguire una procedura rigida o troppo dettagliata, ora l'obiettivo in sé può essere comprensibile, ma la conseguenza è stata la creazione di un istituto dalle competenze incerte e spesso sovrapposte ad altre già esistenti.

Nonostante queste dichiarazioni non vengono risolti i numerosi dubbi e le numerose contraddizioni presenti all'interno della normativa in esame.

Nell'effettuare il procedimento del rimpatrio assistito, non vengono coinvolte le autorità giudiziarie minorili, cioè le autorità che nel nostro sistema giuridico sono deputate all'accertamento, all'attuazione e alla tutela dell'interesse del minore. Tale sovrapposizione potrebbe essere superata, secondo Lorenzo Miazzi, (121) attribuendo al Comitato per i minori stranieri una competenza meramente esecutiva ed amministrativa, ma non è così: al Comitato spetta disporre il rimpatrio assistito, con ciò travolgendo, praticamente, ogni provvedimento nel frattempo disposto dal Tribunale per i minorenni. Miazzi prosegue evidenziando un caso estremo di questa sovrapposizione fra i due organi (122), che porta a due pronunce completamente opposte una che prevede l'allontanamento del minore ed una che stabilisce, per esempio l'affidamento dello stesso in Italia. È possibile prevedere che anche al di fuori dei casi limite ordinariamente vi sarà conflitto tra gli eventuali provvedimenti di tutela emanati dal Tribunale per i minorenni e le attività di accoglienza e le decisioni sul rimpatrio prese dal Comitato.

2.5. Dubbi sulla costituzionalità del D.lgs 13 aprile 1999, 113

L'art. 47, comma 2 della L. 40/98 prevede una delega legislativa al governo di emanare entro due anni dall'entrata in vigore della legge 'disposizioni correttive che si dimostrino necessarie per realizzare pienamente i principi della presente legge o per assicurarne la migliore attuazione', nonché l'armonizzazione con altre norme sulla condizione giuridica dello straniero.

Su questo punto Paolo Bonetti è intervenuto con un articolo sulla rivista 'Diritto, immigrazione e cittadinanza' sostenendo che:

Tale delega costituisce un'anomalia più unica che rara e in tal senso non può essere sottratta alle più radicali critiche sotto il profilo costituzionale.
Infatti nella prassi costituzionale fino ad oggi riscontrabile la delega all'emanazione di decreti legislativi integrativi e correttivi - nella consapevolezza che soltanto nel momento dell'applicazione si rendono interamente manifesti il significato e la portata delle norme e le difficoltà, i costi e le contraddizioni delle stesse- è stata inserita soltanto nell'ambito di leggi di delegazione legislativa, nel senso che le leggi di delega che prevedono il potere di integrazione e correzione contengono in realtà due distinti conferimenti di delega riguardanti il medesimo ambito materiale e perciò ispirati ai medesimi principi, ma aventi oggetti, criteri e tempi diversi: con il primo, il legislatore conferisce al governo una delega per la riforma di un dato settore dell'ordinamento, con il secondo invece, delega il governo il più limitato potere di 'perfezionare' la riforma predisposta in forza della prima delega, correggendola e integrandola. In ogni caso nell'esercizio di questa seconda delega il governo è comunque tenuto ad attuare i medesimi principi direttivi indicati dalla legge per l'esercizio della prima delega.

Nel caso in questione tale schema finora consolidato nella prassi non si riscontra. (123)

La duplice delega informata ai medesimi principi direttivi non è infatti prevista dalla legge n. 40/1998, essendo evidente che la delega all'emanazione del testo unico (art. 47, comma 1 L. 40/1998) "ha oggetti differenti ed è ispirata a principi e criteri differenti rispetto ai criteri e principi direttivi previsti per la delega all'adozione di decreti 'correttivi'" (124).

La vaghezza dei criteri della delega conferisce al governo la potestà di effettuare delle correzioni formali o tecniche, e la possibilità di adottare un giudizio illimitato sull'opportunità di porre in essere correzioni di disposizioni della legge, tende così a conferire all'esecutivo la potestà di scegliere se, quando e come correggere ogni norma della stessa L. 40/98.

Tale incertezza dei criteri e principi direttivi configurano una 'delega in bianco' (125) che nasconde una delega legislativa priva di ogni determinazione di criteri e principi direttivi, la quale si pone in contrasto con l'art. 76 Costituzione (126), perché 'il libero apprezzamento del legislatore delegato non può mai assurgere a principio o criterio direttivo' (127).

Si può affermare che la delega legislativa prevista dall'art. 47, comma 2, appare in contrasto con l'obbligo costituzionale previsto dall'art. 76 Cost., di indicare criteri e principi direttivi necessari per l'esercizio della delega, eludendo così anche la riserva di legge in materia di condizione giuridica dello straniero prevista dall'art. 10, comma 2 (128).

Conclude Bonetti che:

La delega legislativa prevista dall'art. 47, comma 2 finisce col conferire al governo non già una delega nei limiti consentiti dall'art. 76, bensì lo stesso esercizio della funzione legislativa in materia di disciplina della condizione dello straniero, la quale spetta, anche in tale materia al Parlamento, in virtù degli artt. 72, 77, comma 1 della Cost.
In virtù dell'anomala delega legislativa prevista dall'art. 47, comma 2, la potestà di normazione delegata opera infatti senza alcun vincolo indicato dal Parlamento e in tal senso assimilata al potere le legislativo, ma una simile delega è ritenuta del tutto inammissibile nel nostro ordinamento, nel quale invece l'art. 76 Cost. ha tra i suoi significati proprio quello di essere utile per circoscrivere il fenomeno della delegazione legislativa impedendo che la prassi svuoti il Parlamento dei suoi poteri. (129)

Il governo si è finora servito della delega legislativa prevista dal secondo comma dell'art. 47, in due occasioni: con il decreto legislativo 19 ottobre 1998, n. 380 (130) e del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 113.

Con il secondo decreto il governo ha inteso apportare modifiche alla legislazione di base:

  • gli artt. 6 e 7 del decreto modificano la composizione di alcuni organi consultivi e ministeriali previsti dalla legge;
  • si è previsto che, fermi restando i trattamenti dei dati previsti per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, il Ministero dell'Interno espleta, nell'ambito del Sistema statistico nazionale e senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello stato, le attività di raccolta di dati a fini statistici sul fenomeno dell'immigrazione extracomunitaria per tutte le pubbliche amministrazioni interessate alle politiche migratorie;
  • si è prevista una norma che 'legalizza' ex post il rilascio dei permessi di soggiorno a tutti gli stranieri che avevano presentato domanda di regolarizzazione entro il 15 dicembre 1998, sulla base di tale norma il Ministero dell'Interno del 12 maggio 1999 sta procedendo al rilascio dei permessi di soggiorno richiesti;
  • si dispone un maggior rafforzamento delle misure di prevenzione dell'immigrazione illegale, attraverso l'introduzione di una serie di misure;
  • si prevedono nuovi provvedimenti amministrativi di allontanamento dal territorio nazionale e importanti modifiche dei ricorsi giurisdizionali:

Dato l'oggetto di questa tesi è rilevante soffermarsi ad analizzare l'articolo 5 del d.lgs. 113/99, che rivede le norme in materia di modalità di accoglienza o di rimpatrio assistito dei minori stranieri non accompagnati.

Nonostante sia stato emanato il regolamento contenente i compiti del Comitato, questo non ha eliminato i dubbi sulla legittimità costituzionale dell'art. 5 e sulla funzione stessa del Comitato.

È evidente che il rimpatrio assistito è un provvedimento limitativo della libertà personale del minore, in base alle riserve di legge e di giurisdizione previste dall'art. 13 Cost.. Tale tipo di atto potrebbe essere disposto solo con provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria e soltanto nei casi e nei modi previsti da una legge e non su una decisione di un'autorità amministrativa come il Comitato e nemmeno nei casi previsti da un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Quest'ultima riserva è ancora più rilevante perché proprio in materia di condizione giuridica dello straniero l'art. 10, comma 2, Cost. prevede una specifica riserva di legge.

Potrebbe sembrare che nella forma tale riserva di legge fosse rispettata dalla disposizione correttiva del decreto legislativo, poiché essa prevede che tale decreto del Presidente del Consiglio nel definire i compiti del Comitato, deve agire in conformità alle previsioni della Convenzione sui diritti dei fanciulli del 1989, ratificata in Italia nel 1991. La normativa di fonte secondaria non è così illimitata, ma ha dei limiti individuati per relationem nelle norme della Convenzione che contiene numerose garanzie dei diritti fondamentali del minore che si ispirano alla considerazione preminente del superiore interesse del minore.

Poiché si tratta di disciplinare l'accoglienza, il ricongiungimento e il rimpatrio dei minori stranieri la previsione che queste norme devono rispettare il contenuto di una Convenzione internazionale ribadisce quanto previsto dall'art. 10, comma 2, Cost. che però contiene anche una riserva di legge in materia di condizione giuridica dello straniero.

Tale riserva di legge non può essere elusa dal legislatore mediante la devoluzione totale della disciplina alla normativa secondaria, e ciò perché scopo della norma costituzionale è quello di impedire che la condizione giuridica dello straniero sia regolata con provvedimenti di tipo amministrativo.

Inoltre secondo una fondamentale sentenza della Corte Costituzionale (131) il legislatore non può esimersi dal precisare i fini da realizzare, i criteri da seguire per il loro raggiungimento, né potrebbe prescindere dall'individuazione dei mezzi, nonché dalla determinazione degli organi coinvolti.

È evidente che in questo caso il legislatore non indica i criteri che la normativa secondaria dovrebbe perseguire nell'attuazione della Convenzione in materia di accoglienza, di rimpatrio assistito e di ricongiungimento del minore con la sua famiglia nel paese di origine o in un paese terzo.

Occorre sottolineare che la riserva di legge in materia di condizione giuridica dello straniero si proponeva di garantire allo stesso 'una normativa aperta e soprattutto di escludere la possibilità di interventi discriminatori di carattere poliziesco, rimessi all'arbitrio dell'esecutivo (132)'

Tali disposizioni non comportano affatto una migliore attuazione dei principi della L. 40/98, ma sembrano evidenziare un capovolgimento di uno dei principi più evidenti di tale legge, ovvero la tutela del minore straniero.

In questo senso la norma correttiva appare viziata da un ulteriore aspetto di illegittimità costituzionale, perché in violazione con l'art. 76 Cost., finirebbe col violare anche i vaghi principi direttivi contenuti nella norma prevista dall'art. 47, comma 2 della L. 40/98.

Su quest'ultimo punto insiste molto, Gian Cristoforo Turri evidenziando come l'art. 5 D.lgs. 113/99 contiene due previsioni che per motivi diversi sono sconcertanti:

  • con la prima si demanda al governo, nella persona del Presidente del Consiglio, di stabilire sia la disciplina dell'ingresso e soggiorno dei minori con più di sei anni che entrano in Italia nell'ambito di programmi solidaristici, ma anche di stabilire le modalità di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati ai fini dell'accoglienza del rimpatrio assistito e del ricongiungimento familiare nel paese di origine o in un altro paese;
  • la seconda previsione anticipa il regolamento del governo, affidando al Comitato per i minori stranieri il compito di effettuare il rimpatrio assistito del minore non accompagnato, con l'obbligo per il Tribunale per i minori di concedere il nulla-osta, salvo che sussistano inderogabili esigenze processuali (133).

Sostiene Turri che:

Le ragioni dello sconcerto sono semplici ed evidenti. Quanto alla prima disposizione, si può restare sorpresi dal fatto che il governo, agendo in base alla delega ricevuta dal Parlamento al fine di correggere disposizioni che si rilevassero necessarie per assicurare il perseguimento coerente delle finalità poste dalla legge, ampli la delega stessa. Come può il governo autorizzarsi da sé, auto-delegarsi a riscrivere la disciplina della condizione giuridica del minore straniero solo, dal momento dell'accoglienza a quello del ricongiungimento con la sua famiglia, quando il Parlamento l'ha delegato a disciplinare unicamente la condizione dei minori che entrano nel paese all'interno di programmi solidaristici?
Come può il governo, riguardo il secondo punto, ignorare che la condizione giuridica del minore solo è già stata normata da un complesso di norme internazionali, costituzionali, ordinarie, che il Parlamento non si è sognato di abrogare, né di derogare, né di delegificare, (né avrebbe potuto farlo in modo così ampio e indiscriminato, come ha fatto il governo). (134)

Sembra altrettanto sconcertante e forse anche preoccupante la scelta del Comitato per i minori stranieri come organo competente per il rimpatrio dei minori stranieri, senza condizioni, con l'unico limite che l'eventuale rimpatrio non urti contro esigenze di tipo processuali. Ovvero quando la procedura è conclusa o non necessita di essere proseguita si può dare via libera al rimpatrio.

Infine non si prevede nessun tipo di tutela amministrativa e giurisdizionale contro il provvedimento di rimpatrio, anche se è ritenuto in dottrina che tali rimedi devono essere date per ragioni garantistiche, anche nel silenzio del decreto legislativo.

Da questa breve disamina appare evidente il caos, che regna in questa materia, per tentare di risolverlo potrebbe essere utile un ulteriore intervento legislativo che facesse chiarezza, cercando di mettere ordine tenendo conto della multiformità e contraddittorietà della disciplina normativa in questione.

I commenti critici che da più parti si sono levati nei confronti del D.lgs. 113/99 hanno evidenziato forti perplessità di illegittimità costituzionale per violazione dei principi di riserva di legge e di riserva di giurisdizione. Il rinvio ad un successivo atto del governo per regolamentare le modalità o di accoglienza o del rimpatrio assistito e del ricongiungimento familiare dei minori stranieri, con il paese di origine o in un altro paese ha portato, secondo alcuni in dottrina, alla possibilità per l'esecutivo di riscrivere la disciplina della condizione giuridica del minore straniero solo. Così facendo si è andati ben al di là della delega contenuta nella legge sull'immigrazione, e si è contraddetto il principio di riserva di legge previsto dall'art. 10, comma 2, della Costituzione, sulla regolamentazione della condizione giuridica dello straniero.

Note

1. Vedi A. Marra, F. Pontrandolfi Diritti e doveri degli immigrati. Procedure, documenti e prassi, Esselibri, Napoli 1999, p. 7, cfr. con B. Nascimbene, Il commento alla L. 40/98, in Diritto penale e processo, n. 4, 1998, p. 421.

2. In merito all'esiguità dei termini concessi all'espulso per disporre la propria difesa ci sono state delle obiezioni sollevate di fronte alla Corte Costituzionale, da parte del pretore di Palermo e del TAR della Toscana. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 161 del maggio 2000, respinge tali rilievi di illegittimità. La Corte, in maniera conforme ad un suo orientamento costante, ha ritenuto l'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, in quanto i ricorsi che avevano dato origine al giudizio erano stati entrambi proposti tempestivamente, né i giudici rimettenti avevano indicato per quali aspetti la brevità del termine aveva reso meno efficace la difesa dei ricorrenti. La mancata indicazione concreta delle lesioni al diritto di difesa nei giudizi originari ha impedito alla Corte di entrare nel merito di una valutazione di ragionevolezza e conformità costituzionale dei brevissimi termini processuali, nel procedimento relativo alle espulsioni, 'procedimento che quanto alla rapidità della sua definizione non trova analoghi nell'ordinamento processuale civile e amministrativo italiano, neppure con riguardo alla materia lavoristica che più di ogni altra è caratterizzata da celerità processuale'. Vedi su questo N. Zorzella, Il diritto di difesa degli stranieri e la Corte Costituzionale: spunti di analisi della sentenza n. 161/2000, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 2, 2000, p. 53. La Corte non ha tenuto conto che il diritto di difesa non si esaurisce nel mero rispetto del termine del ricorso ma presuppone che in quel termine la difesa, e dunque il diritto, possa esprimersi compiutamente ed esaustivamente. Con questa posizione questo organo ha evitato di affrontare (volutamente?) il problema della definizione della natura del giudizio relativo alle espulsioni, che avrebbe conseguentemente indotto una valutazione sul contenuto del diritto di difesa dello straniero.

3. Questa ipotesi di ricorso non deve essere confusa con quella relativa al ricorso per l'ipotesi di inosservanza del decreto di accompagnamento immediato alla frontiera; anche questo provvedimento è ricorribile al giudice unico nel termine di trenta giorni, e può essere inoltrato all'autorità giudiziaria anche tramite le rappresentanze diplomatiche o consolari in Italia.

4. Cfr. con B. Nascimbene, La condizione giuridica dello straniero, Padova 1997, p. 46.

5. Vedi A. Marra, F. Pontrandolfi op. cit. pp. 42, 43.

6. L'interessata era stata espulsa ai sensi dell'art. 13, comma 2 lettera b), T. u., con decreto 8 aprile 1998, essendo il suo permesso scaduto il 22 aprile 1996 e quindi oltre i sessanta giorni previsti senza che la ricorrente avesse richiesto il rinnovo nel termine di trenta giorni dalla scadenza previsto dall'art 5, comma 4, T.u, provvedendo a chiedere il rinnovo solo il 18 aprile 1998, ovvero lo stesso giorno in cui invece di esaminare la sua domanda di rinnovo le veniva notificata l'espulsione.

7. L'art. 111, secondo comma stabilisce che contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge [...].

8. L'art. 13bis comma 4, del T.u. stabilisce che 'la decisione non è reclamabile, ma è impugnabile per Cassazione.

9. Vedi P.L. Di Bari Irregolarità nel soggiorno: non basta il superamento dei termini per le autorizzazioni ad essere espulsi, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 3, 1999, p. 91.

10. Ivi, p. 92.

11. Anche in questa ipotesi le ragioni di ordine pubblico non sussistono sempre e comunque ma, vanno valutate in comparazione alla situazione "parafamiliare" dell'interessata che nella specie conviveva con un cittadino italiano e svolgeva un'attività economica.

12. Legge 28 febbraio 1990, n. 39, vedi par. 1.3.

13. Vedi A. Stefani, Le nuove misure dello straniero espulso in Diritto penale e processo, n. 5, 1998, p. 638.

14. Vedi A. Caputo Espulsione e detenzione amministrative degli stranieri, in Questione giustizia, n. 3, 1999, p. 430.

15. Sul funzionamento dei centri vedi F. Vassallo Paleologo, Centri di detenzione ed espulsioni illegali in Diritto immigrazione e cittadinanza, n. 4, 1999.

16. Vedi L. Pepino Centri di detenzione ed espulsione (Irrazionalità del sistema ed alternative possibili, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 2, 2000, p. 15, cfr. con A. Stefani Le nuove misure per lo straniero espulso, in Diritto penale e processo, n. 5, 1998, pp. 638 ss.

17. Questa centralità della detenzione amministrativa non è una forzatura ma la conseguenza di una scelta politica: quella di affidare il governo dell'irregolarità in via esclusiva allo strumento dell'espulsione. La decisione della L. 40/98 si fonda sulla creazione di due circuiti diversi e non comunicanti: quello della regolarità, conseguente all'ingresso attraverso il sistema dei flussi, e il successivo rinnovo del permesso di soggiorno, e quello dell'irregolarità, determinata dall'ingresso fuori dal sistema dei flussi o dalla permanenza nel territorio dello stato dopo la scadenza del permesso di soggiorno. L'icomunicabilità tra i due circuiti comporta l'impossibilità di sanare in itinere la condizione di irregolarità. Ciò significa escludere la rilevanza di ogni distinzione tra irregolari e regolari e dare all'espulsione il ruolo di strumento esclusivo per governare l'irregolarità. Non sono mancate, nel dibattito che ha preceduto la L. 40/98 le 'proposte, non accolte di differenziare il trattamento per gli irregolari a seconda della disponibilità o meno ad uscire dalla clandestinità e a collaborare all'identificazione, offrendo agli uni la possibilità di regolarizzazione a condizioni prestabilite e prevedendo per gli altri centri di detenzione ed espulsione'. Si innesca così una spirale che porta alla detenzione amministrativa, il sistema delle espulsioni richiede l'adozione, all'esito delle intimazioni rimaste senza effetto, di intervento drastici e di grande valenza simbolica, pur se poi applicati in percentuale ridotta.

18. Vedi A. D'Agostino, F. Corvaja, Centri di permanenza temporanea ed esercizio del diritto di difesa, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 2, 2000, p. 67, cfr. con A. Caputo Espulsione e detenzione amministrativa degli stranieri, in Questione giustizia, n. 3, 1999, pp. 430 ss.

19. Vedi sentenze Corte Costituzionale n. 64/1968, in Giur. Cost. 1968, così anche n. 18/1982, in Giur. Cost. 1982; cfr. anche Corte Costituzionale n. 26/1999, in Giur. Cost. dove si parla del 'principio di assolutezza, inviolabilità ed universalità della giurisdizione'.

20. Il ricorrente è un cittadino tunisino che aveva fatto ingresso regolarmente in Italia, al fine di presenziare e costituirsi parte civile in un procedimento penale, in cui erano imputati alcuni medici legali accusati di 'omicidio colposo' nei confronti di un giovane detenuto (fratello del ricorrente) morto dopo un lungo sciopero della fame. Il fratello, che ha partecipato a tutte le udienze ed è stato ogni volta diffidato a ricomparire senz'altro avviso, non aveva però richiesto il permesso di soggiorno. Fermato durante una retata di polizia a Padova, viene espulso con accompagnamento alla frontiera e internato presso il Centro di Permanenza Temporanea di Lecce. Da lì, tramite connazionali, riesce a contattare solo telefonicamente il legale padovano, che conosce la sua vicenda, ma è venerdì e il ricorso scade lunedì. Lo straniero allora presenta il ricorso personalmente, ma questa richiesta non è arrivata al Tribunale. Informato del fatto il legale propone istanza di restituzione in termini, eccependo l'incostituzionalità del termine breve per la proposizione del ricorso, della mancata previsione di ipotesi di restituzione nel termine nel caso che il ricorrente sia incorso nella decadenza per causa a lui non imputabile, e soprattutto lamentando l'assenza nell'art. 13, comma 10 del T. u., di una normativa attuativa che renda possibile allo straniero 'trattenuto' nei C.P.T. di adire il Tribunale per il deposito del ricorso presentato senza il tramite del difensore. Il Tribunale di Lecce, con decisione più che sintetica, ha rigettato tutte le istanze e le eccezioni proposte.

21. Vedi decreto 30, ottobre 1999, estensore Positano, in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n. 2, 2000, p. 104-106.

22. L'art. 123, comma 1, c.p.p. Dichiarazioni e richieste di persone detenute o internate: 'L'imputato detenuto o internato in un istituto per l'esecuzione di misure di sicurezza ha facoltà di presentare impugnazioni, dichiarazioni, e richieste con atto ricevuto da direttore. Esse sono iscritte in apposito registro sono immediatamente comunicate all'autorità competente e hanno efficacia come se fossero ricevute direttamente dall'autorità giudiziaria'.

23. Vedi op. cit., p. 68-69.

24. Vedi G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995, p. 185.

25. Da segnalare in quest'ambito il disegno di legge n. 4656/senato ora passato all'esame della camera, che modifica profondamente nel senso della semplificazione/accelerazione, le procedure di espulsione amministrativa e introduce ulteriori inedite figure di espulsione.

26. Vedi A. Caputo op. cit., p. 1180.

27. Vedi L. Pepino Centri di detenzione ed espulsione (irrazionalità del sistema e alternative possibili), in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n. 2, 2000, p.20. Fondamentali in questo senso due ordinanze del Tribunale di Milano, tra cui: una del 6 novembre 2000, estensore La Monica, che ipotizza l'illegittimità dell'accompagnamento alla frontiera mediante forza pubblica, stante la mancata previsione di meccanismi di convalida, e del trattenimento nel centro di detenzione amministrativa dopo la convalida, in assenza di provvedimenti ad hoc del giudice, in Diritto immigrazione e cittadinanza n. 4, 2000, pp.140 ss. La seconda, che è del 9 novembre 2000, estensore Pertile, contesta in radice la legittimità del trattenimento presso i centri di permanenza temporanea degli stranieri destinatari di un provvedimento di espulsione, analizzando il meccanismo di tutela giurisdizionale apprestato al riguardo dal legislatore e lo spazio assicurato al diritto di difesa dell'espellendo, vedi Questione giustizia, n. 6, 2000, pp.1186 ss.

28. L'art. 19 comma 2, Divieti di espulsione e di respingimento, stabilisce: 'Non è consentita l'espulsione, salvo che nei casi previsti dall'art. 13, comma 1, (per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello stato) nei confronti:

  • degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi;
  • degli stranieri in possesso della carta di soggiorno, salvo il disposto dell'art. 9;
  • degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge di nazionalità italiana;
  • delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono.'

29. Nell'ipotesi in cui i genitori di un minore siano oggetto di provvedimento di espulsione viene fatto salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi; infatti è indubbio il diritto del minore ad essere educato nell'ambito della propria famiglia e secondo l'art. 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 'gli stati vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che si ritenga questa separazione necessaria nell'interesse del fanciullo' Una applicazione di tali principi si trova nei provvedimenti giudiziari commentati da L. Del Conte, L'espulsione del minore straniero, in Minorigiustizia, n. 4, 1993, p. 134.

30. Vedi l'art. 31, comma 4, del T. u. stabilisce che 'qualora ai sensi del presente testo unico debba essere disposta l'espulsione di un minore straniero, il provvedimento è adottato, su richiesta del questore, da tribunale per i minorenni.

31. Vedi L. Miazzi La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia, in Minorigiustizia n. 3, 1999, p. 104 ss.

32. Tale articolo è stato previsto, sostiene il Presidente, per agevolare i rapporti tra il Comitato stesso e gli altri enti ed organi statali e locali, giudiziari od amministrativi che istituzionalmente svolgono attività che possono concernere i minori stranieri. Nel testo si fanno delle considerazioni del tutto provvisorie sulle competenze affidate al Comitato e sulle possibili interferenze con le competenze riservate ad altri enti od organi. Vedi Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari sociali - Comitato per i minori stranieri. Osservazioni del Presidente. Testo approvato dal Comitato per i minori stranieri nella riunione del 2 maggio 2000, in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n. 3, 2000, pp. 235-241.

33. Vedi P. Vercellone, Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari sociali - Comitato per i minori stranieri. Osservazioni del Presidente. Testo approvato dal Comitato per i minori stranieri nella riunione del 2 maggio 2000, in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n. 3, 2000, pp. 237.

34. Le pagine dei quotidiani nazionali ci informano che il problema dei minori non accompagnati sfruttati dal racket, è molto diffuso. È ormai evidente che esistono associazioni malavitose che utilizzano per i loro traffici, come prostituzione, accattonaggio, lavoro minorile, trasporto e spaccio di stupefacenti, minori stranieri. Il D.lgs 286/98 ha riconosciuto tale sfruttamento prevedendo all'art. 12 comma 3 un aumento delle pene per chi favorisce l'ingresso illegale di minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi. In questi casi si dovrebbe adottare le misure di 'protezione speciale' previste dall'art 18 dello stesso D.lgs.

35. Il minore in Italia in stato di rifugiato viene tutelato, in base alla L. 39/90, informando della sua presenza il Tribunale per i minorenni e dandogli la possibilità di richiedere il permesso di soggiorno tramite chi presiede gli istituti di istruzione in cui è ricoverato il minore. Nel testo legislativo 39/90 non si fa alcun riferimento alla nomina di un tutore o alla segnalazione ad un giudice tutelare che possa rappresentarlo, proteggerlo e assisterlo nel periodo di permanenza in Italia, come invece accade per il minore cittadino italiano quando il genitore non è in grado di esercitarne la potestà.

36. Vedi L. Miazzi, I diritti dei ragazzi stranieri nella legge italiana e nella politica del paese, Relazione al XIX Convegno Nazionale dell'Associazione Italiana dei magistrati per i Minorenni e per la Famiglia, "I ragazzi del villaggio globale, diritto e doveri", Vico Equense, 16-19 novembre 2000, non pubblicato.

37. Vedi T. Camplone Io vivo nell'ombra, Assessorato culturale regione Abruzzo, Edigrafital, Teramo 1997, pp. 282-292.

38. Se ne può ricordare una per tutte, e cioè quella riguardare le espulsioni dei minorenni che, in mancanza di previsioni specifiche della legge, si era sedimentata dopo varie oscillazioni con una non meglio precisata richiesta di nulla osta che i prefetti richiedevano all'Autorità giudiziaria prima di eseguire l'espulsione che essi stessi decretavano.

39. Vedi D. Consoli I minori nelle fonti normative. Progress di ricerca su: I minori stranieri non accompagnati. Analisi di esperienze significative di intervento con minori stranieri non accompagnati a Roma. Considerazioni generali. Roma, ottobre 2000. Università degli studi di Firenze, Unione Europea, Berliner Institut für Vergleichend Sozialforschung, Associazione Parsec, Ufficio del Ministro per le pari opportunità.

40. La normativa che riguarda o comunque incide sulla condizione giuridica dei minorenni stranieri si trova sparsa praticamente in tutti campi della legislazione: in materia di cittadinanza, di studio, di lavoro minorile, di trattamento penale, di diritto di famiglia, oltre che naturalmente nella disciplina dell'immigrazione.

41. Vedi L. Melica Lo straniero extracomunitario. Valori costituzionali e identità culturale, Giappichelli, Torino 1996, cfr. con G. D'Orazio Lo straniero nella costituzione, Cedam, Padova 1992.

42. A questo proposito rappresenta un precedente importante la sentenza n. 102 del 1962 della Corte Costituzionale, in relazione all'art 2, sui diritti fondamentali della persona, e all'art. 3, sull'uguaglianza di trattamento. La Suprema Corte ha chiarito che questi diritti fondamentali sono estesi anche allo straniero, ove si tratti della tutela dei diritti inviolabili dell'uomo. Non ci sono dubbi, che l'art. 31 Cost. riferito alla protezione dell'infanzia e della gioventù ha la stessa natura degli artt. 2, 3 Cost.: essere protetto nel proprio processo di crescita è un diritto fondamentale di ogni soggetto di minore età, sia esso cittadino o straniero.

43. Prova di questa posizione è l'art. 147 codice civile, rinnovato sulla scorta dei principi costituzionali nel 1975, che impone "ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto della capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli", sicura espressione dell'esigenza di una compiuta autodeterminazione del minore, vedi M. Dogliotti, A. Figone e F. Mazza Galanti, Codice dei minori, Utet, Torino 1998, p. 147.

44. Vedi T. Longobardo, La Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, in Diritto della famiglia e delle persone 1991, p.147.

45. Giudice del Tribunale per i minori di Napoli, membro dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i minorenni e per la famiglia, che da anni si occupa di problematiche legate ai minori stranieri e non, e di tematiche sulla delinquenza giovanile.

46. Vedi Aa.Vv. Minori stranieri e giustizia: verso un approccio interculturale, Messina 11-12 luglio 1997, Giappichelli editore, Torino, 1997, p. 18.

47. Gian Cristoforo Turri sostiene in Minorigistizia n. 3, 1999, come da questo articolo della Convenzione risulta importante l'ordine di precedenza tra le due azioni, con buona pace di chi invoca quest'ultima disposizione a sostegno del rimpatrio avant tout, p. 16.

48. Vedi la legge 15 gennaio 1994, n. 64 che contiene le norme di attuazione della Convenzione dell'Aja Sulla competenza dell'autorità e la legge applicabile in materia di protezione dei minori.

49. In armonia con le disposizioni richiamate emergono le cosi dette Regole di Pechino, ossia le regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile, Convenzione 29 novembre 1985, che devono essere applicate imparzialmente a tutti i giovani che delinquono. Vedi su questo G. C. Turri, I bambini stranieri non accompagnati, in Minorigiustizia, n. 3, 1999, p. 14.

50. Le difficoltà di definire la 'residenza abituale' del bambino, hanno dato luogo a pronunce discordanti tra i giudici. Secondo Lorenzo Miazzi, giudice presso il Tribunale di Rovigo, per identificare tale residenza vanno principalmente considerati i legami affettivi ed importanti che il bambino ha con l'ambito familiare o sociale in cui vive e quindi essa deve essere valutata caso per caso.

51. Vedi G.C. Turri, in I bambini stranieri non accompagnati, in Minorigiustizia, n. 3, 1999, p. 16.

52. Vedi W. Citti, I minori stranieri non accompagnati tra tutela e rimpatrio.

53. Emerge in quest'ambito il titolo XI cap. I del c.c., art. 400 Norme regolatrici dell'assistenza dei minori, art. 401 Limiti di applicazione delle norme, art. 402 Poteri tutelari spettanti agli istituti di assistenza, art. 403 intervento della pubblica autorità a favore dei minori.

54. Vedi M. Franchi, La riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, in Le nuove leggi civili commentate, n. V, 1996.

55. L'articolo è stato integrato dall'art 37 bis, con la nuova legge del 31/12/98. Si tratta di norme così dette di applicazione necessaria, alle quali fa riferimento l'art. 17 della legge 184/83, in materia di adozione di minori stranieri, nuove norme di diritto internazionale privato, introdotte con legge 31 maggio 1995, n. 218, nel senso che ne fruisce anche il minore straniero, cosicché si può affermare che 'esiste nel nostro ordinamento, per quanto riguarda la protezione del minore, un principio generale di indifferenza dell'appartenenza nazionale ed etnica, vedi G. C. Turri, I bambini stranieri non accompagnati, in Minorigiustizia n. 3, 1999, p. 15.

56. L'attuale sistema giudiziario minorile si articola quasi integralmente nell'attività del Tribunale per i minorenni, organo specializzato creato e progressivamente adattato allo scopo di incidere su questa delicata materia. Esso ha sia la funzione di repressione o di contenimento dei comportamenti criminosi o comunque devianti posti in essere da persone minori degli anni diciotto, ma è anche organo di tutela e di prevenzione in favore di tali soggetti che a causa dell'età, non sono sostanzialmente o formalmente in grado di attuare interventi giuridicamente validi di autodifesa. Esistono poi altri organi giudiziari ai quali la legge attribuisce di subordinare l'interesse del minore a quello di altri soggetti.
Ai sensi dell'art. 344 c.c. il Giudice tutelare soprintende alle tutele e alle curatele ed esercita le altre funzioni affidategli dalla legge. Il secondo comma fa riferimento alla possibilità per il Giudice tutelare di chiedere l'assistenza di organi della pubblica amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondono alle sue funzioni. Questo aspetto fa del Giudice tutelare una figura particolare, nell'ambito della magistratura ordinaria e gli attribuisce almeno astrattamente, un'ampia capacità operativa per una più efficace protezione del minore. Le complesse attribuzioni del Giudice tutelare rendono difficile una classificazione delle attività di questo organo, appagante, si può tentare andando ad elencare i destinatari dell'attività del Giudice tutelare: minori sottoposti a tutela, abbandonati o comunque affidati alla pubblica o privata assistenza e altri incapaci. Vedi Enciclopedia giuridica, Tribunale per i minorenni, pp. 1 ss, Giudice tutelare, pp. 1 ss.

57. Fino ad allora si discuteva se la tutela si potesse costituire a favore di un minore straniero già all'atto del suo ingresso in Italia o solo dopo un determinato tempo di permanenza sul territorio dello stato. Questa difformità di interpretazione normativa creò notevoli problemi quando centinaia e centinaia di ragazzi e di bambini albanesi approdarono per la prima volta sulle coste italiane e molti di loro furono poi smistati e collocati in varie zone d'Italia. Si registrarono in quella occasione gli effetti 'perversi' della diversa interpretazione, mentre il Tribunale dei Minori di Bologna affermava la carenza di giurisdizione, in quanto l'apertura immediata di tutela avrebbe significato aggirare la norma sul permesso di soggiorno e sull'ingresso illegale nel paese, e pertanto riteneva necessaria la permanenza di un anno sul territorio dello stato. I tribunali minorili di Bari e Lecce ritennero invece potesse aprirsi immediatamente la tutela a favore del minore, tutela che permetteva al minore il soddisfacimento dei diritti fondamentali: ambiente protetto, salute e scuola.

58. In generale, le segnalazioni all'Autorità giudiziaria pervenivano in occasione del ritrovamento del minore in strada, del suo ricovero in ospedale, o quando sorpreso in fragranza di piccole attività criminose, o perché coinvolto in gravi reati, comunque organizzati da adulti. Bambini anche piccoli e ragazzi sono spesso arruolati come manovalanza della criminalità organizzata autoctona o immigrata prevalentemente nello spaccio ma anche in altri reti criminali. Il sogno di guadagno di emancipazione e di promozione sociale viene strumentalizzato da organizzazioni criminali, che curano l'immigrazione clandestina per passare poi all'utilizzazione dei minori stranieri nell'area dell'illegalità.

59. Durante la tutela, disposta dall'autorità giudiziaria al minore veniva concesso un permesso di soggiorno per motivi di 'affidamento' o di 'giustizia, il cui rilascio veniva ricondotto alla previsione di cui all'art 4 comma 14 della L.39/90 che stabilisce:" per gli stranieri ricoverati in case di cura e di pena, ovvero ospitati in comunità civili o religiose, il permesso di soggiorno può essere richiesto alla questura competente da chi presiede le case, gli istituti o le comunità sopraindicate, per delega degli stranieri medesimi".

60. La presenza dell'intesa ha indotto molti minori ad uscire dalla situazione di clandestinità e a richiedere l'inserimento scolastico e quello residenziale.

61. È stato mantenuto il potere-dovere degli organi di polizia di procedere alla completa identificazione dei minori stranieri e di effettuare le indagini necessarie per accertarne eventuali coinvolgimenti in attività criminose o per verificare il loro eventuale allontanamento da casa contro la volontà dei familiari. In ogni caso una volta effettuato l'accertamento, sarà il Tribunale per i minori a dover adottare i conseguenti provvedimenti di protezione e tutela.

62. Il Ministero degli Interni, con la circolare n. 32 del 20 luglio 1993, riferendosi ai minori privi, temporaneamente o definitivamente, di ambiente familiare idoneo e senza protezione, stabilì la priorità dell'intervento dell'autorità giudiziaria minorile rispetto ai provvedimenti della pubblica amministrazione. Con questo provvedimento amministrativo si andava recependo una prassi giudiziaria ormai accreditata, anche se non uniformemente radicata, sul territorio nazionale.

63. Vedi M. Cavallo, L'affidamento familiare nella legge e nella prassi, in Minorigiustizia, n. 1, 1994, vedi anche L. Miazzi, La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia, in Minorigiustizia, n. 3, 1999.

64. Vedi par. 2.3 e 2.4.

65. Anche la Risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea 26 giugno 1997, stabilisce all'art 3, comma 4 che: "ai fini dell'applicazione della presente risoluzione gli Stati membri dovrebbero aver cura di fornire il più rapidamente possibile ai minori la necessaria rappresentanza tramite: una tutela legale, o un organismo, nazionale incaricato della cura e del benessere dei minori, o altra forma adeguata di rappresentanza". Vedi L. Miazzi I diritti dei ragazzi stranieri nella legge italiana e nella politica del paese, relazione al XIX Convegno Nazionale dell'associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia, I ragazzi del villaggio globale, Vico Equense, 16-19 novembre 2000, non pubblicato.

66. Corte d'Appello di Torino, decreto del 10 dicembre 1999, estensore Pazè, in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n. I, 2000, con scheda di L. Miazzi. La pronuncia traccia con autorevolezza il quadro dei presupposti per l'intervento dell'autorità giudiziaria minorile richiamandola alla funzione di protezione del minore che deve esserle propria.

67. Si vedano per un contrasto di pronunce in ordine alla competenza sui minori stranieri non accompagnati, due provvedimenti del Tribunale per i minorenni di Brescia, che afferma la competenza del giudice tutelare, e del Giudice tutelare di Castiglione delle Stiviere, che invece la nega, pubblicati in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n.1, 1999.

68. Così disciplina l'art 9: chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l'accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo darne segnalazione al giudice tutelare, che trasmette gli atti al tribunale dei minorenni con relazione informativa.

69. Tra la comunità magrebina, soprattutto quella marocchina, tale situazione è assai frequente. La cultura di appartenenza è ancora fortemente fondata sull'unione familiare, è preciso dovere morale occuparsi degli appartenenti al gruppo che abbiano bisogno di aiuto, e che possono avere delle difficoltà in un nuovo paese.

70. Vedi L. Miazzi Il rimpatrio assistito del minore straniero: ancora un caso di diritto speciale? In Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 2, 2000.

71. L'art. 32 Disposizioni concernenti i minori affidati al compimento della maggiore età, stabilisce che "al compimento della maggiore età allo straniero nei cui confronti sono state applicate le disposizioni di cui all'art. 31, commi 1e 2, e ai minori comunque affidati ai sensi dell'art. 2 della L. 184/83, può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura. Il permesso di soggiorno per accesso al lavoro prescinde dal possesso dei requisiti di cui all'art. 23".

72. Vedi P. Vercellone, nella sua relazione al XIX Convegno Nazionale dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia, I ragazzi del villaggio globale, diritti e doveri, Vico Equense, 16-19 novembre 2000, non pubblicato, ritiene tale argomento assai debole, perché parrebbe sconcertante che laddove si parla di minorenni adottati od affidati il riferimento non fosse agli istituti giuridici dell'adozione e dell'affidamento ma a situazioni di 'fatto'. Si può ammettere un riferimento ad istituti stranieri analoghi anche se non identici alle nostre adozioni ed affidamenti, basti pensare all'istituto islamico Kafalah (accoglimento) secondo il quale il minore è accolto da una coppia unita in matrimonio al fine di dare al bambino un ambiente familiare, ma egli non viene integrato nella famiglia di accoglimento, non ne usa il cognome, né partecipa ai diritti ereditari. Non è pensabile l'inclusione di rapporti non giuridicamente rilevanti né nel nostro ordinamento, né in quello di provenienza. Non pare che l'art. 29, comma 2 introduca la categoria degli affidamenti di fatto equivalenti agli affidamenti rilevanti secondo la nostra legge.

73. Esemplificativo il decreto 22 luglio 1999, del Tribunale per i minorenni di Torino, estensore G. De Marco in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 4, 1999.

74. Per i requisiti richiesti dal T.u. per il ottenere il ricongiungimento familiare vedi par. 1.3.1.2.

75. Vedi relazione di P. Vercellone, al XIX Convegno Nazionale dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia, I ragazzi del villaggio globale, diritti e doveri, Vico Equense, 16-19 novembre 2000, non pubblicato.

76. Il D.lgs 113/99 all'art. 8, ha modificato la rubrica dell'art. 49 del T.u. con l'introduzione di 'Disposizioni finali e transitorie' inserendo dopo il comma 1 un successivo comma 1 bis con il quale viene prevista la possibilità di regolarizzazione a favore degli stranieri, già presenti in Italia alla data del 27 marzo 1998 in possesso dei requisiti previsti dal D.P.C.M. del 16 ottobre 1998, che abbiano presentato le relative domande entro il 15 dicembre 1998. Il predetto provvedimento normativo è entrato in vigore dal 12 maggio 1999. Queste nuove disposizioni consentono di rilasciare i permessi di soggiorno, non solo ad un numero limitato di stranieri, così come stabilito dal D.P.C.M. del 16 ottobre 1998, ma a tutti gli extracomunitari in possesso dei prescritti requisiti. Una posizione critica nei confronti delle sanatorie si trova in G. Bolaffi Una politica per gli immigrati, il Mulino, Bologna 1998, pp. 37 ss.

77. Vedi l'art. 33 del T.u. al secondo comma lettera b) e secondo comma bis, il primo sostituito, l'altro aggiunto dall'art. 5 del D.lgs. 113/99.

78. Qui si pone il problema della applicabilità ai minori delle disposizioni relative al trattenimento nei centri di permanenza temporanea.

79. Vedi D. Consoli, op. cit.

80. Affinché il rimpatrio assistito non sia 'meramente coatto', occorre prima di tutto procedere all'identificazione del minore (operazione che richiede tempi lunghi, a seconda del paese da cui il minore proviene) ma soprattutto occorre un'indagine rispetto ai presupposti ed alle condizioni relative al contenuto dei diritti del fanciullo per poter procedere alla valutazione del superiore interesse dello stesso in relazione alla permanenza in Italia o al rientro nel paese d'origine, (si potrebbe pensare che tale valutazione è già stata effettuata dal minore e dalla sua famiglia). Dette indagini dovrebbero consentire al Comitato di optare per il rimpatrio in ipotesi davvero residuali, posto che generalmente l'ingresso in Italia e in generale sul territorio europeo è finalizzato ad ottenere migliori condizioni di vita.

81. Il S.S.I. è un ente senza scopo di lucro a carattere professionale, apolitico, aconfessionale sorto a Ginevra nel 1924, ha acquisito in seguito la status consultivo presso vari organismi dell'Organizzazione delle nazioni unite, del consiglio d'Europa e della conferenza dell'Aja di diritto internazionale privato. L'ente coordina gli interventi, di emergenza ed ordinari di servizio sociale in paesi diversi per risolvere problemi di variegata natura concernenti le singole persone oppure gruppi omogenei di individui e di comunità locali. Problemi che sorgono specificatamente a seguito di migrazioni volontarie o di migrazioni forzate che richiedono interventi di aiuti articolati e complessi. Il S.S.I.- sezione italiana, opera dal 1932, dopo quaranta anni diventa ente morale e gli viene così approvato il particolare statuto, da allora fanno parte dell'ente i rappresentanti dei Ministeri degli affari esteri, dell'interno, del tesoro e del lavoro. Il S.S.I. è un organismo ausiliario che opera a fianco delle istituzioni citate, o per conto delle stesse mediante convenzioni specifiche. Ha l'obbligo, quindi, di presentare annualmente una relazione delle attività svolte, comprensiva dei relativi bilanci econoomico-finanziari al Ministero degli affari esteri che ne certifica l'operato, in corrispondenza della missione programmata su base triennale. Per una più approfondita spiegazione in merito all'attività di rimpatrio assistito realizzata da questo ente vedi il par. 3.3.

82. Vedi P. Bonetti, Anomalie costituzionali delle deleghe legislative e dei decreti legislativi previsti dalla legge sull'immigrazione straniera in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n. 3, 1999, p. 78.

83. Vi sono ad esempio alcuni casi in cui il minore è stato lasciato all'aeroporto di Tirana. Vedi P. Bonetti, cit.

84. Le stesse strutture di accoglienza, prevalentemente gestite dal volontariato impegnato nell'accompagnamento dei minori in percorsi di integrazione, si trovano in grande difficoltà perché il loro impegno non è certo quello di gestire centri di accoglienza per minori in attesa di rimpatrio. È ovvio che molti ragazzi non ancora in tutela, spaventati dalla prospettiva del rimpatrio, stiano abbandonando le strutture di accoglienza e la scuola, si percepisce un forte sentimento di ingiustizia per chi viene rimpatriato anche se va a scuola e al corso di formazione ma non ha mai commesso reati. Se la richiesta di legalità di questi ragazzi viene premiata con il rimpatrio è probabile che poi si riverseranno nell'illegalità. Infatti in tali condizioni è prevedibile che nella maggior parte dei casi questi ragazzi fuggiranno, o se rimpatriati torneranno, irregolarmente ne territorio italiano, ma allora è assai difficile che essi si sentano invogliati a rivolgersi ancora ai servizi sociali dei comuni, alle scuola al volontariato, anche perché altrimenti sarebbero rimpatriati una seconda volta, e così rischiano di essere nuovamente sfruttati e di diventare in molti casi manodopera per la criminalità.

85. Vedi P. Bonetti ivi p. 79.

86. Vedi L. Miazzi Il rimpatrio assistito del minore straniero: ancora un caso di diritto speciale?, in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n. 2, 2000, p. 40.

87. Cfr. con L. Miazzi, op. cit.; G. C. Turri, op. cit.; D. Consoli, op. cit.

88. Vedi L. Miazzi, op. cit., p. 40.

89. Che il Comitato si stia strutturando attorno all'attività del rimpatrio assistito si ricava anche dai primi atti di questo organo: si apprende così, dalla Circolare n. 14 del 14 aprile 2000 del Ministero dell'Interno, 'che durante le prime riunioni del Comitato è apparso indispensabile, ai fini dell'istituzione di una banca dati dei soggetti in argomento e dell'effettuazione del censimento degli stessi, prevedere subito la creazione di un'organizzazione decentrata di raccolta dati. Per la gestione di tale funzione il Presidente del Comitato ha chiesto a questo ministero la collaborazione delle prefetture anzitutto per la diffusione sul territorio di un modello di rilevamento [...]. Anche le prime direttive emanate dal Comitato tralasciano completamente i problemi dell'assistenza ai minori (le condizioni di accoglienza nei centri, la salute, il godimento effettivo del diritto allo studio e altro ancora) concentrandosi sui problemi 'tecnici' del censimento e della banca-dati.

90. Vedi L. Miazzi Il rimpatrio assistito del minore straniero: ancora un caso di diritto speciale?, in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n. 2, 2000, p. 37, in questo stesso senso si esprime anche G.C. Turri I bambini stranieri non accompagnati, in Minorigiustizia, n. 3, 1999, p. 21, che conclude affermando che 'l'unica differenza fra espulsione e rimpatrio del minore è che alla prima soltanto consegue il divieto di rientro per cinque anni'.

91. Vedi L. Miazzi, Il rimpatrio assistito del minore straniero: ancora un caso di diritto speciale?, in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n. 2, 2000, pp. 34-49; G.C. Turri, I bambini stranieri non accompagnati, in Minorigiustizia, n. 3, 1999, pp. 10-22; P. Bonetti, Anomalie costituzionali delle deleghe legislative e dei decreti legislativi previsti dalla legge sull'immigrazione straniera, in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n. 3, 1999, pp. 52-83.

92. Vedi L. Miazzi, op. cit.; G.C. Turri, op. cit.; P.Bonetti, op. cit.; W. Citti, op. cit.

93. Da tale considerazione discende che anche il diritto all'unità familiare e il diritto a vivere nel proprio paese d'origine non possono essere considerati come criteri assoluti, ma dovranno essere valutati come modalità di attuazione del superiore interesse del minore caso per caso, vedi Dossier cit.

94. Non riesco a capire perché tale persona non possa semplicemente emigrare dove più preferisce, dove poter lavorare, senza tante limitazioni.

95. Vedi Dossier, cit.

96. L'art. 2, comma 1 della Convenzione stabilisce che 'Gli stati parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta ed a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità dalla loro nascita o da ogni altra circostanza'.

97. Per quanto riguarda la considerazione della volontà del minore, la Convenzione di New York stabilisce il diritto del minore di 'esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo devono debitamente essere prese in considerazione, tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità'.

98. Interessante notare come la posizione del Presidente Vercellone nell'ipotesi di minori non accompagnati inseriti in un processo scolastico o lavorativo, coincida con quella dei volontari, di esponenti dell'associazionismo e di un 'autorevole dottrina' sull'opportunità di farli rimanere in Italia.

99. Se la famiglia non c'è o è meglio che non ci sia allora si apre un procedimento di adottabilità, in questi termini si è espresso il Presidente del Comitato.

100. Vedi P. Vercellone Intervento al convegno 'I ragazzi del villaggio globale' Vico Equense (Na), 16-19 novembre 2000, inedito.

101. Vedi Dossier su I minori non accompagnati, cit.

102. L'art. 5, comma 9 stabilisce che 'il permesso di soggiorno è rilasciato, rinnovato o convertito entro venti giorni dalla data in cui è stata presentata la domanda, se sussistono i requisiti e le condizioni previste dal presente testo unico e dal regolamento di attuazione per il permesso di soggiorno richiesto ovvero, in mancanza di questo, per altro tipo di permesso da rilasciare in applicazione del presente testo unico'.

103. L'art. 27 Ingresso per lavoro in casi particolari: 'Al di fuori degli ingressi per lavoro di cui agli articoli precedenti, autorizzati nell'ambito delle quote di cui all'art. 3, comma 4, il regolamento di attuazione disciplina particolari modalità e termini per il rilascio delle autorizzazioni al lavoro subordinato, per ognuna delle seguenti categorie di lavoratori stranieri: [...].

104. Né l'impossibilità di convertire questa tipologia di permesso di soggiorno può essere fatta discendere dal fatto che tale permesso non sia citato all'art. 14 del regolamento di attuazione, intitolato 'Conversione del permesso di soggiorno', in quanto tale articolo non detta disposizioni neanche in relazione ad altri permessi di soggiorno convertibili, come ad. esempio il permesso rilasciato ai minori affidati ai sensi dell'artt. 2, 4 della L. 184/83, (art. 32 del T. u.) o il permesso per motivi di protezione sociale (art. 18 del T.u.).

105. Vedi Appello del 21 luglio 2000 da parte di ASGI, Caritas, Centro Territoriale per l'Educazione Permanente Parini e Rete d'urgenza contro il razzismo, al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri dell'interno e del lavoro, al Presidente del Comitato per i minori stranieri, e ad alcuni uffici amministrativi e giudiziari della città di Torino.

106. Ibidem.

107. Pubblicata in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n. 1, 2000, pp. 222-223.

108. A questo argomento sono dedicati i parr. 2.3. ss.

109. Vedi par. 1.3.1.2.

110. L'art. 31 Costituzione stabilisce: La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessaria tale scopo.

111. Vedi Dossier cit.

112. In questo senso si è espresso il Tribunale per i minorenni di Torino, dichiarandosi incompetente in merito alle domande di affidamento a parenti idonei entri il quarto grado; altri Tribunali si sono invece espressi diversamente. Vedi par. 2.2.1.

113. Questa posizione è stata sostenuta dalla Corte di Appello di Torino con il Decreto del 10 dicembre 1999. Vedi par. 2.2.1.

114. Per quanto riguarda i minori presenti alla frontiera, in base alla L. 184/83, come modificato dalla L. 476/98, gli uffici di frontiera devono segnalare: il minore non accompagnato da genitore o parente entro il quarto grado al quale non è consentito l'ingresso in Italia e che deve essere segnalato alla Commissione per le adozioni internazionali perché prenda contatto con il paese di origine. Il minore non accompagnato da genitore o da parente entro il quarto grado al quale viene consentito l'ingresso in Italia per 'eventi bellici, calamità naturali o eventi eccezionali secondo quanto previsto dalla L. 40/98, o per altro grave impedimento di carattere oggettivo, sono segnalati alla commissione per le adozioni internazionali e al Tribunale per i minorenni del luogo di residenza di coloro che lo accompagnano. Non è chiaro se la Commissione per le adozioni internazionali dovrà segnalare al Comitato per i minori stranieri anche i minori segnalati dagli uffici di frontiera, sia quelli ai quali non viene consentito l'ingresso e che devono essere rimpatriati, sia quelli ai quali viene consentito l'ingresso, in analogia a quanto previsto dal D.p.r. 492/99 per i minori presenti sul territorio italiano; ovvero se per questi minori sarà competente direttamente la Commissione per le adozioni internazionali e per quanto riguarda i minori ai quali viene consentito l'ingresso il Tribunale per i minori, come sembrerebbe in base alla lettera della L. 476/98. Infine per quanto riguarda i minori ai quali viene consentito l'ingresso per 'eventi bellici, calamità naturali o eventi eccezionali, [...] o per altro grave impedimento di carattere oggettivo', è di difficile interpretazione il riferimento alla competenza del Tribunale per i minori del luogo di residenza di coloro che accompagnano il minore' trattandosi appunto di minori non accompagnati.

115. Vedi P. Vercellone, Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari sociali - Comitato per i minori stranieri. Osservazioni del Presidente. Testo approvato dal Comitato per i minori stranieri nella riunione del 2 maggio 2000, in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n. 3, 2000, pp. 235-241.

116. La legislazione relativa all'adozione internazionale, riguarda essenzialmente i minori stranieri abbandonati che si trovano all'estero quando inizia la procedura di adozione da parte di cittadini italiani, gli articoli della legge sull'adozione 33, n. 5 e 37 bis riguardano situazioni residuali, cioè di minorenni stranieri che siano entrati in Italia illegalmente e si ritengono essere in situazioni di abbandono.

117. Vedi Documento dell'Associazione di magistrati per la famiglia e per i minori, Provincia di Torino, cfr. con L. Miazzi, op. cit., G.C. Turri, op. cit.

118. Il Comitato non avendo articolazione territoriale, si avvale delle prefetture come mezzo di trasmissione delle proprie comunicazioni e punto di raccolta delle segnalazioni.

119. Vedi D. Consoli, Il minore nelle fonti normative, in Progress di ricerca su I minori stranieri non accompagnati. Analisi di esperienze significative di intervento con minori stranieri non accompagnati a Roma. Considerazioni generali. Università degli studi di Firenze, Unione Europea, Berliner Institute für Vergleichend Sozialforschung, Associazione Parsec, Ufficio del Ministro delle pari opportunità, Roma 2000 inedito.

120. Vedi intervento di P. Vercellone al seminario Minori stranieri non accompagnati, tra accoglienza e rimpatrio, Torino, 4 luglio 2000, cit.

121. Vedi L. Miazzi, Il rimpatrio assistito del minore straniero: ancora un caso di diritto speciale?, cit. p. 43.

122. Il caso estremo è rappresentato dalla competenza attribuita al Comitato di accertare lo status di minore non accompagnato, attraverso l'acquisizione di proprie informazioni e attività di indagine, mentre il Tribunale per i minorenni accerta lo stato di abbandono: con la rilevante possibilità che le procedure portino ad esiti diversi.

123. P. Bonetti, Anomalie costituzionali generali delle deleghe legislative e dei decreti legislativi previsti dalla legge sull'immigrazione straniera, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 3, 1999, p. 53, 54.

124. Ibidem.

125. Sull'inammissibilità costituzionale di 'deleghe in bianco' per talune materie, vedi F. Sorrentino, e G. Caporali, voce Legge (atti con forza di), in Dig. Disc. Pubbl., vol. IX, 1994, p. 107.

126. L'art. 76 della Costituzione stabilisce che 'L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per il tempo limitato e per oggetti definiti.

127. Così si è espressa la Corte Costituzionale con la sentenza 23 febbraio 1991, n. 68.

128. L'art. 10, comma 2, Cost. disciplina che 'La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

129. P. Bonetti, op. cit., p.58.

130. Con tale decreto il governo provvede ad apportare correttivi all'art. 11, commi 4, 5, 6 del T.U. Le nuove disposizioni appaiono correzioni di carattere meramente tecnico. Da un lato esse correggono le disposizioni legislative per renderle pienamente conformi alle responsabilità individuali che i singoli Ministri hanno per gli atti del loro dicastero ai sensi dell'art. 95 Cost. Dall'altro lato lo scopo delle stesse è quello di realizzare uno dei tre obiettivi della L. 40/98, quello della prevenzione e del contrasto più efficaci dell'immigrazione clandestina, intento che è indicato tra i principi fondamentali della legge all'art. 3. In questo primo caso di delega legislativa correttiva, sembra che il governo abbia voluto attenersi ad un'interpretazione rigorosa dei seppur vaghi, principi e criteri direttivi in essa previsti.

131. Sentenza n. 35/1961, in Giurisprudenza costituzionale, 1961, p.651.

132. Vedi A. Cassese, Commento all'art. 10 in Commentario della Costituzione, vol. I, 1975.

133. Nel testo dell'art. 5 D.lgs. 113/99, non si allude per niente al superiore interesse del minore.

134. Vedi G.C. Turri, I bambini stranieri non accompagnati, in Minorigiustizia, n. 3, 1999, p. 19.