ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo II
Dal policentrismo etnico alla specificazione criminale: le variabili del fenomeno

Massimo Di Bello, 2000

2.1. La criminalità degli stranieri: premessa - 2.2. Gli indici di misurazione della criminalità: l'indagine statistica tra limiti ed illazioni - 2.3. La specificazione criminale: a) le tipologie di reato tra ipotesi di sostituzione e di concorrenza con la criminalità italiana - 2.3.1. b) L'etnia di appartenenza, l'età ed il sesso - 2.3.2. c) La criminalità straniera tra presenze regolari ed irregolari.

2.1. La criminalità degli stranieri: premessa

Le opinioni comuni sono attraversate continuamente dalla convinzione che la criminalità sia alimentata dall'immigrazione. In modo particolare, si ritiene che l'immigrazione provochi sempre un aumento dei reati nel Paese di destinazione; che il forte aumento della criminalità registrato in Italia nell'ultimo decennio sia stato causato dagli immigrati; che oggi gli immigrati nel nostro Paese commettano alcuni reati più frequentemente degli italiani. Così, l'evento criminoso che vede protagonista l'immigrato finisce per avere una risonanza che altre tipologie della vita comunitaria non hanno e contribuisce a diffondere un generalizzato senso di sfiducia nei confronti degli stranieri.

In verità, il rapporto tra immigrazione e criminalità è una questione difficile, delicata e, certamente, più complessa di quanto le letture propongono.

Se possiamo considerare naturale che l'immigrazione determini sempre l'aumento dei reati nel Paese di destinazione, al pari di quanto avviene per il numero delle nascite, dei decessi, dei matrimoni, non è, invece, così pacifico che l'aumento della criminalità in Italia nell'ultimo decennio sia stato causato dall'intensificarsi dell'immigrazione, né tantomeno che gli immigrati commettono alcuni reati più frequentemente degli italiani. Sul punto occorre soffermarsi e compiere indagini specifiche, valutando diversi aspetti.

L'eccezionale aumento della criminalità in Italia in effetti vi è stato, ma esso ha avuto luogo già dalla prima metà degli anni '70, quando, cioè, i processi migratori erano agli inizi. È anche vero, però, che in quest'ultimo decennio la quota degli stranieri implicati in fatti delittuosi è continuamente cresciuta.

Questo incremento, tuttavia, nonostante si sia verificato per la gran parte dei reati e le diverse forme in cui sono stati commessi (lievi o gravi, commessi da singoli o da gruppi, espressivi o strumentali), non si è avuto per tutte le tipologie né per tutti i livelli a cui vengono svolte le attività illecite. Si tratta di quei reati per la cui commissione è richiesta una posizione qualificata all'interno del sistema di stratificazione sociale e che, pertanto, escludono gli immigrati che si trovano ancora ai gradini più bassi (1). Questa situazione, però, non deve far pensare che nel sistema criminale gli stranieri occupino solo le posizioni più basse, dequalificanti e meno remunerative. Se è vero che vi sono reati che continuano ad essere appannaggio della criminalità italiana, è anche vero che esistono delle zone di "comunicazione", settori illeciti in cui si assiste ad un progressivo inserimento degli immigrati anche ai livelli superiori ed addirittura settori esclusivi della criminalità straniera (2).

D'altra parte, anche quando vi è stato un aumento del numero dei reati commessi dagli immigrati, questo, però, non hanno seguito un percorso parallelo all'intensificarsi del fenomeno immigratorio. Infatti, alcuni reati hanno avuto andamenti ciclici, con fasi di forte espansione nei primi anni di immigrazione e successive contrazioni e riprese negli anni più recenti. Inoltre, vi sono intere classi di reato che hanno fatto registrare aumenti notevoli anche tra gli stessi italiani, e che pertanto non si presentano come un problema specificamente straniero.

Occorre, poi, tener presente che la popolazione immigrata ha una composizione per sesso ed età diversa da quella italiana, nel senso che è più giovane ed ha una quota di maschi più elevata. Questo elemento strutturale è di fondamentale importanza nell'analisi dei fenomeni criminali, in quanto il genere e l'età assumono un peso determinante nella propensione al crimine. Seguendo questo metodo si potrà verificare, ad esempio, se a parità di sesso ed età gli immigrati commettono più (o meno) spesso alcuni reati rispetto agli italiani.

L'idea di un rapporto diretto tra il numero di immigrati presenti e reati commessi è ulteriormente indebolita dal fatto che non tutte le nazionalità sono egualmente coinvolte in queste attività criminali.

Infatti, vi sono gruppi etnici numerosi che presentano indici di criminosità inferiori rispetto a quelli italiani; ovvero, comunità di immigrati che, pur non essendo tra le più numerose, presentano indici di criminosità molto elevati; e infine, vi sono comunità etniche di particolare consistenza che esprimono una criminalità preoccupante. Il peso di ciascun gruppo, per di più, varia a seconda del reato e della posizione occupata nel sistema di stratificazione delle attività illecite: i furti e le rapine vengono compiute soprattutto dagli ex jugoslavi di entrambi i sessi (spesso minori nomadi), oltre che da marocchini, algerini e tunisini; lo spaccio di eroina da marocchini e tunisini (e solo di recente anche dagli albanesi); il traffico di marijuana da albanesi, quello di cocaina da sud-americani; lo sfruttamento della prostituzione da albanesi e nigeriani.

Questo aspetto si salda con la necessità di un'analisi di tipo culturale. Non si tratta di compilare pagelle o di distinguere tra buoni e cattivi; né di sostituire lo stereotipo dell'immigrato criminale con quello di una specifica nazionalità criminale. Si vuole solo aprire un discorso sul confronto culturale.

La tesi è che la criminalità sia un fenomeno derivato anche da questo processo di confronto, che si verifica quando esso non è sufficientemente gestito dalle istituzioni in termini di politiche di promozione e sostegno nella direzione dell'accoglienza e dell'integrazione. Il confronto può essere, di fatto, più difficile per gli immigrati che provengono da alcune aree geografiche, in quanto più complesso il processo di interazione tra la nostra cultura e quella di questi gruppi. È chiaro che quando si parla di cultura si fa riferimento a qualcosa di dinamico, che si sviluppa: l'immigrato porta con sé non solo usi religiosi, familiari, alimentari che perdurano nel tempo, ma anche atteggiamenti ed opinioni che maturano nella situazione storica del Paese di origine.

In questo senso, isolare le nazionalità più produttive dal punto di vista criminale non vuol dire proporre discriminazioni e chiusure selettive, bensì indicare quelle componenti a maggior rischio criminale, in quanto una situazione di protratta illegalità nel Paese di origine può essere alla base di una maggiore propensione a comportamenti aggressivi o violenti (3).

I dati disponibili, inoltre, dimostrano che la criminalità è appannaggio principalmente di chi si trova nel nostro Paese in una situazione di irregolarità: ad esempio, sul totale dei cittadini extracomunitari denunciati per vari delitti, quelli senza permesso di soggiorno sono oltre il 70% per le lesioni volontarie, il 75% per gli omicidi, l'85% per i furti e le rapine.

Non v'è dubbio che la condizione di irregolarità crei le condizioni favorevoli al verificarsi di eventi criminosi; in primo luogo, perché costituisce un limite all'inserimento nel circuito socio-economico legale; in secondo luogo, perché l'irregolarità porta con sé la produzione di alcuni reati quali la falsità, la resistenza all'arresto, le false generalità etc. Inoltre, se si considera che una parte degli irregolari è composta dai clandestini, sarà facile immaginare che l'immigrato irregolare, già all'ingresso, o al momento dello scadere del permesso di soggiorno o del visto, entra in contatto con realtà criminali che gli forniscono servizi di vario genere. Questo aspetto è particolarmente importante perché spiega i rapporti di soggezione che legano gli immigrati ai gruppi malavitosi organizzati che si occupano del traffico di migranti, della successiva gestione degli stessi e, soprattutto, del loro conseguente inserimento nei circuiti della devianza a tutti i livelli.

Non vi è dubbio, infatti, che in questo traffico siano ravvisabili consistenti interessi di gruppi criminali internazionali che gestiscono l'organizzazione dell'immigrazione in tutte le sue fasi - dal reclutamento nel Paese di origine al transito nei diversi Paesi lungo il viaggio, dal reperimento di passaporti e documenti falsi al trasferimento e alla sistemazione iniziale nelle aree di destinazione - ma, come avviene con la droga, gli immigrati al loro arrivo trovano una organizzata rete criminale pronta ad accoglierli, destinarli ed inserirli in circuiti illeciti paralleli.

Dunque, se molti elementi possono suffragare l'ipotesi che esiste un rapporto diretto tra aumento dell'immigrazione ed aumento della criminalità, altri inducono a dubitare della sufficienza delle basi scientifiche di tale tesi. Finché si continuerà ad affermare che la delinquenza straniera aumenta in rapporto diretto con l'intensificarsi dell'immigrazione e che gli stranieri delinquono più dei nostri connazionali, si enunceranno delle verità generiche che non aiutano a capire veramente quali dinamiche sociali siano in atto, e che certamente non aiutano ad individuare strategie per la risoluzione del problema. Oggi, infatti, i fattori di spinta all'immigrazione e l'orientamento dei flussi si presentano fortemente condizionati dagli interessi criminali che hanno sfruttato i momenti di crisi della società civile ed hanno modificato, di fatto, i rapporti tra immigrazione e criminalità.

2.2. Gli indici di misurazione della criminalità: l'indagine statistica tra limiti ed illazioni

Normalmente, coloro che sostengono che gli immigrati provocano un aumento delle forme di devianza forniscono tre "prove" che considerano inconfutabili: gli immigrati sono coinvolti nelle attività illecite del traffico e dello spaccio della droga; immigrate sono le donne che esercitano la prostituzione sulle strade; gli immigrati sono fortemente rappresentati nelle statistiche giudiziarie. Se le prime due affermazioni sono sicuramente efficaci, in quanto fanno riferimento a realtà di immediata percettibilità da parte dell'opinione pubblica, il terzo argomento, invece, necessita di alcune considerazioni.

La valutazione quantitativa della criminalità straniera si fonda su dati relativi a situazioni differenti, quali il numero degli stranieri entrati nelle carceri, degli arrestati, dei denunciati, dei condannati e dei detenuti. Le diverse rilevazioni, che dovrebbero costituire il termine di confronto con la criminalità degli italiani e misurare il grado di incidenza sulla criminalità complessiva nel nostro Paese, in realtà evidenziano numerose lacune e forniscono un quadro parziale e distorto del rapporto immigrazione-criminalità.

Vi sono, infatti, molte buone ragioni per ritenere questi dati come i meno affidabili tra gli indicatori dei reati commessi dagli stranieri. Tra i fattori distorsivi basti ricordare: la proliferazione dei dati quantitativi in riferimento allo stesso individuo e la difficile attribuzione temporale dei fatti delittuosi.

Per quanto riguarda il primo punto, è da dire che, per il censimento dei dati provenienti dalle diverse istituzioni (Ministero dell'Interno, Ministero di Grazia e Giustizia, etc.), non è previsto, ad oggi, un sistema per eliminare l'inconveniente di segnalare una episodio di "recidiva" come fatto riferito ad un soggetto diverso. L'omessa rilevazione dei fatti commessi dalla stessa persona produrrà, dunque, l'effetto di gonfiare i dati quantitativi delle diverse rilevazioni.

Quanto al secondo punto, occorre precisare che non tutti i dati riescono a stabilire una connessione temporale tra l'evento criminoso e il "momento repressivo": ad esempio, mentre i dati sui denunciati si riferiscono, di norma, ai soggetti segnalati per fatti avvenuti nell'anno di riferimento, quelli relativi alle condanne, viceversa, si riferiscono a manifestazioni criminose verificatesi anche negli anni precedenti (4). La conseguenza è che solo attraverso alcuni dati è possibile rilevare la fenomenologia criminale nell'anno preso in considerazione (5). Più in generale, l'imprecisione della rilevazione della criminalità degli immigrati non dipende solo da fattori di distorsione, ma anche dall'eterogeneità dei dati, dalla mancanza di razionalità e di selezione qualitativa degli stessi, dalla mancanza di indici-standard di rilevazione. Spesso si è in presenza di indagini campionarie, poi proiettate a livello nazionale. Manca un confronto tra le rilevazioni effettuate dalle diverse istituzioni; manca un censimento della titolarità o meno di un permesso di soggiorno in capo al soggetto della rilevazione; manca un censimento del numero degli stranieri come persone offese dal reato. Tutte carenze, queste, che inficiano la corretta comprensione della realtà che si va studiare.

Più specificamente:

  • per quanto riguarda i dati relativi ai flussi di ingresso nelle strutture penitenziarie, elaborando graficamente i dati forniti dall'Amministrazione penitenziaria, è possibile notare un progressivo incremento degli ingressi di stranieri nelle carceri italiane, nonostante le leggere flessioni di alcuni periodi.

    Figura 3
    Flusso di ingresso di stranieri nelle carceri italiane. Periodo 1990-1998
    Figura 3

    Elaborazione su dati D.A.P.

    Tuttavia, molti sono i limiti che rendono questo tipo di rilevazione inadeguato a spiegare gli aumenti della criminalità straniera. In primo luogo, perché in prigione si entra per diverse ragioni e non sempre riferibili all'effettiva responsabilità dell'individuo: per arresto, per custodia cautelare, per eventuale ripristino della stessa connesso alla violazione degli obblighi imposti da una diversa misura cautelare, per esecuzione della pena, e così via. In secondo luogo, perché, proprio in riferimento ai diversi motivi, si può verificare una ripetizione numerica del dato nei casi in cui lo straniero entri nella struttura carceraria in tempi diversi in conseguenza della modifica del suo status (6). In terzo luogo, perché falsa il rapporto numerico tra stranieri ed italiani: la custodia cautelare, ad esempio, è una misura che colpisce più frequentemente gli stranieri degli autoctoni, in quanto gli immigrati offrono minori garanzie di non fuggire rispetto agli italiani (7). Questa situazione, poi, sembra destinata a riverberarsi sul numero di condanne a carico degli stranieri: una recente indagine (8), infatti, ha dimostrato che è più probabile per un immigrato essere condannato se ha subito in precedenza la custodia cautelare in carcere.

    D'altra parte, non è possibile effettuare una comparazione tra i diversi motivi per i quali si entra in carcere a causa dell'eterogeneità della rilevazione: ad esempio, il numero di ingressi in custodia cautelare a seguito dell'arresto non corrisponde al numero degli arresti complessivi, in quanto questi ultimi comprendono anche quelle situazioni in cui l'arrestato non sia associato ad una casa circondariale, ma resti in vinculis nella cella di sicurezza, in attesa di essere presentato al giudizio direttissimo entro le quarantotto ore successive.

  • Per quanto riguarda le presenze in carcere, i dati evidenziano che tra la popolazione detenuta gli immigrati sono aumentati, raggiungendo 14.057 presenze nel 1999.

    Figura 4
    Detenuti stranieri presenti al 31 dicembre anni 1990-1998
    Figura 4

    N.B.: il totale di detenuti stranieri comprende anche le case mandamentali

    Elaborazione su dati D.A.P.

    Anche tale aumento, però, può dipendere da una serie di motivi diversi.

    Innanzitutto, lo straniero commette di solito quei reati che più spesso portano in carcere. Inoltre, l'immigrato si trova in "eseguibilità di pena" in tempi più brevi rispetto agli italiani: infatti, la mancanza di mezzi economici che consentono un'efficace difesa ed una tempestiva impugnazione determineranno il formarsi del "giudicato" in tempi brevissimi.

    Infine, dall'esame dei dati del Ministero di Giustizia si evidenzia una difficoltà di accesso alle misure alternative alla detenzione, dovuta alla situazione di fatto del detenuto straniero: assenza di domicilio, barriere linguistiche o comunque culturali (9).

    D'altra parte, la parzialità dei dati relativi ai detenuti stranieri riguarda anche le situazioni di vantaggio in cui essi vengono a trovarsi. In modo particolare, è stato rilevato che gli immigrati, per alcuni reati, accedono più facilmente degli italiani alla sospensione condizionale della pena. La maggior frequenza con cui gli stranieri ottengono questo beneficio dipende da due fattori: il primo è che gli stranieri sono molto più spesso incensurati rispetto agli italiani e questo influisce sulla "prognosi" che i giudici sono tenuti a formulare e che si basa sull'esistenza dei precedenti penali; il secondo è che gli stranieri accettano più spesso degli italiani l'applicazione della pena concordata su richiesta delle parti (il patteggiamento), che più frequentemente comporta la concessione della sospensione condizionale della pena. Quindi, per un motivo o per l'altro, non transitando negli istituti penitenziari, non vengono censiti nel numero dei detenuti.

    Anche in questo caso, poi, vi è l'inconveniente di quantificare le presenze in carcere in base alle diverse motivazioni, per cui il numero dei detenuti può riguardare coloro che sono in esecuzione di pena, coloro che sono in custodia cautelare o in stato di arresto, etc.

  • L'aumento del numero di stranieri nelle statistiche giudiziarie è confermato anche sul piano delle denunce.

    I dati elaborati dall'ISTAT, e relativi al periodo 1991-1997, evidenziano che la quota di stranieri implicata in fatti delittuosi è andata aumentando costantemente nel corso del tempo, raggiungendo il valore di 55.502 denunciati nel 1997.

    Figura 5
    Denunciati stranieri. Periodo 1991-1997
    Figura 5

    Elaborazione su dati ISTAT

    Riguardo al dato statistico relativo alle denunce (ma anche per gli arresti), la parzialità delle rilevazioni dipende dalla veridicità o meno di due ordini di considerazioni.

    In primo luogo, occorre chiedersi se l'aumento della quota di stranieri sui denunciati ed arrestati sia dovuto al fatto che la polizia agisce nei loro confronti in maniera più selettiva che per gli italiani; in secondo luogo, occorre valutare nel complesso l'attività delle forze di polizia.

    Quanto al primo punto, occorre tener presente che, accanto ai reati che prevedono l'intervento diretto della polizia (perché, ad esempio, più gravi), ve ne sono altri che, invece, vengono denunciati da coloro che ne sono state vittime o che ne abbiano avuto in qualche modo conoscenza.

    Se il numero delle denunce a carico degli stranieri dipendesse da una maggiore selettività delle forze dell'ordine nei confronti di questi ultimi, si dovrebbe ottenere un aumento delle denunce relative ai reati più gravi rispetto agli altri. Questo, però, è smentito dalle rilevazioni statistiche (10).

    In realtà, la parzialità dei dati relativi alle denunce dipende dal fatto che, da un punto di vista quantitativo, essi non rappresentano la criminalità espressa nel periodo di riferimento. Più che dalla maggiore o minore selettività delle forze dell'ordine, ad incidere sul numero di denunce è la cifra oscura, ossia quella parte di criminalità non rilevata perché, appunto, non denunciata. D'altra parte, non tutti i denunciati saranno riconosciuti effettivamente responsabili dei reati ascritti in denuncia.

    Quanto all'attività della polizia, autorevoli studi evidenziano un "aumento dell'azione repressivo-penale nei confronti dei cittadini non comunitari anche in mancanza di un aumento di reati complessivi" (11), determinando, così, un aumento delle denunce e degli arresti a loro carico. Questo è anche possibile che si sia verificato negli ultimi tempi; tuttavia, non è stato determinato da un atteggiamento discriminatorio delle forze dell'ordine. Infatti, nell'emanazione dei provvedimenti di polizia giudiziaria assume importanza la condizione di "persona straniera" del destinatario del provvedimento. È evidente che se si tratta di un soggetto straniero sprovvisto di regolare permesso di soggiorno, senza fissa dimora, senza lavoro, la valutazione positiva in ordine al pericolo di fuga giustifica l'arresto. Cioè, l'adozione del provvedimento scaturisce proprio dalla concretezza di questi presupposti di fatto. In altre parole, il pregiudizio sarebbe temperato dalle condizioni materiali.

    A ben guardare, una tale interpretazione trova conforto nella realtà delle cose, che registra una maggiore attenzione delle forze dell'ordine verso i fenomeni legati all'immigrazione clandestina o comunque irregolare e, quindi, verso quei reati che, di fatto, vedono una maggiore partecipazione degli stranieri a determinati reati.

  • Un analogo discorso può essere fatto per quanto riguarda i dati relativi alle condanne. Anche in questo caso, infatti, le elaborazioni ISTAT, relative al periodo 1991-1997, evidenziano il progressivo (anche se incostante) incremento della quota di stranieri condannati.

    Figura 6
    Condannati stranieri. Periodo 1991-1997
    Figura 6

    Elaborazione su dati ISTAT

    È opinione diffusa che gli aumenti del numero di condannati stranieri in questi ultimi anni sarebbero da rapportare ad una maggiore inclinazione della magistratura a condannare più frequentemente gli stranieri rispetto agli italiani. L'atteggiamento discriminatorio denunciato troverebbe la sua conferma nella propensione della magistratura ad imporre loro misure cautelari più spesso che agli autoctoni e nella ritrosità a concedere misure alternative alla detenzione.

    Tuttavia, l'analisi dei dati riferiti alle condanne per reato e il confronto con le condanne a carico degli italiani, sembra smentire una tale illazione.

    Se mutamento vi è stato nell'atteggiamento della magistratura, questo è stato nella direzione di un maggior favor nei confronti degli immigrati. L'aumento delle condanne ha riguardato, infatti solo alcune tipologie di reato, quelle cioè che richiedono più spesso la detenzione.

    D'altra parte, lo svantaggio di una maggiore difficoltà di accedere alle misure alternative alla detenzione, è ampiamente temperato, come già abbiamo avuto modo di notare, dalla maggiore facilità riconosciuta dalla magistratura di godere della sospensione condizionale della pena. Infatti, in sede di condanna si effettua una valutazione di incensuratezza dello straniero anche solo sulla base dell'esistenza di un certificato penale del casellario che evidenzi l'insussistenza di iscrizioni, senza indagare o verificare se a tale dato corrisponda o meno l'eventuale pronuncia di sentenze penali all'estero o, nei casi di mancanza di un documento di identificazione, senza attendere che l'indagine dattiloscopica consenta di individuare eventuali altre generalità attribuite al medesimo, in base alle quali possono risultare pronunciate condanne penali.

    Tuttavia, anche se immune da questo tipo di critiche, il dato relativo alle condanne non riesce a sottrarsi ai limiti di cui soffrono le rilevazioni statistiche in genere. Per cui: l'omessa rilevazione delle condanne riferite alla stessa persona, comporta il gonfiamento dei dati quantitativi; la difficoltà di stabilire l'attribuzione temporale del fatto criminoso, determina la mancanza di una rilevazione della fenomenologia criminale nell'anno di riferimento e rende idoneo questo dato solo a dar conto della risposta giudiziaria; l'assenza di un censimento dei condannati titolari di permesso di soggiorno, non consente di rilevare l'incidenza del fenomeno dell'irregolarità sulla criminalità; etc.

2.3. La specificazione criminale: a) le tipologie di reato tra ipotesi di sostituzione e di concorrenza con la criminalità italiana (12)

La criminalità straniera, le "zone delittuose" occupate, vanno osservate di pari passo con quella che è la criminalità italiana nel suo complesso; infatti, uno studio che voglia argomentare sulle diverse ipotesi di sostituzione, concorrenza o esclusività della criminalità straniera rispetto a quella italiana deve vagliare preventivamente la dimensione qualitativa e quantitativa dell'agire criminoso degli immigrati, cogliendo nelle diverse fattispecie quelle che sono le condotte che rivestono carattere, per così dire, tradizionale, da quelle, invece, che nel contesto italiano rivestono un carattere di novità (13). In una situazione di questo genere, specificare la valenza criminale degli stranieri ha un significato tutt'altro che descrittivo, dal momento che consentirebbe di modulare l'intervento cognitivo e repressivo in ragione della maggiore o minore pericolosità sociale.

Alcuni studiosi italiani (14) hanno avanzato una singolare un'ipotesi interpretativa dell'aumento della criminalità degli immigrati in Italia, applicando a questo settore gli schemi di analisi del mercato del lavoro. Secondo questi sarebbe in corso un processo di sostituzione degli stranieri agli italiani in alcune attività illecite che questi ultimi hanno abbandonato perché ritenute meno vantaggiose di un tempo. Il "fornitore di un reato" modulerebbe la propria offerta in base alla domanda. Ma si tratta di assunti poco convincenti.

Infatti, gli schemi concettuali utilizzati dagli economisti per il mercato del lavoro possono trovare applicazione solo con riguardo ad alcune tipologie di reato e non per altre. Vi sono situazioni in cui è difficile immaginare un rapporto tra domanda ed offerta: pensiamo al caso dell'omicidio o delle percosse-lesioni o, ancora, dello stupro; in questi casi non esiste un'offerta che fa fronte ad una domanda di "vittimizzazione". Nessuno richiede di essere ucciso, percosso o violentato.

L'applicazione degli schemi economici può, invece, tornare utile con riguardo ad altre tipologie di reato. In modo particolare per quelle fattispecie commesse per finalità di lucro. In questi casi è ipotizzabile che alcuni reati, essendo diventati meno remunerativi, abbiano indotto un numero crescente di italiani a non commetterli più; di contro possono essere, invece, convenienti per gli stranieri che, dunque, si sostituiscono agli autoctoni.

Tuttavia, lo schema non è così semplice da applicare. Anche all'interno di queste ultime tipologie bisogna guardare al singolo tipo di reato. Un'osservazione anche superficiale della realtà dimostra, infatti, che vi sono delitti commessi per finalità di lucro che hanno visto incrementare la presenza straniera ma, contemporaneamente, anche quella italiana (15). In questi casi non si può parlare di sostituzione, ma più propriamente di concorrenza tra criminalità straniera ed autoctona.

Dove, invece, l'ipotesi della sostituzione torna ad avere un qualche fondamento è nel settore dei c.d. mercati illegali.

Appartengono a questo settore una serie di reati che rispondono allo schema della domanda e dell'offerta. Pensiamo al mercato illecito della ricettazione, della droga, della prostituzione, della falsificazione di documenti. In queste situazioni è più facile immaginare che l'interesse della criminalità italiana sia andata scemando (16) e che vi sia stato il progressivo inserimento della criminalità straniera. Tuttavia, questo è vero per alcuni aspetti e non per altri.

All'interno di questi mercati è possibile ravvisare una sorta di stratificazione organizzativa e funzionale; questo vuol dire che nell'analisi dei comportamenti devianti degli stranieri sarà opportuno analizzare i livelli in cui vi è stata sostituzione, se cioè nei ranghi più bassi o nei ranghi "dirigenziali" della struttura criminale. L'osservazione è importante, in quanto ci permette di comprendere le diverse "vocazioni" criminali degli stranieri. Occupare i gradini inferiori o svolgere le mansioni maggiormente dequalificate significa, nell'attuale situazione, appartenere ad una struttura organizzata di cui spesso si è vittime (pensiamo agli spacciatori di droga reclutati dalle organizzazioni criminali straniere ed italiane; alle prostitute; ai furti o alle rapine perpetrate da soggetti in stato di soggezione nei confronti della criminalità organizzata). Viceversa, là dove la sostituzione in un settore illecito è completa, questo è indice di una criminalità specificamente straniera.

Ragionare in termini di mercati illegali ha anche un altro significato. L'analisi dei reati ad essi afferenti può testimoniare di un "salto di qualità" della criminalità straniera insistente sul territorio, nella misura in cui si dimostri che essa va sempre più assumendo la forma organizzata. Quando si parla di criminalità organizzata si fa riferimento ad un fenomeno dotato di un'incisiva pervasività, per la spiccata capacità di selezionare i settori legali ed illegali su cui estendere la propria influenza, di selezionare i soggetti da avviare alle attività criminali, per la forza attrattiva anche della microcriminalità diffusa, per il silente infiltramento nelle strutture economiche legali realizzato anche attraverso un progressivo controllo del territorio. Da questo punto di vista diventa importante analizzare quelle tipologie di reato che sono espressione, non solo della criminalità c.d. associativa, ma anche di una più generale strategia criminale: anche i reati per i quali non si riesca a provare il vincolo associativo possono essere sintomatici della presenza di gruppi organizzati. Insomma, la criminalità organizzata può essere causa e sviluppo della devianza straniera.

A questo livello dell'indagine non importa il valore numerico delle statistiche penali, ciò che rileva è la pericolosità del reato, per i possibili futuri sviluppi.

2.3.1. b) L'etnia di appartenenza, l'età ed il sesso

L'appartenenza etnica

Il policentrismo etnico del fenomeno migratorio in Italia non corrisponde ad un policentrismo criminale: sul piano della criminalità, infatti, si assiste ad una graduale interessamento di singoli gruppi etnici. In questo senso, non pare fondato l'etichettamento criminale all'intero fenomeno migratorio, ma, più correttamente, l'analisi mostra come passando agli aspetti giudiziari, sia diverso il peso assunto da alcune nazionalità rispetto ad altre.

Uno sguardo ai dati disponibili evidenzia che l'Europa dell'Est e l'Africa del Nord, che registrano il 40% delle presenze, rappresentino il 70% delle denunce ed addirittura l'80% degli arresti. In particolare, su 11 gruppi etnici, che totalizzano il 50% delle presenze, le denunce colpiscono principalmente 4 gruppi: marocchini, albanesi, rumeni ed ex jugoslavi, che toccano la percentuale del 52,5%. Se si guarda agli arresti, solo Marocco e Tunisia raggiungono il 53,7%. Per quello che riguarda i detenuti presenti, Marocco, Tunisia e altri Paesi dell'Est europeo, totalizzano il 55%.

Se prendiamo in considerazione le nazionalità maggiormente rappresentate nella contabilità statistico-penale per numero di denunciati, nel periodo 1990-1997, possiamo trarre alcune conclusioni:

  • il valore assoluto dei denunciati aumenta per tutte le nazionalità nel periodo considerato, generalmente in misura assai consistente;
  • a livello di macro-aree la situazione è rimasta costante: le nazioni appartengono in prevalenza all'Europa orientale, al nord Africa e sud America;
  • anche le posizioni delle nazionalità nella graduatoria sono stabili: in testa permangono la ex Jugoslavia e il Marocco, ed in fondo alla classifica il Perù ed il Cile.

Nel corso degli anni, però, si è avuto un mutamento nella distribuzione della "produzione criminale" tra le singole etnie, a causa della crescente presenza di nuove nazionalità, soprattutto provenienti dall'Europa dell'Est: Albania, Romania e Polonia. Infatti, mentre nel 1990 vi è stato un forte distacco tra i gruppi di testa, (formati dalla ex Jugoslavia, dal Marocco e dalla Tunisia, attestati sopra il 10% del totale percentuale dei denunciati) e gli altri, nel 1997 si ha una maggiore distribuzione criminale, che produce un calo delle denunce di questi Paesi, passando dal 66% al 48,2%. Queste osservazioni sono state confermate anche da uno studio della D.I.A., per il periodo 1991-1995, che ha individuato le provenienze a maggior rischio criminale: Cile, ex Jugoslavia, Algeria, Perù, Marocco, Albania, Tunisia, Colombia, Senegal.

La distribuzione dei reati per Paese di origine degli stranieri è assai diversa a seconda della tipologia delittuosa. La concentrazione di particolari reati in una sola etnia o in poche di esse può far parlare di monopolio o di oligopolio criminale. In questi casi, dunque, la criminalità straniera è un problema specifico: pensiamo al Marocco che fino al 1996 poteva essere considerato a ragione un monopolista nel mercato del contrabbando; o allo stesso Marocco, all'Algeria ed alla Tunisia considerati oligopolisti del mercato degli stupefacenti. Termini come questi, invece, non possono essere utilizzati per altri reati, per i quali è dato registrare una maggiore dispersione nella distribuzione per Paese di origine. Così per i reati di furto, rapina, che hanno visto la progressiva implicazione di quasi tutte le etnie rappresentate sul territorio.

L'età

Ma, la "vocazione" criminale degli stranieri può farsi risalire ad un concorso di cause. Tra esse, rilevante nella propensione al crimine è l'età.

Un esame dei dati relativi all'età dei 27.687 condannati nel 1997 nati all'estero, confrontati con il totale dei condannati, mostra che tra gli stranieri sono fortemente sottorappresentate le fasce di età tra i 45 ed i 64 anni, nelle quali ricade il 21,1% del totale dei condannati, ma solo il 5,2% degli stranieri. Considerevolmente superiore al valore complessivo è quello relativo alle fasce di età più giovani: al 20,6% del totale dei condannati tra i 18 ed i 24 anni corrisponde il 31,2% dei condannati stranieri. Anche per quanto riguarda i minori l'incidenza è più forte, tripla per i 14enni e i 15enni, più che doppia per i 16enni e i 17enni.

La delinquenza straniera, dunque, è mediamente più giovane di quella italiana. Ciò può essere spiegato col fatto che l'immigrato appartiene prevalentemente alle fasce d'età giovanili, quelle comprese tra i 18 ed i 44 anni, intervallo nel quale ricade il 94,4% dei condannati stranieri. La comunità straniera, infatti, è composta principalmente da individui giovani, che si trovano in una età nella quale è più forte la propensione al crimine. Nella fascia tra i 19 e i 40 anni ricadeva il 68,1% degli stranieri residenti nel 1993, percentuale salita al 71% nel 1997. Si tratta di un dato strutturale che va tenuto necessariamente presente, e che induce ad avere una considerazione più cauta dei dati sulla partecipazione al crimine da parte degli stranieri.

Il sesso

Un altro aspetto che bisogna tener presente si riferisce alla presenza femminile nei gruppi stranieri. Si è già avuto modo di notare le dinamiche dei flussi migratori con riguardo a questo elemento strutturale, ed abbiamo accertato che esso è indice di una progressiva stabilizzazione delle comunità immigrata. Questa osservazione diventa importante quando si parla di criminalità straniera, se si considera che numerose ricerche hanno mostrato che le donne violano le norme penali molto meno che gli uomini e che le differenze tra le une e gli altri sono tanto maggiori quanto più grave è il reato. Tuttavia, sulla base dei dati è possibile notare che la componente femminile può avere una certa incidenza sulla partecipazione al crimine, anche se certamente non come fattore determinante ed unico. Ed è esaminando le differenze per Paese di origine che può farsi qualche passo in avanti nella comprensione della devianza femminile.

Così, fra i maghrebini (algerini, marocchini e tunisini) la percentuale delle donne sul totale dei condannati è sempre bassissima. Fra i cileni ed i peruviani è più alta che fra gli italiani per alcuni reati e più bassa per altri, pur essendo gruppi etnici composti soprattutto di donne. L'eccezione è costituita dagli ex jugoslavi che hanno un'alta quota di donne sui condannati, pur rappresentando una comunità tendenzialmente stabile per quanto riguarda la strutturazione per sesso. Il caso dell'India è eclatante: con una presenza femminile prossima a quella ex jugoslava (37,8% contro 36,9%) questa comunità manifesta una propensione al crimine notevolmente inferiore.

Il fatto che le nazionalità maggiormente coinvolte in episodi delittuosi manifestino uno squilibrio tra i sessi estremamente marcato ha certamente un peso nella loro performance criminale. Ma una presenza femminile equilibrata, come nel caso della Nigeria (53,8%) può coniugarsi ad una vocazione criminale specifica, ad esempio quella orientata al mercato della prostituzione.

2.3.2. c) La criminalità straniera tra presenze regolari e irregolari

Per verificare come la questione della "produzione criminale" degli stranieri sia molto meno semplice di quanto le letture propongono, è necessario scomporre la "massa amorfa degli immigrati" in regolari e irregolari.

È stato rilevato che, nell'ultimo decennio, il numero di reati commessi dagli stranieri è aumentato in ragione del contributo fornito dagli immigrati irregolari.

Il primo dato significativo proviene dalla popolazione carceraria straniera. Da una rilevazione a campione (1.468 stranieri detenuti) condotta su cinque importanti istituti penitenziari, circa l'83% degli stranieri è risultato privo del permesso di soggiorno (17). L'attribuzione di gran parte dei reati commessi ai detenuti irregolari in una percentuale così elevata, viene confermata dai dati relativi alle denunce, in cui si rileva che su 89.457 denunciati, l'86,4% risulta privo del permesso di soggiorno, pari ad un valore di 77.290 soggetti.

Successive rilevazioni riferite al 1998 e relative ad altri indici, hanno registrato valori assoluti più bassi ma percentuali ancora più elevate:

  • su 27.282 stranieri arrestati, ben 24.772, pari ad una percentuale del 90,8%, era sprovvisto di permesso di soggiorno;
  • su 10.418 stranieri destinatari di provvedimenti di espulsione, 10.363, che rappresentano il 99,5%, non aveva regolare permesso di soggiorno;
  • su 44.398 stranieri destinatari di provvedimenti di intimazione, il 99,4%, pari a 44.128 soggetti, era senza permesso di soggiorno.
Tabella 12
Numero di irregolari secondo gli addebiti giudiziari. Valori assoluti e percentuali. Periodo: 1997-1998
Provvedimenti 1997 1998 Variazione % 1998/1997 Di cui senza permesso % senza permesso
Denunciati indagati 60.978 89.457 48% 77.290 84,4
Arrestati 24.202 27.282 13% 24.772 90,8
Espulsioni eseguite 8.444 10.418 25% 10.363 99,5
Espulsioni intimate 49.065 44.399 -10% 44.128 99,4

Elaborazione su fonte: Ministero dell'Interno

In una situazione di questo genere, dunque, diventa importante interrogarsi sulle differenze tra la criminalità espressa dalla componente regolare e quella espressa dagli irregolari.

In primo luogo, sotto l'aspetto quantitativo, si può rilevare che la serie dei dati relativi ai denunciati stranieri in regola col permesso di soggiorno, nel periodo 1991-1997, ha evidenziato che le percentuali, pur nella loro variabilità, sono sostanzialmente rimaste immutate. Il dato assume maggiore significato se si considera che la popolazione straniera regolare, cresciuta di poco nel periodo 1991-1995 (passando da 679mila a 729mila stranieri), è invece lievitata considerevolmente nei successivi anni, attestandosi, come visto, sul milione e 400mila unità. Ciò significa che l'implicazione criminale degli immigrati regolari cresce ad un ritmo più lento rispetto a quella degli irregolari.

Se poi si considera che le disaggregazioni per tipologia di reato evidenziano anche una qualità differente di criminalità, si può concludere che i regolari entrano a pieno titolo nella fascia degli stranieri che delinquono, pur tuttavia non rappresentando una emergenza in senso proprio. Questi, infatti, sembrano coinvolti in tipologie di reati cosiddetti espressivi, come le lesioni, che nascono da azioni impulsive fini a sé stesse, e comunque non direttamente commessi per finalità di lucro.

Tabella 13
Numero di extracomunitari denunciati per tutti i reati muniti di permesso di soggiorno secondo il sesso e la classe di età. Valori percentuali. Periodo: 1990-1991-1992-1995-1997
Classi di età 1990 1991 1992 1995 1997
M F M F M F M F M F
0-18 anni 4,4 1,0 5,9 1,0 3,7 1,2 3,6 1,4 6,3 1,5
19-40 anni 20,7 16,1 22,3 16,5 20,2 14,3 14,3 10,7 22,2 14,6
41-60 anni 19,5 13,8 20,0 19,1 21,3 13,8 23,6 19,0 27,5 21,0
61 e oltre 4,0 1,9 4,4 2,1 4,9 2,6 6,0 1,1 0,6 3,5

Elaborazione su fonte: Ministero dell'Interno

Le variazioni in aumento delle denunce a carico dei regolari sono sostanzialmente da ricondursi ai provvedimenti di regolarizzazione, che, consentendo l'emersione di una larga fetta di immigrati irregolari, ha reso possibile l'individuazione di autori di reato che altrimenti sarebbero rimasti celati nella "cifra oscura" dell'immigrazione irregolare.

Questa crescita mostra che una parte di essi continua a delinquere per un certo periodo anche dopo la regolarizzazione, presumibilmente per superare le difficoltà di inserimento nella nuova realtà. La dimostrazione sarebbe nel fatto che nel periodo successivo alle regolarizzazioni, le percentuali ritornano entro i limiti dei periodi precedenti.

Del resto regolarizzare la propria posizione giuridica significa compiere una precisa scelta, incompatibile con la volontà di delinquere, data la maggiore facilità di essere individuati ed arrestati rispetto agli irregolari.

Diverso il discorso per la componente irregolare.

Le difficoltà legate alla loro quantificazione e alla diversificazione per condizioni socio-economiche, non consentono di distinguere adeguatamente, al suo interno, la reale implicazione criminale delle diverse componenti. Si può solo affermare che non tutte le etnie che presentano un elevato numero di irregolari sono implicate in fatti criminosi in misura preoccupante.

Tabella 14
Rapporto tra titolari o meno di permesso di soggiorno per addebito giudiziario. Periodo: 1998
Paesi % Denunciati indagati % s.p.s. % sul totale Arrestati % s.p.s. % sul totale
Albania 7,3 14.247 85,3 15,9 2.760 83,3 10,1
Marocco 11,7 18.068 81,7 20,2 6.509 87,7 23,9
Tunisia 3,8 4.728 82,6 5,3 11.892 89,8 43,6
Ex Jugoslavia 3,3 7.189 88,8 8,0 2.536 95,3 9,3
Romania 3,0 7.522 95,2 8,4 2.267 96,6 8,3
Senegal 2,9 2.784 65,8 3,1 520 80,2 1,9
Nigeria 1,1 3.536 89,5 4,0 396 82,3 1,5
Algeria 1,0 4.268 92,8 4,8 2.514 95,1 9,2
Macedonia 1,5 1.112 81,7 0,1 175 85,1 0,6
Croazia 1,4 1.438 92,0 1,6 626 97,8 2,3
Tutti i paesi 100,0 89.457 86,4 / 27.283 90,8 /

S.P.S. = senza permesso di soggiorno

Elaborazione su fonte: Caritas Roma-Ministero dell'Interno

Vi sono, infatti, nazionalità (ad esempio quelle provenienti dall'America Latina e dall'Asia) che sono coinvolte in fatti di reato in misura inferiore rispetto alla loro effettiva presenza sul territorio.

Sul piano dei rapporti con la criminalità italiana, il confronto dei dati mostra che, se gli immigrati regolari commettono più spesso reati degli autoctoni, gli irregolari superano di molte volte, per tassi di criminalità, sia i primi che i secondi.

L'analisi delle dinamiche del fenomeno migratorio ha evidenziato una presenza irregolare maggiormente radicata nelle zone del Sud del Paese. Attesa la maggiore propensione al crimine degli irregolari, ci si aspetterebbe una conferma della loro presenza nelle statistiche giudiziarie relative a quest'area; invece, il numero delle condanne evidenzia una quota di stranieri maggiore nel Nord, cioè proprio nell'area del Paese dove si registra una maggiore presenza regolare.

Ciò trova conferma anche sul piano della popolazione carceraria: i dati dimostrano una maggiore presenza straniera nelle carceri del Nord rispetto al Sud. Infatti, analizzando la popolazione carceraria nel suo complesso in base alla regione di provenienza (o nascita), si può notare che Friuli Venezia Giulia, Liguria, Veneto, Trentino Alto Adige e Valle D'Aosta sono le regioni con i più alti tassi di detenuti stranieri (43%-53%).

Le rilevazioni sembrerebbero smentire la diversa incidenza criminale degli immigrati regolari ed irregolari.

In realtà, è lecito pensare che il diverso peso assunto dalla presenza irregolare rispetto alle condanne sia rapportabile alle diverse condizioni economiche e di regolarizzazione che caratterizzano il Sud del Paese rispetto al Nord. In sostanza, il dato dimostra solo che vi sono più soggetti stranieri condannati a Nord perché quest'area è maggiormente interessata dai fenomeni immigratori.

Questo significa che non conta la quantità di irregolari presenti nel Nord o nel Sud del Paese, ciò che rileva sono le caratteristiche prevalenti in termini di etnie e condizioni socio-economiche di questa componente. Per cui la componente irregolare, numericamente inferiore nel Nord, può esprimere una criminalità maggiore in quest'area rispetto al Sud. Al contrario, nell'area meridionale del Paese è ipotizzabile una maggiore presenza di irregolari dovuta principalmente alle difficoltà di regolarizzazione, connesse ai distorti meccanismi di lavoro: nel Mezzogiorno, i controlli ispettivi sono sporadici, il lavoro nero è elevato, i datori di lavoro "sconsigliano" agli immigrati di fruire delle sanatorie per sottrarsi al versamento dei contributi lavorativi (condizione necessaria per ottenere il nullaosta dell'Ufficio del Lavoro ed il rilasci del permesso di soggiorno), è impossibile regolarizzare il lavoro autonomo svolto dagli stranieri (ambulanti, piccoli artigiani, addetti alle consegne, etc.).

In una situazione di questo genere è ragionevole presumere che se questi soggetti dovessero delinquere, essi esprimerebbero una criminalità pari, per quantità e qualità, a quella dei regolari.

Non bisogna dimenticare, poi, che la presenza forte di una criminalità organizzata nostrana nelle aree del Sud, che di fatto controlla il mercato delle attività illecite, riduce la possibilità di uno spazio autonomo di delinquenza straniera, che se quantitativamente più bassa, potrebbe esprimersi in qualità più preoccupante rispetto al Nord.

Questa progressiva specificazione mostra chiaramente che l'approccio più utile alla comprensione del fenomeno criminale straniero sia quello di individuare i soggetti a maggior rischio, costituiti da quelli che, per la propria condizione soggettiva, si trovano più facilmente coinvolti in situazioni di reità. Quali siano le motivazioni va individuato di volta in volta, dal momento che accanto a soggetti la cui condizione di irregolarità rappresenta un percorso obbligato per assicurarsi una maggiore permanenza nel territorio e, dunque, maggiori possibilità di riuscire a trovare occupazione presso un compiacente datore di lavoro, vi sono anche soggetti che scelgono volontariamente l'illegalità proprio per assicurarsi una maggiore impunità e poter così svolgere nell'anonimato i propri traffici illeciti; ma non vanno dimenticati anche tutti coloro che loro malgrado diventano facili prede delle organizzazioni criminali, finendo per alimentare il turpe traffico dello sfruttamento a tutti i livelli, o per costituire vera e propria manovalanza criminale.

Note

1. Si pensi, ad esempio, a quelle tipologie di reato meglio conosciute come white collar crimes.

2. Così, M. Barbagli, Immigrazione e criminalità in Italia. Una coraggiosa indagine empirica su un tema che ci divide, Il Mulino, Bologna, 1998.

3. Si vedrà, infatti, che considerando la produzione criminale in relazione ai contesti di provenienza, le etnie maggiormente coinvolte sono per lo più quelle che provengono da Paesi con gravi situazioni di disordine interno, in cui il sottosviluppo economico si unisce a situazioni di violenza diffusa, sia essa causata da guerre civili, conflitti a carattere etnico o terrorismo: è il caso degli ex jugoslavi, degli albanesi, degli algerini, etc.

4. Tranne nel caso si tratti di condanne pronunciate all'esito di processi con rito direttissimo o abbreviato.

5. Il numero di denunciati o arrestati nel 1999, ad esempio, corrisponde al numero di fatti delittuosi verificatisi nel corso dell'anno; il numero dei condannati nello stesso anno, invece, non corrisponderà al numero dei crimini, in quanto nello stesso periodo saranno condannati anche quelli che hanno commesso un reato in anni precedenti.

6. Si pensi, appunto, al caso in cui un indagato sottoposto agli arresti domiciliari si veda revocare tale misura per la custodia in carcere.

7. M. Barbagli, op. cit., pag. 88 ss.

8. "L'analisi dei dati mostra che, se gli imputati stranieri vengono condannati più spesso, è perché una quota più alta di loro ha subito la custodia cautelare in carcere. Se questa misura fosse adottata più frequentemente nei loro confronti perché a loro carico esistono più spesso indizi di colpevolezza non ci sarebbe nulla da ridire. Ma le cose non sono così semplici. [...] Per applicare questa misura, il giudice deve accertare l'esistenza, oltre che di indizi di colpevolezza, anche di una delle seguenti condizioni: il pericolo di inquinamento delle prove, il pericolo di fuga e il pericolo di reiterazione dei reati. La valutazione del giudice riguardo alla concreta possibilità che l'imputato commetta un altro delitto della stessa specie o uno ancora più grave si basa principalmente sull'esistenza di precedenti penali e dunque, per i motivi che vedremo subito, non è sfavorevole per gli immigrati. Invece, il giudizio del magistrato sul pericolo di fuga dell'imputato si rifà di solito allo stile di vita di quest'ultimo, ai suoi legami con il luogo in cui si trova ed è svantaggioso per l'immigrato, che spesso non ha una casa, un lavoro stabile, una famiglia, dei parenti. [...]: M. Barbagli, op. cit., p. 89.

9. M. Pastore, Produzione normativa e costruzione della devianza e criminalità tra gli immigrati, Ismu, Milano, 1995.

10. M. Barbagli, op. cit., p. 82 ss.

11. S. Palidda, Devianza e vittimizzazione, Quarto rapporto sulle migrazioni 1998, Ismu, Milano, 1999.

12. L'analisi dettagliata delle fattispecie di reato in cui si registrano le partecipazioni più consistenti degli immigrati sarà effettuata nella sezione III del terzo capitolo, dedicata alla criminalità indotta dai fenomeni di traffico e sfruttamento di clandestini.

13. In tal senso è indubbia, e lo vedremo successivamente, l'attribuzione di un tale carattere alla criminalità connessa al traffico ed allo sfruttamento dei clandestini, non solo per il grado di interazione tra diverse organizzazioni nell'ambito di una criminalità transnazionale, ma soprattutto per le loro valenze criminogene e la capacità di selezionare soggetti particolarmente orientati al rischio e alla devianza penale.

14. S. Palidda, La devianza e la criminalità, Primo rapporto sulle migrazioni 1995, Angeli, Milano, 1995; E. Reyneri, Sociologia del mercato del lavoro, Il Mulino, Bologna, 1996; M. I. Macisti, E. Pugliese, Gli immigrati in Italia, Laterza, Bari, 1991; E. Pugliese, L'immigrazione, Storia dell'Italia repubblicana, Einaudi, Torino, 1996, vol. III, 1.

15. È il caso del furto e della rapina.

16. A causa della minore remuneratività rispetto ad altre attività illecite, quali i grossi traffici internazionali, il riciclaggio, l'usura, lo smistamento dei rifiuti tossici, etc.

17. Cfr. la relazione presentata al Senato il 1º settembre 1997 dall'allora Ministro dell'Interno Giorgio Napolitano.