ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo V
Conclusioni

Silvia Sbordoni, 1998

1. Una interpretazione sociologica di quattro casi di Trattamento sanitario obbligatorio

Abbiamo visto come Lemert abbia indirizzato i suoi studi sulla malattia mentale privilegiando, come campo di ricerca, l'analisi dei comportamenti e delle valutazioni sociali e medico-psichiatriche che, suscitando o rappresentando una reazione sociale di tipo formale e/o informale, assumono un significato sociale ed un interesse sociologico. Egli infatti ha sempre ritenuto che una simile analisi sia, rispetto ad una indagine condotta sulle origini e le cause del comportamento deviante, di "maggior pertinenza della sociologia" (1).

In quest'ottica puramente sociologica diviene fondamentale, ai fini dello studio e della comprensione della malattia mentale, l'analisi del contesto familiare e sociale entro cui essa si manifesta. Precisamente risulta essenziale individuare l'influenza dei processi sociali sul decorso e la cura della malattia piuttosto che sulle sue cause.

I casi riportati nelle pagine seguenti descrivono tali processi ricostruendone, appunto, l'influenza sullo sviluppo della malattia mentale dell'individuo. Attraverso l'analisi delle cartelle cliniche, ma soprattutto ascoltando i racconti di psichiatri, infermieri e conoscenti, ho tentato di ricostruire il percorso familiare, lavorativo, affettivo, sociale e terapeutico di persone che, almeno una volta, avessero subìto un ricovero in Trattamento sanitario obbligatorio. I casi descritti non sono in alcun modo il frutto di una mia scelta, quanto piuttosto di una selezione precedentemente operata dagli psichiatri dei servizi di diagnosi e cura della ASL dell'area fiorentina. Non è stato affatto semplice portare a termine questa parte del mio lavoro a causa di una generale diffidenza manifestata dagli psichiatri (salvo rare e, per me, preziose eccezioni) verso chiunque tenti di comprendere il problema della sofferenza mentale da un punto di vista "esterno", o meglio non medico. Tuttavia, nonostante mi sia dovuta scontrare il più delle volte con un atteggiamento "difensivo", si è rivelato poi semplice trovare nel percorso dei soggetti sui quali ho potuto raccogliere notizie e documentazioni forti analogie con alcuni, fondamentali risultati dell'analisi di Lemert.

In particolare ho avuto modo di verificare come la distinzione operata da Lemert fra reazione sociale di tipo informale e reazione sociale formale abbia un effettivo riscontro nella realtà e, soprattutto, assuma un significato ben preciso nel decorso della malattia mentale.

Precisamente, fin quando il comportamento del soggetto non viene, secondo varie modalità, registrato pubblicamente ed ufficialmente come sintomo psichiatrico, ma al contrario definito e razionalizzato come eccentrico o bizzarro, sembra che la malattia non alteri il destino familiare e sociale dell'individuo. Viceversa laddove un simile riconoscimento ufficiale si verifichi (in corrispondenza di azioni, comportamenti, episodi ed accadimenti di vario genere che contribuiscono a diminuire la tolleranza fino a quel momento manifestata verso la persona), le conseguenze sul piano individuale, sociale e terapeutico sono pesanti. In primo luogo il disturbo richiede e riceve spesso un'attenzione medica della quale fino a quel momento può anche non esser stato oggetto, mi riferisco in specie al ricovero coatto. In secondo luogo muta negli altri la percezione dell'individuo, così come muta la percezione che l'individuo ha di se stesso; soltanto a partire da questo momento infatti il soggetto "entra" nel ruolo sociale di malato di mente.

Infine il ricovero coatto stesso contribuisce a rinforzare e consolidare lo status di malato di mente, giungendo a confermare, sia nel paziente che negli altri, il ruolo stesso di malato di mente. Ciò sia a causa delle modalità spesso drammatiche con le quali il ricovero viene effettuato, sia per come la vita si svolge all'interno dei servizi psichiatrici di diagnosi e cura: soltanto in funzione della malattia.

Le osservazioni sulla malattia mentale presenti negli studi di Lemert trovano quindi piena conferma nei risultati della mia ricerca che possono così sintetizzarsi.

  1. La tolleranza manifestata dalla famiglia e dalla comunità nei confronti del comportamento di un soggetto psichicamente disturbato incide, più o meno pesantemente, sul decorso, lo sviluppo della malattia ed anche sulla decisione di procedere ad un Trattamento sanitario obbligatorio. Tale tolleranza, varia effettivamente in funzione di vari indicatori di status e di ruolo, ed anche in funzione del tempo e dello spazio.
    In particolare ho avuto modo di verificare come le considerazioni negative (considerazioni di status e di ruolo, le definisce Lemert) espresse nei confronti del malato di mente da familiari (come nel caso di Marco), vicini di casa (come accade ad Angela) o datori di lavoro (pensiamo a Cristina) sovente determinino una rottura del già precario equilibrio mentale e sociale su cui si regge l'esistenza di queste persone.
    Per quel che riguarda inoltre la dimensione spaziale, ovvero il luogo di residenza della persona, ho verificato come effettivamente nelle grandi aree urbane, caratterizzate da una scarsa comunicazione e da un forte isolamento sociale, si registri una minor tolleranza verso il comportamento psicotico e gli inconvenienti che ad esso si ricollegano. Al contrario nelle zone rurali la tendenza delle piccole comunità ad affrontare i problemi senza ricorrere alle vie formali, il maggior familismo contribuiscono ad accrescere il livello di tolleranza (il caso di Marco in questo senso è emblematico). Il quoziente di tolleranza presente nei riguardi del malato infine è strettamente legato a "cicli della vita familiare" ed a "cambiamenti lineari e periodici" (2), in particolare eventi come matrimoni (Marco), nascita dei figli (Angela e Marco), raggiungimento della maggiore età.
  2. Lemert individua in una serie di episodi e circostanze la principale fonte delle difficoltà interpersonali tra l'individuo e la famiglia, gli amici, i colleghi, i vicini e, conseguentemente, la causa di un aumento di tensione nei rapporti con tali persone. Si tratta di eventi che effettivamente segnano il percorso di Lorenzo, Marco, Angela e Cristina: difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro (Lorenzo e Cristina); congedo anticipato dal servizio militare (Lorenzo); conflitti familiari e coniugali (Marco, Lorenzo, Angela); morte di familiari (Lorenzo, Angela); mancato raggiungimento di un titolo di studio o di un'abilitazione professionale (Cristina); problemi di salute (Angela). A simili episodi e circostanze, causa ed espressione del raggiungimento di un livello critico del quoziente di tolleranza, sembra spesso ricollegarsi l'inizio della patologia od un suo aggravamento.
  3. Nell'ultimo caso riportato (Cristina) viene sollevato dagli psichiatri lo stesso dubbio che Lemert pose nel suo studio relativo al processo di esclusione del malato di mente. Ovvero che le caratteristiche minacciose e persecutorie che talvolta il malato di mente percepisce come provenienti dal contesto circostante, non siano in realtà il prodotto di una costruzione immaginaria e simbolica del malato stesso ma trovino viceversa un preciso riscontro nella realtà.
  4. I soggetti "protagonisti" delle quattro storie non vengono mai (di fronte ad una mia domanda precisa in tal senso) definiti pericolosi, né dagli psichiatri, né dagli infermieri, né da conoscenti. Tuttavia spesso negli altri matura la convinzione che lo siano, ciò è vero, in particolare, nel caso di Marco.
  5. Un'"interazione spuria" fra il malato di mente e "gli altri", sembra contraddistinguere alcuni dei casi da me esaminati (Lorenzo, Cristina), ovvero un'interazione caratterizzata da una conversazione "artificiosamente condiscendente, evasiva... indirizzata su argomenti prestabiliti" (3) e che Lemert riscontrò nei rapporti che il soggetto paranoico intratteneva con gli altri.
  6. La distinzione, operata da Lemert, fra reazione (ed esclusione) informale e formale si rivela particolarmente significativa nel caso di Lorenzo (congedo anticipato dal servizio militare) e nel caso di Cristina (esclusione in ambito lavorativo, attraverso un trasferimento ed isolamento sul posto di lavoro).
  7. Le azioni di coloro che si trovano ad interagire con il malato di mente sono guidate o comunque fortemente condizionate dallo stereotipo tradizionale della pazzia presente nella nostra società ed in base al quale il malato di mente è, per definizione, un soggetto pericoloso: il cognato di Marco, per ammissione dello stesso psichiatra, è fortemente suggestionato da tale immagine sociale della follia, immagine nella quale alla fine Marco stesso finirà per riconoscersi.
  8. A differenti forme di psicosi corrispondono, come nota Lemert, diversi livelli di "vistosità sociale" (4). Il disturbo psichico che conduce il soggetto ad assumere un atteggiamento esuberante e maniacale è socialmente più vistoso del disturbo (o di un'altra fase dello stesso disturbo) che porta il malato ad avere un comportamento ritirato, astensionistico, e depresso. Ciò che si verifica puntualmente nel caso di Marco.
  9. Le procedure psichiatriche istituzionalizzate previste nella nostra società, in specie il ricovero coatto, sono tali da generare nel malato di mente un profondo senso di ingiustizia, frustrazione e vergogna: l'allontanamento dalla famiglia, l'imposizione di certe regole e della terapia giungono a convalidare nel paziente il ruolo e la definizione di malato di mente. A prescindere da tali sentimenti inoltre il trattamento sanitario, per ammissione degli stessi medici è inteso come uno strumento di contenimento e repressione volto a far fronte ad un'emergenza sociale (oltreché psicotica), e/o utilizzato come deterrente, minaccia, per costringere il paziente ad assumere la terapia farmacologica.

Queste, a mio parere, le principali considerazioni che emergono dai casi esaminati. La lettura delle "storie" di Lorenzo, Marco, Angela e Cristina ne suggerisce altre - di natura sia sociologica che giuridica che pratica - legate alla trama ed alla complessità delle relazioni interpersonali, familiari e sociali che caratterizano la vicenda di ciascuno di loro.

Infine un'avvertenza. Ho cambiato non solo i nomi dei protagonisti di queste vicende, ma anche altri riferimenti (i nomi di familiari, di località o di ambienti di lavoro) che avrebbero potuto rendere questi soggetti facilmente identificabili. Devo dire che non si è trattato da parte mia di un semplice adempimento deontologico, ma di un profondo senso di rispetto, direi quasi di pudore, che ho sentito di dovere a queste persone e a tutti coloro (compagni di lavoro, amici, familiari) compartecipi in qualche maniera della loro "condizione umana".

2. Lorenzo

Lorenzo nasce alla estrema periferia di Firenze trentuno anni fa. Primo di tre fratelli, (Claudio ed Alessio sono, rispettivamente, di due ed otto anni più piccoli), Lorenzo vive con il padre, morto quando lui aveva quattordici anni, un rapporto conflittuale caratterizzato da una parte dall'eccessiva autorità della figura paterna, dall'altra dall'indole ribelle del figlio. Quest'ultima caratteristica di Lorenzo non sarà mai accettata dal padre che non si capacita del perché proprio il primogenito sia, a differenza dei fratelli, così restio all'osservanza delle regole e soprattutto all'adesione ai suoi rigidi modelli di comportamento. L'esuberanza di Lorenzo provoca violenti litigi fra padre e figlio e punizioni crudeli inflitte dal padre; una volta Lorenzo viene lasciato fuori dalla porta di casa, completamente nudo, ad implorare piangente il perdono paterno. A simili punizioni non vanno incontro i due fratelli minori e ciò, naturalmente, suscita in Lorenzo un forte sentimento di ingiustizia e la sensazione di essere discriminato. In questo contesto familiare la madre appare costantemente come una figura remissiva, che rimane "dietro le quinte"; avendo sempre demandato totalmente al marito il compito dell'educazione dei figli.

La morte del padre, causata da un infarto, viene addebitata, più o meno apertamente, proprio a Lorenzo, "colpevole", con il suo comportamento ribelle e litigioso, di aver accresciuto le preoccupazioni e la rabbia del padre e di averne causato il prematuro decesso.

Da questo momento il comportamento di Lorenzo diventa sempre più sregolato, indisciplinato e divergente: abbandona gli studi, è litigioso con la madre, frequenta, "seguendone le orme", coetanei che compiono piccoli furti, bevono e fanno uso di sostanze (generalmente spinelli, talvolta droghe pesanti). Tuttavia, è importante sottolineare come, per ammissione dello stesso psichiatra che attualmente lo ha in cura, la condotta di Lorenzo in questa fase non sia in alcun modo dissimile da quella di molti suoi coetanei con analoghe difficoltà di coesione familiare e tratti di instabilità caratteriale.

Pochi anni dopo la madre di Lorenzo si risposa con un uomo che riesce gradualmente ad instaurare un profondo legame affettivo con Lorenzo, arrivando a comprendere fino in fondo la sofferenza, la fragilità ed il bisogno di affetto del ragazzo. La comparsa di questa nuova figura paterna sembra mettere finalmente ordine nella vita interiore ed esteriore di Lorenzo.

Questa fase della vita di Lorenzo si caratterizza in due differenti modi, apparentemente in contrasto ma in realtà strettamente collegati ed interagenti fra loro. Da una parte il comportamento di Lorenzo, - in concomitanza ad una serie di accadimenti che si verificano in ambito familiare e sociale e che segnano, per usare un'espressione di Lemert, il passaggio dall'"inizio psicologico" della malattia mentale all'"inizio sociale" della stessa -, si caratterizza sempre più in senso patologico, aumentandone contemporaneamente la "vistosità sociale" (5). Dall'altra, soprattutto grazie all'azione del patrigno, consapevole della gravità della situazione di Lorenzo e soprattutto delle reazioni sociali di segno negativo alle quali i suoi atteggiamenti possono facilmente andare incontro, si riesce ancora a "gestire" e contenere il disturbo del ragazzo e soprattutto la suddetta "vistosità sociale".

Fino ad un certo momento i comportamenti trasgressivi di Lorenzo, a posteriori chiari sintomi psichiatrici, vengono razionalizzati come eccentrici e bizzarri (6), senza esser definiti psicotici e senza andare incontro perciò a reazioni sociali formali ed informali. In altre parole essi vengono sminuiti in ambito familiare e tollerati in ambito sociale e, non essendo classificati come sintomi psichiatrici, non determinano alcun intervento medico. Tale atteggiamento fu rilevato anche da Lemert: "In realtà in un primo momento la tolleranza espressa dagli altri... tenderà ad essere ampia... [l'individuo] sarà considerato una persona 'strana', 'particolare', ma in definitiva normale" (7). Quali allora i fatti che, aumentando la tensione in ambito sociale e familiare, muteranno la percezione che gli altri hanno di Lorenzo e condurranno ad una serie, ancora oggi ininterrotta, di ricoveri coatti?

La prima volta che Lorenzo giunge al servizio psichiatrico (autunno del 1987), accompagnato dalla madre e dal patrigno, corrisponde al verificarsi di una serie di eventi che, suscitando una reazione sociale di tipo "formale" (8), hanno allarmato i familiari inducendoli appunto a chiedere un intervento medico.

In particolare il momento cruciale, anche a detta dello psichiatra curante, è sicuramente rappresentato dal congedo anticipato dal servizio militare. In questa occasione in realtà Lorenzo ha assunto un comportamento semplicemente "bizzarro"; né aggressivo, né pericoloso, né, soprattutto, psicotico. Sennonché i genitori sono chiamati a riprenderlo per riportarlo a casa e sottoporlo immediatamente alla visita di uno specialista il quale diagnostica una schizofrenia raccomandando una terapia farmacologica "d'urto", peraltro subito rifiutata da Lorenzo.

Questo evento segna una tappa fondamentale nel percorso familiare, sociale e terapeutico di Lorenzo. Con l'esclusione dall'esercito, seguita, esattamente come descritto da Lemert (9), da pressioni esercitate per costringere il ragazzo a cure psichiatriche, si arriva ad un riconoscimento ufficiale della malattia di Lorenzo. È da questo punto che i comportamenti "strani" di Lorenzo non vengono più definiti tali (ed anche sottovalutati non essendo interpretati fino ad allora per quello che erano, ovvero urgenti richieste di aiuto da parte del ragazzo) ma psicotici. L'interazione, sia a livello sociale che familiare, inizia a mutare, una nuova percezione di Lorenzo matura negli altri. La famiglia si trasferisce a San Casciano, per sottrarre Lorenzo ad "ambienti pericolosi". Il ragazzo, fino a quel momento autista in una ditta di trasporti, perde il lavoro. Questo fatto incide pesantemente sull'esistenza di Lorenzo in quanto contribuisce a diminuire progressivamente la sua autonomia, soprattutto economica.

Tuttavia la situazione appare ancora gestibile, nel senso che ancora non è ritenuta grave a tal punto da impedire, così come si esprimeranno in seguito gli psichiatri, l'instaurarsi di una qualsiasi relazione terapeutica.

Questo precario equilibrio, come accennato, viene mantenuto prevalentemente grazie alla volontà e capacità del patrigno di Lorenzo di "proteggere" il ragazzo gestendone direttamente i rapporti con i medici, i vari datori di lavoro e tutti coloro che con lui hanno relazioni. L'uomo cerca di "tamponare" il comportamento esuberante del ragazzo, di proteggerlo dalle conseguenze dei suoi atti, aiutandolo e sostenendolo in vari modi: trovandogli il lavoro, riparando ai suoi errori, tirandolo fuori dai guai (guai in cui Lorenzo incorre attraverso i suoi atteggiamenti strani, anche se mai aggressivi o violenti), cercando, per quanto possibile, soluzioni di vita adeguate ai problemi di Lorenzo. In sostanza il patrigno di Lorenzo esercita ciò che Lemert nel suo saggio "Problemi sociali e sociologia della devianza" (1972) definisce degli "accomodamenti" (10).

Ciò nonostante fra il 1987 ed il 1993 Lorenzo subisce tre ricoveri in Trattamento sanitario obbligatorio (11), concentratisi, precisamente fra il 1989 ed il 1991, a causa dell'irrompere di suoi comportamenti patologici che distruggono l'equilibrio precario sul quale si regge l'esistenza familiare e sociale di Lorenzo. Tali comportamenti vengono assunti in concomitanza al verificarsi di accadimenti traumatici in ambito familiare e sociale, in particolare l'emergere di una patologia psichiatrica anche nel figlio minore (divenuto nel frattempo tossicodipendente) e l'abbandono del tetto familiare da parte dell'altro fratello.

Ma è la morte del patrigno, avvenuta nel 1993, a sconvolgere definitivamente la vita di Lorenzo, già segnata da anni di sofferenze e rifiuti. Ciò non solo per l'affetto che lega il ragazzo al "vero padre", così come lui ancora oggi lo ricorda e rimpiange, ma anche e soprattutto per il fatto che con la sua morte viene meno la principale figura di contenimento delle spinte pulsionali di Lorenzo, un "filtro" fra i comportamenti di Lorenzo e le reazioni di esclusione ed isolamento degli "altri", ormai tutti a conoscenza della malattia del ragazzo.

Dopo di allora infatti, conferma lo psichiatra curante, "la follia non ha trovato più 'freni' né possibilità di remissione, anche parziale, e il comportamento di Lorenzo si è sempre più caratterizzato in senso patologico dispiegandosi come sulle pagine di un trattato di psichiatria". I ricoveri in Trattamento sanitario obbligatorio da questo momento, ed a tutt'oggi, si susseguiranno continuamente ed ad intervalli sempre più brevi. Soltanto nel 1993 si contano tre Trattamenti sanitari obbligatori, di cui l'ultimo protrattosi per più di due mesi. Anche negli anni successivi i numerosi Trattamenti sanitari obbligatori, attraverso varie proroghe, superano sempre ed abbondantemente il mese di tempo. L'ultimo (un mese e mezzo) risale al gennaio-febbraio di questo anno.

Il Trattamento sanitario obbligatorio viene definito dagli stessi psichiatri totalmente inefficace da un punto di vista terapeutico, configurandosi nient'altro che come uno strumento attraverso il quale fronteggiare le "emergenze sociali e familiari" che il comportamento di Lorenzo di volta in volta crea, o, addirittura come un deterrente volto a indurre Lorenzo a seguire la quotidiana e massiccia terapia farmacologica prescrittagli e somministratagli dal servizio psichiatrico territoriale.

Il tempo passato in reparto ha impedito fino ad ora l'instaurarsi di un rapporto terapeutico soddisfacente ai fini di un recupero anche parziale. Ciò perché, come ammettono gli stessi psichiatri, le circostanze, le modalità ed i luoghi in cui si effettua un Trattamento sanitario obbligatorio, rendono remota la possibilità di stabilire con il paziente una relazione terapeutica, non riuscendo a costruire e trovare nel corso di un ricovero coatto "uno spazio comune nel quale poter dialogare e condividere degli obiettivi... e in cui cogliere ed incoraggiare comportamenti e bisogni sani". Negli "intervalli di libertà" Lorenzo si sottopone, tre volte al giorno, ad una terapia farmacologica, che peraltro si limita ad avere su di lui un effetto sedativo (oltre a pesanti effetti collaterali, quali sonnolenza, apatia ed epilessia) ed alla quale Lorenzo si sente motivato esclusivamente per timore di essere nuovamente ricoverato. Egli non ha infatti - questo almeno fino a pochi mesi fa - alcuna coscienza di malattia; i ricoveri perciò suscitano in lui un forte sentimento di ingiustizia e la sensazione di essere perseguitato. Soltanto di recente, dopo numerosi tentativi falliti di stabilire una relazione terapeutica non solo farmacologica o ospedaliera ma anche psicoterapeutica, gli psichiatri, anche se non regolarmente, riescono a dialogare con Lorenzo.

In questa fase il Trattamento sanitario obbligatorio viene disposto quando e se Lorenzo si rifiuta di assumere i farmaci che svolgono una "funzione contenitiva delle sue intemperanze comportamentali (in casa e fuori)" e gli consentono "di mantenere un livello minimo di adeguatezza in ambito familiare e sociale" (12), ambito nel quale oramai, dopo i numerosi ricoveri, l'idea della malattia di Lorenzo e soprattutto della sua incurabilità è relativamente, ed entro certi limiti, accettata.

Tuttavia in alcune situazioni non è possibile ricorrere allo strumento del Trattamento sanitario obbligatorio. Nel 1995, ad esempio, il fratello minore di Lorenzo, in seguito ad una grave crisi psicotica, viene ricoverato al servizio psichiatrico di diagnosi e cura di zona; questo fatto sconsiglia, per ragioni terapeutiche, l'adozione del ricovero anche nei confronti di Lorenzo. Sennonché, scomparendo la "minaccia" del ricovero, Lorenzo smette di andare in ambulatorio ed interrompe l'assunzione dei farmaci. In questa situazione di vuoto terapeutico, di totale assenza di strumenti di intervento alternativi al Trattamento sanitario obbligatorio, si ripresentano vecchie modalità di controllo e gestione del disturbo, quali ad esempio la somministrazione dei farmaci di nascosto da parte della madre.

Attualmente Lorenzo è disoccupato (in verità ormai da anni), la diagnosi presente in cartella è perentoria: schizofrenia. Egli da tempo non ha né amici né una ragazza; nella zona in cui vive tutti sanno della sua malattia e, pur non assumendo nei suoi confronti atteggiamenti direttamente volti ad emarginarlo, interagiscono con lui in maniera, come direbbe Lemert "spuria" (13), ovvero artificiosa, accondiscendente, evasiva, pietistica. Tuttavia non è possibile affermare che "gli altri" abbiano paura o timore di Lorenzo e che quindi lo evitino, ciò perché, come garantiscono gli stessi psichiatri ed infermieri, "Lorenzo non farebbe male ad una mosca".

3. Marco

Marco giunge per la prima volta al servizio psichiatrico nel dicembre del 1992, inviato dallo psichiatra curante che chiede per lui una visita urgente. Il ragazzo che in quel momento ha venti anni, è accompagnato dalla madre. Dopo un colloquio con la madre e Marco e, separatamente, con Marco, viene disposto un ricovero volontario.

In occasione di questo primo incontro vengono raccolte alcune notizie sulla situazione familiare. La famiglia, composta da padre, madre, ed una sorella minore di due anni (Lucia), è originaria della Basilicata ma è vissuta per alcuni anni in Svizzera dove il padre svolgeva il lavoro di manovale e dove Marco nasce nel 1974. Nel 1980 la famiglia rientra in Italia stabilendosi in un piccolo paese della campagna fiorentina di poche migliaia di abitanti, dove già risiedono alcuni parenti. Il livello sociale, culturale ed economico della famiglia può definirsi in ultima analisi medio-basso; il padre, secondo quanto riferito dalla madre, ha problemi di alcool.

La madre descrive Marco come un ragazzo da sempre "problematico", dal carattere irrequieto, talora scontroso e di indole indipendente e suggestionabile. Dopo le scuole dell'obbligo ed un anno di professionali, Marco abbandona la scuola e trova lavoro come operaio metalmeccanico in una fabbrica dei dintorni. Nel periodo immediatamente precedente il primo ricovero Marco conduce, sempre a detta della madre, una vita abbastanza sregolata: poco presente in casa, dove appare "perplesso, attonito, trasognato" (14), spesso è fuori con gli amici in discoteca e fa uso di cannabinoidi. Una quindicina di giorni prima della grave crisi di Marco, la sorella, giovanissima, si sposa.

Lo psichiatra che al servizio psichiatrico di diagnosi e cura incontra Marco riporta in cartella i discorsi sconnessi ed incomprensibili del ragazzo, descrivendolo "assorto, come preso da un mondo interiore, oscillante nel contatto e nell'interazione con la realtà, con turbe nelle percezioni [visioni ed allucinazioni]". Tuttavia, viene precisato, Marco attraversa ancora una fase pre-delirante, in cui cioè il delirio vero e proprio non è strutturato. Il disturbo diagnosticato è un "disturbo bipolare" (fino a poco tempo fa denominato "psicosi maniaco depressiva"), ovvero un disturbo affettivo caratterizzato da modificazioni del tono dell'umore in senso maniacale e/o depressivo, con intervalli liberi dalla malattia, più o meno lunghi. Nel caso di Marco gli intervalli di lucidità sono sempre stati molto lunghi (a volte anche anni). Frasi, particolarmente significative, come "tentativi non ancora articolati di strutturazione del delirio", "mancata strutturazione del delirio", ricorrono frequentemente nella cartella di Marco, quasi a confermare la non gravità delle condizioni di salute del ragazzo. Sennonché risulta evidente, sempre dalla lettura della cartella ed anche nei colloqui con i medici e gli infermieri, che i ricoveri di Marco avvengono quasi sempre in concomitanza con il verificarsi di episodi maniacali, ovvero a causa della vistosità sociale del comportamento "esuberante e disgregante" (15) che Marco assume nel corso delle fasi maniacali.

In particolare l'episodio scatenante la prima crisi del ragazzo, è rappresentato dal matrimonio della sorella, alla quale Marco fin da bambino è sempre stato legatissimo. Tale evento, vissuto da Marco in maniera traumatica (pochi giorni dopo la cerimonia Marco è coinvolto in due gravi incidenti stradali per fortuna senza feriti), sancisce agli occhi del ragazzo il distacco definitivo dalla sorella. In effetti la separazione si è rivelata poi tanto reale quanto drastica; non solo perché Lucia si trasferisce con il cognato (Luigi) in un luogo distante, ma anche e soprattutto perché da questo momento, ed in particolare dal ricovero di Marco, la sorella ed il cognato non si faranno più vedere e non daranno più loro notizie alla famiglia.

Il matrimonio sembra rientrare perfettamente in uno di quei cambiamenti che, osserva Lemert, si registrano nel corso della vita e che contribuiscono, in determinate circostanze, ad una diminuzione della tolleranza manifestata dal gruppo (in questo caso la "nuova" famiglia della sorella) nei riguardi del soggetto psicotico. In particolare, nel caso di Marco, le circostanze che sembrano alimentare fino a livelli insopportabili la tensione fra Marco da una parte e la sorella ed il marito dall'altra, sono rappresentate essenzialmente dall'atteggiamento che Luigi, poco prima ma soprattutto in concomitanza al suo matrimonio, assumerà nei riguardi del ragazzo.

Fra Marco ed il fidanzato della sorella i primi tempi si era instaurato un buon rapporto di amicizia. Fino ad allora in verità Luigi aveva mostrato un indole rissosa ed aggressiva (aveva anche dei precedenti per aggressione). Sennonché al momento in cui Luigi e Lucia decidono di sposarsi, si verifica nel "futuro sposo" un repentino quanto sorprendente cambiamento; egli diventa un classico "bravo ragazzo", coscienzioso, serio, rigido e severo. Tale cambiamento determina un primo allontanamento fra i due ragazzi, che diventa definitivo, appunto, con il matrimonio.

Il 18 gennaio del 1993 (dopo quasi un mese di ricovero, durante il quale Lucia e Luigi non vanno mai a trovare Marco nonostante le continue richieste in tal senso del ragazzo) Marco rientra a casa e dopo una diecina di giorni anche al lavoro. Da questo momento, e fino ad oggi, Marco non rivede quasi più la sorella, Luigi e le nipotine che poco dopo nasceranno. Subito dopo il ricovero infatti Luigi definisce ed etichetta Marco come un "pazzo" pericoloso e violento. Egli tende ad emarginarlo ed escluderlo, non esitando ad esprimere, come riferito da psichiatri ed infermieri, quegli stessi "atteggiamenti, valutazioni e giudizi strategicamente indirizzati... attraverso l'impiego di tecniche di manipolazione e travisamento" all'isolamento del ragazzo rilevati da Lemert nel suo studio sulla paranoia (16). Per giustificare questa sua presa di posizione Luigi si appellerà appunto alla manifesta pericolosità di Marco, nonostante quest'ultimo non fosse mai stato pericoloso e non avesse mai dato segno di esserlo (17).

L'atteggiamento ostile di Luigi e di Lucia si inasprisce al momento della nascita della prima nipote, un altro cambiamento nella vita della coppia che contribuisce a diminuire ulteriormente la tolleranza nei riguardi di Marco. Il rapporto fra Marco, Lucia e Luigi sembra ormai irrecuperabile, a tal punto che marito e moglie decideranno di non comunicare né a Marco, né alla madre, né al padre, la seconda gravidanza e la nascita della seconda nipote.

Questi conflitti sembrano non lasciare a Marco alternative, e, generando una tensione ed un'angoscia sempre crescente, finiranno per apparire ai suoi occhi insopportabili (18). Ogni volta, tali eventi, contribuiranno al sorgere delle "crisi" di Marco ed al rafforzamento dei suoi deliri. Inoltre lo stereotipo tradizionale della follia che dirige l'azione del cognato, finirà per suggestionare Marco, determinando in lui non solo la consapevolezza della malattia ma anche l'idea della sua inguaribilità e la percezione delle pesanti conseguenze che sul piano relazionale ed affettivo essa è in grado di provocare (19).

Non a caso i successivi ricoveri in Trattamento sanitario obbligatorio, si renderanno necessari in corrispondenza a rifiuti e conflitti familiari e sentimentali che determineranno in Marco un profondo senso di inadeguatezza affettiva, la sensazione di non essere amato ma al contrario rifiutato.

Marco subirà un Trattamento sanitario obbligatorio nel maggio del '97 dopo esser stato lasciato dalla ragazza con la quale stava da circa due anni. Questa rottura, giustificata dalla ragazza alla luce della "pazzia" di Marco (in realtà, per ammissione successiva della stessa ragazza, strumentalizzata ed usata come scusa per porre fine alla relazione con un ragazzo che non amava più), conferma ed accentua tutte le paure di Marco. In particolare il timore diffuso di "non essere all'altezza" (20) e soprattutto dell'incapacità di costruirsi una propria famiglia, a giudizio di Marco lo scopo principale della sua esistenza, ma in realtà un pensiero vissuto soprattutto come una preoccupazione e come un confronto con il cognato e la sorella.

Nel periodo natalizio dello stesso anno Marco viene nuovamente ricoverato in forma coatta a causa di un "delirio di tipo maniacale con allucinazioni" (21). Pochi giorni prima aveva manifestato nel corso dei colloqui con lo psichiatra il desiderio di trascorrere le vacanze con Lucia, le nipotine (la seconda, che non aveva mai visto era nata da pochi mesi), il padre e la madre. Parlava in continuazione della sorella e esprimeva il suo dispiacere per aver perso ogni contatto con lei.

Il Trattamento sanitario obbligatorio successivo, a differenza del precedente (protrattosi per quasi un mese), è relativamente breve: circa diciassette giorni, dal 14 febbraio al 3 marzo '98.

Passano pochi giorni e Marco inizia a vivere con particolare ansietà l'approssimarsi della Pasqua. Tale festa (che come altre festività tradizionali evoca stereotipi di armoniosa convivenza familiare) genera in lui forti tensioni che finiscono con il provocare un grave scontro familiare. Si rende necessario un nuovo ricovero coatto della durata di un mese durante il quale, fra l'altro, avviene il passaggio di consegne fra la precedente e la nuova psichiatra. Dopo questo ultimo ricovero la terapia farmacologica, a fasi alterne rifiutata da Marco, viene intensificata ed il rientro a lavoro ritardato e poi gradualizzato.

Gli psichiatri hanno osservato come in prossimità di ogni ricovero l'umore di Marco segua un percorso quasi obbligato all'interno del quale è possibile distinguere tre fasi ben distinte. Nella prima fase il comportamento di Marco è caratterizzato da disforia, irritazione ed eccitamento sempre crescente fino a raggiungere manifestazione maniacali che rendono necessario il ricovero. Tali comportamenti risultano assai più eclatanti, vistosi e disgreganti rispetto a quelli assunti dal ragazzo sia durante il ricovero che immediatamente dopo, e che consistono in un progressivo abbassamento del tono dell'umore fino ad arrivare a chiari aspetti depressivi. Quest'ultima fase, pur essendo altrettanto grave rispetto alla fase maniacale, generalmente non provoca l'internamento proprio perché determina nel soggetto un atteggiamento remissivo, apatico, assente e "di ritiro" che passa quasi inosservato al di là della cerchia familiare più ristretta.

Assai significativo è il fatto che, fino ad ora, i ricoveri di Marco sono sempre legati a dolori e/o conflitti in ambito affettivo-familiare. Soltanto nell'aprile del '95 l'ennesimo Trattamento sanitario obbligatorio si rende necessario a seguito di un forte scontro (con colluttazione fisica) che Marco ha sul lavoro, sebbene il ricovero avvenga ancora una volta in concomitanza dell'approssimarsi della Pasqua.

Da aprile a giugno il ragazzo attraversa un periodo drammatico caratterizzato dal susseguirsi dei ricoveri, da rapporti difficili con gli psichiatri ed i familiari, e dall'alternarsi in lui di episodi maniacali e depressivi, nel corso dei quali "gli altri" appaiono a Marco strani ed estranei ed egli si sente perseguitato. In particolare nel corso di tali fasi, Marco è attraversato e pervaso da una sensazione di perplessità e di incertezza sulla propria identità che determina in lui "idee di riferimento"(secondo la definizione della cartella clinica) quali ad esempio pensare che gli altri "parlino male di lui e tendano ad escluderlo dalla comunicazione utilizzando nelle loro conversazioni gesti e segni incomprensibili" (22). Queste idee di riferimento peraltro, riconoscono gli psichiatri, non determinano quasi mai una strutturazione del delirio e dunque non sono da considerarsi manifestazioni psicotiche vere e proprie.

Marco, d'altra parte, insistono i medici, gli infermieri, i familiari e coloro che gli sono più vicini, attraversa lunghi periodo di lucidità nel corso dei quali esprime i suoi numerosi lati positivi: in particolare le sue capacità di relazione, di comprensione degli altri, la sua generosità e disponibilità, la sua dolcezza. Questi aspetti del suo carattere, ma soprattutto il fatto di vivere in un piccolo paese di campagna, determinano un alto livello di comprensione e di tolleranza manifestato nell'ambito della comunità verso la sua "stranezza". Come verificò Lemert infatti "il maggior familismo della gente di campagna, la tendenza delle piccole comunità ad affrontare i problemi senza ricorrere alle vie formali", facilitano la comprensione e la solidarietà reciproca (23).

Non a caso Marco, a differenza di Lorenzo, dal '92 ad oggi non ha mai perso il lavoro, nonostante tutti siano a conoscenza della sua malattia. Il datore di lavoro di Marco in questi anni ha sempre cercato di venire incontro alle esigenze del ragazzo accogliendo le sue richieste di riposo, riduzione di orario ecc., senza dare troppo peso alle stranezze del ragazzo che, d'altra parte, non hanno mai ed in alcun modo inciso sulle sue "grandi capacità lavorative" e sulla sua natura di "gran lavoratore" (24). Inoltre Marco, a differenza ancora una volta di Lorenzo (che vive, ricordiamolo, alla periferia di una grande città), è riuscito a conservare una cerchia di amici che tutto sommato riescono ad apprezzarlo e a volergli bene, secondo quanto riferito sia dai medici che da coloro che, vivendo in paese, lo conoscono da molti anni.

Tuttavia, come già sottolineato, le reazioni di segno negativo nei confronti del ragazzo, volte ad escluderlo ed etichettarlo non sono mancate. Il cognato e la sorella infatti, soprattutto dopo il primo ricovero hanno sempre percepito (secondo i medici, gli infermieri e i conoscenti in maniera del tutto infondata) Lorenzo come una minaccia al loro status e per questo riferiscono continuamente di una sua certa - quanto indimostrata -, pericolosità, riportando ai medici episodi nei quali l'immagine di Lorenzo è fortemente distorta e la sua aggressività totalmente presupposta (25).

La conseguenza di ciò, per ammissione degli stessi medici, è che Marco si sente abbandonato, escluso e perseguitato da Luigi e che l'atteggiamento realmente cospirativo del cognato finisce per rafforzare e consolidare le "idee di riferimento" del ragazzo, in concreto il suo sentimento di inadeguatezza e di ingiustizia.

4. Angela

Angela, di origine meridionale, è una donna di quarantatre anni e vive alla periferia di Firenze col marito e le sue due figlie.

Quando giunge al servizio psichiatrico ambulatoriale (1983) è già sposata da sei anni e madre di una bambina di tre anni. Il primo contatto con il servizio avviene "per l'accentuarsi di spunti di riferimento e di bizzarrie comportamentali", si legge nella cartella, "sintomi già iniziati subdolamente da circa un anno, su uno sfondo di deflessione del tono dell'umore". La diagnosi è "schizofrenia paranoide".

Per circa un mese Angela continua a frequentare assiduamente l'ambulatorio, seppure con scarsa remissione della sintomatologia e convinzione verso la terapia, soprattutto farmacologica. Improvvisamente scompare per circa un anno e riappare al servizio con "una patologia delirante decisamente più florida" (26). I contenuti del suo delirio sono quasi sempre incentrati sulla sua vita sentimentale e coniugale: il marito (Francesco) affetto da mali incurabili o in pericolo di vita; un ex fidanzato che la ricerca con mezzi telepatici. La sua vita sembra infatti essersi fermata al momento in cui, una diecina di anni fa, il fidanzato al quale era molto legata la lasciò.

A seguito di simili percezioni deliranti Angela attua comportamenti incongrui, in particolare fughe da casa nel tentativo di allontanarsi dal marito e raggiungere l'ex fidanzato.

Dopo questa ripresa del rapporto con il servizio ambulatoriale gli incontri non si interrompono più per un lungo periodo, ma al contrario vengono intensificati raggiungendo una frequenza anche bisettimanale, per quel che riguarda i colloqui, e giornaliera per la somministrazione dei farmaci. Questi ultimi vengono accettati con difficoltà dalla paziente a causa degli spiacevoli effetti collaterali che le provocano, "veri o presunti" come è scritto ambiguamente sulla cartella.

Da allora inoltre il servizio ha instaurato anche un contatto con la madre (una presenza particolarmente attiva nel percorso terapeutico di Angela) ed il marito, il quale in realtà ha sempre dimostrato una scarsa consapevolezza della malattia della moglie, alternando nei suoi confronti atteggiamenti protettivi e rifiuti (con conseguenti separazioni). Francesco infatti ha sempre attribuito lo "strano" comportamento di Angela alla sua cattiveria o, addirittura, al fatto che la moglie "è posseduta dal diavolo".

Il rapporto fra Angela ed il marito, come è facile capire, non contribuisce in alcun modo al miglioramento della malattia, rappresentando piuttosto una fonte di continue tensioni per Angela che percepisce come questo matrimonio sia stato combinato fra i genitori e Francesco per ragioni economiche. I genitori di Angela infatti, possedendo alcuni beni immobili, possono definirsi benestanti e, riferiscono gli psichiatri, a suo tempo convinsero Francesco a sposare Angela promettendogli un appartamento.

Già in questa prima fase della malattia di tanto in tanto si rendono necessari brevi periodi di ricovero (dai sette ai quindici giorni), in particolare quando la paziente manifesta "bizzarrie comportamentali più eclatanti" (27), come quando in piena notte Angela va a cercare l'ex fidanzato a casa dei genitori che, turbati ed infastiditi chiamano immediatamente la forza pubblica.

Tuttavia simili manifestazioni del disturbo raramente sfociano in atteggiamenti pericolosi o violenti (od almeno in azioni intenzionalmente rivolte a far del male ad altri), quanto piuttosto in pensieri e condotte eccentriche e "strane", peraltro presenti (magari in forma meno esplicita, ed esasperata) anche nelle così dette "persone normali". Come si legge nella cartella infatti l'ideazione di Angela è dominata attualmente da fenomeni di lettura del pensiero altrui e di diffusione del suo pensiero nelle menti altrui, inoltre "le persone [secondo Angela] le 'fanno versi' specie con la bocca". Con tutto ciò, e nonostante che i periodi di remissione dei sintomi (per ammissione dei medici stessi) siano di breve durata, rari e caratterizzati da chiari aspetti depressivi, Angela è sempre apparsa gioviale e sorridente. In generale Angela si è sempre mantenuta abbastanza adeguata sul piano concreto della vita quotidiana e nella gestione domestica, soprattutto rispetto alla figlia con la quale è molto affettuosa e premurosa, "ai limiti della possessività", affermano gli psichiatri.

Sennonché nel 1993 una serie di accadimenti rendono la situazione di Angela sempre più complicata.

In primo luogo le viene accertato un'adenoma ipofisario secernente prolattina che rende problematica la somministrazione di farmaci neurolettici fino a quel momento assunti da Angela. D'altra parte tale adenoma rende necessaria la somministrazione di farmaci ipoprolattinemizzanti che aggravano le condizioni psichiche di Angela. In sostanza dunque tali problemi di salute implicano l'eliminazione dell'azione sedativa e lenitiva esercitata fino a quel momento dai farmaci.

Più o meno nello stesso periodo Angela decide di separarsi da Francesco, pur continuando quest'ultimo a fare per un certo periodo il "separato in casa". Questa situazione ambigua si protrae fino a quando Angela non decide di andare, lei, a vivere dai genitori, come già del resto aveva fatto in precedenza ed in corrispondenza di riacutizzazioni gravi del suo disturbo. Questi "ritorni" dal padre e dalla madre sono indicativi di come la famiglia di origine, e non il marito, rappresenti un rifugio rispetto ai problemi che la malattia crea ad Angela, problemi alimentati, soprattutto in questa fase, da circostanze e da drammatici avvenimenti "esterni". In particolare nello stesso periodo un evento segna negativamente l'esistenza di Angela: la morte del fratello maggiore.

A questa serie di episodi traumatici segue inoltre l'interruzione del rapporto con il servizio psichiatrico e la fine dell'assunzione dei farmaci da parte di Angela. Da questo momento il servizio riesce ad avere soltanto notizie indirette di Angela attraverso un contatto mantenuto periodicamente con la madre. Tramite la madre infatti il servizio giunge a conoscenza dell'improvvisa riconciliazione fra Angela ed il marito avvenuta alla fine del 1993 (senza che peraltro la donna avesse mostrato il benché minimo segno di miglioramento da un punto di vista sintomatologico), e, circa un anno dopo, della nuova gravidanza della figlia, ostinatamente negata da Angela fino al settimo mese. In verità Angela più che negare la gravidanza contesta che Francesco sia il padre, attribuendo viceversa la paternità all'ex fidanzato.

La riconciliazione con Francesco, apparentemente incomprensibile, si spiega in realtà con il fatto che i genitori di Angela, che hanno sempre mal tollerato le intemperanze della figlia, non vogliono più che lei viva con loro e spingono così Angela, ma soprattutto Francesco, a ritornare insieme.

Il parto della seconda figlia rappresenta nel percorso di Angela un momento cruciale. La bambina viene data alla luce, senza problemi, presso lo stesso ospedale in cui ha sede il servizio psichiatrico di diagnosi e cura dove in precedenza Angela era stata più volte ricoverata. Il giorno seguente al parto si verifica un episodio drammatico che si conclude con un nuovo ricovero al servizio psichiatrico di diagnosi e cura situato al piano superiore: Angela semina il panico nella nursery urlando e respingendo chiunque le si avvicina dopo che, non volendone sapere di staccarsi dalla neonata, è stata forzatamente allontanata dalla figlia. Tuttavia quando Angela, dopo questo ricovero, torna a casa sembra tranquillizzarsi; la nascita della seconda figlia la rende infatti particolarmente serena e felice ed il rapporto con la bambina, dicono gli psichiatri, appare adeguato e tenero.

Angela (che ha abbandonato gli studi dopo aver conseguito la licenza elementare) ha lavorato soltanto per un breve periodo quando ancora era molto giovane, attualmente non è assolutamente in grado di lavorare: le è stata riconosciuta per motivi psichici un'invalidità totale.

Nella zona in cui vive tutti oramai si sono accorti della sua malattia e si mostrano scarsamente tolleranti nei suoi confronti, tanto che le relazioni sociali di Angela risultano ormai azzerate. La donna, a seguito della rottura di tutte le comunicazioni e di tutti gli scambi interpersonali, è in aperto conflitto con la comunità ed il vicinato dal quale si sente esclusa e perseguitata e verso il quale, talvolta, assume un atteggiamento ostile ed arrogante (28). I comportamenti deliranti di Angela generano forti tensioni nella zona in cui vive, tuttavia tali tensioni appaiono contenibili fin tanto che Angela non coinvolge nelle sue azioni divergenti le figlie. I trattamenti sanitari obbligatori vengono infatti disposti ad intervalli di tempo piuttosto lunghi ed in corrispondenza al verificarsi (ed a causa) di simili azioni, puntualmente segnalate in forma anonima dai vicini. In altre parole la situazione è giudicata sostenibile e contenibile fino a quando il comportamento di Angela con le sue due figlie continuerà ad essere ritenuto "adeguato e congruo" (29).

5. Cristina

Cristina, non più giovanissima (quarantadue anni), secondo chi la conosce, con quella sua faccia bianca e rossa ed il fisico robusto, ha un'aria da sana ragazza di campagna. Primogenita di tre sorelle, vive in un piccolo appartamento di periferia vicino alla casa dei genitori, non essendosi mai sposata. In proposito vi è da dire che la vita sentimentale di Cristina rimane in parte avvolta nel mistero, fermandosi i suoi racconti ad un fidanzamento rotto quasi venti anni fa e con accenni ed allusioni a storie più recenti già finite al momento in cui ella ne parla. Dai genitori consuma abitualmente i pasti ed a loro fa costantemente riferimento per ogni evenienza.

Cristina a differenza di Marco, Lorenzo ed Angela, presenta un alto livello di istruzione, avendo frequentato, terminando gli esami, l'università pur senza giungere alla laurea. Il mancato conseguimento della laurea è un fatto che pesa a Cristina, in quanto le impedisce di esercitare lavori secondo lei adeguati al suo livello di istruzione. Attualmente Cristina lavora presso la Procura della Repubblica come impiegata, mentre in precedenza ha lavorato alle poste come portalettere, sentendosi comunque in entrambi i casi molto declassata. Importanti motivazioni e gratificazioni sembra viceversa trovare nella sua assidua partecipazione all'attività di gruppi di volontariato.

Cristina giunge al servizio psichiatrico ambulatoriale quasi per caso a metà degli anni ottanta. Ella si sottopone ad un accertamento per presunti problemi neurologici. Ben presto il neurologo che la visita si rende conto della natura psichiatrica dei sintomi manifestatisi in Cristina. Il caso "passa" così ad un collega psichiatra che nota in Cristina "dispercezioni al limite del delirio corporeo accompagnate da un'ideazione delirante strutturata in senso paranoicale nei confronti dell'ex fidanzato e dei colleghi di lavoro[in quel periodo le poste]", e le diagnostica un "disturbo delirante" (30).

Fin dall'inizio si rivela particolarmente ardua l'instaurazione di un rapporto terapeutico con Cristina, a causa della sua assoluta indisponibilità ad assumere farmaci che le provocano, a suo dire forti effetti collaterali, ma che lo psichiatra definisce "fantasiosi ed inauditi" ed "inseriti anch'essi in un contesto paranoicale" (31). D'altra parte non hanno avuto esito migliore gli innumerevoli tentativi di psicoterapia questa volta da lei stessa richiesti ma dopo poco scartati perché percepiti come inefficaci ed inutili. In effetti i pochi colloqui che Cristina ha producono scarsi risultati. Così almeno sostiene lo psichiatra che riferisce di incontri molto lunghi a causa della irrefrenabile quanto varia logorrea di Cristina e, nel corso dei quali, egli non è in grado di intervenire organicamente e riesce ad aprire bocca solo per proferire qualche parola.

Sennonché la situazione, pur reggendosi su un equilibrio precarissimo, si mantiene "sotto controllo" per circa cinque anni, quando nel 1992 a causa di un aumento della conflittualità stabilitasi sul luogo di lavoro, sembra precipitare. In particolare il datore di lavoro non è più disposto a sopportare le "stranezze" e le mancanze di Cristina e richiede innumerevoli visite e certificazioni medico-legali, fin quando non ottiene il trasferimento della donna. Nel caso di Cristina dunque, a differenza che in quello di Marco, l'ambiente di lavoro si dimostra poco disponibile a tollerare il comportamento divergente della ragazza. Il servizio psichiatrico cerca, dal canto suo, di sopperire alle lunghe "latitanze" di Cristina fornendo ogni volta regolari certificati.

Le cose non migliorano quando Cristina cambia lavoro. Al contrario alla Procura della Repubblica la situazione si aggrava e nel luglio del '92 Cristina subisce un Trattamento sanitario obbligatorio effettuato con modalità ed in circostanze drammatiche ed estreme. La ragazza giunge infatti al servizio psichiatrico di diagnosi e cura "legata ed impacchettata a dovere", come si esprime la psichiatra che fino a poco tempo fa (ed a partire proprio dal suddetto ricovero) la seguiva. Il Trattamento sanitario obbligatorio le viene effettuato direttamente sul luogo di lavoro davanti agli sguardi atterriti e diffidenti dei colleghi che assistono ai suoi clamorosi comportamenti anche se assolutamente innocui: Cristina stava infatti procedendo ad una massiccia quanto scientifica disinfestazione (attraverso l'impiego di detersivi e disinfettanti vari) di oggetti, persone, mobili e carte che lei riteneva in qualche modo contaminati da "corpi di reato" (32). In pratica Cristina, come confermano i medici, sul luogo di lavoro non si è mai sentita a proprio agio, quanto al contrario non apprezzata, incompresa, sopportata, evitata ed, inevitabilmente, emarginata.

Durante il primo Trattamento sanitario obbligatorio, che si protrae per circa venti giorni, Cristina in un primo tempo si mostra indignata, polemica e recriminante nei confronti di tutti; il ricovero è per lei una profonda ingiustizia alla quale vuole ribellarsi. Successivamente, anche grazie all'azione dei farmaci somministratele in dosi massicce, appare remissiva ed accondiscendente, mostrando un'acquisita consapevolezza di malattia che, in realtà, secondo gli psichiatri, non ha a tutt'oggi raggiunto ma soltanto simulato.

Dopo il primo ricovero la psichiatra, in un primo momento l'unica persona con la quale Cristina accetta un dialogo, non è più riuscita a stabilire con lei un vero e proprio rapporto terapeutico. Infatti quasi subito Cristina ha iniziato ad inserire anche la dottoressa fra i suoi persecutori, ha rifiutato la terapia farmacologica (anche questa nella sua mente un "potente agente intossicante" (33)), ed ha saltato gli appuntamenti, presentandosi raramente e senza preavviso al servizio.

In questi ultimi anni i medici hanno avuto modo di osservare come Cristina attraversi periodi relativamente buoni e sereni soltanto quando si allontana dal suo contesto familiare, lavorativo e sociale ed intraprende viaggi a sfondo mistico-religioso in Palestina ed una volta anche in America a seguito del Papa. Tuttavia ogni volta, quando rientra, si ripresentano in lei episodi deliranti (minacce di denunce e comunicati stampa, disinfestazioni dirette a eliminare sostanze tossiche), prevalentemente sul luogo di lavoro. Nella primavera del 1995 Cristina è arrivata addirittura ad interrompere la sua partecipazione ad iniziative di volontariato dopo che, avendo investito molte energie nel recupero di una ragazza tossicodipendente, si è resa conto che tutto il suo impegno risultava vano subendo così una cocente delusione. Anche gli altri operatori e, progressivamente, pure gli estranei sono stati accusati da Cristina di una malevolenza nei suoi confronti, che si manifesterebbe in particolare con atteggiamenti di derisione ed atti di sopraffazione.

Attualmente la situazione, in specie sul luogo di lavoro, appare precaria e tesa: la funzione del servizio psichiatrico, ormai totalmente impotente di fronte alla malattia di Cristina, si riduce ad evitare in extremis trattamenti sanitari obbligatori (richiesti insistentemente in ambito lavorativo), tentando di convincere la paziente ad assentarsi dal lavoro (prorogando i periodi di malattia) e ad assumere farmaci ad azione sedativa. Ogni relazione di tipo terapeutica è, al momento, interrotta.

Il caso di Cristina merita qualche considerazione ulteriore. La psichiatra che l'ha seguito fino a non molto tempo fa (e che ha avuto in cura anche Angela), tiene a sottolineare come i deliri della sua paziente non siano bizzarri e fantasiosi come quelli di Angela. Al contrario essi si inseriscono sempre in un rapporto diretto con la realtà circostante, tanto che non possono definirsi deliri veri e propri. Gli eccessi comportamentali di Cristina si verificano guarda caso ormai quasi esclusivamente sul luogo di lavoro ed in corrispondenza di episodi ai quali Cristina attribuisce un valore persecutorio.

Seguendo con attenzione ed ordine la storia di Cristina in ambito lavorativo vediamo come ella arriva in Procura dopo che alle poste "non ne vogliono più sapere di lei" (34) e, non potendola licenziare, riescono dopo vari tentativi ad ottenere il suo trasferimento. In un primo tempo in Procura, dove nessuno è a conoscenza dei problemi psichici di Cristina, le cose sembrano andare bene. Qualche tempo dopo tuttavia i colleghi iniziano a notare le stranezze di Cristina, ne parlano fra di loro e cominciano a prenderla in giro e a deriderla. In pratica viene a crearsi una situazione ambigua e dominata dal sospetto reciproco. Cristina, perfettamente in grado di percepire la diffidenza che la circonda, comincia a sentirsi perseguitata dai colleghi ed inizia ad interpretare ogni loro gesto, parola ed azione, come una manovra volta ad escluderla e cacciarla. Di ciò si lamenta in continuazione nei colloqui con il medico, riferendo di rimproveri ingiusti che le vengono continuamente rivolti, di gesti di sopraffazione eseguiti nei suoi riguardi ed, infine, di scherzi crudeli architettati a suo danno. La psichiatra avrà successivamente modo di verificare come la gran parte di tali episodi siano realmente avvenuti e come la "manie di pulizia" di Cristina si riferiscano ad un luogo che la psichiatra non esita a definire "uno dei più sporchi che io abbia mai visto".

Dunque se è vero che Cristina reagisce all'ambiente circostante in modo divergente è altrettanto vero, come precisa Lemert, "che gli altri reagiscono in modo ambiguo e cospirativo nei suoi confronti" (35), e che "l'idea comune che la persona paranoide costruisca simbolicamente la cospirazione contro di lui... è inesatta o incompleta" (36). Cristina, d'altra parte, sostiene la psichiatra, dà di questi episodi una rappresentazione distorta ed esagerata (anche se, sottolinea ancora una volta, mai totalmente fantasiosa) che la conduce a perdere il controllo e ad assumere comportamenti decisamente sopra le righe.

La situazione inoltre è ulteriormente complicata dal fatto che, essendo nella maggioranza dei casi i ricoveri richiesti sul luogo di lavoro, la paziente è arrivata, come si esprime il medico, "ad inserire anche il Trattamento sanitario obbligatorio nel suo nucleo delirante", ovverosia a considerare il Trattamento sanitario obbligatorio parte di una strategia della Procura diretta al suo allontanamento definitivo. Gli stessi sentimenti di ingiustizia, che finiscono per rinforzare e consolidare i deliri di Cristina (37), sono generati nella paziente dalla somministrazione dei farmaci da lei rifiutati ormai da tempo.

Note

1. E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., p. 66.

2. E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., p. 134.

3. E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., p. 345.

4. E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., p. 132.

5. E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., p. 132.

6. Vedi T.J. Scheff, Per infermità mentale, cit., p. 69.

7. Vedi E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., p. 345.

8. Vedi E. Lemert, Devianza problemi sociali e forme dio controllo, cit., pp. 347-350, sulla tesi vedi nota n. 53, cap. I.

9. Vedi E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., pp. 347-350, sulla tesi vedi nota n. 53, cap. I.

10. "Le azioni... che tendono persistentemente ad opporsi ad altre persone, a frustrarle o a complicare loro l'esistenza vengono normalizzate con minor facilità... Esse pongono questioni di valutazione, di reciprocità, di conseguenze e di costi cumulativi per gli altri e richiedono così forme speciali di adattamento. Tali azioni, condizioni e situazioni sono suscettibili di venire selezionate come deviante... ma non necessariamente vengono definite come tali o fatte oggetto di controllo sociale. Possono venire invece compiuti degli accomodamenti, grazie ai quali il comportamento viene ad essere in qualche modo contenuto, le sue conseguenze minimizzate ed i suoi costi resi sostenibili, in certi casi scaricandoli sugli altri. Una segretaria 'copre' il principale dedito al bere, il marito assume una cameriera che si accolla i compiti di una moglie schizofrenica". E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit. p. 31.

11. Fra il 1988 ed il 1989 Lorenzo viene inoltre ricoverato, su richiesta dei genitori, in una clinica psichiatrica privata, dalla quale esce, secondo le note redatte in cartella, "spento, apatico, assente".

12. Dalla relazione di supervisione dello psichiatra curante.

13. Vedi E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., p. 345.

14. Dalla cartella clinica in cui viene riportato il colloquio che la psichiatra ha con la madre.

15. Vedi E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., p. 132.

16. Vedi E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., p. 350.

17. Vedi E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., p. 352.

18. Vedi E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., pp. 354-355.

19. Vedi T.J. Scheff, Per infermità mentale, cit., p. 101.

20. Espressione utilizzata dal ragazzo e riportata nella cartella clinica.

21. Questa la definizione riportata nella cartella clinica.

22. Così come riferitomi dalla psichiatra curante. Tale sensazione coincide con quella rilevata da Lemert nel paranoico. Vedi E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., pp. 345 e 350.

23. Vedi E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., p. 135.

24. Così viene descritto Marco da psichiatri e conoscenti.

25. Vedi E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., pp. 352-353.

26. Dalla relazione di supervisione della psichiatra che attualmente ha in cura Angela.

27. Dalla relazione di supervisione della psichiatra curante.

28. Lo stesso processo viene descritto da Lemert nel suo studio sulla paranoia. Vedi E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., p. 341 e pp. 354-355.

29. Vedi E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., p 133.

30. Dalla relazione di supervisione della psichiatra che adesso segue Cristina.

31. Dalla relazione di supervisione della psichiatra.

32. Un'espressione di Cristina riferitami dalla psichiatra curante.

33. Dalla relazione di supervisione della psichiatra curante.

34. Così mi viene riferito dalla psichiatra curante.

35. Vedi E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., p. 336.

36. Vedi E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., p. 360.

37. Vedi E. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, cit., pp. 355-356.