ADIR - L'altro diritto

La liberazione condizionale

Roberto Perotti, 2006

1. Natura dell'istituto

La liberazione condizionale, disciplinata dagli art. 176 e 177 del Codice penale, con le modifiche apportate dalle leggi n. 1634 del 1962 e n. 663 del 1986 e sotto il profilo processuale dalla legge n. 6 del 1975, comporta la sospensione dell'esecuzione della pena per un certo tempo, trascorso il quale senza che il condannato liberato abbia commesso un altro reato la pena si estingue (1). L'istituto ha la finalità principale di prevenire la ricaduta nel reato, favorendo l'emenda dei colpevoli, tuttavia è anche strumento utilizzato per conseguire una migliore disciplina nei penitenziari.

La liberazione condizionale storicamente nasce nelle colonie inglesi dell'Australia, meta dei delinquenti condannati alla deportazione. Al fine di soddisfare le esigenze della colonizzazione, il Governatore poteva concedere ai detenuti di buona condotta il permesso di essere assunti e stipendiati dai coloni; permesso che poteva essere revocato qualora i liberati dessero motivo di lagnanza. In Italia è introdotto dal Codice Zanardelli, con la finalità di combattere la recidiva attraverso la liberazione anticipata del condannato che ha dato prova di sicuro ravvedimento ed è applicabile alle pene di lunga durata. Il codice del 1930, fondendo l'istituto sulla buona condotta, torna alla vecchia concezione penitenziaria della liberazione condizionale come premio al buon detenuto, a prescindere dalla sua effettiva risocializzazione. Con la legge n. 1634 del 1962 si ritorna al presupposto del ravvedimento del soggetto e si estende l'istituto ai condannati all'ergastolo. Dopo la legge n. 354 del 1975, che introduce le misure alternative alla detenzione, la liberazione condizionale, in quanto strumento atto a determinare la prosecuzione della pena in un regime di libertà vigilata, che si contrappone alla condizione di detenuto, deve essere considerata una misura alternativa alla detenzione. Per i condannati all'ergastolo, la liberazione condizionale, costituisce, l'ultima e definitiva misura che ne favorisce la risocializzazione.

2. Presupposti sostanziali

Per la concessione del beneficio occorre:

  1. Che il condannato sottoposto a pena detentiva abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento. La preventiva ammissione del condannato ad altre misure di graduazione della pena (permessi premio e semilibertà) può costituire strumento essenziale per la verificazione della sussistenza del ravvedimento.
  2. Che sia decorso il tempo di espiazione prescritto. L'art. 176, comma terzo, dispone che il condannato alla pena dell'ergastolo può essere ammesso la beneficio quando abbia scontato almeno ventisei anni.
  3. Che sia effettuato il risarcimento del danno. La concessione della liberazione condizionale è subordinata all'adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato salvo che il condannato dimostri di essere nell'impossibilità di adempiere.

Contrariamente a quanto affermato in passato dalla giurisprudenza di merito, non è richiesto il perdono della parte offesa, come condizione necessaria. Accertata la sussistenza dei requisiti, infatti, il giudice ha l'obbligo e non la facoltà di concedere la liberazione condizionale: non rilevano altri elementi, non previsti dalla legge e non riconducibili al comportamento del condannato, come la sfavorevole impressione che la concessione del beneficio può suscitare nell'opinione pubblica o la temuta reazione dei congiunti della vittima.

In caso di mancata concessione per difetto del requisito del ravvedimento, la richiesta non può essere riproposta prima di sei mesi dal giorno in cui è divenuto irrevocabile il provvedimento di rigetto (art. 682, comma secondo, del Codice di procedura penale).

3. Modalità per la concessione e la gestione

La decisione sull'istanza d'ammissione alla liberazione condizionale è adottata dal Tribunale di sorveglianza competente, territorialmente, sull'istituto penitenziario in cui è ristretto l'interessato al momento della presentazione della domanda. Nel caso di concessione, il liberato condizionalmente è sottoposto, a cura del magistrato di sorveglianza, alle prescrizioni proprie del regime di libertà vigilata, ai sensi degli artt. 177 e 230, n. 2, del Codice penale (2). La sottoposizione a tale regime ha la durata di cinque anni per i condannati alla pena dell'ergastolo.

Nel corso della misura alternativa, il condannato, in relazione all'osservanza delle prescrizioni disposte dal magistrato di sorveglianza (che possono essere modificate in tempo successivo), è sottoposto alla sorveglianza dell'autorità di pubblica sicurezza, che deve esercitarla in modo da non rendere difficoltosa al liberato condizionalmente, la ricerca di un lavoro e di consentirgli di compierlo con la necessaria tranquillità (art. 190, comma sesto, disposizioni d'attuazione del Codice di procedura penale). Il soggetto, inoltre, è destinatario di interventi di sostegno e assistenza da parte del Centro di servizio sociale per adulti (ai sensi dell'art. 81 dell'Ordinamento penitenziario), che deve riferire al magistrato di sorveglianza.

La determinazione delle prescrizioni, per opera del magistrato di sorveglianza, è effettuata con decreto, udito l'interessato. Non è richiesta l'adozione del procedimento di sorveglianza, non trattandosi di applicazione o di esecuzione di misura di sicurezza. Circa il tempo della determinazione delle prescrizioni, l'art. 104 del Regolamento di esecuzione dispone che, in caso di ammissione alla liberazione condizionale: "nell'ordinanza è fissato il termine entro il quale, dopo la scarcerazione, l'interessato dovrà presentarsi all'ufficio di sorveglianza del luogo dove si esegue la libertà vigilata", dove saranno determinate, dal magistrato di sorveglianza, le relative prescrizioni. Per quanto concerne il contenuto delle prescrizioni, i vari magistrati di sorveglianza utilizzano diverse prassi applicative: al soggetto, in genere, sono impartite disposizioni concernenti la frequentazione di determinati luoghi o ambienti, gli orari nei quali deve essere reperito presso l'abitazione, i limiti territoriali negli spostamenti e, in particolare, l'obbligo di sottoporsi alla sorveglianza dell'autorità di pubblica sicurezza e di tenere contatti con il Centro di servizio sociale (art. 190 disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale).

4. Esito della liberazione condizionale

Durante il periodo di libertà vigilata, la condizione del liberato è quella di un condannato sottoposto all'espiazione della pena in forma alternativa. Permane per una parte della dottrina il rapporto di esecuzione (3).

La revoca della liberazione condizionale può essere adottata in due casi (art. 177, comma primo, del Codice penale):

  • Se il liberato commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole rispetto al reato per cui ha riportato condanna. Il Tribunale di sorveglianza, in quest'ipotesi, è tenuto a valutare se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio (4).
  • Se il liberato trasgredisce agli obblighi della libertà vigilata. In caso di revoca - a seguito della dichiarata illegittimità costituzionale del comma 1 dell'art. 177 del Codice penale, statuente l'effetto ex tunc del provvedimento (5) - il Tribunale di sorveglianza deve determinare la pena detentiva ancora da espiare tenendo conto del tempo trascorso in libertà condizionata, delle restrizioni di libertà sofferte dal condannato e del comportamento tenuto da questo. Si applica, in questo caso, il procedimento di sorveglianza.

Decorsi cinque anni dalla data del provvedimento, se si tratta di condanna all'ergastolo, la pena rimane estinta e sono revocate le misure di sicurezza personali ordinate dal giudice con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo (art. 177, secondo comma, del Codice penale). La declaratoria di estinzione della pena per esito favorevole della liberazione condizionale è di competenza del Tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sul luogo di residenza del liberato.

5. La liberazione condizionale nell'interpretazione della giurisprudenza

5.1. Natura ed effetti

  • La liberazione condizionale non è un istituto di diritto processuale ma è un istituto di diritto sostanziale, che comporta, oltre che l'immediata liberazione del condannato, l'estinzione, sia pure differita, della pena, condizionatamente alla mancata commissione, nei termini di legge, di un delitto o di una contravvenzione della stessa indole. Ne deriva che l'istituto non può non ricollegarsi al reato e al suo autore e quindi le condizioni di operatività richieste dalla legge, non sono sufficienti, dovendovi concorrere la libera determinazione del giudice, la quale è condizionata dai criteri ex art. 133 del Codice penale ed in particolare dai precedenti giudiziari del condannato (6).
  • Con riferimento all'istituto della riabilitazione, la Cassazione ha rilevato che i termini stabiliti dall'art. 179 del Codice penale, decorrono, nel caso di condanna all'ergastolo, dalla scadenza dei cinque anni dalla data del provvedimento di concessione della liberazione condizionale, verificandosi solo alla detta data, ai sensi dell'art. 177, secondo comma, del Codice penale, e non a quella di emanazione del suindicato provvedimento, l'effetto estintivo al quale fa riferimento il citato art. 177, comma secondo, del Codice penale. In motivazione a sostegno di questo principio, la Suprema Corte ha rilevato, inoltre, che, altrimenti, costituendo il regime di libertà vigilata al quale il condannato è sottoposto durante la liberazione condizionale, una prosecuzione del rapporto esecutivo, detta prosecuzione, con le relative limitazioni della libertà personale, risulterebbe, ex post, priva di titolo giuridico (7).

5.2. Presupposti: ergastolo

  • L'art. 176, comma terzo, del Codice penale, stabilisce che il condannato all'ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno ventisei anni di pena. Il periodo da espiare, peraltro, avendo natura di pena non temporanea ma perpetua, non è condonabile 'in parte', cioè non può subire la detrazione di un periodo determinato, poiché la durata complessiva, essendo stabilita fino alla morte del reo, non è determinabile a priori (8).
  • Anche quando del provvedimento di cumulo faccia parte la pena dell'ergastolo, il condannato ha interesse a far rettificare, chiedendone la retrodatazione, l'inizio della sua espiazione, giacché, pur trattandosi di pena perpetua, la sua anticipazione consente l'accesso anticipato alla liberazione condizionale e agli altri benefici previsti dall'ordinamento penitenziario (9).
  • In tema di liberazione condizionale, qualora la pena dell'ergastolo sia inclusa in un provvedimento di cumulo con pene temporanee già in parte scontate, ai fini dell'applicazione dell'istituto non può tenersi conto delle pene espiate prima della commissione del reato per il quale è stato inflitto l'ergastolo (10).

5.3. Ravvedimento

  • Ai fini dell'ammissione alla liberazione condizionale, il ravvedimento, essendo il risultato di una costante e progressiva buona condotta, dimostrativa del processo interiore di accettazione dell'espiazione come mezzo di riscatto morale dal delitto, non può prescindere dal criterio della durata della condotta stessa, durata da rapportare all'entità del delitto, che è indice del grado di pericolosità e di asocialità, la quale non può che regredire gradualmente nel tempo (11).
  • Anche se il titolo e la gravità del reato non vanno di per sé considerati ai fini della concessione o meno del beneficio della liberazione condizionale, il delitto commesso, in relazione alla sua gravità - specie per le sue modalità esecutive e per il particolare movente - ed alla pericolosità sociale manifestata dal condannato, costituisce pur sempre il necessario punto di partenza per la valutazione della persona del soggetto, nella sua evoluzione, al fine di accertarne il raggiunto sicuro ravvedimento (12).
  • La gravità dei reati commessi non è incompatibile con la possibilità di redenzione del colpevole, né di ostacolo alla liberazione condizionale per la quale ha valore l'accertamento del suo sicuro ravvedimento (13).

5.4. Adempimento delle obbligazioni civili

  • Il risarcimento del danno previsto dall'ultimo comma dell'art. 176 del Codice penale, non può essere considerato come un elemento a sé, ma deve, nel quadro delle dimostrazioni di ravvedimento che il condannato deve fornire, essere valutato come atto comprovante, con il pentimento e la riprovazione per il delitto commesso, la fattiva volontà del reo di eliminarne o attenuarne, le conseguenze dannose; deve, cioè, essere considerato non tanto nella sua funzione oggettiva di reintegrazione patrimoniale, quanto sotto il profilo soggettivo, come concreta manifestazione del sincero proposito di fare tutto il possibile per sanare le conseguenze del delitto. Ne consegue che da una parte deve riconoscersi che l'impossibilità di adempiere le obbligazioni civili nascenti dal reato (come causa della condizione di cui trattasi) non può identificarsi con la mancanza assoluta di ogni risorsa economica, d'altra parte va accertato se il condannato abbia dimostrato un effettivo interessamento e abbia fatto quanto in suo potere per eliminare le conseguenze materiali del delitto dal lui commesso (14).

5.5. Perdono della persona offesa

  • Il perdono della persona offesa è un elemento estraneo alla previsione legislativa di cui all'art. 176, comma 1, poiché la concedibilità del beneficio ivi previsto non può essere subordinata all'arbitrio della parte privata; tuttavia la mancata richiesta di perdono da parte dell'agente nei confronti della vittima del reato da lui commesso e la sua indifferenza verso la stessa ben possono incidere negativamente sulla valutazione del comportamento dell'imputato e concorrere, assieme ad altri dati comportamentali, alla formazione del convincimento del giudice di merito sulla mancanza del suo ravvedimento (15).
  • La prova della concessione del perdono da parte di taluna delle vittime dell'attività delittuosa o, in mancanza, dei loro familiari, non costituisce elemento determinante in tema di liberazione condizionale (16).

5.6. Libertà vigilata

  • La libertà vigilata ordinata in sede di liberazione condizionale si differenzia sotto l'aspetto funzionale della misura di sicurezza della libertà vigilata in quanto non ha lo scopo di fronteggiare una pericolosità sociale del condannato (anzi in tanto è ordinata in quanto sia stato accertato che questi non è più socialmente pericoloso), ma quello di consentire un controllo dello stesso al fine di verificare se il giudizio sul ravvedimento trovi rispondenza nella realtà dei fatti (17).

5.7. Revoca

  • In caso di revoca della liberazione condizionale interessante un condannato alla pena dell'ergastolo, non è possibile, allo stato attuale della legislazione, trattandosi di pena perpetua, determinare la parte di essa ancora da espiare; il che trova conferma anche nella sentenza della Corte costituzionale 4 giugno 1993, n. 274 la quale, nel dichiarare inammissibile la relativa questione di illegittimità costituzionale, ha rilevato che essa implicherebbe un'attività di integrazione legislativa riservata, come tale, al legislatore, in assenza di soluzioni costituzionalmente obbligate (18).

5.8. Militari

  • L'innovazione apportata dalla L. 25 novembre 1962, n. 1634 all'art. 176 cod. pen. (liberazione condizionale) non si estende automaticamente all'art. 71 cod. pen. mil. pace, che continua a regolare, in modo autonomo l'istituto per il condannato militare, cui il beneficio è tuttora subordinato all'accertamento della buona condotta (intesa coma condotta carceraria militare) tenuta dal soggetto istante nel corso dell'espiazione della pena (19).

5.9. Interdizione legale

La Corte costituzionale ha dichiarato l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 27 e 4 della Costituzione, dell'art. 32 del Codice penale nella parte in cui non prevede la sospensione dello stato di interdizione legale per il condannato che fruisca della liberazione condizionale (20). La Corte ha ritenuto costituzionalmente legittimo l'automatismo fra la concessione del beneficio e la pena accessoria dell'interdizione legale, poiché non sussiste incompatibilità. Sul presupposto che i diversi rapporti giuridici di esecuzione, relativi alle distinte conseguenze penali della condanna, hanno - di regola - autonomo svolgimento e possono essere, quindi, regolati diversamente dal legislatore, la Corte precisa che se durante l'interdizione legale, subita dal condannato nel corso della detenzione, quest'ultimo ha potuto offrire prove del suo ravvedimento, "non si riesce ad intendere perché la stessa interdizione dovrebbe ostacolare la prova ulteriore di conferma del ravvedimento".

6. La sentenza n. 161 del 1997 della Corte Costituzionale

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 161 del 1997 (21), dichiara l'incostituzionalità dell'art. 177, primo comma, del Codice penale, "nella parte in cui non prevede che il condannato all'ergastolo, cui sia stata revocata la liberazione condizionale, possa essere nuovamente ammesso a fruire del beneficio, ove ne sussistano i relativi presupposti", perché in caso contrario, come si legge nella motivazione della sentenza, il mantenimento di questa preclusione assoluta equivarrebbe, per l'ergastolano, ad una sua permanente esclusione dal processo rieducativo e di reinserimento sociale, in palese contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, efficace anche nei confronti degli ergastolani. La decisione in esame tocca, dunque, uno degli argomenti più controversi dell'ordinamento penale italiano: quello della legittimità dell'ergastolo e della sua concreta perpetuità.

Punto di partenza della decisione in esame è la precedente sentenza costituzionale n. 270 del 1993 (22), nella quale i giudici della Consulta, pur avendo rilevato l'esistenza di alcuni profili di dubbia costituzionalità, dichiarano inammissibile la questione prospettatale, con riguardo alla possibilità, per i condannati all'ergastolo, di computare il periodo trascorso in libertà vigilata della determinazione della pena residua, perché "la manipolazione normativa richiesta dal giudice" avrebbe implicato "soluzioni non costituzionalmente obbligate, ma scelte discrezionali riservate al legislatore". La Corte tuttavia, riconosce che le argomentazioni svolte nella sentenza n. 282 del 1989 (23) vanno ripetute anche "nei confronti del condannato all'ergastolo, altrimenti a costui sarebbe riservato un trattamento di maggior rigore rispetto al condannato a pena temporanea"; inoltre, la Corte, pur facendo riferimento "all'ulteriore pesantissimo aggravio per il condannato di non poter usufruire una seconda volta della liberazione condizionale" che il giudice a quo prospetta nell'ordinanza di remissione, n'esclude la rilevanza, poiché tale problema eccede il thema decidendum circoscritto, unicamente, all'ambito di rideterminazione della pena residua. I giudici della Consulta, quindi, di fronte alla questione di legittimità costituzionale, ne dichiarano l'inammissibilità, per motivi di rilevanza e per non invadere la discrezionalità del legislatore.

In conformità a queste premesse, la Corte, con la sentenza in esame, afferma che:

Se la liberazione condizionale è l'unico istituto che con la sua esistenza nell'ordinamento rende non contrastante con il principio rieducativo, e dunque, con la Costituzione, la pena dell'ergastolo, vale evidentemente la proposizione reciproca, secondo cui detta pena contrasta con la Costituzione ove, sia pure attraverso il passaggio di uno o più esperimenti negativi fosse totalmente preclusa in via assoluta, la riammissione del condannato alla liberazione condizionale.

Passando ora ad evidenziare le implicite valenze della sentenza n. 161 del 1997 sulla tematica generale dell'ergastolo, si può rilevare come essa si ponga in una prospettiva di continuità rispetto all'orientamento moderato seguito dalla Corte costituzionale in proposito (si pensi alla sentenza n. 274 del 1974 o alla sentenza n. 282 del 1989). La sentenza introduce un nuovo strumento di natura premiale, e quindi soltanto eventuale, (nella fattispecie: la possibilità per gli ergastolani di poter essere riammessi alla liberazione condizionale nonostante ne sia intervenuta la revoca) che comunque il soggetto deve in qualche modo 'ri-meritare', senza, però, intervenire esplicitamente sulla necessità di eliminazione dell'ergastolo dal nostro ordinamento penale. Stefania Sartarelli commenta la sentenza rilevando che:

Risulta evidente pertanto il tentativo di mitigare la posizione di chi si trovi nella condizione di condannato a pena perpetua (la quale ontologicamente parlando rimane tale) al fine di renderla di fatto non più 'a vita' e, di conseguenza, più aderente al principio della finalità rieducativa della pena, ma senza assumere una posizione più decisiva sull'argomento che non sia quella di continuare a mantenere sempre e comunque l'ergastolo nel nostro ordinamento (24).

L'autrice ritiene che la Corte costituzionale non è la sede adatta per giungere ad una declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'ergastolo (anche se ci si aspetterebbe un segnale verso il "superamento definitivo della pena perpetua"), tuttavia auspica che quest'obiettivo sia raggiunto, insieme con una riforma di tutte le sanzioni detentive, nel più breve tempo possibile.

Concorda con Stefania Sartarelli, anche il commento di Andrea Longo, per il quale:

Postulare una simile correlazione tra ergastolo e liberazione condizionale dovrebbe, probabilmente, condurre a decisioni ben più radicali di quella adottata dalla Corte ma la compatibilità della pena perpetua con le istanze proprie di uno stato liberale è certamente questione troppo delicata e controversa perché possa essere risolta unicamente dai giudici della Consulta; rimane, tuttavia, dubbia la possibilità di conciliare le esigenze rieducative che la pena dovrebbe soddisfare ai sensi dell'art. 27, 3º comma, Cost., con una punizione che cela una valenza ferocemente retributiva (25).

In definitiva si può sostenere che i meccanismi derogatori alla natura perpetua dell'ergastolo intervenuti negli ultimi quarant'anni sono valsi a renderne meno crudele l'esecuzione, ma resta l'intrinseco carattere disumano di una pena che "non può avere mai fine se non con la fine della vita" (26). Questo è l'aspetto più inquietante del paradosso costituzionale di legittimare l'ergastolo in virtù della sua possibile non perpetuità (27): l'astratta probabilità che, invece, il condannato rimanga in carcere per tutta la vita.

7. Liberazione condizionale ed ergastolo

L'art. 28 della legge n. 663 del 1986 realizza una delle più importanti ed incisive modifiche del sistema dell'Ordinamento penitenziario. La norma ha un iter parlamentare complesso: essa, infatti, non è prevista nell'originario disegno di legge recante "Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, sull'ordinamento penitenziario" presentato in Senato il 19 luglio 1983. L'emendamento aggiuntivo, destinato a modificare l'art. 176 del Codice penale, è introdotto nel disegno di legge solo il 17 aprile 1986 per opera della Commissione giustizia del Senato, che lo approva il successivo 5 giugno: in esso, risulta, dato particolare, che la modifica di cui all'art. 28 riguarda il secondo comma, anziché il terzo, come dovrebbe essere, dell'art. 176. Trasferito il disegno di legge alla Camera, sono presentati diversi emendamenti e proposti articoli aggiuntivi all'art. 28, che, però, sono respinti tutti nella seduta del 11 settembre 1986, quando la Camera approva il testo elaborato dal Senato. In questa sede, il successivo 25 settembre, è approvata definitivamente la norma, limitandosi a correggerne il testo introduttivo, sostituendo le parole "Il secondo comma" con "Il terzo comma" dell'art. 176 del Codice penale "è sostituito".

La diminuzione quantitiva del limite di pena da scontare dai condannati all'ergastolo per essere ammessi alla liberazione anticipata (ventisei anni) è l'innovazione più appariscente, tuttavia, è l'eliminazione dell'avverbio "effettivamente", riferito alla pena scontata dall'ergastolano prima dell'ammissione alla liberazione condizionale, contenuto nel terzo comma dell'art. 176 del Codice penale, la modifica qualitativamente più rilevante: l'eliminazione di questo dato letterale consente, infatti, l'accesso dei condannati alla pena perpetua ai benefici di legge (in particolare la liberazione anticipata), dai quali erano, in precedenza, esclusi.

E' evidente che il legislatore, anziché procedere all'abolizione della pena perpetua per le conseguenze che avrebbe in seno all'opinione pubblica, preferisce percorrere la strada, meno pericolosa, della riforma e dell'estensione dei benefici penitenziari per ottenere il medesimo effetto, dimostrando, implicitamente, la convinzione che la pena dell'ergastolo non sia costituzionale.

Note

1. Mantovani F., Diritto Penale (Parte generale), Terza edizione, Cedam 1992, Padova, p. 843.

2. A seguito dell'entrata in vigore del nuovo ordinamento penitenziario, la libertà vigilata si trasforma in "libertà vigilata ed assistita" (art. 55 dell'ordinamento penitenziario). Questa, ora, consiste:

  1. In una limitazione della libertà, diretta ad impedire la commissioni di nuovi reati. Il magistrato impone delle prescrizioni, che possono essere modificate o limitate in seguito. La sorveglianza della persona è esercitata dall'autorità di pubblica sicurezza.
  2. In interventi di sostegno e assistenza, svolti dal servizio sociale al fine del reinserimento sociale dei sottoposti alla libertà vigilata.

3. Canepa M., Merlo S., Manuale di diritto penitenziario, V edizione, Giuffrè editore, Milano 1999, per i quali questa tesi si desume dal fatto che il liberato, seppur fuori dell'istituto penitenziario, rimane vincolato nella libertà personale e sotto il potere di controllo degli organi dello Stato e dalla attribuzione della competenza alla concessione e alla revoca del beneficio al Tribunale di sorveglianza. In senso contrario, Rustia, La libertà vigilata per il liberato condizionalmente come pretesa «modalità di esecuzione della pena», in "Giurisprudenza costituzionale", 1978, I, p. 736, per il quale, nel periodo di liberazione condizionale, si determina una sorta di quiescenza e quindi di cessazione degli effetti del rapporto di esecuzione penale.

4. La Corte costituzionale, infatti, con sentenza n. 418 del 23 dicembre 1998 (in "Rivista italiana di diritto e procedura penale", 1999, p. 147), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 177 del Codice penale, nella parte in cui prevede la revoca della liberazione condizionale nel caso di condanna per qualsiasi delitto o contravvenzione della stessa indole, anziché stabilire che la liberazione condizionale è revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio.

5. Corte costituzionale 25 maggio 1989, n. 282, in "Foro italiano", 1989, I, p. 3036 e in "Cassazione penale" 1990, p. 543, che ha dichiarato illegittimo per contrasto con gli artt. 13, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, l'art. 177, primo comma, del Codice penale "nella parte in cui, nel caso di revoca della condizionale, non consente al Tribunale di sorveglianza di determinare la pena detentiva ancora da espiare, tenendo conto del tempo trascorso in libertà condizionata, nonché delle restrizioni di libertà subite dal condannato e del suo comportamento durante tale periodo"; tale decisione è presa sul presupposto dell'innegabile "incidenza afflittiva" del regime di libertà vigilata.

6. Cassazione, 23 febbraio 1983, in "Cassazione penale", 1984, p. 1430.

7. Cassazione, 26 giugno 1996, in "C.E.D. Cassazione", n. 205679.

8. Cassazione penale, sezione I, 4 marzo 1993, n. 44 (c.c. 12 gennaio 1993), Pau.

9. Cassazione penale, sezione I, 4 maggio 1998, n. 1898 (c.c. 1 aprile 1998), Leanza.

10. Cassazione penale, sezione I, 4 maggio 2004, n. 20981 (c.c. 20 marzo 2004), Giglio.

11. Cassazione penale, sezione I, 4 novembre 1976, n. 1639 (c.c. 15 ottobre 1976), Seruci.

12. Cassazione penale, sezione I, 5 gennaio 1978, n. 2695, Damo.

13. Cassazione penale, sezione I, 27 luglio 1993, n. 2167 (c.c. 11 maggio 1993), Zanetti.

14. Cassazione penale, sezione I, 26 gennaio 1993, 5132 (c.c. 11 dicembre 1992), Di Miccoli.

15. Cassazione, 5 novembre 1984, Vanni, in "Rivista penale", 1985, 728.

16. Cassazione, 11 maggio 1993, Zanetti, in "Cassazione penale", 1994, p. 2436.

17. Cassazione penale, sezione I, 19 marzo 1991 (c.c. 28 gennaio 1991, n. 343), Negri.

18. Cassazione penale, sezione I, 12 aprile 1994, n. 1068 (c.c. 3 marzo 1994), Mesina.

19. Cassazione penale, sezione I, 3 agosto 1987 (c.c. 20 maggio 1987, n. 2132), Di Battista.

20. Corte Costituzionale, sentenza 14 luglio 1986, n. 183, in Cassazione penale", 1986, p. 1511.

21. Corte Costituzionale, sentenza 4 giugno 1997, n. 161, in "Giurisprudenza italiana", 1999, I, pp. 121 e ss., con nota di Longo A., Brevi osservazioni sui rapporti tra ergastolo e liberazione condizionale suggerite dalla sentenza n. 161/97. Il giudizio di legittimità costituzionale è promosso con ordinanza emessa il 6 febbraio 1996 dal Tribunale di sorveglianza di Firenze, pubblicata in "Gazzetta ufficiale", n. 28, Serie speciale, 1996.

22. Corte Costituzionale, sentenza 4 giugno 1993, n. 270, in "Giurisprudenza costituzionale", 1993, p. 1912.

23. Corte Costituzionale, sentenza 25 maggio 1989, n. 282, cit.

24. Sartarelli S., La Corte costituzionale tra valorizzazione della finalità rieducativa della pena nella disciplina della liberazione condizionale e mantenimento dell'ergastolo: una contradictio in terminis ancora irrisolta. (In particolare riflessioni sulla sentenza n. 161/1997), in "Cassazione penale", 2001, II, p. 1356.

25. Longo A., Brevi osservazioni sui rapporti tra ergastolo e liberazione condizionale suggerite dalla sentenza n. 161/97, cit., p. 122.

26. Gallo E., Significato della pena dell'ergastolo. Aspetti costituzionali, in "Dei delitti e delle pene", n. 2, 1992, p. 76.

27. Luigi Ferrajoli, Ergastolo e diritti fondamentali, "Dei delitti e delle pene", n. 2, 1992, p. 79.