ADIR - L'altro diritto

Diritti sotto sequestro

Fulvio Vassallo Paleologo, 2011

1. Una circolare ministeriale che “sequestra” i diritti fondamentali dei migranti

Con una circolare a firma del Ministro dell'Interno, (prot. n. 1305 del 01.04.2011) inerente l'accesso ai “centri per immigrati”, di fronte al “massiccio afflusso di immigrati dal Nord-Africa” si prevede, “fino a nuova disposizione”, l'ingresso “alle strutture di cui alla circolare n.1305 del 2007”, dunque i centri di detenzione amministrativa (allora denominati CPT, oggi ridefiniti CIE), e ai centri di accoglienza variamente denominati (CARA, CID, CSPA), “esclusivamente” a soggetti pubblici (ad esempio organismi internazionali quali Oim, Cri, Amnesty International, Caritas) “al fine di non intralciare le attività loro rivolte”. Di fatto è stata cancellata la circolare “Amato” n. 1305 del 2007, che permetteva un accesso più ampio ai diversi centri. uno dei pochi risultati della Commissione d'inchiesta De Mistura sui centri di detenzione amministrativa. Dopo le numerose irregolarità rilevate nei vari centri ispezionati, documentate anche nelle denunce delle associazioni antirazziste e nei reportage di Fabrizio Gatti, finto immigrato nel vecchio CPT di Lampedusa (aeroporto), il governo del tempo aveva in qualche modo aperto l'accesso ai centri anche ai giornalisti. La stessa commissione De Mistura aveva ribadito in particolare anche l'esigenza di un rigoroso rispetto dei diritti di informazione legale e di difesa, soprattutto nel caso dei cd. respingimenti differiti disposti dal Questore.

Dopo quattro anni si è tornati dunque al tempo della impenetrabilità dei centri di detenzione per stranieri, e oggi come allora si moltiplicano ovunque le proteste, gli atti di autolesionismo, le violenze sugli immigrati entrati irregolarmente e trattenuti per settimane senza alcun titolo, con la scusa dell'identificazione in corso, un espediente che permette di bloccare in un limbo, che può durare anche mesi, persone che avrebbero quanto meno diritto ad un provvedimento da potere almeno impugnare. In questa situazione di totale incertezza possono essere violati tutti i diritti fondamentali della persona, dal diritto alla salute al diritto di difesa, diritti che in base all'art. 2 del Testo Unico sull'immigrazione n.286 del 1998, andrebbero riconosciuti e garantiti a tutti gli immigrati, anche se giunti irregolarmente o clandestinamente sul territorio nazionale. Sulla base della circolare 1305 del 2011, a partire dai primi giorni di aprile, le prefetture hanno negato l'accesso a tutti gli altri soggetti non espressamente menzionati, e questo divieto è stato opposto non soltanto nei CIE, come quello di Roma Ponte Galeria, ma anche in alcuni CARA (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) come il centro Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto a Crotone, il centro di Salina Grande di Trapani e il CARA di Brindisi. Gravi limitazioni sono state frapposte anche all'accesso di equipe medici ed all'attività di prima accoglienza e di assistenza sanitaria subito dopo gli sbarchi. In generale risulta violato l'art. 13 della Costituzione italiana in materia di libertà personale, che imporrebbe una convalida da parte di un giudice entro 96 ore dell'inizio della limitazione della libertà personale praticata dalla polizia, e vieta qualunque violenza sulle persone comunque sottoposte a misure restrittive. Una norma costituzionale che, alla luce delle attuali prassi di polizia. sembra diventare carta straccia.

Anche l'accesso ai potenziali richiedenti asilo come i migranti “subsahariani” provenienti dalla Libia, fino al mese di agosto, è diventato più difficile, malgrado la circolare riconosca agli enti di tutela convenzionati con il ministero dell'interno il diritto di visita. A Pozzallo (Ragusa) è dal 30 maggio al 5 giugno è stato negato l'accesso in un capannone, che funge come luogo di prima identificazione, agli operatori dell'ACNUR che pure hanno una convenzione con il Ministero dell'interno proprio per fornire assistenza ed informazioni ai migranti richiedenti asilo subito dopo lo sbarco, nell'ambito del progetto Presidium. All'interno della struttura, sita in zona portuale, rimangono ammassate da oltre una settimana centinaia di persone provenienti dalla Libia, in prevalenza subsahariani, e tra questi, sembrerebbe diversi minori non accompagnati. I trasferimenti verso altre strutture sono cominciati con grave ritardo e procedono a rilento. Un comportamento quello delle forze di polizia che hanno “isolato” questi migranti subito dopo lo sbarco, che configura peraltro trattamenti inumani e degradanti, vietati dall'art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell'uomo, un abuso che non si può giustificare né con la solita scusa del rispetto della privacy delle persone, che semmai andrebbe loro garantita proprio nei confronti della condizione di promiscuità prodotta dalle autorità amministrative, né con le indagini di polizia in corso, che non possono durare per settimane con l'isolamento delle vittime e non certo dei colpevoli. Questi comportamenti si sono aggravati nei confronti degli immigrati provenienti dalla Tunisia che, a partire dal mese di agosto, sono diventati la quasi totalità degli arrivi nelle isole di Lampedusa, di Pantelleria e in Sicilia. Dopo la conquista di Tripoli da parte delle forze del CNT libico sono infatti cessate quasi del tutto le partenze di immigrati cd. subsahariani da quel paese. Un dato che tutti gli attori istituzionali e le organizzazioni non governative dovrebbero considerare attentamente senza cedere a facili generalizzazioni.

La circolare ministeriale del primo aprile è stata utilizzata anche per limitare l'esercizio effettivo dei diritti di difesa. Agli avvocati che chiedevano di entrare nei centri di detenzione amministrativa, variamente denominati, e persino nei CARA, proprio sulla base della recente circolare, è stata richiesta una specifica autorizzazione, prima dal Prefetto, poi addirittura dal ministero dell'interno, come è successo a Lampedusa nel CSPA di Contrada Imbriacola, il 4 giugno scorso. Alcuni migranti che aveva conferito mandato al difensore di fiducia sono stati rimpatriati senza potere neppure presentare ricorsi, ed è bastato ritardare fino all'ultimo l'emissione dei provvedimenti di respingimento differito con accompagnamento forzato, impedire ogni contatto con l'esterno, e preparare in tutta fretta il volo charter di rimpatrio e, fino a quando le autorità dei paesi “riceventi” hanno assecondato questo giochino, tutto è filato liscio. Non sempre però, perché la fretta gioca brutti scherzi e in diverse occasioni voli che erano pronti a decollare dall'Italia verso la Tunisia sono stati bloccati o sono partiti mezzi vuoti per il venir meno della collaborazione delle autorità tunisine o per errori nelle procedure sommarie di identificazione. Questi episodi, definiti “intoppi burocratici”, si sono ancora verificati sino al 15 settembre, quando due gruppi di immigrati tunisini, provenienti da Lampedusa e trattenuti nel porto e nell'aeroporto di Palermo, in vista dell'imbarco di Tunisi, sono stati “rifiutati” dalle autorità consolari che avrebbero dovuto effettuare le identificazioni, e ricondotti dalla polizia nei centri di prima accoglienza e soccorso (CPSA) di Pozzallo in provincia di Ragusa, e gli altri ancora una volta a Lampedusa da dove provenivano. Queste strutture che avrebbero dovuto essere utilizzate solo per il primo soccorso e l'accoglienza si sono di fatto trasformate in centri di detenzione al di fuori della legge in palese contrasto con l'art. 13 della Costituzione italiana. Domenica 18 settembre, oltre 1500 immigrati tunisini erano rinchiusi nel CPSA di Contrada Imbriacola a Lampedusa, in condizioni igieniche tragiche, senza provvedimenti di trattenimento regolarmente adottati e convalidati dall'autorità giudiziaria. Tra di loro ancora una volta, in condizioni di totale promiscuità numerosi minori. Non si contano più le rivolte, seguite da durisime repressioni, e gli atti di autolesionismo. Il ministro dell'interno Maroni sta utilizzando il CPSA di Pozzallo, e soprattutto quello di Lampedusa, come grandi prigioni informali per trattenere centinaia di tunisini in attesa del rimpatrio o del trasferimento nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE). Nessuno riceve corrette informazioni su quello che sarà il proprio destino, le comunicazioni con l'esterno sono fortemente limitate ed è vietato l'accesso ai giornalisti ed a quelle associazioni che non sono convenzionate. La tensione nei CIE e nei vari centri equiparati sta così montando di fronte alla “roulette russa” dei rimpatri.

2. Da centri di accoglienza a centri di detenzione, basta un decreto ministeriale o un provvedimento di polizia per modificare lo status dei luoghi e delle persone che vi sono trattenute

Continua da anni (a seconda delle esigenze del ministero dell'interno) la trasformazione della natura giuridica dei luoghi di trattenimento, e delle persone che vi vengono rinchiuse, a seconda della nazionalità di quelli che vengono ancora definiti come “ospiti”. Si rileva che il CPSA (Centro di primo soccorso ed accoglienza) di Contrada Imbriacola di Lampedusa, dopo la breve parentesi come CIE nel febbraio del 2009, conclusasi con una rivolta ed un incendio che lo distruggeva in parte, è stato di nuovo trasformato di nuovo, dal 2 maggio 2011, in un centro di detenzione, con il trattenimento amministrativo di centinaia di immigrati tunisini in attesa che fossero espletate le procedure per il loro rimpatrio. E lo stesso è avvenuto a periodi alterni per il centro ubicato nella vecchia base Loran ubicata nell'isola, utilizzato per i minori non accompagnati, dopo che negli anni scorsi era intervenuta la magistratura per bloccare la commissione di gravi abusi edilizi in quel sito di grande interesse ambientale. Eppure quel centro che nei documenti informativi del ministero dell'interno è ancora classificato come CIE, rimane ancora aperto ed ospita decine di minori non accompagnati, in una situazione di fatiscenza delle strutture e di degrado derivante dalla promiscuità e dall'abbandono, permessi da parte dell'ente gestore. Una situazione che anche il procuratore antimafia Teresi, in una sua recente visita, ha potuto rilevare direttamente, e che prima ancora che dalla Procura antimafia, avrebbe dovuto sollecitare un intervento dei NAS della Guardia di finanza. Per chiudere quella struttura basterebbe rilevare la cronica carenza d'acqua e il sistema fognario non a norma. Fatti inoppugnabili che nessuno può fare finta di non vedere.

Nella impossibilità di adottare provvedimenti formali come decreti ministeriali istitutivi dei CIE e decreti del questore di respingimento o di trattenimento, anche per le troppe divergenze della normativa interna in materia di allontanamento forzato degli stranieri irregolari e la Direttiva comunitaria sui rimpatri, si sta seguendo adesso la strada di “isolare” le persone in strutture chiuse a tempo indeterminato, strutture “informali” di trattenimento, senza adottare alcun provvedimento amministrativo, limitandone di fatto la libertà personale per settimane, solo per effetto di misure di polizia, che non assumono neppure la forma del provvedimento scritto e motivato, come sarebbe richiesto dalla legge e dalle normative comunitarie. Gli immigrati ai quali non si riconosce neppure il diritto alla comprensione linguistica ed alla notifica tempestiva dei provvedimenti di respingimento e di trattenimento, sono abbandonati alla disperazione, o sedati con l'uso massiccio di psicofarmaci, con decine di casi di autolesionismo o di veri e propri tentativi di suicidio, come si è verificato nel centro di prima accoglienza e soccorso di Lampedusa e nella caserma Barone di Pantelleria.

Quando qualcuno tenta la fuga da un centro di detenzione amministrativa, la misura del trattenimento amministrativo viene ripristinata con l'uso della forza pubblica. Secondo l'art. 14 comma 7 del T.U. sull'immigrazione n.286 del 1998, che dovrebbe riguardare soltanto i CIE (centri di identificazione ed espulsione) “il questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci misure di vigilanza affinché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro e provvede a ripristinare senza ritardo la misura nel caso questa venga violata”. Ripristino senza ritardo che spesso si traduce in pesanti sanzioni corporali inflitte con l'uso dei manganelli, e con veri e propri pestaggi mirati allo scopo di rappresentare una punizione esemplare, come hanno denunciato con tanto di foto e video, anche su internet, numerosi migranti che avevano provato a fuggire dai centri di detenzione amministrativa e sono stati “ripresi” dalle forze di polizia.

3. Centri di accoglienza, centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) e centri di identificazione ed espulsione (CIE)

Nella prassi amministrativa si riscontra una crescente confusione tra le diverse strutture nelle quali a vario titolo sono accolti e/o trattenuti gli stranieri che entrano irregolarmente nel territorio nazionale, alcuni dei quali possono fare o fanno richiesta di protezione internazionale, oppure appartengono a categorie vulnerabili. Dal sito del ministero dell'interno si ricava che i centri di accoglienza (CDA (L.563/1995) sono strutture destinate a garantire un primo soccorso allo straniero irregolare rintracciato sul territorio nazionale. L'accoglienza nel centro è limitata al tempo strettamente necessario per stabilire l'identità e la legittimità della sua permanenza sul territorio o per disporne l'allontanamento. I centri di accoglienza ex legge Puglia attualmente operativi in Italia sono:

  • Agrigento, Lampedusa - 804 posti (Centro di primo soccorso e accoglienza)
  • Bari Palese, CDA/CARA area areoportuale - 994 posti
  • Brindisi, Restinco - 128 posti
  • Cagliari, Elmas - 220 posti (Centro di primo soccorso e accoglienza)
  • Caltanissetta, Contrada Pian del Lago - 360 posti
  • Crotone, località Sant'Anna - 978 posti
  • Foggia, Borgo Mezzanone - 716 posti

I Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) previsti in base al DPR 303/2004 e poi dal D.Lgs. 28/1/2008 nº 25 sono strutture nelle quali viene inviato e ospitato per un periodo variabile di 20 o 35 giorni lo straniero richiedente asilo privo di documenti di riconoscimento o che si è sottratto al controllo di frontiera, per consentire l'identificazione o la definizione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato.

I CARA attualmente operativi secondo i dati diffusi dal ministero dell'interno sono:

  • Caltanissetta, Contrada Pian del Lago - 96 posti
  • Crotone, località Sant'Anna - 256 posti
  • Foggia, Borgo Mezzanone - 198 posti
  • Gorizia, Gradisca d'Isonzo - 138 posti
  • Trapani, Salina Grande - 310 posti
  • Trapani Mazara del Vallo - 100 posti CDA+CARA
  • Trapani Valderice (Milo?- Apre nel giugno 2011 ?) - 200 posti CDA+CARA
  • Trapani Marsala - 114 posti CDA+CARA
  • Trapani Castelvetrano - 121 posti CDA+CARA

Con decreto del ministro dell'Interno vengono utilizzati per le finalità dei Centri di accoglienza per richiedenti asilo anche i CDA di Bari e Siracusa (Rosolini).

I Centri di identificazione ed espulsione (CIE) Così denominati con decreto legge 23 maggio 2008, n. 92, sono i vecchi centri di permanenza temporanea ed assistenza' CPTA. Sono strutture destinate al trattenimento amministrativo, convalidato dal giudice di pace, degli immigrati irregolari destinati all'espulsione. Sono previsti dall'art. 14 del Testo Unico sull'immigrazione 286/98, come modificato dall'art. 12 della legge 189/2002. Dall'8 agosto 2009, con l'entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94, il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri è passato da 60 a 180 giorni complessivi. Adesso la direttiva comunitaria sui rimpatri n.2008/115/CE impone una sostanziale modifica del regime giuridico di queste strutture detentive.

Attualmente i CIE operativi sono 13 per un totale di 1500-1800 posti circa. Non tutti i posti dichiarati sono effettivamente disponibili, anche se talvolta la capienza effettiva risulta di gran lunga superiore al numero massimo comunicato dal sito ufficiale del ministero dell'interno:

  • Bari-Palese, area aeroportuale - 196 posti
  • Bologna, Caserma Chiarini - 95 posti
  • Caltanissetta, Contrada Pian del Lago - 96 posti
  • Catanzaro, Lamezia Terme - 75 posti
  • Gorizia, Gradisca d'Isonzo - 248 posti
  • Milano, Via Corelli - 132 posti
  • Modena, Località Sant'Anna - 60 posti
  • Roma, Ponte Galeria - 364 posti
  • Torino, Corso Brunelleschi - 204 posti
  • Trapani, Serraino Vulpitta - 43 posti
  • Brindisi, Restinco - 83 posti
  • Lampedusa - 200 posti (ex base Loran, di fatto utilizzata oggi per minori non accompagnati)
  • Crotone, S. Anna - 124 posti

Con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 aprile n. 5835, sono stati trasformati in CIE temporanei, con un totale di 500 posti, tre centri di accoglienza già istituiti poche settimane prima, a Santa Maria Capua Vetere (CE), a Palazzo San Gervasio (PZ) e a Kinisia (TP), in base alle ordinanze di emergenza civile adottate a marzo per fronteggiare l'emergenza derivante dal massiccio afflusso di migranti dai paesi del Nord-Africa. Anche in queste nuove strutture, come nei vecchi centri sono state denunciate gravi lesioni ai diritti di difesa dei migranti, e sono stati frapposti ostacoli per un tempestivo accesso degli avvocati muniti di nomina come difensori di fiducia. Quando gli avvocati sono riusciti ad entrare per esercitare la loro attività di difesa si è fatto ricorso a moduli prestampati e rimaneggiati in modo grossolano per fare fronte alle eccezioni opposte dai difensori, ed alla fine i giudici di pace hanno convalidato tutto, anche quando era evidente che i termini di legge erano scaduti. Di alcuni di questi casi se ne stanno occupando adesso le Procure della Repubblica competenti e tra breve anche la Corte di Cassazione. Ad evidenti scopi ritorsivi ed intimidatori nei confronti degli avvocati si è giunti pure al consueto espediente di mettere in dubbio l'autenticità delle procure conferite dagli immigrati in fasi di identificazione, procedure che si sono protratte per settimane, da Lampedusa ai nuovi CIET istituiti con l'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 aprile scorso, o nei vecchi CIE. Settimane nel corso delle quali alcuni migranti, privati di ogni informazione legale e di qualsiasi contatto con l'esterno, hanno declinato diverse generalità. La mancata autenticità della prima dichiarazione di identità è stata ritenuta una ragione sufficiente da parte delle autorità italiane per escludere persino il tempestivo accesso al diritto di difesa.

4. La libertà personale dei migranti tra accoglienza e detenzione amministrativa dalla CEDU al Regolamento di attuazione 394 del 1999. Oltre le garanzie costituzionali

L'art. 5 comma 1 lettera f della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell'uomo afferma che “nessuno può essere privato della libertà, salvo che nei casi seguenti e nei modi prescritti dalla legge”, tra i casi elencati ricorre appunto l'ipotesi “dell'arresto o della detenzione regolari” di una persona per impedirle di entrare irregolarmente nel territorio, o di una persona contro la quale è in corso un procedimento d'espulsione o di estradizione. Ogni persona arrestata o detenuta in base a questa previsione “deve essere tradotta al più presto dinanzi ad un giudice o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura”.

Secondo l'art. 5 comma 4, della stessa Convenzione, “ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso davanti ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini l scarcerazione se la detenzione è illegittima”. Tutta la formulazione di questa norma si pone in contrasto con il prolungamento della detenzione amministrativa alla esecuzione della misura di allontanamento. In realtà quello che il governo italiano vuole è la trasformazione della funzione stessa della detenzione amministrativa, non più uno strumento per rendere effettive le espulsioni o i respingimenti, ma uno strumento propagandistico per infondere sicurezza nei cittadini, anche quando si rischia di sortire nei fatti il risultato opposto di ampliare ulteriormente le aree di clandestinità e la devianza sociale.

In base alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo, se l'art. 5 comma 1 lettera f. della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU) ammette la detenzione amministrativa “regolare” di una persona “contro la quale è in corso un procedimento di espulsione o di estradizione”, occorre tuttavia che la misura limitativa della libertà sia “proporzionata ed adeguata”, e che abbia una durata commisurata all'esigenza di assicurare le misure di allontanamento forzato. Secondo la Corte Europea dei diritti dell'uomo, una violazione dall'art. 5 potrà risultare sia da una detenzione amministrativa “non conforme” rispetto a tali criteri, che dalla mancanza di un ricorso effettivo. Secondo l'art. 5.4 della CEDU “ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinchè decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima”. Ogni persona vittima di arresto o di detenzione arbitraria “ha diritto ad una riparazione”. Anche in questo caso viene richiamato il principio che la decisione deve giungere entro un breve termine, e non certo entro mesi e mesi dall'inizio del trattenimento, sia pure come “ospiti”, in un centro di detenzione amministrativa.

Il trattenimento presso un centro di permanenza temporanea e assistenza è una misura che incide sulla libertà personale dello straniero. Tale libertà, tutelata nel nostro ordinamento dall'art. 13 della Costituzione, è un diritto fondamentale della persona umana, riconosciuto, dall'art. 2 comma 1 del T.U., anche allo straniero “comunque presente nel territorio dello Stato”, sia esso regolare, irregolare o clandestino.

Per armonizzare il dettato legislativo della legge 40 con l'art. 13, comma secondo della Costituzione, il legislatore ha previsto, con successivi interventi, indotti anche da importanti pronunce della Corte Costituzionale, un meccanismo di convalida da parte dell'autorità giudiziaria per la misura del trattenimento disposta dal questore.

Ai sensi dell'art. 14, comma 3 del T.U., il questore del luogo in cui si trova il centro di permanenza temporanea (che non è necessariamente lo stesso che adotta il provvedimento di trattenimento) deve provvedere a richiedere la convalida del decreto di trattenimento al giudice territorialmente competente entro le 48 ore dall'emanazione della misura restrittiva. In una -ormai risalente- Circolare interna della Pretura circondariale di Milano del 31 marzo 1999, precisava che “ai fini della decorrenza del termine di 48 ore, concesso alla questura per la trasmissione al magistrato degli atti di trattenimento dello straniero nel centro, si deve avere riguardo al momento in cui il provvedimento è notificato all'interessato e non quando lo straniero viene condotto e fa ingresso nel centro di permanenza”. E questo orientamento operativo, ormai una vera e propria prassi amministrativa consolidata, ancora oggi costituisce un espediente che di fatto consente di trattenere per settimane le persone giunte irregolarmente in Italia, senza notificare alcun provvedimento, facendo poi risultare il rispetto dei termini imposti dalla legge e dalla Costituzione solo a partire dalla notifica del decreto di trattenimento. Il giudice di pace, ricevuta copia dal questore degli atti relativi al trattenimento e all'espulsione o al respingimento dello straniero, sentito l'interessato, con l'assistenza del difensore, deve verificare la sussistenza dei presupposti di legge per l'adozione della misura del trattenimento entro le successive 48 ore. Ai fini del rispetto di tale temine si deve aver riguardo all'ora di inizio dell'udienza e non all'ora in cui viene effettivamente sentito lo straniero trattenuto. Anche su questo ultimo aspetto si giocano altri “escamotage” per “salvare” le convalide in extremis, come è successo a Santa Maria Capua Vetere, dove le convalide iniziate nella medesima udienza sono durate giorni...

Nessun trattenimento amministrativo a carico di migranti irregolari può essere disposto per motivi diversi da quelli previsti dalla legge. Il Regolamento di attuazione n.394/1999 detta regole minime da rispettare in tutti i casi di trattenimento, sia che questo segua ad un provvedimento di espulsione che ad un provvedimento di respingimento differito adottato dal questore ai sensi dell'art. 10 comma 2 del Testo Unico n. 286 del 1998.

L'art. 20 D.P.R. 394/99, Regolamento di attuazione prescrive che

  • il decreto di trattenimento sia comunicato all'interessato a mani proprie e sia adottato in forma scritta e motivata, con traduzione in lingua conosciuta;
  • il trattenuto deve essere informato del diritto di essere assistito da un difensore di fiducia o, in difetto, d'ufficio, e che le comunicazioni saranno effettuate presso il difensore;
  • il trattenimento non può essere protratto oltre il tempo strettamente necessario alla rimozione degli ostacoli che si frappongono all'esecuzione dell'espulsione (tassativamente previsti dall'art. 14 T.U.); oggi questo termine è di 180 giorni, salva la possibilità di una rimessione in libertà con l'intimazione a lasciare entro 5 giorni il territorio (il cd. foglio di via).
  • il trattenuto non ha lo status di detenuto, tant'è che se fugge non commette il reato di evasione, tuttavia è impedito l'esercizio della sua libertà personale, e, se si allontana dal centro la forza pubblica ha il dovere di ripristinare la misura restrittiva.

L'art. 21, comma 4, dello stesso Regolamento di attuazioneprevede che “il trattenimento dello straniero può avvenire unicamente presso i centri di permanenza temporanea individuati ai sensi dell'art. 14, comma 1, del test unico, o presso i luoghi di cura in cui lo stesso è ricoverato per urgenti necessità di soccorso sanitario”.

Il Regolamento di attuazione n.394 del 1999 assume grande importanza anche perché consente di individuare i cd. CPSA, come quello di Lampedusa, a Contrada Imbriacola, quei centri che secondo l'art. 23 sono destinati appunto alle “Attività di prima assistenza e soccorso”). Secondo il Regolamento dunque:

1. Le attività di accoglienza, assistenza e quelle svolte per le esigenze igienico-sanitarie, connesse al soccorso dello straniero possono essere effettuate anche al di fuori dei centri di cui all'articolo 22 (CIE), per il tempo strettamente necessario all'avvio dello stesso ai predetti centri o all'adozione dei provvedimenti occorrenti per l'erogazione di specifiche forme di assistenza di competenza dello Stato.

Tali disposizioni di fonte regolamentare, dunque, in ossequio alla legge - né potrebbe essere altrimenti, stante la riserva assoluta prevista dall'art. 13 della Costituzione - prevedono che la privazione della libertà personale dello straniero nei procedimenti amministrativi relativi al suo allontanamento può avvenire unicamente presso i CPT, mentre al di fuori di tali centri (e dunque anche nei CPA) possono svolgersi unicamente attività di accoglienza, assistenza e quelle svolte per esigenze igienico sanitarie, ma non può esservi limitazione della libertà personale; in ogni caso ogni eventuale limitazione della libertà personale deve obbedire ai rigidi criteri imposti dall'art. 13 della Costituzione e dalle disposizioni di legge in materia.

Al di là delle norme in materia di immigrazione, la legge italiana prevede inoltre due sole ipotesi di provvedimenti limitativi della libertà personale adottati dall'autorità di polizia finalizzati all'identificazione del soggetto: l'accompagnamento ed il trattenimento della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti, trattenimento che non può superare le dodici ore e deve essere immediatamente comunicato al pubblico ministero, che può ordinare il rilascio della persona accompagnata (art. 349 c.p.p.); l'accompagnamento ed il trattenimento al solo fine dell'identificazione della persona che, richiestone, rifiuti di dichiarare le proprie generalità, ovvero quando ricorrano sufficienti indizi per ritenere la falsità delle sue dichiarazioni sulla propria identità o dei documenti esibiti, trattenimento che non può protrarsi oltre le ventiquattro ore e deve essere immediatamente comunicato al pubblico ministero, che può ordinare il rilascio della persona accompagnata (art. 11 D.L. 59/78, convertito con modificazioni dalla L. 191/78). Non si può dunque protrarre per settimane il trattenimento amministrativo ai soli fini della identificazione delle persone che hanno attraversato irregolarmente le frontiere italiane.

A seguito della fondamentale sentenza 105/2001 della Corte costituzionale è principio pacifico che il trattenimento è misura che incide sulla libertà personale (e non solo di circolazione), sicché soggiace alla disciplina dettata dall'art. 13 co. 2 e 3 Cost. che prevede il rispetto di due principi fondamentali: la riserva di legge e la riserva di giurisdizione. La giurisprudenza costituzionale ha messo anche in evidenza lo stretto legame che ricorre tra il principio del contraddittorio e l'esercizio effettivo dei diritti di difesa, da riconoscere comunque a tutti gli immigrati anche se entrati irregolarmente nel territorio nazionale.

Il principio del contraddittorio postula un riconoscimento effettivo dei diritti di difesa. La sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2004 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 5-bis, del d.lgs. 286/1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) - introdotto dall'art. 2 del decreto legge 51/2002 (Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all'immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con modificazioni, nella legge 106/2002 - nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell'esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa. Quest'ultima sentenza, nel solco aperto dalla precedente decisione n.105 del 2001 della Corte Costituzionale, ha affermato che qualunque procedura di allontanamento forzato, anche se non si realizza con il trattenimento in un CPT (oggi CIE) si traduce in una misura limitativa della libertà personale, che come tale non può essere sottratta ai limiti posti dall'art. 13 della Costituzione. Secondo questa sentenza qualsiasi tipo di accompagnamento dello straniero “inerisce alla materia regolata dall'art. 13 Cost., in quanto presenta quel carattere di immediata coercizione che qualifica le restrizioni della libertà personale e che vale a differenziarle dalle misure incidenti sulla libertà di circolazione”.

Non è dunque ammissibile che in strutture destinate alla prima accoglienza e soccorso, come i CPSA di Pozzallo, in provincia di Ragusa, e contrada Imbriacola a Lampedusa, vengano trattenuti per settimane immigrati che vengono privati persino di un provvedimento che li riguardi e contro il quale non possano fare tempestivo ricorso.

Si deve ricordare tuttavia che se i provvedimenti di respingimento differito vengono disposti ed eseguiti nell'arco di 48-96 ore dal momento dell'inizio del trattenimento, ma secondo le Questure solo dalla data del decreto di respingimento, lo straniero è privato del tutto di diritti di difesa, anche se è stato trattenuto per un mese in un regime di totale limitazione della libertà personale, come sta accadendo in questo ultimo periodo nel CPSA dell'isola di Lampedusa ed in altri centri di accoglienza/detenzione ubicati in varie parti d'Italia.

L'art. 20, comma 5 del Regolamento di attuazione precisa a tale riguardo che “lo svolgimento della procedura di convalida del trattenimento non può essere motivo del ritardo dell'esecuzione del respingimento”. Lo straniero “respinto” sembra dunque godere di minori garanzie rispetto a quello che, per essersi trattenuto sul territorio in posizione irregolare o clandestina, è invece soggetto a un provvedimento di espulsione. Ed anche questo è il motivo per il quale le Questure adottano provvedimenti di respingimento differito, operando con una vasta discrezionalità anche in casi nei quali potrebbe emettersi un provvedimento di espulsione. Per lo straniero fermato all'ingresso o subito dopo aver varcato illegalmente il confine, il trattenimento può non arrivare fino alla fase di convalida da parte dell'autorità giudiziaria: nel caso in cui gli ostacoli all'accompagnamento coattivo alla frontiera siano rimossi, entro i brevi termini previsti per il controllo giurisdizionale e lo straniero “respinto” può essere rimpatriato senza che alcun giudice sia chiamato a convalidare la sua, pur breve, privazione della libertà personale. Una prassi che appare fornire una chiave di applicazione dell'art. 10 comma 2 del T.U. sull'immigrazione, in materia di respingimento differito, totalmente in contrasto con quanto affermato dalla sentenza n.105 del 2001 da parte della Corte Costituzionale, secondo la quale tutte le diverse ipotesi di accompagnamento forzato in frontiera, siccome provvedimenti amministrativi che limitano la libertà personale, devono essere soggetti alla convalida del giudice, nei ristretti termini temporali dettati dall'art. 13 della Costituzione.

5. I diritti di informazione degli immigrati nei centri di detenzione e nei centri di accoglienza

Riportiamo l'Art. 3 del Regolamento di attuazione (394/1999) del Testo unico sull'immigrazione norma che contiene disposizioni che, nella pratica amministrativa adottata in questi mesi da diverse questure, vengono costantemente eluse, o adottate quando non è più possibile fare valere effettivamente i diritti di difesa.

Art. 3 (Comunicazioni allo straniero)

  1. Le comunicazioni dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria relative ai procedimenti giurisdizionali previsti dal testo unico e dal presente regolamento sono effettuate con avviso di cancelleria al difensore nominato dallo straniero o a quello incaricato di ufficio.
  2. Le comunicazioni dei provvedimenti concernenti gli stranieri diversi da quelli indicati nel comma 1, emanati dal Ministro dell'interno, dai prefetti, dai questori o dagli organi di polizia sono effettuate a mezzo di ufficiali od agenti di pubblica sicurezza, con le modalità di cui al comma 3, o, quando la persona è irreperibile, mediante notificazione effettuata nell'ultimo domicilio conosciuto.
  3. Il provvedimento che dispone il respingimento, il decreto di espulsione, il provvedimento di revoca o di rifiuto del permesso di soggiorno, quello di rifiuto della conversione del titolo di soggiorno, la revoca od il rifiuto della carta di soggiorno sono comunicati allo straniero mediante consegna a mani proprie o notificazione del provvedimento scritto e motivato, contenente l'indicazione delle eventuali modalità di impugnazione, effettuata con modalità tali da assicurare la riservatezza del contenuto dell'atto. Se lo straniero non comprende la lingua italiana, il provvedimento deve essere accompagnato da una sintesi del suo contenuto, anche mediante appositi formulari sufficientemente dettagliati, nella lingua a lui comprensibile o, se ciò non è possibile per indisponibilità di personale idoneo alla traduzione del provvedimento in tale lingua, in una delle lingue inglese, francese o spagnola, secondo la preferenza indicata dall'interessato. (.)
  4. Nel provvedimento di espulsione e nella sintesi di cui al comma 3, lo straniero è altresì informato del diritto di essere assistito da un difensore di fiducia, con ammissione, qualora ne sussistano i presupposti, al gratuito patrocinio a spese dello Stato a norma della legge 30 luglio 1990, n. 217, e successive modificazioni, ed è avvisato che, in mancanza di difensore di fiducia, sarà assistito da un difensore di ufficio designato dal giudice tra quelli iscritti nella tabella di cui all'articolo 29 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e che le comunicazioni dei successivi provvedimenti giurisdizionali saranno effettuate con l'avviso di cancelleria al difensore nominato dallo straniero o a quello incaricato di ufficio.

Appare singolare come il comma 3 della norma faccia riferimento solo al provvedimento di espulsione, e non anche al provvedimento di respingimento differito, come se in caso di respingimento differito l'immigrato non avesse diritto ad essere assistito da un difensore di fiducia, un assurdo giuridico che corrisponde alla prassi delle forze di polizia nel trattenimento amministrativo senza titolo delle persone nei centri di detenzione, un aspetto del quale sarebbe bene interessare al più presto la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei diritti dell'Uomo, e dopo l'entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, anche la Corte di giustizia di Lussemburgo.

6. La limitazione del diritto di visita e di cronaca, anche per impedire la proposizione di ricorsi tempestivi alla luce della direttiva “rimpatri” 2008/115/CE

Dopo la circolare del ministro Maroni del 1 aprile 2011, persino deputati e senatori sono stati tenuti fuori dai centri di detenzione amministrativa, quasi che si trattasse di strutture più chiuse delle carceri di massima sicurezza. Il 5 aprile nel CIE temporaneo, una tendopoli, allestito all'interno della caserma militare di S.M Capua Vetere per ospitare i migranti arrivati da Lampedusa, è stato negato alla senatrice del partito democratico, Annamaria Carloni. Impossibile quindi anche per le telecamere poter mostrare all'opinione pubblica le condizioni in cui vivevano i primi 471 immigrati provenienti da Lampedusa sbarcati nel porto di Napoli due giorni prima. Dopo diversi interventi in Parlamento e dichiarazioni pubbliche di numerosi Parlamentari, è stata ripristinata la possibilità a individui singoli come parlamentari europei, deputati e senatori della Repubblica e consiglieri regionali di avere accesso ai Centri di identificazione ed espulsione nonché ai Centri di Assistenza pei Rifugiati in base ad accordi verbali ad hoc a seguito di richieste avanzate dai parlamentari. Da queste visite emergevano gravi criticità sul rispetto dei diritti di informazione (art. 21 della Costituzione) e dei diritti di difesa (art. 24 e 113 della Costituzione), anche con riferimento alle difficoltà frapposte agli avvocati per un tempestivo accesso nei centri di accoglienza e di detenzione.

Si è negato l'ingresso ad avvocati nominati dai migranti nel centro di transito di Porto Empedocle (oggi chiuso) e nel centro di primo soccorso ed accoglienza di Lampedusa, richiedendo in questo ultimo caso una speciale autorizzazione da parte del Ministero dell'interno, autorizzazione che è giunta in ritardo dopo una giornata di attesa e non ha permesso l'audizione di tutti i migranti che avevano nominato un avvocato di fiducia. Fatti inequivocabili, come la pretesa di subordinare l'attività dell'avvocato ad una autorizzazione del Prefetto o addirittura del Ministro, e gravi omissioni che adesso potrebbero innescare proteste che andranno addebitate soltanto a chi ha impedito una corretta informazione, la mediazione di organizzazioni non governative indipendenti e un effettivo esercizio dei diritti di difesa.

La circostanza che la circolare ministeriale n.1305, del primo aprile 2011, nel precludere il diritto di accesso fino a nuova disposizione, si riferisse a strutture diverse, come i CARA ed i CIE, e che le stesse preclusioni fossero opposte nei “centri di transito”, che spesso fungono come centri di accoglienza ed identificazione, come le strutture ubicate nelle aree portuali di Pozzallo e di Porto Empedocle in Sicilia, suscita le più gravi preoccupazioni circa il mancato rispetto delle garanzie procedurali previste per tutti i migranti sia irregolari che richiedenti asilo, senza possibilità di distinzione, come ricordato da ultimo dalla sentenza della Corte di Giustizia del 28 aprile 2011 sulla mancata attuazione in Italia della Direttiva comunitaria sui rimpatri 2008/115/CE.

La circolare n.1305 del primo aprile 2011 costituisce un grave atto di esercizio arbitrario della potestà amministrativa che nella parte motiva fa riferimento a non meglio precisate esigenze di “non creare intralci” alle attività svolte all'interno delle strutture dove vengono trattenuti anche immigrati che non hanno mai ricevuto la notifica di alcun provvedimento amministrativo, magari settimane dopo il loro ingresso nel territorio nazionale. Si assiste così al dispiegarsi di una vastissima discrezionalità amministrativa in una materia che riguarda diritti soggettivi perfetti e principi costituzionali cogenti che le autorità non possono incidere fino al loro sostanziale svuotamento. Anche l'espressione “fino a nuova disposizione” accentua il carattere discrezionale della circolare, e il rischio che la sua prolungata applicazione possa ledere diritti fondamentali dei migranti e la libertà di informazione comunque garantita dall'art. 21 della Costituzione. Ed è ancora più grave che questa circolare venga frapposta al tempestivo accesso degli avvocati muniti di regolare procura nei centri dove vengono trattenute persone il cui stato giuridico è ancora incerto, affidato alle mutevoli determinazioni dell'autorità amministrativa.

Un aspetto particolarmente grave, che si salda al mancato riconoscimento dei diritti di difesa, riguarda le procedure di identificazione dei migranti dopo gli sbarchi a Lampedusa ed i successivi trasferimenti in altri centri italiani. La maggior parte di coloro che vengono trasferiti per essere poi trattenuti nei centri di detenzione amministrativa, variamente denominati, non risulta in possesso di un documento e non ha ricevuto la notifica di alcun provvedimento. Alcuni sono soltanto in possesso di un foglio compilato al momento del loro arrivo in Italia, a Lampedusa o Pantelleria, basato sulle loro stesse dichiarazioni. Tuttavia nei provvedimenti amministrativi notificati agli interessati, quando finalmente tali provvedimenti vengono adottati, non risulta che siano successivamente svolte attività di verifica da parte delle Questure presso le autorità consolari competenti. In sostanza, quindi, il trattenimento e poi la proroga del trattenimento avvengono con la giustificazione che non si è avuto il tempo di svolgere l'attività di identificazione, un'attività che però non risultava mai iniziata e della quale spesso non risulta alcuna traccia. Probabilmente è proprio su questi fatti che si vuole impedire il corretto esercizio del diritto di difesa che potrebbe mettere in evidenza, al pari dell'esercizio del diritto di cronaca da parte dei giornalisti, prassi amministrative che non appaiono rispettose né delle norme interne e comunitario, né della dignità della persona.

In base all'art. 13 della direttiva 2008/115/CE, che adesso Maroni vorrebbe “sterilizzare” con la recente legge n.129 approvata dal parlamento italiano il 2 agosto scorso, in modo da superare le “criticità” derivanti dalla sentenza di condanna dell'Italia da parte della Corte di Giustizia del 28 aprile 2011, “al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio di cui all'articolo 12, paragrafo 1, o per chiederne la revisione dinanzi ad un'autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza. Ai sensi del secondo comma dell'art. 13 della Direttiva, l'autorità o l'organo menzionati al paragrafo 1 hanno la facoltà di rivedere le decisioni connesse al rimpatrio di cui all'articolo 12, paragrafo 1, compresa la possibilità di sospenderne temporaneamente l'esecuzione, a meno che la sospensione temporanea sia già applicabile ai sensi del diritto interno”. In particolare, con una previsione cogente che nessuna circolare o ordinanza ministeriale potrebbe derogare, “il cittadino di un paese terzo interessato ha la facoltà di farsi consigliare e rappresentare da un legale e, ove necessario, di avvalersi di un'assistenza linguistica”.

Inoltre “gli Stati membri provvedono a che sia garantita, su richiesta, la necessaria assistenza e/o rappresentanza legale gratuita ai sensi della pertinente legislazione o regolamentazione nazionale in materia e possono disporre che tale assistenza e/o rappresentanza legale gratuita sia soggetta alle condizioni di cui all'articolo 15, paragrafi da 3 a 6, della direttiva 2005/85/CE”. Peccato, se non fossero così fuori moda, forse sarebbe bastato richiamare gli articoli 13, 24 e 113 della Costituzione italiana, ma per molti questori, in linea con i ministri di riferimento, sono ormai norme che recano soltanto impaccio alla esecuzione delle misure di allontanamento forzato.

Secondo l'art. 16 della Direttiva comunitaria 2008/115/CE, che peraltro il governo non ha ancora attuato, “i pertinenti e competenti organismi ed organizzazioni nazionali, internazionali e non governativi hanno la possibilità di accedere ai centri di permanenza temporanea di cui al paragrafo 1, nella misura in cui essi sono utilizzati per trattenere cittadini di paesi terzi in conformità del presente capo. Tali visite possono essere soggette ad autorizzazione. I cittadini di paesi terzi trattenuti sono sistematicamente informati delle norme vigenti nel centro e dei loro diritti e obblighi. Tali informazioni riguardano anche il loro diritto, ai sensi della legislazione nazionale, di mettersi in contatto con gli organismi e le organizzazioni di cui al paragrafo 4”. La Direttiva non limita quindi il diritto di ingresso e di informazione degli avvocati, né può essere presa come pretesto per limitare i diritti di difesa, anche se conferma la necessità di una particolare autorizzazione per le organizzazioni non governative. La normativa comunitaria sopra richiamata si applica peraltro esclusivamente ai centri di identificazione ed espulsione e quanto da essa previsto non può valere per i CARA, centri di accoglienza per richiedenti asilo o analoghi centri di accoglienza come i “centri di prima accoglienza e soccorso” e quelli previsti in base alla legge Puglia del 1995. In nessun caso lo specifico richiamo ad una “autorizzazione” del ministero dell'interno può svuotare il diritto di difesa riconosciuto da altre norme della stessa Direttiva. L'accesso degli avvocati muniti di regolare procura non può essere limitato o ritardato in alcun modo.

L'11 maggio 2011 il Presidente della commissione diritti umani del Senato, Pietro Marcenaro, e il senatore Sergio Divina si sono recati in visita al Centro di identificazione ed espulsione di Santa Maria Capua a Vetere e a Castel Volturno. Era presente anche la senatrice Anna Maria Carloni. Giunta in mattinata alla ex-caserma “Andolfato”, sede del CIE, la delegazione è stata accolta dal Vice Prefetto vicario di Caserta, dottor Armogida, insieme a Giuseppe Papillo, responsabile della Croce rossa italiana (C.R.I.), ente gestore del centro, ad alcuni dirigenti della Polizia di Stato (responsabili insieme ad altre Forze dell'Ordine, della sicurezza all'interno del centro).

Secondo le informazioni assunte dalla delegazione entrata nel CIET di Santa Maria Capua Vetere, gli avvocati hanno partecipato alle udienze per la convalida dei provvedimenti di trattenimento, solo a partire dalla data del 21 aprile, giorno il quale il centro di accoglienza è stato trasformato in un Centro di identificazione ed espulsione temporaneo, in base all'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n.5833, rispetto ai quali hanno avuto scarsissime possibilità di incidere essendo risultato subito chiaro dalle parole del giudice che la convalida sarebbe avvenuta per tutti gli immigrati trattenuti nella struttura dal 18 aprile, dopo esservi stati trasferiti da Lampedusa con la nave traghetto Excelsior, un viaggio durato una settimana in condizioni chiaramente detentive, con una forzatura evidente sul termine di 48 ore richiesto dalla legge e dall'art. 13 della Costituzione per la convalida dei provvedimenti amministrativi limitativi della libertà personale. Sarebbe importante che la Corte di Cassazione, presso la quale si sono impugnate le convalide dei trattenimenti fuori termine e delle relative proroghe, annullasse le convalide di questo tipo di trattenimenti amministrativi o sollevasse almeno una questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia, per verificare lo scarto tra il comportamento delle autorità di polizia italiane ed il disposto già vincolante, nelle parti in cui la Direttiva contiene disposizioni sufficientemente “chiare, precise e circostanziate”, in materia di allontanamento forzato e di trattenimento amministrativo.

7. Le garanzie procedurali minime in favore degli immigrati trattenuti nei centri di detenzione amministrativa

Si è già ricordato come il provvedimento con cui il questore dispone il trattenimento dello straniero presso un centro di permanenza temporanea e assistenza debba essere comunicato all'interessato unitamente al provvedimento di espulsione o di respingimento. La comunicazione, effettuata mediante consegna a mani proprie o notificazione dei provvedimenti, deve avvenire con modalità tali da assicurare la riservatezza del contenuto degli atti (art. 3, comma 3 Regolamento di attuazione). Se lo straniero non comprende la lingua italiana, detti provvedimenti devono essere tradotti in una lingua a lui comprensibile e ove ciò non sia possibile, in una lingua scelta tra l'inglese, il francese o lo spagnolo a seconda della preferenza indicata dall'interessato. La traduzione può non essere letterale e contenere solo una sintesi del contenuto degli atti. Poiché raramente sono fornite traduzioni dei provvedimenti in lingua araba, albanese o rumena, le comunicazioni degli atti agli stranieri avvengono per lo più nelle tre lingue europee che la legge indica in via subordinata.

Con la medesima comunicazione lo straniero è informato del diritto di essere assistito nel procedimento di convalida del decreto di trattenimento da un difensore di fiducia, con ammissione, ricorrendone le condizioni, al gratuito patrocinio a spese dello Stato. Allo straniero è dato altresì avviso che in mancanza di un difensore di fiducia, sarà assistito da un difensore d'ufficio, e che le comunicazioni dei successivi provvedimenti giurisdizionali saranno effettuate con avviso di cancelleria al difensore nominato o a quello incaricato d'ufficio (art. 20 comma 2 Regolamento di attuazione). Se nel verbale di notifica del decreto di trattenimento non risulta la facoltà di nominare un difensore di fiducia che assista lo straniero nel procedimento di convalida, o tale avviso non è stato tradotto in una lingua conosciuta all'espulso o in una delle tre lingue europee che la legge indica in via subordinata, il giudice, nel procedimento in camera di consiglio, non può convalidare la misura del trattenimento emessa dal questore.

La Corte costituzionale, con ordinanza del 22 novembre 2001 n. 385, dichiarava:

  • la manifesta inammissibilità della censura rivolta nei confronti dell'art. 20 del Regolamento “trattandosi di disposizione contenuta in un atto privo del requisito della forza di legge”;
  • la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 comma 3 del T.U. sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione.

Secondo la Corte nel procedimento di convalida del trattenimento l'effettività del diritto di difesa non è compromessa, “potendo comunque lo straniero, fin dall'inizio del trattenimento nel centro, ricevere visitatori provenienti dall'esterno e in particolare il difensore che abbia eventualmente scelto ed essendogli altresì garantita libertà di corrispondenza, anche telefonica (art. 21, commi 1 e 3, del D.P.R. n. 394 del 1999)”.

La limitazione della libertà di ricevere visite dall'esterno, come la privazione della libertà di comunicare telefonicamente con l'esterno, effetto delle più recenti circolari adottate dal Ministero dell'interno, incidono dunque sul corretto esercizio dei diritti di difesa comunque riconosciuti anche agli immigrati irregolari trattenuti nei centri di detenzione amministrativa, al di là della loro mutevole denominazione. Una prassi applicativa che, se giungesse all'esame della Corte Costituzionale, dovrebbe fare propendere i giudici per una sentenza di incostituzionalità e non per l'ennesima sentenza di interpretazione conforme. Tocca semmai ai giudici di rinvio adottare motivazioni congrue ed esaurienti per evitare che la Consulta possa dichiarare inammissibile la questione di costituzionalità facendo leva soltanto sui difetti formali o sulla insufficiente motivazione delle ordinanze di rimessione.

Malgrado la cautela adottata nelle decisioni più recenti, i giudici costituzionali hanno segnato chiaramente i limiti della discrezionalità di polizia nell'adozione delle misure di trattenimento ed accompagnamento forzato degli stranieri irregolari. I limiti temporali sanciti dall'art. 13 della Costituzione per i provvedimenti amministrativi che limitano la libertà personale appaiono insuperabili. Si deve rinviare a tale riguardo alle fondamentali sentenze della Corte Costituzionale n.105 del 2001 e n.222 del 2004. E risulta anche importante la decisione della Corte di giustizia dell'Unione Europea del 28 aprile del 2011, che richiama il possibile contrasto di altri aspetti della normativa italiana in materia di immigrazione con la direttiva 2008/115/CE, con possibile riferimento dunque all'art. 13 della Direttiva che tratta dei mezzi di ricorso e dei successivi articoli 14 e 15 che stabiliscono precise garanzie procedurali in caso di rimpatrio forzato.

I problemi più gravi si stanno verificando adesso nei casi di convalida della proroga dei provvedimenti di trattenimento amministrativo, anche a fronte della lunga durata della detenzione amministrativa, tra Lampedusa e le navi prigione utilizzate per i trasferimenti di massa, prima della formalizzazione del decreto di trattenimento. Particolarmente grave la situazione di coloro che vengono internati in un centro di detenzione dopo che la loro richiesta di asilo, o di altra forma di protezione, è stata respinta dalla competente commissione territoriale.

La Suprema Corte, con una pronuncia del 24 febbraio 2010, n. 4544, in rifermento sia alla proroga del trattenimento prevista dall'art. 14, comma 5 del d.lgs. 286/1998 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” che nell'ipotesi di cui all'art. 21, comma 2 del d.lgs. 25/2008 “Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato” ovvero qualora il prolungarsi del trattenimento si renda necessario per consentire l'esame della domanda di asilo.

La partecipazione necessaria del difensore e l'audizione dell'interessato, previste esplicitamente dall'art. 14, comma 4 del d.lgs n. 286/1998 per il primo trattenimento, devono essere assicurate anche per la decisione sulla richiesta di proroga, attraverso una lettura costituzionalmente orientata del successivo comma quinto che pur non reiterandole espressamente, le contiene implicitamente, atteso che l'opposta interpretazione determinerebbe una lesione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Si legge nella parte motiva della sentenza “...sarebbe di solare evidenza la incostituzionalità della lettura della norma sulla proroga che facesse di essa un meccanismo di controllo officioso della richiesta, al di fuori delle garanzie della difesa nel regolare contraddittorio e con possibilità di audizione dell'interessato” e ancora “l'incidenza evidente di tal interpretazione sull'art. 24 Cost. si accoppierebbe ad una macroscopica disparità di trattamento (art. 3 Cost.) ove si riservasse il pieno contraddittorio e l'adeguata difesa alla verifica delle condizioni di accesso alla misura e si affidasse al singolare colloquio cartaceo tra Amministrazione e giudice di pace il controllo della permanenza e dell'aggravamento delle condizioni autorizzanti la protrazione del vincolo”.

I gravi ritardi frapposti all'accesso degli avvocati nell'accesso ai centri di detenzione amministrativa, effetto della recente circolare del primo aprile 2011 rischiano adesso di vanificare anche questi importanti riconoscimenti dei diritti di difesa dei migranti irregolari, come dei richiedenti asilo denegati, sottoposti alle procedure di allontanamento forzato. Ancora più grave la situazione derivante dalla blindatura dei centri, che rende sempre più difficile, per non dire impossibile, la nomina di un avvocato di fiducia, a meno che non ci sia un parente o altre persone che dall'esterno creino un contatto tra gli immigrati rinchiusi nei centri e recentemente privati anche dei telefoni cellulari, prima pacificamente consentiti.

Per queste ragioni, proprio nel momento nel quale vengono impediti gli accessi per tutti coloro che non accettano di convenzionarsi con il ministero dell'interno, e la direttiva ministeriale n. 1305 del 1 aprile 2011 viene utilizzata per limitare i più elementari diritti di difesa, spetta alle organizzazioni non governative, in collegamento con le reti già esistenti di avvocati impegnati a fianco delle associazioni antirazziste, costruire una rete diffusa sul territorio in modo di garantire un monitoraggio continuo, raccogliere la documentazione, diffondere le informazioni su quanto accade e ricorrere a tutti gli strumenti legali interni ed internazionali per denunciare quanto sta avvenendo nelle strutture dove si realizzano forme diverse di limitazione della libertà personale a carico degli immigrati irregolari, che non possono essere comunque sottratti al rispetto delle garanzie di difesa e procedurali riconosciute dagli articolo 3, 13, 24 e 113 della Costituzione, oltre che dalle Direttive comunitarie e dai principi cogenti di Diritto internazionale.

Bibliografia minima

  • P. Bonetti, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso e permanenza irregolare nel sistema del diritto degli stranieri: profili costituzionali e rapporti con la Direttiva comunitaria sui rimpatri, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2009,4, p. 85
  • Borraccetti, Il rimpatrio di cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2010,1, p.17
  • A. Puggiotto, I meccanismi di allontanamento dello straniero, tra politica del diritto e diritti violati, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2010,1, p.42
  • F. Vassallo Palelogo, Il respingimento differito disposto dal questore e le garanzie costituzionali, n Dir. Imm. Citt., 2009, fasc. 2, p.19.
  • F. Viganò, Diritto penale ed immigrazione: qualche riflessione sui limiti della discrezionalità del legislatore, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2010,3, p.13