ADIR - L'altro diritto

Il governo italiano mente al Comitato per la prevenzione della tortura

Fulvio Vassallo Paleologo, 2009

Si apprende dal Messaggero del 9 agosto scorso che "nella relazione consegnata al Comitato del Consiglio d'Europa per la prevenzione della tortura (Cpt) il governo nega di aver messo in atto respingimenti, ma di aver rispettato le norme contenute nel «protocollo opzionale dell'Onu sul traffico di persone via terra, mare, aria». Secondo la stessa fonte "tra maggio e luglio scorsi, sono state oltre 600 le persone fermate in mare prima del loro arrivo in Italia e rinviate, per la maggior parte in Libia e Algeria. Tra loro, secondo quanto riferito nella relazione consegnata al Cpt, anche donne e minori. Il Cpt è stato in missione in Italia per controllare che nessuno venga rinviato in un Paese dove correrebbe il rischio di essere torturato o maltrattato". In realtà i migranti respinti in acque internazionali, e consegnati alle autorità libiche, a partire dal 7 maggio di questo anno sono stati oltre 1100, tra i quali donne e minori non accompagnati, come si può verificare agevolmente andando a visitare il sito di Fortress Europe.

Secondo quanto riferito dal Messaggero, "il protocollo, approvato a Palermo nel 2000, è stato più volte oggetto di critiche da parte delle associazioni che difendono i diritti dei migranti perché non riconoscerebbe un vero e proprio diritto della persona "trafficata" a rimanere nei paesi di destinazione, prevedendo la concessione del permesso di soggiorno solo in casi valutati con discrezionalità. Inoltre, per quanto riguarda il rimpatrio, il protocollo - sempre secondo le associazioni - si limita ad affermare che «dovrebbe essere preferibilmente volontario». Elementi di discrezionalità questi che non tutelerebbero adeguatamente le vittime del traffico".

La cronaca giornalista, o i consulenti del governo che hanno ispirato questa ennesima "bufala" propinata da Berlusconi e Maroni al Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) del Consiglio d'Europa, confondono volutamente la pubblica opinione in quanto travisano la portata applicativa del Secondo Protocollo allegato alla Convenzione di Palermo del 2000 contro la Tratta di esseri umani", e riferiscono - strumentalmente, al fine evidente di disorientare e di nascondere le responsabilità - una giusta posizione critica delle associazioni, che non riguarda però il tema dei respingimenti in mare, ma l'eventuale diritto delle vittime del traffico a rimanere in Italia. Naturalmente sempre che sia stato loro concesso di entrare, come dovrebbe avvenire in base alle leggi nazionali ed alle Convenzioni internazionali, e come invece il governo italiano nega in maniera ormai sistematica, con i respingimenti verso la Libia, duramente condannati non solo da varie associazioni antirazziste e da Amnesty International, ma proprio dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e dunque dalle stesse Nazioni Unite (e in proposito va ricordato anche il sostegno offerto dallo stesso Segretario Generale all'ACNUR, sotto attacco del nostro governo nel mese di giugno, in occasione delle critiche rivolte alla Marina Militare per i respingimenti violenti verso la Libia).

Appare evidente che i principi, anche garantisti, affermati dal Protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Palermo contro la tratta del 2000, con riferimento alle espulsioni di chi sia entrato nel territorio nazionale non possono valere per coloro che vengono respinti in acque internazionali, o addirittura sono stati oggetto di azioni di salvataggio, trovandosi su imbarcazioni in procinto di affondare. La collaborazione tra stati di cui si parla nel Protocollo ha una portata prevalentemente a livello di scambio di informazione e non legittima alcuna forma di respingimento in mare. Nessun protocollo aggiuntivo ad una convenzione internazionale può violare la Convenzione di Ginevra sui rifugiati (in particolare il divieto di refoulement affermato dall'art. 33), la Convenzione ONU sui diritti dei minori, le garanzie previste dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell'uomo per il diritto alla vita (art. 2) e per impedire trattamenti inumani o degradanti (art. 3). Come afferma la Corte Europea dei diritti dell'Uomo queste norme hanno carattere assoluto ed inderogabile.

Il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione contro la tratta del 2000, impone in ogni caso una tutela particolarmente rafforzata delle donne e dei minori non accompagnati, che le nostre autorità politiche e militari respingono sistematicamente verso la Libia, ed in nessuno dei suoi paragrafi si trova il benché minimo appiglio per giustificare la prassi illegale dei respingimenti collettivi, vietati dall'art. 4 del Protocollo n.4 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell'Uomo.

L'Italia è sotto accusa davanti alla Corte di Strasburgo, dopo un ricorso presentato da alcuni migranti respinti in Libia il 7 maggio scorso, per avere violato questa norma e la fondamentale e inderogabile previsione sancita dall'art. 3 della stessa Convenzione, secondo il quale "nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti", come appunto si è riscontrato dopo le poche visite nei centri di detenzione libici consentite a rappresentanti dell'ACNUR e di altre associazioni, nel caso dei migranti consegnati dalle forze militari italiane alla polizia libica. E in Libia rimangono all'ordine del giorno le torture, gli stupri e le uccisioni di migranti detenuti dalle forze di polizia, come confermano ancora le cronache di questi ultimi giorni, gli stessi giorni nei quali si fa più intensa la collaborazione tra le forze di polizia italiane e quelle libiche.

Non si riesce a credere come i numerosi "ufficiali di collegamento" italiani presenti in Libia possano ignorare le modalità di trattamento inflitte dalla polizia di quel paese ai migranti respinti dall'Italia, ma evidentemente la contiguità o la convenienza politica, oltre che solide ragioni economiche, mettono a posto le coscienze e consigliano a tenere gli occhi chiusi e le bocche cucite.

Sui respingimenti illegali di migranti intercettati nelle acque del Canale di Sicilia abbiamo già detto che si pongono in contrasto con il diritto internazionale e con il diritto comunitario, incluso il Codice delle Frontiere esterne Schengen del 2006, un Regolamento comunitario, che dovrebbe essere vincolante per tutti gli stati appartenenti all'UE.

L'ASGI (Associazione studi giuridici sull'immigrazione), con altre associazioni, hanno presentato da tempo un esposto denuncia alla Commissione Europeo su respingimenti sommari effettuati dall'Italia in acque internazionali, e su un altro esposto denuncia sullo stesso argomento si deve ancora pronunciare a Procura di Roma, che ha invece chiesto la "archiviazione" di un precedente esposto penale sui respingimenti verso la Libia presentato dal Partito radicale.

Al di là del pronunciamento delle corti interne e dei tribunali internazionali, mentre in Libia proseguono gli abusi e le violenze ai danni dei migranti respinti dalle autorità italiane, dunque con il consenso esplicito del nostro governo, non possiamo che rinviare sul tema dei doveri di protezione degli stati nei confronti dei migranti che si trovano in acque internazionali a quanto già detto in precedenza. Ma vorremmo anche suggerire la lettura del testo della Convenzione di Palermo contro la Tratta di esseri umani e dei suoi Protocolli aggiuntivi, per misurare sino in fondo la ipocrisia, il cinismo ed il depistaggio vero e proprio che le autorità italiane propinano al Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa.

Restiamo in attesa di leggere il Rapporto finale del Comitato di prevenzione della tortura dopo questa visita in Italia, e attendiamo anche di verificare l'apertura di una procedura di infrazione davanti alla Corte di Giustizia da parte della Commissione Europea, mentre con tempi più lunghi potrebbe arrivare anche la condanna della Corte Europea dei diritti dell'uomo. Nulla potrà restituire la vita alle vittime di queste pratiche arbitrarie e risarcire i torti subiti dai migranti respinti dall'Italia verso la Libia in questi ultimi mesi. Ma la verità giudiziaria e l'accertamento delle responsabilità potranno almeno segnare per sempre i nomi ed i volti di coloro che hanno eseguito, permesso o ideato la pratica dei respingimenti collettivi verso la Libia. Anche se la stampa di regime continuerà a mistificare i fatti.