ADIR - L'altro diritto

Si criminalizza l'intervento umanitario
I processi proseguono ed i migranti continuano a subire abusi in Libia

Fulvio Vassallo Paleologo, 2007

1. - La politica estera del governo Prodi, in materia di contrasto dell'immigrazione irregolare e di accordi internazionali di cooperazione e di riammissione, prosegue su una linea che corrisponde sostanzialmente alle scelte del precedente governo, a parte la interruzione dei rimpatri diretti verso la Libia, censurati nel 2005 anche dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo. Ma già il governo Berlusconi aveva sospeso le operazioni di allontanamento forzato dall'Italia verso la Libia pochi mesi prima delle elezioni del 2006. Una scelta che non poteva cancellare le gravissime responsabilità derivanti dalle pratiche di espulsione, di respingimento e di internamento in Libia praticate a partire dal mese di ottobre del 2004, con i respingimenti collettivi da Lampedusa verso l'inferno libico.

Come si ricorderà, già dal 2004 l'Italia offriva la sua collaborazione a Gheddafi per arrestare, trattenere e respingere i migranti irregolari giunti in Libia. Secondo quanto affermato in quello stesso anno dal Prefetto Pansa, allora direttore dell'Ufficio immigrazione del Ministero dell'Interno, gli accordi stipulati dal nostro Paese con i paesi della sponda sud del Mediterraneo, ed in particolare, con la Libia "funzionano in maniera egregia". Nel corso di una audizione del Comitato Schengen a Palazzo San Macuto, il Prefetto ricordava che "l'idea di costruire centri di permanenza temporanea anche fuori dal territorio europeo è nata nel 2002 proprio in ambito Ue". Dunque - ricordiamo noi - nel pieno della Presidenza di Romano Prodi alla Commissione Europea. "Ci stiamo predisponendo - spiegava ancora il Prefetto - ad inviare in Libia tende da deserto attrezzate con brandine e alcuni confort di base per aiutare le autorità libiche che, sempre più spesso, bloccano proprio nel deserto masse di disperati spesso in condizioni davvero precarie". Lo stesso Prefetto aggiungeva "che si sta predisponendo, inoltre, l'invio di alcuni tecnici italiani per ristrutturare altri campi di permanenza nel paese libico, spiegando che dai primi dati a disposizione risulta che questi sono "in condizioni di tale fatiscenza che è preferibile ricostruirli ex novo", anticipando "che due centri sono ormai attivi, addirittura, in pieno deserto". Il governo italiano del tempo era ben consapevole della destinazione finale dei migranti irregolari bloccati in Libia, anche perché finanziava le operazioni di rimpatrio, come è stato poi documentato dalle relazioni annuali della Corte dei Conti e da varie agenzie internazionali. Concludeva infatti Pansa, che "le autorità libiche hanno già provveduto al rimpatrio di decine di migliaia di clandestini da quando sono in funzione gli accordi ed alcune migliaia, anche con il nostro contributo diretto specialmente per quanto riguarda cittadini egiziani" (Fonte ASCA).

La pressione del'opinione pubblica italiana, le denunce di Human Righs Watch, di Amnesty International, l'intervento della Corte Europea dei diritti dell'uomo, avevano poi costretto il governo Berlusconi, a sospendere i rimpatri verso la Libia (mentre non si ha notizia dei flussi finanziari ancora rivolti verso quel paese per finanziare le operazioni di respingimento e di trattenimento). Oggi, il ritorno prepotente alla strumentalizzazione dei temi della sicurezza e della lotta al terrorismo, confondendo con questo anche la cd. immigrazione illegale, stanno riaprendo scenari inquietanti, con i continui auspici di una maggiore collaborazione con Gheddafi allo scopo di bloccare l'immigrazione clandestina, senza una effettiva capacità di incidenza sulle condizioni disumane nelle quali le autorità libiche, con la copertura politica del governo italiano, detengono decine di migliaia di migranti.

La situazione in Libia dal 2004 al 2007 non è affatto mutata, malgrado l'intensificarsi dei rapporti diplomatici, le conferenze internazionali di Rabat e di Tripoli, lo scorso anno, il dispiegamento dei progetti finanziati anche dall'Unione Europea, come è confermato dai rapporti di grandi agenzie umanitarie come Human Rights Watch e dalle testimonianze di migranti irregolari detenuti ancora oggi nei centri di accoglienza, di transito e di detenzione libici, testimonianze raccolte e continuamente aggiornate, rinvenibili su Fortress Europe. Eppure, malgrado sia notorio il trattamento riservato ai migranti irregolari in Libia, in particolare alle donne ed ai minori, la collaborazione delle autorità italiane e libiche procede sempre di più e siamo alla vigilia della costituzione di pattuglie congiunte miste con la fornitura di importanti attrezzature militari per contrastare l'immigrazione irregolare. I governi italiano e libico convengono anche sulla necessità di praticare politiche di sviluppo dei paesi di origine dei migranti, ma le scelte operative e le risorse finanziarie appaiono concentrate sulle politiche del rimpatrio, volontario o forzato che sia.

L'operazione che il 6 dicembre 2007 ha consentito a 40 rifugiati eritrei, detenuti nel carcere di Misurata (in prevalenza donne e bambini), di arrivare in aereo a Roma per essere inseriti in Italia in un progetto rivolto ai rifugiati, è rimasta un fatto isolato, quasi nascosto all'opinione pubblica e gestito con abilità nelle sedi comunitarie nelle quali l'Italia ha potuto vantare di avere realizzato per la prima volta (?) una operazione di salvataggio in favore di soggetti particolarmente vulnerabili, ai quali peraltro era stato già riconosciuto dall'ACNUR lo status di rifugiato. Altre migliaia di loro compagni di sventura, eritrei e non solo, (compresi i mariti delle donne e i genitori dei minori condotti in Italia) rimangono però rinchiusi a Misurata e negli altri centri di detenzione in Libia, rischiando ogni giorno abusi da parte della polizia, con la prospettiva di non vedere mai più i propri familiari e di essere deportati verso i loro paesi di origine dove saranno ancora incarcerati e vittima di trattamenti inumani e degradanti.

Nei centri di detenzione libici ancora oggi si trovano migliaia di donne e di minori, che non sembrano commuovere i governanti europei che fanno la fila da Gheddafi per arruolare il colonnello nella crociata contro il "male", assortita al più conveniente sfruttamento delle risorse naturali libiche, non soltanto nella "guerra" al terrorismo, ma anche nelle operazioni di blocco dei migranti irregolari che attraverso la Libia sperano di raggiungere l'Europa. Già lo scorso anno le intenzioni del governo Prodi nei confronti della Libia, esposte in Parlamento dalla sottosegretario Lucidi, erano chiare, in perfetta coerenza con quanto dichiarato e praticato fino al 2004 dallo stesso Prodi come Presidente della Commissione Europea. In risposta ad una serie di interrogazioni, nella seduta del 19 settembre 2006, il sottosegretario affermava:

"Sul piano delle relazioni internazionali, sono stati intensificati i contatti e la cooperazione con le autorità libiche per contenere il fenomeno delle partenze di stranieri clandestini dai porti di quel paese - che è diventato quello di maggiore transito dei migranti diretti verso l'Europa -, riscontrando un elevato livello di convergenza che si intende ulteriormente innalzare, attraverso ulteriori e già programmate intese intergovernative. Proseguono le iniziative già avviate di collaborazione con le autorità libiche per un programma di assistenza tecnica e formazione professionale, l'assistenza per il rimpatrio degli immigrati illegali verso i paesi terzi, la fornitura di equipaggiamenti per un controllo più efficace delle frontiere e una cooperazione operativa ed investigativa per combattere le organizzazioni criminali che alimentano il fenomeno.
Il 12 settembre scorso (2006), nel quadro della collaborazione con le autorità di polizia libica per il contrasto dell'immigrazione clandestina, ha avuto luogo un incontro tecnico per definire le modalità di partecipazione di funzionari della polizia italiana alle operazioni in corso sulle coste di quel paese, dove sta iniziando ad operare una speciale task force allo scopo di bloccare in partenza le imbarcazioni cariche di clandestini.
L'incontro è anche servito per mettere a punto la collaborazione contro le organizzazioni criminali implicate nella tratta degli esseri umani. È stato in tal senso definito l'imminente arrivo a Roma di un esperto della polizia libica che fungerà da ufficiale di collegamento, rafforzando così la cooperazione investigativa già avviata grazie alla presenza, a Tripoli, di un ufficiale di collegamento della polizia italiana.
I funzionari italiani forniranno il loro supporto anche per consentire l'immediato sviluppo di ogni utile spunto investigativo.
Più in generale, in vista del rafforzamento della collaborazione euromediterranea e della cooperazione con i paesi del nord Africa, la Commissione europea, di intesa con il Governo italiano, ha proposto la convocazione della prossima Conferenza dell'Unione europea e dell'Unione africana sull'immigrazione a Tripoli, in Libia.
Ricordo che l'Italia ha sottoscritto 29 accordi di riammissione per conseguire un più agevole rimpatrio e allontanamento degli stranieri rintracciati in posizione irregolare sul territorio nazionale, attività che il Governo intende proseguire e sta proseguendo.
Il Governo italiano ha avviato anche altre forme di cooperazione con l'Egitto, la Tunisia e la Nigeria basata su programmi di assistenza tecnica con forniture di equipaggiamenti e mezzi. Il progressivo intrecciarsi dello sfruttamento dell'immigrazione illegale non solo con il traffico di esseri umani, di armi e di droga, ma anche con il terrorismo internazionale ci obbliga ad una particolare vigilanza sui clandestini provenienti dal Corno d'Africa, così come su quelli provenienti dall'area subsahariana, dove l'estremismo islamico si diffonde rapidamente
".

2. - Nella seduta alla Camera del 20 dicembre del 2007, il Sottosegretario agli interni Marcella Lucidi avrebbe dovuto rispondere -a nome del governo- ad una interrogazione presentata da Graziella Mascia, da Mercedes Frias e da altri parlamentari, sull'arresto e sul processo di sette pescatori tunisini che nel mese di agosto avevano salvato 44 naufraghi di varia nazionalità, conducendoli nel porto di Lampedusa. Il caso, che è ancora all'esame del Tribunale di Agrigento, poteva costituire un occasione per indurre il governo ad un ripensamento, almeno ad una maggiore trasparenza, sulle pratiche di contrasto dell'immigrazione irregolare, inclusa la partecipazione delle unità italiane alle operazioni di polizia marittima dell'agenzia europea FRONTEX. Dopo la vicenda che, nel mese di agosto del 2007, aveva visto ancora una volta gli autori di un intervento di salvataggio sul banco degli imputati, occorreva che il Governo facesse chiarezza sulle tecniche di ingaggio dei mezzi militari in servizio nel Canale di Sicilia, fornendo almeno una precisazione del carattere precettivo dell'art. 12 comma secondo del Testo Unico sull'immigrazione, che esclude la responsabilità penale di quanti prestano attività di assistenza e soccorso a immigrati in condizione di irregolarità, norma da applicare ovunque questo intervento si svolga, in caso di intervento di unità militari italiane.

Il governo ha invece risposto ribadendo le linee generali di contrasto dell'immigrazione irregolare a mare, già note da tempo, dedicando poi la maggior parte della risposta al ruolo delle associazioni e delle agenzie internazionali, dopo l'arrivo dei migranti a Lampedusa. Dalla risposta del governo è anche emersa la piena condivisione delle operazioni di respingimento e di blocco dell'Agenzia europea FRONTEX, senza considerare la tragica situazione nella quale si trovano i migranti in Libia, e negli altri paesi di transito, situazione che peraltro doveva essere ben nota allo stesso governo se, tra gli aspetti positivi del suo operato, veniva richiamata proprio l'operazione, gestita con l'ACNUR e l'OIM, che aveva permesso a 40 rifugiati eritrei di lasciare il carcere di Misurata e di arrivare a Roma. Troppo poco per coprire le gravissime responsabilità di una politica estera che dai vertici di Rabat e Tripoli dello scorso anno, fortemente voluti dall'Italia, fino al più recente incontro a Roma tra Sarkozy, Zapatero e Prodi, ha ignorato le condizioni di estrema violenza alle quali sono sottoposti i migranti irregolari in Libia, privilegiando invece la collaborazione operativa, fino allo scambio di agenti di collegamento, mantenendo il cofinanziamento degli interventi contro l'immigrazione irregolare praticati dal governo libico.

Si deve prendere atto con rammarico che la risposta all'interrogazione parlamentare nella seduta del 20 dicembre scorso, non ha contribuito a chiarire quale fosse la posizione del governo su una vicenda che ha avuto e potrebbe avere ancora in futuro gravi ripercussioni politiche. Il sottosegretario si è limitata a richiamare pedissequamente le circostanze di fatto asserite nei loro verbali dai rappresentanti del Corpo delle Capitanerie di porto intervenute, dopo la Guardia di finanza, nel corso delle operazioni di salvataggio, circostanze non suffragate da quanto accertato nel corso del processo in base alle prove testimoniali e smentite da quanto riscontrato dalla magistratura, in particolare dall'ordinanza del Tribunale del riesame di Palermo del 25 settembre 2007, che ha deciso la liberazione dei due comandanti dei pescherecci per lo sfaldamento dell'impianto accusatorio prospettato dalla Procura di Agrigento, che nel frattempo - proprio per questa ragione - era stata costretta a mutare i capi di imputazione.

Nella risposta fornita dal Governo si dubita persino dell'esistenza di un bambino in gravi difficoltà fisiche a bordo di uno dei due pescherecci, si tace sulla gravità delle condizioni della donna in stato di gravidanza e si dichiara come avvenuto quanto è stato smentito nel corso del processo, che un ufficiale medico fosse salito a bordo di entrambi i pescherecci per controllare lo stato di salute dei naufraghi. In questo modo si giunge ad escludere quella situazione di emergenza che è stata invece successivamente verificata dai medici che, dopo l'arrivo dei pescherecci a Lampedusa, hanno disposto con l'intervento dell'elisoccorso l'immediato ricovero di quattro naufraghi in un ospedale di Palermo. Nulla si dice sulla condizione terribile degli eritrei nei paesi di transito.

Il continuo richiamo del Sottosegretario Lucidi, a nome del governo, alla necessità di "rigore ed efficacia" degli interventi di contrasto dell'immigrazione clandestina come strumento per combattere il razzismo e la xenofobia non ha nulla a che fare con la vicenda dei pescatori tunisini che hanno salvato la vita di persone in pericolo, tra le quali donne, bambini, potenziali richiedenti asilo finendo poi sotto processo. Si ripete un luogo comune piuttosto abusato che non può mascherare il fallimento delle politiche di militarizzazione della frontiera marittima meridionale, solo se si pensa che ancora a dicembre centinaia di persone sono arrivate nell'isola di Lampedusa malgrado le condizioni del mare fossero proibitive, mentre l'imbarbarimento dell'opinione pubblica nei confronti degli immigrati non sembra certo attenuato dal "rigore" delle politiche espulsive attuate dal governo in carica. Un "rigore" contro i migranti che, come si sta vedendo anche in occasione del decreto sicurezza, e della sostanziale reiterazione del decreto Pisanu, non sembra coniugarsi neppure con l'efficacia e riesce soltanto a calpestare consolidati principi e garanzie dello stato di diritto, e dei diritti umani, sanciti dalla nostra Costituzione, dalle Convenzioni internazionali, dalle Direttive Comunitarie.

Lo stesso richiamo al "rigore", in una vicenda nella quale erano stati soccorsi naufraghi, quale che fosse la loro posizione giuridica e il luogo del soccorso, richiama la posizione del precedente ministro degli interni Pisanu che nel luglio del 2004, nel corso di un vertice informale di ministri in Inghilterra, e poi in Parlamento, affermò che il caso Cap Anamur, nave tedesca che aveva salvato 37 migranti in procinto di naufragare nel Canale di Sicilia, non doveva diventare un "pericoloso precedente", spianando la strada alle successive incriminazioni degli operatori umanitari tedeschi per agevolazione dell'immigrazione clandestina. Anche in quella occasione il governo dell'epoca negò persino l'evidenza dell'intervento di salvataggio da parte di una nave che aveva il certificato di "nave umanitaria", e giunse ad eseguire vere e proprie espulsioni collettive malgrado l'ordine di sospensiva giunto, purtroppo con ritardo, dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

La risposta del sottosegretario Lucidi riafferma la gerarchia che ha stabilito da tempo il governo Prodi, tra contrasto dell'immigrazione clandestina e rispetto dei diritti umani. Una subordinazione dei diritti fondamentali alle esigenze di contrasto dell'immigrazione clandestina sempre più evidente dopo i numerosi viaggi del ministro degli esteri D'Alema in Libia, in particolare dopo l'ultima missione che lo stesso sottosegretario, per conto del Ministro Amato, ha effettuato a Tripoli per concordare con i vertici della polizia gli aspetti operativi delle operazioni di blocco e di contrasto. Si richiama e si intensifica la collaborazione con la Libia e si trascurano i gravissimi abusi ai danni dei migranti irregolari in quel paese, ridotti spesso in condizioni di schiavitù, tacendo su vicende sulle quali soltanto di recente coraggiose fonti giornalistiche indipendenti stanno tentando di fare luce, nel silenzio complice dei grandi mezzi di informazione.

Poco importa se i migranti salvati ad agosto dai pescherecci tunisini provenivano dalla Libia o dalla Tunisia, circostanza sulla quale sembra insistere la Procura di Agrigento. La prospettiva di un "respingimento" in mare verso la Tunisia appare altrettanto foriera di gravi violazioni dei diritti fondamentali delle persone che sono costrette a fuggire dai loro paesi. Anche in Tunisia la situazione dei migranti irregolari, seppure meno grave, non è certamente tale da garantire l'effettivo rispetto dei diritti fondamentali della persona, a partire dal diritto di chiedere protezione internazionale. Sono poche centinaia all'anno le persone che sono riuscite ad ottenere lo status di rifugiato dall'Ufficio dell'ACNUR a Tunisi. Anche la Tunisia effettua respingimenti collettivi verso la Libia, come è successo proprio durante la scorsa estate dopo il respingimento di un peschereccio carico di migranti da parte delle unità navali italiane che lo hanno "riconsegnato" alla guardia costiera tunisina. Con la Tunisia l'Italia ha concluso dal 1998 accordi di riammissione e di collaborazione di polizia, mentre con la Libia, dopo il viaggio di Gheddafi a Parigi e Madrid e dopo l'incontro tra Zapatero, Sarkozy e Prodi, a Roma, sembra tutto pronto, comprese le forniture di tecnologie, di aerei militari e di materiali nucleari (da parte della Francia), per la conclusione di nuove più efficaci "intese di cooperazione operativa" con i paesi nordafricani nella guerra contro le migrazioni "illegali". Questo e non altro è il progetto di "Unione Euromediterranea".

3. - Gli accordi di riammissione conclusi dall'Italia, l'ultimo stipulato dal governo Prodi con l'Egitto nel gennaio del 2007, e la esternalizzazione dei controlli di frontiera hanno impedito che molti potenziali richiedenti asilo raggiungessero i paesi europei, malgrado gli avvertimenti dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite, che in diverse occasioni ha ricordato come i flussi migratori irregolari costituiscano ormai flussi misti, costituiti tanto da migranti economici quanto da potenziali richiedenti asilo. Gli stessi accordi di riammissione o le clausole di riammissione contenute in accordi internazionali di portata più ampia hanno costituito la base per legittimare la detenzione amministrativa di profughi e migranti economici nei paesi di transito, con la delocalizzazione ai confini meridionali ed orientali dei centri di trattenimento.

Insistiamo su queste denunce, sul rischio che garanzie fondamentali dello stato di diritto vengano definitivamente intaccate con il pretesto della lotta al terrorismo o della guerra all'immigrazione illegale, perché l'opinione pubblica, terrorizzata da allarmi quotidiani, sembra sempre più distratta rispetto a questo continuo arretramento della democrazia nel nostro paese. Le prassi applicative del cd. decreto Pisanu, oggetto di contrastanti interpretazioni da parte della magistratura, lasciano intravedere quale attenzione abbia anche il governo Prodi verso il rispetto dei diritti umani delle persone che vengono arrestate o estradate nei paesi di transito, dal Marocco all'Egitto. Tra le conclusioni e raccomandazioni del Comitato contro la Tortura" (CAT) delle Nazioni Unite che lo scorso anno aveva esaminato il rapporto relativo all'Italia si sottolineava come "Lo Stato Parte dovrebbe assicurare che adempie pienamente al dettato dell'articolo 3 della Convenzione e che gli individui soggetti alla sua giurisdizione ricevono la considerazione appropriata da parte delle autorità competenti e un trattamento equo e garantito a tutti i livelli del procedimento, compresa l'opportunità di una riesame effettivo, indipendente ed imparziale delle decisioni di espulsione, ritorno o rimpatrio. A tale riguardo lo Stato Parte dovrebbe garantire che le autorità competenti in materia di immigrazione effettuino un esame approfondito, prima di emettere un ordine di espulsione, in tutti i casi riguardanti stranieri che sono entrati o che sono rimasti in Italia irregolarmente, in modo da garantire che la persona in questione non sia soggetta a tortura, trattamento o punizione disumana o degradante nel paese in cui venga rimpatriato"

Queste stesse considerazioni valgono per tutti i casi di respingimento o di espulsione, come ribadisce la giurisprudenza costante della Corte Europea dei diritti dell'Uomo.

4.- Non sappiamo quanto tempo la sottosegretario Lucidi ed il ministro Amato vogliano dedicare alla vicenda dei pescatori tunisini, già catalogata dagli ambienti ministeriali che hanno predisposto la risposta del sottosegretario, come un caso di agevolazione dell'immigrazione clandestina, prima ancora della decisione definitiva della magistratura, dando per buoni rapporti di polizia tanto contraddittori quando lacunosi, al punto che non si riscontra neppure un cenno sulle comunicazioni tra i pescherecci e le autorità tunisine, mentre si continua a tacere sull'intervento di una unità della Guardia di finanza che aveva seguito i due pescherecci nelle prime fasi del salvataggio dei naufraghi, avvenuto in acque internazionali, accompagnandoli poi verso il limite delle acque territoriali.

Vorremmo solo ricordare che, oltre alle più elementari regole di salvaguardia della vita umana a mare, in presenza di flussi misti, composti da migranti economici e di potenziali richiedenti asilo, non si possono effettuare respingimenti indiscriminati in alto mare, approfittando del fatto che in acque internazionali non vi sarebbe un divieto espresso in tal senso. Per affermare questo elementare principio non occorre neppure abrogare la Bossi-Fini, ammesso che un giorno ci si riesca. E non serve neppure tentare di eludere le proprie responsabilità richiamando inesistenti "obblighi" di fonte comunitaria. Semmai sarebbe sufficiente rispettare gli obblighi derivanti dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell'uomo, e dal diritto internazionale del mare, senza trincerarsi dietro il facile alibi che gli interventi di salvataggio avvengono in acque internazionali.

Secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ovunque intervengono unità militari appartenenti ai paesi firmatari, anche al di fuori del loro territorio, le regole della CEDU impongono agli stati firmatari precisi obblighi di protezione, a partire dall'art. 3 che vieta il respingimento o l'espulsione verso paesi nei quali si possano subire trattamenti inumani o degradanti. Quale che sia lo status giuridico dei migranti. La Corte europea dei diritti dell'uomo richiede in ogni caso una valutazione effettiva ed individuale dell'incidenza che l'espulsione dello straniero (alla quale si deve equiparare il respingimento in frontiera) può avere sul rispetto dei suoi diritti fondamentali, e tale obbligo incombe ad ogni paese firmatario della CEDU, ovunque svolgano attività le proprie unità militari o di polizia. Una valutazione individuale, caso per caso, che dovrebbe essere compiuta prima di qualunque caso di respingimento alle frontiere marittime con l'identificazione personale, non certo in alto mare, ma dopo lo sbarco in un porto "sicuro", un porto "sicuro" non soltanto perché offre protezione dalle insidie del mare, ma anche perché consente alla persona di esercitare i suoi diritti e di fare valere la richiesta di asilo come è previsto dal diritto internazionale e dalla normativa comunitaria. La giurisprudenza della Corte di Strasburgo sembra ignota tanto ai vertici di polizia che incriminano gli autori di interventi di salvataggio in alto mare, quanto ad alcuni magistrati giudicanti che sembrano già convinti della colpevolezza degli imputati del "delitto di solidarietà" prima ancora che il legislatore sia giunto a codificarlo. Con buona pace del principio di legalità e della presunzione di innocenza. E neppure una parola sulla situazione che si lasciano alle spalle i naufraghi salvati nel canale di Sicilia.

Ecco, è proprio sui temi del rispetto dei diritti umani nei paesi di transito, già sollevati in diverse interrogazioni parlamentari, che avremmo voluto conoscere la posizione del governo italiano a margine della vicenda giudiziaria che vede ancora coinvolti ad Agrigento sette pescatori tunisini "colpevoli" di avere effettuato una azione di salvataggio. Una vicenda che potrebbe avere gravi implicazioni politiche, oltre a presentare aspetti di diritto internazionale del mare che potrebbero incidere anche su analoghi procedimenti giudiziari per agevolazione dell'immigrazione clandestina, come sul processo Cap Anamur, anche questo in corso davanti al Tribunale di Agrigento. Non si chiedeva al governo di interferire sui processi, nei quali sono peraltro emersi significativi elementi di innocenza degli imputati, ma si cercava soltanto di ottenere una maggiore chiarezza sulla politica estera del nostro paese in materia di immigrazione e sulla applicazione di una disposizione di legge, la esimente umanitaria prevista dall'art. 12 del Testo Unico sull'immigrazione, vigente ma finora scarsamente applicata. La risposta del sottosegretario Lucidi, con le sue omissioni e con le sue inesattezze, nega il diritto del Parlamento e dei cittadini tutti a conoscere di questa materia. Come si sottrae da tempo al Parlamento la approvazione degli accordi bilaterali di riammissione e di collaborazione nelle espulsioni, accordi spesso assai vaghi e generici, quando non ridotti al rango di "intese operative tra le forze di polizia", espressione di una pratica di rapporti sommersi, tenuti nascosti all'opinione pubblica, che diventano sempre di più parte essenziale della nostra politica estera.