Capitolo 3
Giustizia riparativa: tra l'essere e il dover essere
Premessa
I moduli di pensiero dominanti nell'età nostra, che alcuni di noi sono inclini a considerare chiari e coerenti, saldamente fondati e definiti, difficilmente agli occhi delle prossime generazioni potranno sembrare tali (1). A. Lovejoy
Colonizzazione giuridica della Lebenswelt significa regolazione giuridico/giudiziaria pervasiva degli stati di bisogno che si manifestano in ambiti di azione strutturati in modo comunicativo, con effetti di reificazione; significa particolare forma di sterilizzazione delle reti informali che, in quegli ambiti, partecipa(va)no alla composizione endogena dei conflitti sociali. Quelle reti sociali, già in buona parte esautorate dal "funzionamento" del Welfare State biopolitico, nel senso di giuridificate e "surrogate" dal suo "agire" razionalmente orientato alla gestione preventiva dei conflitti sociali, appaiono, successivamente alla crisi di quella stessa razionalità socio-politica, irreversibilmente (sembrerebbe) esaurite, private della loro capacità minima di funzionamento, azzerate nella loro cifra di performatività.
La ristrutturazione formale di relazioni simboliche, per opera del diritto "pervasivo" attualizzato dal giudice, plasma la percezione del conflitto, interpretato socialmente secondo i canoni giuridici. L'azione di regolazione del conflitto è di conseguenza giuridicamente orientata, in senso quasi assoluto: un'unica soluzione al conflitto, quella giudiziaria; solo la parola densa simbolicamente, strutturante e ufficiale del giudice per materie che vanno dalla tutela dei diritti umani alla gestione della microconflittualità di vicinato.
In questa parte dello studio, mi dedicherò all'analisi del Restorative Justice Paradigm come dispositivo di regolazione della conflittualità sociale oltre le categorizzazioni del dispositivo giuridico, dispositivo la cui insorgenza (e funzionamento) è concettualizzabile come "reazione" strutturata alla colonizzazione della Lebenswelt, come operazione "strategica" di rivitalizzazione della stessa. Tale paradigma, le cui precondizioni di emergenza storica sono rappresentate dai processi critici del Welfare State biopolitico e dalle macro-trasformazioni giuridiche ad essi conseguenti, si configura, in Europa, come una delle novità fondamentali nel panorama di regolazione di conflittualità sociale a partire dalla seconda metà degli anni settanta del secolo scorso (in USA, con dieci anni di ritardo in Europa, venti in Italia) una silenziosa rivoluzione che segna forse il passo degli imperanti paradigmi giuridici/giudiziari.
1. Giustizia riparativa: una prima ricognizione dei significati sociali
La mia tesi, è che nel contesto sopra sintetizzato, è possibile assistere all'emergere di dinamiche sociali "antagoniste" alla colonizzazione giuridico/giudiziaria, che si pongono come obiettivo di responsabilizzare la società civile e di restaurare capacità e virtù di autoregolamentazione dei conflitti sociali, beneficiando di un ampio capitale di "simpatia sociale" (2). Una specie di reazione naturalmente strutturata, effetto di una connaturata tendenza entropica (3) dei sistemi sociali alla produzione di un diverso ordine oltre (o forse contro) la regolazione iper-formalizzata di tipo giuridico/giudiziario. Il modello riparativo-mediatorio dunque, sembrerebbe svilupparsi "rizomaticamente" (4) secondo questa prospettiva, nei mondi vitali progressivamente sterilizzati dai sistemi formali di produzione di ordine giuridico (famiglia, scuola, lavoro), come un diverso kosmos frutto della reazione "entropica" della Lebenswelt.
La Restorative Justice (o Giustizia riparativa), intesa in prima approssimazione come modello d'intervento complesso su conflitti sociali (originati da un reato o che si sono espressi attraverso un reato), caratterizzato dal ricorso a strumenti che promuovono la riparazione degli "effetti perversi" della stessa relazione conflittuale (cessazione comunicazione, autismo sociale, forme di violenza) e la riconciliazione tra i partecipanti del conflitto, opera negli spazi d'interazione sociale con l'obiettivo della trasformazione costruttiva delle criticità relazionali (e degli eventuali risvolti materiali delle stesse), attraverso azioni di stimolazione della partecipazione e di rimessa in comunicazione.
Il modello riparativo si configura come un insieme di azioni di costruzione-ri-costruzione di scambi comunicativi, finalizzati alla gestione delle ragioni e delle condizioni della compatibilità relazionale in uno spazio (quello della Lebenswelt), altrimenti gestito mediante la privazione della sua fondamentale risorsa: quella comunicativa, in forza dell'azione giuridico/giudiziaria di regolamentazione dei conflitti che in essa naturalmente si sviluppano, e che, interpretati secondo un'antropologia negativa come patologia sociale, si cerca, attraverso il diritto attualizzato dal giudice, di neutralizzare.
Questo "nuovo" modello, a ben vedere, rappresenta molto più della semplice applicazione di una tecnica di trattamento dei conflitti, configurandosi come processo di produzione di socialità in grado di rigenerare legami tra le persone e di moltiplicare le possibilità di condividere e affrontare situazioni problematiche, rigenerando così il tessuto connettivo che lega i confliggenti al loro ambiente di vita. A partire dall'esplorazione delle dinamiche sociali esistenti intorno al conflitto, è possibile che la Riparazione "leghi" tutte le componenti sociali coinvolte nel processo conflittuale, inserito, in ogni fase del suo sviluppo, nella Lebenswelt (il suo contesto naturale), in un flusso continuo di produzione di realtà, attraversando vari gradi e sfumature di "internità" al tessuto sociale, modificando il contesto e modificandosi a sua volta in relazione ad esso.
Inserendosi nel flusso di comunicazione (o di non-comunicazione) caratteristico del conflitto, interagendo con la realtà sociale "locale", i processi di gestione riparativa dei conflitti "da crimine" vanno a configurarsi come intervento complesso, alimentato dalle risorse disponibili nell'ambiente vitale in cui germina il rapporto di opposizione, finalizzato al miglioramento della vita dei confliggenti e della comunità in cui questi vivono. Le diverse argomentazioni e le diverse prospettive, possono, secondo quest'angolatura, reciprocamente confrontarsi e scontrarsi con pari dignità, partendo dall'ascolto attivo, dall'astensione consapevole dell'azione autoreferenziale, producendo come effetto l'azione comune dei soggetti confliggenti per la trasformazione della realtà problematica che stanno vivendo. Il senso di questa azione rimane all'interno della comunità e si nutre di dinamiche di partecipazione. In questo processo interattivo, la Riparazione contamina la comunità sulla possibilità di trovare sempre migliori soluzioni funzionali alla gestione del conflitto, stimola le mediazioni necessarie e segue il processo di "soluzione" e i suoi effetti nel corpo sociale, interagendo coi soggetti nel progettare azioni e praticare soluzioni. In ogni territorio sociale, l'approccio alla gestione dei conflitti stimola la creazione di momenti stabili e informali di dibattito e confronto sulle problematiche evidenziate dai confliggenti stessi, divenuti protagonisti di esperienze di gestione partecipata e integrata del proprio conflitto, nel proprio ambiente sociale.
Più analiticamente, si può sostenere che col paradigma riparativo, attraverso la sostanziale restituzione alle parti del potere di generare una rappresentazione della realtà del conflitto aderente alla percezione delle stesse, non sclerotizzata in forme astratte dalla sussunzione giuridica; attraverso la rielaborazione inter partes degli aspetti affettivo-relazionali e materiali del conflitto, con modalità che variano a seconda della tecnologia riparativa utilizzata; per mezzo della costruzione consensuale dell'eventuale "soluzione" all'opposizione interpersonale, diventa possibile una forma di ricomposizione delle modalità di regolazione sociale, per la ricostruzione degli spazi sociali comunicativamente strutturati, nella prospettiva di una diversa forma di produzione di ordine sociale all'interno e in un certo senso per mezzo, delle potenzialità comunicative della stessa Lebenswelt.
Da un'altra angolazione, "macro" si potrebbe dire, la riparazione avviene a condizione di una ridefinizione della relazione tra Stato e società, superando l'orizzonte della regolazione assolutistica del diritto. La Riparazione, infatti, non è una semplice tecnica di gestione dei conflitti, perché traduce l'esigenza di un nuovo modello di regolazione sociale che mira ad una "ricomposizione" tra Stato e società. Secondo questa prospettiva, la legittimità della Riparazione non si fonda sulla difesa di un ordine pubblico o sulla razionalità giuridica che spesso recide i legami sociali in un orizzonte atomistico, ma sulla costruzione di un nuovo equilibrio nelle relazioni tra le parti in conflitto. Si tratta perciò di entrare in un quadro operativo di nuovi significati: entrare nella complessità delle relazioni comunicativamente strutturate costituenti specifici mondi vitali, delle simbolizzazioni, della crescita sociale, raccordando la trasgressione con la comunità locale, implicando la rivitalizzazione del mondo vitale, nel momento in cui il gruppo sociale tende a riconoscere il proprio conflitto e le ragioni che ne stanno alla base.
La Riparazione, è dunque collocabile nell'ambito della "degiurisdizionalizzazione" e "degiuridificazione" del conflitto, che sposta l'obiettivo dalla risoluzione del conflitto alla gestione dello stesso (5), mediante la sua "ri-collocazione" nella Lebenswelt. Non lontano, dunque, dalla riflessione di Jean Carbonnier sulla logica del non-diritto, in un'ottica di riduzione della "pressione giuridica" (6), in una fase storica in cui si richiede un'estrema flessibilità e duttilità del diritto in relazione alla complessità sociale.
La Riparazione pertanto, non si riduce ad una semplice alternativa alla Giustizia retributiva o rieducativa, come pure in certe tassonomie scientifiche appare (7), ma rappresenta una modalità di regolazione sociale che si affianca e supera lo stesso dispositivo giuridico/giudiziario per la gestione delle situazioni di conflitto sociale, e se ne differenzia sul piano dei principi, delle categorie interpretative, dei criteri di razionalità: mentre il diritto tende a strutturare gli spazi d'interazione sociale significativi secondo una prospettiva e con mezzi "esogeni" rispetto agli stessi spazi, riducendo la capacità decisionale dei singoli, la Riparazione tende a restituire la capacità decisionale e la responsabilità nella gestione dei conflitti, assecondando flessibilmente la specificità della relazione conflittuale. In sintesi: mentre il diritto "assolutisticamente" mira alla colonizzazione dei mondi vitali, la Riparazione ne cerca la rivitalizzazione.
È dunque, insostenibile l'analisi "comparata" di Riparazione con gli altri modelli giuridico-penali, considerato il carattere del tutto eterogeneo di quegli aggregati, data l'irriducibilità della Riparazione ad un paradigma giuridico-penale.
Un altro livello rilevante dell'analisi della Riparazione, è quello relativo allo spostamento dell'accento dall'idea di "elusione" e "risoluzione" del conflitto come patologia sociale, all'idea di una "gestione ecologica" costruttiva del conflitto come occasione di crescita sociale.
Idea quest'ultima, che recupera la validità positiva e pedagogica del conflitto, che vede nel conflitto, non un male in sé, ma nient'altro che una "situazione", un evento della vita umana, la cui negatività e positività non dipendono da sue caratteristiche intrinseche e date a priori. L'obiettivo è fare del conflitto una risorsa, trasformandolo in una fonte di confronto e dialogo, un'occasione per favorire la delineazione delle identità individuali e di gruppo; il conflitto non viene affrontato in una prospettiva di patologia e di relativa cura: la prospettiva è invece, quella del "prendersi cura" del conflitto senza volerlo "curare". Il prendersi cura (ethic to care), si esprime nella tendenza a conciliare opposti interessi, nella ricerca di soluzioni approvate da tutte le parti, le quali, per raggiungere l'accordo finale, sono invitate a moderare le rispettive pretese per renderle accettabili alle controparti, con un atteggiamento di compromesso costruttivo tipico del modello win-win (8), che si basa sul rispetto e sulla comprensione delle posizioni altrui, premesse indispensabili della convivenza civile. Inoltre, il ricorso a quella che è stata efficacemente definita "giustizia coesistenziale", ha la funzione di evitare di pregiudicare irrimediabilmente, a causa di un isolato contrasto, una complessa rete di rapporti interpersonali. La potenzialità da riconoscere ai processi di Riparazione è dunque quella di poter compensare lo sfaldamento progressivo dei modi di socializzazione e di regolazione dei conflitti in un contesto "anomico" - vale a dire, un contesto in cui il dispositivo deputato "assolutisticamente" alla regolazione del conflitto non riesce a produrre ordine - fatto che genera inevitabilmente una crisi del legame sociale. Tale crisi si caratterizza per la presenza di una società di individui sempre più autonomi, per i quali la nozione di interesse generale si declina a partire da una concezione settoriale e particolaristica del bene pubblico.
Per arginare questo fenomeno, è necessario creare un'identità collettiva idonea a ri-articolare segmenti di un tessuto sociale teso, logoro, che lo Stato e il diritto, con gli strumenti tradizionali a disposizione, non sono in grado di garantire. Le strategie di tipo giuridico-assistenziali, sono risultate insufficienti per gestire gli effetti di una cultura dell'individualismo che ha prodotto una crisi generale dell'alterità, cioè un'incapacità di comunicare, di accettare l'altro nella sua individualità, nella sua diversità, di concepire la portata reale della nozione d'interesse generale. Questa crisi, che è crisi della Lebenswelt, stimola, naturalmente, la ricerca di nuove modalità di vita collettiva, che possano affondare le radici in quella che Habermas chiama "solidale coesistenza di estranei" (9), presupposto indispensabile del nostro vivere civile. La Riparazione, nella sua dimensione collettiva e interculturale, costituisce una possibile alternativa, portatrice di una nuova concezione della democrazia.
Con la Riparazione, in sintesi, si tenta di attivare un processo consensuale che si oppone ad una concezione verticale dell'esercizio del potere, un processo in cui entra in gioco la dimensione linguistica, finalizzata all'intesa, al consenso e alla condivisione di punti di vista e d'immagini del mondo sullo sfondo della Lebenswelt, la cui rivitalizzazione può essere considerato l'obiettivo ultimo dell'intervento riparativo.
2. Giustizia riparativa: il paradigma nelle interpretazioni "tradizionali"
Prima di approfondire il particolare significato sociale che nella mia prospettiva detiene la Giustizia riparativa, ritengo opportuno analizzare le diverse formulazioni che negli anni sono state elaborate per dare conto delle caratteristiche strutturali e funzionali della Riparazione, per poi individuare il punto focale, il comune denominatore e gli aspetti critici delle diverse definizioni, che si vedranno piuttosto divergenti dalla nozione di Riparazione come forma di agire comunicativo, che successivamente proporrò.
Un tradizionale schema classificatorio delle formulazioni della Riparazione, è quello che si impernia sulla distinzione teorica tra definizioni orientate sulle vittime del reato, definizioni orientate sulla comunità, definizioni orientate sui contenuti o sulle modalità della restoration (10).
2.1 La nozione orientata sulla vittima del reato
Le definizioni di Giustizia riparativa che negli ultimi venti anni hanno scandito soprattutto la letteratura anglosassone hanno come comune denominatore l'orientamento alla vittima del reato. L'assoluta innovazione risiede nel superamento della funzione prettamente punitiva della sanzione penale e nell'accoglimento di una prospettiva che si allarga alle possibili oggettivazioni dell'offesa arrecata con il reato. La Giustizia riparativa non circoscrive rigidamente l'azione delittuosa ad una condotta illecita, causa di una "frattura" della convivenza civile e punibile in modo equo, ma abbraccia una realtà più complessa, ponendo nella concezione vittimologica il fondamento di una nuova visione dell'offesa arrecata dalla commissione di un illecito.
La partecipazione della vittima al conflitto ed al processo offre l'opportunità di riguadagnare un elemento di controllo sulla propria vita, sul proprio senso di sicurezza e sulle proprie emozioni. Un ruolo di particolare efficacia riveste la concezione di Giustizia riparativa elaborata da Martin Wright (11) a fronte della portata globalizzante del danno, in quanto attesta la necessità di tutelare la vittima durante la gestione del conflitto attraverso la Riparazione. Secondo l'autore, la Giustizia riparativa supera la logica del malum passionis ob malum actionis, dato che la risposta al reato trova la sua legittimazione morale nel danno cagionato, ma non si esaurisce nell'inflizione di un male ulteriore (pena), non altrimenti legittimabile se non nei noti termini della necessità etica o della prevenzione recidivante. In altri termini, la risposta al delitto dovrebbe essere impostata su contenuti riparativi piuttosto che retributivi, la cui valenza deve, tuttavia, esplicitarsi per evitare di incorrere in vane mistificazioni che legano inscindibilmente il reato alle sanzioni vessatorie ed afflittive.
2.2 La nozione orientata sulla comunità
L'evoluzione del paradigma riparativo è stata nutrita dai movimenti di pensiero relativi al ritorno a modelli di "community justice"; si rende, dunque, necessario evocare il concetto di comunità, considerandola secondo diverse angolature prospettiche:
- come vittima o danneggiato, per cui l'attenzione si focalizza sulla titolarità del bene giuridico protetto dalla norma penale e sulla quantificazione del danno;
- come destinatario degli interventi di riparazione e di rafforzamento del senso di sicurezza collettivo;
- come attore sociale del percorso di riparazione dell'offesa arrecata con la commissione di un illecito.
Giustizia riparativa e comunità appaiono quindi inscindibilmente connessi, un legame che spinge ad affrontare, almeno in termini generali, il problema definitorio del concetto di "comunità".
Si tende a fare della società un'astrazione, un'entità teorica su cui è possibile qualsiasi affermazione. Ciò dipende dal fatto che è radicata in noi la dimensione del privato, di ciò che ci appartiene. Alla Giustizia riparativa, secondo questa prospettiva, si assegna il compito di rinsaldare i legami sociali e di richiamare ciascuno ad un maggior senso "comunitario".
2.3 La nozione orientata sui contenuti e sulle modalità della riparazione
L'analisi sui contenuti della riparazione s'innesta in uno scenario che pone sullo sfondo i problemi fondamentali ed ineludibili del diritto di punire e del sistema sanzionatorio di cui si avvale il sistema penale classico.
Come accennato, i principali contenuti operativi della Giustizia riparativa ruotano attorno all'aspetto riparativo in senso stretto ed all'aspetto comunicativo-relazionale del conflitto (12).
Gli anni Settanta vedono fiorire, negli Stati Uniti, il "restitution movement", in reazione all'insoddisfazione per il deficit di tutela delle vittime che caratterizzava il sistema punitivo nordamericano, orientato alla logica del trattamento e della pena indeterminata. La restitution, che si pone a favore delle vittime per offrire una riparazione concreta del danno derivante da un reato, ricerca modelli sanzionatori alternativi a quelli propriamente afflittivi, tenta di promuovere la rieducazione del reo ed allo stesso tempo funge da contenitore di sentimenti di vendetta personali.
Tale modello ha avuto una vasta risonanza anche in Europa, ove oggi è considerato addirittura preferibile a quello incentrato sulla sanzione penale di matrice retributiva.
Nell'ottica strettamente "restitutiva" persino la pena detentiva, irrinunciabile solo per i soggetti socialmente pericolosi, si arricchisce di componenti riparatorie.
I positivisti, verso la fine del 1800 (13) sostenevano l'inscindibilità dell'esecuzione penale con l'obbligo, per il detenuto, di prestare attività lavorativa, i cui proventi da destinare in parte alla riparazione delle vittime ed in parte allo Stato, quale contributo per il mantenimento in carcere.
La riparazione offre al reo una reale possibilità di reintegrarsi nella comunità.
Barnett (14) ha così compendiato i vantaggi che si associano all'adozione di un modello restituivo:
- capacità, da parte del sistema, di offrire assistenza concreta alle vittime;
- maggiore visibilità del crimine (riconoscimento del danno);
- valenza rieducativa e responsabilizzante dell'attività di riparazione in quanto "la condotta riparativa può alleviare il senso di colpa o di ansia che altrimenti potrebbero condurre alla commissione di un nuovo reato" (15);
- l'opportunità per il reo di autodeterminare i contenuti della condanna (quando la misura della pena dipende dalla capacità del condannato di riparare interamente il danno attraverso forme di lavoro "risarcitorio", questi può essere motivato ad impegnarsi al massimo per scontare una pena il più breve possibile);
- contenimento della spesa pubblica;
- maggiore tenuta general-preventiva del sistema (l'obbligo di riparare il danno alla vittima dovrebbe contribuire ad alimentare, nei consociati, la sensazione che il crimine "non paga").
Analogamente l'autore ha definito le obiezioni che possono essere mosse al paradigma riparativo:
- non è semplice valutare il danno globale sofferto dalla vittima ed eventualmente dalle vittime secondarie;
- il reato non coinvolge solamente l'autore e la sua vittima, ma anche la comunità in cui il comportamento antigiuridico si è verificato;
- la pena economica non sembra esercitare un'efficace deterrenza;
- la riparazione attraverso l'attività lavorativa del reo non è scevra da problematiche di implementazione relative i soggetti sprovvisti di professionalità specifiche ma anche relativi la capacità del sistema di garantire l'accesso alle opportunità di lavoro;
- molte critiche si accompagnano a fronte di quei reati che non comportano la lesione o la reale messa in pericolo di un bene giuridico e dei reati senza vittima;
- il ricorso ad un modello puramente restitutivo attenuerebbe considerevolmente le differenze intercorrenti tra responsabilità penale e responsabilità civile.
La dimensione psicologica del danno e i suoi riflessi nella comunicazione sociale tra autore e vittima, costituiscono le fondamenta su cui si ergono alcune delle nozioni di Giustizia riparativa incentrate proprio sulla fondamentale necessità di ripristinare la relazione sociale fra i soggetti coinvolti nel reato.
Numerosi assunti si fondano sull'aspetto comunicativo (16) che la commissione dell'illecito può aver corroso in modo più o meno profondo, estendendo, in tal modo, alle rispettive comunità di appartenenza, la dimensione del conflitto.
3. Gli obiettivi della giustizia riparativa nelle interpretazioni "tradizionali"
In concreto i principali obiettivi che intende perseguire la Giustizia riparativa, secondo le interpretazioni tradizionali, possono essere suddivisi in base al target di destinatari delle politiche di riparazione:
- obiettivi ENDO-SISTEMATICI, a destinatario SPECIFICO-INDIVIDUALE.
Il riconoscimento della vittima: la parte lesa deve potersi sentire dalla parte della ragione e deve poter riguadagnare il controllo sulla propria vita e sulle proprie emozioni, superando gradualmente i sentimenti di vendetta, rancore ma anche di sfiducia verso l'autorità che avrebbe dovuto tutelarla. La riparazione dell'offesa nella sua dimensione complessiva, oltre alla componente strettamente economica del danno dovrebbe essere valutata, ai fini della riparazione, anche la dimensione emozionale dell'offesa, che può essere causa di insicurezza collettiva e può indurre i cittadini a modificare le abitudini comportamentali. Tutto ciò senza perdere di vista il principio di proporzionalità e senza cadere in forme di retribuzione mascherata, in quanto il comportamento attivo richiesto all'autore non è imposto in funzione affittiva, bensì riconciliativa e riparativa. L'autoresponsabilizzazione del reo: ogni tentativo di promuovere concrete attività riparative non può prescindere dal consenso dell'autore del reato, specialmente se si considera che la riparazione si snoda lungo un percorso che dovrebbe condurre il reo a rielaborare il conflitto ed i motivi che lo hanno causato, a riconoscere la propria responsabilità e ad avvertire la necessità della riparazione.
- obiettivi ESO-SISTEMATICI, a destinatario GENERICO-COLLETTIVO.
Il coinvolgimento della comunità nel processo di riparazione: la comunità, in particolare, dovrebbe poter svolgere un duplice ruolo. Non solo, riduttivamente, quello di destinatario delle politiche di riparazione, ma anche e soprattutto quello di attore sociale nel percorso che muove dall'azione riparativa del reo. Il rafforzamento degli standards morali: dalla gestione comunicativa e comunitaria del conflitto e dallo svolgimento di concrete attività riparative dovrebbero emergere, infatti, concrete indicazioni di comportamento per i consociati, che vanno proprio nel senso auspicato dalle teorie della prevenzione generale positiva, vale a dire quello di contribuire al rafforzamento degli standards morali collettivi.
Il contenimento dell'allarme sociale: il raggiungimento di tale obiettivo è possibile solo a condizione che si restituisca alla comunità la gestione di determinati accadimenti che hanno un impatto significativo sulla percezione della sicurezza da parte dei consociati.
3.1 Il riconoscimento della vittima
Quando il reato lede i diritti del singolo (che si riflettono in quelli comunitari), si richiede un intervento in grado di eliminare, se possibile, le conseguenze cagionate dall'azione delittuosa attraverso un'attività riparatrice intrapresa dal reo.
La Giustizia riparativa si pone come obiettivo primario la presa in carico delle vittime del reato, le quali, di norma, assumono un ruolo marginale all'interno del procedimento penale.
Le persone vittime di reato, presentano dei bisogni specifici che, solo recentemente, il sistema giuridico ha iniziato a considerare: informazioni sul processo, riconoscimento del torto subito, interventi volti alla riparazione del danno e messa a punto di un processo che non comporti un danno maggiore (17). Rispetto alla commissione di un reato, la condanna del colpevole e la commisurazione della pena, dosata in base alla gravità del fatto commesso ed al bisogno di risocializzazione del suo destinatario, lasciano il posto all'esigenza di riconoscere primariamente la sofferenza insita in ogni esperienza di vittimizzazione. Il presupposto logico dell'acquisizione, da parte del reo, della consapevolezza dei contenuti lesivi della propria condotta è costituito dal riconoscimento della vittima che cessa di apparire come un oggetto impersonale per concretizzarsi a pieno titolo come persona, con il suo vissuto di sofferenza, di insicurezza, di umiliazione. La caratteristica principale legata alla Giustizia riparativa e fondante la sua essenza, è la possibile apertura all'incontro e al dialogo tra la vittima e l'autore di reato. Tale forma di comunicazione può esprimersi non solo chiamando in causa i due soggetti coinvolti, ma può organizzarsi in forma gruppale. L'idea basilare che va sottolineata è la sottrazione di una parte di autodeterminazione che il reato ha agito nei confronti della vittima. L'attuale sistema processuale penale non aiuta perché ignora le vittime o le usa come strumento per garantire una condanna. La Giustizia riparativa dovrebbe aiutare a riacquistare l'autonomia perduta, ma questo dipende, comunque, dalla sua applicazione. In Inghilterra, ai sensi del Crime and Disorder Act 1998 (Legge su Crimine e Disordine del 1998), il tribunale può emettere un ordine di riparazione, che può includere il risarcimento e anche la mediazione vittima-autore di reato; ma la mediazione non è separata dal processo di accordo sulla riparazione (18). La soddisfazione della vittima, in concomitanza al senso di giustizia percepito dal reo, rappresenta il metro per valutare la qualità di un programma riparativo.
3.2 La riparazione del danno nella sua misura globale
Il fattore comune alle politiche di riparazione è incarnato dal danno complessivo subito dalla vittima. Riparare il danno nella sua globalità significa capire ed entrare in interazione con la sofferenza psicofisica della vittima, instaurando una strategia di riparazione del danno subito. La dimensione emozionale dell'offesa e l'insicurezza collettiva devono essere opportunamente valutate in quanto fattori predisponenti modifiche sostanziali alle abitudini di vita ante delictum.
La dimensione economica, parimenti importante, va equamente ponderata.
In proposito Daniel Van Ness (19) propone l'adozione di linee guida per quantificare razionalmente il danno:
- Una prima valutazione è affidata ai destinatari della riparazione; si tratta di individuare le vittime, primarie e secondarie, e di stabilire una gerarchia tra le vittime cui spetta la riparazione (le vittime secondarie o la comunità, ad esempio, potranno beneficiare di forme di riparazione solo quando sia stato riparato il danno della vittima primaria);
- Mentre il danno economico è più facilmente quantificabile, notevoli problemi crea la commisurazione del danno morale, inteso come pretium doloris. La riparazione della sofferenza, quando possibile, passa attraverso altri canali. L'umiliazione, l'angoscia, l'insicurezza derivanti dalla commissione di un illecito possono essere utilmente attenuati solo se si riesce ad arricchire la risposta istituzionale di strumenti basati sull'incontro, sul dialogo, sul riconoscimento reciproco tra autore e vittima che è, prima di tutto, comprensione biunivoca di un vissuto carico di sofferenza o di disagio, aiutando a pervenire a soluzioni che contengono riparazioni simboliche prima ancora che materiali (20).
- Alla base della Giustizia riparativa è sorta la questione di separare la valutazione del danno derivante dal reato e la valutazione della colpevolezza del reo. A parità di colpevolezza si possono, infatti, avere danni che variano sensibilmente di entità, così come a danni di entità simile possono essere sottesi livelli di colpevolezza differenti, che dovrebbero essere considerati anche nella definizione della condotta riparativa. Questa istanza sembra contaminata dalla logica sanzionatoria penalistica. Se l'obiettivo primario della Giustizia riparativa è la riparazione dal danno, allora ogni indagine sulla colpevolezza, che rispecchia una logica di tipo retributivo, dovrebbe essere irrilevante ed esaurirsi nella riparazione della vittima. Notevole rilevanza assumono le condizioni economico-sociali del reo; la sanzione economica rischia di creare disparità di trattamento per la diversa efficacia affittiva che può comportare nei destinatari della sanzione stessa. La componente fondamentale della riparazione è il soddisfacimento degli interessi violati della vittima e non l'afflizione del reo.
3.3 L'autoresponsabilizzazione del reo
Sebbene la Giustizia riparativa si basi su una nuova visione che non si circoscrive più solamente all'autore di reato, tuttavia il reo non viene escluso dal circuito giuridico, sacrificandone le esigenze o comprimendo le garanzie che lo tutelano dal diritto penale, al fine di ottimizzare l'effettività della tutela delle vittime o della comunità. Al contrario, l'autore di reato continua ad essere un co-protagonista nella gestione del conflitto, dato che la riparazione passa necessariamente attraverso un'attività positiva del reo stesso.
Ogni tentativo di avviare una mediazione o di promuovere concrete attività riparative si fonda, in primo luogo, sul consenso dell'autore di reato e, solo secondariamente, si snoda lungo un percorso che dovrebbe condurre il reo ad elaborare il conflitto e le cause che lo hanno originato, a riconoscere la propria responsabilità e ad avvertire la necessità di lenire l'altrui sofferenza. L'intervento riparativo è, dunque, orientato sia al soddisfacimento dei bisogni ed alla promozione del senso di sicurezza delle vittime, sia all'autoresponsabilizzazione ed alla presa in carico delle conseguenze globali del reato (danno alla vittima ed alla comunità) da parte del reo.
3.4 Il coinvolgimento della comunità nel processo di riparazione
In questa prospettiva la comunità riveste il duplice ruolo di destinataria delle politiche di riparazione e di promotrice del percorso dell'azione riparativa. L'esperienza di vittimizzazione può, infatti, fungere da catalizzatore di dinamiche sociali e comunitarie che altrimenti resterebbero bloccate dalla istituzionalizzazione del conflitto.
"Nella prospettiva regolativa/comunitaria la vicenda della singola vittima non trova risposte unicamente in termini di servizio, ma diventa l'occasione per attivare una responsabilizzazione della collettività nei confronti degli aspetti della questione criminale, quali l'efficacia del controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine, l'incidenza delle politiche preventive dell'ente locale, gli effetti dell'attività trattamentale penitenziaria, ecc, che l'evento della vittimizzazione mette in luce" (21).
Nel momento in cui gli interessi di cui sono portatori vittima e comunità divergono, la gestione del conflitto passa nelle mani dello Stato, sicché il giudice è l'unico legittimato a jus dicere (22).
3.5 L'orientamento delle condotte attraverso il rafforzamento degli standards morali collettivi
Nella gestione del conflitto anche la giustizia può agire come fattore di stabilizzazione sociale, almeno se si accede ad un modello di giustizia di tipo evolutivo, secondo il quale l'opzione criminale nasce come "conflitto" e si trasforma in "consenso" (23) i cui strumenti sono costituiti non dalle sanzioni ma dalla gestione comunicativa e comunitaria del conflitto con la promozione di concrete attività riparative.
Affinché sia espletata la funzione che il modello riparativo si propone, e cioè il rafforzamento degli standards morali collettivi, è necessario elevare a livello comunitario il processo riparativo e i suoi esiti concreti. Rispetto a questo obiettivo, che per certi versi coincide con la funzione generale del diritto di produrre sicurezza delle aspettative in caso di delusione, si rivelano utili quei modelli di riparazione strettamente indirizzati a tutte le parti interessate dal reato: reo, vittima e comunità.
3.6 Il contenimento del senso di allarme sociale
La commissione di un reato ha spesso come conseguenza immediata il verificarsi di un diffuso allarme sociale e l'aumento del senso di insicurezza dei cittadini. Si ritiene, a tal proposito, che la percezione collettiva debba essere controbilanciata da un intervento statuale che sancisca l'antiteticità di un comportamento violento all'ordinamento previgente, attivando risposte istituzionali relativamente la sua commissione. Ma la risposta istituzionale, con i suoi complessi meccanismi di attivazione, la sua lentezza procedurale, il suo esito incerto, spesso non riesce a soddisfare il bisogno collettivo di sicurezza incrementata dalla reiterazione dei comportamenti delittuosi.
Assicurare alla comunità il potere di gestire, almeno in parte, i conflitti che si verificano al suo interno, significa restituirle la capacità di recuperare il controllo su determinati accadimenti che hanno un impatto significativo sulla percezione di sicurezza dei consociati o sulle loro abitudini di vita: significa, in sostanza, poter contenere l'insicurezza che deriva dalla percezione dei vari livelli di rischio della vittimizzazione (24).
4. Modelli comunicativi, riparazione e Lebenswelt: per una concettualizzazione alternativa della giustizia riparativa
Questa rapida ricognizione dei profili definitori "tradizionali", degli obiettivi e delle caratteristiche della tecnologia riparativa, lascia emergere alcuni motivi ricorrenti, alcune costanti per quanto riguarda il "senso" la Riparazione stessa. Penso alla retorica giustificativa vittimologica, all'appello continuo alle virtù civiche di non ben specificate comunità virtuose, alla riproposizione regolare (e non priva di ambiguità) della diade reo/vittima.
Questo leit-motiv teorico, variamente articolato, che informa le diverse modalità di gestione riparativa dei fenomeni criminosi sopra analizzate, incontra solo parzialmente la mia condivisione. Coerentemente all'analisi dei significati sociali della Riparazione, proposta ad inizio capitolo, ritengo che la concettualizzazione "classica" del paradigma riparativo sopra sintetizzata, presenti una pluralità di punti critici, che potrebbero invalidare le potenzialità del modello in questione.
Non mi diffonderò in questa sede sulle criticità sostanziali di detta lettura "classica" (il prossimo capitolo sarà dedicato integralmente a questo tema). Mi limito ad osservare come quella interpretazione conduca ineludibilmente all'assimilazione del paradigma riparativo agli altri paradigmi di giustizia penale (Retribuzione, Rieducazione), perdendosi in questo modo la specificità della Riparazione, come modello di interpretazione e gestione della conflittualità sociale potenzialmente trascendente il vocabolario giuridico-processuale per la gestione dei conflitti sociali, come genuino tentativo di superamento sostanziale dell'orizzonte punitivo.
Nella mia prospettiva invece, la Riparazione non consiste nel semplice prodotto di un processo storicamente determinato di elaborazione di nuove risposte penali a nuove questioni sociali; non è una formula inedita per una trasformazione qualitativa della penalità, centrata sulla gestione inclusiva, irenica e informale (ma pur sempre penale) dei conflitti; per me la Riparazione non è un miglior punire, perché più umano, più leggero, più rapido, non ha e non deve avere nulla a che fare con l'idea del punire.
Per me la Riparazione consiste, sul piano "dell'essere", nella reazione entropica della Lebenswelt, intesa come l'ambito di relazioni intersoggettive (e dell'intenzionalità del soggetto) che formano l'insieme di relazioni d'interazione quotidiana (anche conflittuale) con piena comprensione reciproca del senso dell'azione e della comunicazione intersoggettive (25), alla colonizzazione giuridica/giudiziaria, intesa come gestione del conflitto astraente la specificità del contesto relazionale in cui è ecologicamente radicato. Sul piano del "dover essere" credo possa essere tematizzata invece, come un'operazione "strategica" di rivitalizzazione/valorizzazione della Lebenswelt, dalla quale attingere le risorse comunicative per la gestione del conflitto (giuridicamente categorizzato come crimine) che si sviluppa in quello stesso spazio d'interazione sociale significativa.
È necessario a questo punto essere più analitici e cercare di meglio esprimere concettualmente il nesso che lega, nella mia prospettiva, queste due "centrali" realtà (Riparazione e Lebenswelt), con l'obiettivo di rovesciare la concettualizzazione tradizionale della Riparazione come ennesimo esempio di paradigma punitivo.
Ricordo che nella sua estremizzazione della prospettiva semantica e pragmatica dell'analisi sociale, Habermas ha sostenuto che la relazione fra comunicazione linguistica e agire sociale presupponesse il linguaggio come medium dei processi di comprensione e intesa fra i partecipanti alla comunicazione. Linguaggio e agire non coincidono, bensì il linguaggio è il medium comunicativo che serve ai partecipanti per comprendersi e intendersi. L'agire comunicativo orientato al reciproco comprendersi, comporta che i partecipanti attuino i propri piani di comune accordo, in una situazione definita insieme, diversamente dall'agire strumentale, che appare invece orientato verso la trasformazione della realtà esterna, considerando l'azione come razionale, soltanto se l'attore adempie le condizioni che sono necessarie per la realizzazione dell'intento di intervenire con successo nel mondo.
Sullo sfondo dell'agire comunicativo, c'è la dimensione del mondo vitale (Lebenswelt), serbatoio di evidenze e convinzioni che i partecipanti alla comunicazione utilizzano per i processi d'interpretazione e di interazione cooperativa, ma che è esso stesso soggetto a valutazioni di validità (26).
Volendo leggere la Giustizia riparativa utilizzando la "lente" habermasiana dell'agire comunicativo, si potrebbe sostenere che la Riparazione consiste fondamentalmente, in una tecnologia d'interpretazione e gestione del conflitto sociale, che attraverso la risorsa comunicativa attinta dai mondi della vita quotidiana, permette ai partecipanti al conflitto di produrre-riprodurre "argomentativamente" il significato dell'interazione conflittuale e di gestirla costruttivamente e coerentemente a quella specifica rappresentazione del conflitto, prescindendo dalla riduzione "oggettivistica" che ne farebbe il dispositivo giuridico. Il senso del conflitto sociale, viene quindi prodotto all'interno dei mondi della vita quotidiana, esaltando la dimensione "calda" della comunicazione, la dimensione emozionale e la capacità decisionale dei partecipanti alla relazione conflittuale. L'istanza che garantisce l'intervento non invasivo e costruttivo sul conflitto, è data dunque dalla coerenza dell'intervento riparativo con la struttura della Lebenswelt, terreno delle relazioni intersoggettivamente condivise, presupposta dai soggetti socializzati.
La gestione del conflitto si compie prima di tutto nella modalità di atti linguistici incorporati in nessi interattivi ed intrecciati ad azioni strumentali, assurgendo la razionalità comunicativa a medium per la gestione del conflitto e per la riproduzione simbolica dei mondi della vita. L'uscita dalla propria soggettività autoreferenziale e apertura all'Alter, attraverso l'incontro e la comunicazione, vero ponte tra soggettività e intersoggettività, è lo strumento per una regolazione non invasiva e costruttiva delle relazioni conflittuali.
In sintesi: interpretare il fenomeno criminoso come conflitto sociale, utilizzando le categorie dell'ambiente vitale nel quale il conflitto germina, e gestirlo con strumenti ad esso coerenti, come la rielaborazione della relazione attraverso la risorsa comunicativa, non mediata dalle forme cristallizzate del diritto.
Con la Giustizia riparativa, dunque, si opera nel senso di contribuire alla costruzione-ri-costruzione delle norme consensuali radicate nel mondo vitale, che consentono di sviluppare azioni e interazioni sociali significative nell'ambito conflittuale: quando le parti iniziano a darsi delle regole (e già questo è un assunto importante nell'attività di riparazione) si coglie un'evoluta apertura intellettuale che trova compimento ed assoluta realizzazione nell'atto linguistico, nella riapertura dei canali comunicativi. Quegli stessi canali comunicativi che non sarebbero riattivabili dal dispositivo giuridico/giudiziario di regolazione del conflitto, meccanismo che anzi espropriando (27) il conflitto alle parti, nega qualsiasi forma di comunicazione "ecologicamente radicata" nella (e per la) relazione conflittuale. L'intervento riparativo si caratterizza invece, come attività finalizzata ad individuare, interpretare e accompagnare le modificazioni che intervengono nel sistema relazionale e si connota quale operatività di confronto sociale (28) che sollecita soggetti e gruppi a mettere alla prova le reciproche modalità relazionali al fine di cercare le ragioni e le condizioni di compatibilità.
La Riparazione vuole essere azione progettuale di regolazione come risorsa di costruzione o ricostruzione delle regole comunicative dei contesti nei quali si sviluppano azioni sociali e delle regole che nei contesti consentono il dispiegarsi d'interazioni sociali significative con riferimento alla valenza pubblica dell'agire (29). Il conflitto viene situato nel suo contesto, non subisce più l'astrazione violenta della giuridificazione o il trattamento omologante e cognitivamente semplificante ad esso riservato dal giudiziario, puntando invece alla valorizzazione dei destinatari della Riparazione.
Sotteso a tale prospettiva vi è il superamento della concezione del reato come mera violazione di una norma giuridica e l'accoglimento, viceversa, di una visione relazionale-sociale del fatto criminoso, che tenga conto di tutte le possibili estrinsecazioni dell'offesa come segmento di una più complessa relazione conflittuale.
L'obiettivo fondamentale dell'approccio riparativo è costituito, in quest'ipotesi, dalla ricomposizione della frattura nella comunicazione sociale tra "reo" e "vittima" (o meglio tra soggetti che partecipano a quel particolare processo relazionale che è il conflitto) provocata dalla commissione del reato (inteso come cristallizzazione giuridica del conflitto) o da sue conseguenze. Da questo punto di vista, la Giustizia riparativa lavora prevalentemente sulla dimensione relazionale del danno e sui suoi riflessi in termini di 'alterazione' della comunicazione sociale tra parti, cercando di ripristinarla attingendo alla Lebenswelt, come setting d'interazione nel quale si sviluppa quello specifico conflitto (e non in riferimento alle virtù civiche di una sedicente comunità).
Considerando quanto appena detto, è da chiedersi se non sia possibile una riorganizzazione del sapere attorno ad una nuova categorizzazione della conflittualità che sottragga complessivamente il problema del conflitto alla concettualizzazione giuridico-penale (oggi imperante). Si pone la prospettiva di interpretare come il soggetto sia dentro un arco di conflitti, che per lui hanno tutti rilevanza, e come questa sia sostanzialmente la sua dimensione esperienziale che va gestita.
La sfida che la Giustizia riparativa lancia, è quella di cercare di superare la logica del castigo muovendo da una lettura relazionale del fenomeno criminoso, inteso normalmente come un conflitto (un particolare tipo di interazione sociale in cui uno o più attori coinvolti fanno esperienza di un'incompatibilità negli scopi o nei comportamenti) che provoca la rottura di aspettative sociali simbolicamente condivise, ecologicamente radicate in uno specifico mondo vitale. Il reato non viene riduttivamente considerato come un illecito commesso contro la società, o come un comportamento che incrina l'ordine costituito, un crimen laesae maiestatis (30) - che richiede una pena da espiare - bensì come una condotta intrinsecamente dannosa e offensiva, perché come tale percepita dai partecipanti alla relazione conflittuale, condotta che può provocare privazioni, sofferenza, dolore, e che richiede, da parte dell'attore, l'attivazione di forme di riparazione del danno, anticipata dalla ricostruzione attraverso la risorsa comunicativa attinta dalla Lebenswelt comune, dello stesso rapporto di opposizione interpersonale, prescindendo dalle categorizzazione astratte giuridiche.
Da un punto di vista sociologico-giuridico, la Giustizia riparativa è configurabile come una teoria "sociale" della giustizia, le cui radici affondano nella ricerca di un modello di giustizia che sia in grado di far convergere su di sé il consenso dei vari gruppi sociali stanziati su un determinato territorio, il ri-dispiegamento della capacità endogena di ri-composizione e restaurazione del legame sociale deteriorato dall'escalazione (31) del conflitto, la rivitalizzazione del mondo vitale altrimenti irreggimentato dalla razionalità giuridica. Per queste ragioni, la Giustizia riparativa non offre soluzioni unilaterali, né produce effetti stigmatizzanti. In quanto giustizia che "si prende cura" anziché "punire", la Giustizia riparativa è orientata verso il soddisfacimento dei bisogni delle vittime, del "reo" e della comunità specifica in cui viene vissuta l'esperienza di vittimizzazione. Le questioni fondamentali non sono più "chi merita di essere punito?" e "con quali sanzioni?", bensì "qual è la percezione dei partecipanti al conflitto del conflitto stesso?" ed ancora "come percepiscono la loro posizione all'interno della relazione conflittuale?" successivamente "cosa può essere fatto per riparare l'eventuale danno?", laddove riparare non significa, riduttivamente, controbilanciare in termini economici il danno cagionato.
La Riparazione, infatti, ha una valenza più profonda e, soprattutto, uno spessore etico che la rende ben più complessa del mero risarcimento e che affonda le proprie radici nel percorso di riattivazione dei canali comunicativi tra soggetti in conflitto, nella rielaborazione della relazione secondo canoni "relazionali" e nella generazione di "soluzioni" consensuali.
La Giustizia riparativa costituisce un approccio innovativo e dinamico al conflitto "da reato" e insegna, soprattutto, che la società civile non ha bisogno solo e necessariamente di norme rinforzate da sanzioni che "sclerotizzano" mondi vitali - e il discorso vale soprattutto per le società complesse moderne - ma anche di un'etica della comunicazione (come modalità di gestione dei conflitti) che alle norme possa offrire una legittimazione e una conferma di validità. L'alternativa delineata dalla Giustizia riparativa, prevede che al binomio reato-pena, si contrapponga il binomio conflitto-riparazione, operando dunque una ri-codificazione epocale del fenomeno criminoso, ora inteso non in senso giuridico/giudiziario, ma relazionale, sociale: un conflitto; se da un lato il reato perde la sua connotazione pubblicistica di offesa ad un bene giuridico e ritorna come conflitto alle parti, dall'altro, parallelamente, il carattere deterrente e punitivo della pena lascia il posto ad una prospettiva di riparazione del danno e di ripristino comunicativo tra "vittima" ed autore del reato, attivando un processo di ricostruzione locale, parziale e contestuale della Lebenswelt, degli spazi di interazione comunicativamente strutturati.
La Giustizia riparativa rappresenta, in sintesi, l'evoluzione "verso modelli decentrati di regolazione dei conflitti che si sviluppano nel quadro di entità sociali più o meno ampie, permettendo una maggior implicazione degli attori nella risoluzione dei propri contrasti" (32). Con questa consapevolezza credo sia possibile e necessario leggere le caratteristiche "strutturali" della Giustizia riparativa per coglierne criticamente le diverse implicazioni teoriche e pratiche, per comprenderne la portata eversiva rispetto al funzionamento del dispositivo penale-puntivo, più in generale, rispetto alla razionalità giuridica.
5. Tecniche e strumenti della giustizia riparativa
Gli strumenti di intervento della Giustizia riparativa, sono costituiti da una pluralità di programmi ed istituti che, se considerati secondo la prospettiva sopra esposta, appaiono spesso dotati di modeste componenti riparative. Le due chiavi di lettura che si propongono per l'organizzazione materiale della Giustizia riparativa sono offerte da un lato dai documenti preparatori del X Congresso delle Nazioni Unite in tema di "Prevention of Crime and Treatment of Offender" (33), dall'altro dalla classificazione delle politiche di conciliazione/riparazione in base alle intrinseche potenzialità riparative e ai relativi beneficiari.
E' essenziale una ricognizione sugli strumenti che compongono le politiche riparative, basata sul contributo del lavoro svolto dall'ISPAC (International Scientific and Professional Advisory Council) che considera appartenenti al paradigma riparativo i seguenti strumenti (34):
Apology (scuse formali): sistema basato sulla comunicazione verbale che il reo pone in essere in via diretta con la vittima, descrivendo il proprio comportamento e dichiarando la propria responsabilità; Community/family Group Conferencing (FGC): è una forma di mediazione allargata in cui tutti i soggetti coinvolti dalla commissione del reato (reo, vittima, familiari) ricercano una modalità di gestione del conflitto con l'aiuto di un mediatore. Tale paradigma presuppone l'ammissione di colpevolezza da parte dell'autore dell'illecito; Community/neighbourhood/victim Impact Statements (VIS): si tratta della descrizione che la vittima o la comunità fornisce relativamente i condizionamenti causati dal reato. Redatto in forma scritta od orale, rappresenta una modalità esaustiva per la valutazione degli effetti a breve e lungo termine che il reato comporta nei soggetti offesi. Tale modalità esecutiva viene, per lo più, utilizzata per i reati senza vittima (per esempio detenzione di sostanza stupefacente); Community Restorative Board: è costituito da un piccolo gruppo di cittadini, opportunamente formati, che svolgono colloqui con il reo sulla natura e le conseguenze del reato commesso per la promozione e la messa in atto di un'azione riparativa; Community Sentencing/Peacemaking Circles: è il principale istituto appartenente al paradigma riparativo su base comunitaria. La comunità gestisce il processo tentando di raggiungere un programma sanzionatorio a contenuto riparativo che tenga conto dei bisogni di tutte le parti interessate dal conflitto; Community Service: si tratta della prestazione, da parte del reo, di un'attività lavorativa a favore della comunità; Compensation Programs: programmi di compensazione dei danni arrecati dal reato predisposti dallo Stato; Diversion: comprende ogni tecnica volta ad evitare che l'autore di un reato entri nel circuito penale-processuale; Financial Restitution to Victims: processo attraverso il quale la Corte competente quantifica il danno derivante dalla commissione dell'illecito imponendo al reo il pagamento di una corrispondente somma di denaro; Personal Service to Victims: trattasi di attività lavorative che il reo svolge a favore delle persone danneggiate dal reato commesso; Victim/Community Impact Panel: è una sorta di forum in cui un gruppo ristretto di vittime esprime ad un piccolo gruppo di autori di reato gli effetti dannosi e negativi derivanti dal reato subito; Victim Empathy Groups or Classes: sono programmi educativi tendenti a far acquisire al reo la piena consapevolezza di tutte le conseguenze dannose derivate dall'azione criminosa commessa; Victim;Offender Mediation: è un processo informale in cui l'autore e la vittima, sotto la guida di un mediatore, discutono del fatto criminoso e degli effetti nocivi arrecati dalla sua commissione. Tali programmi conoscono numerose varianti applicative: alcuni sono indirizzati verso specifici destinatari (nel caso l'utenza sia costituita da minori la componente prevalente è quella rieducativa, se, invece, l'intervento si indirizza ad una fascia di soggetti adulti, prevale la componente riparativa) e possono essere distinti in base al tipo di reato. Relativamente l'applicazione, alcune modalità intervengo prima del processo (mediazione o FGC) mentre altre sono predisposte nella fase processuale o si accompagnano ad essa (Compensation Programs o VIS); altre appartengono alla fase post-release (Victim Community Impact Panel o Diversion After Conviction). Il fondamentale strumento della Giustizia riparativa è costituito dalla mediazione fra autore e vittima di reato, perché di più larga applicazione nei vari ordinamenti (35). I modelli operativi di Giustizia riparativa possono essere classificati in base ai contenuti delle singole modalità di intervento. Si può richiamare il modello elaborato da McCold (36) che esemplifica la classificazione degli strumenti della Giustizia riparativa includendone i destinatari specifici, e che ben si adatta alla prospettiva teorica finora adottata.
Nei tre cerchi principali sono indicati i soggetti che normalmente sono interessati dalla commissione di un reato: il reo, la vittima e la comunità.
Gli interventi operati attraverso la giustizia operativa sono, dunque, orientati, in modo più o meno intenso, verso uno o più dei destinatari sopra citati. McCold distingue tre tipi di approccio:
- completamente riparativo: l'autore vi include solo il peace circle, il family group conferencing ed il community conferencing. Tali istituti sono considerati completamente riparativi perché la riparazione coinvolge tutti coloro che sono stati interessati dalla commissione di un reato; è interessante notare come vi sia inclusa la comunità che si pone contemporaneamente come attore del percorso di pace e come beneficiario della riparazione;
- principalmente riparativo: racchiude un ventaglio di interventi più ampio, tra cui la mediazione autore-vittima in quanto esclude dall'area delle politiche riparative la partecipazione della comunità. Per motivi analoghi vi sono inclusi il victim support circles (che include la comunità ma esclude il reo) e le Therapeutic communities (che includono il reo e la comunità ma escludono la vittima);
- parzialmente riparativo: comprende quegli istituti che hanno componenti riparative marginali e che, di norma, coinvolgono una sola delle parti in conflitto, come la crime compensation che si rivolge alla vittima, prescindendo dal processo di autoresponsabilizzazione del reo e dal senso di sicurezza collettivo.
5.1 I programmi di riconciliazione autore-vittima e la mediazione
I victim-offender reconciliation programs (VORP) nascono a metà degli anni Settanta, conoscendo un rapido ed inarrestabile declino, a livello americano, dei programmi di riconciliazione e mediazione, il cui numero cresceva esponenzialmente. Nonostante il loro carattere mediatorio, i VORP si differenziano dalla vera e propria attività di mediazione; tale divergenza è visibile già a partire dal profilo "semantico" (37). Tuttavia il VORP si avvale della guida di un mediatore o terzo neutrale la cui presenza è finalizzata al superamento del conflitto che può scaturire dall'incontro tra vittima ed autore di reato. Il ruolo del mediatore si esaurisce nel sollecitare il reciproco riconoscimento delle parti senza investire il campo proprio della riparazione. La logica della mediazione implica, infatti, che il "reparation agreement" scaturisca dalla libera volontà delle parti.
La negoziabilità della soluzione del conflitto concorre a far sì che l'esito di un tale programma non sia scontato e prevedibile, come accade invece all'esito di un processo che, in linea di massima, si conclude con un vincitore ed un vinto. Tra gli epiloghi possibili, i principali sono: la soluzione del conflitto (implica che il reo abbia posto in essere una condotta anche solo simbolicamente riparativa); la riparazione vera e propria; la riconciliazione delle parti.
Il successo dei VORP deriva dal fatto che la mediazione ha dato alle vittime la possibilità di esprimere emozioni e sentimenti connessi alla commissione dell'azione delittuosa, che non avrebbero trovato altrimenti alcun canale di trasmissione all'interno del processo penale. Questo perché il sistema giuridico nordamericano tende a confinare come reati bagatellari tutte quelle azioni che, penalmente perseguibili, si situano nel contesto della piccola criminalità, rinunciando a perseguirle in modo standardizzato. Una via di fuga dall'incombenza penale incentrata preferibilmente sulla riparazione dell'offesa o del danno, a prescindere da una reazione punitiva statuale diretta all'autore. All'interno dei VORP una posizione di tutto rilievo è occupata dalla mediazione, segmento fondamentale e indefettibile del processo che conduce alla riparazione dell'offesa e alla riconciliazione tra vittima ed autore di reato.
5.2 La Neighbourhood Justice
La "giustizia del vicinato" o "giustizia della comunità" (38), si è sviluppata agli albori degli anni Settanta, trovando ampia applicazione soprattutto negli Stati Uniti ed in alcuni Paesi europei come la Norvegia. Si tratta di centri di intervento extra giudiziario sui conflitti, istituiti su base locale e con il supporto concreto dei servizi sociali e, a volte, della comunità.
Il punto focale di questo strumento risiede nell'aver tentato di allargare la mediazione, incentrata su uno specifico caso e quindi selettiva e settoriale, elevandola ad un piano superiore, ad un intervento che possa prevenire la commissione di illeciti all'interno di una comunità.
Intervenire sul problema, piuttosto che sulla situazione (39) consente alla mediazione di esplicarsi non solo come tecnica gestionale di situazioni conflittuali, ma anche come contributo alla costruzione o ricostruzione di un apparato normativo in grado di sviluppare interazioni sociali significative. L'intervento mediativo si offre, quindi, come attività volta all'individuazione, all'interpretazione ed all'accompagnamento delle modificazioni che intervengono nel sistema relazionale, connotandosi quale "processo di confronto sociale finalizzato alla comprensione ed alla gestione delle ragioni e delle condizioni della compatibilità relazionale" (40).
La complessa realtà caratterizzante i Neighbourdhood justice Centres, impedisce la formulazione di un modello operativo unitario, diversamente dalla ricostruzione normalmente quadrifasica, costruita per la mediazione.
5.3 Il Family Group Conferencing (FGC)
L'incontro di mediazione previsto nel FGC coinvolge non solo l'autore e la vittima del reato, ma si estende ai rispettivi gruppi familiari o a quei soggetti che possono svolgere un ruolo significativo di supporto nei confronti delle parti.
Nel FGC, definito come una forma di dialogo allargato ai gruppi parentali o come "dialogo clinico" (41), convergono, a sostegno del mediatore, operatori dei servizi sociali o funzionari dell'amministrazione della giustizia. Tale struttura prevede, inoltre, la presenza di soggetti appartenenti all'Autorità che ha inviato il caso (normalmente il corpo di polizia) il cui ruolo è limitato alla descrizione del caso ed al parere circa l'accordo di riparazione formulato.
L'iter di conduzione del FGC è similare a quello della mediazione: resoconto da parte dell'Autorità; raccolta di materiale informativo da parte del mediatore; racconto dell'impatto emotivo che la condotta del reo ha cagionato sulla vittima; formulazione di scuse formali da parte dell'autore di reato; predisposizione di un programma di Riparazione.
Una cerimonia di "ri-accoglienza" nei confronti del reo conclude l'esito positivo del FGC; rappresenta, simbolicamente, l'abbandono di una reazione sociale incentrata sulla stigmatizzazione e sull'esclusione del reo in favore della sua diretta reintegrazione nella comunità. La caratteristica principale del FGC è costituita dal fatto che, nell'incontro di mediazione, la vittima può essere rappresentata da un altro soggetto (un componente della famiglia, un amico, ecc.) e può, altresì, decidere di non prendere parte al gruppo, che viene condotto con l'esclusiva partecipazione del reo, della sua famiglia e/o della comunità. In tal caso lo scopo che il FGC si propone è limitato a promuovere ed incoraggiare la responsabilizzazione dell'autore di reato, escludendosi la componente riparativa che, se contemplata, è ridotta ad un atto unilaterale di volontà. L'obbligo morale e giuridico di riparare il danno, il cui contenuto deriva da una condotta illecita posta in essere dal soggetto, si rende possibile prescindendo dall'accordo manifestato dalla vittima (è il caso del lavoro prestato a favore di enti o associazioni).
5.4 I "consigli commisurativi" ed i "resoconti di vittimizzazione"
Negli ordinamenti giuridici di Common Law (42) vige un modello bi-fasico di commisurazione penale per il quale la determinazione della sanzione relativa la commissione di un illecito si esplica nel corso di un'udienza diversa e lontana nel tempo da quella in cui viene emesso il verdetto, al fine di acquisire informazioni che, se conosciute al momento della condanna, potrebbero condizionare l'organo giurisdicente che emette la risposta penale (43).
I "consigli commisurativi" (Sentencing Circles - SCs) ed i "resoconti di vittimizzazione" (Victim Impact Statements - VIS) sono stati istituiti per attribuire una maggiore visibilità della vittima nel processo penale e nella fase di commisurazione della pena. I due istituti consentono al giudice di conoscere il punto di vista della vittima e le conseguenze psico-fisiche che il reato ha comportato. I SCs, ampiamente utilizzati in Canada ed in Nuova Zelanda, si sostanziano in gruppi di discussione volti a definire, attraverso il consenso comunitario, la commisurazione della pena. L'accezione semantica del predetto istituto deriva dalla disposizione circolare delle parti, che presenziano all'incontro: una collocazione simbolica e rituale per creare un'atmosfera di rispetto e comprensione (44). Il VIS, in particolare, è un rapporto informativo dettagliato diretto al giudice incaricato alla commisurazione della pena, oppure al pubblico ministero per una più completa valutazione del caso.
6. Una paradigmatica di sintesi degli strumenti della giustizia riparativa
La Giustizia riparativa, abbiamo visto, può tradursi, operativamente, in una pluralità di programmi o di istituti, sebbene i principali strumenti siano da considerare la "mediazione tra autore e vittima" e il "family group conferencing". I programmi "riparativi" sopra elencati conoscono, nei singoli ordinamenti nei quali si ricorre alla Giustizia riparativa, numerose varianti applicative.
Di esse è possibile offrire un quadro riassuntivo organizzato su tre livelli (45): (a) soggettivo, concernente i destinatari della riparazione; (b) oggettivo, riguardante gli illeciti suscettibili di mediazione; e, infine, (c) operativo, relativo cioè al coordinamento tra sistema penale e istituti riparativi.
(a) Quanto ai destinatari delle politiche riparative va detto che alcuni programmi hanno come destinatari specifici imputati minorenni - spesso, in questi casi, la componente "rieducativi" ha il sopravvento sulla reale tutela delle vittime a base riparativa - mentre altri sono parimenti indirizzati sia ai minori che agli adulti autori di reato (è quanto avviene, ad esempio, in Germania). In quest'ultimo caso, la componente riparativa della misura adottata tende a prevalere su quella propriamente riconciliativa.
(b) Il tipo di reati mediabili. Alcuni programmi sono destinati alla gestione della sola criminalità di gravità medio-bassa, e funzionano, nella sostanza, come tecniche di diversion; altri programmi, viceversa, hanno un target allargato anche a reati di elevata gravità (come nell'esperienza pilota condotta a Lovanio, in Belgio).
(c) Le modalità di attivazione o di ingresso dei programmi riparativi nel sistema.
Da questo punto di vista è possibile procedere ad un'ulteriore suddivisione tra:
(aa) istituti che hanno un'applicazione prevalentemente pre-processuale (si pensi alla mediazione o al Community/family Group Conferencing);
(bb) istituti che intervengono utilmente nella fase processuale o si affiancano ad essa (Compensation Programs; Community/neighborhood/victim Impact Statements);
(cc) istituti che appartengono funzionalmente alla fase post-processuale o anche post-rilascio (si pensi, in questo caso, al Victim/Community Impact Panel o alla diversion after conviction cui si ricorre in Australia, o ancora al recentissimo esperimento condotto in sei istituti pènitenziari in Belgio).
Al di là della complessità e della varietà strutturale dei singoli strumenti riparativi, va sottolineato come la mediazione autore/vittima costituisca l'istituto "cardine" della Giustizia riparativa: una sorta di "pietra angolare" delle politiche di Riparazione. Ciò avviene perché la mediazione è una componente essenziale ed indefettibile di molti dei programmi sopra ricordati, ma anche perché essa costituisce l'istituto che. nei vari sistemi giuridici, ha ricevuto l'applicazione più generalizzata.
Note
1. A. Lovejoy, La grande catena dell'essere, Feltrinelli, Milano, 1966.
2. M. Pavarini, Decarcerizzazione e mediazione nel sistema penale minorile, in Lorenzo Picotti (a cura di), La mediazione nel sistema penale minorile, Cedam, Padova, 1998.
3. Ibidem.
4. J. Faget, Justice et travail social. Le rhizome pénal, Erés, Toulouse, 1992; cfr. J. Faget, La médiation pénale: une dialectique de l'ordre et de désordre, in "Déviance et Société", vol. XVII, 3, pp. 221-223, 1993.
5. Cfr. T. Pitch, Un diritto per due, il Saggiatore, Milano, 1998; S. Rodotà, Tecnologia e diritti, Il Mulino, Bologna, 1996; G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Einaudi, Torino, 1992.
6. J. Carbonnier, Flessibile diritto, Giuffrè, Milano, 1997.
7. S. Ciappi, A. Coluccia, Retribuzione, riabilitazione e riparazione: modelli e strategie di intervento penale a confronto, Franco Angeli, Milano, 1997.
8. L. Susskind, C.Ozawa, Mediated negotiation in the public sector, in "American Behavioural Scientist", 27, pp. 149-166, 1983.
9. J. Habermas, Teoria dell'agire comunicativo, cit.
10. G. Mannozzi, La giustizia senza spada, cit.
11. M. Wright, Justice for Victims and Offender, Waterside Press, Winchester, 1996.
12. W. Cragg, The Practice of Punishment, Routledge, London-New York, 1992.
13. R. Garofalo, Riparazione alle vittime del delitto, Torino, 1887.
14. R. Barnett, Restitution: A New Paradigm of Criminal Justice, in R. Barnett, J. Hagel III, Assessing the Criminal. Restitution, Retribution and the Legal Process, Cambridge Iniv. Press, Cambrodge, 1977.
15. A. Eglash, Creative Restitution: Some Suggestion for Prison Rehabilitation Programs, in "AJC", 3, pp. 20-34, 1958.
16. Richardson-Preston, Full Circle, The Newsletter of the Restorative Justice Institute, 1997.
17. M. Wright, contributo presentato nell'ambito del Convegno sul tema "Quali prospettive per la mediazione? Riflessioni teoriche ed esperienze operative", Roma, 20-21 aprile 2001.
18. Ibidem.
19. D. Van Ness, Four Challanges of Restorative Justice, CLF, 4, p. 12 ss., 1993.
20. A. Ceretti, Mediazione penale e giustizia. In-contrare una norma, in AA. VV. Studi in ricordo di G. Pisapia, Giuffrè, Milano, 2000.
21. G. V. Pisapia, La sfida della mediazione, cit.
22. G. Mannozzi, La giustizia senza spada, cit.
23. C. E. Paliero, Consenso sociale e diritto penale, in "Rivista Italiana di Diritto Processuale Peneale", 1, p. 25 ss., 1992.
24. J. Robert, Public Opinion, Crime and Criminal Justice, Westerview Press, Boulder, 2000.
25. A. Ardigò, Crisi di governabilità e mondi vitali, Cappelli, Bologna, 1980.
26. J. Habermas, Teoria dell'agire comunicativo, cit.
27. Cfr. L. Hulsman, J. Bernat de Celis, Peines perdues. Le systeme pènal en question, Le centurion, Paris, 1982.
28. G. V. Pisapia, La scommessa della mediazione, in G. Pisapia, D. Antonucci (a cura di), La sfida della mediazione, Cedam, Padova, 1997.
29. Ibidem.
30. M. Sbriccoli, Crimen laesae maiestatis, Giuffré, Milano, 1974.
31. E. Arielli, G. Scotto, Conflitti e mediazione, B. Mondadori, Milano 2003; cfr. E. Arielli, G. Scotto, I conflitti: introduzione ad una teoria generale, B. Mondadori, Milano, 1998.
32. S. Castelli, La mediazione. Teorie e tecniche, Cortina Editore, Milano, 1999.
33. Tenth United Nation Congress on the Prevention of Crime and Treatment of Offender, Vienna, 10-17 aprile 2000.
34. G. Mannozzi, La giustizia senza spada, cit.
35. Il numero di programmi (istituzionali o sperimentali) implementati negli Stati Uniti ed in Europa dimostra che la mediazione è lo strumento della giustizia riparativa caratterizzato dal migliore livello di fattibilità.
36. P. McCold, Types and Degrees of Restorative Practice, in "RJF", 1999.
37. Mentre la riconciliazione si focalizza sull'esito dell'incontro tra autore e vittima, la mediazione indica il processo predisponente la riparazione o la riconciliazione.
38. M. Wright, Justice for Victims and Offender, cit.
39. G. V. Pisapia, La scommessa della mediazione, in G. V. Pisapia, D. Antonucci, La sfida della mediazione, CEDAM, Padova, 1997.
40. Ibidem.
41. G. Mannozzi, La giustizia senza spada, cit.
42. L'area di Common Law si caratterizza per un ampio riconoscimento del valore delle politiche riparative.
43. L. Monaco, Prospettive dell'idea dello scopo nella teoria della pena, Jovene, Napoli, 1984.
44. G. Mannozzi, La giustizia senza spada, cit.
45. G. Mannozzi, Problemi e prospettive della giustizia riparativa, in "Rassegna penitenziaria e criminologica", p. 14 ss., dicembre 2001.