ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo I
La riforma del sistema penale introdotta con la legge 251/2005

Leonardo Bresci, 2006

1. Introduzione: le linee di intervento della legge 251/2005

La legge ormai nota come "ex Cirielli" (1) è finalmente in vigore nel nostro ordinamento dopo un lungo e faticoso cammino parlamentare che si è concluso con l'approvazione della Legge 5 dicembre 2005, n. 251 (2).

Sebbene l'opinione pubblica e l'attenzione dei mass media si siano concentrate soltanto sulla tendenziale diminuzione dei termini di prescrizione (3), la reale portata innovatrice della nuova legge è molto più ampia e si estende ad altre vaste zone dell'ordinamento penale.

Le materie toccate da questa legge riguardano, infatti, gli istituti della prescrizione (art. 157 c.p.), della recidiva (art. 99 c.p.), nonché alcune parti dell'ordinamento penitenziario (benefici e misure alternative). Novità rilevanti si registrano, ancora, in tema di attenuanti generiche (art. 62- bis c.p.), di esecuzione della pena (art. 656 c.p.p.), di quantificazione della pena in caso di condanna per reato continuato o concorso formale (artt. 81 c.p. e 671 c.p.p.) e, infine, in materia sanzionatoria, attraverso l'inasprimento delle pene previste per alcuni reati di particolare allarme sociale come l'associazione mafiosa o l'usura.

Come vedremo nel corso della trattazione, la riforma appare animata da due opposte istanze: ad una ratio garantista, volta alla tendenziale riduzione dei termini prescrizionali, si accompagna infatti un generale inasprimento del sistema penale, con particolare riferimento ai recidivi ai quali vengono applicati maggiori aumenti di pena e ulteriori limitazioni all'accesso di varie misure penitenziarie.

Occorre fin d'ora evidenziare che le modifiche concepite nel senso di un più accentuato rigorismo ruotano proprio attorno all'istituto della recidiva. Molte delle modifiche peggiorative della condizione dell'imputato o del condannato sono infatti ispirate e coordinate al rivisitato istituto della recidiva che, come vedremo, finisce per incidere sull'applicazione di rilevanti istituti di diritto penale sostanziale e processuale.

L'oggetto di questa tesina, limitato all'esecuzione penale, non consente una approfondita analisi di tutte le modifiche concepite in funzione del nuovo ruolo della recidiva, basti pertanto accennare quanto segue.

In primo luogo, con la novella dell'art. 62-bis c.p. si è fortemente limitata l'applicazione delle attenuanti generiche ai recidivi reiterati che siano imputati dei delitti di particolare allarme sociale indicati nell'art. 407, comma secondo, lett.a) c.p.p. Nella stessa prospettiva, il nuovo art. 69 c.p. introduce anche una specifica preclusione nei confronti del recidivo reiterato, consistente nel divieto per il giudice di concedere diminuzioni di pena tramite il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti.

Inoltre, nel sistema introdotto dalla legge 251 viene attribuita una notevole rilevanza alla recidiva sia nella determinazione dei periodi prescrizionali (4) sia nella quantificazione della pena (5).

Passando, infine, alla materia oggetto qui oggetto di analisi, l'inasprimento del sistema penale concerne anche l'esecuzione penale attraverso le previsioni degli artt. 7 ss. della legge che introducono una serie di limitazioni all'accesso dei benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione.

Non pare azzardato ritenere, come cercheremo di evidenziare, che tramite l'istituto della recidiva si assiste al tentativo di introdurre un regime differenziato nei confronti di coloro che, in virtù della loro carriera criminale, sono ritenuti dal legislatore portatori di una particolare pericolosità sociale e, quindi, meritevoli di un differenziato trattamento. Con riferimento alla recidiva, il legislatore avrebbe quindi utilizzato lo schema di rigore già sperimentato dal legislatore del 1991 quando, con l'introduzione dell'art. 4-bis ord. pen., volle indicare un diverso circuito penitenziario ai condannati per reati di particolare gravità.

La tecnica utilizzata consisterebbe dunque nella creazione di una fattispecie di pericolosità (l'essere recidivo; l'essere condannato per uno dei reati di cui al 4-bis) che, attraverso una presunzione ope legis, sottrae potere discrezionale al giudice, in tal modo realizzando, secondo alcuni il principio in base al quale il giudice è soggetto soltanto alla legge (art. 101 della Costituzione); secondo altri, un sistema di dubbia legittimità costituzionale.

2. La nuova disciplina della recidiva

a. Considerazioni generali

Abbiamo parlato nel paragrafo precedente della centralità che l'istituto della recidiva assume all'interno della riforma e dei suoi riflessi in materia di esecuzione penale. Non posso pertanto esimermi dalla illustrazione dell'attuale disciplina prevista dall'art. 99 c.p., così come sostituito per effetto dell'art. 4 della legge in commento.

Occorre inizialmente premettere due considerazioni di ordine generale attinenti al fondamento dogmatico ed alla natura giuridica della recidiva.

Secondo l'originaria disposizione contenuta nell'art. 99 c.p. la recidiva era la condizione personale di "chi dopo essere stato condannato per un reato ne commette un altro" ed è dichiarato recidivo dal giudice.

Secondo l'interpretazione più accreditata, la recidiva consiste perciò nella reiterazione del comportamento criminoso ed è ritenuta dal codice un elemento di maggiore capacità a delinquere, come tale idoneo a giustificare un aumento di pena (6). La recidiva assume in tale prospettiva una funzione sia retributiva (quale aspetto della colpevolezza del fatto) che preventiva (quale capacità di commissione di nuovi reati): la previsione della recidiva comporterebbe cioè una deroga al principio retributivo che ispira il nostro diritto punitivo, spezzando l'equazione "pena- reato" ed attribuendo alla pena un'ulteriore finalità di prevenzione speciale (7).

Invece, la questione sulla natura giuridica della recidiva è piuttosto dibattuta tanto che in dottrina si sono sviluppati due principali orientamenti.

Parte della dottrina considera la recidiva una circostanza in senso tecnico. A favore di questa tesi depone il tenore letterale dell'art. 70 c.p che definisce le circostanze oggettive e soggettive (8).

Non manca chi osserva che la recidiva è invece una circostanza impropria, consistente in una condizione personale del reo derivante da una precedente condanna ed è, pertanto, incompatibile con la nozione tecnica di circostanza (soggettiva) accolta dal nostro codice (9). L'adesione all'una piuttosto che all'altra tesi non è di poco conto, giacché l'eventuale esclusione della recidiva dal predetto inquadramento dogmatico comporta logicamente la non applicazione delle regole previste per le circostanze al reo dichiarato recidivo. Così, se si dovesse optare per la seconda tesi, la dichiarazione di recidiva non dovrebbe rilevare ai fini del computo della prescrizione, sarebbe sottratta al giudizio di bilanciamento delle circostanze e comporterebbe l'aumento sulla pena già determinata in base al fatto circostanziato.

Il legislatore della riforma non è intervenuto direttamente sull'inquadramento dell'istituto, limitandosi a prevedere un inasprimento delle sanzioni; resta da dire che, laddove limita la possibilità di prevalenza delle circostanze attenuanti nell'ipotesi di recidiva reiterata, si muove chiaramente dalla premessa che la recidiva costituisce una circostanza, posizione del resto unanimemente accolta dalla giurisprudenza (10).

b. Disciplina previgente

Premesse queste considerazioni generali, passiamo alla disciplina della recidiva prevista prima e dopo la riforma introdotta con la legge ex Cirielli.

L'originario articolo 99 c.p. richiedeva la reiterazione di un qualsiasi reato per la sussistenza della recidiva prevedendone tre diverse forme:

  1. recidiva semplice, quando la commissione di un reato avveniva dopo la condanna irrevocabile per un altro reato, senza che rilevasse la natura del reato e il tempo trascorso dalla precedente condanna;
  2. recidiva aggravata, quando il nuovo reato era della stessa indole (recidiva specifica) ovvero era stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente (recidiva infraquinquennale) ovvero durante o dopo l'esecuzione della pena (recidiva vera) ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottraeva volontariamente all'esecuzione della pena (recidiva finta);
  3. recidiva reiterata, quando il reato era stato commesso da chi era già recidivo.

Inoltre, optando per una soluzione non facilmente riscontrabile in altre legislazioni, il codice Rocco introdusse una disciplina caratterizzata dalla genericità e dalla perpetuità della recidiva, atteso che essa era ammessa per il sol fatto della ricaduta nel reato, anche se si trattava di reato del tutto eterogeneo nella materialità e nella motivazione e quanto mai distanziato nel tempo.

Quanto alla necessità dell'aumento di pena in caso di recidiva la disciplina è mutata nel tempo. In realtà, l'originaria versione del codice penale prevedeva aumenti obbligatori per la recidiva, consentendo al giudice di escluderla, sempre che non si fosse in presenza di reati della stessa indole, soltanto tra delitti e contravvenzioni e tra delitti preterintenzionali e delitti colposi. E' soltanto con il D.L. 11 aprile del 1974, n. 99 (11), emanato nell'ambito di un più ampio intervento mitigatore del sistema penale, che è stata introdotta la facoltatività della recidiva. L'aumento di pena in caso di recidiva diveniva così non più obbligatorio, dovendo il giudice stabilire di volta in volta, se la reiterazione del reato fosse espressione di insensibilità etica ovvero di attitudine a commettere nuovi reati, tali da giustificare una maggiore punizione del reo. Nell'esercizio del suo potere discrezionale il giudice doveva quindi accertare, ricorrendo agli elementi dell'art. 133 c.p., la sussistenza del collegamento personologico tra le varie manifestazioni criminose, consistente nel nesso tra le due azioni espressione di insensibilità etica o di maggiore pericolosità o criminosità.

La riforma del 1974 cercava di rimediare alla estrema generalizzazione della recidiva rendendola facoltativa senza peraltro intervenire sui caratteri della genericità e della perpetuità che snaturano l'istituto svincolandolo da ogni fondamento criminologico. In altre parole, con la facoltatività si rimetteva nelle mani del giudice il compito di correggere i risultati aberranti derivanti da una nozione legale di recidiva così generalizzata da includere le più disparate situazioni individuali.

c. La novella dell'art. 99 del codice penale. Gli aggravi di pena

Premessa brevemente la disciplina ante riforma, occorre verificare l'impatto della legge ex Cirielli che, intervenendo in senso repressivo, parte dal presupposto che il recidivo, in quanto tale, merita un trattamento più severo (12).

La riforma dell'istituto della recidiva si deve all'art. 4 della legge 251/2005 con il quale il Parlamento è intervenuto in maniera profonda sul testo dell'art. 99 c.p., senza peraltro incidere sulla disciplina speciale prevista dal Dlgs 274/2000 in materia di reati di competenza del giudice di pace.

Le novità introdotte riguardano essenzialmente:

  1. l'aggravamento degli aumenti di pena per i recidivi;
  2. la limitazione della recidiva ai soli delitti dolosi
  3. l'introduzione di ipotesi di obbligatorietà della recidiva.

La maggiore severità mostrata da questo legislatore anzitutto si manifesta con la maggiorazione degli incrementi di pena previsti per le varie ipotesi di recidiva descritte all'art. 99 c.p.

Rispetto alla recidiva semplice (comma 1), il precedente aumento fino ad un sesto della pena è sostituto dall'incremento fisso di un terzo della stessa. Nelle varie ipotesi di recidiva aggravata (comma 2), al posto dell'originario aggravamento fino ad un terzo, viene previsto un incremento fino alla metà della pena. Nel caso poi di recidiva pluriaggravata (comma 3), l'aumento della pena è della metà, mentre nel caso di recidiva reiterata (comma 4) è della metà ovvero dei due terzi della pena.

Ciò che colpisce del nuovo articolo 99 c.p., oltre ad una sensibile maggiorazione dell'aumento di pena, è l'abbandono del precedente sistema flessibile che consentiva al giudice di graduare l'aumento di pena. Soltanto nell'ipotesi di recidiva monoaggravata il legislatore, pur innalzando il tetto edittale dell'aumento di pena, ha deciso di mantenere il carattere flessibile dell'aumento, in aperta contraddizione dunque con le scelte invece operate nei commi 1 e 4 (13).

Indipendentemente dalle ragioni che hanno ispirato al riguardo il legislatore, l'assetto della norma fa sorgere alcune perplessità. Come è stato giustamente osservato, potrà accadere infatti che il giudice possa contenere l'aumento di pena nei confronti di un imputato al quale è stata contestata la recidiva aggravata, mentre all'eventuale coimputato per lo stesso reato al quale è stata contestata la meno grave recidiva semplice, si vedrà costretto ad irrogare il più consistente aumento di un terzo.

d. Segue: il concetto giuridico di recidiva

Altro aspetto innovativo concerne il concetto giuridico di recidiva. La legge se da un lato determina un aggravamento del trattamento sanzionatorio del condannato dichiarato recidivo, dall'altro riduce notevolmente l'ambito applicativo dell'istituto delimitandolo ai soli delitti non colposi. Il legislatore opera anzi una duplice restrizione, escludendo tutte le contravvenzioni ed i delitti colposi. Tale scelta è stata giustificata, come emerge dai lavori parlamentari, con l'esigenza di introdurre un temperamento al maggior rigore che l'intera nuova disciplina riserva al recidivo sia nella fase di quantificazione della pena che in quella concernente l'esecuzione della stessa. In sostanza, l'estrema severità del nuovo statuto della recidiva è parsa incompatibile con il trattamento sanzionatorio riservato a quei tipi di illeciti.

Rispetto a tale scelta molti commentatori hanno manifestato il proprio disaccordo, perché tanto il reato colposo quanto alcune fattispecie contravvenzionali non sono necessariamente indice di minor pericolo. Una serie di condotte colpose ravvicinate potrebbero infatti essere indice maggiore propensione a delinquere rispetto alla commissione di reati di natura dolosa, ma di minor allarme sociale. Lo stesso vale per le contravvenzioni in materia ambientale ed urbanistica, realizzate abitualmente e in maniera intenzionale, rispetto alle quali si pongono seri problemi in ordine alla loro prevenzione.

Probabilmente questa incongruenza è il prezzo da pagare ogni qual volta il legislatore legifera per categorie. Una più meditata soluzione sarebbe stata quella di mitigare gli eccessi sanzionatori non con l'esclusione dei delitti colposi dal concetto di recidiva, bensì con l'attenuazione del carattere perpetuo della stessa: all'uopo prevedendo l'irrilevanza, ai fini della recidiva, del delitto quando commesso a distanza di un congruo periodo di tempo dalla precedente condanna (14). Tale intervento sarebbe stato davvero opportuno soprattutto in considerazione dei nuovi pesanti effetti derivanti dall'applicazione dell'art. 99 c.p. e che esamineremo nel corso di questa tesina.

e. Segue: Le ipotesi di obbligatorietà e facoltatività della recidiva

Ulteriori novità si segnalano a riguardo del potere del giudice di applicare gli aumenti di pena previsti per le varie ipotesi di recidiva. La nuova legge attualizza infatti l'acceso dibattito sull'obbligatorietà o meno dell'aumento di pena che portò alla riforma del 1974 (15).

Tra i primi commentatori del nuovo testo di legge, qualcuno ha richiamato l'attenzione sulla mancata utilizzazione nel terzo e nel quarto comma dell'art. 99 c.p., della locuzione "può". Ne deriverebbe, secondo questi autori, un'ipotesi obbligatoria di aumento di pena nei casi di recidiva pluriaggravata e recidiva reiterata (16).

Tale tesi è stata sostenuta non solo facendo riferimento all'interpretazione letterale del dato normativo, ma anche guardando alla complessiva ratio ispiratrice della riforma. La legge 251 appare infatti ispirata da una ratio repressiva, tendente ad individuare nel recidivo un soggetto portatore di pericolosità sociale e, come tale, meritevole di un più severo trattamento giuridico. In tale prospettiva e alla luce della nuova diversa dizione contenuta nei commi 3 e 4 ben si giustificherebbero ipotesi di aumenti obbligatori di pena per i recidivi. Questa conclusione sarebbe altresì avallata dalla constatazione che il testo originario della legge prevedeva addirittura la completa soppressione della discrezionalità del giudice. Tale rigore è stato peraltro successivamente mitigato durante la fase di gestazione del provvedimento, addivenendo infine ad un sistema misto che prevede ipotesi di recidiva con aumenti discrezionali e ipotesi di recidiva con aumenti obbligatori.

La descritta interpretazione non può essere condivisibile né sul piano di ricostruzione ermeneutica né sul piano degli effetti pratici che potrebbero derivarne (17).

Nell'interpretazione della norma il mancato utilizzo della locuzione "può" non è infatti decisivo, poiché il legislatore laddove ha voluto sancire l'obbligatorietà dell'aumento di pena per i recidivi lo ha fatto espressamente. La riprova è fornita dalla stessa legge al comma 5 dell'art. 99 c.p. che statuisce che "se si tratta di uno dei delitti indicati all'art. 407, comma 2, lett.a) c.p.p., l'aumento di pena per la recidiva è obbligatorio e, nei casi indicati al secondo comma non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo reato"

La circostanza che il legislatore abbia utilizza il termine "obbligatorio" solo nel comma quinto non è privo di significato, dovendosi ritenere che in tutti gli altri casi l'aumento di pena sia ancora considerato facoltativo: del resto, l'art, 99, al terzo e quarto comma, si limita ad indicare una misura fissa di aumento di pena, tacendo sulla sua obbligatorietà.

Pare dunque che il legislatore abbia voluto legare l'obbligatorietà dell'aumento per recidiva soltanto alle ipotesi di reato particolarmente gravi elencate nella lettera a), comma secondo, dell'art. 407 c.p.p.

Anche alla luce del principio di personalizzazione della risposta sanzionatoria di cui all'art. 27, commi 1 e 3, della Costituzione, credo che sia opportuno sostenere la correttezza dell'ultima interpretazione, soluzione del resto adottata in alcuni uffici giudiziari chiamati all'applicazione della nuova legge (18).

In conclusione, dovrebbe ritenersi che queste ipotesi di recidiva (recidiva pluriaggravata e recidiva reiterata) siano state soltanto sottratte ad una graduazione discrezionale, nel senso che il giudice potrà applicare o meno l'aumento di pena, ma laddove decida di applicare la recidiva, lo dovrà fare nella misura predeterminata dal legislatore.

L'unica ipotesi di aumento obbligatorio dovrebbe quindi essere ritenuta quella prevista al quinto comma, cioè relativa alla commissione di reati per di cui all'art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p. Trattasi di reati che il legislatore ha ritenuto essere indice di un grado di pericolosità tale da prevedere, se posti in essere da un recidivo, un aumento di pena obbligatorio, privando di conseguenza il giudice di ogni spazio di discrezionalità.

Peraltro, la tesi favorevole all'obbligatorietà della recidiva porterebbe a gravi inconvenienti pratici. Si tornerebbe ad un sistema simile a quello precedente la riforma del 1974 dove la recidiva, caratterizzata oltre che per l'obbligatorietà anche per la genericità e perpetuità, attraeva nella propria orbita le più diverse situazioni individuali, con la conseguenza ulteriore della irragionevole propagazione degli effetti connessi alla recidiva.

f. Segue: il problema della contestazione

Infine occorre spendere qualche parola sulla questione relativa alla contestazione della recidiva: ossia, se per l'applicazione della nuova disciplina sia necessaria o meno la contestazione della recidiva

La dottrina e la giurisprudenza prevalente ha sempre sostenuto che per l'applicazione di tutti gli effetti collegati alla recidiva fosse necessario che la stessa fosse stata dichiarata dal giudice di merito.

In proposito il legislatore con la novella dell'art. 99 non è intervenuto direttamente.

Sennonché la circostanza che il legislatore del 2005 abbia richiesto per l'operatività di alcuni istituti l'applicazione della recidiva, potrebbe far pensare che sia necessaria un'espressa contestazione solo in queste ipotesi (19).

Tale conclusione sembra comunque improbabile perché non trovando alcun sostegno né dai lavori preparatori né dal testo della legge, andrebbe a contrastare ad un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità

Si deve ritenere, dunque, la necessità di una formale contestazione della recidiva per l'applicazione dei vari effetti che l'ordinamento ad essa riconduce. La recidiva deve ritenersi formalmente contestata allorquando nella sentenza sia stato richiamato l'art. 99 c.p. ovvero sia stata espressamente menzionata la parola recidiva.

Note

1. La singolare denominazione trae origine dal nome dell'originario proponente che, a seguito delle modifiche apportate alla sua originaria proposta, ha poi ritirato la propria sottoscrizione.

2. Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 285 il 7.12.2005 è entrata in vigore l'8.12.2005.

3. Diversamente da chi vede nella riforma della prescrizione una sorta di amnistia di fatto, è bene parlare di tendenziale riduzione dei termini poiché in non pochi casi si registra un aumento del tempo necessario per prescrivere rispetto alla previgente disciplina.

4. Anzitutto la recidiva aggravata o reiterata, se considera come circostanza aggravante ad effetto speciale, finisce per incidere sul termine base della prescrizione ai sensi dell'art. 157, secondo comma, c.p.; in secondo luogo, essa determina una estensione del termine massimo di prescrizione, ossia il prolungamento dei termini prescrizionali in presenza di causa di interruzione ai sensi dell'art. 161, secondo comma, c.p.

5. Rispetto all'originaria disposizione il nuovo art. 99 c.p. inasprisce gli aumenti di pena per la recidiva, la cui applicazione in alcuni casi diviene obbligatoria.

6. Non mancano coloro che ravvisano il fondamento dell'aggravamento sanzionatorio nella più intensa colpevolezza che caratterizza la condotta di chi commette il nuovo reato, potendo egli conservare memoria della precedente condanna. V. in tal senso, Ambrosetti, Recidiva e Recidiviamo, Padova, 1997, p. 30 ss.; La tagliata, Contributo allo studio della recidiva, Napoli, 1958, pag. 85.

7. Così Mantovani, Diritto penale, Parte generale, Ed. Cedam, Padova, 2001, pag. 660.

8. In dottrina propendono per la natura circostanziale, Padovani, Diritto penale, Milano, 1998, p. 325; Mancini, Trattato di diritto penale italiano, II, Torino, 1981, p. 747; Pagliaro, Principi di diritto penale, parte generale, Milano, 1980, p. 468 ss.

9. Vedi per tutti, Mantovani, Diritto penale, cit., pag. 666.

10. Per tutti si veda Cass. 17 ottobre 1978, Cass pen. 1980 secondo cui "malgrado la sua particolare natura di qualificazione giuridica inerente alla persona del colpevole, la recidiva riceve nel vigente ordinamento penale un trattamento giuridico del tutto identico a quello previsto, in generale, per le circostanze aggravanti del reato, sicché ai fini della determinazione della pena, occorre procedere ad una valutazione globale della fattispecie, circostanziata da aggravanti e attenuanti, ed alla conseguente individuazione della incidenza del risultato di tale valutazione sulla determinazione della stessa".

11. D.L. 11 aprile 1974, n. 99 (Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale), convertito con modificazioni nella L. 7 giugno 1974, n. 220.

12. Si noti che l'esigenza di un trattamento più rigoroso nei confronti del recidivo si è manifestata anche sul versante processuale attraverso l'approvazione della L. 12 giugno 2003, n. 134 che ha cercato di evitare che il recidivo reiterato potesse beneficiare di alcuni sconti di pena, derivanti dall'applicazione del rito alternativo denominato "patteggiamento allargato".

13. La scelta di prevedere soltanto per la recidiva aggravata un'ipotesi di gradazione discrezionale dell'aumento di pena entro il limite massimo fissato è ispirata, probabilmente, all'esigenza pratica di continuare a differenziare nel trattamento sanzionatorio le varie figure di recidiva. Quindi non ritenendo opportuno innalzare l'aumento di pena per la recidiva reiterata aggravata oltre i due terzi, il legislatore non poteva eliminare la flessibilità degli aggravamenti di pena in tutti i casi senza l'inevitabile livellamento nel trattamento di alcune fattispecie.

14. In tal senso, Padovani, Una novella piena di contraddizioni che introduce disparità inaccettabili, in Guida dir., 2006, 1 (dossier) p. 33.

15. A soli fini chiarificatori occorre tenere distinto il diverso concetto di obbligatorietà della contestazione della recidiva che attiene ad un preciso obbligo in capo al pubblico ministero durante il processo. La giurisprudenza è assolutamente concorde nel ritenere, in ossequio al diritto di difesa dell'imputato, nel sostenere la necessità di tale contestazione (si veda Cass. 9 marzo 1987, Riv pen., 1988, pag. 89; Cass. 13 settembre 2002, n. 30307).

16. In questo senso, v. Salerno, Un intervento in linea con la Costituzione, in Guida al diritto, 2006, 1 (dossier) pag. 45; Battista, Recidiva: dalla nuova legge un pericoloso ritorno al passato, in Diritto e Giustizia, 2005, 46, pag. 104.

17. Di questo avviso sono: in dottrina, Cardile, L'xs Cirielli e la pena: rischi di abnormiità, in Diritto e Giustizia, 2006, pag. 55; Pistorelli, Ridotta la discrezionalità del giudice, in Guida al diritto, 1 (dossier) 2006, pag. 61; Izzo e Scognamiglio, Riforma della prescrizione, Ed. Simone, 2006, pag 19 ss.

18. Mi riferisco esclusivamente alla mia esperienza personale durante la presenza alle udienze di alcuni procedimenti penali tenuti presso il Tribunale di Firenze.

19. L'applicazione della recidiva è richiesta per l'aumento minimo per il concorso formale e per il reato continuato, nonché per il regime restrittivo previsto per i recidivi reiterati rispetto ad alcuni benefici penitenziari e misure alternative.