ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 2
La realtà del comprensorio del cuoio

Michele Arcella, 2002

1 L'immigrazione in Toscana

Vediamo adesso di fare luce su quella che, stando alle statistiche valevoli fino al 31 dicembre 2000, era la situazione dell'immigrazione in Toscana.

In Toscana i cittadini stranieri dotati di permesso di soggiorno valido e registrato al 31 dicembre 2000 erano 114.972, secondo le Questure della Toscana. Le stime fornite dalla Caritas nel Dossier statistico del duemila apportano a tale cifra una maggiorazione del 19%. Ciò perché i dati ufficiali, forniti dal Ministero dell'interno, vengono basati sul numero di pratiche, relative ai permessi di soggiorno, effettivamente evase dalle Questure ad una certa data. Questo metodo di conteggio non tiene conto di due categorie di cittadini stranieri. Innanzitutto dei minori figli degli stranieri, visto che questi ultimi non posseggono un permesso di soggiorno proprio, ma sono "iscritti" sul permesso dei genitori. Inoltre c'è da tenere in considerazione la percentuale di cittadini stranieri il cui documento non sia stato ancora registrato alla data in cui viene fatta la rilevazione. Con la maggiorazione del 19% la cifra "ufficiale" di stranieri, residenti in Toscana, titolari di un permesso di soggiorno valido al 31 dicembre 2000 sale da 114.972 a 139.691. In realtà le considerazioni da fare sui metodi di rilevazione del numero di stranieri dovrebbero essere molto più lunghe e approfondite, e probabilmente porterebbero a risultati differenti se si tenessero in considerazione anche altri fattori di "attualizzazione" (ossia di depurazione e correzione) delle cifre "ufficiali", fattori utilizzati da altri soggetti, diversi dalla Caritas. Le stime Caritas che ho deciso di utilizzare vengono comunque ritenute dagli studiosi e dagli operatori del mondo dell'immigrazione fra quelle più autorevoli e con un margine di errore fra i più ridotti. D'altra parte ritengo poco attendibili tutti quei metodi di rilevamento che fanno riferimento a delle pratiche amministrative più che a delle persone.

Tornando alle cifre relative alla nostra regione, possiamo constatare che queste rendono la Toscana la quarta regione in Italia per numero di stranieri, con l'8,3% del totale italiano. Di tali persone l'88,3% è extracomunitario, un dato in sintonia con la media nazionale dell'88,4%.

Altri dati significativi sono quelli relativi ai flussi di cittadini stranieri verso la Toscana. La Toscana segna un aumento "ufficiale" delle presenze di cittadini stranieri del 24,1% rispetto al 1999 (del 26,7%, utilizzando la stima Caritas); è un aumento superiore del 13,2% rispetto all'aumento nazionale, che fa capire come la Toscana sia senz'altro una delle mete preferite dei nuovi flussi migratori.

Va però rilevato un certo arretramento rispetto all'aumento dell'anno precedente (+29,4%), dove senz'altro aveva contato in modo determinante la regolarizzazione intervenuta alla fine del 1998, che aveva portato nel 1999 ad aumenti esponenziali delle presenze di stranieri in alcune province come Firenze (+83,3%) e Prato dove il numero di permessi registrati al 31 dicembre 1999 si era quadruplicato rispetto alla cifra fatta segnare alla fine dell'anno precedente.

Rimane comunque significativo il dato di Firenze, dove si segnala un aumento del 54,7%, ma anche Prato fa segnare un aumento del 34,7%. Fra le altre province Pistoia fa registrare rispetto all'aumento del 1999 (+43,1%) un aumento minimo (+5,61%). Pisa, Arezzo e Lucca, che nel 1999 si collocavano fra il venti ed il trenta per cento di aumento, registrano un rallentamento significativo, stante il fatto che solo Arezzo raggiunge un aumento di quasi il venti per cento, laddove Lucca presenta un aumento irrisorio (3,4%) e Pisa, unico caso in Toscana, segna addirittura una diminuzione "ufficiale" di mezzo punto percentuale, che solo con la stima Caritas si trasforma in un aumento dell'1,59%.

Per quanto riguarda la distribuzione fra le province toscane, alla fine del 2000 oltre un terzo degli stranieri risiedeva nella provincia di Firenze (37,4%), mentre le altre province possono essere divise in tre gruppi. Al primo gruppo, sopra il 10%, appartengono Pisa (10,1%) e Prato (12,3%); al secondo Arezzo, Lucca, Siena, Pistoia e Livorno con percentuali che oscillano fra il 5 ed il 10%; infine Grosseto e Massa Carrara che fanno registrare una percentuale di stranieri inferiore al 5%.

Per quanto riguarda le motivazioni del permesso di soggiorno, la Toscana segna una netta prevalenza dei soggiorni per lavoro (dipendente ed autonomo) e per motivi familiari. La peculiarità dei dati toscani rispetto a quelli nazionali risiede nel maggior numero di permessi per lavoro autonomo. Se infatti la percentuale di permessi per lavoro dipendente è pari al 53,4% (un punto percentuale in meno rispetto al dato nazionale), quella relativa al lavoro autonomo è dell'8,2% (ossia l'1,9% in più rispetto al dato italiano).

Fra l'altro, il dato toscano dei permessi per lavoro (sia dipendente che autonomo), si conferma superiore alla media nazionale del 6,5%.

Rispetto al dato nazionale c'è anche un forte aumento del dato dei permessi per ricongiungimento familiare (24,8%).

È proprio l'unione di tali due dati (entrambi in aumento rispetto al dato nazionale) a far pensare che per i cittadini stranieri la Toscana, più di altre regione italiane, sia una meta di insediamento stabile, stante il fatto che sono proprio i permessi per motivi familiare e per lavoro quelli associabili a soggiorni di più lunga durata.

Il rimanente 14,1% è così distribuito: 5,8% residenza elettiva, 2,9% studio, 1,4% motivi religiosi, 0,6% affari e turismo, 0,5% adozione, 0,3% salute, 0,2% asilo politico, 0,1% richiesta asilo e 1,4% altri motivi.

1.1 Il comprensorio del cuoio

Veniamo a parlare più specificamente del comprensorio del cuoio nella provincia di Pisa, ossia del contesto territoriale in cui avviene l'inserimento di lavoratori immigrati di cui mi sono occupato. Innanzitutto precisiamo che si tratta della zona industriale dei Comuni della Val D'Arno Inferiore: Castelfranco di Sotto, Fucecchio (l'unico comune in provincia di Firenze), Montopoli, S. Miniato, S. Croce sull'Arno e S. Maria a Monte. Su questi comuni, che costituiscono il nucleo centrale e numericamente più consistente del comprensorio del cuoio, ho concentrato la mia attenzione. Si tratta di un'aerea caratterizzata da un'alta densità di imprese di piccole e medie dimensioni, per lo più calzaturifici e concerie con tutto l'indotto relativo. Tali aziende devono affrontare veri e propri buchi nell'offerta di manodopera autoctona che non accetta più lavori a bassa specializzazione oltre che molto faticosi. In tale contesto la manodopera straniera rappresenta una risorsa vitale che si inserisce funzionalmente nell'economia locale. Precisiamo che in tale zona l'altro settore produttivo importante è quello edilizio, che del resto è ben presente in tutta la provincia di Pisa. Se nel settore conciario e calzaturiero l'inserimento della forza lavoro straniera è di tipo complementare, in quanto corrisponde ad una carenza di offerta di lavoro autoctona, nel settore edilizio l'inserimento della manodopera straniera è di tipo addizionale, ponendosi in termini di concorrenzialità rispetto alla forza lavoro autoctona.

In questi anni la zona del cuoio ha cominciato a vedere un'immigrazione, proveniente dai paesi cosiddetti in via di sviluppo, costante. In particolare dalla metà degli anni '80 è cominciato l'ingresso dei lavoratori marocchini cui ha fatto seguito solo nei primi anni '90 l'inizio dell'arrivo di ragazzi senegalesi, e successivamente di persone provenienti dall'Albania, con periodi di maggior o minor afflusso dipendenti anche dagli eventi politici di questo paese.

Per quanto riguarda strettamente i 6 comuni succitati ho esaminato i dati dei residenti stranieri ricavandoli dai relativi uffici anagrafici. Riguardo a tale tipo di studio è bene sottolineare che il dato degli stranieri effettivamente residenti presenta dei limiti impliciti, visto che non tutti i lavoratori stranieri che lavorano nel comprensorio del cuoio risiedono in questa zona. Nonostante ciò, si tratta di uno studio utile per rendersi conto, indicativamente, delle variazione relative a quegli spostamenti migratori caratterizzati da una certa stabilità. Ebbene, secondo i dati anagrafici dei comuni suindicati, al 31 dicembre 2001 gli immigrati residenti in tale zona erano 3303, di cui 3186 sono extracomunitari, e 3167 provenienti da paesi in via di sviluppo. È una cifra che segna un netto aumento rispetto ai dati registrati (sempre sulla base delle risultanze anagrafiche comunali) al 31 marzo 1999.

In particolare per quanto attiene le tre comunità straniere (albanese, marocchina e senegalese) più presenti sul territorio, si può notare un aumento generalizzato, che riguarda tanto la popolazione maschile (+42,6 %) quanto quella femminile (+62,4%) e quella dei minori, che segna un aumento pari al (+85,8 %). I dati relativi ai minorenni ed alle donne sono quelli per eccellenza sintomatici della stabilità o meno del processo di immigrazione. Questo indica che "i cittadini immigrati sono chiaramente avviati a diventare una componente sempre più stabilmente integrata nella comunità locale" (1).

D'altra parte è bene precisare che tale aumento dal 1999 al 2001 della componente femminile non riguarda tutti i gruppi nazionali più consistenti (sempre secondo i dati anagrafici), nella zona, che sono in ordine decrescente di presenze quello albanese, quello marocchino e quello senegalese. Se l'aumento è consistente per la comunità albanese (+78,6 %) e si riduce per quella marocchina (+42,3 %), diventa minimo per la comunità senegalese (+4,1 %).

I dati che riporto sotto si riferiscono alle residenze anagrafiche relative al 31 dicembre 2001 delle tre comunità straniere numericamente più consistenti nel comprensorio del cuoio.

Albania Senegal Marocco
m f m f m f
S.Croce sull'Arno 154 99 145 9 91 40
S. Miniato 160 92 77 2 142 68
Fucecchio 231 144 77 8 93 41
Montopoli 86 49 / / 24 11
Castelfranco 66 43 81 6 11 24
S. Maria a Monte 61 37 9 / 24 11

A livello di distribuzione territoriale della popolazione straniera complessivamente considerata il 46,6 % dei cittadini stranieri (comunitari e non) vive nei comuni di S. Miniato e S. Croce sull'Arno, mentre nel solo comune di Fucecchio, l'alta presenza di cittadini cinesi (un caso unico in questa zona, vista l'assenza di tale comunità negli altri centri) fa arrivare la percentuale della popolazione straniera al 35,9 % di tutta quella presente nel comprensorio del cuoio.

2 L'ingresso in Italia

Come abbiamo visto nel primo capitolo secondo le leggi italiane l'ingresso dei lavoratori stranieri si snoda attraverso una serie di passaggi amministrativi. Alcuni si svolgono in Italia, mentre altri vengono posti in essere nel paese d'origine del migrante, tramite la rappresentanza diplomatica o consolare italiana.

Le modalità d'ingresso dei lavoratori stranieri che ho conosciuto, in relazione alle tre comunità maggiormente presenti nel distretto del cuoio, sono decisamente diverse da quelle descritte dal Testo Unico in materia d'immigrazione e dal Regolamento d'attuazione. Premetto che in alcuni casi non ci sono neanche i presupposti perché la procedura d'ingresso possa essere rispettata.

Il primo punto di sfasamento tra la normativa e la realtà degli ingressi è costituito dalla mancata attivazione o dallo scarso funzionamento, presso le ambasciate italiane in Albania, Marocco e Senegal (ma questo discorso può essere esteso anche agli altri paesi extracomunitari) delle liste d'ingresso, che, come abbiamo visto nel primo capitolo, costituiscono lo strumento tramite il quale le quote di stranieri di un certo paese (nell'ambito dei flussi di un dato anno) vengono incanalate verso l'Italia.

A dire il vero è bene fare delle precisazioni, in quanto la realtà degli ingressi in Italia merita un trattamento che distingue la situazione presente presso le ambasciate italiane in Albania da quella presente in Marocco o in Senegal.

Per quanto riguarda l'Albania gli ingressi dei lavoratori che ho intervistato sono avvenuti per la maggioranza dei casi con un visto (e successivamente un permesso) di soggiorno per affari o per turismo. In tutti gli altri casi, l'ingresso è stato effettuato attraverso canali informali, cioè tramite lo sbarco clandestino sulle coste italiane, pagando una somma di danaro.

Una volta in Italia tanto i lavoratori entrati attraverso canali legali, quanto quelli entrati per vie illegali si sono appoggiati a parenti, amici o, più raramente, semplici connazionali, per riuscire a trovare una sistemazione in attesa della possibilità di regolarizzare la propria posizione. Di fatto non sono riuscito ad incontrare un lavoratore albanese entrato la prima volta in Italia grazie alle liste d'ingresso. In questo discorso, parlando dell'entrata in Italia uso l'espressione "la prima volta" in riferimento al fatto che bisogna distinguere l'ingresso che un cittadino straniero effettua per la prima volta, utilizzando canali legali (quali i visti di breve durata) o meno, dall'ingresso che la stessa persona fa successivamente, dopo essere tornato in Albania utilizzando i canali formali quali le liste d'ingresso, lo strumento della garanzia o i ricongiungimenti familiari.

Vediamo di chiarire questo meccanismo.

Come mi è stato spiegato da tutti i lavoratori albanesi che ho contattato, di fatto non è possibile entrare in Italia se non pagando delle somme di danaro per ottenere qualsiasi tipo di visto (di breve o di lunga durata). È un meccanismo così scontato che tutti gli operatori del settore me lo hanno confermato. Il contatto con l'ambasciata (a Tirana) o il consolato (a Durazzo e Scutari) italiani avviene attraverso delle persone albanesi che si accordano con la rappresentanza italiana per trattare l'acquisto del visto con quei cittadini albanesi che vogliono partire per l'Italia. Questi "mediatori" hanno rapporti con una o più ambasciate di paesi verso i quali c'è un flusso considerevole di persone. Come dicevamo precedentemente, il visto che viene acquistato in occasione del primo ingresso in Italia è generalmente di breve durata. Ricordiamo che i visti di breve durata non vengono calcolati nel decreto flussi, pertanto non ci sono limitazioni quantitative per tale tipo di visti che possono essere conseguiti pagando una piccola somma di danaro attorno ai mille dollari.

Tale visto, risponde all'esigenza di trovare un lavoro, soprattutto un datore di lavoro disposto ad assumere il cittadino straniero "regolarizzando" in qualche modo la posizione della persona. La necessità di regolarizzarsi riguarda sia coloro i quali sono entrati tramite canali illegali, sia chi è entrato in modo legale, con un visto breve per turismo o affari, e poi ha visto scadere il proprio permesso rispettivamente dopo tre e sei mesi.

A questo punto la "regolarizzazione" può avvenire attraverso una sanatoria, oppure, in mancanza di questa, come è avvenuto dal 1999 in poi, può essere effettuata sfruttando gli strumenti previsti dalla normativa sui flussi. Si tratta dell'istituto della garanzia, che fornisce un permesso di soggiorno per inserimento lavorativo valido un anno, oppure della chiamata nominativa tramite un datore di lavoro italiano, che comporta un permesso di soggiorno per lavoro a tempo determinato o indeterminato, ed infine altra possibilità è quella di ricorrere al permesso per ricongiungimento familiare, che ricordiamolo, non viene calcolato nella quota annuale sui flussi.

Negli ultimi tre casi si può parlare di regolarizzazioni di fatto. Quella che viene posta in essere è una vera e propria finzione, consistente nel tornare nel proprio paese d'origine per poter rientrare in Italia legalmente ed in un modo stabile, con un minimo di certezze per l'immediato futuro.

Nel caso della garanzia, viene in pratica raggiunto un accordo fra il datore di lavoro presso il quale il lavoratore straniero ha già trovato un'occupazione, ovviamente a nero, e quest'ultimo. In base a tale accordo il datore di lavoro effettua una fideiussione bancaria con la quale garantisce il mantenimento per l'anno seguente del lavoratore straniero. La fideiussione può essere peraltro effettuata, quando c'è la possibilità economica di farlo, da un familiare del cittadino straniero. Quest'ultimo rientra in patria dove riesce ad ottenere un visto (nel modo spiegato) per poi tornare in Italia.

Altro strumento è quello del rientro in Italia sfruttando le quote di lavoratori subordinati a tempo indeterminato o determinato. In tal caso, è sufficiente ottenere il relativo visto pagando somme un po' più consistenti, stante la maggior durata di questo documento.

La scelta tra lo strumento della chiamata in garanzia e quello della chiamata nominativa è dettata per il datore di lavoro dalla necessità di ricorrere, rispettivamente, ad un operaio generico oppure ad un lavoratore qualificato. Infatti nel primo caso presso le Direzioni provinciali del lavoro difficilmente verrebbe accettata la richiesta di autorizzazione di un datore di lavoro che chiede di poter assumere tramite chiamata nominativa uno specifico lavoratore senza che ce ne sia una necessità tecnica dettata dalla difficoltà di trovare in Italia lavoratori con quelle qualifiche. Viceversa l'entrata in garanzia è predisposta esclusivamente per consentire la ricerca del lavoro alle persone straniere che entrano in Italia (anche se, come abbiamo visto nella pratica, il lavoro è già stato trovato) e ciò consente di chiamare qualunque persona, indipendentemente dalle qualifiche.

In realtà la strada che finisce per essere più praticata è quella del ricongiungimento familiare, stante il fatto che si tratta di un meccanismo che non ricollegandosi ai flussi non comporta il rischio di rimanere fuori dalla quota annuale stabilita con decreto.

L'ingresso avviene per lo più avvalendosi in Italia degli appoggi forniti dai familiari o dai parenti che già vivono qui; la loro presenza si rivela in ogni caso determinante per la scelta del posto dove stabilirsi nell'attesa della ricerca di un occupazione.

Per quanto riguarda il Marocco, l'ingresso in Italia avviene molto raramente con un visto per il nostro paese. È difficile ottenere, mi spiegano molti lavoratori marocchini, il visto turistico per arrivare in Italia e per quanto riguarda le liste d'ingresso dei lavoratori stranieri di fatto, la maggioranza delle persone in Marocco praticamente ne ignora l'esistenza.

Ed in ogni caso rispetto al totale degli ingressi in Italia, quelli che avvengono attraverso le liste sono davvero pochi. La modalità d'ingresso principale è quella dell'ottenimento di un visto turistico o commerciale per la Francia o per un altro Paese europeo per poi arrivare in Italia in autobus o in macchina facendosi aiutare dagli amici o parenti presenti. Anche qui, una volta arrivati in Italia, "l'unica speranza è che ci sia una sanatoria" conclude Fettah, un lavoratore marocchino di un calzaturificio di Montopoli, regolarizzatosi nel 1995; "con il visto scaduto ed in una situazione di irregolarità è difficile riuscire a trovare un lavoro". La maggior parte dei lavoratori marocchini presenti nella zona del cuoio sono arrivati prima dell'ultima sanatoria, alla fine del 1998. Quelli arrivati dopo hanno possibilità molto scarse di regolarizzarsi.

Ed infine ci sono i lavoratori senegalesi. Si tratta della situazione di maggior sfasamento tra normativa sull'immigrazione e realtà. Tutti i lavoratori senegalesi che ho avuto la possibilità di conoscere ed intervistare sono entrati in Italia attraverso canali informali. Anche a Dakar non è mai stata istituita alcuna lista d'ingresso dei lavoratori senegalesi che vogliono arrivare in Italia. L'ingresso avviene attraverso le ambasciate di altri paesi europei con visti per turismo o commerciali, in ogni caso di breve durata. "L'ambasciata italiana non da visti per turismo, ma solo quelli per ricongiungimento, e non è neanche facile ottenerlo, anche se hai tutti i requisiti" mi hanno confermato tutti i lavoratori con cui ho parlato. L'ottenimento di tali visti può essere mediato da "uomini d'affari" che si occupano di preparare (dietro un compenso) tutta la documentazione necessaria per quelle persone che non riescono a farlo da soli. Bassiroù, un senegalese che lavora da 8 anni in conceria, mi spiega che la necessità di questa mediazione dipende dal livello di istruzione della persona che vuole ottenere il visto; "per esempio io ho ottenuto il visto per la Francia senza farmi aiutare da nessuno, mentre chi non ha un'istruzione non sa preparare tutti i documenti necessari e si fa aiutare da queste persone pagandole fra i tre ed i cinque milioni".

Una volta ottenuto il visto, il percorso più diffuso all'interno della comunità senegalese è quello di arrivare nel paese terzo e cominciare a cercare il posto di lavoro. La risorsa principale di mantenimento è quella della vendita ambulante, che tra i senegalesi è una prassi diffusa e ben organizzata. In particolare mi hanno spiegato come, in tutte le principali città italiane dove c'è una comunità senegalese, esistono uno o più recapiti dove si può trovare una sistemazione provvisoria per poi cominciare a vendere. Esempi di questo tipo per la Toscana possono essere quelli di Quercianella, vero e proprio punto di riferimento per la comunità senegalese in Toscana, ma anche Firenze, Pisa e Livorno. I venditori ambulanti acquistano la merce all'ingrosso in Campania (da venditori italiani) oppure (quando è possibile) in Toscana, dai piccoli produttori della comunità cinese. Mass, uno dei tanti lavoratori senegalesi passati attraverso l'esperienza della vendita ambulante, mi ha spiegato che "all'inizio, quando non hai soldi per comprare la merce da vendere, gli altri ragazzi ti danno un po' di merce senza pagare, e poi cominci a guadagnare per te, a restituire i soldi ed a risparmiare per conto tuo". In realtà la vendita ambulante (a differenza degli anni passati) assicura oggi a mala pena la possibilità di mantenersi, non certo di risparmiare per mandare qualcosa alla propria famiglia. Il risultato è che quando non si riesce a trovare per molto tempo un lavoro subordinato, capace di mantenerti e farti mandare soldi in patria "a quel punto diverse persone decidono di tornare".

Nel comprensorio del cuoio la stragrande maggioranza della manodopera senegalese nelle concerie ha seguito questo percorso per entrare in Italia, per poi regolarizzarsi con le sanatorie degli anni novanta (2).

Certo non manca chi è arrivato tramite canali illegali (seguendo poi gli stessi iter di regolarizzazione), ma si tratta di casi più rari.

Gli itinerari seguiti dalle tre comunità succitate dimostrano come nella zona del cuoio l'ingresso degli stranieri avvenga per canali estranei a quelli disciplinati dalla normativa dei flussi, e questo mi è stato confermato anche dai colloqui avuti con più funzionari della Direzione provinciale del lavoro. Mi hanno spiegato come le quote di lavoratori stranieri (da far entrare annualmente, tramite il decreto flussi), assegnate alla provincia di Pisa, siano veramente minime. Infatti il numero di richieste effettuate dai datori di lavoro, supera del triplo quelle che la Direzione provinciale del lavoro può soddisfare. Fra l'altro le poche richieste accolte si rivelano poi fasulle ai successivi controlli, nel senso che nella maggioranza dei casi a seguito dell'entrata in Italia tramite la lista d'ingresso il lavoratore o la lavoratrice si licenziano, immediatamente dopo l'ottenimento del permesso di soggiorno e del libretto di lavoro.

3 La ricerca del lavoro

In questo paragrafo vorrei spiegare quali sono stati i principali percorsi di inserimento lavorativo utilizzati dagli immigrati che hanno trovato un'occupazione nella zona cosiddetta del cuoio.

L'entrata tramite visto di lavoro subordinato dovrebbe essere collegata all'esistenza di un incontro a distanza tra domanda ed offerta di lavoro. In particolare, la richiesta di uno o più lavoratori stranieri, effettuata dal datore di lavoro in Italia, dovrebbe pervenire, tramite la mediazione, in Italia, della Direzione provinciale del lavoro e del Ministero degli esteri, e, all'estero, delle ambasciate o delle rappresentanze consolari italiane, a quei lavoratori che si siano iscritti nelle liste d'ingresso nel periodo precedente la pubblicazione del decreto flussi.

Al di là dei numeri esigui di lavoratori stranieri che, nel riparto nazionale delle quote annuali, sono stati assegnati alla provincia di Pisa negli anni nei quali è entrata in vigore la legge Turco Napoletano, anche quei pochi lavoratori entrati tramite le chiamate hanno trovato lavoro ben prima dell'iscrizione nelle liste d'ingresso presso le rappresentanze italiane. Il lavoro è stato trovato nella precedente permanenza in Italia, con un visto di breve durata, effettuata proprio allo scopo di riuscire a trovare un lavoro. Possiamo escludere quindi che i canali di inserimento lavorativo siano quelli prospettati dalla disciplina normativa.

In tal senso, in questo paragrafo mi occuperò di capire come avvenga l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro nell'ambito del comprensorio del cuoio nei settori produttivi maggiormente diffusi.

Tra i lavoratori intervistati la ricerca del lavoro è avvenuta nella maggior parte dei casi tramite l'iniziativa personale, supportata dall'insieme di conoscenze di luoghi, di contatti, di normative, (il cosiddetto bagaglio migratorio) trasmessegli da quella stessa rete di rapporti familiari, amicali o di comunità che si è rivelata determinante quanto meno per la scelta del paese d'arrivo, se non per la decisone di andar via dal proprio paese. La trasmissione di questo bagaglio migratorio si rivela più o meno determinante per la ricerca del lavoro in relazione ai gruppi nazionali di cui mi sono occupato.

Di fatto, per quanto riguarda la manodopera senegalese, che occupa il grosso delle mansioni meno qualificate nel settore conciario, il lavoro è stato trovato subito dopo le varie sanatorie che hanno regolarizzato la posizione delle persone senegalesi per lo più ambulanti. Il canale è stato quello della ricerca effettuata dal singolo lavoratore irregolare in zone industriali dove era stato indirizzato dagli stessi connazionali che si sono rivelati fondamentali, dandogli ospitalità e le prime risorse finanziarie per mantenersi e praticare la vendita ambulante.

Ancora oggi, fra i lavoratori senegalesi il passaparola è lo strumento principale per la ricerca di un posto in conceria. In questo modo si riesce a trovare un nuovo posto di lavoro a seguito del licenziamento dall'azienda precedente (3) o dopo un cambio di lavoro. Malik (un lavoratore di conceria contatto) mi spiega che quando il suo datore di lavoro gli chiede se per caso conosce dei suoi connazionali che hanno bisogno di un posto di lavoro, lui risponde sempre positivamente, "perché comunque basta chiedere in questa zona a tutti gli amici che ho ed in pochi giorni riesco sempre a trovare qualcuno che ha bisogno di un posto di lavoro".

Anche per i lavoratori marocchini ed albanesi vale lo stesso discorso. L'apporto della comunità è sempre fondamentale per la ricerca del posto di lavoro, ma il livello di coesione è senz'altro minore. C'è un maggior individualismo, per cui, specie per la comunità albanese, contano molto di più i rapporti parentali, specie per la fase di irregolarità immediatamente dopo il primo ingresso, legale o meno, in Italia. È più raro il ricorso ai rapporti amicali, che del resto vengono utilizzati meno anche per la ricerca della prima, precaria o meno, sistemazione alloggiativa.

Quanto ai canali formali di ricerca del lavoro il ricorso al centro per l'impiego è divenuto negli ultimi sempre più frequente, come dimostrato anche dal numero crescente sia degli stranieri iscritti al collocamento (tabella 1), sia degli avviamenti al lavoro effettuati (tabella 2).

I dati (4) che riporto di seguito, sono quelli relativi al numero di lavoratori censiti dal Centro per l'impiego di S. Croce sull'Arno negli ultimi quattro anni e si riferiscono ai settori economici dove si è registrato il maggior numero di avviamenti. Il Centro per l'impiego di S. Croce sull'Arno ha una competenza territoriale che ricomprende i maggiori comuni del comprensorio del cuoio tranne Fucecchio. Tali dati sono riferiti ai gruppi nazionali più presenti sul territorio.

Lavoratori extracomunitrari iscritti al centro per l'impiego (Tab. 1)
Cittadinanza Anno
1999(º) 2000(º) 2001(º) 2002(*)
Albanese 79 (9) 125 (15) 125 (29) 74 (22)
Marocchina 43 (7) 64 (3) 89 (12) 27 (3)
Senegalese 57 (1) 93 (0) 146 (6) 77 (0)

In realtà si tratta di dati indicativi di alcune tendenze, stante il fatto che non tengono conto di tutti quei rapporti di lavoro che non sono passati dal Centro per l'impiego. Di sicuro è possibile notare come la maggior parte degli avviamenti riguarda i settori edilizio e del conciario. Per quanto riguarda il paese d'origine, se i cittadini senegalesi trovano una sistemazione lavorativa per lo più nel settore conciario, quelli marocchini e soprattutto albanesi sono presenti solo negli altri due settori.

Lavoratori assunti per cittadinanza (Tab. 2)
Anno Cittadinanza Settore
Conciario Calzaturiero Edilizia
1999 (º) Senegalese 70
Albanese 12 16
Marocchina 3 12
2000 (º) Senegalese 95
Albanese 9 7
Marocchina 4 30
2001 (º) Senegalese 193
Albanese 32 30
Marocchina 10 45
2002 (*) Senegalese 92
Albanese 9 7
Marocchina 5 21

Riguardo a questa ripartizione delle tre nazionalità per settore produttivo è bene precisare che la concentrazione nel settore conciario degli immigrati senegalesi (rispetto agli altri due gruppi) risponde ad un rapporto di fiducia instauratosi tra i lavoratori senegalesi e i datori di lavoro nel settore conciario. Purtroppo, questo atteggiamento è arrivato a creare dei veri e propri atteggiamenti discriminatori nei confronti della manodopera albanese nell'ambito di tale settore. Come mi è stato confermato da Lara Mazzanti, responsabile del Centro per l'impiego di S. Croce sull'Arno "in genere si ritiene che i lavoratori albanesi non siano affidabili. Più volte dobbiamo rispedire al mittente dei fax in cui ci viene espressamente chiesto da parte di aziende conciarie di poter assumere un certo numero di lavoratori, preferibilmente senegalesi, o solo senegalesi".

È bene precisare che il peso delle occupazioni trovate tramite gli avviamenti degli ex uffici di collocamento rimane comunque basso rispetto al totale delle assunzioni praticate.

Altri canali formali sono quelli delle agenzie interinali, quando si tratta di soddisfare esigenze di lavoro temporanee. In generale non ho avuto modo di sentire da parte dei lavoratori giudizi molto positivi su tali agenzie.

Per quanto riguarda l'inquadramento contrattuale e la relativa retribuzione, la ricerca portata avanti nel 1999 dalla Cgil di S. Croce sull'Arno, nel settore conciario, ha evidenziato che su un totale di 323 addetti impiegati in 170 concerie della zona del cuoio, l'84,7 % di essi si attesta sui livelli più bassi, tra il primo ed il secondo, mentre una percentuale minima, l'1,6% ricopre livelli più alti fra il quarto ed il quinto. In mancanza di dati più aggiornati ho chiesto alla Cgil di S. Croce sull'Arno se le cose erano cambiate, ma mi è stato risposto che in realtà se è vero che c'è stato qualche piccolo passo in avanti a livello di riconoscimento di livelli maggiori, la tendenza generale non è cambiata, per cui la manodopera straniera continua a svolgere le mansioni più umili.

Diversi lavoratori senegalesi mi hanno spiegato come in definitiva i momenti più critici con il datore di lavoro, anche in presenza di un buon rapporto di lavoro che andava avanti da anni, sono stati proprio quelli in cui hanno chiesto di poter svolgere una mansione più alta con relativo inquadramento contrattuale. "Ho dovuto minacciare il licenziamento, ed alla fine mi hanno dato il livello superiore" mi ha raccontato Bassiroù. Questo non significa che basti questo per andare avanti in azienda, perché "tanto dipende anche dalla tua istruzione e dal fatto che ti rendi conto di avere il diritto dopo anni di lavoro ed esperienza a una mansione meno faticosa".

Inoltre, come mi hanno spiegato alla Cgil di S. Croce sull'Arno, la situazione che spesso si presenta è quella di lavoratori stranieri che nella realtà svolgono le stesse mansioni dei lavoratori italiani, ma hanno un inquadramento in un livello contrattuale più basso.

4 Casa ed immigrati

La situazione relativa alla sistemazione abitativa per quanto riguarda gli stranieri extracomunitari è una delle più difficili da risolvere. Le ragioni sono varie ed in parte sono legate alle difficoltà strutturali del mercato delle case in Italia, tanto a livello di edilizia residenziale pubblica quanto a livello di edilizia privata, in parte sono il risultato di problemi connessi alla specificità della condizione degli stranieri in Italia.

In generale, a livello nazionale

gli immigrati sono nello stesso tempo una parte consistente dell'esclusione e del disagio abitativo complessivi, e una popolazione toccata da questi problemi in misura particolarmente elevata. Il Censis ha calcolato circa 300.000 nuclei di immigrati in condizioni disagiate, che corrisponderebbero a circa un terzo degli immigrati e ad un terzo della domanda abitativa marginale. Quanto all'esclusione abitativa, una stima dell'Osservatorio sugli homeless indica per gli immigrati un ordine di grandezza attorno ad almeno 200.000 persone, che significa tra un terzo e la metà del totale degli esclusi dall'abitazione (5).

Nella mia ricerca mi sono riferito in particolare a lavoratori stranieri (con i quali ho avuto modo di parlare) in regola con il permesso di soggiorno, e pertanto con una situazione abitativa stabilizzata. Certo non mi sono occupato della situazione di tanti altri lavoratori stranieri che, trovandosi in situazione di irregolarità del permesso di soggiorno e lavorando a nero, vivono in sistemazioni di fortuna, in case abbandonate oppure si fanno temporaneamente ospitare dai propri connazionali.

Vediamo quali sono gli strumenti ai quali i cittadini stranieri fanno ricorso per la ricerca della casa.

Come ho avuto modo di riscontrare attraverso i contatti avuti con i numerosi lavoratori del Senegal, del Marocco e dell'Albania, il ricorso all'edilizia pubblica è assai scarso, rivelandosi la via in assoluto meno battuta per la ricerca della sistemazione alloggiativa.

Le ragioni sono da un lato dovute ai problemi tipici del settore dell'edilizia pubblica in generale. Infatti, come sottolineato da una ricerca condotta dalla Fondazione Michelucci e dalla Regione Toscana contattando gli uffici casa di 44 comuni della Toscana (rappresentativi di tutti i dieci capoluoghi di provincia), i problemi a livello locale sono quelli

di mancanza di un parco alloggi significativo, incapacità di gestire il patrimonio esistente, difficoltà nella gestione dei bandi (tempi troppo lunghi), ma soprattutto il non riuscire a dare una vera risposta al problema sociale della casa, non sono altro che il riflesso di limiti oggettivi insiti nel sistema di Edilizia pubblica del nostro paese (6).

Ma, dall'altro lato, ad incidere negativamente sulla situazione specifica dei richiedenti immigrati sono i criteri che, nelle graduatorie ERP (edilizia residenziale pubblica), garantiscono i unteggi più alti. Chi ha una stabilità abitativa, paradossalmente, è favorito, visto che la maggior parte dei criteri per assegnare i punti nella graduatoria sono relativi al vivere in un'abitazione (ad esempio l'alloggio improprio, quello con barriere architettoniche, l'appartamento sovraffollato etc.). C'è inoltre la stabilità del reddito, che risulta il criterio base di accesso nella quasi totalità dei casi. Secondo la ricerca succitata "la maggior parte degli esclusi dalle graduatorie non riesce a dimostrare la propria situazione reddituale".

Il possesso di un alloggio e la stabilità del reddito sono senz'altro due condizioni che penalizzano i migranti, specie in considerazione della "particolarità e della soggettività dei personali progetti migratori e dell'instabilità e precarietà ad essi collegati".

Un altro canale che potrebbe essere scelto dagli immigrati è quello dell'edilizia privata. Un primo strumento è quello del ricorso alle agenzie immobiliari. Su questo tema, diversi studi a livello nazionale confermano che sul versante del mercato della casa:

molti immigrati non poveri sono mal alloggiati, immigrati normalmente poveri sono spesso senza casa. Le loro sistemazioni sono tendenzialmente peggiori o più costose di quelle accessibili a popolazioni locali con le stesse caratteristiche di reddito. Sistemazioni precarie, spesso con gradi di disagio improponibili per abitanti italiani, riguardano facilmente anche immigrati che hanno lavoro e reddito (7).

Ho avuto conferme di questo stato di cose anche a livello locale. Peraltro, per quanto riguarda i comuni della zona del cuoio, quasi tutti gli immigrati che ho intervistato, quando si sono rivolti alle agenzie immobiliari, hanno avuto delle risposte negative. "Ci hanno sempre risposto che c'erano solo appartamenti in vendita, ma per affittare non abbiamo mai trovato niente", racconta Cristach, operaio edile albanese, da dieci anni in Italia con la sua famiglia. Mi è stato confermato da diversi operatori in ambito sindacale ed a livello di associazioni di tutela dei diritti degli stranieri che in realtà c'è una vera e propria discriminazione a livello di agenzie immobiliari nei confronti degli stranieri. Si tratta di un atteggiamento voluto evidentemente anche dai proprietari di immobili e che trova un riscontro, del resto, nello scarso ricorso alle agenzie da parte dei lavoratori stranieri. Solo qualche anno fa l'associazione di tutela dei diritti degli stranieri "Africa Insieme" fece scoppiare un "caso discriminazione" quando fece pubblicare sulle pagine locali di un quotidiano le foto di un avviso di affitto, posto fuori da una casa, in cui espressamente veniva specificato che non si affittava a persone senegalesi, marocchine o albanesi. L'episodio (uno dei tanti nella zona del cuoio) fece scandalo, ma di certo le cose non sono cambiate da allora.

Di fatto, ancora oggi la casa viene trovata prevalentemente grazie agli appoggi forniti ai lavoratori stranieri da parte di alcuni connazionali o grazie a contatti con alcuni italiani. In particolare per quanto riguarda la comunità senegalese, la più coesa come ho già avuto modo di descrivere, gli alloggi sono spesso gli stessi che in precedenza sono stati abitati da connazionali, per cui è proprio il loro passaparola che finisce per essere determinante.

Un'altra soluzione molto frequente è quella per cui il datore di lavoro trova una sistemazione per i propri dipendenti in abitazioni di sua proprietà. In tali casi il canone viene trattenuto direttamente sulla busta paga ed è decisamente più elevato della media dei canoni corrisposti dagli italiani. In tali casi, per gli affitti sono stipulati contratti formalmente in regola, ma la cifra registrata è decisamente più bassa di quella realmente pattuita e corrisposta dai lavoratori stranieri.

Sull'aspetto dello scarto tra affitti corrisposti da inquilini italiani e da immigrati è interessante guardare ai risultati di una ricerca (8) svolta nelle maggiori città italiane e pubblicata alla fine del 2000. Il risultato dell'indagine è stato che mediamente il canone per gli immigrati è del 30% più alto che per gli italiani.

Altre strade battute per la ricerca della casa sono quelle delle relazioni amicali con gli italiani e degli appoggi forniti dalle conoscenze degli operatori del volontariato sociale.

5 Lavoratori stranieri e sindacato

Sin dall'inizio del processo di inserimento di manodopera straniera nell'ambito delle piccole e medie aziende nella zona del cuoio, il sindacato ha avuto un ruolo centrale nella vita dei cittadini stranieri. La funzione del sindacato ha spesso travalicato il semplice ruolo di tutela del lavoratore, concretizzandosi in un ruolo di generale supporto verso tutti gli aspetti problematici legati alla vita dei lavoratori stranieri in Italia.

È stata proprio tale funzione di generale supporto nei confronti degli immigrati a generare quel rapporto di fiducia che ha comportato un livello di iscrizione al sindacato fra i lavoratori immigrati decisamente più alto che fra i lavoratori italiani, almeno stando ai dati del maggio 2000 acquisiti dalle tre organizzazioni sindacali confederali Cgil, Cisl e Uil. In particolare per quanto riguarda i lavoratori stranieri, il sindacato ha svolto nel comprensorio del cuoio il ruolo di punto di riferimento principale per un generale discorso di consulenza sia sul rapporto di lavoro, sia su problematiche quali la casa, la ricerca di un'occupazione, la regolarizzazione, i ricongiungimenti familiari e tutte le altre pratiche per le quali è stato necessario rivolgersi alla Questura.

Il ricorso al sindacato continua ad essere ancora oggi molto forte, e le richieste d'intervento sono tra le più varie. Fabio Gorelli, responsabile CGIL della Camera del Lavoro di S. Croce sull'Arno mi dice che "da noi arrivano veramente i casi più disperati, di fronte ai quali a volte non possiamo fare niente. Per esempio per quanto riguarda il lavoro, con una telefonata al datore di lavoro possiamo sistemare il problema di una busta paga da cui manca qualcosa, ma non possiamo fare niente per delle persone che sono entrate senza nessun visto o hanno il visto per turismo scaduto".

Sia la Cgil che la Cisl hanno aperto degli sportelli informativi per stranieri gestiti da stranieri che hanno il compito di provare a rispondere alle richieste di consulenza, nelle materie più varie, che provengono dagli immigrati.

Il giudizio degli extracomunitari nei confronti del sindacato quindi è generalmente positivo, come del resto lo è quello nei confronti delle associazioni di tutela dei diritti degli stranieri.

A conferma di questo basterebbe citare i dati sulla sindacalizzazione dei lavoratori senegalesi e marocchini nelle concerie, dati che si attestano fra il 60 ed il 70 %.

È soprattutto fra i lavoratori senegalesi, concentrati per lo più nelle concerie, che il sindacato ha storicamente svolto un ruolo importante ed attualmente riscuote un seguito altissimo. Sempre Fabio Gorelli della Camera del Lavoro di S.Croce sull'Arno mi spiega che "il livello di istruzione mediamente abbastanza alto (più che negli altri gruppi nazionali) dei senegalesi e la loro coesione ha favorito che fra di loro il riferimento alla Camera del lavoro fosse costante, con una scrupolosità molto forte rispetto ai rapporti con il datore di lavoro".

Per quanto riguarda il livello di sindacalizzazione negli altri settori, in quello delle calzature i livelli sono decisamente molto alti, mentre è nel settore edilizio che il sindacato ha una presenza piuttosto scarsa. Ciò è stata una caratteristica costante del settore edilizio, ma l'arrivo di manodopera straniera, con i problemi legati alla irregolarità della permanenza sul territorio, alla non conoscenza della lingua italiana hanno accentuato di fatto la tradizionale difficoltà di penetrazione di tutte le organizzazioni sindacali in tale comparto.

Sempre per quanto riguarda concerne il giudizio degli stranieri sul sindacato, durante i colloqui che ho avuto con i lavoratori iscritti e non alla CGIL, nessuno di loro ha messo in dubbio che "la Cgil in questi anni ci ha aiutato molto", ma generalmente emerge anche la consapevolezza che il sindacato non può risolvere certi problemi degli immigrati, anche se "è meglio di niente". Ad esempio più volte diversi lavoratori con cui ho parlato si sono rivolti al sindacato per problemi di ritardi della Questura nello svolgimento delle pratiche di rinnovo del permesso di soggiorno, ma questo non ha sbloccato di certo le cose, né nel loro caso, né in generale sui tempi medi del procedimento di rinnovo del permesso di soggiorno.

A volte ho trovato voci critiche anche fra i lavoratori stranieri sulle specifiche competenze del sindacato, nei confronti della posizione assunta in generale verso la situazione dei lavoratori (italiani e stranieri) della zona del cuoio. Infatti, per quanto sia accaduto più raramente, ma anche nei confronti dei sindacati più rappresentativi della zona (Cgil e Cisl) diversi operai di conceria (presenti da svariati anni in Italia) si sono dichiarati delusi da un atteggiamento politicamente troppo moderato, al pari dei loro colleghi italiani, in materia di rivendicazioni sindacali. Ciò a conferma di come un buon livello di coscienza politica si stia cominciando a sviluppare tra i lavoratori stranieri, specie tra quelli presenti in Italia da più tempo.

A riprova di ciò basta citare le iniziative più recenti contro l'approvazione del cosiddetto ddl Bossi/Fini che dovrebbe apportare delle modifiche al Testo Unico sull'immigrazione. Tra le varie manifestazioni è da segnalare in questo contesto lo sciopero dei lavoratori stranieri a Reggio Emilia ed a Vicenza che ha visto una partecipazione molto alta, oltre alla manifestazione del 19 gennaio tenutasi a Roma, dove sono confluite 100'000 persone (e moltissimi stranieri, cosa mai avvenuto finora) in quella che è stata la più grande manifestazione di tutela dei diritti dei migranti organizzata in Italia e tra le più importanti organizzate in Europa.

6 Il progetto migratorio

Per quanto riguarda il cosiddetto "progetto migratorio" vorrei cominciare a parlare di questo argomento trattando le motivazioni che spingono i lavoratori intervistati a migrare.

La motivazione principale è sempre quella del lavoro, per tutte e tre le nazionalità che ho contattato. Tanto in Albania, quanto in Marocco ed in Senegal, il problema principale è costituito dall'assenza di un lavoro che garantisca delle prospettive di tranquillità economica per il futuro.

Per quanto attiene al Senegal l'immigrazione degli ultimi anni ha aspetti differenti da quella dei primi anni novanta. Infatti, fondamentalmente l'emigrazione della fine degli anni ottanta è stata in gran parte determinata dalla miseria causata a sua volta da fenomeni come la siccità e la desertificazione delle campagne, che ha dapprima provocato lo spostamento di molte persone verso i centri urbani all'interno del Senegal e poi verso l'estero.

Viceversa, dalla metà degli anni novanta in poi, il fenomeno migratorio ha riguardato anche la popolazione urbana dei grossi centri come Dakar. Infatti, in un secondo momento a spingere diversi ragazzi senegalesi verso l'Europa è stata la consapevolezza che, pur potendo lavorare in Senegal, questo non avrebbe garantito per sé e le loro famiglie un tenore di vita abbastanza alto da permettere di comprare beni come una casa o da assicurare l'acquisto di medicinali o ricoveri in ospedale. Come sintetizza Alfah, arrivato in Italia da tre anni, "in Senegal c'è il lavoro, però non ci sono i soldi". Va precisato inoltre che la struttura della famiglia senegalese comprende un numero maggiore di persone, rispetto all'Europa. In questo senso, mantenere la famiglia significa doversi assumere la responsabilità di badare oltre che alla propria moglie ed ai figli anche ai genitori, alle sorelle e fratelli con relativi figli, agli zii etc. etc.

Senz'altro nella decisione di emigrare ha pesato anche la conoscenza di parecchi connazionali che, di ritorno dall'Europa, riuscivano a mantenere un tenore di vita migliore, in virtù dei risparmi conseguiti in anni di lavoro all'estero. Più volte diversi ragazzi senegalesi mi hanno spiegato di come sia difficile, al ritorno in Senegal durante le ferie, convincere i propri connazionali che desiderano emigrare, che in realtà la vita in Europa è molto più difficile di quello che sembra, e che i sacrifici da affrontare per riuscire a risparmiare sono tanti e durano diversi anni. Ma questo non basta a scoraggiare gli ingressi di nuove persone dal Senegal, che non accennano a diminuire, stando a quanto riferitomi dai lavoratori senegalesi.

Discorsi analoghi possono essere fatti tanto per la comunità marocchina che per quella albanese. In entrambi i casi, infatti, con maggior o minore urgenza, ma è sempre il lavoro capace di assicurare una certa stabilità economica per il futuro ad essere la molla determinante per la decisione di emigrare. Per quanto riguarda l'immigrazione albanese la crisi politica ed economica degli ultimi anni, è stato il fattore di spinta più forte, evidenziando ancora di più le difficoltà di questo paese. E proprio in virtù di tale situazione complessivamente più drammatica che spesso il progetto migratorio arriva ad essere pensato in funzione del trasferimento definitivo in Italia con la propria famiglia.

Peraltro è bene precisare che diversi lavoratori, sia albanesi che marocchini hanno tenuto a sottolineare come il lavoro di per sé non manchi in assoluto nei loro paesi, e che una volta risparmiata una cifra sufficiente, la loro idea è quella di tornare in patria e continuare a viverci e lavorarci, grazie alla tranquillità economica conseguita in anni di lavoro all'estero. Quindi nel caso di queste due comunità, i progetti migratori stabili convivono con i flussi migratori temporanei.

A differenza della comunità senegalese, quella albanese e marocchina tendono ad operare dei ricongiungimenti familiari, per cui se la presenza femminile è comunque nettamente inferiore, negli ultimi anni sta sempre crescendo. Le donne emigrano per lo più in vista del ricongiungimento familiare, ma stanno cominciando ad inserirsi (specie quelle della comunità albanese) anche in settori produttivi locali, come quello calzaturiero, oltre che nei lavori domestici.

Altre differenze riguardano il fatto che fra i lavoratori senegalesi ho riscontrato in assoluto la minor propensione a concepire un progetto migratorio privo del supporto dei propri connazionali nel paese d'arrivo. Questi ultimi si rivelano fondamentali per tutti i passaggi che consentono alla persona proveniente dal Senegal di arrivare in Italia e trovare un lavoro, ma ancor più finiscono per essere determinanti per la decisione di emigrare e per la scelta del paese dove stabilirsi.

Viceversa, le comunità albanesi e marocchine si presentano caratterizzate da una minore coesione interna rispetto alla comunità senegalese. Presso la comunità albanese e marocchina il progetto migratorio spesso viene concepito indipendentemente dalla previa conoscenza di una rete consolidata di contatti coi propri connazionali.

Nel caso della comunità senegalese, a favorire la coesione di cui abbiamo parlato è la quasi totale omogeneità dei progetti migratori. Infatti è proprio nella comunità senegalese che è pressoché assente il proposito di trasferirsi definitivamente con il proprio nucleo familiare nel paese dove si è emigrati. Ciò senz'altro facilita una forte omogeneità interna, con aspirazioni, esigenze, e progetti comuni, molto più di quanto non succeda nelle altre due comunità.

Tale dato trova una conferma nel numero di ricongiungimenti familiari effettuati nella provincia di Pisa che, per quanto riguarda la comunità senegalese, è stato costantemente irrisorio, rispetto alle altre due comunità, come si può vedere sia dal numero di permessi per ricongiungimento familiare concesso negli ultimi anni a cittadini senegalesi, ma anche guardando, presso le anagrafi dei comuni del comprensorio del cuoio, alle presenze femminili senegalesi, sensibilmente più basse.

Riassumendo pertanto i caratteri dei progetti migratori delle tre comunità maggiormente presenti nel comprensorio del cuoio, sono quella marocchina ed in assoluto quella albanese a concepire anche progetti migratori stabili, con un numero di ricongiungimenti molto alto. Stando ai dati forniti dalla Questura di Pisa, i permessi per ricongiungimento sono arrivati a costituire quasi un terzo (31,3 %) del totale dei permessi rilasciati a cittadini albanesi. Tale cifra scende a poco più di un quarto (25,5 %) per quanto riguarda la comunità marocchina, mentre è decisamente irrisoria (2,8 % sul totale dei permessi) per la comunità senegalese.

Per quanto attiene alle rimesse vorrei prima fare qualche accenno ai dati sulla Toscana. La Toscana si rivelava almeno nel duemila la terza regione d'Italia per quantità di rimesse inviate dagli immigrati nei paesi d'origine. Con una cifra pari a 67 miliardi e 391 milioni, la Toscana veniva preceduta solo dal Lazio (335 miliardi e 494 milioni) e dalla Lombardia (330 miliardi e 331 milioni), anche se fa segnare un'inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti con un calo delle rimesse del 54%.

Si tratta di cifre che ho acquisito da una ricerca (9) effettuata dai redattori del Dossier Caritas 2001 con il patrocinio dell'International Labour Office ed il contributo della Banca Antonveneta. Nella ricerca viene precisato che si tratta di numeri riferiti soltanto alle transazioni ufficiali (Banche, Poste, Agenzie di valori) ma è bene ricordare che l'invio di rimesse viene spesso affidato a canali informali, utilizzando i viaggi dei propri connazionali o il ritorno in patria durante le ferie, per non parlare della tecnica di offrire a propri connazionali in Italia delle somme che verranno versate ai parenti del "creditore" in patria, in un secondo momento.

Queste ed altre considerazioni (in effetti le rimesse effettuate tramite il canale ufficiale delle Poste vengono registrate insieme ad altre operazioni, per cui non vengono schedate come tali) fanno concludere, secondo la Caritas, che le cifre citate vadano sempre raddoppiate per avere un'idea più realistica del flusso di danaro dal nostro paese verso quello d'origine dei migranti.

Al di là di queste cifre a livello nazionale, per quello che ho potuto riscontrare nello specifico della zona del cuoio, è senz'altro la comunità senegalese quella che primeggia nettamente per quantità di rimesse inviate nel paese d'origine. Ciò si spiega in funzione del progetto migratorio prevalente presso la comunità del Senegal, che è quello di lavorare e risparmiare in Italia per un certo numero di anni, per poi tornare in Senegal, dove generalmente nel frattempo si è riusciti a costruire una casa per sé. In questo senso, presso la comunità senegalese è difficile che, fatta eccezione per i primi periodi in cui non si ha un lavoro stabile, ci sia una variazione nel tempo del volume delle rimesse inviate.

Le cose cambiano presso la comunità marocchina ed albanese, dove convivono progetti migratori diversi fra di loro. Di conseguenza anche il volume delle rimesse varia nel tempo, ma generalmente, anche quando l'idea è quella di rimanere in Italia solo pochi anni per risparmiare quanto basta ad avere una situazione migliore al ritorno in patria, la quantità di somme di danaro inviate si mantiene stabilmente inferiore rispetto a quella della comunità senegalese, visto che le esigenze di mantenimento riguardano nuclei familiari numericamente più contenuti.

7 L'irregolarità

Quando parlo di irregolarità voglio precisare sin dall'inizio che mi riferisco tanto alla situazione giuridica di non regolare permanenza in Italia del cittadino non comunitario, tanto alla situazione di non regolarità del rapporto instaurato dal lavoratore straniero. I due aspetti sono legati a filo doppio nel caso dei cittadini extracomunitari che hanno un permesso di soggiorno per lavoro subordinato a tempo indeterminato o determinato. Non si tratta certo di uno dei temi più semplici da affrontare, e sto parlando dal punto di vista di chi deve svolgere una ricerca ponendo domande ai diretti interessati su questo argomento.

Infatti affrontare questo tema con i lavoratori stranieri è stato abbastanza complicato, anche se col tempo il rapporto di fiducia instaurato con i lavoratori stranieri mi ha consentito di essere guardato con meno diffidenza, ottenendo risposte che andassero al di là del generico "io non conosco clandestini".

Diciamo subito che da tutte le interviste svolte l'idea che mi sono formato è quella della irregolarità come un passaggio, temporalmente più o meno ampio, ma (stante l'attuale assetto legislativo e non solo) praticamente obbligato per la maggior parte dei lavoratori provenienti dal Marocco, dall'Albania e dal Senegal. Come ho descritto nei paragrafi dedicati all'ingresso in Italia ed alla ricerca del lavoro, per le tre comunità nazionali di cui ho parlato c'è un periodo fisiologico di irregolarità attraverso il quale bisogna passare per riuscire a trovare un lavoro e venir fuori dalla condizione di irregolarità amministrativa, chiamata ormai comunemente clandestinità.

Questo periodo può collocarsi in fasi diverse della vita del migrante. Esso può essere il risultato dell'ingresso nel territorio (di uno Stato cosiddetto) Schengen, con un visto ed un permesso di soggiorno che, scadendo, rendono irregolare la permanenza sul medesimo territorio di quella persona. Però può essere anche il risultato, dopo anni di permanenza regolare in un certo paese, del mancato rinnovo del permesso di soggiorno dovuto al combinarsi di più fattori, quali un periodo di crisi economica del settore dove era impiegata questa persona, con un conseguente licenziamento, magari aggiunto a ritardi nello svolgimento delle pratiche di rinnovo da parte degli organi competenti che arrivano a chiedere un certo tipo di documentazione esattamente nel periodo in cui questa persona ha perso il lavoro.

Questo periodo riguarda le tre comunità di cui mi sono occupato, ma che ciascuna di esse vive in un modo diverso. Si tratta di nozioni che sono valide solo in linea di tendenza e che non hanno la pretesa di esaurire il discorso sulla irregolarità nella zone del cuoio. Ad intervenire su questo aspetto sono più fattori, in parte generali (legati all'assetto legislativo attuale) e tipici di tutte e tre le comunità ed in parte specifici, frutto della collocazione in settori produttivi differenti e delle diverse caratteristiche di questi ultimi.

Dalle interviste effettuate nella zona del cuoio ai lavoratori della comunità senegalese, quest'ultima vive il periodo di irregolarità appoggiandosi a comunità di connazionali che danno loro ospitalità, e mantenendosi attraverso la vendita ambulante.

Regolarizzata la propria posizione, sono meno frequenti i casi di rapporti di lavoro subordinato totalmente a nero, presso le aziende del settore conciario, dove è impiegata la maggioranza della manodopera senegalese. Ma il lavoro a nero esiste anche in tale settore, che essendo rifiutato dalla manodopera locale dovrebbe praticare tendenzialmente assunzioni regolari. È significativo che un informante dell'ufficio statistiche economiche della Provincia di Pisa abbia parlato di "ispettori del lavoro che ogni giorno tornano con le valigette piene di denunce di aziende che assumono a nero gli extracomunitari, ma anche gli italiani". Ciò è favorito dal fatto che nell'ultimo decennio le aziende conciarie hanno reagito alla crisi del settore attraverso la cosiddetta contoterzizzazione della produzione. Le aziende che lavorano producendo per conto terzi hanno dimensioni molto piccole e sono spesso a conduzione familiare. Tali caratteristiche facilitano l'assunzione a nero di lavoratori in funzione di picchi periodici della domanda di mercato. Un 'altra conferma relativa alla diffusione del lavoro a nero presso le aziende conciarie viene dal sindacato. Nel 1998 la Cgil di S. Croce sull'Arno sollecitò la Direzione provinciale del lavoro a svolgere delle ispezioni presso determinate (soltanto 4) aziende conciarie, sospettate di destinare alcuni lavoratori stranieri, di una cooperativa esterna, al lavoro di conceria vero e proprio, anziché al facchinaggio delle pelli e dei materiali, come da contratto. L'inchiesta si allargò a macchia d'olio, fino ad investire diverse decine di aziende del settore, presso le quali vennero scoperte le stesse violazioni.

Per quanto riguarda la comunità marocchina possono valere discorsi analoghi, ma è bene precisare che, se la risorsa della vendita ambulante è importante, appare altrettanto utilizzata la strada del lavoro a nero presso le ditte edilizie.

Ricordiamo che in assoluto il settore edilizio è quello più ricco di manodopera "informale", come mi è stato confermato in ambito sindacale. È un fenomeno che non ha mai dato luogo a forme di caporalato, ma la manovalanza a nero è molto diffusa. Si tratta di una caratteristica tipica del settore produttivo in questione, che c'è sempre stata ed è, in parte, indipendente dalla presenza di manodopera straniera.

A confermarmi ciò, sono stati anche i colloqui presso l'Ispettorato del lavoro a Pisa, dove più informanti hanno ribadito che le denunce più frequenti sono proprio quelle effettuate nei cantieri edilizi, dove da sempre, anche a livello di sicurezza sul lavoro (come confermato da tutte le statistiche, più e meno recenti) si riscontra complessivamente il minor grado di legalità. Del resto, come mi ha spiegato Sergio Bontempelli, di Africa Insieme, un gran numero di operai edili albanesi si rivolge agli operatori di questa associazione proprio per chiedere una consulenza quando non viene retribuita per le prestazioni a nero svolte.

Per quanto riguarda la comunità albanese il ricorso alla vendita ambulante è praticamente nullo, mentre è decisamente massiccia la presenza nel settore edilizio di lavoratori albanesi non in regola col permesso di soggiorno.

Per completare questo discorso è bene precisare, con riferimento a tutti gli stranieri non comunitari che si trovano in una situazione di permanenza irregolare, che le assunzioni irregolari presso le aziende aumentano in corrispondenza dei periodi precedenti una sanatoria, durante i quali la probabilità di una emersione del lavoro nero, congiunta ad un'effettiva necessità di manodopera favorisce l'assunzione da parte di un datore di lavoro di una persona straniera che sarà facile regolarizzare.

Note

1. Immigrazione in Toscana, Immigrazione, Dossier Statistico 2000, Anterem, pp. 290-298.

2. Ricordiamo che le sanatorie intervenute in Italia durante gli anni novanta sono state tre, quella del 1990, del 1995 e del 1998.

3. Il licenziamento dalla conceria è una prassi diffusa fra i lavoratori senegalesi e si verifica in corrispondenza dei viaggi in Senegal per rivedere i propri familiari. Dal momento che si tratta di viaggi molto lunghi (attorno ai due mesi), quando tale interruzione del rapporto di lavoro non è accettata dal datore di lavoro, che non è disposto ad accordare ferie così lunghe, il lavoratore senegalese si licenzia, sapendo di poter trovare un nuovo posto di lavoro al rientro.

4. Fonte: Centro per l'impiego di S. Croce sull'Arno. Tutti i dati riportati tra parentesi si indicano il di cui sesso femminile. Nelle tabelle, il simbolo (º) indica i dati riferiti dal 01/01 al 31/12, mentre il simbolo (*) indica i dati riferiti dal 01/01 al 31/05.

5. Indagine sulla condizione abitativa degli immigrati, realizzata dall'Osservatorio sociale della Regione Toscana, gennaio 2001, p. 2.

6. Massimo Colombo, L'Edilizia Residenziale Pubblica e gli immigrati, in Il colore dello spazio. Habitat sociale e immigrazione in Toscana, Angelo Pontecorboli Editore, Firenze 1996, pp. 213-218.

7. Indagine sulla condizione abitativa degli immigrati, realizzata dall'Osservatorio sociale della Regione Toscana, gennaio 2001, p. 15.

8. Il colore delle case, a cura di R. Nobile, V.Lannutti, A. Cassanelli e P. Venturini, Ares 2000, pp. 12-25.

9. Immigrazione, Dossier Caritas 2001, Nuova Anterem, pp. 334-340.