ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo III
Liminalità sociale e tossicodipendenza

Vieri Lenzi, 1999

Premessa

La definizione del concetto di liminalità può suggerire nuove prospettive interpretative nello studio dei processi di marginalizzazione ed emarginazione del singolo o dei gruppi di devianti come, ad es., i tossicodipendenti.

Il concetto di liminalità introdotto da Arnold Van Gennep (tradotto nelle sue opere con il termine liminarità (1)) e, successivamente, ripreso da Victor Turner, è stato definito da quest'ultimo come quell'energia sociale che imprime forza ai movimenti di cambiamento e di transito sociale. L'analisi di questo processo può essere ricostruita attraverso le riflessioni di Erving Goffman sulla marginalità e sulle modalità attraverso cui si definiscono le modalità di accettazione delle persone in determinate categorie sociali.

In questo capitolo analizzerò le teorie della liminalità e metterò in luce la rilevanza che esso riveste per la comprensione dei fenomeni della tossicodipendenza, intesa come una subcultura all'interno di una cultura più estesa.

3.1 Liminalità e rito liminare

Il concetto di liminalità è stato introdotto da Arnold Van Gennep nel testo I riti di passaggio (2), pubblicato nel 1909. In questo testo il concetto di liminalità emerge all'interno della sua analisi dei riti di passaggio. Essi marcano il momento dell'attraversamento da una condizione sociale ad un'altra. Van Gennep ha sottolineato come un cambiamento di status sociale (la nascita, l'iniziazione, il matrimonio, la morte) coinvolga, oltre al soggetto che compie il rito, anche altri soggetti. La celebrazione pubblica conferisce sacralità al momento di "passaggio" e sancisce il riconoscimento collettivo della nuova posizione sociale acquisita. La dinamica dei passaggi segue uno schema composto di tre stadi: separazione - margine - aggregazione, caratterizzati ognuno da un rituale specifico. Van Gennep conferisce particolare importanza allo stadio centrale. Lo stadio intermedio è il momento della sospensione, in cui chi è coinvolto nel rito si trova in una condizione di liminalità, di ambiguità. Il margine è un "momento" di transito, caratterizzato dall'assenza di una chiara definizione del ruolo dei soggetti coinvolti; esso relega l'individuo ai margini della società nell'attesa del suo ingresso in un nuovo status sociale.

La lettura dei riti di passaggio fatta da Van Gennep è stata discussa con interesse da parte degli studiosi a lui successivi. Victor Turner, ad es., ha focalizzato il suo interesse proprio sulla fase centrale delle tre sequenze cerimoniali. Turner ha allargato il significato di liminalità, superandone la definizione che associava tale termine alla particolare condizione sociale di un individuo, conferendogli una caratteristica di staticità. La prospettiva di Turner (3) consente il superamento della connotazione di staticità che era attribuita da Van Gennep al termine limen. Quest'ultimo indica la liminalità come il momento in cui non è più presente la condizione positiva passata e non si è ancora creata la condizione positiva futura. Turner vede nella liminalità la forza preposta a rompere e ricostituire i sistemi sociali, una forza che si estrinseca nei movimenti della collettività riflettendosi sui comportamenti dei singoli soggetti; è il momento della rottura, del cambiamento radicale che conduce alla trasformazione delle strutture simboliche e sociali preesistenti: "l'essenza della liminalità consiste nella scomposizione della cultura nei suoi fattori costitutivi e nella loro ricomposizionee libera e, talvolta, ludica" (4). Turner focalizza l'attenzione verso i meccanismi di cambiamento e ristrutturazione della communitas (5), cercando di stabilire una visione ciclica e circolare delle dinamiche di trasformazione, arrivando ad individuare nel dramma sociale il momento di "rottura", condizione in cui nella società si compiono i mutamenti che determinano il passaggio dalla struttura esistente ad una nuova struttura.

Ogni dramma sociale si determina quando il gruppo infrange le norme: "un dramma sociale ha inizio quando l'andamento pacifico della vita sociale governata da norme è interrotto dalla rottura di una regola" (6). La communitas è l'organizzazione sociale dove si compie "la liberazione delle potenzialità umane di conoscenza (...) dalle costrizioni normative che impongono di occupare una serie di status sociali e di impersonare una molteplicità di ruoli" (7).

Turner nell'analisi dei processi di trasformazione sociale individua l'importanza e la centralità dei conflitti (sociali e culturali) tra persone appartenenti ad un gruppo. La crisi (8), momento successivo alla rottura della regola, comporta l'attivazione di strategie di compensazione che sono caratteristiche del dramma sociale. Esse sono generalmente adottate da coloro che si definiscono o sono definiti i rappresentanti legittimi e autorevoli della comunità. Il passaggio successivo comporta due alternative: la riconciliazione delle parti in conflitto o il riconoscimento consensuale dell'irrimediabilità della rottura (9). Il dramma sociale permette la sospensione del normale flusso della vita sociale e dell'esercizio dei ruoli. Questa caratteristica del momento di crisi implica, secondo Turner, l'attivazione di processi di riflessione che permettono la presa di coscienza del comportamento in relazione ai valori: "La fase liminale è una fase di perdita dei riferimenti sociali e di una completa estraniazione, di destrutturazione, altamente creativa" (10).

Il cambiamento delle condizioni "normali", scaturito dalla crisi, è compiuto, o bloccato, attraverso un rito. Il riassestamento dell'intero schema sociale si effettua anch'esso con una cerimonia che Turner interpreta in associazione ad una performance teatrale: "le controversie, i riti di passaggio, risaltano drammaticamente perché i partecipanti non solo agiscono, ma si sforzano di mostrare agli altri quello che stanno facendo e hanno fatto: le azioni risultano eseguite per un pubblico" (11).

L'idea di riproducibilità degli eventi, che costituiscono i momenti significativi della comunità, è associata da Turner al teatro, che rispecchia il mondo e i meccanismi di reiterazione dei 'rituali'; condizioni che si presentano con 'attori' differenti ma in strutture simili. Attraverso lo studio della "performance" Turner dimostra quanto la realtà e il teatro siano 'liminalmente' intrecciati: "il teatro è un'ipertrofia ... un'esasperazione dei processi rituali".

L'utilizzo che Goffman e Turner fanno del lessico teatrale introduce l'idea che la dimensione della ripetibilità e riproducibilità funzioni tanto nei riti sociali, quanto nelle performances teatrali. Goffman parte dalla metaforizzazione, dalla negoziazione dei simboli e dei significati della vita quotidiana, arrivando ad asserire che "tutto il mondo è un immenso palcoscenico, e gli esseri umani degli attori". Le considerazioni svolte da Goffman, per esempio, mettono in luce come i rapporti umani siano influenzati dai ruoli, e come ne subiscano un effetto quasi 'demiurgico' da parte della collettività. Goffman evidenzia come ogni soggetto subisca l'influenza della società, dei cambiamenti e delle conseguenti risposte comportamentali che gli individui singolarmente elaborano. Uno "status" è una posizione, una 'nicchia' sociale non è qualcosa di materiale da possedere e mettere in mostra, ma piuttosto un modello di comportamento appropriato, coerente, abbellito e ben articolato. Il ruolo è rappresentato con disinvoltura o con impaccio, consapevolmente o no, con astuzia o sincerità, è non di meno qualcosa che deve essere inscenato e illustrato, che deve essere realizzato. Sartre ce ne dà una buona illustrazione (12).

3.2 Riti liminari, liminalità, marginalità e devianza

Concentrando la mia riflessione sulla definizione di liminalità cercherò di definire la relazione esistente tra tale concetto e quello di marginalità. Mi soffermerò sull'analisi di quella particolare condizione e posizione sociale definita "deviante" attribuita alle persone che si discostano dalla norma, dai canoni, della società di appartenenza.

La marginalità nasce dal pregiudizio; pregiudizio che muove dalla mancata adesione ai principi etici e morali dominanti. In questo quadro la devianza può essere letta come la condizione di sospensione che pone l'individuo in uno stato di liminalità. La devianza, all'interno di un sistema che categorizza i comportamenti in base a principi morali, può essere intesa come il discostarsi dalla norma: risulta accettabile chi si conforma a determinati comportamenti e si impegna a condividerne i principi. Come il cameriere di Sartre, che nei suoi movimenti quasi robotici rispecchia i "tempi delle cose" nel tentativo di essere credibile.

Victor Turner recupera il concetto di marginalità dagli studi di carattere sociologico sviluppati dalla scuola di Chicago (università nella quale egli stesso lavorò a lungo); fu il sociologo americano R. E. Park (1921) (13) che, nello studio delle conseguenze socio psicologiche delle 'migrazioni', introdusse criticamente il concetto di marginalità." Secondo Park l'uomo marginale si caratterizza per una sorta di doppia appartenenza culturale, non avendo reciso i legami col suo passato e le sue tradizioni, e non essendo del tutto accettato in una società in cui cerca di ottenere una nuova posizione" (14). Turner eredita il concetto e lo applica allo studio delle 'communitas' per descrivere quelle che vengono chiamate 'situazioni intermedie'. Le situazioni intermedie hanno spesso connotazioni spaziali (favelas, bidonvilles, ghetti).

Il marginale negli studi di Van Gennep era definito come una fase di sospensione che precede il cambiamento, e che veniva celebrata attraverso un rituale liminare. Il tempo di sospensione tra una condizione e l'altra mette 'l'iniziato' in uno stato definito da Van Gennep appunto marginale. Mentre per Park la marginalità o marginalizzazione è una condizione che si staticizza diventando emarginazione, per Van Gennep il margine rimane una condizione sospesa un momento che attende una ri-definizione. La liminalità, quindi, viene da questo autore intesa come una condizione sospensione o di transizione da un ruolo sociale ad un altro, che si stabilizza per poi affrontare un altro eventuale passaggio.

Gli studi di Turner evidenziano come la liminalità sia un'energia di trasformazione in cui sono implicati molti più fattori, che non sempre si estrinsecano attraverso la ritualità del passaggio; sono variazioni e cambiamenti che si effettuano nella sfera personale e collettiva in modo quasi del tutto autonomo. I soggetti coinvolti in questa posizione "al limite" si trovano in uno stato di ambiguità, una sorta di "limbo sociale" (15). Tale movimento, che definisce l'attraversamento da uno status sociale ad un altro, viene sacralizzato attraverso un rituale che può avere un carattere più o meno pubblico. Turner definisce la trama di situazioni liminali che si svolgono nella società e la liminalità diventa un importante concetto per descrivere la società nel proprio scorrere vitale.

A differenza di Van Gennep la fase liminare non è parte di un passaggio rituale, ma è un momento di rottura. Questa processualità influisce sul rito come sui simboli che gli sono propri. I simboli non sono costruzioni metastoriche o astoriche bensì partecipano alla processualità strutturale, assumendo significati e valori sia strutturali che antistrutturali. La liminalità produce "un cambiamento radicale che conduce a una trasformazione anche delle strutture simboliche e sociali precedenti" (16). La rottura è il momento del cambiamento che fa scaturire l'energia della dispersione e ricoesione: antistruttura e liminalità creano la condizione per la formazione della communitas. "La liminalità è la forza dell'antistruttura" quale unità dinamica sociale dove tutto è considerato in una situazione di "sospensione strutturale" (17).

Questa sospensione strutturale è il momento in cui la società e ogni suo membro ritrovano e ricostituiscono il proprio ruolo. Turner definisce il rito come un elemento mediatore del passaggio dalla struttura all'antistruttura a una successiva struttura.

Antistruttura e liminalità determinano le condizioni che creano la 'communitas', cioè una base di relazioni che rispettano una situazione di ugualità che getta la basi per l'instaurarsi di un rapporto che Turner definisce "dialogico, spontaneo e immediato tra i componenti" (18).

La fase liminare diviene, all'interno del dramma sociale, il momento della crisi, il sintomo del cambiamento, "della frattura in cui la staticità si frantuma e la pace si tramuta in aperto scontro" (19).

Con gli studi sul dramma sociale e l'utilizzo del lessico teatrale, Turner avvia la propria analisi metodologica e concettuale sulla realtà collettiva. L'utilizzo di questo lessico permette di estrinsecare la ripetibilità delle vicende sociali. L'arte del narrare, del recitare, del ricreare, non soltanto fanno da specchio alla vita reale delle collettività, nel senso che ne riproducono gli effetti, ma ne sono parte integrante. La forma del dramma ricorre in tutti i livelli dell'organizzazione sociale; in essa ha luogo un dramma sociale ogniqualvolta la canonicità degli eventi viene interrotta dalla rottura di una regola cui segue uno stato di crisi".

Dovendo considerare i due percorsi definiti fino, ora si può dire che se la liminalità di Van Gennep è quel momento di sospensione nell'attesa di trasformazione e attraversamento, per Turner invece la liminalità è una forza coesiva, un'energia che spinge al passaggio, all'attraversamento, alla reiterazione, alla ciclicità.

Può essere utile introdurre, a questo punto, le considerazioni del sociologo americano Goffman. All'interno degli studi sull'interazione simbolica nella realtà quotidiana (20), egli sostiene che tutto il mondo è un immenso palcoscenico, sul quale gli individui condividono regole più o meno automatizzate di convivenza e codificazione.

L'appartenenza ad un gruppo riconosciuto socialmente semplifica sensibilmente le relazioni umane, grazie alla facilità con cui si riconoscono dei codici comuni; mentre nelle relazioni non riconosciute 'moralmente' è inevitabile che talvolta si realizzi il ricorso alla finzione. Le persone che stanno "al margine", all'interno di un contesto di "dramma sociale", possono essere collocate, così come le descrive Goffman, in una condizione statica di sospensione liminale. Esse sono liminoidi (21), persone "in sospeso", che, specie nelle società complesse, non compiono il ciclo del dramma sociale per essere quindi reintegrati, ma possono permanere nel loro stato.

I lavori di Turner e Goffman hanno una continuità linguistica, facilitata anche dall'utilizzo, che entrambi fanno del lessico teatrale. Tuttavia, mentre Goffman studia le relazioni nella loro specificità e riproducibilità, Turner indaga sulle comunità, studia lo 'scarto' tra la persona, i 'ruoli', e la conseguente moltiplicazione di questo scarto.

Goffman descrive un'umanità nel suo decorso relazionale e nella sua costante trasformazione; l'utilizzo del linguaggio teatrale è frutto di un tentativo di lessicalizzazione, che trova radici nell'intento di tradurre gli aspetti sistematici, reiterabili dei comportamenti. In questo senso egli si avvicina a Turner, per il quale, però, il flusso delle relazioni sociali viene regolato dai codici culturali; per Goffman sono le relazioni umane nelle loro specificità, nei ruoli e nei singoli comportamenti ad avere una matrice essenzialmente unica, ma soggetta ad un'infinità di variabili, date dalle condizioni esterne e dalla società. Goffman fa luce sui metodi e su gli stratagemmi utilizzati dalle persone, nel cercare di ritagliarsi un ruolo per rappresentarsi e per rendersi credibili agli occhi degli altri, e darsi un'identità. In questo senso, condividere valori morali significa appartenere a una medesima cultura, riconoscendo e venendo riconosciuti, senza risultare, quindi, un soggetto 'marginale', 'sospeso' o momentaneamente escluso. Nello studio delle devianze nei gruppi di desperados, bambini, comici, terroristi, coloro che sono definiti pazzi, Goffman non insiste tanto su ciò che fanno, o perché lo fanno, "... ma sulla luce che per contrasto la loro situazione getta su ciò che noi facciamo ..." (22).

Sia Turner che Goffman hanno affrontato studi sulla devianza nei quali gli individui 'marginali' sono identificabili come soggetti che non condividono una morale riconosciuta ma spesso sono ottimi 'attori', dalle spiccate capacità autorappresentative, elaborate nel tempo. Esse vengono utilizzate per farsi accettare con maggiore facilità dagli altri e dalla comunità ospitante: "(...) la sociologia dell'inganno ha condotto Goffman e i suoi allievi verso l'etnografia dei bassi fondi. Non perché l'inganno non sia praticato in altri ambienti, ma perché è nei bassifondi che si trovano alcuni degli esempi più puri di strategie basate esclusivamente sull'abilità nel controllo delle impressioni. In altri termini è in questo contesto che spesso le persone si lanciano in affari a mani vuote e con un sorriso accattivante." (23)

La società 'individua' al suo interno un certo numero di persone che per la particolarità del comportamento o della loro condizione definisce 'marginali', perché estranei alla piena condivisione della vita comunitaria e per questo potenzialmente pericolosi per gli altri suoi membri.

In una situazione marginale si trova anche colui che esce temporaneamente dal novero della comunità per sottoporsi a un 'rito di passaggio', ed è in questo senso che si comincia a parlare più specificatamente di attraversamento liminale; una fase di transizione che precede e introduce a una nuova condizione o a un nuovo status sociale (24). Il rituale diviene un elemento fondante del processo di integrazione o di esclusione da una componente della società.

La condizione di marginalità rimane sospesa fino a quando l'individuo deviante non entra a fare parte di un'altra cultura, o di una subcultura, che determina il permanere nella condizione di marginalità. Con il termine subculture o sottoculture si intende riferire dei gruppi che, operando organizzazioni di significato, condividono codici e valori distinti dalla cultura egemone, pur condividendone spazi urbani e sociali. Questa organizzazione culturale diviene riferimento, accomuna, ad es., una serie di devianti che condividono regole da essi stessi stabilite e che spesso sono definite "a-morali" dalla società dominante (25).

3.3 La condizione di "liminalità" nelle comunità dei tossicodipendenti

In una comunità di tossicodipendenti può prodursi uno stato liminare che produce una ulteriore subcultura. Le relazioni di gruppo nell'ambito della tossicodipendenza non sono facilmente identificabili. Nonostante siano presenti componenti strutturali tali da identificare una sub-cultura, questi stessi elementi non risultano sempre evidenti sul piano empirico. Gli aspetti caratterizzanti o almeno maggiormente ricorrenti all'interno del gruppo dei tossicodipendenti che ho provato a delineare sono i seguenti:

  1. condivisione di un'esperienza 'pregnante', cioè l'uso dell'eroina;
  2. la frequentazione degli stessi luoghi e ambienti con un intento comune cioè reperire la droga;
  3. la conoscenza reciproca tra i componenti del gruppo.

Nei rapporti sociali sub-culturali, la sacralità delle relazioni è presente ma in forme più nascoste e inusitate. Ogni sub-cultura condivide un'etica, o più semplicemente delle regole riconosciute. I soggetti che vi aderiscono non sono necessariamente pienamente consapevoli del valore o dei significato di questi scambi. Un esempio di questi comportamenti 'rituali inconsci' nella vita di tutti i giorni, di soggetti appartenenti o meno a una sub-cultura è dato dai comportamenti 'abituali': quanti piccoli rituali si celano dietro ad un comportamento abitudinario?. Questa ritualità 'nascosta' nelle collettività di tossicodipendenti, e nei rapporti di 'piazza', è insita sia nelle relazioni che nella condivisione di valori. Ma in maniera emblematica, nella condivisione dell'esperienza, l'aspetto ritualizzante è quasi completamente 'autonomo' e per quanto riguarda i gruppi di soggetti dipendenti da eroina, si estrinseca nell'atto del bucarsi, cioè l'utilizzare dell'eroina attraverso l'iniezione endovenosa. La prima volta che si pratica questa operazione può stare a indicare il momento di trapasso liminare, che sancisce il passaggio ad una condizione di diversità.

3.4 Il rituale del "buco"

Il rito del buco consiste nell'iniettarsi in una vena dell'eroina sciolta in un diluente attraverso l'utilizzo di una siringa. Questo gesto può essere effettuato in diversi modi e ripetersi svariate volte durante la giornata di un tossicomane. Nella quotidianità il bucarsi è un'operazione svolta spesso con violenza e in qualsivoglia luogo. Si prende l'eroina e la si fa sciogliere in un cucchiaio (per fare ciò bisogna saperne riconoscere la qualità, poi fare le dosi, cioè, deciderne la quantità in base alla qualità), nel contempo bisogna aggiungerci dell'acido, quello citrico contenuto nel limone, è il più comunemente adoperato.

A questo punto bisogna saper preparare l'iniezione che è il sistema, più distruttivo per assorbire questa sostanza. Vi sono tossicomaniaci che nonostante 'buchino' da anni non riescono a compiere questa operazione senza l'assistenza di qualcuno.

L'atto del bucarsi è svolto di nascosto, anche tra tossici di vecchia data. Se ci si buca assieme, si tende ad appartarsi in luoghi dove non si è visti da nessuno. I 'primi buchi', le prime volte che una persona utilizza dell'eroina, possono essere interpretati come delle vere e proprie 'iniziazioni'. Quasi tutti all'inizio vengono aiutati da un tossico più 'anziano' ad apprendere la tecnica per 'bucare'.

Il bucarsi assieme a qualcun'altro è il modo, per creare un'intimità: "bucare" vuole dire vivere un'esperienza importante con qualcuno, un momento che vi accomunerà per tutta la vita. Utilizzare l'eroina o esserne solamente dipendenti, non ha lo stesso significato di 'bucare insieme': non basta sapere che qualcun altro 'buca' per creare quella sorta di solidarietà che intercorre tra i tossicodipendenti di 'vecchia data'.

Fino alla metà degli anni '80 utilizzare la medesima siringa per i tossicodipendenti era diventato un comportamento abituale: eccetto che in alcune situazioni, 'farsi' con la medesima siringa è un atto che assume dei connotati rituali: un iniziazione.

Il buco, pur non essendo riconosciuto da parte della collettività, all'atto pratico diventa un momento in cui il soggetto passa da uno status ad un altro, da una condizione "orbitante" ad un'effettiva appartenenza.

L'aspetto di condivisione è una componente determinante del momento del buco che sottolinea le valenze connettive di rituale. Il bucare in tanti con la stessa siringa è un momento importante nella vita sociale del tossico di piazza. Questo aspetto cumulativo del "rito" in larga misura è andato scomparendo per via della paura dell'AIDS. La condivisione della stessa siringa ha inoltre comportato una forte diffusione dell'epatite.

Un connotato del 'rito' è l'ufficializzare il passaggio da uno status ad un altro; da una condizione di liminalità, quindi di sospensione, si accede a un nuovo ruolo sociale. Nel caso di un gruppo di tossicodipendenti da eroina la diversità è che il rito diventa un momento di passaggio 'puro', di transito da una condizione ad un'altra. Il rito comporta il passaggio da una categoria sociale, che può essere quella di appartenenza del soggetto prima di iniziare a bucare, ad una nuova, quella della sub-cultura degli eroinomani.

L'appartenenza ad una categoria, definita in quanto raccoglie i consumatori di una sostanza, non è però di per sé sufficiente a permettere l'immediato inserimento del soggetto. Per entrare a fare parte definitivamente di un gruppo o di una sub-cultura come quella degli eroinomani, ci vuole del tempo. Si potrebbe dire che necessita un tempo di 'identificazione'; è come se il soggetto in questo tempo fosse sospeso tra una condizione e l'altra. Questo momento, in cui un individuo non è più un "normale cittadino", né ancora un tossico, lo pone in una condizione di marginalità. Tale stato può avere solo uno sbocco: o l'integrazione e il riconoscimento da parte di un gruppo di tossici, o la sospensione definitiva, che renderà tale soggetto un liminoide alla condizione di tossicodipendente, senza, però appartenervi. Attorno all'eroina e alla piazza orbitano varie categorie di soggetti, che non detto necessariamente si buchino. Molte volte l'eroina viene soltanto sniffata; ma per ottenere gli effetti che provoca per via endovenosa, bisogna usarne una quantità molto superiore.

Il momento del 'buco', a mio avviso, corrisponde alla 'rottura del margine', all'attraversamento di una soglia (limen). Da questo momento il soggetto è 'iniziato' all'eroina. Gli basterà bucare altre tre o quattro volte perché l'organismo sia completamente assuefatto a questa sostanza. In questo breve lasso di tempo che intercorre tra il primo buco e l'assuefazione, l'individuo si trova in una sorta di 'limbo antistrutturale'. Terminato questo primo momento il soggetto può già definirsi tossico, e nella misura in cui prolungherà nel tempo l'utilizzo dell'eroina aumenterà la dipendenza psicologica effettiva. I comportamenti in breve tempo cominceranno ad essere determinati dalla necessità di reperire la droga.

Il problema dell'eroina e dei suoi consumatori è nascosto da una serie di implicazioni. L'eroina ha coinvolto e coinvolge la società in misura variabile rispetto ai diversi periodo storici. Negli anni '70 e '80 la tossicodipendenza ha coinvolto diversi strati della società. È stato l'impegno dell'informazione a sensibilizzare la società e a spingere a una maggiore prevenzione: anche la scuola ha avuto un ruolo in questa operazione di sensibilizzazione sia dei giovani che delle famiglie.

In precedenza, negli anni '70 e '80, la disinformazione sugli effetti nocivi e spesso letali legati all'uso dell'eroina nella tossicodipendenza era un dato comune. Il rischio di essere coinvolti dall'uso dell'eroina senza rendersi conto della pericolosità della sostanza era molto alto. È perciò interessante osservare come siano cambiati i profili psicologici delle persone che ne fanno uso.

Chi si droga oggi, difficilmente è ignaro delle conseguenze del suo gesto. La decisione di bucarsi si distanzia di poco da un tentativo di suicidio: drogarsi diventa la rivendicazione spinta al limite, spesso inconscia, di soggetti disadattati che stanno male.

È probabile, che in futuro la società dei tossici avrà tra le sue file soggetti più vicini al desiderio di una lenta autodistruzione che di un modo semplice per scappare dalla realtà.

Le matrici della devianza negli anni '90 vanno cercate nelle problematiche e nelle forme di sofferenza psicologica o nel disadattamento. Il disadattato degli anni '70 per cui poteva capitare di bucarsi per disinformazione, o curiosità, nel momento in cui l'individuo si trasformava in criminale, esito naturale di una dipendenza seria protratta nel tempo, all'interno della società italiana di allora esso aveva comunque più possibilità di riabilitazione rispetto a un tossicomane che inizia oggi.

La tossicodipendenza è spesso connessa con problemi di ordine psichico. È dunque attraverso una cura il più possibile centrata sulle problematiche peculiari del singolo che si può affrontare una dipendenza e superarla. Le motivazioni che spingono una persona a introdurre dell'eroina nel proprio organismo dipendono da molti fattori tra i quali; l'insoddisfazione e il desiderio di alienazione dal mondo circostante, sentimenti molto frequenti nel mondo giovanile.

C'è da tenere conto di quanto i soggetti coinvolti dal problema della droga siano cambiati negli anni. Come già riferito per arrivare a iniettarsi l'eroina non basta più essere coinvolti 'marginalmente' dal mondo della piazza che è ambito di temibili tentazioni. Ma che il soggetto liminoide è un elemento con disturbi che si vanno via via concretizzando e che trovano nella scelta dell'eroina o di qualsiasi altra droga un approdo naturale.

Il concetto di liminalità può aiutarci a trasporre una realtà così elaborata socialmente, che trova all'interno della piazza il suo luogo deputato ma che si è già capito essere solo uno spazio concettuale di convergenza dei devianti. Non è il luogo in sé, la dimensione fisica, a stabilire i margini liminali della dipendenza. Nella piazza si esprime una subcultura di soggetti coscienti del confine che li separa dalla società civile, ma tutti questi soggetti un tempo appartenevano ad essa, se oggi utilizzano eroina e frequentano la piazza questo fatto a cosa è imputabile? In una frase: l'eroina non è per strada, si compra e si cerca in piazza, ma il bisogno nasce dal desiderio.

Nel mondo dell'eroina qualunque peculiarità culturale e personale caratteristica si teatralizza: l'individuo che fa uso di questa droga arriva al punto di imprimere tutte le proprie forze in una sola direzione, scordandosi letteralmente di tutto il resto.

3.5 La disintossicazione

Il concetto di liminalità e tensione liminale è stato sviluppato su vari fronti, che hanno in comune il 'buco' (26), cioè il fatto di assorbire tale sostanza attraverso l'utilizzo della siringa. È il bucarsi che connota tale sostanza nella cultura occidentale come letale; è sempre attraverso vie sanguigne che l'eroina svela il suo potere d'intossicazione e di seduzione mortale. Nelle culture di provenienza, dove si coltiva il papavero e dove si è importato il procedimento di raffinazione per ottenere l'eroina, tale utilizzo è rinnegato, ed associato all'auto-distruzione. L'eroina viene quindi smerciata sui mercati occidentali come una sorta di vendetta dei paesi meno industrializzati (27).

La dipendenza da eroina è una condizione di stabilità, alla quale il tossicodipendente riesce ad alternare dei momenti di disintossicazione, che permettono all'organismo di recuperare energie e di trovare un equilibrio di fronte all'esigenza di assunzione della sostanza.

Questi momenti di 'depurazione' in verità permettono al dipendente di ricominciare a drogarsi in maniera scalare e conseguenzialmente di controllare, per quanto possibile, i dosaggi. Gran parte dei dipendenti sono pienamente consapevoli di questa necessità organica, e riescono a gestirsi la disintossicazione, quella fisica, in maniera autonoma senza rivolgersi ad appoggi esterni. In altri casi sono i periodi di comunità o quelli di detenzione che consentono al tossico di liberare il proprio organismo dall'eroina. Dopo la "scimmia" (il calo accompagnato da contrazioni muscolari e forti dolori è detto gergalmente così) il soggetto può ricominciare a drogarsi in modo scalare e sufficientemente controllato per non rischiare, o quantomeno abbassare, il pericolo di morte.

Le fasi della disintossicazione fisica sono scandite da sintomi via via differenti che variano in funzione della quantità di eroina nel sangue:

  1. Si manifesta quando la quantità di sostanza nel sangue non è più sufficiente a provocare uno 'sballo' totale che è la condizione psicologica e emotiva che il tossicodipendente cerca. È in quei momenti che l'eroina esprime a pieno il suo potere anestetizzante, isolando quasi completamente la mente dal resto del mondo;
  2. questo punto l'individuo comincia gradualmente a riaffacciarsi sulla realtà, gli effetti della 'roba' sono tali da dare al soggetto una giusta lucidità che gli consente di agire disinteressandosi quasi completamente dei risvolti delle proprie azioni. Si potrebbe quasi dire che in questa fase il tossicodipendente è nel momento più dannoso per la collettività perché non ha coscienza delle sue azioni questo momento è il più drammatico per il tossico.
  3. Gli effetti della droga si vanno diluendo creando nell'individuo uno stato di ansia e di panico. Il tasso di eroina si sta abbassando sotto una soglia che darà inizio al 'calo', momento particolarmente pesante per il dipendente da eroina, perché è come se l'organismo spurgasse tutto insieme il veleno assunto fino ad allora. Nel gergo tale stadio è espresso anche con il termine stare a 'rota', in questa fase l'eroinomane farebbe qualsiasi cosa per riportare il tasso di eroina nel sangue a un livello sufficiente, ma con una coscienza tuttavia superiore a quella dello stato precedente;
  4. a questo punto il tossico sta andando, quasi irrevocabilmente, incontro al 'calo'. Una volta superato questo momento, che può oscillare dalle 12 alle 72 ore, la disintossicazione fisica è effettuata, rimane quella psicologica.

Attraverso una scrittura il meno dispersiva possibile ho cercato di tradurre quell'insieme di esistenze che si incrociano, e si scambiano informazioni e affetto, relazioni basate su un principio assoluto che esclude paradossalmente tutte le altre componenti di espressività sociale; nella piazza si può dire che non esiste distinzione sociale, ma di comportamento; "nella piazza sei quello che fai, e se ti droghi o ti sei drogato in passato, il pericolo di ricominciare è sempre presente".

Note

1. Il termine latino limen / limes indica soglia, o confine trasversale, sentiero, scorciatoia. Nell'antichità i confini 'mobili' o naturali stavano ad indicare i limiti dell'impero di Roma, (Cfr. Sordi M., a cura di, (1987), Il confine nel mondo classico, Università Cattolica di Roma, Milano). Nella psicologia è liminale il fenomeno che è al livello della soglia della coscienza e della percezione, fenomeni subliminali. In senso figurato: per le cose che sono divise da una piccola differenza.

2. Van Gennep (1909), Les rites de passage, Nourry, Paris [trad. it. I riti di passaggio (1981), Boringhieri, Torino].

3. Turner V. (1986), Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna, p. 81.

4. Turner V. (1986), op. cit., p. 59.

5. Fabietti U., Remotti F. (1997) (a cura di), Dizionario di antropologia culturale, voce liminalità. Il termine communitas è utilizzato da Turner per evidenziare un nuovo senso di appartenenza sociale e di relazioni interindividuali su base egualitaria e non strutturata.

6. Turner, V. (1986), op. cit., p. 167.

7. Ivi, p. 86.

8. Ivi, p. 167.

9. Ibidem.

10. De Matteis S. (1986), Introduzione in Turner V. (1986), op. cit., p. 15.

11. Turner V. (1993), Antropologia della performance, Il Mulino, Bologna, p. 148.

12. Goffman, I. (1969), La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna, p. 87. Questo è il brano di Sartre citato da Goffman: "(...) Consideriamo questo cameriere. Ha il gesto vivace e pronunciato, un po' troppo preciso, un po' troppo rapido, viene verso gli avventori con un passo un po' troppo vivace, si china con troppa premura, la voce, gli occhi esprimono un interesse un po' troppo pieno di sollecitudine per il comando del cliente, poi ecco che torna tentando di imitare nell'andatura il rigore inflessibile di una specie di automa, portando il vassoio con una specie di temerarietà da funanbolo, in equilibrio perpetuamente instabile e perpetuamente rotto, che perpetuamente ristabilisce con movimento leggero del braccio e della mano. Tutta la sua condotta sembra un gioco. Si sforza di concatenare i movimenti come se fossero degli ingranaggi che si comandano l'un l'altro, la mimica e perfino la voce paiono meccanismi; egli assume la prestezza e la rapidità spietata delle cose. Gioca, si diverte. Ma a cosa gioca? Non occorre osservare molto per rendersene conto; gioca ad essere cameriere. Non c'è qui nulla che possa sorprendere; il gioco è una specie di controllo e di investigazione. Il ragazzo gioca col suo corpo per esplorarlo, per farne l'inventario; il cameriere gioca con la sua condizione per realizzarla. Quest'obbligo non differisce da quello che si impone a tutti i commercianti; la loro condizione è tutta di cerimonia, c'è la danza del droghiere, del sarto, dello stimatore, con cui si sforzano di persuadere la loro clientela che non sono altro che un droghiere, uno stimatore, un sarto. Un droghiere che sogna è offensivo per il compratore, perché non è più assolutamente un droghiere. Cortesia esige che egli si comporti nella sua funzione di droghiere, come il soldato sull'attenti si fa cosa-soldato con lo sguardo diritto che non vede, non è fatto per vedere, poiché è il regolamento e non l'interesse del momento a determinare il punto che deve fissare («lo sguardo fisso a dieci passi»). Ecco tante precauzioni per imprigionare l'uomo in ciò che è. Come se vivessimo nel timore perpetuo che ne sfugga, ne trabocchi, eluda improvvisamente la sua condizione". Goffman p. 90. [Tratto da Sartre J. P. (1943), l'Etre et le Néant, Paris].

13. Cfr. Robert Park, Studi sull'ecologia umana in Antropologia urbana, Hannerz U. (1992), op. cit., Il Mulino, Bologna.

14. Fabietti, Remotti: (1997), Dizionario di antropologia culturale, voce Marginalità.

15. Turner V. (1986), op. cit., p. 55.

16. De Matteis S. (1986), Introduzione in Turner V. (1986), Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna, p. 15.

17. Ivi, p. 14.

18. Ivi, p. 16.

19. Turner V. p. 16.

20. Cfr. Goffman E. (1969), op. cit.

21. Schechner, R., (1985), L'ultima avventura di Victor Turner, in Turner V. (1993), op. cit., p. 57. Nel testo Schechner, utilizza il termine liminoide in riferimento all'evoluzione dei generi culturali di performance: dal "liminale" al "liminoide", intendendo una condizione di sospensione consolidatasi nelle società tecnologicamente 'complesse', rispetto a quelle tecnologicamente 'più semplici'.

22. Giglioli P.P., Introduzione, in Goffman E. (1969), op. cit., p. XIII.

23. Hannez, U., (1992), Esplorare la città. Antropologia della vita urbana, Il Mulino, Bo, p.365.

24. La definizione è tratta da: Fabietti U., Remotti F. (a cura di), (1997), op. cit., Zanichelli, Bologna, voce marginalità.

25. Per questo argomento cfr. Park R., Studi sull'ecologia umana in Antropologia urbana, Hannerz U. (1992), op. cit., Il Mulino, Bologna.

26. Bisogna considerare che nei paesi dove si coltiva il papavero, l'eroina, questa sostanza non viene mai assunta in 'vena'. Questo è un utilizzo fu introdotto a fini curativi durante l'800 periodo in cui tale sostanza ebbe molta fortuna, veniva usata come farmaco su prescrizione medica. Assieme alla cocaina e alla morfina fu una vera rivoluzione, lo stesso Freud ne propagandò l'uso per le cure psichiche, dirà dell'eroina; "seda dalle ansie e allontana tutte le paure". Cfr. Escohotado A. (1996), Piccola storia delle droghe.

27. Discorso analogo si potrebbe fare sulla cocaina: esiste infatti la leggenda della "vendetta del Condor", leggenda per la quale i paesi sud-americani di origine Indio si sarebbero vendicati attraverso il commercio della cocaina in Europa un giorno o l'altro, ma trattasi per l'appunto di pura leggenda.