ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 1
Dall'indeterminate sentencing alle riforme degli anni Duemila

Francesco Manfredi, 2015

1. Alcune sintetiche premesse sul quadro istituzionale di fondo

Ci è sembrato opportuno, in apertura, esporre preliminarmente alcuni aspetti della variegata realtà nordamericana, in modo da agevolare l'analisi dell'oggetto della presente.

Gli Stati Uniti d'America sono composti di molteplici realtà giuridiche: esistono in contemporanea 52 ordinamenti autonomi e sovrani, quelli dei 50 Stati, ed inoltre il sistema federale o federal government, unico per tutti, e il sistema legale del distretto di Columbia o District of Columbia (1).

1.1. La peculiarità delle fonti del diritto penale

Come primo passo, indispensabile per la comprensione di quanto seguirà, saranno brevemente considerate le fonti principali nella materia penale. Ogni ordinamento statale ha elaborato propri corpi normativi penali, per esempio i reati previsti per via legislativa (Statutory Crimes), i reati disciplinati dal diritto consuetudinario (Common law crimes) e i reati fusione di questi (2). Si è affermata quindi una normativa statale sostanziale ma anche processuale (3). Ma soprattutto è andata consolidandosi una legislazione federale del Congresso (4). Da tempo la Corte Suprema Statunitense è intervenuta ad esplicare il principio presente in Costituzione: il Congresso degli Stati Uniti può promulgare leggi nei limiti dei poteri conferitigli dalla Costituzione. L'articolo 1 sezione 1 della Costituzione introduce questo tema. E la susseguente sezione 8 elenca i poteri attribuiti esclusivamente al Congresso (c.d. enumerated powers) (5), tra cui quello di imporre e riscuotere tasse, dazi, imposte dirette e indirette, provvedere alla difesa comune e al generale benessere della nazione. La Costituzione regolamenta nello specifico alcuni reati (Tradimento, Impeachment, Pirateria, violazioni al Diritto delle Nazioni) di carattere federale (6). Posto questo, tuttavia, è accaduto che la Corte Suprema, con riguardo all'Art. 1, par.8, clausola 18, la famosa necessary and proper clause, avvalorasse il potere del Congresso di emanare leggi penali federali in attuazione degli elencati poteri. Grazie all'interpretazione estensiva della clausola, il Congresso produsse una quantità ingente di norme penali, le quali in molti casi costituirono indubbi straripamenti di potere in settori che tradizionalmente erano espressione del police power degli Stati, materie teoricamente di esclusiva competenza statale.

1.2. La natura multilivello del sistema: dual sovereignty rule e la c.d. petite policy

In secondo luogo, per i motivi suddetti, un'altra tematica di preliminare esposizione sarà quella della c.d. dual sovereignty rule. La contemporanea presenza di un ordinamento statale e uno federale dalle tendenze espansionistiche fa sorgere, nella materia penale, un non troppo teorico problema di eventuali sovrapposizioni. Gli interventi legislativi federali, non ostacolati, si sono spesso affiancati o sovrapposti a preesistenti leggi statali, determinando un fenomeno di "doppia giurisdizione". La questione comprende il noto brocardo ne bis in idem. Infatti valutando una data condotta illecita come integrante gli estremi sia di un reato federale, sia di un reato statale, è necessario stabilire quale giudice, statale o federale, sia competente a giudicare. A soluzione di queste situazioni la Corte Suprema, forgiò la c.d. dual sovereignty rule (7) e stabilì che la condotta illecita dell'imputato, se fosse stata riconducibile alle leggi penali di entrambi gli ordinamenti, statale e federale, avrebbe integrato due reati diversi, statale e federale (8). Gli effetti di questa decisione sono facilmente deducibili. Nel momento in cui il reato attribuibile all'imputato è qualificato tale a due livelli diversi, vuol dire attribuire ad entrambi gli ordinamenti il diritto di procedere contro il medesimo autore per quei fatti storici di reato. Non opererebbe cioè, stando alla Corte, il principio ne bis in idem, noto come double jeopardy (o "doppio rischio", considerato nel V emendamento), vale a dire: nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso fatto di reato (o, come espresso nel V emendamento: "Nessuno potrà essere posto in una situazione di rischio per la sua vita o la sua incolumità fisica"). Nella successiva giurisprudenza la Corte Suprema, nonostante rilevanti dissenting opinions, confermò la validità della rule nel suo nucleo più interno. La necessità di una garanzia per l'imputato, illuminata da una particolare direttiva (nota come Petite Policy) dello U.S. Attorney General durante gli anni sessanta (9), condusse in seguito lo stesso Congresso a rivedere i rapporti con gli Stati, evitando casi di duplicazione processuale per l'imputato solamente per un numero chiuso di reati. La Petite Policy affidò nelle mani dello U.S. Attorney General la possibilità del rilascio di una autorizzazione preventiva a tutti i district attorney, potenziali accuse in procedimenti federali il cui imputato fosse già stato processato da una Corte statale. L'autorizzazione, che i district attorney erano obbligati a richiedere prima del procedimento, veniva concessa solo qualora vi fossero "ragioni che la rendessero indispensabile" (compelling reasons) (10). Trattandosi di una direttiva meramente interna al Department of Justice, non azionabile quindi dall'imputato, non risultò efficace per la sua tutela (11). In seguito gli Stati, anche se contraddittoriamente, reagirono favorevolmente all'imputato. La soluzione fu raggiunta con diversi strumenti: legislazioni (spesso lettera morta) dirette a precludere la possibilità di processare chi fosse stato in precedenza condannato o assolto in altra giurisdizione, oppure giurisprudenze statali affermanti l'illegittimità della dual prosecution rule per contrasto con una ulteriore clausola double jeopardy prevista nelle stesse costituzioni statali, di portata maggiore rispetto a quella superiore del V emendamento. A questi stratagemmi pratici volti ad evitare situazioni svantaggiose per l'imputato, si aggiunga la prassi discrezionale dei prosecutor statali, che da sempre ha scongiurato il rischio di dual prosecution (12).

1.3. Il divieto di 'pene crudeli ed insolite': l'ottavo emendamento ed altri rilievi di carattere costituzionale

Il terzo aspetto ricorrerà quando saranno trattate le three strikes laws. E' l'argomento dell'Ottavo Emendamento alla Costituzione federale contenente uno specifico e importante limite costituito dal principio del divieto di pene crudeli ed inusitate (13). Il divieto è diretto alle istituzioni e riguarda l'inflizione da parte di esse di sofferenze inutili. (Excessive Bail shall not be required, nor excessive fines imposed, nor cruel and unusual punishment inflicted). Il principio si riferisce sia alla natura e quantità della pena comminata che ai mezzi di esecuzione; si estende inoltre al trattamento del reo e alle condizioni di vita e di lavoro durante la detenzione. Divieto risalente alla Magna Carta, trovò un forte sviluppo a cavallo tra il 1700 e il 1800 in Inghilterra, per approdare nella Costituzione Americana. La Corte Suprema nella sua giurisprudenza ha fornito una minuziosa definizione della clausola "crudele e inusitata pena", ritenendo questo divieto vincolante anche gli Stati.

Altro carattere di necessaria menzione: la previsione di un controllo di costituzionalità delle leggi da parte della Corte Suprema americana. Il sistema politico degli Stati Uniti prevede una suddivisione dei poteri tra governo federale e governo statale. Tolte le materie costituzionalmente riservate al Congress, cioè al Parlamento federale, si rientra nella potestà esclusiva degli Stati (14). Questi poteri hanno limiti costituzionali generali e specifici. L'art. VI della Costituzione provvede ad esplicitare che "i giudici di ogni Stato sono tenuti a conformarsi [alla Costituzione Americana e alle leggi emanate in conseguenza di essa, nonché ai Trattati conclusi o che si concluderanno sotto l'autorità degli Stati Uniti], quali che possano essere le disposizioni in contrario nella Costituzione o nella legislazione di ciascuno Stato", la c.d. supremacy clause; da qui il possibile giudizio della Corte Suprema federale sulla costituzionalità di norme federali e statali in contrasto con la stessa Costituzione (15). Infatti la Corte Suprema, richiamando l'art. III sez. 2 della stessa Costituzione, secondo il quale il "potere giudiziario si estenderà a tutti i casi di diritto e di equità nascenti dalla Costituzione", rivendica a sé la competenza a dichiarare illegittime le norme confliggenti con la Costituzione (judicial review). Inizialmente riferito solo a norme federali, dopo il 1816 tale controllo di costituzionalità si estese anche alle norme statali (16).

Poste alcune brevi premesse per una corretta percezione della complessità dell'esperienza giuridica americana e scendendo nello specifico settore del diritto processuale penale, ai fini della nostra indagine vanno sottolineate le principali caratteristiche di quest'ultimo.

1.4. La c.d. bifurcation del processo

Anticiperemo che il processo penale, sia negli ordinamenti statali che in quello federale, si snoda di regola in un solo grado di cognizione di merito a cui segue un grado di appello limitato alle questioni di diritto. Ogni grado ha i suoi rispettivi giudici, la trial court per il primo e l'appellate court per l'appello.

Il fondamentale carattere processuale è questo: il modello processuale comune è bifasico (17), cioè caratterizzato dalla cosiddetta bifurcation (18), una suddivisione del giudizio in due fasi. Alle origini del bifurcated system sta la undue prejudice rule intrecciata con la tradizione di common law. Tale rule impone, con alcune eccezioni, di attenersi strettamente alla res iudicanda, senza acquisire elementi probatori attinenti alla personalità dell'imputato e ai suoi precedenti penali capaci di disorientare (ovviamente contra reum) il libero convincimento del giudice e dei giurati, il quale deve basarsi solamente sul reato oggetto di imputazione e non sul passato dell'imputato o sul suo cattivo carattere (19). L'istituzionalizzazione di un modello processuale bifasico comporta così maggiori garanzie. Oltre alla undue prejudice rule il modello bifurcated attinge dalla riforma del sistema punitivo che espresse l'ideale trattamentale. Sul piano processuale il movimento comportò le indeterminate sentences, che vedremo.

Il modello bifurcated è erede di tutto questo, e come affermato, è suddiviso in due fasi. La prima, il guilt fact-finding, è volta all'accertamento del fatto di reato e a capire se sia attribuibile o no all'imputato. Sono le decisioni delle questioni di fatto e di diritto, da parte del giudice o della giuria, se il processo è by jury. Un provvedimento (verdict), o di condanna (conviction) o di assoluzione (acquittal) chiude questo giudizio sul fatto (20). Se emesso dalla giuria il verdetto può incontrare l'annullamento del giudice se ritenuto "manifestamente incongruente rispetto alle istruzioni o manifestamente contrario alle risultanze probatorie".

La seconda fase, fulcro della presente, è quella del cd. Sentencing, termine (21) che, non avendo un equivalente nella nostra lingua, può assimilarsi alla determinazione e commisurazione della pena da parte del giudice, in caso di conviction, nel rispetto di cornici edittali poste dal legislatore. Gli studiosi sono concordi (22) nel riportare sotto il termine Sentencing ogni questione relativa alla commisurazione della pena in senso ampio (23). Condividendo e adottando questa impostazione, ci sembra corretto guardare al Sentencing come ad un insieme di operazioni che, con riguardo a caratteristiche oggettive del fatto storico e soggettive dell'autore, presiedono il procedimento di determinazione della pena applicabile al caso concreto. Questa fase generalmente postdibattimentale (post-trial) prevede infatti lo studio della personalità del colpevole e la valutazione del reato (24).

La nostra analisi sarà principalmente rivolta al federal sentencing, ovvero il procedimento di determinazione della pena previsto dalla legislazione federale e celebrato di fronte agli organi giurisdizionali federali.

Approfonditi gli aspetti-chiave, non resta che avanzare nel tema della presente e tratteggiare il percorso evolutivo del Sentencing Nordamericano, anticipando che due sono stati i modelli strutturalmente alternativi: l'indeterminate sentencing e il determinate sentencing.

2. L'ascesa e la crisi del sentencing indeterminato

2.1. Le premesse di fondo

È tradizione americana che il sentencing fosse indeterminato. È stato indeterminate fino alla riforma degli anni settanta del Novecento. Potremo preliminarmente spiegare il concetto di indeterminate sentencing system con l'elencare alcune caratteristiche fondamentali di tale sistema processuale penale: in primo luogo la contemporanea presenza di una pluralità di soggetti che affiancano, fino ad esautorarlo, il giudice in sede di procedimento commisurativo; in secundis un'estrema ampiezza della cornice edittale applicabile al caso concreto ossia una vaghezza di fondo nel procedimento commisurativo; deinde un'insussistenza dell'obbligo di motivazione della sentenza penale di condanna per la parte che riguarda la misura della pena e quindi una inappellabilità del contenuto sanzionatorio; post una non preventiva determinazione da parte del giudice della pena da scontare in concreto nel dispositivo di condanna, e perciò una rimessione della sua definizione all'intervento di un organo amministrativo e non giurisdizionale, diverso dal giudice. Queste caratteristiche saranno meglio visualizzate dopo.

Di questi attributi qui elencati, l'elemento chiave dell'indeterminate sentencing è sicuramente l'indeterminatezza della pena, vale a dire una durata della pena in concreto senza confini netti e chiari.

Nell'addentrarci in tale concetto, ne focalizzeremo l'architettura tradizionale.

2.2. La struttura e il ruolo del presentence investigation report

Il Sentencing indeterminato (25) come stage postdibattimentale è strutturato in una preliminare ed eventuale attività istruttoria (26), un tempo segreta e unilaterale, in cui vengono raccolti gli elementi utili a permettere al giudice una conoscenza della persona del condannato. La fase è definita sentence fact-finding, ordinata dal giudice e concentrata unicamente sull'imputato. Le indagini (investigation) sono dirette a evidenziare il suo carattere, la personalità, la sua provenienza sociale, l'ambiente familiare (istruzione, impiego, luogo di dimora) creando un quadro dettagliato. Importanti sono anche le informazioni del prosecutor's file, e del government's file, rispettivamente i fascicoli dell'accusa e della polizia; ove sia stata celebrata, è importante anche il record dell'udienza dibattimentale. Sono allegati anche gli eventuali precedenti penali o "sociali", l'esame del comportamento dell'imputato verso la vittima del reato. Questa presentence investigation viene condotta dal probation officer, un ufficio amministrativo e non giurisdizionale, senza alcun contatto con l'imputato e la sua difesa. Tutti i risultati summenzionati delle indagini andranno a costituire il fascicolo del presentence investigation report (PSI). E' fondamentale che il giudice del sentencing stage, solitamente lo stesso del dibattimento, venga a conoscenza di ogni circostanza relativa all'imputato, tale da influire sulla determinazione della pena, comprese eventuali informazioni sulla condotta in anteriori procedimenti archiviati. A questo servono le indagini del probation officer. Questo presentence report servirà nella successiva udienza ad hoc (sentence determination, nella sentencing hearing) dove il giudice graduerà il quantum di pena sul condannato. Il giudice, con la collaborazione delle parti, basandosi sul presentence, provvederà alla determinazione e commisurazione della pena che sarà contenuta nel provvedimento detto sentence. Il sentence irrogherà la pena concretamente applicabile al caso concreto.

2.2.1. La c.d. allocutiondel condannato

Il condannato, se partecipa all'udienza, potrà offrire elementi utili per la decisione e avrà diritto all'assistenza del proprio difensore nonché a "to make his allocution" (27). Quest'ultima consiste nella dichiarazione formale resa dall'imputato colpevole alla Corte. Un'opportunità concessa al reo di sospendere il giudizio e perorare nel proprio interesse, nel tentativo di "convincere" il giudice e magari mitigare la pena. Il contenuto è vario, ma quello consigliato per un allocution efficace dovrebbe esprimere un profondo rimorso per lo sbaglio commesso, la cui verità e sincerità verranno valutate dal giudice. Servirebbe inoltre il riconoscimento della propria responsabilità, per una umanizzazione del misfatto. Tutto per ottenere, almeno in teoria, una mitigation alla propria sentence, sul presupposto che essa debba modellarsi sulla persona che ha commesso il crimine. Lo sconto di pena a seguito dell'allocution è solamente teorico ed eventuale. Studi evidenziano le scarse probabilità di un simile risultato. Per questo istituto è il defense attorney a giocare un ruolo cruciale, poiché il condannato si sta rivolgendo direttamente al giudice, in alcuni casi per la prima volta. L'avvocato difensore, a meno che non renda personalmente l'allocution per conto del suo assistito, deve in primo luogo avvertire il cliente dei rischi che può comportare un allocution non convincente (potrebbe infatti, teoricamente, sortire l'effetto opposto da quello desiderato), poi di riflettere attentamente sul contenuto della dichiarazione, la quale non deve essere eccessivamente ampollosa, ma nemmeno eccessivamente sintetica. L'attorney deve cercare, per quanto possibile, di aiutare il cliente a modellare l'allocution sul giudice destinatario, affinché trovi le parole giuste da pronunciare nel modo giusto. Non esistono "formule magiche", esistono solo allocution effettuate correttamente. Se così sarà, il condannato potrà, almeno in teoria, impietosire l'uditorio e aspirare al beneficio di uno sconto di pena (28).

2.3. Il problema delle garanzie

Il sentencing indeterminato è da sempre sganciato rispetto alle fasi precedenti, soprattutto sul terreno delle garanzie processuali. Infatti la posizione del condannato è limitata rispetto alla trascorsa o non celebrata fase del trial. L'imputato generalmente non avrà diritto a sottoporre a cross-examination l'estensore del presentence report o altri testimoni, né potrà richiedere la presentazione coattiva di testimoni (subpoena power). Questo perché, come plasmato dalla giurisprudenza della Corte Suprema a partire dal leading case Williams v. New York del 1948, la fase del sentencing è volta unicamente alla più completa prospettazione, al giudice, "di fatti e circostanze idonee ad illuminare la personalità dell'imputato" (29). Come se fosse una fase completamente autonoma rispetto al trial. Questo obbiettivo deve essere raggiunto senza gli ostacoli derivanti dall'applicazione delle regole probatorie dello stesso trial, per esempio l'hearsay rule, vale a dire l'inutilizzabilità delle dichiarazioni per sentito dire o l'exclusionary rule (30), cioè l'inammissibilità delle prove raccolte illegittimamente, in violazione delle regole processuali di esclusione probatoria. In questa fase è lecito neutralizzare l'impianto delle più elementari garanzie processuali, giacché non è teatro di una contrapposizione adversary (31).

Il sentencing tradizionale è inaridito nelle forme e nel contraddittorio e la Corte Suprema, a partire da Williams, ha sempre mantenuto viva la separazione dal trial. Il filone giurisprudenziale discendente da Williams, la c.d. Williams doctrine, esprime un sentencing system nonadversary, basato su una pena indeterminata e individualized. Infatti la fisionomia del sentencing indeterminato è tale perché figlia dell'ideologia riabilitativa e trattamentale (32).

2.4. Le finalità della pena nel quadro del sentencing indeterminato

La rehabilitation era l'original goal della pena nell'ordinamento nordamericano (33). Tale obbiettivo era raggiunto con il trattamento del delinquente in vista della sua trasformazione in un ligio e produttivo membro della società. L'anima di questa filosofia era l'idealistica nozione che le persone fossero intimamente "buone" e recuperabili; con l'adeguato sostegno la loro esistenza avrebbe potuto essere indirizzata al vivere civile. Con enfasi paternalistica l'ordinamento avrebbe offerto al delinquente una possibilità di cambiare l'abitudine criminale, esibendo una strumentazione trattamentale che rimediasse al malanno da cui il delinquente/paziente doveva essere curato. Infatti la rehabilitation consisteva anche di particolari trattamenti medici, psicologici e pedagogici, stabiliti nella speranza di correggere i problemi interiori che piegavano l'individuo al crimine. Questo condannato sarebbe stato monitorato da apposite strutture, che ne avrebbero seguito gli sviluppi, in vista del futuro reinserimento nella società civile. Agli esordi (34), una filosofia sottesa ad una commisurazione della pena di tal genere imponeva che si lasciasse al giudice, e non al legislatore, l'apprezzamento discrezionale della misura della colpa dell'imputato, della quantificazione del danno sociale prodotto da quest'ultimo e l'individuazione della sanzione corrispondente. L'ideologia riabilitativa o trattamentale divenne il centro del sistema punitivo americano verso la fine del 1800 e portò alla diffusione dell'indeterminate sentence proprio perché il sentencing doveva essere "affare del giudice". Così, fino alla riforma del 1984, il sentencing federale rimase una stage dove il giudice, affiancato anche da altre strutture, rivestì il ruolo di dominus.

Inizialmente assieme al ruolo-guida del giudice, l'ideale riabilitativo risentì fortemente di una componente etico-moralistica per la quale era necessario che il reo avviasse un percorso complesso di crescita interiore le cui tappe sarebbero state la meditazione in solitudine, il pentimento verso il male commesso, l'espiazione fisica della pena, la sofferenza della stessa (35). L'ideale acquisì una tonalità più laica solo verso il XIX secolo sotto una serie di riforme che introdussero il parole board. Questo nuovo istituto sorse per due ordini di motivi: l'idea fu che l'ordinamento dovesse seguire più da vicino il miglioramento del detenuto e lo incentivasse con good time credits (corrispondenti alla nostra "buona condotta"); il secondo ordine di motivi fu il ruolo del giudice, criticato perché inadeguato a valutare il momento del recupero della persona. Ma, a differenza di altri e futuri movimenti riformatori, i critici dell'epoca non vollero sovvertire la discrezionalità del giudice, confinandola entro rigide cornici edittali legislative, semplicemente ritennero che il sentencer non fosse adatto a seguire lo sviluppo del condannato e il suo processo di assimilazione dei valori sociali. Di conseguenza queste voci suggerirono di affidare tale compito a un organo non giurisdizionale, ma amministrativo, con le necessarie competenze tecnico-scientifiche per compiere una valutazione di questo genere e così determinare più precisamente l'effettivo verificarsi della completa riabilitazione del condannato. La sedimentazione di queste spinte riformatrici fu proprio la creazione del parole board, un organo di natura tecnico-amministrativa, sganciato tanto dal legislatore, quanto dal giudice, che avrebbe concretamente stabilito quando il detenuto avrebbe potuto dirsi riabilitato.

2.5. Il sentencing indeterminato e la giustizia 'negoziata' delle parti

Non fu solo il piedistallo riabilitativo ad avere plasmato questa fase del sentencing indeterminato federale. Degno di nota è questo: il sentencing risentì e risente tutt'ora fortemente delle forme di giustizia 'negoziata' e di verità processuale 'convenzionale'. In primo luogo, nonostante il summenzionato impianto bifasico del processo, è attraverso la giustizia contrattata che avviene un passaggio per saltum al Sentencing stage, affrancando il giudice dal completo giudizio sul fatto, ovvero escludendo il dibattimento (36). Fattualmente quindi è frequente il verificarsi di un processo monofasico dove, grazie ai meccanismi della dichiarazione di colpevolezza dell'imputato o plea of guilty, fundamentum del plea bargaining (da cui, alla lontana, il nostro patteggiamento), compito del giudice diviene solamente quello di valutare la personalità del condannato senza alcun accertamento completo e accurato del fatto di reato. Quindi in molti casi il Sentencing stage diventa, per scelta dell'imputato, la fase cruciale e necessaria. A fronte di questo è perciò evidente di come la plea of guilty, determinando l'avanzamento del processo alle ultime fasi, faccia crollare la presunzione d'innocenza di cui l'imputato si ammantava, ponendolo di fronte al giudice come nudo criminale. Inoltre questi casi di brusco epilogo processuale rivestono il presentence investigation di un'importanza vitale, dal momento che sostituisce il tradizionale guilt fact-finding del trial e diventa la colonna portante della determinazione della pena. In questo frangente, a cui si accenna soltanto, una investigation come quella del sentencing stage, condotta al di fuori di ogni formalità, garanzia, contraddittorio, elevata a cotanta funzione, conduce ad una evidente sperequazione dei ruoli processuali (37).

Descrivendo il sentencing tradizionale, è impossibile non sottolineare l'importanza di un istituto come il plea bargaining. Statisticamente vi si fa ricorso nel 90 per cento dei casi (38).

L'origine di un tale istituto ha sempre diviso gli studiosi (39). Il plea bargaining consiste nell'accordo tra accusa e difesa in virtù del quale il reo si dichiara colpevole, rinuncia alla propria difesa e ad alcune garanzie del due process. Il prosecutor in cambio promette una riduzione dell'accusa o una raccomandazione al giudice per una pena meno severa. Quindi la negoziazione tra accusa e difesa apporterebbe vantaggi ad entrambe le parti, ma anche allo Stato e alla stessa comunità. Allo Stato nei termini summenzionati: risparmio di risorse. Alla comunità perché limiterebbe la carcerazione preventiva e i suoi costi, inoltre la tutelerebbe dai soggetti pericolosi, infine, grazie alla rapidità della pena, orienterebbe il condannato a una migliore risocializzazione. Attualmente è considerato un indispensabile strumento deflattivo, tanto che gli avvocati lo definiscono la "benedizione" del cliente. È sul terreno di simile negoziazione che viene a misurarsi l'abilità di un avvocato (40).

2.6. I protagonisti del sentencing e la 'multipla discrezionalità'

Dopo questo breve excursus sul plea bargaining, andiamo ad osservare da vicino i soggetti istituzionali che affiancano il giudice. La distribuzione dei poteri nel Sentencing Stage è improntata ad una multipla discrezionalità (41). Attori di questo sistema (42) sono il legislatore, il prosecutor (43), il probation officer, il giudice e il parole board (44). In primis il legislatore, il quale tradizionalmente ha il compito poco incisivo di fissare cornici edittali di pena per ciascuna fattispecie astratta di reato (spesso non seguite nella prassi) (45).

Poi il prosecutor(corrispondente all'incirca al nostro pubblico ministero. Tuttavia l'accostamento è improprio: sarà tradotto con 'pubblico ministero', ma si tenga presente che il prosecutor non è esattamente un pubblico ministero, talvolta è anche qualcosa di più) il cui ruolo nella quantificazione della pena finale è rilevantissimo, se solamente si porrà mente al potere di questo attore nel selezionare, individuare e cristallizzare in via esclusiva il reato addebitato all'accusato, influenzando la successiva attività del giudice. Inoltre può disporre dell'accusa oppure modificarla dietro guilty plea del reo o concordare con il giudice la misura della pena. In pratica detiene l'esercizio dell'azione penale. Viene definito: "sentry at the gate of the criminal court system" per il suo monopolio dell'azione penale e l'influenza sulla trial court (46).

A livello di ordinamento federale, il sistema della pubblica accusa nordamericano presenta una certa originalità. Esistono due diversi organi dell'accusa: lo U.S. Attorney General, organo centrale di rappresentanza dell'accusa federale davanti alla Corte Suprema e la rete di U.S. District Attorney, organi periferici dislocati territorialmente in ciascuno dei districts nei quali è competente la singola U.S District Court. La nomina degli U.S District Attorneys o Public Prosecutors è del Presidente degli Stati Uniti con ratifica del Senato (advice and consent), su proposta proveniente dall'U.S. Attorney General. Generalmente costui propone gli aspiranti prosecutors appartenenti al partito del Presidente. Il vaglio della ratifica senatoriale è occasione per il Senato di avanzare gradimenti o imporre nomine verso questo o quel candidato. La nomina ha durata quadriennale, anche se la prassi impone che, quando un nuovo Presidente venga eletto, gli U.S. Attorney in servizio rassegnino le dimissioni in corso di mandato (47).

L'organizzazione degli uffici è piramidale: al vertice sta lo U.S. Attorney General con poteri di indirizzo di politica criminale, e a capo di ogni districts (cioè gli uffici periferici) sta lo U.S. District Attorney. Lo U.S. Attorney General, oltre a ricoprire il ruolo di pubblica accusa presso la U.S. Supreme Court e di vertice dell'apparato amministrativo, è titolare dal 1870 del Department of Justice, una sorta di Ministero di Grazia e Giustizia.

In una posizione intermedia tra prosecutor e giudice sta il probation officer (48). Già precedentemente citato, il probation officer è l'organo "ausiliario" del giudice nella conduzione delle indagini necessarie alla ricostruzione della personalità del condannato (49). Anche questo soggetto influenza la sentencing decision, poiché oltre alla presentence investigation e al report scritto, avanza anche una sentencing recommendations. Solitamente il giudice fa molto affidamento su questa recommendations, poiché è il frutto della maggiore conoscenza del probation officer riguardo il caso e l'imputato. Chiaramente l'incidenza del probation officer nella commisurazione della pena varia a seconda della professionalità e affidabilità o della prassi seguita dalla corte. La sentencing hearing, l'udienza ad hoc per determinare e commisurare la pena, già sguarnita di strumenti di garanzia e contraddittorio, risulta fortemente sbilanciata dalla parte dell'accusa e irrimediabilmente condizionata dal PSI.

Infine il giudice (sentencer) gode di un ampio potere discrezionale nel determinare e commisurare la pena e anche quando il legislatore sia intervenuto per imporre, in ragione del tipo di reato o della gravità, un minimo obbligatorio di pena edittale molto elevato (mandatory minimum sentences), ritorna il modello della giustizia negoziata o contrattata (plea bargaining) a permettere a giudice e prosecutor un notevole spazio di manovra (50).

Un aspetto rilevante nel Sentencing Indeterminate che rafforza il ruolo del giudice è questo: mentre è possibile esperire rimedi contro il provvedimento di condanna (direct appeal, per esempio) lo stesso non vale per la decisione del giudice circa la misura della pena. La parte della decisione che fissa la sanzione è infatti inappellabile (51). Questa peculiarità irrigidisce il sistema nell'esito commisurativo ma si spiega con la scelta politica di non vincolare l'attività dei giudici di prima istanza circa il quantum di pena; tuttavia alcune giurisdizioni, anche se in assenza di una espresso riconoscimento costituzionale a un diritto in tal senso, hanno riconosciuto un generale potere di revisione della sentenza o sentence review.

Per quanto riguarda il sistema giudiziario federale, esso è articolato su tre livelli: le United States District Courts, le United States Courts of Appeal, e la Supreme Court of the United States. La Supreme Court of the United Statesè un organo da non etichettarsi sic et simpliciter, per una serie di motivi, né come solamente "Corte di Cassazione" né come solamente "Corte Costituzionale". Potrebbe invece essere quasi un ibrido tra le due. Le parti hanno la possibilità di adirla pendente il giudizio in appello (certiorari before judgment) (52).

Questo sistema qui brevemente citato è globalmente noto con il termine di "constitutional courts".

Ultimo attore del Sentencing nordamericano prima delle riforme è l'istituto del Parole, o Correctional Authority (53). Quest'ultimo anello della catena grava sulla commisurazione della pena in senso lato, incidendone sulla durata a livello sostanziale. L'organo del Parole Board(organo consultivo composto da un magistrato, uno psichiatra, un sociologo e un criminologo (54)) può acconsentire al rilascio preventivo del detenuto, il quale eviterà di scontare interamente la pena assegnata. Ed grazie a questi poteri che il Parole Board può mitigare condanne troppo severe (court of leniency) oppure monitorare la personalità del detenuto valutandone il grado di risocializzazione. Istituto tipico del Sentencing Indeterminato, il Parole è diventato una prassi comune, e nel corso del tempo ha comportato il rilascio preventivo di quasi il 60 per cento dei detenuti creando una situazione di divario tra pena formalmente commisurata dal giudice nella sentenza e pena concretamente scontata dal reo (55). Abituati a questa prassi, i giudici stessi hanno sempre comminato pene elevate, sul presupposto che il destinatario avrebbe goduto del Parole e non avrebbe effettivamente scontato l'intera sanzione. Tuttavia ambedue i fattori sia della discrezionalità del Parole, ai limiti dell'arbitrarietà perché non imbrigliata da parametri legislativi (56), sia del potere discrezionale del giudice, sono risultati fortemente problematici e hanno suscitato non poche critiche. In sostanza: l'ampia discrezionalità concessa ai giudici di merito e la presenza del Parole sono due aspetti focali della c.d. indeterminatezza della pena o indeterminate sentencing e sono proprio quei caratteri che suscitarono il biasimo futuro.

2.7. La crisi del sentencing indeterminato e le premesse del suo superamento

La dinamica che condusse storicamente all'abbandono, da parte dei sistemi statali e di quello federale, dell'indeterminate sentencing (57), contenne una serie di fattori intrinsecamente collegati tra di loro. Furono aspetti di stampo teleologico e pratico, tra cui la crisi dell'ideale riabilitativo, e la critica alla eccessiva discrezionalità del giudice, caposaldo del sentencing indeterminato.

Queste concause furono: la sovrappopolazione carceraria, la cresciuta preoccupazione per i diritti individuali, la richiesta di una supervisione alla discrezionalità multipla, la richiesta che l'esercizio della discrezionalità del giudice e del parole board fosse trasparente, che i provvedimenti venissero motivati, l'importante fattore di crisi dell'ideale riabilitativo unito al problema, fortemente sentito, della sentencing disparity, cioè dei casi simili trattati in modo differente, infine l'aumento della criminalità, dimostrazione degli scarsi risultati del modello indeterminate (58).

Tra questi, i principali problemi e quelli analizzati saranno il sovraffollamento delle carceri, la crisi del metodo trattamentale e la sentencing disparity.

La popolazione carceraria, per decenni in percentuali costanti, dopo il 1970 aumentò a dismisura (59). Continuò a crescere anche durante gli anni ottanta, fino ad eccedere la capacità di accoglienza degli istituti. Dal 1980 al 1992 si registrò un aumento percentuale del 168 per cento.

Sorsero alcune teorie (60) per risollevare il sistema penitenziario dal probabile collasso, tra cui la riduzione della popolazione carceraria attraverso o un maggiore ricorso a sanzioni non detentive (front-door approach o strategia di ingresso) o un controllo sulla liberazione dei detenuti (back-door approach o strategia di uscita). Il front-door approach puntò all'aumento dei casi di probation, cioè rilascio anticipato dal carcere, per gli autori di reati bagatellari, con il conseguente problema di riuscire a far convergere in questa sanzione alternativa la fattispecie criminosa, gli scopi di recupero del condannato e la soddisfazione dei giudici, delle vittime e della comunità.

Il back-door approach si basò sull'incremento del tasso di scarcerazione (release rate) attraverso valvole di sicurezza che azionassero la scarcerazione in caso di sovraffollamento. Il presente metodo fu adottato nel Michigan, per esempio, dove una commissione speciale avrebbe monitorato costantemente la popolazione carceraria e la disponibilità degli istituti, e segnalato eventuali sovrappopolazioni.

Altre teorie proposero di controllare il flusso carcerario attraverso le stesse cornici edittali di pena, riformulate in ossequio alla reale capacità delle prigioni. L'esempio più calzante furono le sentencing guidelines del Minnesota, che per prime coordinarono le cornici edittali di pena alla disponibilità di posti degli istituti penitenziari (61).

L'ultima proposta per scongiurare il collasso fu l'ampliamento delle prigioni o la costruzione di nuovi istituti (62). Tale soluzione, infatti, benché possa sembrare quella sommamente ovvia per affrontare un problema del genere, fu tuttavia concretamente poco usata a causa degli ancor più prevedibili costi economici sulla società (63). Un altro motivo che escluse questa soluzione fu il lampante problema della quantità di tempo necessario per la costruzione di nuove prigioni o l'ampliamento di quelle esistenti, tempo che, a fronte dell'aumento imperioso del crimine, andava sfruttato in direzioni più efficaci e non nell'attesa delle nuove istituzioni penitenziarie. La risoluzione tipica adottata dagli Stati Uniti, per "far presto", fu l'affidamento della costruzione a quelle imprese private in grado di raggiungere il risultato in tempi brevi (64).

Il secondo motivo del crollo del modello indeterminate fu la crisi dell'ideale penologico che ne era fundamentum. L'opera del sociologo Robert Martinson pubblicata in una ventina d'anni, tra il 1945 e il 1967, consistente in 231 studi empirici sugli effetti del trattamento verso i recidivi diventò simbolo del movimento di riforma, e del fallimento prasseologico dell'idea rieducativa (65). Martinson affermò di come "gli sforzi rieducativi, tranne poche isolate eccezioni, non avessero prodotto nessun effetto rilevante sulla recidiva". Da qui l'affermazione che il metodo trattamentale "nothing works", cioè non funziona(va). La teoria di Martinson suscitò sì alcune critiche nel mondo accademico, ma fu un'opportunità calata dal cielo che i detrattori del sistema sfruttarono ampiamente. Altri studi degli anni settanta confermarono il risultato di Martinson, alimentando il fuoco della riforma. Quando l'Accademia Nazionale delle Scienze di Washington affermò che i recenti studi avrebbero dovuto portare non tanto all'abbandono dell'ideale riabilitativo, ma perlomeno ad una cesura di investimenti di tempo e risorse nello stesso (66), il crollo era ormai al suo ultimo stadio.

Terzo fondamentale motivo della crisi del modello indeterminate furono la c.d. sentencing disparity (67). Non esiste una definizione precisa di questo concetto, prodotto della discrezionalità dei giudici e dei parole boards. La disparity alluderebbe all'arbitrio del giudice nella commisurazione della pena (68). Il concetto si rifarebbe a casi simili trattati in modo diverso quanto a commisurazione della pena, o comunque a notevoli ed ingiuste differenze nelle pene irrogate ai condannati non basate né sulla gravità del reato, né sulla personalità del condannato, né sulla eventuale carriera criminale. Storicamente si attesta la difficoltà della sociologia criminale di individuare la metodologia di ricerca più corretta, quella in grado di garantire, cioè, risultati scientificamente attendibili e quindi oggettivamente utilizzabili.

Non è questa la sede per proporre un'ampia sintesi delle numerose analisi empiriche in tema di sentencing disparity che, dall'inizio del '900 si succedettero negli USA. Sorvolando sui risultati di queste ricerche, anche se condotte con metodologie diverse, è pur sempre unico il dato emergente. Vale a dire che tutti gli studi riscontrarono un fenomeno di disparità di trattamento sanzionatorio tra casi simili come costante patologica nel modello indeterminate.

Questo significa anche che, da qualsiasi punto si osservi il fenomeno della disparity nel sentencing legandola magari a motivi razziali, etnici (minority status) (69) piuttosto che al sesso (70), oppure alla forma mentis del giudice persona fisica (71) o all'età del condannato, in tutte le ricerche così diverse quanto a campionatura, metodologia o attendibilità, si formò un riconoscimento unanime di questa disparità nel trattamento sanzionatorio. E tutte le ricerche conclusero, seppur percorrendo strade differenti, che la patologia della disparity fosse da ascriversi principalmente alla discrezionalità del giudice. Nell'ottica di questi studi il confinamento entro cornici predeterminate avrebbe 'medicato' l'intero sistema.

Nell'esperienza giuridica nordamericana di c.d. indeterminate sentencing, l'unico rimedio ipotizzabile fu imbrigliare l'assoluta discrezionalità giudiziale entro rigidi parametri. L'idea scaturente non fu solo quella che la judicial discretion fosse inutile e controproducente, ma anche che fosse l'unica responsabile delle degenerazioni del sistema penale. Da qui si comprende l'abbandono del sistema sentencing dalla pena indeterminata e il comune orientarsi verso modelli che costringessero il giudice ad affidarsi a linee guida predeterminate "dall'alto". Questo sancì l'avvento del c.d. determinate sentencing.

3. La svolta degli anni ottanta: l'introduzione delle Federal Sentencing Guidelines e il ruolo della United States Sentencing Commission

3.1. Le nuove ideologie della pena: il c.d. just desert o 'giusto merito'

Il vuoto ideologico in tema di ideale giustificatore della punitività lasciato dal collasso del metodo trattamentale, la critica alla disparità di trattamento, il sovraffollamento delle carceri e altre cause furono il terreno ideale per quel cambio di rotta direzionato alla teoria della retribuzione, il c.d. just desert model, la quale ascese a scopo giustificatore della pena. È discutibile, in questo rapporto causa-effetto, se l'ideale riabilitativo permise l'affermazione della neo-retribuzione oppure fu il riemergere della seconda ad affossare la prima (72). Quasi contemporaneamente, senza soluzione di continuità, il vuoto lasciato dalla prima fu colmato dalla seconda. Il 'nuovo' dogma postulò che la pena fosse uno dei mezzi per la lotta al crimine, da utilizzarsi come extrema ratio e soprattutto rispettando una stretta proporzionalità tra severità della pena e gravità del reato (73). Il just desert non era nuovo alla penalistica statunitense, ma dal 1800 (caso Hopt v. Utah) (74) la Corte Suprema lo aveva relegato tra le teorie secondarie della pena. Rimasto "sonnecchiante", riacquistò vigore in questo periodo di crisi e di necessità di un apparato sanzionatorio più razionale. Proprio alla razionalità si legò il just desert, come un baluardo contro l'irrazionalità arbitraria del sistema precedente. La sanzione criminale, secondo l'ideale retributivo, avrebbe dovuto essere certa e determinata.

Certa, cioè conoscibile ex ante, perché esercitasse una deterrenza della minaccia sanzionatoria e al contempo assicurasse al reo un trattamento sanzionatorio motivato e non discriminante. Soprattutto la certezza avrebbe implicato anche la trasparenza e l'imparzialità della risposta sanzionatoria, le basi per una giustizia neutra.

Determinata nel senso di oggettiva, predeterminata sulla base di criteri oggettivi che assicurassero la proporzionalità ob malum actionis (75), cioè l'esatta corrispondenza tra gravità del reato e severità della pena. Questa graduazione non sarebbe stata più affidata all'apprezzamento discrezionale del giudice; sarebbe stato infatti compito del legislatore, dopo attente valutazioni di ordine generale, definire il quantum che poi il giudice avrebbe applicato (76). Il just desert si ispirò al binomio razionalità-certezza della pena che presupponeva una predeterminazione sulla base di criteri logico-razionali che fossero anche oggettivamente applicati. Questo significò un preventivo intervento legislativo che "sostituisse" o fosse anteposto all'operato commisurativo giudiziale evitando irragionevoli sbocchi "creativi". Lo stesso binomio presupponeva anche una certezza della pena, una stabilità, fissità, insuscettibilità di modifica nel quantum sia in sede di sentencing che in fase esecutiva.

Questo portò ad affermare che la pena minacciata nella fattispecie legale astratta sarebbe stata quella realmente scontata dal reo. L'ordinamento non si sarebbe limitato solamente a lanciare un severo monito, ma lo avrebbe eseguito in ogni particolare. Tale reazione mostrò la ferma volontà dell'ordinamento di arginare la disparità di trattamento e garantire pene di durata certa. Fu il ritorno sulla scena del just desert a sancire l'adozione del modello determinate, a livello statale e a livello federale.

3.2. Le varie nozioni di 'just desert'

Il just desert model come visione giustificativa della pena annoverò diverse varianti o formulazioni (77). A. Dershowitz, G. Fletcher, R. Singer (78) furono gli esponenti della versione più radicale. Queste teorie neoretributive ipotizzarono una attività giudiziale strettamente vincolata alla legge, sia nella selezione degli elementi riguardanti l'imputato da prendere in considerazione, sia nella scelta della qualità e quantità della sanzione. Per ogni reato corrispondenti standards normativi avrebbero previsto una pena presuntiva (presumptive sentence) basata sulla gravità del reato. Il giudice si sarebbe attenuto alla norma nel graduare la pena, con facoltà di discostarsene solamente in presenza di circostanze eccezionali. In questi casi di distacco il giudice avrebbe dovuto motivare la sentenza, appellabile comunque presso le corti superiori. La radicalità di queste teorie qui brevemente esposte sebbene non raggiunga la vetta del giudice bouche de la loi, tuttavia chiese chiaramente una quasi completa eliminazione della discrezionalità.

G. Fogel e N. Morris (79) furono esponenti di una corrente moderata del just desert. Nel modello di Morris il sentencing non si ispirò solo alla parità di trattamento e alla proporzionalità come nella versione rigida. Il just desert, pur inalterato nel suo nucleo, poté essere attraversato da ispirazioni rieducative, tali da consentire deboli variazioni nelle sanzioni inflitte. L'uguaglianza di trattamento, secondo Morris, non aveva carattere assoluto, ma relativo. È una "tendenza" che doveva bilanciarsi con altri valori dell'ordinamento, tra cui il recupero del condannato. Un sistema di pene fisse nella sua generalizzazione rischiava di allontanarsi dalla realtà, poteva discostarsi dalle peculiarità di casi apparentemente simili. Secondo Morris la peculiarità del caso andava presa in considerazione: è per questo che, pur abbracciando il just desert, egli occhieggiò al recupero della persona.

Anche Fogel (80) formulò una teoria compromissoria del just desert. Anche lui, pur appoggiando i limiti alla discrezionalità del giudice, alla razionalità della pena, alla controllabilità del parole, affermò l'utilità di limitate variazioni nelle sanzioni inflitte a fattispecie simili di reato, in modo da rispondere alle diverse istanze rieducative caso per caso.

Infine si affermò l'indirizzo intermedio di Von Hirsch, una teoria che ispirò i migliori progetti di riforma del sentencing. Nella visione di Hirsch il principio retributivo si arricchì con il richiamo all'efficacia deterrente della pena. L'unione tra retribuzione e deterrenza legittimò tanto la risposta iniziale dello Stato al delitto, quanto la ragione per punire. La sanzione penale poté soddisfare l'interesse sociale al controllo della criminalità.

Per esempio i reati bagatellari potevano essere affrontati ricorrendo a misure alternative al carcere (probation, community service, fine, etc.) mentre per i crimini gravi per i quali la retribuzione si lega alla generalprevenzione (deterrenza) fu obbligatoria la pena detentiva. Ma il legislatore doveva predeterminarne la durata, secondo Hirsch, e doveva prevedere una pena che potesse individualizzarsi, anche abbassando le cornici edittali (81).

3.3. Le riforme statali 'parziali' e ' globali'

Gli stati dell'Unione, pur avvertendo contestualmente, tra i '70 e gli '80 (82), la comune esigenza di affrontare la crisi prasseologica del sistema indeterminate (legata alla crisi del trattamento, a seguito di studi scientifico-empirici, al sovraffollamento carcerario, alla sentencing disparity) reagirono con il sistema determinate. L'obbiettivo di limitare la flessibilità della sanzione punitiva in fase tanto commisurativa quanto esecutiva fu raggiunto attraverso diverse strade. Il movimento di riforma, pur avendo la stessa matrice teorica, presentò caratteri differenti tra stato e stato, tanto che possiamo, in una summa divisio, creare due insiemi astratti: in uno saranno collocati quegli stati che adottarono delle riforme c.d. parziali (83). Nell'altro quegli stati che invece optarono per delle riforme c.d. globali. Alcuni stati infatti preferirono mantenere l'impianto preesistente e si concentrarono sull'istituto del parole, non tanto per abolirlo del tutto, quanto per riformarlo. Oltre al predisposti meccanismi di sentence review, cioè di controllo della sentenza nella parte sanzionatoria mediante l'appello a corti superiori, questi stati introdussero anche delle parole guidelines, delle linee guida redatte per instillare una razionalità nell'operato dei parole boards. Queste linee guida avrebbero predeterminato quel quantum, nel minimo e nel massimo, di pena che il parole avrebbe dovuto obbligatoriamente rispettare nel caso di specie, prima di concedere il rilascio. Con simile strumentazione si sarebbero evitati arbitrari rilasci anticipati. Anche la riforma c.d. parziale fu informata ad obbiettivi apertamente dichiarati: la garanzia dell'uniformità di trattamento ai condannati, la tutela della collettività dalle decisioni eccessivamente indulgenti e disomogenee del Parole e l'eliminazione di qualsivoglia incertezza tra pena irrogata e pena in concreto scontata.

L'altro insieme di riforme fu il risultato di un approccio rifondativo, di rivisitazione totale dell'impianto. Questa riforma c.d. globale avrebbe anticipato il total guidelines approach.

Per quanto riguarda l'introduzione di un sistema di sentence review (84), esso costituì la reazione primigenia alla sentence disparity. Se ne darà brevemente conto, considerata la rilevanza. La necessità che ulteriori collegi giudicanti, diversi da quelli produttivi della sentenza, controllassero la corrispondenza della pena al reato, risale al 1930, contenuta in un progetto di riforma del Wisconsin (85). Infatti in questa giurisdizione fu attribuito alla Corte Suprema il controllo anche della proporzionalità della pena alla colpevolezza del reo, per assicurare l'uniformità del trattamento sanzionatorio.

Dopo il 1930 altre due giurisdizioni introdussero meccanismi di appellate review. Negli anni settanta simili istituti proliferarono, tanto che oggi metà degli stati possiede simili controlli, organizzati attorno a tre modelli (86)'tradizionali'.

Il primo, adottato nel Connecticut, fu caratterizzato dalla presenza di un giudice speciale, in aggiunta alle tradizionali corti di appello, giudici di merito. Il giudice speciale, la superior court (87), ebbe il compito esclusivo di riesaminare, su istanza di parte, la congruità delle condanne a pena detentiva. La superior court poteva aumentare o diminuire la pena, se riteneva che la sua durata non fosse proporzionata alla gravità del fatto commesso, ma fu tenuta a esplicitare le ragioni della decisione.

Il secondo, quello dell'Illinois, affidò il riesame delle sentenze di condanna nella parte sanzionatoria alle preesistenti corti d'appello. Non venne creato nessuno organo ad hoc, semplicemente furono le intermediate courts (88) già esistenti, competenti per l'appello, ad occuparsi della revisione della sanzione. Questo secondo modello incontrò il favore dell'American Bar Association secondo la quale la divisione tra questioni sostanziali e questioni procedurali della sentenza non richiedeva necessariamente due tipi di organi giurisdizionali. Sembrò cioè preferibile, anziché moltiplicare il numero dei giudici con diverse competenze per lo stesso giudizio, concentrare tutto presso un unico giudice. Il modello, oltre al risparmio di tempo e risorse, avrebbe evitato anche potenziali conflitti di competenza tra giudici di legittimità e giudici di merito.

Il terzo, quello californiano, fu il più originale. Il compito di verificare la congruità della pena detentiva comminata venne affidato ad un organo non giurisdizionale, ma amministrativo (89). L'agenzia fu il Board of Prison Terms, dal compito di riesaminare tutte le sentenze infliggenti pena detentiva (90). Entro un anno dalla emissione della sentenza, il Board of Prison Terms doveva ricontrollare la condanna e valutare se era stata comminata la stessa pena che sarebbe stata comminata in casi simili a quello sotto revisione. Qualora tale agenzia avesse notato una disparità di trattamento, avrebbe provveduto a darne notizia motivata al giudice, al prosecutor, al condannato e alla sua difesa legale, e al Judicial Council. Entro 120 giorni dalla data della notifica il giudice di prima istanza avrebbe fissato un'udienza per il sentencing e avrebbe stabilito una nuova pena. In questa udienza il giudice avrebbe tenuto conto di tutte le informazioni del giudizio e di quelle inoltrategli dal Board of Prison Terms (91). La sanzione stabilita all'esito dell'udienza avrebbe dovuto essere obbligatoriamente inferiore a quella inflitta in precedenza (92). Nel modello californiano questa soluzione alleggerì il carico di lavoro sulle corti d'appello, convogliando tutte le questioni di legittimità sul Board.

3.4. La riforma del sistema federale

Per quanto riguarda il sistema federale, sin dalle origini prevedeva che le appellate courts "dovessero procedere alla pronuncia della sentenza definitiva", con ciò intendendo che le corti d'appello dovessero rivedere sia la legittimità della sentenza, sia la proporzionalità della pena. Tuttavia l'Act of March 3, 1879 (93), benché apparentemente garantisse alle corti d'appello un sindacato generale comprendente anche la congruità della sanzione, godette di una portata differente da quella qui desunta. Questo perché l'organizzazione dell'ordinamento giudiziario federale dell'epoca non conosceva ancora degli organi dotati di competenza d'appello. Anticamente c'erano le U.S. District Courts e le U.S. Circuit Courts, ma erano entrambe giudici di primo grado: le prime competenti per reati meno gravi, i misdemeanours, le seconde competenti per reati più gravi, i felonies. Le Circuit Courts avevano un potere di revisione ma solo per le sentenze delle District Courts, sui reati meno gravi. Questo potere di sentence review delle Circuit Courts era poco incisivo.

Nel 1891 il Congresso riformò la struttura e le competenze delle U.S. Circuit Courts. Stabilì che queste corti avrebbero avuto giurisdizione "in tutti i casi sorti sotto la legge penale" (94). Una lettura di questa disposizione porterebbe alla conclusione dell'introduzione di un sentence review, tuttavia l'interpretazione che si sedimentò e prevalse fu quella di segno opposto. La riforma del 1891 abrogò poi la revisione in appello dei profili sanzionatori delle sentenze di condanna in primo grado (95). Dottrina e giurisprudenza continuarono così a negare, almeno fino alla riforma del 1984, l'appellabilità della sentenza di condanna a livello federale (96).

Le origini della riforma del sentencing federale affondarono nel fallimento dei tentativi ricodificatori del diritto penale federale durante gli anni settanta (97). A cavallo tra gli anni sessanta e settanta la c.d. Brown Comission (98) avanzò una proposta di riorganizzazione della legislazione penale federale orientata a razionalità e criterio. Il tentativo, seppur sorto sotto buoni auspici con la presentazione di un progetto di codice penale federale, non fu compiutamente realizzato. Così il senatore Edward Kennedy (99), uno dei leader del Partito Democratico, ebbe l'intuizione di sfruttare il clima politico conseguente al fallimento del progetto del codice per mostrarsi come il più convinto sostenitore di una riforma. Il progetto proposto in seguito dal senatore Kennedy incontrò un'ampia adesione nel Senato (100). Con scarse modifiche, avrebbe costituito il terreno di lavoro del successivo 'Sentencing Reform Act' del 1984 (101). Il draft di Kennedy definì alcuni aspetti che sarebbero stati compiutamente e ampiamente formulati nella successiva riforma. In particolare vi si previde la cancellazione della riabilitazione come scopo della pena detentiva e l'abrogazione del parole, l'introduzione di una sentencing commission, cioè una commissione indipendente, incardinata nell'ordinamento giudiziario. Inoltre era previsto che la sentencing commission avrebbe poi elaborato e promulgato delle sentencing guidelines (102), venne prevista l'introduzione di un appellate sentence review e venne negata la possibilità di sottoporre a judicial review le regole finali poste dalla "sentencing commission" (103).

Questo modello risentì di spinte emendatrici (104) le quali resero obbligatorie le sentencing guidelines (105) e mutarono la composizione della sentencing commission. Se inizialmente solo i giudici federali avrebbero composto tale organo, dopo l'emendamento del 1977 sarebbe stato il Presidente degli Stati Uniti a nominare la maggioranza dei membri (106). Di conseguenza ne venne esaltata la connotazione politica, a sottrarre la gestione delle guidelines al controllo del potere giudiziario.

Se nel draft del 1975 il giudice godeva di una certa flessibilità nell'applicazione delle guidelines, con il solo obbligo di motivare adeguatamente la scelta di non servirsi delle cornici edittali legislativamente predeterminate, con la svolta del 1977 fu ridotto il suo spazio di manovra, costringendolo a servirsi delle guidelines, imposte obbligatoriamente (107).

Il sistema del 1977 sarebbe poi, con qualche altra modifica, coinciso con quello del 1984, il 'Sentencing Reform Act'. Durante i primi anni ottanta le forze moderate e conservatrici del panorama politico statunitense controllavano completamente i gangli della macchina esecutiva e legislativa federale: repubblicano era il vertice dell'executive, il Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, repubblicana era la maggioranza al Senato (108), il c.d. check and balance costituzionale del potere esecutivo. Il draft del 1975, già manipolato nel 1977, subì ulteriori modifiche all'interno di questo quadro politico. In aggiunta, oltre alla preponderanza dei repubblicani, erano anche gli anni del c.d. get tough approach, una visione di 'tolleranza zero' (109), di repressione del crimine. I nuovi emendamenti di questo periodo risentirono del clima dell'epoca. Infatti da un lato si registrò un innalzamento delle pene a livelli edittali di insolita asprezza, soprattutto nei casi di recidiva e di reati di stupefacenti. Inoltre, sulla coerentissima scia dell'emendamento del 1975, fedelmente all'idea di una pena certa e razionale, fu nuovamente modificata la composizione della sentencing commission. La modifica fu sempre rivolta a ridurre interferenze del potere giudiziario nell'amministrazione del sentencing: i tre giudici federali rimasti non sarebbero dovuti essere necessariamente scelti dalla lista della Judicial Conference (110). Inoltre tutti i membri, compresi quelli di nomina presidenziale, dovevano essere sottoposti all'advice and consent del Senato e l'Attorney General o un suo delegato ebbe diritto di sedere ex officio nella commissione, partecipare ai lavori, presenziare alle votazioni senza diritto di voto, come non voting member. Nonostante tutto, almeno formalmente la sentencing commission fu definita come independent (111), e la stessa menzione sarà nel Sentencing Reform Act del 1984.

3.5. L'istituzione della United States Sentencing Commission

Questo progetto così emendato divenne il Sentencing Reform Act. Non sarà oggetto della presente il racconto dettagliato dell'iter che portò all'approvazione della legge. Da una parte c'erano i repubblicani, che sostenevano la riforma, dall'altra c'era da superare l'ostilità della 'Commissione Giustizia' del ramo più basso del Parlamento, la House of Representatives. La paralisi parlamentare trovò uno sbocco nella strategia del deputato Dan Lungren, la c.d. Lungren's strategy, che permise di scavalcare l'opposizione e approvare la legge, inglobata in una omnibus resolution (112). La firma del presidente Ronald Reagan nel 12 ottobre del 1984 sancì l'entrata in vigore di un sistema rivoluzionario (113), di federal determinate sentencing. Insieme ad esso apparve un nuovo organo, la United States Sentencing Commission, destinato a rivestire un ruolo chiave nel determinate sentencing federale. La Commission in questione, istituita dal Congresso, ebbe il compito di dettare e promulgare delle linee guida direttamente vincolanti il giudice. Il perno della novella fu proprio la United States Sentencing Commission, composta di sette membri nominati dal Presidente degli Stati Uniti, confermati dal Senato, in carica per sei anni (114). Dal momento della sua instaurazione, ebbe un solo compito, che assolse nel 1987: la preparazione delle federal sentencing guidelines. Dopo che avesse elaborato tali guidelines, essa non avrebbe cessato di esistere. Il compito post-linee-guida sarebbe stato quello di monitorare il loro funzionamento, gestirle, se necessario correggerle e fornire consulenza ai giudici. La Sentencing Commission avrebbe poi informato costantemente il Congresso dell'attività svolta e avrebbe suggerito opportune misure di politica criminale e sanzionatoria (115). La scelta del legislatore del 1984 fu quella di creare un organo specifico, diverso e sovraordinato rispetto al giudice a cui affidare tutto la gestione normativa, amministrativa ed esecutiva del meccanismo sanzionatorio. Due aspetti sono importanti: l'organo apparve come solo formalmente incardinato nell'ordinamento giudiziario, in realtà dipendente dall'esecutivo. Il secondo aspetto fu la stessa legge delega, il Sentencing Reform Act, il quale istituì sì l'organo delegato, ma subito dopo non provvide né ad entrare nel dettaglio delle sue funzioni, poiché ne orientò genericamente l'attività né ad istituire limiti o imposizioni precise alla stesura delle guidelines. Di conseguenza fu forte la libertà che la legge delega permise all'organo delegato.

3.6. Il caso Mistretta e le critiche all'impianto delineato dal Sentencing Reform Act

Queste caratteristiche portarono a una forte reazione oppositiva del mondo forense. Dal 1984 al 1987, anno di presentazione delle guidelines, la Sentencing Commission e l'impianto tracciato dalla legge, comprese le stesse guidelines, furono oggetto di innumerevoli questioni di costituzionalità che se non determinarono il collasso del sistema giustizia, sicuramente lo paralizzarono (116). Fu in questo frangente che dovette intervenire la Corte Suprema a porre ordine. Nel caso Mistretta v. United States (117) la Corte decise di discutere della presunta incostituzionalità del Sentencing Reform Act avanzata dalle parti nel processo con una petition for certiorari, poiché si trattava di una questione di "fondamentale importanza di carattere generale" (118). I ricorrenti lamentavano l'ampiezza di potere che il Sentencing Reform Act concedeva alla Sentencing Commission, di fatto eccessiva, tanto da ledere lo stesso principio della separazione dei poteri. La Corte Suprema chiarì che tutto ciò non sussisteva e confermò la costituzionalità del Sentencing Reform Act. Infatti, a giudizio della Corte, l'interpretazione giusta era quella per cui la legge costitutiva della Commissione conteneva direttive chiare e precise (119). La Corte si richiamò al c.d. intelligible principle (120), già enucleato nel caso J.W. Hampton, Jr & Co. V. United States, dove "se il Congresso enuncia nella legge delega un principio intellegibile al quale la persona o l'organo delegato è vincolato ad uniformarsi, una legge del genere non rientra tra gli atti di delega di potere legislativo vietati" (121). Inoltre, per quanto riguarda la lesione al principio della separazione dei poteri, la c.d. separation-of-power doctrine, la Corte, ascoltate le ragioni dei ricorrenti, per le quali la Sentencing Commission era sì formalmente un organo sotto il potere giudiziario, ma fattualmente era controllato dall'esecutivo, questo costituendo un attentato alla integrità istituzionale del potere giudiziario, escluse che potesse configurarsi una lesione di tal genere. Lo escluse perché accolse una interpretazione duttile della separation-of-power doctrine: sicuramente la Commissione era un'istituzione peculiare, innovativa, anomala, ma questo "non dimostrava di per sé che con la sua istituzione si fossero violati i principi della separazione dei poteri" (122). Piuttosto la stessa doctrine auspicava una maggiore interdipendenza, connessione tra i poteri dello stato. Quindi la Corte concluse per la costituzionalità del Sentencing Reform Act e della Sentencing Commission.

"In light of this precedent and practice, we can discern no separation-of-powers impediment to the placement of the Sentencing Commission within the Judicial Branch" (123). A questo punto la U.S. Supreme Court vinse ogni critica (124) alla United States Sentencing Commission nel caso Mistretta v. United States e aprì all'adozione delle Federal Sentencing Guidelines.

3.7. Le Federal Sentencing Guidelines

Fu nel novembre del 1987 che le Federal Sentencing Guidelines furono legge della nazione. Il Congresso affidò larghe direttive alla Commissione, di fatto permettendole ampia libertà, a partire dal semplice suggerimento (ma non imposizione) che le future guidelines potessero essere strutturate in "griglie", "that determine sentencing in light of characteristic of the offense and characteristic of the offender" (125). Il giudice singolo avrebbe potuto discostarsi dalle guidelines, ma avrebbe dovuto motivare adeguatamente le ragioni e la sentenza, nella parte sanzionatoria, sarebbe stata appellabile (appellate review) per ragionevolezza (126). Forte dell'incarico, la Commission lavorò dal 29 ottobre 1985 fino al 13 aprile 1987 per creare un gruppo di guidelines che adempissero al mandato. Due principi animarono la Commission in questo periodo. Il primo fu l'affidarsi alla prassi attuale nel creare delle categorie generali e stabilire la durata delle sentenze; per questo i membri si rifecero ad oltre 10 000 casi (127). Il secondo fu la consapevolezza che il loro compito non si sarebbe esaurito con la semplice elaborazione e promulgazione delle guidelines, ma sarebbe continuato successivamente, come richiesto dal Congresso attraverso il Sentencing Reform Act. Infatti la Commission nel futuro avrebbe dovuto emendare le guidelines, ove necessario, o fornire assistenza agli operatori del diritto (128).

3.7.1. I compromessi all'origine delle guidelines; la questione della relevant conduct: charge offense systemo real offense system?

Il lavoro dei membri della Commissione dovette forzatamente ispirarsi ad un compromesso di fondo, data la natura praticamente politica dell'organo. Dei compromessi che si svilupparono ne saranno brevemente analizzati i più importanti (129). Il primo punto d'incontro obbligatorio fu la scelta tra concorrenti principi giustificativi animanti due sistemi o di "real offense" o di "charge offense", una questione di imparzialità sostanziale e procedurale attinente alla relevant conduct. La relevant conduct costituirebbe la condotta rilevante ai fini della commisurazione della pena (130). Il compromesso in questione poggerebbe sull'individuazione della condotta rilevante, cioè quei fatti che il giudice deve analizzare nel commisurare la pena. La relevant conduct costituisce quindi il termine di paragone della commisurazione, è quel momento selettivo delle azioni ed omissioni dell'imputato legittimamente apprezzabili dal giudice per l'individuazione della pena concretamente comminabile. I modelli di individuazione della tradizione nordamericana sono fondamentalmente due, quelli sopraenunciati di charge offense e di real offense. Per charge offense (131) si intende un sistema commisurativo che ricollega la pena esclusivamente alla condotta, alla fattispecie di reato formalmente addebitata all'imputato. Alla condotta, cioè all'imputazione contenuta nel rinvio a giudizio di quest'ultimo. Di conseguenza il giudice dovrà necessariamente rifarsi a quella condotta contenuta e rappresentata nella sentenza di condanna, nei termini in cui essa la descrive e nella misura in cui la stessa fattispecie legale ne apprezzi o conceda al giudice di apprezzare diverse modalità di realizzazione. Nessun altro elemento, fuori dalla condotta descritta nella sentenza, rileva ai fini commisurativi (132).

Il real offense system (133) invece autorizza il giudice a fondare la pena sulla condotta o sull'insieme di azioni ed omissioni compiute dall'imputato indipendentemente dal fatto che siano state ricomprese nell'imputazione formale o descritte nella sentenza di condanna. Il giudice è chiamato, nel commisurare la pena, a valutare l'insieme dei comportamenti realmente posti in essere dall'imputato, la c.d. actual conduct. La base dalla quale il giudice compirà la sua operazione commisurativa non sarà solamente la condotta oggetto di cognizione processuale, come nel charge offense system, ma la condotta "realmente" tenuta dall'imputato, cioè l'insieme di azioni ed omissioni, le circostanze di fatto o dell'autore non vagliate dal filtro della cognizione processuale ma valutate solo per il fatto di essersi verificate in occasione e in relazione al reato formalmente addebitato, accertato e oggetto di condanna (134).

Posti questi due approcci, la Sentencing Commission non ne elesse uno in particolare a principio generale, poiché entrambi presentavano incognite e limiti tali da ostacolarne la completa adozione (135). L'adozione di un charge offense system avrebbe postulato alla Commissione di collegare necessariamente la pena predeterminata al reato o ai reati per i quali l'imputato era condannato, con l'evidente conseguenza di irrigidire l'apparato delle guidelines, di cristallizzare il sistema sanzionatorio rendendo la pena incapace di rispondere adeguatamente alle circostanze peculiari di fattispecie di reato simili. L'adozione, viceversa, di un real offense system puro avrebbe aperto la determinazione della pena ad una serie di fattori non soggetti al vaglio processuale, raccolti secondo procedure e criteri non oggettivizzabili, non controllabili né preventivamente certificabili dalla Sentencing Commission, sotto il profilo della attendibilità e rilevanza. Si pensi agli elementi contenuti nel presentence report investigation: dati caratterizzati per l'assoluta informalità della loro acquisizione e per la non assoggettabilità delle relative risultanze probatorie al normale regime della prova dibattimentale (per esempio, la hearsay evidence). In mezzo a questi opposti sistemi, la soluzione adottata dalla Sentencing Commission (136): "Un sistema commisurativo basato sulle sentencing guidelines deve avere alcuni elementi del real offense, ma non così tanti da diventare ingestibile o processualmente ingiusto" (137). La soluzione fu detta del "modified real offense sentencing" (138). Il processo di determinazione della condotta rilevante (relevant conduct) per la commisurazione della pena fu basato su un meccanismo di selezione dei fatti articolato in due momenti distinti: il primo riguardò le condotte formalmente addebitate all'imputato, il secondo fu l'insieme delle condotte, attive e omissive, poste in essere dall'imputato, diverse da quelle oggetto dell'addebito formale, ma ad esse riconducibili. Quindi la strada seguita fu quella dell'incrocio tra i due diversi sistemi di condotta rilevante (139).

3.7.2. La gestibilità delle linee-guida

Il secondo compromesso fu dettato dalla necessità di rendere il sistema gestibile. Il problema della gestibilità del criminal justice system sorse dal garantire una uniformità di trattamento (casi simili trattati in modo simile quanto a conseguenze sanzionatorie) e una proporzionalità. Se c'era disparity nel sentencing, il sistema diventava ingestibile. La Commission preferì non entrare nel dettaglio, perché era consapevole che avrebbe reso tutto assolutamente non amministrabile. Per questo limitò il numero delle categorie di reati nelle guidelines. Come risultato, il numero delle distinzioni all'interno di ogni categoria aumentò (140).

3.7.3. La questione degli scopi della pena

Il terzo compromesso avvenne circa lo scopo filosofico della pena, base, per la Commission, del concetto di guidelines (141). Un compromesso fu d'obbligo, poiché il legislatore delegante non aveva dato la precedenza a nessuno degli scopi della pena. Inoltre alcuni studiosi fieramente incoraggiarono la Commission ad ispirarsi al just desert approach (142). Altri studiosi proposero che le guidelines si basassero sulla "deterrenza", cioè che la pena imposta per ogni atto criminale fosse tale da dissuadere altri dal commettere quel reato. Nel silenzio legislativo della delega, di fronte a queste due scuole di pensiero diverse, con i pregi e i difetti, la Commission raggiunse un importante compromesso. Ne aveva facoltà, dato che la delega le conferiva un autorizzazione a muoversi liberamente. Il dato normativo di partenza non era affatto vincolante la Commissione, era anzi insufficiente e scarsamente prescrittivo (143). La Commissione interpretò l'indeterminatezza legislativa come voluta e consapevole e come una implicita richiesta a diffidare l'adozione aprioristica di uno scopo piuttosto che un altro (144). L'obbiettivo da raggiungere era semplicemente la fairness in sentencing (145), l'equità nell'esito commisurativo. La Commissione decise di prendersi la libertà di venire incontro alle due opposte correnti con l'abbozzare due diversi schemi di guidelines. Uno ispirato al just desert, l'altro invece al crime control mediante la deterrence (146). Avrebbe valutato i pregi di entrambi e li avrebbe fusi in un unico draft. Inizialmente la Commissione sembrò quasi sminuire il problema dell'ideale a cui la pena dovesse ispirarsi, con il posticipare la soluzione al momento della redazione, ma alla fine la questione si impose in tutta l'importanza. Nonostante il tentativo di rimandare e annacquare la contrapposizione scientifica tra idee della sanzione penale, l'esigenza di far precedere dalla redazione delle regole sanzionatorie una riflessione più attenta divenne insopprimibile. Le diverse correnti risposero con una serie di preliminary draft dall'esito fallimentare. Alla data del 1986, termine ordinatorio posto in autonomia dalla Commissione per la presentazione dei preliminary draft, parve chiaro che l'idea di procedere attraverso la presentazione di due campioni di entrambi gli schieramenti e poi incorporarli in uno solo, era fallita. Leggendo la direttiva contenuta nella legge delega (147), la Commissione decise di ispirarsi alla precedente pratica commisurativa o past sentencing practice. Questo fu un importante compromesso che produsse un ultimo preliminary draft nel settembre 1986. La redazione del progetto finale si sarebbe ispirata a due principi fondamentali: l'analisi dei dati informativi provenienti dalla past sentencing practice, che impose di basare le guidelines sulla prassi commisurativa del passato, e l'inserimento di questi dati e delle eventuali modifiche della Commissione in uno schema generale ispirato al just desert. Quindi la scelta ricadde sull'ideologia retributiva, ma stemperata nei suoi estremismi; per esempio la commissione rinunciò ad una rigida proporzionalità (148).

3.7.4. L'allontanamento dalla past sentencing practice

La quarta serie di compromessi riguardò concessioni reciproche tra Commissioners. Simili mediazioni avvennero quando la Commission decise di deviare dallo standard della past sentencing practice e quindi, per una ragione o per un'altra, modificare la tipica precedente pratica commisurativa (149). Lo stesso legislatore nel Sentencing Reform Act richiese alla Commission di prendere come punto di partenza per la redazione delle regole commisurative le condanne medie, quanto a tipologia ed entità concretamente eseguita, comminate ai casi processati prima della creazione della Commissione, ma allo stesso tempo attribuì esplicitamente al parametro della past sentence practice il significato di mero punto di partenza, disponendo che la Commissione non avrebbe dovuto sentirsi vincolata a riprodurre tali risultati. La Corte avrebbe potuto certamente procedere ad elaborare la pena suggerita con le proprie guidelines, indipendentemente dalla past practice. Il past sentence practice constraint sembrava indicare alla Commissione di compiere una mera valutazione statistica delle pene normalmente comminate dai giudici federali per poi innestare delle nuove federal sentencing guidelines. La legge delega alla fine sembrava disporre una base di partenza e un punto di arrivo (150), lasciando la Commissione sostanzialmente libera di intraprendere qualsiasi strada intermedia. Il compromesso servì per mediare tra opposte posizioni. Chi sosteneva una fedele e pedissequa riproduzione di quanto fatto nel passato, richiese che si riproducessero esattamente le average sentence served in past (151), ma questo avrebbe significato dare a tutta l'iniziativa il sapore di una codificazione. I sostenitori di questo approccio invece affermavano che un simile risultato avrebbe incontrato il favore dei giudici federali proprio perché, recependo in chiave sistematica il consuetudinario modus agendi delle corti in sede di commisurazione della pena, sarebbe stato maggiormente condiviso. A questa visione altri invece replicarono con la necessità di liberarsi delle pratiche passate che riflettevano una vistosa sproporzione tra severità della pena e gravità del reato. Fu per la iniqua pratica consuetudinaria di commisurazione della pena, ovvero la past practice, che iniziò la riforma. Riprodurre gli errori del passato avrebbe significato oltre che violare la delega e gli scopi in essa richiesti, porre nel nulla la riforma stessa (152). Fu così che la Commissione adottò il seguente compromesso: il past time served, la misura di pena effettivamente scontata, fu stabilita come base di partenza (153) nell'elaborazione della misura di pena prevista per la singola fattispecie criminosa, con la consapevolezza che tale base non fosse né vincolante né immodificabile, ma soggetta ad eventuali aggiustamenti, cioè aumenti o diminuzioni di pena, che la Commissione avesse ritenuto opportuni (154). Per esempio nell'area delle caratteristiche del criminale (offender characteristics) ci fu un dibattito in seno alla Commissione su quali caratteristiche fossero importanti e quali potessero aprire alla departure del giudice. Tra chi richiese che si considerassero i past arrest records come circostanze aggravanti e chi richiese che fattori come l'età del condannato, la sua attività lavorativa, un certo ambiente familiare potessero essere circostanze attenuanti (155), la Corte decise di redigere queste caratteristiche del criminale basandosi sui lavori delle vecchie Parole Commission (156). Come risultato le attuali caratteristiche del criminale si basarono sul past records solamente delle condanne. L'età, la gioventù del soggetto valsero come circostanze attenuanti. In poche parole, il terreno delle caratteristiche del criminale rifletté una visione compromissoria. Anche la materia dei white-collar crimes, ovvero i crimini dei c.d. colletti bianchi fu espressione di una soluzione intermedia. La Commissione studiò la casistica precedente e si rese conto che vi erano notevoli iniquità, laddove i soggetti attivi di reati di tale specie andavano incontro o a pene più blande o a frequenti probation rispetto ad altri autori di reati. Per colmare queste falle la Commission decise di apporre delle pene magari brevi, ma certe in termini di prigione. Così facendo, cioè imponendo pene brevi ma di durata certa, senza possibilità di probation, la Commissione credé di dissuadere meglio reati di questo tipo. Alcuni criticarono questa scelta di deviare dalla past practice. Tuttavia, nonostante le critiche, nella pratica la soluzione intermedia non risultò essere eccessivamente severa.

3.8. La versione definitiva

Dopo anni di riflessioni e di soluzioni concordate, nel 1987 le guidelines entrarono ufficialmente in vigore. L'impalcatura che ne risultò fu apparentemente rigida, dal momento che le guidelines del Sentencing Reform Act ebbero carattere vincolante. All'irrigidimento dello spazio di manovra fece seguito una disposizione che permise una certa flessibilità. Ogni qualvolta il giudice avesse ritenuto: an aggravating or mitigating circumstance of a kind or to a degree not adequately taken into consideration by the Sentencing Commission, fu permesso che si discostasse dalle guidelines. Venne abolito il Parole. Furono introdotte restrizioni in tema di 'permessi premio': il detenuto poté essere liberato solo dopo aver scontato interamente la pena, detratti i Credits maturati per satisfactory prison behavior, disciplinati in maniera rigorosa (il tetto massimo realizzabile fu un settimo della durata della pena, cinquantacinque giorni per ogni anno di carcere) (157).

Il perno attorno al quale ruotarono le guidelines (158) fu la sentencing table, una griglia aritmetica composta da due parametri di riferimento, l'offense level e la criminal history category, che al loro intersecarsi, individuavano la guideline range, ossia il quantum di pena applicabile entro un massimo e un minimo edittale. Il compito del giudice fu individuare il base offense level, corrispondente alla fattispecie criminosa descritta nella sentenza di condanna. Una volta stabilita, procedeva a degli aggiustamenti verso l'alto o verso il basso, tenendo conto delle circostanze delineate in via speciale, le c.d. specific offense characteristic per le singole ipotesi di reato, nonché di quelle comuni, i c.d. adjustments, che furono prospettati in relazione al role in the offense, all'obstruction to justice, alle multiple counts ed all'acceptance of responsibility. Poi teneva conto di un eventuale precedente carriera criminale: il giudice la calcolava facendo riferimento ai livelli di base dei reati precedenti. Infine imponeva la pena, a meno che non ritenesse di attuare una "departure" dalle guidelines. Se così era, doveva motivare adeguatamente questa scelta e la sua sentenza sarebbe stata appellabile per "reasonableness".

3.9. Le modalità applicative delle guidelines

Il procedimento di applicazione delle guidelines fu articolato nei punti che seguono:

Punto 1: determinare la base offense level.

Lo step iniziale per determinare e commisurare la pena per un singolo condannato sotto il sistema delle guidelines è capire la base offense level. La Sentencing Commission, a fronte di oltre 2000 reati contenuti nelle leggi federali, ha creato delle categorie generiche raggruppate per il tipo di reato. Inoltre le guidelines graduano queste categorie di reati in base alla gravità assegnando ad esse un livello base che varia da 4 a 43. In questo modo le guidelines assicurano non solo che simili reati siano trattati in modo simile, ma anche una proporzionalità.

Punto 2: esaminare le specifiche caratteristiche del reato.

Il secondo passaggio, dopo aver determinato la base offense level, conduce all'esame di chiari attributi comuni al tipo di offesa nel quale il reato è classificato. Queste specifiche caratteristiche sono specificate nella guideline applicabile e permettono di stabilire meglio la gravità del reato. Infatti provvedono ai c.d. adjustment nel livello dell'offense. Per esempio se la guideline per la rapina prevede un certo livello base, esso sarà incrementato di 3 se la rapina è avvenuta con un'arma da fuoco, o di 6 se sono state rivolte minacce di gravi violenze alla persona della vittima.

Punto 3: Applicare gli adjustments del Chapter Three.

Dopo aver determinato il base offense level e averlo aggiustato con le specifiche caratteristiche del tipo di reato, sono da considerare alcuni generici adjustments indicati nel Chapter Three del guidelines Manual. Questi adjustments possono applicarsi, in quanto generici, a qualsiasi tipo di episodio criminoso. Alcuni di essi riguardano la vittima: se era particolarmente vulnerabile (aumento di 2) oppure se era un pubblico ufficiale (aumento di 3); o l'imputato stesso: se stava volontariamente ostacolando la giustizia (aumento di 2). Questi aggiustamenti generali al base offense level richiedono una considerazione del ruolo del reo nel reato e permettono di apportare variazioni proporzionali al peso del soggetto nella commissione del reato.

Punto 4: Contare i Multiple Counts.

Nel seguente punto le guidelines tentano di apportare una uniformità di trattamento nelle situazioni di multiple counts o molteplici capi d'accusa. Il vero problema in questi casi è come incrementare la sentenza nella parte sanzionatoria quando la molteplicità dei capi d'accusa non riflette la realtà dei molteplici danni. Il problema è descritto nel guideline manual allo scopo di garantire una pena proporzionata. È risolto individuando la base offense level del reato più grave del gruppo e aggiungendo l'offense level di ogni reato che abbia provocato un danno. Il reale problema delle multiple counts riguarda i casi di molteplici capi d'accusa per diversi reati di cui solo alcuni abbiano provocato 'danni', gli altri no. In casi simili la guidelines raggruppa tutti i reati e applica la base offense level del reato più grave senza considerare in aumento gli altri reati improduttivi di 'danno'. In questo modo è evidenziato il reato più grave senza aumenti causati dagli altri reati afferenti allo stesso episodio criminoso, che non abbiano provocato 'danno'.

Punto 5: Acceptance of Responsibility.

Se l'imputato dimostra "recognition and affirmative acceptance of personal responsibility for his criminal conduct", la sentencing court può ridurre il base offense level di due gradini. Le guidelines provvedono ad elencare alcune possibili azioni che l'imputato può utilizzare per indicare la sua acceptance of responsibility. La valutazione di questo comportamento dell'imputato è sostanzialmente rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice. Infatti il commentario alle guidelines ricorda che "entry of a plea of guilty prior to the commencement of trial combined with truthful admission of involvement in the offense and related conduct will constitute significant evidence of acceptance of responsibility". In poche parole è lasciato un certo spazio di manovra al giudice, seppur ridotto dall'elencazione di possibili acceptance of responsibility. Anche il plea of guilty costituisce un esempio di acceptance che varrà all'imputato un abbassamento del base offense level.

Punto 6: valutare la carriera criminale dell'imputato (criminal history).

Poiché la fedina penale dell'imputato ha una rilevanza, anche per gli scopi della pena, la guidelines valuta con cura la passata carriera criminale. Sono assegnati punteggi a seconda della gravità della precedente carriera criminale. Per esempio sono aggiunti punteggi se l'imputato ha commesso un reato entro due anni dal rilascio dalla prigione o mentre stava scontando la pena (compresa l'evasione, l'escape status). Questi aumenti sono giustificati dall'incorreggibilità del soggetto, che, nel suo processo motivazionale, non considera la sentenza di condanna e la stessa pena. Dopo che è stata esaminata la carriera criminale del soggetto e sono stati assegnati punti, questi valori sono convertiti in una classifica che va da I a IV. Nel livello IV c'è il c.d. career offender, il delinquente di professione.

Punto 7: determinare quale sentencing range è applicabile.

A questo punto il giudice fa riferimento ad una tabella. I livelli delle offenses sono elencati sulla colonna verticale, mentre le categorie della "criminal history" sono visualizzate nella colonna orizzontale. In questo modo è tratteggiata una griglia che mostra vari sentencing range. Dall'intersezione tra la offense level applicabile (dopo tutti gli aggiustamenti fatti) e la criminal history category, il giudice troverà la forbice/cornice edittale della guideline sentencing che si applica al caso particolare. Il giudice potrà scegliere all'interno di questo range, tra questo minimo e massimo; in questa scelta a lui demandata egli mantiene una certa discrezione, anche se la cornice edittale è molto angusta e quindi non permette un libero e ampio spazio commisurativo.

3.10. Le modifiche al PSI e al sentencing stage introdotte dalla riforma

Le Federal Sentencing Guidelines hanno apportato anche qualche aggiornamento alla struttura del PSI, del presentence investigation report. Questo fascicolo assume un'importanza vitale nei casi di giustizia contrattata, come sostituto dell'istruzione dibattimentale (159) per il passaggio per saltum alla fase del sentencing (160). Oltre a situazioni di tal genere, essendo poi il risultato di indagini condotte da un ufficiale dell'amministrazione, il probation officer, il PSI diventa un fattore sul quale una difesa dell'imputato, per essere efficace, può e deve contribuirne alla formazione. Tuttavia, tradizionalmente, l'appiattimento garantistico della fase del sentencing relegò l'attività difensiva ad un ruolo secondario chiudendole ogni possibilità di conoscenza del contenuto del PSI (la cosiddetta disclosure) (161). L'introduzione delle guidelines ha mutato il quadro e ha aperto timidi spiragli verso la disclosure. Tale regime è stato ritoccato su più punti, quali i termini a difesa per la consultazione della PSI, che ora constano di "dieci giorni prima di quello fissato per l'udienza", il diritto, riconosciuto e garantito indifferentemente all'imputato e al difensore, di estrarne copia, il diritto di conservare la copia del PSI dopo il sentencing, la possibilità della difesa di contestare la veridicità del contenuto del PSI, con l'allestimento di una apposita procedura alla fine della quale il giudice o vi darà soluzione con provvedimento scritto oppure, sempre per iscritto, dichiarerà che egli non si servirà dei dati del PSI controversi. Inoltre la Corte Suprema ha sancito l'obbligo per l'amministrazione penitenziaria di fornire copia del PSI al detenuto che ne abbia fatto richiesta. Inoltre lo stesso PSI può costituire motivo di appello alla sentenza nella parte sanzionatoria. Inoltre le guidelines hanno attribuito una nuovo ruolo al probation officer, rivestendolo di una certa iurisdictio. E' dalle investigations svolte dal probation officer che deve ricostruirsi un quadro della real offense conduct il più preciso e completo possibile, in modo tale che né la discrezionalità circa l'azione penale dell'accusa, né factual stipulation tra le parti "should be able to mispresent to the court or restrict the court's independent determination of the offense conduct for which the sentencing guidelines should be applied". Dovrebbe evitarsi così la trasmissione al giudice di una rappresentazione dei fatti distorta, che condurrebbe a un'applicazione erronea delle guidelines. Inoltre l'organo correzionale dovrebbe esperire tentativi di conciliazione nel corso delle indagini su questioni controverse circa il fatto di reato o l'applicazione delle guidelines.

Questi nuovi meccanismo rendono meno informale la fase del sentencing e creano un contesto più fully adversarial dove le parti possono veramente confrontarsi. E' ovvio che un mutamento del genere va ad incidere anche sulle strategie difensive, poiché il difensore dovrà sincerarsi tempestivamente di ogni elemento, anche le circostanze, della relevant conduct e pronosticare la guidelines range exposure. E' nel sentencing che si può misurare l'esperienza e professionalità dell'attorney della difesa, quanto riesca a migliorare la posizione dell'assistito e ottenere un epilogo sanzionatorio il più mite possibile (162).

Nonostante queste innovazioni che rendono la sentencing hearing più adversariness, i risultati non sono ancora soddisfacenti: c'è il rischio che il giudice possa prendere provvedimenti incisivi sulla libertà personale senza una garanzia totale di contraddittorio. Infatti le investigations ancora hanno una cortina di segretezza, ancora non c'è una effective assistance of counsel, lo standard probatorio è affievolito, il giudice abusa dell'hearsay evidence.

Il sistema di griglie delle guidelines è stato accolto bene tra i giudici, in quanto riduceva i casi di disparity e aumentava la razionalità del complesso. Il sistema federale e all'incirca un terzo degli stati oggi utilizza un guidelines sentencing system.

Dalla data di elaborazione e promulgazione delle guidelines, nel 1987, da parte della U.S. Sentencing Commission esse, come la stessa Commission nel caso Mistretta, non sono andate esenti da attacchi e critiche. Saranno analizzate nel paragrafo successivo.

4. Il ripensamento delle guidelines e la giurisprudenza della Corte Suprema

Già dal Mistretta case erano sorti dubbi verso l'impianto allestito dal Sentencing Reform Act. La Corte Suprema si era trovata a fare i conti con una questione di costituzionalità del Sentencing Reform Act per violazione della dottrina della separazione dei poteri e aveva rigettato il ricorso, confermandone la costituzionalità (163). L'organo della Commission era sì speciale, innovativo, formalmente incastonato nell'ordinamento giudiziario, concretamente affiliato al potere esecutivo, una agency anomala nel panorama istituzionale statunitense, ma non era di per sé lesivo del principio di separazione dei poteri (164). Il fatto che esistesse non significava nessuna prevaricazione di un potere sull'altro. Secondo la Corte non c'era nessuna invadenza dell'esecutivo nel giudiziario. Le critiche, gli attacchi e i ricorsi non finirono qui, continuarono attraverso gli anni novanta e duemila sul terreno del VI emendamento (165).

Nel 2000 la Corte affrontò il caso Apprendi v. New Jersey (166). L'imputato Charles Apprendi affermò la responsabilità del possesso illegale di arma da fuoco, reato che nel New Jersey portava fino a 10 anni di prigione. Il giudice della sentencing hearing scoprì che l'imputato aveva sparato alcuni colpi contro la dimora di una famiglia di Afro-Americani. Il giudice dedusse che Apprendi si era comportato in simile modo per terrorizzare i suoi sgraditi vicini e convincerli ad andarsene. Applicò l'aumento previsto e condannò il reo a 12 anni di prigione, due anni in più del massimo previsto dalla legge statale. La pena fu comminata senza concedere il diritto ad una giuria, decisa dal giudice, da solo. La Suprema Corte annullò la sentenza, ritenendo violato il due process nei confronti di Apprendi, poiché era stato un giudice da solo, senza la giuria, a valutare i fatti. Le stesse parole della Corte esplicano bene il passaggio: "Under the due process clause of the Fifth Amendment and the notice and jury trial guarantees of the Sixth Amendment, any fact (other than prior conviction) that increases the maximum penalty for a crime must be charged in an indictment, submitted to a jury, and proven beyond a reasonable doubt". Nel caso di specie tutti questi passaggi mancavano.

Del 2004 è Blakely v. Washington (167). Blakely ammise la responsabilità (plea of guilty) nel rapimento della moglie. I giudici statali seguirono le guidelines statali di Washington e, sostenendo che l'imputato avesse agito con 'straordinaria e intenzionale crudeltà', imposero una pena più alta del normale. L'attorney di Blakely portò il caso alla Corte Suprema sostenendo la violazione del VI Emendamento, poiché il giudice che aveva condannato Blakely sulla base di fatti non confessati dal suo assistito nella plea of guilty, aveva impropriamente assunto il ruolo della giuria. La violazione del VI Emendamento si deduceva dallo stesso comportamento del giudice, arbitrario e invasivo di competenze proprie della giuria. Il caso approdò alla Supreme Court che ribaltò la sentenza per l'eccessiva libertà del giudice nello stabilire la pena. Infatti la Corte Suprema spiegò che la parte commisurativa della sentenza di condanna deve basarsi su fatti decisi dalla giuria nel verdetto o ammessi dall'imputato. Secondo la Corte il giudice non può aumentare la pena a causa di fatti non affermati dalla giuria o non ammessi dall'imputato, ma da lui solo sostenuti. La Corte fu d'accordo con la difesa poiché "i fatti [...] non furono né ammessi dall'imputato, né trovati dalla giuria; perciò la condanna violava il VI Emendamento nella parte del right to trial by jury".

Degni di nota sono due casi (168) del 2005, con i quali la Corte Suprema rispose a due questioni importanti, di cui la seconda era se le guidelines, alla luce di anni di opposizioni, fossero ancora applicabili.

Nel caso United States v. Booker (169) la Corte si mantenne sul filone inaugurato dal caso Apprendi v. New Jersey del 2000. Il caso del 2005 coinvolse un tale Freddie J. Booker, che riportò una condanna per possesso e vendita di crack. Quando egli fu arrestato, la polizia trovò una certa quantità di stupefacenti. Sotto le sentencing guidelines federali tale ammontare di stupefacenti, in aggiunta alle 23 precedenti condanne di Booker, avrebbe condotto ad una pena carceraria di durata ventennale. Durante la sentencing hearing il sentencer aggiunse un ammontare di 20 once di cocaina a causa di una dichiarazione dell'imputato agli inquirenti circa una vendita di tale somma prima dell'arresto. Valutata questa hearsay evidence, (prova per sentito dire) il giudice dichiarò il falso giuramento di Booker e aggiunse l'accusa di 'ostacolo' alla giustizia. Infine il giudice commisurò una pena detentiva più lunga. La corte d'appello annullò la sentenza. La Corte Suprema, investita del caso, affermò che l'aumento imposto dalle federal sentencing guidelines privava l'imputato del diritto di essere giudicato da una giuria composta di suoi simili. Di conseguenza il comportamento del giudice del sentencing violava il VI emendamento. Più precisamente: il fatto che il giudice avesse commisurato 30 anni di pena detentiva sulla base di prove per "sentito dire" violava il VI emendamento perché la valutazione di tali prove era compito della giuria, non del giudice. In questa occasione Justice Breyer suggerì che la miglior soluzione per evitare simili 'invadenze' giudiziali fosse ritenere le guidelines meramente advisory (170). Il motivo fu evidente: un sistema di guidelines advisory avrebbe permesso al giudice di commisurare la pena su certi fatti senza il consulto della giuria. Viceversa un sistema come quello delle guidelines dell'epoca, di carattere vincolante, imponeva costituzionalmente che fosse la giuria a ritenere provati i fatti, al di là di ogni ragionevole dubbio. Da questa pronuncia si sviluppò un filone di giudici che affermarono a gran voce il carattere consultivo e non vincolante delle guidelines.

Il secondo caso del 2005 giunto alle porte della Supreme Court, United States v. Fanfan (171), riguardò l'imputato Ducan Fanfan, condannato nel Maine nel 2003 per l'accordo di spaccio di un quantitativo pari a 500 grammi di un tipo di cocaina. Durante la sentencing hearing il prosecutor dimostrò che l'imputato era coinvolto anche in un giro di crack e questo aumentò ulteriormente la pena. Il giudice federale del sentencing inizialmente impose a Fanfan 16 anni di carcere, ma poi, basandosi sul recentissimo caso Blakely, ridusse la sentenza a 6 anni e mezzo.

Entrambi i casi, quasi coevi, approdarono alla Corte Suprema nel 2005 e vennero, data la somiglianza, accorpati. Con queste due pronunce la Corte inaugurò un indirizzo rivoluzionario. Oltre all'ammissione, con una majority opinion, che effettivamente in nessuno dei due casi era stato garantito appieno il diritto a un trial jury, ad un processo con la giuria, poiché entrambi si basavano su valutazioni fatte da un giudice in solitudine, e quindi veniva ad essere violato il Sixth Amendment, sempre la majority opinion, guidata dal Justice Breyer, concluse per una importante rivisitazione delle federal sentencing guidelines. Infatti il punto fermo che la Corte affermò fu il seguente: le guidelines federali non erano più vincolanti i giudici federali. L'ottica si spostò infatti sul valore assegnato alle guidelines alla luce di oltre vent'anni di applicazione. Tra una rigida affermazione di uno status quo dove le guidelines sarebbero rimaste obbligatorie e un innovativo sistema dove invece avrebbero avuto meramente un valore advisory, la Corte optò per il secondo.

Sarebbe a dire che, ispirandosi ad Apprendi v. New Jersey, la Corte riservò alla giuria di verificare, beyond any reasonable doubt, la sussistenza di un qualsiasi fatto che determinasse un aumento della sanzione irrogabile a un federal defendant, a condizione che tale fatto fosse un "elemento costitutivo del reato" e non una mera circostanza, senza obbligatoriamente mantenersi all'interno della cornice edittale delle guidelines. La Corte aprì a una maggiore flessibilità dell'impianto, laddove dichiarò l'incostituzionalità delle disposizioni che obbligavano i giudici federali ad imporre obbligatoriamente, salvo eccezioni codificate, una pena entro i limiti delle guidelines. Un eventuale appello avrebbe coinvolto l'irragionevolezza anche di questo ventaglio più ampio. Come affermò il giudice Breyer della Corte Suprema: "The district courts, while not bound to apply the guidelines, must consult those guidelines and take them into account when sentencing". Breyer notò anche che il Congresso avrebbe dovuto reagire, poiché scrisse: "the ball now lies in Congress' court. The national legislature is equipped to devise and install, long term, the sentencing system compatible with the Constitution, that Congress judges best for the federal system of justice. [...] Ours is not the last word". Vale a dire che, dal momento che l'alto consesso aveva appena assegnato un ruolo meramente consultivo alle guidelines, mentre lo stesso istituto era sorto per essere mandatory, obbligatorio, il legislatore federale avrebbe dovuto attivarsi (172) per recepire la novità.

Il Congresso non reagì. In questo lasso di tempo la Corte Suprema ebbe modo di decidere altri due casi che riguardavano alcune di queste questioni.

Il primo fu Rita v. United States (173) e riguardò la questione sul se una pena imposta applicando fedelmente le guidelines potesse essere presunta ragionevole. La presunzione di ragionevolezza della pena avrebbe ridotto o annullato qualsiasi potenziale appello al quale la sentenza fosse destinata. La questione sorse a proposito del caso di Victor Rita, condannato del reato di falsa testimonianza prima di una Grand Jury. L'imputato sostenne che le guidelines erano irragionevoli e avrebbe meritato una pena più bassa in ragione della sua salute precaria, della paura di subire abusi in prigione e dell'insigne servizio militare. La Corte Suprema confermò la statuizione della corte inferiore: la pena era ragionevole perché fissata all'interno delle guidelines. Da qui fu possibile arguire che la decisione che ricadeva all'interno delle guidelines poteva presupporsi ragionevole.

Il secondo caso fu Claiborne v. United States (174). La situazione originò da un giudice federale rivoltosi all'alto consesso perché in disaccordo con le guidelines. A suo avviso, egli avrebbe dovuto imporre una pena assai più bassa rispetto a quella prevista nel range delle linee guida. Infatti l'imputato, trovato in possesso con l'intento di spaccio di una certa dose di crack, sarebbe andato incontro a un minimo di tre anni di prigione, stando alle guidelines, mentre il prosecutor aveva chiesto massimo quindici mesi. Il caso approdò alla Corte Suprema ma l'imputato ventitreenne fu ucciso a processo iniziato e la Corte fu costretta a dimettere il caso.

Nel dicembre 2007 la Corte decise altri due key cases circa il destino e il funzionamento delle guidelines. Entrambi gli appellanti erano stati condannati per reati di stupefacenti.

Nel primo caso, Gall v. United States (175), la Corte confermò la decisione di una trial court di porre l'imputato nella probation per 36 mesi piuttosto di condannarlo alla prigione. Infatti l'imputato aveva negoziato una confessione di colpevolezza sotto l'accusa di conspiracy to distribute, cioè associazione, accordo, per rifornire MDMA, meglio conosciuta come Ecstasy. L'associazione per vendere simile sostanza stupefacente è un felony e, stando alle guidelines, condurrebbe alla prigione. L'imputato mosse una eccezione di "departure", cioè di allontanamento dalle guidelines. Richiese la non applicazione del range delle linee guida. Il giudice, tenuto conto dell'età, della breve carriera criminale, della plea of guilty che segnalò una disponibilità a collaborare con il sistema giustizia, del rimorso manifestato, del possibile recupero della persona (si trattava alla fine di uno studente universitario), decise in quel caso di non affidarsi alle guidelines, che lo avrebbero indirizzato alla prigione, e di optare per la probation. La Corte Suprema si trovò d'accordo con la sentenza.

Il secondo caso è Kimbrough v. United States (176). Dall'opinione della Corte espressa in Booker, le district court erano autorizzate a leggere le guidelines come advisory. Quindi il mutamento delineatosi nel corso degli anni andò nella direzione di circoscriverne la valenza. Le linee-guida, sorte dalla Commission dopo il Sentencing Reform Act rimanevano vincolanti solo "formalmente", mentre "sostanzialmente" erano un'utile base che il giudice federale poteva considerare nel commisurare la pena appropriata. Il caso Booker mantenne l'appellate review per la irragionevolezza della parte sanzionatoria della sentenza, anche se la district court non era più vincolata dalle griglie federali. Quindi l'appello sarebbe avvenuto per l'irragionevolezza non della sola departure dalle guidelines nei casi speciali, ma sarebbe stato un ricorso sulla globale scelta del giudice di imporre la pena senza basarsi sulle linee guida, non più tendenzialmente obbligatorie. La questione oggetto del caso Kimbrough fu se una pena imposta al di fuori delle linee guida fosse sempre di per sé irragionevole quando era basata sulla differenza di pena tra reati aventi ad oggetto il crack e reati aventi ad oggetto la cocaina powder.

Derrick Kimbrough sollevò una petizione alla Supreme Court perché condannato dalla United States District Court con l'accusa di accordo per commercio di sostanze illegali, possesso con l'intenzione di vendere crack e cocaina powder, possesso di arma da fuoco. Egli confessò tutti i reati. La Corte discusse i dettagli del caso e dibatté sull'applicazione o meno delle guidelines. Nel caso di specie le guidelines offrivano un range eccessivo di pena. La pena sarebbe stata greater than necessary per soddisfare gli scopi esposti nelle guidelines. La Corte si inoltrò nel solco tracciato da Booker per ritenere le guidelines meramente consultive.

Concludendo il discorso: nonostante la giurisprudenza abbia rivalutato il ruolo delle federal sentencing guidelines ha anche rispettato l'organo della Sentencing Commission; come da legge delega, ad essa spetta il compito di riformulare o correggere le linee-guida ove necessario. Le district courts devono trattare le guidelines come starting point and the initial benchmark, ovvero come base, punto di partenza, mero riferimento formale; ma la Commission deve sempre svolgere un ruolo rilevante, non essendo stata eliminata. Essa svolgerà un compito istituzionalmente vitale: avrà la capacità, mancante alle corti, di basare le sue elaborazioni su dati empirici ricavati dall'esperienza nazionale, guidate da uno staff di tecnici esperti con un'adeguata esperienza. Data la profonda cultura scientifica di simile istituzione, la cornice edittale basata su dati di livello nazionale rifletterà una commisurazione della pena in grado di raggiungere gli obbiettivi della legge delega.

Viene notato, dall'altro lato, che il singolo giudice ha familiarità con il caso a lui sottoposto molto più della Commission. La sua vicinanza al caso concreto lo eleverebbe ad un rango superiore per valutare i fatti e giudicarne l'importanza. Per questa migliore conoscenza dei fatti in causa, una qualsiasi district court può e deve, nella sentenza, decidere di allontanarsi dalla provincia delle guidelines qualora ritenga la particolarità del caso tale da imporgli una scelta del genere.

Vero questo, con le guidelines non più obbligatorie non può che essere mantenuto un review dell'operato del giudice del sentencing qualora si discosti dalle guidelines e sia fondato solo e soltanto sull'idea personale del giudice che la cornice prevista legislativamente non riesca ad adattarsi al caso.

5. Oltre le guidelines: il modello del mandatory minimum sentencing e la richiesta di 'truth in sentencing'

In questo paragrafo di chiusura del capitolo saranno descritti il modello di sentencing noto come mandatory minimum e l'ondata repressiva del truth in sentencing. Sono due fenomeni, il primo processuale, il secondo 'culturale' che costituiscono la chiave di volta per la comprensione del movimento three strikes, analizzato in tutto il capitolo successivo. Ci permettiamo, anzi, di anticipare che le three strikes sono il frutto più degenerato della stagione di riforme del sentencing iniziata con l'avvento del determinate. I principi di uniformità, razionalità, predeterminazione legislativa improntata a criteri di equità, capisaldi della prima di una lunga serie di riforme, furono infatti stravolti e praticamente dimenticati, come vedremo. Anticiperemo anche che tanto il mandatory minimum quanto il truth in sentencing sono fenomeni che nascono e si sviluppano su identiche matrici e sono specularmente uguali.

Un mandatory minimum sentencing è un modello strettamente correlato alla pena detentiva: il carcere ne è causa e effetto. Infatti un sistema mandatory minimum prison sentence obbliga il recluso a scontare una durata minima obbligatoria della pena prima di poter accedere ad una possibilità di rilascio discrezionale. Una legge mandatory impone al giudice di stabilire nella parte sanzionatoria della sentenza un periodo di tempo che sarà obbligatoriamente eseguito, senza possibilità di una mitigazione della pena. Quando un giudice è obbligato ad adottare un mandatory minimum e fissare una durata della pena detentiva, quel termine indicato nella parte commisurativa della sentenza sarà il reale e preciso termine che il condannato dovrà trascorrere "dietro le sbarre", senza che esistano discrepanze tra durata della pena formalmente indicata e durata della pena effettivamente eseguita (177). Una legge mandatory minimum è uno statute che pretende una sola cosa dal sistema giudiziario e amministrativo: che il condannato rimanga fisicamente in carcere, senza sconti. La legge infatti o stabilisce un periodo minimo di incarceramento, che può essere fisso e immutabile, oppure prevede un obbligo per lo stesso giudice consistente nel fissare un termine minimo. Il modello mandatory porta, oltre a una certa razionalità, anche certezza al sistema. Dopo che il reo avrà passato il periodo minimo, potrà eventualmente accedere alla possibilità del rilascio. Le leggi mandatory non obbligano il giudice al rilascio, semplicemente si limitano a permetterlo (178).

Il modello mandatory sorge con un obbiettivo molto chiaro: l'argine che va a costruire deve contenere la discrezionalità del giudice.

Questa tecnica ritornò in auge nel corso degli anni novanta. Dal 1994 fino agli anni duemila quasi tutti gli stati americani avevano emanato leggi mandatory minimum, con lo scopo di dissuadere potenziali criminali o "incapacitare", neutralizzare, criminali abituali, per tendenza, di professione. Molte di queste leggi furono note anche come three strikes laws o two strikes laws per quelle giurisdizioni che hanno preferito la forma due strikes (179). Un modello del genere, secondo i suoi sostenitori, sarebbe enormemente efficace contro il crimine e affonderebbe le radici penologiche in due rationes della pena: la deterrenza e la neutralizzazione/incapacitazione.

  1. Quanto alla deterrenza/prevenzione un modello mandatory minimum dovrebbe sicuramente, per la notevole severità, dissuadere il singolo condannato dal ripetere l'azione criminale una volta scontata la pena (in un ottica di specific deterrence). La minaccia si rivolgerebbe alla singola persona. I sostenitori affermano anche la funzione di general deterrence, laddove il modello dovrebbe assumere le sembianze di un monito severo, tale da impedire ad altri possibili e futuri delinquenti, prospective offenders, di trovare nel reato una fonte di utilità. In questa visione il vantaggio non è costituito dal delinquente condannato ad anni di prigione, quanto dai potenziali offenders che rende riluttanti al crimine.
  2. Il modello svolge una funzione di incapacitazione, di neutralizzazione del criminale. L'idea di un termine minimo obbligatorio che il soggetto dovrà scontare prima di entrare nella fase dove potrà, eventualmente, accedere al rilascio, impedisce al condannato, in quanto dietro le sbarre, di costituire una minaccia per la società civile. Un modello del genere offre un senso di protezione ad una comunità insicura e timorosa (180).

I sostenitori di un modello mandatory minimum (181) affermano altri benefici, oltre alla protezione della comunità, alla prevenzione:

  1. Un modello del genere ridurrebbe i casi di disparity, proibendo il rilascio al giudice non prima che sia decorso obbligatoriamente un periodo minimo di tempo.
  2. Incontrerebbe il sentimento della popolazione. Secondo i promotori esso soddisferebbe le aspettative della società, che richiede una lotta al crimine.
  3. Un modello del genere riporterebbe un maggiore bilanciamento dei ruoli nel sentencing, laddove il legislatore fisserebbe la pena minima limitando la discrezionalità del giudice e del parole board.

Sono egualmente note le critiche rivolte a questo modello:

  1. Una mancata individualizzazione della giustizia: il mandatory, dove il legislatore impone pene minime, tratterebbe diversi criminali allo stesso modo, di conseguenza la disparity, la differenza di trattamento, "uscita dalla porta, rientrerebbe dalla finestra". Non solo il mandatory minimum precluderebbe una pena attagliata sulla personalità del condannato e sul caso concreto, ma creerebbe ingiuste differenze sul tempo da scontare. Un rimedio a questo problema potrebbe essere quello di attribuire al giudice un apprezzamento discrezionale del termine minimo da assegnare al condannato, variando il modello da mandatory a discretionary minimum.
  2. Produrrebbe un'illusoria sensazione di protezione e sicurezza: il legislatore, nel delineare un sistema astratto, non riuscirebbe, nella sua generalizzazione, a comprendere quali criminali possano nello specifico costituire una minaccia per la società e quali no. A questa intrinseca ignoranza del legislatore conseguirebbe un disegno di incarcerazione di tutti i criminali, compresi quelli che non sono pericolosi. Il legislatore si presenterebbe inconsapevolmente incapace di discernere tra un condannato veramente pericoloso e uno invece assolutamente innocuo.
  3. Un modello del genere ribalterebbe i ruoli degli attori processuali, conferendo nelle mani dei prosecutor un incredibile potere di pressione per un bargaining dell'imputato. Il prosecutor, collocato da questa legislazione in una posizione di supremazia, "costringerebbe" la controparte ad addivenire ad una negoziazione in cambio di una pena più mite, attraverso la non troppo velata minaccia di una minima pena obbligatoria molto più severa qualora l'imputato non confessasse la colpevolezza.
  4. Il mandatory minimum costituirebbe una involuzione, una regressione ad una atavica volontà di punire la persona, invece che rieducarla e reinserirla nella società.

Oltre a queste critiche, si imputerebbe al modello mandatory minimum sentencing un fallimento nella prevenzione. Non ci sono prove che il sistema legislativo raggiunga il proprio scopo di deterrenza. Ottimi risultati nel trend della criminalità sono accertati al massimo nel breve periodo, ma sono benefici assolutamente temporanei, poiché il livello del crimine ritorna nelle percentuali normali. Inoltre la stessa prassi forense, dopo il periodo di assestamento successivo all'emanazione della tal legge mandatory minimum, cerca spesso, per ragioni di equità e giustizia concrete, di aggirarla o non applicarla.

Fortemente legato con il mandatory minimum è il movimento di riforma degli anni settanta e ottanta noto come truth in sentencing, la "verità" nella commisurazione della pena. Al cambiamento nella politica criminale americana dovuto al crollo dell'indeterminate sentencing system, sorgono molte riforme ispirate ad un intento maggiormente repressivo o preventivo della criminalità (182). Come visto nel mandatory minimum sentencing, la filosofia che si rafforzò in questo periodo fu quella che ritenne la detenzione la risposta migliore che una società civile e democratica potesse offrire a chi violasse le leggi (183). L'ottica retributiva ispirata al just desert, fu d'altronde quella che animò il passaggio a determinate sentencing systems e quindi a sistemi di guidelines che imbrigliassero la discrezionalità del giudice, producessero una proporzionalità tra quantum di pena e gravità del reato, eliminassero l'irrazionale e irragionevole differenza di trattamento sanzionatorio. La messa in stato d'accusa della filosofia trattamentale/riabilitativa da parte dei riformatori, l'auspicio per una severità maggiore nella determinazione e commisurazione delle pene, l'eccessiva clemenza dell'indeterminate sentencing, la discrezionalità di fondo dei giudici e dei parole boards, furono caratteri che investirono fortemente il movimento del truth in sentencing, figlio della tempesta che si abbatté su una arcaica visione del carcere too soft, colpevole quasi di "favorire" il condannato, piuttosto che la vittima del reato. Il progetto della "verità nel condannare" fu quello di imporre dei vincoli ancora più stretti all'attività dei giudici. Liberali e conservatori, uniti dalla volontà di riforma, propagandarono una maggiore "verità" nel sentencing, dove il giudice avrebbe condannato il reo a un ammontare preciso di pena in mesi o anni di reclusione e questo termine sarebbe stato quello effettivamente scontato dal reo.

La culla del movimento truth in sentencing, compreso nel modello mandatory e determinate sentencing (di cui è limpido esponente) fu New York. Il governatore Nelson Rockefeller varò una legislazione più severa nella lotta al traffico di stupefacenti e così le Rockefeller Drug Laws del 1973 (184) presero il nome di tale insigne promotore. Negli anni a venire altri stati avrebbero seguito il meccanismo di New York attraverso legislazioni dure. Queste politiche, secondo molti studiosi, ebbero successo non solo perché incontrarono il favore della pubblica opinione, ma anche perché apparvero come le uniche in grado di ridurre crimini di grande allarme sociale. Vedremo nel capitolo successivo come la prassi forense si ribellò a queste legislazioni: giudici e prosecutors, ritenendole troppo severe, o si rifiutarono di intentare l'azione penale oppure cercarono di sfuggire alle norme draconiane delle legislazioni facendo rientrare i casi sotto altre categorie di reato con pene più lievi.

Alla luce di tutto questo le nozioni di mandatory minimum sentencing, di determinate sentencing, di truth in sentencing, della successiva war on drugs degli anni ottanta del presidente Reagan sono concetti che si sovrappongono e si confondono, ma, se accostati e analizzati, si dirigono ad un'identica meta: una belligerante repressione rivolta ad un nemico "senza volto, senza nome". Questo triumvirato di crimine, severità ed insicurezza della popolazione sarà poi il terreno fertile per l'apoteosi del modello mandatory minimum ovvero del law and order ovvero del truth in sentencing: l'avvento della three strikes legislation verso la metà degli anni novanta fino agli anni duemila (185).

Note

1. Per le tematiche generali connesse alla struttura federale degli USA, si vedano AMODIO-BASSIOUNI, Il Processo Penale negli Stati Uniti D'America, Milano, Giuffrè, 1988; FANCHIOTTI V., Lineamenti del processo penale statunitense. Corso di lezioni, Torino, Giappichelli, 1987; FARNSWORTH E. A., Introduzione al sistema giuridico degli Stati Uniti d'America, Milano, Giuffrè, 1979; FISHER, American Constitutional Law, Carolina Academic Press, 1999; Wayne e altri, The Politics of American Government, St. Martin's/Worth, 1999.

Inoltre, per quanto riguarda il federal government e il District of Columbia, si tratta di ordinamenti solo parzialmente dotati dei caratteri di autonomia e di indipendenza propri delle autorità statali. I cittadini del District of Columbia, pur pagando regolarmente i dazi imposti dal federal government, non eleggono, a differenza di quanto accade in tutti gli altri stati della federazione statunitense, propri senatori a rappresentarne gli interessi nel Congress. Per l'anomalia della giurisdizione del federal government, si rimanda alle considerazioni, svolte in seguito, circa le particolarità della forma assunta, nel caso statunitense, dalla sovereignity devolution.

2. M. CHERIF BASSIOUNI, Diritto Penale degli Stati Uniti d'America, Milano, Giuffrè, 1985, pag. 1 ess..

3. Quanto detto è tratto da FANCHIOTTI, Lineamenti del processo penale statunitense, citato; inoltre l'autore aggiunge: "La struttura istituzionale degli Stati Uniti da vita ad una pluralità di ordinamenti giuridici, ciascuno dei quali dotato di una propria normativa penale, sostanziale e processuale, nonché di un'autonoma organizzazione giudiziaria: quello federale e quelli dei singoli stati".

4. Anche se il federalismo statunitense, circa la ripartizione delle competenze, prevede la prevalenza, almeno formale, degli ordinamenti statali su quello federale.

5. Per la completa elencazione dei poteri costituzionalmente attribuiti al parlamento federale, si veda The Constitution of the United States, Article 1, Section 8.

6. M. CHERIF BASSIOUNI, Diritto Penale degli Stati Uniti d'America, Milano, Giuffrè, 1985, p. 3 e ss..

7. Tale rule avrebbe una sua matrice storica ed ideologica nelle rivendicazioni centrifughe dei Southern States, insofferenti a un'eccessiva ingerenza federale nelle loro competenze e soprattutto nella materia della schiavitù degli Africani. Famoso ed emblematico di quegli attriti fu il caso Moore v. Illinois del 1852 sulla costituzionalità delle legislazioni di questi stati dirette a punire chi avesse soccorso o dato asilo a schiavi fuggiaschi; il reato era previsto anche a livello federale, ma i Southern States vollero sottolineare la loro sovranità nella materia. Fu così che la Corte Suprema, praticamente costretta dalla situazione, sostenne che ogni cittadino degli Stati Uniti è "anche cittadino di uno Stato o territorio. Si può dire che egli deve obbedienza a due sovrani, e può essere soggetto a punizione per violazione alle leggi di ciascuno di essi. La stessa azione può integrare un'offesa o una trasgressione alle leggi di entrambi". Fa eco una fiorente giurisprudenza della Corte da cui traspare chiaramente del tributo che l'imputato deve inevitabilmente pagare a causa della struttura federale degli Stati Uniti nell'eventualità di un doppio giudizio.

8. Alla completa stabilizzazione giurisprudenziale della definizione della c.d. dual sovereignity rule, però, la Corte Suprema federale arrivò solo dopo numerose e combattute pronunce. Si pensi ai casi Barktus v. Illinois, (359 U.S. 121 [1959]) e Abbate v. U.S. (359 U.S. 187 [1959]): in entrambi, non solo la relativa decisione split the Court, cioè divise profondamente la corte, talché Barktus fu adottata con cinque voti contro quattro e Abbate con sei contro tre, ma, per circostanza ancora più significativa, entrambe le decisioni della Corte Suprema videro in minoranza il suo Chief Justice, il suo presidente dell'epoca, Warren.

9. Era il caso Petite v. U.S., (361, U.S. 529 [1960]) da cui il termine Petite Policy. L'Attorney General è il titolare politico dello U.S. Department of Justice e soprattutto l'organo di raccordo e coordinamento amministrativo, non gerarchico, della pubblica accusa federale; cfr. infra, più avanti in questo paragrafo.

10. United States Department of Justice, United States Attorney's Manual, Washington D.C., § 9-2.142 ss.

11. Soprattutto l'inosservanza della prescrizione dello U.S. Attorney General presso il Department of Justice non è impugnabile dall'imputato né rilevabile d'ufficio dal giudice. Cfr. United States Department of Justice, United States Attorney's Manual, Washington D.C. § 9-2.142 ss..

12. M. CHERIF BASSIOUNI, Diritto Penale degli Stati Uniti d'America, Milano, Giuffrè, 1985, p. 49 e ss., p. 321 e ss.; FANCHIOTTI V., Lineamenti del processo penale statunitense. Corso di lezioni, Torino, Giappichelli, 1987, p. 27 e ss.; GAMBINI MUSSO (a cura di) et altr., Il Processo Penale Statunitense, Soggetti ed atti, Giappichelli, terza edizione, Torino, 2009, p.87 e ss..

13. Cfr. M. CHERIF BASSIOUNI, Diritto Penale degli Stati Uniti d'America, Milano, Giuffrè, 1985, p. 53 e ss..

Mentre veniva dibattuta in Congresso la Dichiarazione sui Diritti, due componenti sollevarono delle obiezioni a questo proposito. Uno obiettò alle parole "punizioni crudeli ed insolite" essendo troppo indefinita la loro portata. Un altro rivolse la stessa critica all'intero emendamento. "Che cosa si intende col termine cauzione eccessiva? Chi devono essere i giudici? Che cosa si intende con multe eccessive? Sta alla Corte decidere. Non deve essere inflitta alcuna punizione, né crudele né insolita: talvolta è necessario impiccare un uomo, spesso i malvagi meritano che si infligga loro queste punizioni, perché sono crudeli. [...]" Vedere gli Annals of Congress, 782, 1789.

14. Così, infatti, la norma costituzionale: "I poteri non delegati dalla Costituzione agli Stati Uniti, o da essa non vietati agli Stati, sono riservati ai rispettivi Stati, ovvero al popolo". Cfr. The Constitution of the United States, Amendment 10: "The powers not delegated to the United States by the Constitution, nor prohibited by it to the States, are reserved to the States respectively, or to the people".

15. FANCHIOTTI V., Lineamenti del processo penale statunitense. Corso di lezioni, Torino, Giappichelli, 1987, p. 1 e 2.

16. Si vedano i noti casi Marbury v. Madison, 5 U.S. 137 (1803) - Martin v. Hunter's Lessee, 14 U.S. 304 (1816).

17. Si veda GAMBINI MUSSO, Il processo penale statunitense, Torino, Giappichelli, 1994; GASPARINI, Dall'Indeterminate Sentence alle Sentencing Guidelines: una riforma rivoluzionaria negli USA, in l'Indice Penale, 1994; KADISH S.H., Encyclopedia of Crime and Justice, The Free Press, New York, 1983; MANNOZZI, Razionalità e giustizia nella commisurazione della pena, Padova, Cedam, 1996; MANNOZZI, Sentencing, (voce) in Digesto delle discipline penalistiche, vol. XIII, Torino, UTET, 1991.

18. Sull'argomento: E.AMODIO-M.C. BASSIOUNI (a cura di), Il processo penale negli Stati Uniti d'America, cit.; FANCHIOTTI, Lineamenti del processo penale statunitense. Corso di lezioni, Torino, 1987. La struttura bifasica del processo penale -sorta per consentire l'individualizzazione del trattamento- sembra soddisfare in primo luogo esigenze di garanzia nei confronti dell'imputato. Come sarà detto a breve, le informazioni sul carattere, sulla personalità e sui precedenti penali vengono infatti acquisite dal giudice solo in sede di commisurazione della pena. Si cerca in tal modo di evitare che la conoscenza delle vicende personali dell'imputato possa alterare la capacità del collegio giudicante di valutare obiettivamente il fatto e risolversi, in ultima analisi, in un danno per l'imputato. Così MONACO L., Prospettive dell'idea dello 'scopo' nella teoria della pena, Jovene, Napoli, 1984, p. 184; Auspica l'introduzione del modello bifasico anche negli ordinamenti continentali M. ANCEL, La défense sociale nouvelle (1954), Cujas, Parigi, 1966, p. 251 ss..

19. Secondo la terminologia processuale americana, sarebbero quegli elementi desumibili dal c.d. background, dai c.d. prior crimes e dal c.d. character dell'imputato, e cioè, rispettivamente, dalle sue condizioni socio-economiche, dai suoi trascorsi criminali e dalla sua personalità. La ratio della regola dell'undue prejudice risiede nell'essere posta a presidio del principio del libero convincimento del giudice. Tale regola processuale si è imposta in forza dell'intreccio originario tra common law e modelli sanzionatori ispirati al movimento correzionalista. I principali esponenti propugnavano l'idea riabilitativa della pena e la devoluzione ad autorità extragiudiziali della valutazione sul recupero del condannato e sulla opportunità del suo rilascio. Il Congresso di Cincinnati del 1870 della American Prison Association e in particolare la Declaration of Principles conclusiva dei lavori, sono considerati il manifesto di questo nuovo modello di sentencing, il c.d. medical model of rehabilitation: la Declaration, infatti, in uno dei suoi passi afferma che "... [crime is] a morale disease, of wich punishment is the remedy. The efficiency of the remedy is a question of social therapeutics, a question of fitness and the measure of the dose... Punishment is directed not to the crime but to the criminal... the supreme aim of prison discipline is the reformation of criminals, not the infliction of vindictive suffering...". Sul punto, Gasparini, cit.; Mannozzi, cit.; Nagel I.H., Structuring Sentencing Discretion: the New Federal Sentencing Guidelines, in The Journal of Criminal, Law and Criminology, 1990; Stith-Cabranes, cit.,.

20. A questa ricostruzione in vitro della dinamica processuale di common law va anteposta necessariamente una premessa statistica: negli Stati Uniti, solo il 10 % dei reati è definito attraverso il processo by trial. La stragrande maggioranza dei casi penali, una quota vicina al 90%, viene deciso attraverso il guilty plea, l'ammissione di colpa da parte dell'imputato di fronte al giudice, all'inizio del dibattimento, rinunciando così alla garanzia procedurale della giuria. Nel caso dell'ordinamento federale, le cifre relative all'anno 2009 parlano da sole: su 86.000 condanne per reati federali, ben 84.326, il 95% del totale, sono il risultato di un guilty plea (fonte: U.S. Department of Justice, Compendium of Federal Justice Statistics, 2009). Vedremo che questo modulo procedimentale di ammissione della responsabilità, che spesso riveste le forme del plea bargaining, riverbera i suoi effetti anche in ordine alla distinta fase del sentencing, della determinazione della pena concretamente applicabile al caso, svuotandola di fatto del suo contenuto.

21. La difficoltà intrinseca nel tradurre il termine anglosassone "sentencing" risulta evidente laddove si guardi al diffuso imbarazzo con cui la letteratura stessa ha affrontato questa sfida linguistica, per alcuni Autori par di capire persa in partenza: si veda la premessa metodologica in MANNOZZI, voce Sentencing, in Digesto delle discipline penalistiche, cit.: "... il termine [e cioè sentencing, n.d.A.] - che non possiede nella nostra lingua un equivalente specifico..."; avvertenza che induce coerentemente la stessa autrice a parlare di "decifrazione" piuttosto che di "traduzione" tout court.

22. GAMBINI MUSSO, op. cit.; GASPARINI, op. cit.,; MANNOZZI, opere citate.

23. Secondo simile impostazione maggioritaria, con la perifrasi 'commisurazione in senso ampio o lato' si ricomprendono, oltre alle problematiche circa la determinazione della pena principale all'interno delle cornici edittali fissate dal legislatore per il reato base, le questioni relative alla applicazione delle pene accessorie, delle misure di sicurezza, nonché di quegli istituti che richiedono un margine di apprezzamento discrezionale del giudice, tra cui il perdono giudiziale e le sanzioni alternative alla detenzione. Così DOLCINI, La commisurazione della pena, Padova, 1979, pp. 4 ss., citato da MANNOZZI, Sentencing, (voce) in Digesto delle discipline penalistiche, citato, pp. 152 -153.

24. Informazioni, queste, desunte dal presentence report. Si tratta di un file, una relazione che riassume le caratteristiche del reato e ricostruisce le vicende individuali del reo (anche attraverso perizie psichiatriche) che attengono direttamente alla sua personalità o al contesto socio-ambientale cui appartiene. Il pre-sentence report costituisce un momento chiave del procedimento di sentencing, Si veda in seguito, il paragrafo successivo.

25. Così in ZIMRING F., Making the Punishment Fit the Crime: A Consumer Guide to Sentencing Reform, Hosting Center Rep., 1976, pp. 13 ss., citato da MANNOZZI, Razionalità e giustizia nella commisurazione della pena, cit.; si veda anche KADISH S.H., che propone la locuzione allocation of authority: "...Sentencing is the allocation of punishment... no single person or institution can dominate the sentencing process. Formally, sentencing is a judicial function: judges announce whether persons convicted of crimes will be fined, placed on probation, jailed or imprisoned. In practice, the punishments imposed on convicted offenders are affected by the decisions of numerous people...", KADISH S.H., Encyclopedia of Crime and Justice, The Free Press, New York, 1983, p. 1432.

26. Così in GAMBINI MUSSO (a cura di) E ALTRI, Il processo penale statunitense, soggetti ed atti, Giappichelli, Torino, Terza ed., 2009, pag. 105 e ss.; anche FANCHIOTTI V., Lineamenti, opera citata, p. 151 e ss., il quale ricorda che la durata del sentencing stage è di tre o quattro settimane.

27. Così in GASPARINI, Dall'Indeterminate Sentencing alle Sentencing Guidelines: una riforma rivoluzionaria negli USA, in Indice Penale, 1994. Ma soprattutto si veda BENNET-ROBBINS Last Words: a Survey and Analysis of Federal Judges' Views on Allocution in Sentencing, by American University Washington College of Law, in The Social Science Research Network Electronic Paper Collection, Washington College of Law Research Paper n. 9, 2014, vol. 65, p. 735 ss. L'articolo contiene un'analisi dettagliata, suffragata da dati statistici, dell'Allocution; ed è forse il primo ed unico lavoro incentrato sulle dichiarazioni formali del condannato che si interroghi sulla sua incidenza nella commisurazione della pena e cerchi di consigliare gli attori processuali sulla migliore metodologia di Allocution.

28. BENNET-ROBBINS Last Words: a Survey and Analysis of Federal Judges' Views on Allocution in Sentencing, opera citata, supra.

29. GAMBINI MUSSO (a cura di) E ALTRI, Il processo penale statunitense, soggetti ed atti, Giappichelli, Torino, Terza ed., 2009, pag. 112 e ss.; il caso citato è Williams v. New York, 337 U.S. 241 (1949).

30. FANCHIOTTI V., Lineamenti del processo penale statunitense. Corso di lezioni, Torino, Giappichelli, 1987, p. 152; come sostenne a suo tempo la giurisprudenza nel caso U.S. v. Schipani, 315 F.Supp. 253 (S.D.N.Y. 1970).

31. GASPARINI, Dall'Indeterminate Sentencing alle Sentencing Guidelines: una riforma rivoluzionaria negli USA, in Indice Penale, op. cit..

32. GAMBINI MUSSO (a cura di) E ALTRI, Il processo penale statunitense, soggetti ed atti, Giappichelli, Torino, Terza ed., 2009, p. 112.

33. MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia nella commisurazione della pena, il Just Desert Model e la riforma del Sentencing nordamericano, CEDAM, 1996.

34. L'originario modello riabilitativo affermatosi negli USA, nel periodo tra il XVIII secolo e la metà del XIX secolo, fu quello propugnato dalla Philadelphia Society for Allievating the Miseries of Public Prison, un'associazione per la trasformazione degli istituti carcerari esistenti all'epoca in istituzioni più umane di trattamento e recupero dei criminali, nella persona di Benjamin Rush, un medico di religione quacchera, amico di Benjamin Franklin. Pur aderendo alle filosofie general-preventive della pena, Rush sosteneva che i sistemi commisurativi a pena predeterminata fallissero nell'effettivo reinserimento sociale del condannato e, di conseguenza, nella tutela della generalità dei consociati. Suggerì inoltre che la legge avrebbe dovuto predeterminare solo i tipi di pena concretamente applicabili per i singoli reati, ma non la durata: l'affermazione ante litteram del principio dell'indeterminate sentencing. "... the kinds of punishments that might be employed should be specified by law but their duration should not be fixed, save as possible maximum"; LEWIS O.F., The Development of American Prisons and Prison Customs, 1776-1845, Prison Association of New York, Albany, NY, 1922, che parafrasa le parole di Rush, An inquiry into the Effects of Punishments upon Criminals and upon Society, 1793; citato da Stith Cabranes, cit., nota 45, p. 201.

35. FLANDERS, The Supreme Court and the Rehabilitative Idea, by Saint Louis University School of Law, Legal Studies Research Paper Series, 2014, p. 1-40.

36. MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia nella commisurazione della pena, il Just Desert Model e la riforma del Sentencing nordamericano, CEDAM, 1996, pag. 93 e ss.; GASPARINI, Dall'Indeterminate Sentencing alle Sentencing Guidelines: una riforma rivoluzionaria negli USA, in Indice Penale, op. cit..

37. L'imputato, laddove abbia attraversato la fase dibattimentale, può inoltre anche negoziare la rinuncia alla presentence investigation, affrancando il sistema giustizia dallo svolgere l'istruttoria preliminare. Così questo sentence bargaining offre un risparmio di tempo e risorse e in cambio garantisce all'imputato una pena più contenuta.

38. MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia, op. cit., pag. 93 e ss..

39. Per approfondimenti sul tema delle origini della bargain justice: GAMBINI MUSSO R. Il Plea Bargaining tra Common Law e Civil Law, Milano, Giuffrè, 1985, tutto il capitolo I. Per completezza, si esporranno qui alcuni aspetti storici. L'origine di un tale istituto ha sempre diviso gli studiosi. Autori hanno rivendicato il plea bargaining come essenza del sistema, quasi immanente nello stesso; altri hanno ipotizzato un'origine inglese nel XVIII secolo; altri, basandosi sui Law Reports o sui Legal Treaties, una base più scientifica, ne hanno immaginato una recente comparsa e rapida evoluzione. Ed effettivamente, in base alle informazioni storiche, sembrerebbe opportuno accogliere questa ultima teoria, poiché è attestato che le corti nel secolo scorso scoraggiassero il fulcro del plea bargaining, la confessione dell'imputato. Talvolta esortarono persino l'imputato a ritrattare la sua confessione. Pertanto non sarebbe condivisibile il tentativo di ancorare questo istituto ad origini perse nella notte dei tempi.

Le Corti Supreme statali tradizionalmente osteggiarono il plea come scarsamente garantistico della tutela individuale e della corretta amministrazione della giustizia, e preferirono di gran lunga la celebrazione del giudizio. Gli autori dell'epoca arrivarono a vietare nella maniera più assoluta la confessione dell'imputato. Stando così le cose, ne consegue come il plea bargaining abbia trovato terreno fertile solo in tempi più recenti. Il momento in cui il fenomeno sia apparso è legato alle riforme del secolo scorso. Negli Stati Uniti si assistette a un'intensa opera legislativa che espanse il controllo repressivo dello Stato (si pensi alle legislazioni proibizionistiche) e all'emergere di nuove filosofie. All'incremento della penalità il plea bargaining assolvette al compito di alleggerimento e adeguamento del sistema, ma anche di reazione equilibratrice di queste spinte repressive. Ciò non vale ancora a spiegare il perché venne scelto proprio tale istituto.

La spiegazione è insita nel comportamento delle corti, soprattutto le Lower Courts. Data l'applicazione diffusa della pena capitale, sembra che le corti fossero restie ad accollarsi una simile decisione in caso di guilty plea; di conseguenza uno strumento come il plea bargaining, che garantiva la partecipazione diretta dell'imputato e la sua accettazione esplicita del bargain, evitava al giudice di assumersi in toto la responsabilità del decidere. Ed è per questo che l'istituto trovò il favore delle Lower Courts, per certi reati. Fu poi l'accresciuto carico di lavoro a orientare le Corti verso sistemi di quick justice, di cui il plea bargaining fu il più limpido esempio. Ma anche forse un mutamento della mentalità degli operatori, tale da fare di questo fenomeno una "moda". L'aumento demografico, la fine della seconda guerra mondiale, l'ondata criminale degli anni sessanta resero il plea molto popolare, specie dopo che l'American Bar Association e la President's Commission on Law Enforcement and Administration of Justice lo definirono uno strumento processuale di indiscusso valore. La storia del plea bargaining si dipana poi tra un silenzio inquietante della Corte Suprema sull'istituto, a fronte di un uso frequente dello stesso nelle corti inferiori. Nel caso Shelton di fronte alla Corte Suprema il Solicitor General evitò con uno stratagemma processuale una declaratoria di incostituzionalità del plea bargaining. Infine, a chiusura di questo percorso storico, sarà qualche anno più tardi che l'istituto incontrerà il favore del supremo organo giurisdizionale a fronte dei vantaggi, in termini di risparmio di time and public money potenzialmente offerti. La consacrazione fu nel caso Brady v. United States del 1970. Cfr. anche ERICKSON, The Finality of Plea of Guilty, in Notre Dame Law, 48, (1973), pp. 835, 839; NEWMAN, The Agnew Plea Bargain, in Crim. Law Bull., 10 (1974), p.85; Id., Conviction: The Determination of Guilt or Innocence Without Trial, 1966, p.3; RATLIFF, Plea Bargaining, Even Effective, in Vallejo New-Chronicle, Feb. 6, 1974, p.8; Plea Bargaining-Justice off the Record, in Washburn Law rev., 9 (1970), p. 430-32; ALSCHULER, Plea Bargaining and Its History, in Columbia Law Rev., 79 (1979), p. 1 e ss.; MOLEY, Politics and Criminal Prosecution, New York, Minton, Balch, 1929, p. 186, 188; MATHER, Comments on the History of Plea Bargaining, in Law and Society Rev., 13 (1979); Brady v. United States, 397 U.S. 752 (1970). Il fatto che l'istituto del bargaining sia costituzionalmente legittimo non implica però che esista un diritto costituzionalmente garantito al bargaining. Cfr. Weatheford v. Bursey, 429 U.S. 545, 561 (1977). Di segno contrario la pronuncia, solo di qualche anno precedente al caso Brady v. United States, relativa al caso Shelton, in cui la Corte Suprema pose in dubbio la costituzionalità del bargaining. V. Shelton v. United States, 356 U.S. 26 (1958).

40. MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia, op. cit., pag. 97 e ss..

41. Così F. ZIMRING, Making the Punishment Fit the Crime: A Consumer Guide to Sentencing Reform, Hosting Center Rep., 1976, p. 13 ss..

42. Sulla qualifica di 'attori' v. J. HABERMAS, Teoria dell'agire comunicativo, Bologna, 1986, p. 155 ss.; altri autori (KADISH S.H., op. cit., p. 1434) includono tra i soggetti partecipanti all'indeterminate sentencing process anche la polizia e il grand jury, organo, quest'ultimo a composizione laica e numericamente variabile da stato a stato (composto da un minimo di cinque ad un massimo di ventitre membri), chiamato a deliberare preventivamente sulla sussistenza della 'probable cause' richiesta per il rinvio a giudizio dell'imputato. L'istituto del grand jury è previsto dalla Costituzione federale, più precisamente dal V Emendamento, che ne limita il ricorso ai reati molto gravi, cioè a quelli puniti con la pena capitale o formalmente qualificati come felony, i reati corrispondenti ai 'delitti' negli ordinamenti che accolgono la bipartizione tra contravvenzioni e delitti. "No person shall be held to answer for a capital, or otherwise infamous crime, unless on a presentment or indictment of a Grand Jury..."; The Constitution of the United States, Amendment 5.

43. Il termine 'prosecutor' -spesso tradotto erroneamente con 'pubblico ministero'- indica l'organo pubblico o privato che promuove l'azione penale (si parla pertanto di public o private prosecutor), azione che peraltro non è regolata, come avviene nei paesi di civil law, dal principio di obbligatorietà. Per i profili storici e la disciplina positiva della prosecution v. T. WEIGEND, 'Prosecution' (voce) in S.H. KADISH, Encyclopedia of Crime and Justice, The Free Press, New York, 1983, vol. III, pp. 1271-1304.

44. Cfr. MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia, op. cit., pag 76 nota 5. L'autrice spiega che il parole è un istituto volto alla rieducazione del condannato privo di equivalenza nel sistema italiano. Esso consente, come vedremo, la scarcerazione preventiva e condizionale del condannato che, a seconda dei casi, abbia scontato un anno o un terzo della pena ed ha luogo 'on licence' da parte dell'Home Secretary su parere di un organo consultivo, il Parole Board. Il detenuto rilasciato in base a queste norme è detto essere 'on parole' ed è posto sotto la supervisione di un 'parole officer'. Sul parole, v. W.E. AMOS-C.L. NEWMAN, Parole, Legal Issues, Decision-making, Research, Federal Legal Publications, New York, 1975.

45. E' opportuno mettere in rilievo che negli Stati Uniti le comminatorie edittali, a forbice estremamente ampia, risultano spesso caratterizzate da livelli massimi molto elevati e livelli minimi molto bassi, così bassi da essere, di regola, sproporzionati al margine superiore. Si pensi, a titolo di esempio, alla Pennsylvania, prima della riforma del 1982. Qui l'omicidio di secondo grado era punibile con la reclusione, non superiore, nel massimo, a 20 anni. Al di sotto di tale limite, perciò qualunque pena -incluso il probation- poteva essere imposta dal giudice. Inutile dire che le comminatorie di pena nordamericane non hanno niente in comune con il nostro ordinamento, in cui la pena prevista per ogni ipotesi di reato risulta sempre compresa fra un minimo e un massimo. Le singole disposizioni di parte speciale in cui talvolta è indicato soltanto uno dei limiti edittali (si pensi all'omicidio, punito nel nostro ordinamento con la reclusione non inferiore nel minimo ad anni 21), vanno infatti coordinate con l'articolo 23 c.p. che fissa in via generale i limiti minimo e massimo della reclusione. Si veda MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia, op. cit, pag 77 nota 7 e M.ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, vol. 1, Giuffrè, Milano.

46. Così in GASPARINI, Dall'Indeterminate Sentencing alle Sentencing Guidelines: una riforma rivoluzionaria negli USA, in Indice Penale, 1994, pag. 41; l'autore cita nella nota 17 l'opera di UTZ, Settling the Facts: Discretion and Negotiation in Criminal Court, 1978, p.10.

47. FANCHIOTTI V., Lineamenti del processo penale statunitense. Corso di lezioni, Torino, Giappichelli, 1987, pag. 55 e ss.; anche G. MUSSO, (a cura di) et altr., Il Processo Penale Statunitense, Soggetti ed Atti, Giappichelli, Terza ed., Torino, 2009, pag. 39 e ss.; gli uffici dell'accusa sono stati creati nel 1789 con il Judiciary Act. La dislocazione territoriale degli U.S. District Attorneys coincide grossomodo con quella delle trial courts. Lo U.S. Attorney General ha sede a Washington. Compito dei District Attorneys è quello di 'promuovere l'azione penale in ogni distretto contro tutti i delinquenti per reati rientranti nella giurisdizione degli Stati Uniti e di rappresentare gli Stati Uniti in tutte le cause civili che li riguardano', in 1 Stat. 92 (1789) sect. 35. Da mettere in profondo rilievo è lo stretto collegamento tra il ruolo del prosecutor federale e il mondo della politica. Non solo nel senso che il Presidente sceglie i soggetti più 'fidati', ma anche perché i federal prosecutors sono i soggetti più inseriti nella politica attiva e quelli che vanno a costituire la maggior parte dei candidati all'ufficio, considerato gradino intermedio nella carriera politica. Per quanto riguarda la durata in carica quadriennale, occorre poi osservare che essa, per svariati motivi, spesso sia inferiore ai 4 anni. Innanzitutto sono frequenti le dimissioni di un district attorney in quei casi di passaggio ad altra carica pubblica resasi disponibile nel corso del mandato di prosecutor. Inoltre, nel caso di cambiamento di amministrazione, è prassi costante che tutti i novantaquattro district attorneys presentino le dimissioni: in tal caso il criterio che guida il Presidente 'neo-eletto' è quello di ricompensare i 'Grandi Elettori' scegliendone come candidati i più disposti a seguire la sua linea di politica criminale. Piccola curiosità: se la nomina di un attorney è ispirata a criteri politici, è invece ispirata a criteri tecnici quando, in prossimità dello scadere del mandato presidenziale, si renda necessario sostituire un district attorney. In questo caso il posto vacante non presenta la sua normale appetibilità, sia per la brevità della durata in carica residua che non consente di crearsi un'immagine positiva di fronte all'opinione pubblica, sia per l'avvicinarsi del cambio della guardia alla Presidenza, che rende rischioso legarsi al carro del Presidente uscente. In questa situazione, di solito, la scelta ricade su un assistant, cioè un sostituto già in servizio presso l'ufficio. Il turn-over degli assistants è ancora più rapido di quello dei district attorneys: in media ricoprono il loro incarico per non più di due anni. L'assistant di solito è un giovane assunto, in pratica presso l'ufficio, da poco entrato nel mondo forense. E' sugli assistants che ricade la maggior parte del lavoro dell'ufficio, a discapito della loro relativa inesperienza. Questa loro inesperienza della vita forense li porta ad atteggiamenti eccessivamente 'morbidi' verso la difesa, sconosciuti al mondo continentale, e ad una maggiore disponibilità verso il 'bargain' piuttosto che l''adversariness'.

48. GASPARINI, Dall'Indeterminate Sentencing alle Sentencing Guidelines: una riforma rivoluzionaria negli USA, in Indice Penale, 1994; ALLEN, Corrections in America, an Introduction, Twelfth Edition, 2009; KADISH S.H. (a cura di), Encyclopedia of crime and Justice, The Free Press, New York, 1983, voce: Sentencing, p. 1432 e ss..

49. Indagini eventualmente consistenti in perizie psicologiche e/o psichiatriche. Sull'argomento del contenuto del pre-sentence report si veda W.R. LA FAVE-J.H. ISRAEL, Criminal Procedure, West Publishing, St. Paul, 1985.

50. MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia, op. cit, p. 78-79.

51. Sulle origini storiche della non appellabilità delle condanne in relazione alla misura della pena negli Stati Uniti, cfr. C.R. RICHLEY, Appellate Review of Sentencing: Recommendation for a Hybrid Approach, in HLR, 1978, p. 73 s.; generalmente quindi risulta appellabile solo la sentenza di condanna (con motions, direct appeal, rehearing, collateral attacks, per esempio). Sul regime delle impugnazioni negli Stati Uniti v. W. J. BAUER, Il regime delle impugnazioni, in E. AMODIO-M.C. BASSIOUNI, Il processo penale negli Stati Uniti d'America, cit., pp. 233-247. Le motions (nei casi di processo con rinuncia alla giuria) sono eccezioni sollevate nella fase post-trial; sono fondate sul diritto dell'imputato di richiedere un nuovo dibattimento ovvero una sentenza di assoluzione e sono dirette allo stesso giudice del trial. L'esternazione di queste doglianze è molto importante, stante la regola generale della sanatoria in appello di tutti i vizi non dedotti nell'ambito del giudizio di primo grado. Tale regola trova un limite applicativo nei plain errors (nullità assolute), rilevabili in ogni stato e grado del procedimento sia dall'imputato sia d'ufficio.

Se l'eccezione sollevata dall'imputato davanti al giudice di primo grado viene respinta, è consentito proporre impugnazione 'diretta' (direct appeal), che viene decisa da un giudice di appello (un organo composto da un collegio di tre giudici, collocato a livello intermedio nell'ambito del sistema statale e perciò chiamato intermediate court). Il direct appeal si configura come un vero e proprio diritto, cosicché il giudice ha l'obbligo di esaminare gli atti, ascoltare le parti, pronunciarsi sulle questioni sollevate. Vi sono rigidi termini di decadenza per la presentazione della dichiarazione, a pena di inammissibilità dell'impugnazione. I motivi di impugnazione devono incentrarsi solo su vizi dedotti nel procedimento di primo grado, sia nel corso del dibattimento, sia nella fase post-dibattimentale. Poiché il collegio è composto da tre magistrati, almeno uno di essi deve concordare sul dispositivo con il relatore perché la sentenza sia emessa. Chi rimane in minoranza nella votazione può esporre il suo dissenso (dissenting opinion) in una motivazione separata. Anche il giudice che concorda con il dispositivo, ma non con la motivazione che lo sorregge logicamente secondo la maggioranza, ha facoltà di formulare separatamente le sue tesi di diritto (concurring opinion). Contro la sentenza emessa dal giudice di secondo grado la parte soccombente può chiedere il riesame della causa (rehearing) mediante ricorso alla Corte Suprema statale. Nella maggior parte degli stati il ricorso alle rispettive Corti Supreme non è configurato propriamente come 'diritto'. Generalmente il ricorrente deve avanzare una richiesta nota come 'Petition for Leave to Appeal' cioè ' autorizzazione ad impugnare', e il contenuto sarà l'esposizione delle questioni di diritto su cui si fa impugnazione. Non sono ammesse nuove prove. Nel panorama dei gravami concludiamo con l'esporre il collateral attack. Simile gravame si presenta contro la sentenza di condanna nel caso in cui vengano scoperti nuovi fatti, ignoti al momento del processo, che avrebbero condotto lo stesso, probabilmente, ad un risultato diverso se il giudice o la giuria li avesse presi in considerazione ai fini della decisione. L'impugnato ha l'onere della prova (che nel trial di primo grado è a carico dell'accusa) dei fatti. E' competente il giudice di primo grado. Se il collateral attack ha per oggetto una quaestio iuris, il giudice può o meno accordare la discussione orale, motivando adeguatamente l'accoglimento o rigetto della richiesta.

52. Il ricorso alla Corte Suprema avviene, generalmente, nelle forme del c.d. petition for writ of certiorari, della richiesta alla Corte di ordinare l'invio presso di sé degli atti relativi ad un procedimento statale o federale nel quale sia sorta una questione circa l'applicazione o l'interpretazione di norme federali costituzionali (o ordinarie se si tratta di un procedimento a quo federale). A differenza delle ipotesi in cui lo strumento del ricorso alla Corte Suprema è costituzionalmente garantito, (appeal as a matter of right: cioè le ipotesi in cui sia controversa l'interpretazione del diritto federale o la sua 'convivenza' con quello statale; i casi, cioè, in cui una corte statale dichiari la costituzionalità di una norma statale dichiarata precedentemente incostituzionale per contrasto con la costituzione federale o viceversa la incostituzionalità di una norma federale oppure quelli in cui una U.S. Court of Appeal dichiari inapplicabile una norma statale perché in contrasto con una norma federale), nel caso della petition, la giurisdizione della Corte Suprema è solo eventuale, essendo rimessa alla valutazione discrezionale da parte di quest'ultima circa la sussistenza di un substantial federal interest nel caso dedotto. Tra gli altri, AMODIO-BASSIOUNI, Il processo penale degli Stati Uniti d'America, cit.; FANCHIOTTI, Lineamenti del processo penale statunitense, cit.; FARNSWORTH, Introduzione al sistema giuridico degli Stati Uniti d' America, cit.; FISHER, American Constitutional Law, Carolina Academic Press, 1999; HAZARD-TARUFFO, La giustizia civile negli Stati Uniti, Bologna, il Mulino, 1993; WAYNE E ALTRI, The Politics of American Government, Third Edition, St Martin's / WORTH, 1999.

53. Cfr. MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia, op. cit, p. 79; il Parole sarebbe l'equivalente del 'ticket to leave' inglese (denominato 'release on licence' dopo il Criminal Justice Act del 1967); l'istituto nordamericano del 'parole' era già presente, nel 1922, in 44 stati, oltre che in quello federale. Cfr. G.COLE, The American System of Criminal Justice, Duxbury Press, North Scituate, 1975, p. 403.

54. La composizione del Parole Board nei vari Stati Federali non è uniforme. In alcuni Stati si ritiene che solo esperti di scienze umane e comportamentali siano all'altezza di stabilire quando un detenuto possa dirsi 'risocializzato' e perciò pronto per essere reinserito nella società; in altri ordinamenti viene invece privilegiata una effettiva rappresentanza delle diverse categorie di lavoratori. Per esempio nel Mississippi fanno parte del Parole imprenditori, industriali, uomini d'affari, avvocati, giornalisti, funzionari.

55. La presenza del Parole sembra influenzare altresì il plea bargaining. Cfr. G. COLE, The American System of Criminal Justice, Duxbury Press, North Scituate, 1975, p. 404.

56. Nodo problematico è la decisione dei parole officials: completamente discrezionale, senza alcun principio o parametro legislativo che intervenga a regolarla. Per questa discrezionalità eccessiva, fonte di disparità, gli stati che hanno adottato sistemi di sentencing guidelines hanno tentato di fissare criteri guida anche per il parole oppure lo hanno radicalmente eliminato. Cfr. MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia, op. cit, p. 80; più di una giurisdizione infatti, orientandosi verso una riforma del sentencing basata sul just desert, ha attraversato lo stadio della abolizione del parole. Cfr. A. VON HIRSCH-K. KNAPP-M.TONRY, The Sentencing Commission and its Guidelines, Northeastern University Press, Boston, 1987.

57. Simile rivoluzione, nel sistema penale nordamericano, può definirsi 'duplice', in quanto le istanze di riforma riguardarono, oltre al processo di commisurazione, anche la struttura dei codici penali dei singoli Stati. Si rammenti che nel 1962, l'American Law Institute redasse il progetto finale del Model Penal Code, i cui lavori erano durati più di dieci anni. Formulato da una commissione di studiosi ed esperti di diritto penale, il Model Penal Code, pur non essendo esso stesso legge in nessuna delle giurisdizioni, ha costituito il modello di tutte le successive riforme in materia criminale. Ad oggi circa 34 stati hanno modificato il loro codice penale ispirandosi al Model Penal Code. Cfr. N.P. COHEN, Penal Code Reform, Crime Classification and Sentencing Guidelines: An Overview, University of Tennessee College of Law, 1986. Specificamente sul Model Penal Code H. GROSS- A. VON HIRSCH (a cura di), Sentencing, Oxford University Press, 1981. Oppure A. CADOPPI, Dalla Judge-made law al criminal code, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, p. 939 ss..

58. Cfr. MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia, op. cit, p. 108, nota 3. Si veda, sulle concause: A. BLUMSTEIN - J. COHEN - S.E. MARTIN - M.H. TONRY (a cura di), Research on Sentencing: the Search for Reform, National Academy Press, Washington D.C., 1983, vol. I, p. 2 ss..

59. Il primo grande balzo fu tra il 1972 e il 1981, quando il numero di coloro che stavano scontando una pena detentiva passò da 196.183 a 352.476, con un aumento, nell'arco dei nove anni considerati, pari all'80%. Il tasso dei detenuti raggiunse livelli record nel 1992: 329 detenuti ogni 100.000 abitanti, il doppio del dato registrato dieci anni prima. Cfr. D.K. GILLIARD, Prisoners in 1992, U.S. Bureau of Justice Statistics, Bulletin, 1993, p.1; cfr. anche K. MAGUIRE- A. PASTORE - T.J. FLANAGAN, Sourcebook of Criminal Justice Statistics, U.S. Department of Justice Statistics, 1992.

60. cfr. A. BLUMSTEIN, Prison Population: A System Out Of Control?, in M. TONRY- N. MORRIS (a cura di), Crime and Justice, University of Chicago Press, vol. 10, 1988.

61. MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia, op. cit, p. 114 e ss..

62. Venne calcolato che la costruzione di ogni cella costava dai 55.000 ai 70.000 dollari e che il mantenimento, la sorveglianza e il trattamento del detenuto richiedevano una spesa aggiuntiva di circa 10.000- 15.000 dollari l'anno. Proprio la considerazione di queste cifre fece sì che nello stato di New York la proposta di realizzare un nuovo istituto di pena venisse respinta con decisione. Cfr. A. BLUMSTEIN, Prison Population: A System Out Of Control?, opera citata, supra.

63. Anche a causa di complicate vicende burocratiche, tali da allungare il tempo di costruzione di un nuovo carcere. Nella scelta di una nuova prigione intervengono il problema dell'area fabbricabile, l'ottenimento del 'consenso' alla costruzione da parte della comunità già insediata sul territorio, la richiesta, l'ottenimento di fondi: fasi che devono precedere la progettazione e la costruzione. La realizzazione di un nuovo istituto di pena richiede in genere dai quattro ai sette anni. Dato l'ampio arco di tempo è fattualmente possibile che, nel momento in cui si renda agibile il nuovo istituto di pena, la popolazione carceraria attraversi una fase di diminuzione, rendendo così l'opera, almeno temporaneamente, inutile. Cfr. A. BLUMSTEIN, Prison Population: A System Out Of Control?, opera citata, supra.

64. Questo, se pur conveniente sotto certi punti di vista, finì per inaugurare un mercato edilizio carcerario particolarmente produttivo, ma dipendente completamente dagli interessi economici del privato. La gestione dell'edilizia carceraria da parte del privato risorse sulla scena politico-economica intorno agli anni settanta, in parte per ragioni contingenti -aumento della popolazione carceraria-, in parte per ragioni politiche - soddisfacimento della richiesta della comunità sociale di maggiore severità delle sanzioni per fronteggiare il crimine-. Alla fine degli anni '90 negli Stati Uniti si registravano quarantaquattro istituti di pena costruiti e gestiti da imprese private. Cfr. D.C. McDONALD, Public Imprisonment by Private Means, in BJC, 1994, vol. 34, p. 31.

65. R. MARTINSON, What works? Questions and Answers About Prison Reform, in PI, 1974, vol.35, pp. 22-44. V. anche R. MARTINSON, The Age of Treatment: Some Implications of Custody, Treatment Dimension, in Issues in Criminology, 2, 1996, p.22; ma anche J. ROBINSON-G. SMITH, The Effectiveness of Correctional Program, in H.GROSS-A. VON HIRSCH (a cura di), Sentencing, op. cit., p. 118-129 e W. BAILEY, An Evaluation of One Hundred Reports, in JCLC, 1966, p. 159 ss. Sul metodo di lavoro di Martinson, si veda N. KITTRIE- E. ZENOFF, Sanction, Sentencing and Corrections, The Foundation Press, New York, 1981.

66. NATIONAL ACADEMY OF SCIENCES, The Rehabilitation of Criminal Offenders: Problems and Prospects, Washington D.C. 1979. L'Accademia ha dato la definizione più completa sul concetto di rieducazione, affermando che essa è: "il risultato di un qualunque intervento programmato atto a ridurre la futura attività criminosa del soggetto attraverso interventi sulla personalità, sul comportamento, sulle capacità lavorative, sui valori o su altri fattori. Sono esclusi i cambiamenti legati alla maturazione dell'individuo o associati alla deterrenza o alla intimidazione".

67. Considerata prodotto della discrezionalità del giudice e del parole board. Si veda M.L. FORST, Sentencing Disparity: An Overview of Research and Issues, in M.L. FORST (a cura di), Sentencing Reform: Experiments in Reducing Disparity, Sage, Beverly Hills, 1982.

68. "Qualsiasi variazione arbitraria nella commisurazione della pena" in MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia, op. cit, p. 121 e ss.; si vedano: E. ZENOFF, Disparity, Sentencing (voce), in S.H. KADISH (a cura di), Encyclopedia of Crime and Justice, cit., p. 1499.

69. SELLIN T., Race Prejudice in the Administration of Justice, in American Journal of Sociology, 41, 1935. L'indagine di Sellin dimostrava come i giudici di Detroit punivano con sanzioni più severe gli imputati neri rispetto ai bianchi.

70. NAGEL S.S. - WEITZMAN L.J., Women as Litigans, in Hastings Law Journal, 23, 1971. Lo studio, condotto su più di undicimila casi, concludeva che per lo stesso tipo di condotta, le donne avevano più probabilità di ottenere la sospensione condizionale della pena che gli uomini. Conclusione viziata però, come risultò dalla ricerca condotta da POPE nel 1975, dal non avere, gli autori dell'indagine del 1971, tenuto in debito conto dei precedenti penali dei soggetti esaminati: l'indagine successiva dimostrò che le probabilità di scontare la pena in carcere erano sostanzialmente le stesse per uomini e donne; a cambiare, a favore di queste ultime, era semmai la predisposizione giudiziale a disporre nei loro confronti pene meno severe, di durata inferiore. Si veda POPE C.E., The Influence of Social and Legal Factors on Sentence Disposition, in Journal of Criminal Justice, 4, 1976.

71. Numerose e molto articolate sono state le indagini che nel corso degli anni si sono appuntate sull'incidenza nella commisurazione di alcune caratteristiche individuali del giudice - razza, sesso, estrazione sociale, convinzioni politiche, grado di esperienza- le c.d. extralegal characteristics. Tra le più importanti merita segnalare GIBSON J.L., Enviromental Costraints on the Behaviour of Judges: A Representation Model of Judicial Decision-Making, in Law and Society Review, 1980; HOGART J., Sentencing as Human Process, University of Toronto Press, 1961; NAGEL S., Off-the-Bench Judicial Attitudes, in SCHUBERT G. (a cura di), Judicial Decision-Making, The Free Press, New York, 1963.

72. La discussione sulla 'direzione' da attribuire al rapporto intercorrente tra emersione di istanze retributive e collasso del modello trattamentale è intrinsecamente viziata da circolarità. Si può, cioè, legittimamente sostenere che le prime nacquero su input della crisi dell'idea riabilitativa, come del resto è altrettanto plausibile che quest'ultima sia stata determinata, se non del tutto almeno nella sua particolare intensità, dal ripensamento in chiave retributiva della sanzione penale. Certo è che i due fattori hanno interagito in modo fondamentale per la svolta 'determinata' del sentencing nordamericano. A nostro avviso, andrebbe privilegiata la tesi secondo la quale sia stata l'erosione di credibilità del trattamento come risposta punitiva globale ad aver creato le condizioni socio-ideologiche per l'avvento della riflessione neoretributiva.

73. Questi, in sintesi, gli aspetti unificanti e caratterizzanti le varie formulazioni che sono state date del modello ideale di just desert. Sul punto, si veda, MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia, op. cit, p. 138. Il just desert imporrebbe che ad esso si debba ricorrere solo quando tutte le altre strade, recuperative e rieducative, siano già state, inutilmente, intraprese. Infatti l'adesione alla teoria neoretributiva della pena non ha provocato l'estinzione delle istanze recuperative del reo. Semplicemente, il ruolo del modulo riabilitativo è stato arretrato rispetto alla rilevanza penale delle manifestazioni di devianza o posticipato ad esso, attraverso il mantenimento dei programmi trattamentali nella fase preventiva della responsabilità penale (forme di devianza non penalmente rilevanti) ed in quella esecutiva, subordinando il loro esperimento alla volontaria adesione del condannato. Si capisce bene il diverso impatto della funzione recuperativa della pena nel sentencing c.d. indeterminato e in quello c.d. determinato: tradotta nell'imposizione obbligatoria del traguardo della risocializzazione di sé stesso come condizione estintiva della pena nel primo caso, opzione volontaria del detenuto, espressione della sua autonoma volontà di recupero concorrente ma subordinata a quella principale della pena come retribuzione, nel secondo caso.

74. Hopt v. Utah - 110 U.S. 574 (1884).

75. L'espressione appartiene a Grozio, de Jure belli ac Pacis libri tres, lib. II, cap. XX, § 1.

76. L'intervento legislativo avrebbe reso le pene indistintamente applicabili nella stessa misura a qualsiasi soggetto. Si veda la sezione 1170 del Codice Penale della California, promulgato nel 1976: "Le Assemblee legislative riconoscono e dichiarano che lo scopo della reclusione è punire: tale obbiettivo può essere conseguito attraverso comminatorie di pena proporzionate alla gravità del reato, corredate da una clausola che preveda l'uniformità delle pene per coloro che hanno commesso lo stesso tipo di reato in simili circostanze. Le Assemblee legislative riconoscono e dichiarano inoltre che l'eliminazione della disparità di trattamento e l'assicurazione della uniformità nelle risposte sanzionatorie possono essere ottenute attraverso pene determinate, fissate dalla legge in proporzione alla gravità dei reati, anch'essa stabilita dal legislatore, imposte dalle corti con uno specifico procedimento discrezionale"; California Penal Code, 1170 (a) (i), così come riportato in MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia nella commisurazione della pena, cit., p. 137-138.

77. Come espresso da MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia nella commisurazione della pena, cit., p. 141 e ss..

78. A tal proposito si vedano FLETCHER G., Rethinking Criminal Law, Little, Brown and Company, Boston, 1978; SINGER R., Just Desert: Sentencing Based on Equality and Desert, Ballinger Publishing, Cambridge, 1979.

79. La corrente è chiamata 'modified just desert' o 'limiting retributivism' proprio perché rifiutava la dogmaticità della retribuzione pura e le sue conseguenze applicative, soprattutto sub specie di perfetta uguaglianza di trattamento sanzionatorio di casi simili e di uniformità delle sanzioni penali (su questa impostazione, si veda: A. BLUMSTEIN-J. CHOEN-S.E. MARTIN- M.H. TONRY, Research on Sentencing: The Search for Reform, National Academy Press, Washington D.C., vol. I, 1982, vol. II, 1983). L'ordinamento, pur sposando il just desert come criterio ordinante, doveva permettere delle limitate variazioni nelle sanzioni inflitte per fattispecie simili di reato in modo da rispondere alle diverse istanze rieducative presenti caso per caso. Tra i retribuzionisti 'moderati' andrebbe annoverato anche Paul Robinson, che, in un saggio del 1987 (P. ROBINSON, Hybrid Principles for the Distributions of Criminal Sanctions, in NLR, 1987, vol. 82, pp. 19-42), propose una teoria della pena definita da lui stesso 'ibrida'. Robinson flessibilizza la rigidità del just desert con la previsione delle c.d. exceptional departures, cioè delle circostanze 'eccezionali', appunto, che autorizzerebbero l'inflizione di una pena diversa nel suo ammontare da quella astrattamente proporzionata alla gravità del fatto. In particolare gli aumenti di pena, secondo Robinson, potrebbero essere previsti per raggiungere finalità preventive. In ogni caso, circa gli autori principali della corrente moderata del just desert, si vedano: N.MORRIS, The Future of Imprisonment, Chicago University Press, 1974. N. MORRIS, Punishment and Sentencing Reform in the United States, in Revue Internationale de Droit Pénal, 1982, p. 732, citato da MANNOZZI, Razionalità e Giustizia nella commisurazione della pena, cit.. pp. 143-144.

80. FOGEL G., We Are The Living Proof: The Justice Model for Correction, Anderson, Cincinnati, 1975.

81. Per tutti: VON HIRSCH, Doing Justice. The Choice of Punishment, (Basic Books, New York, 1976), testo che costituisce il rapporto finale dei lavori del Committee for the Study of Incarceration, presieduto dal senator Goodell, di cui VON HIRSCH era direttore esecutivo e al quale partecipò anche DERSHOWITZ.

82. Tra il 1975 ed il 1982 undici stati hanno abolito completamente il parole e diciassette hanno invece introdotto parole guidelines con il compito di vincolare la libera discrezionalità dei parole officials a parametri determinati. Più di trenta giurisdizioni hanno promulgato le c.d. mandatory minimum sentence laws, mentre altre giurisdizioni si sono limitate ad istituire meccanismi di revisione delle sentenze, sotto il profilo del carattere discriminatorio della determinazione della condanna, la c.d. sentence review. Ciò per dire che, indipendentemente da come la si voglia guardare, cioè se ad un movimento di riforma parziale piuttosto che ad uno di riforma globale o viceversa, il movimento di riforma in senso determinato del sentencing nordamericano ha coinvolto, seppur in maniera diversa, la stragrande maggioranza dei sistemi giuridici statunitensi. E per precisare che gli istituti attuativi del determinate sentencing non erano, ovviamente, in rapporto di reciproca alternatività: tutt'altro. Infatti nella maggior parte dei casi, l'adesione ad un modello commisurativo determinato si è sostanziata nella progressiva introduzione, da parte dell'ordinamento, di istituti di riforma parziale prima, come ad esempio l'abolizione del parole, per arrivare poi all'adozione di presumptive sentencing guidelines. E' questo il caso dell'ordinamento federale, ma anche del Minnesota (1980), dell'Oregon (1977), della California (California's Uniform Determinate Sentencing Act of 1976) e di molti altri. Sul punto KADISH S.H., op. cit. § 2, pp. 1140-1149; MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia nella commisurazione della pena, op. cit.; STITH CABRANES, op. cit..

83. Parlare, soprattutto per l'insieme delle riforme parziali, di 'eliminazione' del parole potrebbe essere mistificante. Molti stati, dopo aver eliminato il rilascio on parole, hanno in realtà mantenuto il parole per alcune categorie di soggetti che continuano a ricevere pene indeterminate (California, Illinois, Indiana, Maine). Si veda M.TONRY, Criminal Law: The Missing Element in Sentencing Reform, in VLR, 1982, vol. 35, p. 622.

84. Relativamente alla misura della pena (c.d. appellate review of sentencing). Cfr. MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia nella commisurazione della pena, op. cit, p. 168.

85. C.R. STEINMETZ, Criminal Law, Power of Appellate Court to Modify Sentences on Appeal, in WLR, 1933, vol. 9, p. 172.

86. C.R. RICHEY, Appellate Review of Sentencing, Recommendation for a Hybrid Approach, in HLR, 1978, p. 71.

87. Istituite con legge in numero di tre, le Superior Courts compongono la Connecticut Sentence Review Division. Si veda Appellate Review of Primary Sentencing decisions: A Connecticut Case Study, in YLR, 1960, vol. 69, p. 1453. La soluzione del Connecticut non sembra tenere di conto i pericoli derivanti dalla frammentazione del giudizio di appello, dove le impugnazioni contro la condanna e quelle contro il quantum di pena sono di competenza di giudici diversi. Si veda AMERICAN BAR ASSOCIATION, Standards for Criminal Justice, 2ª ed., Little, Brown & Co., Boston, 1980, vol. III.

88. Le Intermediate Courts of Appeal sono presenti in trentatrè stati e giudicano in seconda istanza dei reati di competenza delle Trial Courts of General Jurisdiction. Si veda MANNOZZI G., Razionalità e Giustizia nella commisurazione della pena, op. cit., che, alla pag. 172, nota 27, cita W.J. BAUER, Il regime delle impugnazioni, e anche G. COLE, The American System of Criminal Justice, p. 48 e ss..

89. cfr. M.L. FENILI, California's Disparate Sentence Review Process - Conceptual and Practical Issues (tratto da MARTIN L. FORST, Sentencing Reform - Experiments in Reducing Disparity, p. 131-149, 1982).

90. Lo schema del procedimento descritto è tratto dalla sez. 1170 del Penal Code californiano.

91. Le informazioni provenienti dal Board of Prison Terms riguardano ovviamente anche la misura della pena da considerarsi 'giusta' per la fattispecie di reato in esame. Si veda M.L. FENILI, California's Disparate Sentence Review Process - Conceptual and Practical Issues, op. cit., p. 144 e ss..

92. Di conseguenza la precedente sentenza di condanna, interamente caducata dal rinvio del caso da parte del Board of Prison Terms al giudice che la ha emessa è destinata in qualche modo a sopravvivere. La sua misura costituisce infatti il tetto massimo che avviene nella nuova commisurazione.

93. Act of March 3, 1879, ch. 176, 20 Stat. 354: "[Appellate court] shall proceed to pronounce final sentence". Disposizione così commentata in STITH-CABRANES, cit., nota 3, p. 197: "This provision was interpreted to permit appellate courts to consider not only whether the sentence imposed was lawful -within statutory limitations- but also whether it was excessive, and if so, to modify it".

94. In originale, il testo recita: "in all cases... arising under the criminal laws".

95. In questo senso: KUTAK R.J. - GOTTSCHALK M., In Search of a Rationale Sentence: A Return to the Concept of Appellate Review, in Nebraska Law Review, 1974 e RICHEY C.R., Appellate Review of Sentencing, in Hofstra Law Review, 1978, menzionati in STITH - CABRANES, cit.

96. Per tutti: Freeman v. United States, 243 F. 353 (Nono circuito, 1917).

97. Tra i contributi più risalenti e, per ciò stesso, moderati alla riforma del federal sentencing, meritano particolare menzione anche quelli provenienti dal Model Penal Code e dal Model Sentencing Act. Il primo fu un 'progetto di codificazione' redatto nel 1962 dopo intensi studi, dall'American Law Institute (ALI), già precedentemente citato. Il MPC nacque con l'intento di una sistematizzazione del diritto penale sostanziale formato all'epoca principalmente da quel corpus di migliaia di disposizioni, disordinate, spesso anacronistiche e reciprocamente contraddittorie, che si erano sovrapposte nel corso dei secoli. Il progetto di codificazione non aveva formalmente alcun valore giuridico: l'essere però il prodotto della 'miglior dottrina' del tempo, determinò nei vari legislatori che, a partire dagli anni '60 in poi, misero mano alla riforma del diritto penale statale, una sorta di effetto 'emulativo', per cui, ad oggi, circa 34 stati hanno provveduto a tali modifiche ispirandosi, se non sequendo pedissequamente, il modello legislativo offerto dall'ALI. Al di là della pretesa razionalizzatrice del diritto penale, il MPC non aggiungeva niente di nuovo al procedimento commisurativo. Anzi, per l'epoca si attestò sulle posizioni tradizionali 'conservative' di un sistema commisurativo c.d. indeterminato, pienamente discrezionale, organizzato secondo l'impostazione tipica della condanna a pena indeterminata ["... discretionary sentencing system by providing for only a few categories of offenses, each with a wide and indeterminate sentencing range..."; commento in STITH - CABRANES, cit., p. 24], ispirata all'ideale riabilitativo, per di più nella sua versione più estremizzata. I redattori del MPC scelsero una pena teleologicamente indirizzata al recupero della persona e conseguentemente indeterminata, anche se, a guardare bene, all'interno del progetto già si celavano alcune insofferenze verso l'incontrollabilità della pena indeterminata. Si pensi alla disposizione § 7.01 che fu orientata non nel senso di limitare la discrezionalità giudiziale, ma almeno di suggerire al giudice come comportarsi, fermo restando la sua libertà.

Il Model Sentencing Act è del 1963, elaborato dal National Council on Crime and Delinquency. Si limitava a proporre l'obbligo di motivazione della condanna in capo al giudice, in ossequio al principio della parità di pena.

98. Nota formalmente come National Commission on Reform of the Federal Criminal Law. Chiamata Brown Commission dal nome del suo presidente, Edward G. Brown Sr., all'epoca governatore della California. Il final report della commissione fu pubblicato nel 1971.

99. Ispirato dall'opera del giudice MARVIN E. FRANKEL, Criminal Sentences: Law without Order, 1972. L'autore fu riconosciuto dal senatore Kennedy come "father of sentencing reform". Risulta così in 128 Cong. Rec. 26503 (1982). L'autore criticò aspramente il sentencing e la sua struttura: il primato della discrezionalità giudiziale, definita "almost wholly unchecked and sweeping", cioè totalmente priva di qualsiasi controllo. Le critiche sortirono una forte impressione e un impatto enorme, proprio perché provenienti da chi quell'autorità, quella discrezionalità 'incontrollabile' l'esercitava quotidianamente e poteva meglio di chiunque altro valutarne oggettivamente le caratteristiche. Addirittura FRANKEL si spinse a parlare di "arbitrary cruelties perpretated daily"; FRANKEL M.E., Criminal Sentences: Law without Order, Hill and Wang, New York, 1973, p. 103. Fonte STITH-CABRANES, op. cit..

100. La fortuna politica del progetto di riforma presentato dal senatore Kennedy sta proprio nel suo 'broad bipartisan appeal', nell'essere stato sostenuto, grazie alle proficue manovre parlamentari del senatore democratico, da un ampio schieramento politico, che spaziava dal senatore democratico McClennan, allora presidente del Judiciary Subcommittee on Criminal Laws and Procedure, al senatore Thurmond, l'esponente repubblicano più importante del Judiciary Committee.

101. La bozza di riforma del senatore Kennedy fu ripresentata ininterrottamente dal 1975 al 1984 in ciascuna delle cinque legislature che si successero in quel periodo: in ognuna il progetto superò il vaglio preliminare del Judiciary Committee del Senato per poi approdare puntualmente in discussione davanti all'assemblea parlamentare ordinaria.

102. Il testo del Senate Report No. 225, 98th Cong., 2d Sess. 79 (1984) da cui è tratto il passo tradotto recita: "sufficiently detailed and refined to reflect every important factor relevant to sentencing for each category of offense and each category of offender, give appropriate weight to each factor, and deal with various combination of factor".

103. Tra le virgolette o in corsivo, il testo originale delSentencing Reform Act del 1984. Per approfondimenti su tutte queste informazioni, si vedano: 28 U.S.C. § 994 (b) (2), (k), (d), 18 U.S.C. §2302 (a), § 3853, 28 U.S.C. § 991 (a), 18 U.S.C. § 3742 (1988); si veda anche il Senate Report che accompagnò il Sentencing Reform Act, No. 225, 98th Cong., 2d., Sess. 79 (1984) e il Senate Report, No. 225, 98th Cong., 2d. Sess. 181 (1984), che esplicitamente disponeva, licenziando definitivamente la riforma, che "there is ample provision for review of the guidelines by the Congress and the public; no additional review of the guidelines as a whole is either necessary or desiderable". Si veda anche 5 U.S.C. §706 (Administrative Procedure Act provisions for judicial review of regulations).

104. Furono due emendamenti proposti dai sostenitori di una versione più radicale del sentencing determinato. A proporli fu il senatore democratico Gary Hart, sostenitore di una proposta di adozione di un modello di sentencing federale completamente determinato, concorrente a quella di Edward Kennedy.

105. 18 U.S.C. § 3553 (b): "The court shall impose a sentence of the kind, and within the range, referred to in subsection (a)(4) unless...".

106. Quattro commissari, ovvero la maggioranza, sarebbero stati di provenienza presidenziale, secondo la procedura dell'advise and consent del Senato, quindi esaltandone la connotazione fortemente politica. Gli altri tre rimanenti sarebbero stati scelti, sempre dal Presidente, ma all'interno di una lista di sei nomi di giudici federali stilata dalla Judicial Conference, organo di amministrazione e di autogoverno dell'ordinamento giudiziario (composta dal Presidente della Corte Suprema federale, dai presidenti delle corti d'appello federali e da un giudice di primo grado per ciascuno dei distretti di corte d'appello). Cfr. AMODIO-BASSIOUNI, op. cit., pag. 13.

107. Nella sostanza siamo di fronte ad un sistema di presumptive guidelines, di linee-guida aventi forza di legge, quindi obbligatoriamente applicabili.

108. Il senatore Thurmond, l'esponente repubblicano che contribuì alla larga intesa che permise la presentazione del primo progetto di riforma nel lontano 1977, divenne, all'epoca, il Presidente del Judiciary Committee.

109. I repubblicani dominarono le consultazioni elettorali dei primi anni '80. La richiesta sociale di una risposta legislativa 'forte' si tradusse nello slogan propagandistico del get tough; rientrano in questo contesto di 'inasprimento' della risposta punitiva statuale le numerose leggi che innalzarono i limiti di pena per alcune fattispecie di reato (si veda il Comprehensive Drug Penalty Act del 1982 in tema di reati legati al consumo e traffico di stupefacenti), e quelle che estesero la previsione dei c.d. mandatory minimum prison terms, minimi obbligatori di pena detentiva, ad una folta schiera di condotte penalmente rilevanti, come, ad esempio, il possesso illegale di arma da fuoco (cfr. Firearm Owners Protections Act del 1982).

110. Sullo stesso numero dei giudici 'togati' si aprì un forte dibattito parlamentare. Fino a poco prima del voto finale, infatti, era passata la linea più rigida, sostenuta dai repubblicani, che aveva imposto la riduzione della componente giudiziaria della 'sentencing commission' da tre a due componenti. Verso la sua definitiva promulgazione, il progetto del Sentencing Reform Act fu ripristinato nella sua versione originaria, per quanto atteneva al numero dei membri della commissione di provenienza federale, e cioè tre e non due, su iniziativa del senatore repubblicano Mathias.

111. Nel progetto di legge e anche nello stesso Sentencing Reform Act la sentencing commission era definita "independent commission in the judicial branch".

112. La riforma del sentencing federale, fortemente voluta dai repubblicani (rectius: dai loro esponenti più conservatori) e altrettanto strenuamente sostenuta in Senato non incontrò mai il favore del ramo più basso del Parlamento federale, la House of Representatives. I progetti di riforma sistematicamente riproposti ad ogni inizio di legislatura dal senatore Kennedy e approvati in Senato, altrettanto sistematicamente erano bocciati dall'House Judiciary Committee, la "Commissione Giustizia" della House of Representatives, dove prevaleva, per mano degli esponenti Peter Rodino e Robert Drinan, una diversa visione della riforma. Simile opposta impostazione fece sì che il progetto di Kennedy non arrivasse mai ad essere discusso alla House of Representatives, poiché non superò mai, spesso per un solo voto, il vaglio preliminare della competente commissione. La storia sembrava ripetersi anche per il progetto del 1984: le premesse c'erano. L'House Judiciary Committee era sempre presieduto da Rodino, al suo fianco siedeva John Conyers, oppositore delle mandatory sentencing guidelines perché intimamente convinto che i giudici dovessero essere lasciati "free to tailor sentences to the unique circumstances involved in each case". L'House Judiciary Committee rimaneva ancora un baluardo inespugnabile per i riformatori. Tuttavia stavolta l'ampia coalizione politica che sosteneva l'introduzione delle mandatory sentencing guidelines riuscì, nel settembre 1984, a superare l'ostacolo dell'House Judiciary Committee. Il cavallo di Troia fu uno stratagemma di altissima ingegneria politica ad opera del deputato Dan Lungren, il quale decise di accorpare il Comprehensive Crime Control Act alla legge di bilancio in discussione presso l'Appropriate Committee; poiché la riforma passò da questa commissione e non da quella naturale ma tradizionalmente avversa della giustizia, la proposta di riforma riuscì finalmente ad arrivare alla House of Representatives; qui, ricompattate le fila dei repubblicani, questo provvedimento onnicomprensivo, coacervo impressionante formato dall'equivalente della nostra legge finanziaria, da una serie di norme penali di parte speciale e dalla riforma del sistema sanzionatorio, fu approvato in toto. Un mese dopo il colpo di mano di Dan Lungren, un altro repubblicano, Presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, promulgava il Comprehensive Crime Control, il cui Title II recepiva il Sentencing Reform Act, ovvero la riforma, con le dovute modifiche, del sentencing federale presentata la prima volta nel 1975 dal senatore democratico Edward Kennedy.

113. STITH- CABRANES, op. cit.: a dimostrazione dell'avvenimento epocale, essi scrissero: "On November 1, 1987, two centuries of sentencing practice in the federal courts came to an abrupt end. A regime of 'Sentencing Guidelines' prescribed by a federal administrative agency went into effect. The purpose of the new regime was to divest the independent federal judiciary of the power to determine criminal sentences. Federal judges would still be the formal authority through wich criminal sentences would be pronounced. But the new regime sought to strip them of authority to determine the purposes of criminal sentencing, the factors relevant to sentencing, and the proper type and range of punishment in most cases. Henceforth, these powers would rest in a newly formed bureaucracy, the United States Sentencing Commission, located in Washington D.C.".

114. Ai membri effettivi della United States Sentencing Commission, cioè i c.d. voting members, vanno aggiunti i suoi componenti ex officio e cioè l'Attorney General o un suo delegato e il Presidente della United States Parole Commission, organo che pur essendo stato abolito dal Sentencing Reform Act del 1984 per tutti i reati commessi a partire dal 1/11/1987, continua ad amministrare l'esecuzione delle sanzioni detentive, comminate prima di tale data e ancora in attesa di completamento. In realtà la struttura della Commission è, comprensibilmente, più complessa: oltre ai membri citati, si avvale del contributo di un centinaio di persone, divise in sette uffici, quattro dei quali con compiti 'sostanziali' (substantive policy offices), gli uffici del General Counsel, Monitoring, Education and Sentencing Practice e del Policy Analysis, mentre i tre rimanenti Administration and Planning, Special Counsel e Legislative and Government Affairs, svolgono funzioni più amministrative. Gli uffici sono coordinati da uno Staff Director, figura di collegamento tra la Commissione e gli organi subordinati.

115. Più nel dettaglio il novero dei suoi compiti fu:

  1. Consigliare il Congresso e l'esecutivo sulle misure di politica criminale e del federal sentencing da intraprendere;
  2. Gestire l'aggiornamento delle statistiche sul sentencing federale;
  3. Istruire migliaia di giudici, probation officers, prosecutors, avvocati difensori e tutti gli altri soggetti coinvolti nel procedimento del sentencing;
  4. Analizzare e svolgere ricerche sul crimine e su tutte le materie connesse al sentencing;
  5. Recepire e diffondere informazioni sull'attuazione pratica del sentencing federale;
  6. Fornire assistenza al Congresso e al potere giudiziario per tutte le tematiche riguardanti il sentencing;
  7. Emendare le guidelines laddove necessario;
  8. Fornire assistenza ai giudici, probation officers, prosecutors e avvocati difensori per l'applicazione delle guidelines;
  9. Fornire informazioni sul sentencing a organi giurisdizionali, detenuti, opinione pubblica, associazioni forensi, studenti, professori, comunità economica e organi parlamentari. Fonte: United States Sentencing Commission, An Overview of the United States Sentencing Commission.

116. Nel giro di sei mesi più di duecento giudici ne avevano dichiarato l'incostituzionalità. "By the summer of 1988, sentencing in federal courts was in a state of chaos. Eventually, over 200 district court judges would rule the guidelines unconstitutional, while some 120 judges would rule the opposite. The sentencing schemes which resulted from these myriad rulings were limited only by the imagination of the court"; NAGEL I.H., Structuring Sentencing Discretion: The New Federal Sentencing Guidelines, in The Journal of Criminal Law and Criminology, 1990, p. 906.

117. Mistretta v. United States, 488 U.S. 361, 109 S.Ct. 647, (1989).

118. Mistretta v. United States, 488 U.S. 361, 109 S.Ct. 647, (1989); 654: "Imperative public importance". Il caso Mistretta, in facto, non presentava i caratteri tipici della concessione del writ of certiorari: infatti, si trattava di un 'normale' caso di spaccio di cocaina, di cui era imputato, tra gli altri, un tale John Mistretta.

119. La Corte sostenne che il Congresso avesse sufficientemente specificato il contenuto della delega, disponendo nel Sentencing Reform Act "a full hierarchy of punishment - from near maximum imprisonment, to substantial imprisonment, to some imprisonment, to alternatives- and stipulated the most important offense and offender characteristics to place defendants within these categories"; Mistretta v. United States, citata.

120. Si veda anche American Power & Light Co. V. SEC, 329 U.S. 90 (1946) circa l'intelligible principle.

121. 276 U.S. 394 (1928); 409.

122. Ibidem; 661.

123. Ibidem; 664.

124. Ibidem; 675. Benché fosse "an unusual hybrid of structure and authority", la Sentencing Commission era "nonetheless constitutional in both structure and effect".

125. cfr. 28 U.S.C. § 994 (c) - (n) (Supp. IV 1986) e § 994 (c)(1)-(7) (offense characteristics); e § 994 (d) (1) - (11) (offender characteristics).

126. Cfr. 18 U.S.C. § 3553 (b) (Supp. IV 1986) (the court must presumptively impose sentencing within range specified by Guidelines "unless the court finds that an aggravating or mitigating circumstance exists that was not adequately taken into consideration by the Sentencing Commission in formulating the guidelines and that should result in a sentence different from that described."). Si veda anche la § 3553 (c) che impone l'obbligo di motivazione al giudice che intende discostarsi dalle guidelines. L'impugnazione per ragionevolezza è alla § 3742 (d).

127. Le fonti su cui i membri della Commissione basarono i loro studi: The Federal Probation Sentencing and Supervisions Information System (FPSSIS). Simile sistema catalogava circa 100.000 casi fornendo informazioni sul reato, il background dell'imputato, la sua carriera criminale, le modalità di risoluzione del caso. Tuttavia, poiché non forniva informazioni circa la reale pena scontata dai detenuti, i membri si affidarono a ricerche del Bureau of Prison e completarono i dati necessari. Per una descrizione più dettagliata si veda UNITED STATES SENTENCING COMM'N, Supplementary Report on the Initial Sentencing Guidelines and Policy Statements 21-26 (1987).

128. 28 U.S.C. § 994 (o), (p).

129. BREYER S., The Federal Sentencing Guidelines and the Key Compromises upon wich they rest, Hofstra Law Review, 1988, pag. 8 e ss..

130. Cuore della disciplina di ogni sistema sanzionatorio, compreso quello 'nordamericano'; la determinazione della condotta rilevante ai fini commisurativi: ovvero 'quali sono i fatti a cui va applicata la pena', 'di quali fatti il giudice deve tenere conto nel commisurare la pena'. Per tutti: W.W. WILKINS e J. R. STEER, Relevant Conduct: the Cornerstone of the Federal Sentencing Guidelines, in SCLR, 1990, p. 496; la definizione di cornerstone, ovvero pietra angolare, della relevant conduct, è entrata a pieno titolo nell'uso linguistico dei commentatori delle sentencing guidelines; a tal proposito si confrontino: ABRAMS - BEALE, Federal Criminal Law, Second Edition; ALSCHULER, The Failure of Sentencing Guidelines: a Plea for Less Aggregation, in University of Chicago Law Review, 1991; BEUTLER, A Look at the Use of Acquitted Conduct in Sentencing, in The Journal of Criminal & Criminology, Northwestern University, School of Law, 1998; BREYER S., The Federal Sentencing Guidelines and the Key Compromises upon wich they rest, Hofstra Law Review, 1988; CORROTHERS H.G., Rights in Conflict: Fairness Issues in the Federal Sentencing Guidelines, in Criminal Law Bullettin, 1990; FREED, Federal Sentencing in the Wake of Guidelines, in The Yale Law Journal, 1992; GASPARINI A., Dall'Indeterminate Sentencing alle Sentencing Guidelines: una riforma rivoluzionaria negli USA, in Indice Penale, 1994; KOH S.Y., Reestablishing the Federal Judge's Role in Sentencing, in YLJ, 1992; NAGEL I.H., Structuring Sentencing Discretion: The New Federal Sentencing Guidelines, in the Journal of Criminal Law and Criminology, 1990; OGLETREE C.J., The Death of Discretion? Reflections on the federal Sentencing Guidelines, in HLR, 1988; PARENT D.G., What Did the United Sentencing Commission Miss?, in YLJ, 1991; PURDY D.A. Jr., LAWRENCE J., Plea Agreements Under The Federal Sentencing Guidelines, Criminal Law Bullettin, 1990; STITH K., CABRANES J.A., Fear of Judging. Sentencing Guidelines in the federal courts, the University of Chicago Press, 1998.

131. La Sentencing Commission definisce il 'charge offense system' come quello che "... base sentences upon the conduct that constitutes the elements of the offense for wich the defendant ws charged and of wich he was convicted ("charge offense" sentencing); UNITED STATES SENTENCING COMMISSION, Guidelines Manual (Amendments effective 1/11/2001), Part A- Introduction, p. 4, in United States Sentencing Commission.

132. Di conseguenza, "per determinare la pena più appropriata", il giudice dovrà semplicemente guardare al reato formale, per il quale sia intervenuta la condanna, applicando la pena prevista: "to reach the appropriate sentence, the judge simply looks up the crime of convictions and applies the prescribed punishment for that crime"; BEUTLER, A Look at the Use of Acquitted Conduct in Sentencing, in The Journal of Criminal & Criminology, Northwestern University, School of Law, 1998, p. 818.

133. Il Guidelines Manual da simile definizione di 'real offense system': "to base sentences upon the actual conduct in wich the defendant engaged regardless of the charges for wich he was indicted or convicted". wich the defendant ws charged and of wich he was convicted ("charge offense" sentencing); UNITED STATES SENTENCING COMMISSION, Guidelines Manual (Amendments effective 1/11/2001), Part A- Introduction, p. 4, in United States Sentencing Commission.

134. "[a] 'real offense' system... bases punishment on the elements of the specific circumstances of the case"; BREYER S., The Federal Sentencing Guidelines and the Key Compromises upon wich they rest, Hofstra Law Review, 1988, p. 10.

135. Sul punto concorda la maggior parte della dottrina. A conferma, inoltre, le stesse dichiarazioni dei membri della Commission; per tutti Breyer, che a proposito dell'elaborazione della disciplina della condotta rilevante, rivela che "the upshot is a need for compromise"; BREYER S. citato, p. 11.

136. Quella che uno dei membri della United States Sentencing Commission, il giudice Breyer, indicherà come il compromesso tra giustizia 'formale' e giustizia 'sostanziale': '"Procedural" vs "Substantive" Justice'; BREYER S., The Federal Sentencing Guidelines and the Key Compromises upon wich they rest, Hofstra Law Review, 1988.

137. BREYER S., citato, p. 11.

138. Espressione di ILENE H. NAGEL, Structuring Sentencing Discretion: The New Federal Sentencing Guidelines, citato, p. 925: "The Commission was experimenting with a modified real offense system".

139. W.W. WILKINS e J. R. STEER, Relevant Conduct: the Cornerstone of the Federal Sentencing Guidelines, in SCLR, 1990, p. 497; BEUTLER, A Look at the Use of Acquitted Conduct in Sentencing, in The Journal of Criminal & Criminology, Northwestern University, School of Law, 1998, pag. 814-815.

140. BREYER S., The Federal Sentencing Guidelines and the Key Compromises upon wich they rest, Hofstra Law Review, 1988, pag 13 e 14.

141. Come la stessa Commissione fu costretta ad ammettere: "il Congresso non ha ritenuto... di dare la precedenza ad uno specifico tra gli scopi della pena... le guidelines nel loro significato complessivo non sono fondate su di una singola o predominante filosofia della funzione della pena". Il passo seguente è tratto da un atto ufficiale della Sentencing Commission, il c.d. Simplification Draft Paper. I Drafts della Commissione sono redatti al solo scopo di agevolare i suoi lavori fornendo, agli stessi Commissari o a tutti coloro che vogliono partecipare o controllare l'operato della Commissione, un utile 'riassunto' delle posizioni della Commissione circa le principali scelte affrontate o delle soluzioni ipotizzate e valutate da essa per quelle ancora da definire. Per ognuno delle principali questioni affrontate dalla Commissione negli anni, dal significato del Sentencing Reform Act alla relevant conduct, passando per la strutturazione della Sentencing Table etc. è stato approntato un Draft. Il Simplification Draft, pur non rappresentando la posizione ufficiale di nessuno dei membri della Sentencing Commission, in quanto redatto ad uso interno, diventa però anche di utilizzo pubblico, esterno. Esso esprime infatti, spesso superficialmente, il vero, più intimo punto di vista della Commissione sui punti più rilevanti del lavoro, contenendo quelle riflessioni che per la loro nettezza politica non potrebbero trovare ospitalità negli atti formali in cui si traduce il suo operato, Guidelines, Policy Statements o Commentary, riflessioni che, coperte dall'immunità della loro non ufficialità, vengono fatte però circolare allo scopo di mantenere un costante ricambio informativo tra Commissione e comunità scientifica.

142. Si veda il UNITED STATES SENTENCING COMM'N, Supplementary Report on the Initial Sentencing Guidelines and Policy Statements, 15-16; NAGEL I.H., Structuring Sentencing Discretion: The New Federal Sentencing Guidelines, Journal of Criminal, Law, and Criminology, 1990.

143. Era semplicemente il combinato di norme disposto dalla section 991 (a) del Title 28 e la section 3553 (a) del Title 18, combinato che si limitava ad indicare nella retribuzione, nella prevenzione generale e speciale e nell'incapacitation, gli scopi cui la Commissione avrebbe dovuto indirizzare la redazione e le stesse sue direttive commisurative. Cfr. NAGEL I.H., Structuring Sentencing Discretion: The New Federal Sentencing Guidelines, Journal of Criminal, Law, and Criminology, 1990; KADISH S.H. (a cura di), Encyclopedia of crime and Justice, The Free Press, New York, 1983, p. 1432.

144. Così ILENE H. NAGEL, uno dei membri della prima United States Sentencing Commission: "... when Congress created the Commission, it did so in such way as to nearly insure that theoretical orthodoxy... would not be the guiding force": cfr. NAGEL I.H., citato, p. 916.

145. "In 1984, Congress addressed the issue of fairness in sentencing by passin the Sentencing Reform Act..."; UNITED STATES SENTENCING COMMISSION, An Overview of the Federal Sentencing Guidelines, in United States Sentencing Commission.

146. Le cronache riportano che "La Commissione iniziò i suoi lavori con l'accordo di procedere alla redazione di due schemi di guidelines teoricamente ortodosse: uno, cioè, aderente ai principi del just desert, l'altro ai principi del crime control. Fu posto il termine limite del giugno del 1986 per la presentazione di entrambi: la Commissione avrebbe poi estrapolato il meglio da ciascuno dei due progetti e li avrebbe mescolati in un lavoro compatibile con l'esigenza di rispettare l'obbligo legislativo di predisporre un progetto definitivo che rispettasse tutte le finalità della pena elencate dalla normativa delegante"; NAGEL I.H., citato, p. 918.

147. "(m) The Commission shall insure that the guidelines reflect the fact that, in many cases, current sentences do not accurately reflect the seriousness of the offense. This will require that, as a starting point in its development of the initial sets of guidelines for particular categories of cases, the Commission ascertain the average sentences imposed in such categories of cases prior to the creation of the Commission, and in cases involving sentences to term of imprisonment, the length of such terms actually served. The Commission shall not be bound by such average sentences, and shall independently develop a sentencing range that is consistent with the purposes of sentencing described in section 3553 (a)(2) of title 18, United States Code". 28 U.S.C §994 (m).

148. BREYER S., The Federal Sentencing Guidelines and the Key Compromises upon wich they rest, Hofstra Law Review, 1988.

149. BREYER S., The Federal Sentencing Guidelines and the Key Compromises upon wich they rest, Hofstra Law Review, 1988, pag. 19-20.

150. L'ottemperanza agli scopi della section 3553.

151. Si parlò proprio di mimare la c.d past practice: l'espressione utilizzata in inglese fu proprio "mimicking past practice": NAGEL I.H., Structuring Sentencing Discretion: The New Federal Sentencing Guidelines, citato, pag. 928.

152. Alla fine il Sentencing Reform Act era stato adottato per rigettare il metodo riabilitativo. Cfr. 18 U.S.C. § 3852 (a), ripreso da 28 U.S.C. §994 (k).

153. NAGEL I.H., Structuring Sentencing Discretion: The New Federal Sentencing Guidelines, citato, pag. 923.

154. In relazione a questo il Commissioner Breyer adottò lo slogan "evolutionary system". Cfr. BREYER S., The Federal Sentencing Guidelines and the Key Compromises upon wich they rest, Hofstra Law Review, 1988.

155. Cfr. J. MONAHAN, The Clinical Prediction of Violent Behavior, 71-72 (1981).

156. 28 C.F.R. § 2.20 (1988) contenente le guidelines sulle quali le Parole Commission basavano le loro decisioni di rilascio on parole. Cfr. KADISH S.H. (a cura di), Encyclopedia of crime and Justice, The Free Press, New York, 1983.

157. GASPARINI, Dall'Indeterminate Sentencing alle Sentencing Guidelines: una riforma rivoluzionaria negli USA, in Indice Penale, 1994; MUSSO G., (a cura di) et altr., Il Processo Penale Statunitense, Soggetti ed Atti, Giappichelli, Terza ed., Torino, 2009.

158. Lo schema del procedimento di applicazione delle guidelines è ripreso da: UNITED STATES SENTENCING COMMISSION, Special Report to Congress: Mandatory Minimum Penalties in the Federal Criminal Justice System, pp. 20-26 (1991).

159. Circa la valenza del PSI come guilt-fact finding device, si consiglia l'opera di FENNEL-HALL, Due Process at Sentencing: an Empirical Analysis of the Disclosure of Presentence Reports in Federal Courts, in 93 Harvard L. Rev., 1613, 1980, p. 1627, nonché NOTES, Procedural Due Process at Judicial Sentencing for Felony, in 81 Harvard L. Rev. 821, 1968, p. 832-833; sul PSI in generale, per tutti: SCHMOLESKY & THORSON, The Importance of the Presentence Investigation Report After Sentencing, in 18 Crim. L. Bull. 406, 1982, p. 406 ss., PROJECT, Parole Release Decisionmaking and the Sentencing Process, in 84 Yale L. J. 810, 1975, p. 810 ss..

160. GASPARINI, Dall'Indeterminate Sentencing alle Sentencing Guidelines: una riforma rivoluzionaria negli USA, in Indice Penale, 1994; G. MUSSO, (a cura di) et altr., Il Processo Penale Statunitense, Soggetti ed Atti, Giappichelli, Terza ed., Torino, 2009.

161. William v. New York 337 U.S. 241 (1948). Secondo la William rule, ammettendo un simile diritto di confrontation, si sarebbero appesantiti eccessivamente i tempi processuali e si sarebbe resa la fase del sentencing una fase dibattimentale quando istituzionalmente non lo era.

162. GASPARINI, Dall'Indeterminate Sentencing alle Sentencing Guidelines: una riforma rivoluzionaria negli USA, in Indice Penale, 1994.

163. Si veda, infra, paragrafo 1.3, pag 42.

164. Mistretta v. United States, 488 U.S. 361, 109 S.Ct. 647, (1989).

165. Sul tema: SCHMALLEGER FRANK- SMYKLA Corrections in the 21st Century, New York: McGraw-Hill Higher Education, 2010 5. ed. XXXII; ABRAMS- BEALE: Federal Criminal Law; ALLEN, Corrections in America, an Introduction, Twelfth Edition, 2009; LIPPMAN M., Contemporary Criminal Law, Concepts, Cases, and Controversies, 2007. E, dello stesso autore, Contemporary Criminal Law, Concepts, Cases, and Controversies, Second Edition, 2010. REID S. T, Criminal Law, Eighth Edition, Oxford University Press, 2010.

166. Apprendi v. New Jersey, 530 U.S. 466 (2000); la decisione della corte è stata una pietra miliare nella rivisitazione in chiave moderna del diritto ad una giuria (jury trial right, nel VI emendamento della Costituzione federale). Sarà simile precedente, qui citato, ad essere la base del caso Blakely v. Washington.

167. Blakely v. Washington, 542 U.S. 296 (2004); il contesto giuridico del caso erano le mandatory sentencing guidelines statali. La decisione della corte suprema fu definita successivamente dal giudice Sandra Day O'Connor un 'Number 10 earthquake'. Le leggi applicate furono l'Emendamento VI della Costituzione federale e lo Washington Sentencing Reform Act.

168. Casi stavolta incentrati sulle federal sentencing guidelines, ma basati sulla Apprendi rule e su Blakely che costituiscono quindi il terreno per le successive pronunce della corte circa la materia oggetto della presente.

169. Prima di approdare alla Corte Suprema: United States v. Booker, 125 S. Ct. 738 (2005) e poi, in seguito all'accoglimento della richiesta, la sentenza della Corte Suprema è United States v. Booker, 543 U.S. 220 (2005); il caso è incentrato sempre sul VI emendamento, il 'right to jury trial'.

170. Il fatto inoltre che le federal sentencing guidelines fossero regole amministrative piuttosto che leggi, secondo Breyer, la diceva lunga sul ruolo da assegnare loro. Inoltre nella misura in cui le guidelines non consideravano particolari circostanze aggravanti o attenuanti, un giudice era libero di discostarsi dal range imposto. Justice Breyer apparteneva alle 'Dissenting opinion' insieme ai giudici Stevens e Scalia. LIPPMAN M., Contemporary Criminal Law, Concepts, Cases, and Controversies, 2007.

171. United States v. Fanfan, 125 S.Ct. 12 (2004) prima che approdasse alla corte. Dopo l'accoglimento del Writ of Certiorari Before Judgment, la sentenza del caso è sempre la 543 U.S. 220 del 2005, quella del Booker case.

172. LIPPMAN M., Contemporary Criminal Law, Concepts, Cases, and Controversies, 2007. E, dello stesso autore, Contemporary Criminal Law, Concepts, Cases, and Controversies, Second Edition, 2010. REID S. T, Criminal Law, Eighth Edition, Oxford University Press, 2010; si veda anche DEPARTMENT OF JUSTICE, The impact of United States v. Booker on Federal Sentencing su U.S. Department of Justice; anche BLOOM B. D., United States v. Booker and United States v. Fanfan: The Tireless March of Apprendi and the Intracourt Battle to Save Sentencing Reform, Harvard Civ. Ri. - Civ. Lib. Law Rev., vol. 40, 2005.

173. Rita v. United States, 551 U.S. 338 (2007).

174. Claiborne v. United States, 551 U.S. 87 (2007). (caso vacante).

175. Gall v. United States, 552 U.S. 38 (2007).

176. Kimbrough v. United States, 552 U.S. 85 (2007).

177. RE, Carcere e globalizzazione. Il boom penitenziario negli Stati Uniti e in Europa, 2006.

178. KADISH S.H., Encyclopedia of Crime and Justice, The Free Press, New York, 1983, p. 1466; SCHMALLEGER FRANK- SMYKLA Corrections in the 21st Century New York: McGraw-Hill Higher Education, 2010 5. ed. XXXII; REID S. T, Criminal Law, Eighth Edition, Oxford University Press, 2010; NAGORSKI A., Arguments Against the Use of Recidivist Statutes that contain Mandatory Minimum Sentences, University of Saint Thomas Journal of Law e Public Policy, vol. V, n. 1, 2011; LIPPMAN M., Contemporary Criminal Law, Concepts, Cases, and Controversies, 2007 e, dello stesso, Contemporary Criminal Law, Concepts, Cases, and Controversies, Second Edition, 2010; COLQUITT, Can Alabama Handle the Truth (in Sentencing)?, 2009, Alabama Law Review.

179. Cfr infra, capitolo 2, paragrafo 1.

180. KADISH S.H., Encyclopedia of Crime and Justice, The Free Press, New York, 1983.

181. KADISH S.H., Encyclopedia of Crime and Justice, The Free Press, New York, 1983.

182. Cfr. infra, paragrafi precedenti, n. 1.2 e 1.3.

183. RE, Carcere e globalizzazione. Il boom penitenziario negli Stati Uniti e in Europa, 2006.

184. Cfr. anche FEELEY M. M. Le origini e le conseguenze del panico morale: gli effetti sulle Corti americane delle leggi "tre volte e sei eliminato", Riv. Ita. di diritto e procedura penale, 2000, p.417.

185. Cfr. infra, capitolo 2.