ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Considerazioni conclusive

Eleonora Ghizzi Gola, 2015

L'avvio di una riforma strutturale del sistema italiano di accoglienza per i richiedenti ed i titolari di protezione internazionale si profila necessaria. La perdurante retorica che alimenta la macchina dell'emergenza, determinando la creazione di forme di accoglienza parallele rispetto a quelle ordinarie, si pone da ostacolo alla realizzazione di un intervento strutturato e lungimirante, rispondente ad un'ottica sistemica. La paradossale pretesa di voler affrontare in via emergenziale un fenomeno strutturale, quale quello delle migrazioni forzate, non può trovare una giustificazione razionale. Il miope approccio adottato, che si declina nell'emanazione di decreti legislativi ad hoc e giustifica interventi settoriali ed isolati, trova la sua ratio in ragioni non rispondenti ad un'ottica garantista: il piano politico si intreccia inevitabilmente con la dimensione giuridica del diritto di asilo.

Esulando dalle molteplici cause determinanti le migrazioni forzate, talvolta intimamente legate a fattori geo-politici a livello globale, la tenuta del nobile istituto del diritto alla protezione internazionale è sempre più affievolito dalle istanze di securitizzazione delle frontiere. La commistione di tali ossimorici aspetti, securitari ed umanitari, cozza inevitabilmente, determinando la prevaricazione dell'uno sull'altro. Per quanto sia responsabilità di un Paese d'asilo adoperarsi affinché il lato umanitario non venga scalfito, le istanze securitarie stanno avendo la meglio, come dimostra il grave arretramento realizzatosi attraverso il passaggio di testimone dall'operazione Mare Nostrum a Triton, afferente all'agenzia Frontex, impegnata nel controllo delle frontiere esterne dell'Unione Europea. Il diritto all'accoglienza dei richiedenti asilo non può essere un privilegio dei sopravvissuti che raggiungono la 'Fortezza Europa'.

Nonostante il tema dell'asilo sia all'ordine del giorno nelle cronache nazionali, tra le tragiche notizie di migranti che vedono annegato il proprio futuro nel Mar Mediterraneo, centri di accoglienza per richiedenti asilo al collasso, inchieste che vedono coinvolta la criminalità organizzata nella spartizione delle risorse per la gestione delle strutture straordinarie, la riforma del claudicante sistema di accoglienza fatica ad entrare nell'agenda politica del governo. Si è visto come, a partire dai primi anni '90, con l'arrivo delle prime ondate di esuli provenienti dall'Albania, ex Jugoslavia, Kosovo e Somalia, sia stato intonato il leitmotiv dell'emergenza, divenuto sempre più insistente e monotono negli ultimi anni. Come sempre accade laddove si voglia rispondere ad un fenomeno strutturale con interventi straordinari, l'insuccesso si profila inevitabile: si tampona e, allo stesso tempo, si rincorre ed alimenta l'emergenza. L'implementazione di forme di accoglienza parallele si è rivelata inefficiente, discriminatoria e costosa. Quanto al primo aspetto, l'inadeguatezza di molte strutture estemporanee ha determinato, a distanza di pochi mesi, il riversamento di coloro che avevano già fruito di tale accoglienza nell'ordinario e virtuoso Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati. L'esistenza di sistemi paralleli, inoltre, rende del tutto casuale l'invio nell'una o nell'altra forma di accoglienza, discriminando soggetti che rivestono l'identica qualifica di richiedenti protezione internazionale, titolari dello stesso diritto di accoglienza. Le risorse messe in campo, infine, avrebbero potuto essere investite fin da subito in un adeguato ampliamento dell'ordinario Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, anziché attraverso l'indizione di poco trasparenti bandi, facile preda di subdoli giochi di potere.

A tale criticità si sovrappone il mancato rispetto delle garanzie procedurali previste dalla normativa vigente: la discrasia che separa il de iure dal de facto debilita ulteriormente il fragile sistema. Il sovraffollamento che interessa il sistema di accoglienza ordinario potrebbe superarsi, al di là, come si è detto, attraverso il ricorso ad un ampliamento strutturale della rete, anche rispettando le tempistiche procedurali previste ex lege che scandiscono il percorso volto al riconoscimento della protezione internazionale. Si è visto come il procedimento possa impiegare diversi mesi, superando in taluni casi l'anno di attesa, prima dell'ottenimento di una decisione nel merito della propria istanza di protezione internazionale. L'ostinato sottodimensionamento degli organismi preposti all'esame delle domande, le Commissioni Territoriali per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, contribuisce alla lievitazione dei tempi d'attesa, con un conseguente inceppamento del meccanismo di turn over che dovrebbe caratterizzare la prima accoglienza.

Le carenze strutturali e le inadempienze procedurali del sistema di accoglienza si ripercuotono drammaticamente sui destinatari dello stesso. Non solo quanto al mancato rispetto degli standard minimi di erogazione dei servizi, quanto alla snervante attesa cui essi sono costretti in quel momento di estrema fragilità che vivono a seguito del forzoso sradicamento dal proprio Paese d'origine. La presa in carico di un richiedente asilo deve conformarsi alle peculiarità di cui tale tipologia di soggetti è portatrice. A fianco della basilare assistenza volta al soddisfacimento delle esigenze primarie, si rivela indispensabile un orientamento ai servizi legali, sociali e sanitari, includendo un sostegno sul fronte psicologico. Il trascinamento di quello stato di limbo giuridico che caratterizza la loro permanenza, a partire dal momento dell'ingresso sul suolo italiano fino all'ottenimento della decisione sulla propria istanza di protezione, alimenta un senso di malessere ed insofferenza dato dall'esasperante inattività forzata cui sono costretti. In taluni casi tale condizione può preludere a sintomatologie depressive nonché alla creazione di uno stato di dipendenza ed assistenzialismo, non facilmente superabile. Si aggiunga che in termini di mera opportunità economica, tali lungaggini costituiscono una spesa non necessaria per le poco fiorenti finanze statali.

Il sistema, tuttavia, non si riscatta nemmeno sul terreno delle politiche di accoglienza nei confronti dei soggetti che hanno ottenuto il riconoscimento di una forma di protezione internazionale. Complice la congiuntura economica poco favorevole, il percorso di integrazione dei rifugiati e dei titolari di protezione sussidiaria o umanitaria raramente si conclude a lieto fine. La quasi totalità delle persone che fuoriescono dai grandi centri di accoglienza governativi o dalle strutture dell'emergenza, si ritrovano in condizione di grave marginalità. La possibilità di accedere al Servizio di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, che prevede percorsi di inserimento socio-economico per i suoi beneficiari, è un privilegio per pochi. L'assenza di un accompagnamento mirato all'integrazione nel tessuto sociale, si traduce in vissuti di emarginazione da parte di una quota rilevante della popolazione rifugiata, che si disperde sul territorio nazionale, prevalentemente nelle grandi città, in condizioni di grave disagio abitativo e sociale, confondendosi con la generalità dei soggetti bisognosi tout court.

La risposta che un Paese d'asilo è tenuto a fornire, in ottemperanza al dovere di accoglienza imposto dagli obblighi interni ed internazionali, deve conformarsi ad una strategia di lungo periodo e deve investire diversi piani di azione: giuridico, politico e sociale. Spesso "gli Stati moderni si fregiano dell'etichetta di Stati potenzialmente ospitanti, anche se nella pratica delle politiche quotidiane da essi perseguite risulta assai lontana l'istituzione di un diritto di chiedere e ricevere asilo" (1): la società di accoglienza deve garantire le premesse per la piena garanzia del diritto di asilo. Sul piano giuridico, è improrogabile l'emanazione di una normativa organica sul tema, che armonizzi la disciplina vigente, attualmente disarticolata nei vari decreti legislativi di recepimento della normativa di rango comunitaria. Da un punto di vista socio-politico, è necessario discernere le ragioni securitarie da quelle umanitarie, affinché le prime non prendano il sopravvento sulle seconde. Ancor prima del ripristino di un'operazione di salvataggio dei migranti, che continueranno ad affrontare disperate traversate verso le coste italiane, pagando cifre elevatissime alle organizzazioni che gestiscono il traffico degli uomini, è responsabilità dell'Italia e dell'intera Unione Europea, quale 'Terra d'asilo', adoperarsi per la predisposizione di canali umanitari. È altresì inammissibile la strumentalizzazione perpetrata dai mezzi di comunicazione che cavalcano la paura nei confronti di ciò che è altro, alimentando un lessico del razzismo. Tale approccio contribuisce ad ostacolare la piena realizzazione di quel dovere di accoglienza che, adottando il concetto di integrazione proposto nella presente ricerca quale processo dinamico e bidirezionale, coinvolge, oltre agli individui che lo intraprendono, la società di accoglienza.

Note

1. Rescigno F., Il diritto di asilo, Roma, Carocci Editore, 2011, p. 157.