ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo I
Il quadro normativo del sistema di accoglienza dei richiedenti e titolari protezione internazionale

Eleonora Ghizzi Gola, 2015

1. Premessa. Cenni all'evoluzione della normativa interna in materia di asilo

L'Italia è annoverabile tra i pochi Paesi Europei che non si siano dotati di una normativa organica in materia di asilo. L'approccio emergenziale ad un fenomeno strutturale, quale quello delle migrazioni forzate, rappresenta una costante difficilmente sostenibile in un contesto globale che vede un sensibile aumento del flusso di persone in fuga dai propri Paesi d'origine a causa della crescente instabilità geopolitica a livello globale. La necessità di una disciplina organica che regoli in modo compiuto il sistema, sul piano dell'accesso alla procedura di richiesta di protezione internazionale, dell'accoglienza nonché nella predisposizione di un catalogo dei diritti dei titolari di protezione internazionale, emerge in modo inequivocabile sul finire degli anni '90 del secolo scorso. Sarà a partire da questi anni che prenderanno avvio i primi parziali interventi legislativi in materia, cui seguiranno, a pioggia, disposizioni normative prive di sistematicità che contribuiscono a delineare il vigente sistema pluralistico in materia di asilo.

Ripercorrendo brevemente l'evoluzione normativa in materia di asilo, il punto di partenza di tale analisi non può che rinvenirsi nel dettato costituzionale. L'articolo 10 comma 3 della Costituzione prevede che “lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Disposizione, come noto, rimasta un flatus vocis. Pur non approfondendo il dibattito di grande interesse sviluppatosi sul tema dell'asilo costituzionale, si rende necessario riportare alcuni spunti e conclusioni che un'attenta dottrina e giurisprudenza ha potuto trarre da tale (inapplicata) disposizione. Prima fra tutte la portata precettiva della disposizione costituzionale, cui si è giunti a seguito di un iniziale inquadramento tra le norme programmatiche ad opera della giurisprudenza amministrativa (1), costituendo la mancata integrazione della riserva di legge prevista dall'ultima parte dell'art. 10 comma 3 un facile appiglio per un'interpretazione in senso restrittivo della portata della disposizione. Il riconoscimento di tale carattere è stato confortato da importanti sentenze ad opera della giurisprudenza di merito (2) e della Corte di Cassazione (3) in sede di regolamento di giurisdizione, cui si è dovuto adattare, nonostante le iniziali resistenze, il Consiglio di Stato. In conseguenza di ciò è pacifica la riconduzione del diritto d'asilo nell'alveo dei diritti soggettivi e nella categoria degli status (4), quindi di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria. Il diritto di asilo assurge pertanto al rango di diritto costituzionale soggettivo perfetto, cui corrisponde la natura dichiarativa del riconoscimento dello stesso allo straniero cui sia effettivamente impedito l'esercizio delle libertà garantite dalla Costituzione italiana.

Nonostante la valenza precettiva della disposizione costituzionale, si può affermare che essa sia rimasta, nella pratica del diritto, sulla carta. L'ordinamento si è dotato di altre forme di protezione, in parte conformandosi ai trattati e recependo la normativa di rango sovranazionale, in parte adottando strumenti interni di tutela umanitaria, principalmente operando in via emergenziale, per rispondere alle richieste di tutela e di protezione di cittadini stranieri alla ricerca di asilo sul territorio nazionale. A pochi anni dall'approvazione del testo da parte dell'Assemblea Costituente, l'Italia firmerà quel documento che tutt'ora rappresenta il pilastro del sistema di asilo negli ordinamenti degli Stati firmatari: la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951. La levatura e la portata di tale documento, che affronta per la prima volta su scala internazionale la questione relativa ai rifugiati in seguito all'esodo di milioni di persone costrette a fuggire nell'immediato secondo dopoguerra, ha contribuito a porre in ombra il diritto nella sua dimensione costituzionale. E' stato affermato che la volontà di dare attuazione alla disciplina relativa allo status dei rifugiati di cui alla predetta Convenzione fosse il frutto di “una precisa scelta di politica legislativa, una strategia di neutralisation, di occultamento del diritto di asilo costituzionale”. (5)

L'Italia aderisce alla Convenzione di Ginevra attraverso la legge di autorizzazione alla ratifica n. 722 del 24 luglio 1954. La nozione di rifugiato, come definita ai sensi dell'art. 1 lett. A comma 2, rivela l'esistenza di differenze di tipo strutturale rispetto alla nozione di asilo costituzionale, individuando diversi presupposti per il riconoscimento dello status. Il termine rifugiato, ai sensi della Convenzione, si applica solamente a chi

[...] temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può, o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese d cui aveva la residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può e non vuole ritornarvi per il timore di cui sopra. (6)

Due gli ordini dei requisiti, soggettivo ed oggettivo. A mente del primo il carattere della persecuzione, in atto o temuta, deve essere individuale e diretto. Persecuzione che, per essere tale, dovrà essere determinata dagli elementi oggettivi menzionati dalla stessa Convenzione integranti la situazione concreta di persecuzione (7): motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale, opinioni politiche. Copiosa la giurisprudenza in materia, non analizzabile in questa sede, in particolare con riferimento all'espressione “appartenenza ad un determinato gruppo sociale”, cui è stato ricondotto il genere femminile nella sua interezza o l'appartenenza ad un determinato orientamento sessuale, laddove il rischio di persecuzione, in determinati Paesi, deriva da una caratteristica innata e comune a un certo gruppo di individui.

La Convenzione di Ginevra non reca disposizioni di ordine procedurale in merito all'ammissione del richiedente sul territorio dello Stato, né sul tema dell'accoglienza e della presentazione della domanda per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato. Contiene tuttavia una fondamentale disposizione che impone il divieto di “espellere o respingere - in nessun modo - un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate” (8): obbligo di non-refoulement. Posto che tale principio è applicabile a coloro che, pur non avendo fatto formalmente ingresso nel territorio di un altro Stato, si trovino comunque al di fuori del proprio Paese d'origine (9), viene pertanto ribadita la titolarità di un diritto soggettivo perfetto all'ingresso sul territorio dello Stato di accoglienza in capo al richiedente lo status di rifugiato, quantomeno al fine di fare esaminare ed accertare la sua situazione personale dalla competente autorità. (10) Da rilevare, da ultimo, la scelta da parte dell'Italia di aderire all'opzione più restrittiva prevista dalla Convenzione di Ginevra del 1951, adottando la “riserva geografica”, in virtù della quale il riconoscimento dello status di rifugiato avrebbe potuto essere riconosciuto ai soli individui di provenienza europea, e la “riserva temporale”, relativa agli avvenimenti in forza dei quali sarebbe stato possibile avanzare la propria richiesta: solamente quelli verificatisi prima del 1 gennaio 1951. Mentre questa limitazione sarà eliminata a breve distanza con la ratifica del Protocollo di New York del 31 gennaio 1967 avvenuta con la legge 14 febbraio 1970, n. 95, la riserva geografica verrà superata solo alla fine degli anni '80 del secolo scorso, con il D.L. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito nella nota legge Martelli (L. 28 febbraio 1990, n. 39).

La Legge Martelli rappresenta un punto di svolta essenziale, non solo nel campo del diritto di asilo e in particolare sul tema fino ad allora inedito dell'accoglienza dei richiedenti asilo, bensì, in termini più generali, nella regolamentazione della disciplina della condizione giuridica dello straniero. Rinviando in seguito l'analisi dettagliata delle novità introdotte dalla norma, si delineerà brevemente la procedura per l'ottenimento dello status di rifugiato in base alla legislazione ad essa antecedente. Le scelte di ordine politico concernenti l'adesione alle riserve approntate all'applicazione della Convenzione di Ginevra, unitamente alla mancata adozione di una normativa che regolamenti in modo compiuto il diritto di asilo, portò al delinearsi di due categorie di rifugiati (11): i rifugiati de iure, riconosciuti in base alla Convenzione di Ginevra, ed i rifugiati de facto, sotto mandato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), gruppo eterogeneo accumunato dalla provenienza extra-europea dei soggetti ad esso appartenenti. A seconda dell'inquadramento nell'una o nell'altra categoria, le procedure per l'ottenimento del titolo, così come gli aspetti di ordine assistenziale e sociale, si profilavano in modo difforme. I richiedenti asilo europei, in attesa del vaglio da parte della Commissione Paritetica di eleggibilità (Cpe), ricevevano un permesso di soggiorno provvisorio, cui avrebbe fatto seguito, in caso di esito positivo della domanda, un altro permesso rinnovabile ogni quattro mesi. Il riconoscimento dello status di rifugiato permetteva agli stessi di fruire del diritto di soggiorno e di lavoro, in condizioni di parità con i cittadini italiani da un punto di vista assistenziale. Il trattamento giuridico dei rifugiati sotto mandato dell'UNHCR assume una veste meno garantista: il permesso di soggiorno concesso a seguito del riconoscimento della qualifica ad opera della Delegazione italiana dell'Alto Commissariato altro non era che un “particolare permesso concesso al richiedente sotto la condizione risolutiva dell'emigrazione verso un Paese terzo disponibile alla concessione dell'asilo a titolo definitivo”. (12) L'UNHCR riconosceva al rifugiato un'assistenza materiale di urgenza, sul fronte sanitario ed economico, per un periodo non superiore a sei mesi, senza tuttavia il diritto al lavoro e all'assistenza pubblica, in attesa del re-insediamento in altri Stati. Sul fronte dell'accoglienza, i richiedenti asilo, europei ed extra-europei, venivano accolti nei Centri di assistenza profughi stranieri (CAPS) siti in Padriciano, vicino alla frontiera con la Jugoslavia, di Capua e di Latina. L'onere dell'accoglienza era in carico, in un primo momento, al UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration) quindi all'IRO (International Refugee Organization). Il testimone viene quindi passato, con la cessazione da parte dell'IRO delle proprie attività, direttamente al Governo Italiano, che nel 1977 incaricherà la Direzione generale dei servizi civili - Divisione assistenza profughi.

Questo sistema, se nei suoi primi quarant'anni ha resistito di fronte al contenuto flusso di migrazioni forzate che vedeva l'Italia come un Paese di transito, un ponte verso altre destinazioni, inizia a manifestare gravi segni di cedimento sul finire degli anni Ottanta. A partire da questo momento l'Italia dovrà assumesi le responsabilità conseguenti alla sua trasformazione in “Paese d'asilo”, rappresentando agli occhi dei richiedenti un luogo ove poter gettare le basi di un insediamento a lungo termine. Si profila essenziale tracciare una disciplina che garantisca la predisposizione di un sistema di accoglienza che possa rispondere al massiccio afflusso di soggetti in fuga dai propri Paesi d'origine, legittimati a permanere sul territorio nazionale in virtù della titolarità del diritto a vedere esaminata e, se fondata, accolta, la propria domanda di asilo.

1.1. Le prime disposizioni in tema di accoglienza: la L. 28 febbraio 1990, n. 39, c.d. Legge Martelli

Il diritto di asilo non può che essere indissolubilmente connesso con il contesto geopolitico globale. Il mutamento degli equilibri della politica a livello sovranazionale o interno ad uno stesso Paese, l'esplodere di conflitti, l'emergere di forme di persecuzione, determina quale inevitabile conseguenza lo spostamento di masse di individui, in fuga dai Paesi di origine, nei quali non possono trovare protezione. Il fenomeno, per quanto tale affermazione sia gravida di conseguenze, è strutturale. Al contrario, vedremo come l'approccio adottato sia stato ordinariamente gestito in forma emergenziale, con misure ad hoc, temporanee, volte alla ricerca di una soluzione episodica e parziale. Ciò a partire dai primi interventi normativi che hanno affrontato in modo diretto il tema dell'asilo.

Il contesto nel quale venne discussa l'approvazione della Legge Martelli era significativo sia sul fronte interno sia sovranazionale. Emergeva la necessità di introdurre una disciplina della regolamentazione degli ingressi e della condizione giuridica del cittadino straniero. Il Paese prendeva coscienza della sua trasformazione da terra di emigrazione a terra di immigrazione. (13) Sul piano globale, con il riassetto degli equilibri a seguito del crollo del muro di Berlino, diminuirono i flussi di rifugiati europei provenienti dal blocco ex-sovietico, che furono presto sostituiti da migrazioni forzate dovute ai nuovi conflitti determinati dagli squilibri economico-sociali conseguenti al nuovo assetto geopolitico. Giungeva il momento per l'Italia, Paese in crescita economica e destinazione finale dei flussi di migranti economici e forzati, di assumersi le proprie responsabilità.

Il decreto legge n. 416 del 30 dicembre 1989 è la prima norma nazionale in cui viene affrontato il tema del diritto di asilo. Il decreto verrà convertito con una procedura d'urgenza nella legge n. 39 del 28 febbraio 1990, meglio nota come “Legge Martelli”, con emendamenti che non riguardavano il diritto d'asilo. Come accennato nell'art. 1 dedicato ai “rifugiati”, al primo comma, in riferimento alla Convenzione di Ginevra, la legge dichiarava cessati “gli effetti della dichiarazione di limitazione geografica e delle riserve [...] poste dall'Italia all'atto di sottoscrizione della Convenzione stessa”. La disposizione inoltre autorizzava il Governo a riordinare la procedura d'asilo nonché il sistema di assistenza materiale in favore dei richiedenti asilo attraverso decreti da emanare entro sessanta giorni dalla sua entrata in vigore. (14) L'intento era pertanto quello di riservare la regolamentazione della materia a un futuro testo normativo di impronta sistematica, limitandosi per il momento a dettare una disciplina transitoria. Si vedrà come il legislatore, lungi da intervenire con una legge organica, abbia dato vita ad interventi settoriali. (15) La norma peraltro fa riferimento unicamente alla categoria dei rifugiati, non prendendo in considerazione la più lata portata dell'asilo costituzionale (16), di nuovo rimasto senza regolamentazione.

La legge Martelli detta per la prima volta la disciplina dell'accesso alla procedura e le modalità di presentazione della domanda di asilo. L'accesso alla procedura viene definito in negativo, elencando all'art. 1 comma 4 le cause ostative all'ingresso del richiedente. Per quanto concerne la presentazione della domanda, viene richiesto che sia rivolta “l'istanza motivata e, in quanto possibile, documentata all'ufficio di polizia di frontiera” (17). Da ultimo, in tema di assistenza in materia di rifugiati, la legge autorizza il Ministero dell'Interno, nei limiti delle disponibilità iscritte per lo scopo nel bilancio dello Stato, a concedere ai richiedenti lo status di rifugiato, dietro domanda e accertata la mancanza di mezzi di sussistenza e di ospitalità in Italia, un contributo di prima assistenza per un periodo non superiore ai 45 giorni (art. 1 comma 7).

Pochi mesi dopo la promulgazione della legge, saranno adottati i decreti volti a dare attuazione alle deleghe contenute nella legge 39/90: il D.P.R. 1 maggio 1990, n. 136 volto a disciplinare gli aspetti procedimentali relativi alle richieste di riconoscimento dello status di rifugiato, con il quale viene istituita la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato e il D.M. 24 luglio 1990, n. 237, in tema di accoglienza, che specifica la misura e le modalità di erogazione del contributo previsto dall'art. 1 comma 7 della Legge Martelli. Il Regolamento fissa nella misura di “lire venticinquemila” il contributo giornaliero di prima assistenza, da erogarsi al richiedente in stato di indigenza, privo di mezzi di sussistenza o di ospitalità, che abbia formalmente presentato domanda ad un ufficio di polizia situato nel Comune nel quale abbia eletto domicilio. Requisito negativo per la riscossione del contributo la presenza del richiedente presso uno dei centri di accoglienza.

1.2. Criticità e contraddizioni: la tenuta del sistema di fronte alle prime “emergenze”

Con la legge Martelli l'Italia dava atto di essere divenuta un Paese di immigrazione. La norma rappresenta l'espressione politica e legislativa della svolta della fine degli anni '80. (18) Viene sancito il superamento della discriminazione previgente a danno del rifugiati non europei, che aveva provocato gravi conseguenze, tali da imporre in taluni casi una deroga alla riserva geografica. (19) Ben presto, tuttavia, l'impianto creato dalla normativa, ha rivelato le sue carenze e mostrato la necessità di implementazione di un sistema di accoglienza strutturato di fronte all'afflusso crescente di migranti alla ricerca di protezione sul territorio italiano.

I primitivi dispositivi materiali istituiti in tema di accoglienza, ovvero l'ospitalità presso centri governativi per richiedenti asilo e la corresponsione di un sussidio di prima necessità, non si dimostrarono adeguati. Il problema, a monte, attuale anche a distanza di quasi venticinque anni dalla sua prima emersione, discende dalla durata della procedura d'asilo, ossia il periodo compreso tra l'ingresso del richiedente e il provvedimento finale della Commissione. (20) Infatti, nonostante la questura fosse tenuta ad inoltrare entro sette giorni la documentazione istruttoria alla Commissione centrale, la quale a sua volta avrebbe dovuto adottare la decisione entro 15 giorni dal suo ricevimento, nella pratica le tempistiche venivano regolarmente disattese. (21) Puntualmente rispettato, d'altro canto, il termine massimo di erogazione del contributo ad opera della Prefettura, fissato inderogabilmente nella misura di quarantacinque giorni. Ad ogni modo, anche ipotizzando un coordinamento tra le tempistiche anzidette, il sussidio pubblico sarebbe bruscamente cessato una volta ottenuta la decisione da parte della Commissione, non venendo previste altre forme di sostegno per i titolari dello status di rifugiato. Sul fronte dell'accoglienza abitativa dei richiedenti, le difficoltà si aggravarono a seguito della chiusura del centro di Padriciano (Trieste) avvenuta nel 1980, quindi nel 1990 e 1991 di quelli di Latina e Capua. L'Italia, pur dimostrando di aver compiuto qualche passo in avanti, quantomeno nella previsione di un primitivo paniere di supporti, continuò a “considerare la questione dei rifugiati un aspetto marginale, non investendo nella professionalizzazione specifica dell'amministrazione pubblica e ancora meno nell'accoglienza e nell'assistenza all'integrazione”. (22) Rimane infatti irrisolto il passo successivo, l'emanazione di una legge sull'accoglienza dei rifugiati, come auspicato dalla stessa legge Martelli (art. 1 comma 7) e dal D.P.R. n. 237/1990, che dettano discipline medio tempore, una regolamentazione provvisoria in attesa dell'emanazione di “una nuova disciplina dell'assistenza in materia di rifugiati”.

Le criticità non tardano a manifestarsi con i primi flussi massicci verificatisi nel decennio degli anni '90 del secolo scorso. La crisi albanese del 1991 costringe migliaia di persone a lasciare il proprio territorio, nell'agosto dello stesso anno giungono sulle coste pugliesi circa 48.000 persone. La Puglia non disponeva di centri di accoglienza, che fu pertanto realizzata attraverso le reti informali del volontariato e delle parrocchie. Molti albanesi vennero rimpatriati, la maggioranza si disperse sul territorio senza essere registrata, altri vennero ammessi alla procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato. L'anno seguente prende avvio la drammatica e violenta guerra civile in Somalia, che da venticinque anni martoria la popolazione civile, di conseguenza la fuga verso Paesi sicuri. Negli stessi anni, la sfida più impegnativa per il sistema italiano di asilo e di accoglienza proviene dall'ex Jugoslavia, con un massiccio arrivo di sfollati durante la decada degli anni '90, conseguenza dello scoppio della guerra. La difficoltà della questione, sul piano giuridico, era data dalla mancata previsione di uno status cui potessero essere ricondotti i migranti: nonostante la legge Martelli vietasse esplicitamente il respingimento o l'espulsione dello straniero “verso uno Stato ove possa essere oggetto di persecuzioni per motivi di razza, sesso, opinioni politiche, condizioni personali o sociali”, nulla veniva disposto circa lo status dello straniero che non avesse i requisiti per essere considerato un rifugiato, né gli aspetti assistenziali della sua permanenza sul territorio. Per molti di coloro che erano arrivati nel nostro Paese mancava, infatti, a detta della Commissione centrale, l'elemento della persecuzione individuale, trattandosi di situazioni di conflitto o di instabilità diffusa, condivisi da una comunità di persone.

Il Governo italiano non rispose alla questione in modo organico, “affrontando il problema dell'assenza di una normativa organica o più in generale della mancanza di un vero e proprio sistema di accoglienza in Italia, preferendo ricorrere all'emanazione di leggi e decreti ministeriali ad hoc” (23). Riconobbe uno status umanitario di carattere temporaneo, obbedendo ad una logica emergenziale. Per risolvere la situazione di limbo giuridico in cui si trovavano i cittadini somali, ad esempio, destinatari di una decisione negativa da parte della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, il Governo decise di accordare loro il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di studio e lavoro della durata di un anno, rinnovabile alla scadenza nel caso dovessero perdurare le condizioni di impedimento al rimpatrio. (24) Stesso iter seguito per gli sfollati ex jugoslavi: inizialmente, con circolare del Ministero dell'Interno del 28 novembre 1991, venne accordato il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, quindi, ai sensi del D.L. 350/92, convertito dalla legge 24 settembre 1992, n. 390 concernente “Interventi straordinari di carattere umanitario a favore degli sfollati delle Repubbliche sorte nei territori della ex Jugoslavia”, venne estesa ad un anno la validità del permesso, che consentiva di accedere al lavoro o allo studio. Le “emergenze” continuarono, negli anni immediatamente seguenti vi fu nuovamente un'ondata massiccia dall'Albania, quindi la crisi kosovara determinata dallo scoppio della guerra. Come dimostra la storia fino ai giorni nostri, se si vuole utilizzare il termine emergenza, non resta che svuotarne il significato, riferendosi ad una “Emergenza continua”.

Sul piano dell'accoglienza, la legge 390/92 prevedeva all'art. 1 rubricato “Interventi straordinari”, il finanziamento di interventi volti a fronteggiare le esigenze degli sfollati, “connesse alla ricezione, al trasporto, all'alloggio, al vitto, al vestiario, all'assistenza igienico-sanitaria, all'assistenza socio-economica”, con un'attenzione particolare ai minori non accompagnati, individuando strutture pubbliche ove realizzare gli interventi, d'intesa con le amministrazioni competenti. Gli ingranaggi del sistema tuttavia faticavano a funzionare, solo poche migliaia di persone vennero ospitate in strutture di accoglienza predispose dal Ministero dell'Interno, la maggioranza non beneficiando di alcune forma di accoglienza. (25) Le carenze del sistema di accoglienza governativo vennero colmate, ancora una volta, a livello locale. Non solo attraverso le reti informali, bensì anche attraverso la realizzazione spontanea di micro sistemi di accoglienza supportati dagli Enti locali, che contenevano in nuce le basi dell'attuale sistema di accoglienza.

1.3. Dal progetto Azione Comune al Programma Nazionale Asilo

Nel luglio del 1999 l'esperienza isolata delle comunità virtuose che avevano spontaneamente predisposto forme di accoglienza integrata a favore dei soggetti rimasti esclusi dalle strette maglie del circuito di accoglienza governativo, assunse una dimensione strutturata grazie all'approvazione del progetto Azione Comune, avviato con il sostegno dell'Unione Europea e del Ministero dell'Interno in favore degli esuli kosovari. Il progetto venne affidato al Consiglio Italiano per i Rifugiati, che lo realizzò in partenariato con altre associazioni ed enti di tutela attivi sul fronte dell'accoglienza. Il progetto Azione Comune “ha rappresentato la sperimentazione di una metodologia in base alla quale si sono successivamente costituiti sistemi di accoglienza istituzionalizzati e più strutturati: il Programma nazionale asilo (Pna), poi evolutosi in Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar)”. (26)

Il sistema venne implementato sulla base di un principio di fondo, che regge peraltro l'attuale sistema di protezione, discendente diretto di tale impostazione: l'accoglienza integrata e decentrata. Ovvero comprendente un insieme di servizi (non solo vitto e alloggio, ma anche scuole per l'apprendimento della lingua italiana, l'assistenza legale, l'orientamento al lavoro, l'assistenza sanitaria e psicologica) e realizzato non in grandi centri, bensì in strutture di piccole e medie dimensioni, dislocate sul territorio nazionale. L'obiettivo era quello di promuovere un modello di accoglienza il più possibile rispondente alle esigenze di categorie diverse di beneficiari. (27) I minori non accompagnati, ad esempio, venivano accolti in apposite strutture, idonee a ricevere tale differenziata categoria di soggetti ed a rispondere ai relativi bisogni. Per la prima volta inoltre veniva assunta un'ottica di più ampio respiro rispetto alle politiche di stampo puramente assistenzialistico di breve termine, volgendo lo sguardo al post-accoglienza. Si delineò una scansione temporale agli interventi, che si andavano riducendo in maniera graduale, nell'ottica del raggiungimento di una situazione di autonomia. Venne per la prima volta effettuato un tentativo di superamento del modello emergenziale. Gli Enti locali assunsero un ruolo di primo piano: vennero coinvolti nel progetto 31 Comuni, distribuiti in 10 Regioni. (28)

Un limite importante era tuttavia rappresentato dall'assenza di una rete di coordinamento tra i vari soggetti coinvolti nel progetto. Il progetto Nausicaa, promosso nell'anno 2000 dal Consorzio Italiano di Solidarietà, in collaborazione con il Censis e l'UNHCR, nacque in risposta alla disorganicità dei progetti territoriali implementati, nell'ottica di costituire reti stabili, in grado di collegare attori pubblici e privati impegnati nel settore dell'accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, realizzando una prima mappatura completa dei servizi esistenti. (29) Dalla ricerca emersero le lacune del sistema di accoglienza, il cui onere ricadeva in primis sulle associazioni del privato sociale che gestivano più della metà dei centri di accoglienza nelle regioni meridionali. (30) Alla disorganicità del sistema, si sommava pertanto la disomogeneità territoriale, quanto allo standard di erogazione dei servizi.

I dati ottenuti e i primi sforzi compiuti nel segno della costituzione di una rete territoriale omogenea ed organica da parte dei progetti Azione Comune e Nausicaa, costituiranno le basi del processo di implementazione di un sistema integrato di accoglienza su base nazionale, di cui è pioniere il Programma Nazionale Asilo. Il PNA si collocava nel contesto di implementazione delle politiche comunitarie in materia di asilo, a seguito della decisione del Consiglio dell'Unione Europea n. 596 del 28 settembre 2000 con la quale venne istituito il Fondo Europeo per i Rifugiati (FER) volto a sostenere le azioni degli Stati membri nell'accoglienza, integrazione e rimpatrio assistito di richiedenti asilo e rifugiati. (31) Il programma prese avvio nel mese di ottobre del 2000 sulla base di un Protocollo d'intesa siglato da ANCI, UNHCR e Ministero egli Interni. La sua realizzazione previde il coinvolgimento di tre livelli di governo, nazionale, internazionale e locale, cui vennero assegnate rispettivamente funzioni di coordinamento, di indirizzo e operative. Seguendo una logica che informò per gli anni a seguire il sistema dello Sprar, i singoli Comuni vennero invitati a proporre progetti territoriali che furono valutati ai fini dell'ammissibilità: la base di partecipazione era volontaria. Vennero presentati 137 progetti da altrettanti Comuni capofila, di cui ne furono finanziati 53. (32)

Il modello di governance proposto dal PNA si poneva come innovativo rispetto alla ratio caratterizzante gli interventi precedenti: obiettivo primario era la realizzazione di una rete territoriale omogenea a livello nazionale, evitando una concentrazione maggiore di richiedenti asilo e rifugiati nelle tradizionali zone d'arrivo ovvero di permanenza (le aree metropolitane), coinvolgendo attivamente il maggior numero di Comuni dislocati sul territorio ove poter porre in essere attività di integrazione socio-economica per i beneficiari attraverso progetti di minore entità, quindi più efficienti. I servizi che gli Enti gestori del progetto erano tenuti ad implementare, fuoriuscivano da una logica di stampo puramente assistenzialistico, per rispondere ad un modello di accoglienza integrata: oltre al vitto e all'alloggio, i progetti garantivano assistenza sul piano delle procedure amministrative concernenti la richiesta di asilo, sostenevano e orientavano nell'accesso ai servizi pubblici di base, ai corsi di alfabetizzazione di lingua italiana e ai corsi di formazione e orientamento al mercato del lavoro. (33)

Il Programma Nazionale Asilo consentì di aprire una breccia nella logica di tipo emergenziale che permeava il sistema di accoglienza abbozzato dalle prime disposizioni normative in materia. Le novità ivi contenute informarono il successivo intervento legislativo, che diede una veste formale al sistema decentrato di interventi implementati a livello locale. Lungi dal congedare definitivamente l'originaria e costosa logica di stampo assistenzialista ed emergenziale, si vedrà nel prosieguo dell'analisi come essa, al contrario, non venga abbandonata, perennemente latente, venendo ciclicamente evocata di fronte alle mancanze strutturali del sistema asilo.

1.4. Dal Testo Unico sull'Immigrazione alla legge 30 luglio 2002, n. 189: nuove disposizioni in materia di accoglienza

Il D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, meglio noto come Testo Unico sull'Immigrazione, pur dotando l'ordinamento di un corpus normativo organico attinente alla condizione giuridica dello straniero e la disciplina del suo ingresso e soggiorno, non si occupa propriamente né di diritto di asilo né di status di rifugiato, alimentando il disorientamento e la asistematicità regnante in materia. (34) La norma abroga gran parte delle disposizioni della Legge Martelli ad eccezione dell'art. 1 concernente proprio i rifugiati e rinvia la disciplina del diritto d'asilo a futuri interventi legislativi di impronta organica, come noto mai adottati, limitandosi a dettare sporadiche disposizioni sul tema. Tra le più rilevanti, l'art. 19 a mente del quale “in nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione” e l'art. 10 comma 4 che determina l'inapplicabilità delle norme sul respingimento nei confronti di stranieri che abbiano presentato domanda di protezione internazionale, ovvero che abbiano ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato o altra forma di protezione temporanea per motivi umanitari. (35)

Quanto al raccordo con l'asilo costituzionale, nulla viene disposto. La normativa utilizza il termine 'asilo' con una formulazione ambigua, non caratterizzante una specifica forma di protezione. Si vennero quindi sviluppando due distinti procedimenti corrispondenti alle diverse forme di protezione: da un lato si confermava il necessario iter amministrativo per il riconoscimento dello status di rifugiato, la cui decisione è ricorribile in sede di giurisdizione ordinaria, mentre la domanda rivolta all'ottenimento di un permesso di soggiorno in attuazione dell'art. 10 comma 3 Cost., poteva direttamente essere proposta davanti al giudice ordinario. (36)

Il nuovo quadro normativo contiene inoltre importati disposizioni in tema di protezione umanitaria e temporanea. L'art. 5 comma 6 TU prevede la possibilità di rilasciare allo straniero un permesso di soggiorno per motivi umanitari qualora ricorrano “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”. Il chiaro riferimento agli “obblighi costituzionali”, potrebbe essere pacificamente interpretato in combinato disposto con l'art. 10 comma 3 della Costituzione, così dando voce all'asilo costituzionale, rimasto, nella pratica del diritto, sulla carta. Significativa inoltre ed, allo stesso tempo, indicativa della consapevole lacunosità del sistema, la previsione di chiusura contenuta nell'art. 20 TU che consente al Presidente del Consiglio dei Ministri di stanziare fondi al fine di fronteggiare misure straordinarie di accoglienza “per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità”. Il raccordo di queste norme con il tema della protezione internazionale è costante, la normativa interna in materia rinvia espressamente alla disposizione del Testo Unico concernente il permesso di soggiorno per motivi umanitari, al cui rilascio la Questura sarà tenuta in caso di raccomandazione in questo senso ad opera della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale (art. 32 comma 3, D.L.vo 25/2008).

L'eloquente silenzio inerente il tema del diritto di asilo non investe solamente la questione procedimentale, il legislatore evitando di adottare ancora una volta provvedimenti in tema di accoglienza. Decaduto l'unico tentativo concreto di definizione organica della materia con la presentazione di un disegno di legge governativo recante “Norme in materia di protezione umanitaria e di diritto di asilo”, nel 2002 viene approvato un importante intervento legislativo di modifica della normativa vigente in materia di immigrazione, contenente al suo interno disposizioni concernenti il diritto di asilo. La famigerata Legge 30 luglio 2002 n. 189, meglio nota come Bossi-Fini, ha rappresentato sotto diversi fronti un inasprimento della condizione giuridica dello straniero in Italia. (37) Il tema dell'asilo costituisce un punto a sé: è stato affrontato in via diretta, seppur non organica, e reca accanto a disposizioni di carattere restrittivo altre più garantiste, dettando un ordine nella procedura di riconoscimento dello status e gettando le basi per la realizzazione di un sistema di accoglienza a livello nazionale.

Il Capo II della L. 189/02 è dedicato alla materia dell'asilo. Mentre l'art. 31 reca disposizioni in materia di rilascio del permesso di soggiorno ai richiedenti asilo, l'art. 32, emendando alcuni articoli della Legge Martelli e introducendone di nuovi (artt. 1 bis - 1 septies), contiene importanti disposizioni in tema di procedura e di accoglienza. Sulla scorta dell'anzidetta impronta restrittiva dell'intervento normativo in oggetto, vengono per la prima volta introdotte disposizioni in tema di trattenimento del richiedente asilo in appositi Centri di Identificazione (CID), facoltativo laddove fosse emersa la necessità di identificare la nazionalità o l'identità della persona, per verificare gli elementi su cui si basa la domanda d'asilo ovvero il diritto del richiedente ad essere ammesso nello Stato, obbligatorio qualora il richiedente avesse presentato la domanda in condizioni di soggiorno irregolare ovvero fosse stato destinatario di provvedimenti di espulsione o respingimento (art. 1 bis L. 39/90). In quest'ultimo caso il trattenimento avrebbe dovuto attuarsi nei Centri di Permanenza Temporanea (CPT), in seguito sostituiti dagli attuali Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE). Sono stati espressi molti dubbi sulla costituzionalità della norma, in particolare non essendo il trattenimento nei CID sottoposto a convalida da parte del giudice. (38) La Bossi-Fini introduce inoltre una procedura semplificata per la definizione delle domande in caso di trattenimento obbligatorio dello straniero (art. 1 ter L. 39/90).

Quanto all'aspetto procedurale, l'art. 1 quater istituisce le Commissioni Territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato e ne determina la composizione, il funzionamento e le modalità di esame (39). La Commissione Nazionale non è quindi preposta all'esame delle domande, bensì svolge una funzione di indirizzo e coordinamento delle diverse Commissioni Territoriali, nonché di formazione e aggiornamento dei suoi componenti. Le viene poi attribuito potere decisionale in ordine alla revoca e cessazione degli status concessi. (40) Quanto alle decisioni adottabili dalle Commissioni, assai rilevante è la possibilità di valutare, anche senza istanza di parte, l'esistenza delle condizioni per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi dell'art. 5 comma 6 D.L.vo 286/98.

La disposizione maggiormente significativa attiene tuttavia all'ambito dell'accoglienza. Contestualmente all'istituzione dei Centri di identificazione, l'art. 32 della stessa L.189/02 istituisce un Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) a livello nazionale, improntato sulle buoni prassi messe in atto negli anni precedenti dagli enti locali più virtuosi nell'ambito del pionieristico Programma Nazionale Asilo. L'art. 1 sexies della L. 30/90, in questo senso, sancisce un passaggio importante in tema di accoglienza. Il Sistema di protezione è rivolto ai richiedenti asilo, rifugiati (in seguito al recepimento della normativa europea ai titolari di protezione internazionale, ovvero di status di rifugiato o protezione sussidiaria) e stranieri destinatari di altre forme di protezione umanitaria. Il sistema, come si vedrà in modo approfondito in seguito, si pone in continuità con le esperienze precedentemente sperimentate di accoglienza locale e decentrata, mirando alla costituzione di una rete capillare di progetti gestiti a livello locale volti alla realizzazione di interventi non solo di prima accoglienza, bensì volti all'inserimento socio-economico del richiedente e del titolare di protezione.

Al fine di dare attuazione allo Sprar viene istituito un Fondo presso il Ministero dell'Interno volto al finanziamento delle politiche e i servizi dell'asilo (art. 1 septies L. 39/90) e viene istituito un servizio centrale di “informazione promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali”, incaricato di una serie di compiti volti alla razionalizzazione e ottimizzazione del sistema di protezione. Il servizio sarà affidato all'ANCI.

2. Il ruolo dell'Ue nelle politiche in materia di asilo

2.1. La realizzazione di un Sistema Europeo Comune di Asilo (CEAS)

L'analisi del quadro normativo interno in materia di asilo non può esimersi da un approfondito studio del contesto sovranazionale, in particolare europeo. Contestualmente all'evoluzione fino ad ora analizzata delle politiche e della normativa, l'Italia, a partire dalla fine degli anni '80 del secolo scorso, partecipa ai primi trattati infraeuropei incidenti anche sulla materia della protezione politico-umanitaria aderendo tanto all'Accordo di Schengen del 1985 quanto alla Convenzione di Dublino del 1990. (41) Il primo muove dal dibattito sorto sul finire degli anni '80 riguardante il concetto di libertà di movimento delle persone all'interno dell'Unione e portò all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni. Con l'entrata in vigore della Convenzione di Schengen nel 1995, di ratifica dell'Accordo del 14 giugno 1985, venne sancita l'abolizione delle frontiere interne degli Stati firmatari, creando un'unica frontiera esterna dove i controlli delle migrazioni sarebbero avvenuti sulla base di regole comuni riguardanti il tema dei visti d'ingresso, soggiorni brevi, controlli alle frontiere e richieste di asilo. (42) Quanto a quest'ultimo aspetto, la Convenzione gettava le basi per la determinazione dello Stato competente ad esaminare la domanda di asilo presentata all'interno dell'aerea Schengen. La questione sarà affrontata specificamente nella Convenzione di Dublino siglata il 15 giugno 1990 ed entrata in vigore nel 1997 per gli Stati firmatari (43). La Convenzione di Dublino si propone di dare risposta a due fenomeni, conseguenza indiretta del sistema Schengen. Il primo, noto come asylum shopping, consistente nella tendenza dei richiedenti asilo a ricercare lo Stato membro che offra condizioni più permissive per il conferimento dello status. Il secondo volto a risolvere il fenomeno dei 'rifugiati in orbita', imponendo che sussista in capo a un determinato Stato membro l'obbligo di esaminare una domanda asilo, evitando che la competenza venga rimbalzata di Stato in Stato, senza alcuna presa di responsabilità.

La Convenzione di Schengen e quella di Dublino rappresentano i primi passi compiuti nella direzione di un sistema destinato a plasmare le modalità di accesso ed il contenuto del diritto di asilo nell'Unione Europea. Questo indirizzo viene formalmente sancito con l'introduzione nel Trattato istitutivo della Comunità Europea di un nuovo Titolo IV relativo a “visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone” operata nel 1997 tramite il Trattato di Amsterdam: prende avvio la cosiddetta “comunitarizzazione” della materia, ovvero il passaggio della materia dall'aera intergovernativa alla competenza comunitaria. (44) In particolare l'art. 63 TCE prevede che, entro un periodo di cinque anni dall'entrata in vigore del Trattato, vengano adottate “misure in materia di asilo, a norma della Convenzione di Ginevra del 1951” concernenti criteri e meccanismi per la determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di asilo, norme minime relativa all'accoglienza dei richiedenti asilo, all'attribuzione della qualifica di rifugiato e alle procedure applicabili per la concessione e la revoca dello status, nonché norme per assicurare protezione temporanea agli sfollati di Paesi terzi e la promozione di un equilibrio degli sforzi tra Stati membri nella gestione dell'accoglienza di rifugiati e sfollati. (45) L'art. 63 TCE costituisce la base giuridica dei successivi interventi legislativi comunitari inerenti il tema della protezione internazionale. Alla stregua dell'art. 63 par. 1 del Trattato saranno emanate quattro Direttive che daranno origine ad un livello di armonizzazione minimo della disciplina dell'asilo a livello europeo, ferma restando la possibilità da parte dei singoli Stati membri di derogare in melius le norme minime. (46)

Nel 1999 si tiene il Consiglio europeo di Tampere da cui scaturiranno importanti conclusioni sul tema dell'asilo. In particolare viene introdotto per la prima volta il concetto di Common European Asylum System (CEAS), di cui viene auspicata una pronta definizione:

Il Consiglio europeo ribadisce l'importanza che l'Unione e gli Stati membri riconoscono al rispetto assoluto del diritto di chiedere asilo. Esso ha convenuto di lavorare all'istituzione di un regime europeo comune in materia di asilo, basato sull'applicazione della Convenzione di Ginevra in ogni sua componente, garantendo in tal modo che nessuno venga esposto nuovamente alla persecuzione, ossia mantenendo il principio di non-refoulement. (par. 13, Conclusioni del Consiglio Europeo di Tampere, 15-16 Ottobre 1999).

Il sistema così delineato dovrebbe garantire, in termini brevi, chiarezza nella determinazione dello Stato membro responsabile per l'esame della domanda di asilo, standard comuni in materia di accesso alla procedura, condizioni minime di accoglienza dei richiedenti asilo e una definizione della procedura di riconoscimento e del contenuto dello status di rifugiato. È inoltre prevista la necessità di introdurre altre misure concernenti forme di protezione sussidiaria che garantiscano uno status da attribuire alle persone alla ricerca di tale altra forma di protezione, nonché strumenti di protezione temporanea in caso di afflussi massicci di rifugiati e sfollati. Da ultimo il Consiglio auspica una pronta implementazione del sistema di identificazione dei richiedenti asilo (Eurodac) (47).

Nell'arco del quinquennio successivo saranno adottati atti normativi di fondamentale importanza che hanno gettato le basi del Sistema Comune di Asilo: il Regolamento di Dublino n. 343/2003, che andrà a sostituire la Convenzione di Dublino del 1990, concernente i criteri e i meccanismi volti alla determinazione dello Stato membro competente per l'esame della domanda, la Direttiva 2003/9/CE relativa alle misure minime per l'accoglimento dei richiedenti asilo (Direttiva Accoglienza), la Direttiva 2004/83/CE relativa all'attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale (Direttiva Qualifiche), la Direttiva 2005/85/CE sulle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato (Direttiva Procedure). Rilevante anche le Direttiva 2001/55/CE del 21 luglio 2001 sulle misure di afflusso massiccio di sfollati.

Terminato il completamento di questa prima fase di armonizzazione, la Comunità Europea ritenne necessario avviare una riflessione al fine di determinare in quale direzione il CEAS dovesse muoversi. Nel 2007, con l'elaborazione del Green Paper (48) sul futuro regime comune in materia di asilo, prende avvio la seconda fase di implementazione del Sistema Comune. Il documento, elaborato dalla Commissione Europea, si pone alla base delle pubbliche consultazioni che hanno visto il coinvolgimento di esponenti di governo ed organizzazioni non governative, sulla scorta della quale la stessa Commissione Europea ha approvato un Piano Strategico sull'Asilo, presentato nel Giugno del 2008. Qui vengono individuati i tre pilastri sulla cui base sviluppare il sistema: rafforzare l'armonizzazione degli standard di protezione avvicinando ulteriormente la legislazione in materia di asilo degli Stati membri; garantire e supportare una cooperazione effettiva tra gli stessi; incrementare la solidarietà ed il senso di responsabilità tra gli Stati membri e tra gli Stati Europei ed extra-Europei. (49) Il documento si pone in termini programmatici, dettando i passi da compiere per raggiungere gli obiettivi prefissati. Premesso che gli strumenti legislativi messi in campo nella prima fase del CEAS possano considerarsi un importante traguardo, la Commissione evidenzia come la determinazione di standard minimi uniformi non sia sufficiente per gettare basi solide. Risulta necessario emendare la legislazione vigente e considerare nuovi strumenti che permettano di raggiungere un grado maggiore di armonizzazione e di innalzamento degli standard minimi. (50) La seconda fase del CEAS viene confermata dal Programma di Stoccolma del 2009 e con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona nello stesso anno, l'art. 67 TFUE sottolinea che la realizzazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia deve avvenire sviluppando tra l'altro una “politica comune” in materia di asilo (e non più norme minime). (51)

In conseguenza di tali assunti, vengono emendate le tre sopracitate direttive, cardine del sistema, attraverso la tecnica della rifusione. Con la Direttiva Procedure 2013/32/UE si mira a rendere più eque, celeri ed efficienti le decisioni sul riconoscimento della domanda di protezione internazionale. Vengono inoltre introdotte disposizioni specifiche in favore di richiedenti asilo con bisogni speciali, in particolare minori non accompagnati e vittime di tortura. La Direttiva Accoglienza 2013/33/UE si propone di assicurare condizioni di accoglienza uniformi nei diversi Paesi membri, assicurando che i richiedenti abbiano accesso all'alloggio, al vitto, all'assistenza sanitaria e psicologica. La nuova Direttiva Qualifiche 2011/95/UE, infine, cerca di realizzare un maggior ravvicinamento delle norme relative al riconoscimento e agli elementi essenziali della protezione internazionale, uniformando il trattamento dei beneficiari dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria. Solo quest'ultima, ad oggi, è stata recepita dall'Italia nel proprio ordinamento interno con il D.L.vo n. 18/2014 che ha modificato diverse disposizioni del D.L.vo n. 251/07. Rientra nel piano strategico in cui si colloca la seconda fase del processo di realizzazione del Sistema Europeo Comune di Asilo la revisione dei due Regolamenti vigenti in materia: viene approvato il Regolamento di Dublino III n. 604/2013, in vigore dal 1 gennaio 2014 in sostituzione del precedente Regolamento di Dublino II, ed il Regolamento EURODAC (European Dactyloscopie) n. 603/2013, applicabile dal 20 luglio 2015, una banca dati centrale in cui vengono registrate le generalità di chiunque attraversi irregolarmente le frontiere di uno Stato membro. I due Regolamenti non modificano la sostanza del Sistema Dublino, di cui sono parte integrante, limitandosi ad apportare alcuni miglioramenti.

3. Il diritto comunitario derivato e il suo recepimento nell'ordinamento interno

L'impianto sopra descritto ha informato tutta la normativa in materia di diritto alla protezione internazionale. Di qui in avanti il legislatore nazionale ha operato 'a valle', recependo la normativa di rango comunitario nell'ordinamento interno, senza procedere a una risistemazione organica della disciplina. I tre pilastri che sorreggono il sistema di asilo ordinario in Italia sono costituiti dai decreti legislativi di recepimento delle direttive europee in materia di accoglienza, qualifiche e procedure, rispettivamente il D.L.vo n. 140/05 che attua la direttiva 2003/9/CE, il D.L.vo n. 251/07 di attuazione della direttiva 2004/83/CE (poi rifusa dalla direttiva 2011/95/UE) e il D.L.vo n. 25/08 di attuazione della direttiva 2005/85/CE. Quanto all'accoglienza straordinaria il riferimento normativo deve individuarsi nel D.L.vo n. 85/03, nonché nell'art. 20 del Testo Unico sull'Immigrazione. Vista la mancanza di organicità della normativa interna in materia di asilo, per un corretto inquadramento dei diversi istituti si rivela necessario da parte dell'interprete una lettura integrata data dal combinato disposto delle diverse norme disciplinanti la medesima materia.

Esamineremo brevemente in primis i principali atti normativi emanati a livello comunitario inerenti il tema dell'accoglienza dei richiedenti e titolari di protezione internazionale, per verificarne il recepimento nell'ordinamento interno e delineare il quadro normativo vigente. A seguito dell'analisi nella Direttiva 2001/55/CE in materia di protezione temporanea e del decreto legislativo di attuazione, un'attenzione particolare verrà rivolta alla Direttiva 2003/9/CE che stabilisce norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati Membri, cui seguirà lo studio della sua implementazione sul territorio nazionale e il suo impatto da un punto di vista sociologico. Si esaminerà infine la nuova Direttiva 2013/33/UE in materia di accoglienza, non ancora recepita dall'Italia, ma alla quale dovrà uniformarsi entro il termine del 20 luglio 2015.

3.1. La normativa in materia di protezione temporanea

La prima disposizione attuata tra quelle previste dall'art. 63 del Trattato di Amsterdam concerne l'adozione di misure rivolte ai rifugiati e sfollati al fine di assicurare loro una protezione temporanea realizzando un bilanciamento di sforzi tra i diversi Stati membri quanto agli oneri a carico dei rispettivi sistemi di accoglienza (burden sharig). L'accelerazione, che ha portato all'elaborazione in tempi rapidi della normativa in oggetto, trova origine nella “preoccupante situazione degli sfollati” nell'ambito del conflitto nell'ex Jugoslavia, che rende indifferibile la previsione di “un dispositivo eccezionale di protezione temporanea, che garantisca una tutela immediata e transitoria a tali persone in modo da prevenire il rischio che il sistema d'asilo subisca disfunzioni pregiudizievoli” (52). Il sistema si propone di introdurre speciali disposizioni che siano in grado di velocizzare il processo decisionale in materia di accoglienza temporanea, così da evitare l'applicazione dei più onerosi meccanismi preposti per i richiedenti asilo 'ordinari' e il collasso del sistema di fronte ad eventi eccezionali. (53) I concetti chiave della normativa sono sintetizzabili in questi termini: eccezionalità ed immediatezza.

Per raggiungere gli obiettivi sopra menzionati, il 21 Luglio 2001 il Consiglio Europeo adotta una “Direttiva sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi” (Direttiva 2001/55/CE). Sulla base di quanto disposto, l'esistenza di un afflusso massiccio di sfollati viene accertata dal Consiglio su proposta della Commissione, la quale dovrà indicare la descrizione dei gruppi specifici di persone cui si applicherà la protezione temporanea, la data di decorrenza della protezione e una stima della portata dei movimenti degli sfollati. (54)

Venendo agli obblighi in capo ai singoli Stati membri, la direttiva prevede che essi prendano le misure necessarie per la concessione di un titolo di soggiorno temporaneo, consentano agli sfollati di svolgere un'attività lavorativa. Gli Stati devono poi garantire che essi vengano “adeguatamente” alloggiati e ricevano un'assistenza sociale, contributi al sostentamento e cure mediche. La durata della protezione temporanea viene fissata nella misura di un anno, con possibilità di proroga di sei mesi in sei mesi per un altro anno. Disposizioni particolari vengono inoltre rivolte ai soggetti vulnerabili e portatori di esigenze particolari (i minori non accompagnati e le persone che abbiano subito torture, stupri o altre gravi forme di violenza psicologica, fisica o sessuale). Quanto al raccordo con il sistema 'ordinario' di asilo, viene garantita la possibilità di presentare in qualsiasi momento una domanda d'asilo da parte degli sfollati, salva la facoltà per gli Stati membri di disporre che il beneficio della protezione temporanea non sia cumulabile con lo status di richiedente asilo durante il periodo di esame della domanda. L'aspetto del burden sharing, ovvero della ripartizione dei costi, sia finanziari che sociali dell'accoglienza, non viene eluso (55): dal punto di vista economico viene previsto un impegno di spesa nell'ambito del Fondo Europeo per i Rifugiati, istituito con decisione 2000/596/CE allo scopo di costituire uno strumento di perequazione degli oneri finanziari tra gli Stati membri. Quanto al secondo aspetto, si chiede che gli Stati membri cooperino tra loro per il trasferimento della residenza delle persone che godono della protezione temporanea da uno Stato membro all'altro, a condizione che le persone interessate abbiano espresso il loro consenso a tale trasferimento. Si noti che gli Stati sono in via preliminare tenuti ad accertare la volontà delle persone ad essere accolte nel proprio territorio.

La direttiva è stata accolta con favore da parte degli enti sovranazionali posti a tutela dei diritti dei rifugiati, salvo rimarcare l'importanza della sussistenza dell'elemento dell'eccezionalità della situazione quale requisito imprescindibile per l'attivazione del sistema della protezione temporanea. La questione inerisce la definizione di “afflusso massiccio” di sfollati: non può trattarsi di una definizione in termini assoluti, sottolinea l'UNHCR in una nota di commento alla bozza della Direttiva, bensì in relazione alle condizioni strutturali di un determinato sistema di accoglienza. (56) La direttiva non chiarisce quali siano i parametri. Ciò che si vuole evitare, in definitiva, è un abuso dello strumento e un suo utilizzo ordinario, al fine di eludere le garanzie inerenti la procedura di richiesta asilo e, soprattutto, attivare risorse finanziarie straordinarie.

Come noto, quanto alla natura delle disposizioni contenute nella Direttiva, essa introduce standard minimi, derogabili in melius dai singoli Stati membri attraverso l'introduzione di disposizioni di maggior favore per i beneficiari della protezione accordata. L'Italia ha recepito la Direttiva 2001/55/CE con il D.L.vo 7 aprile 2003, n. 85. Il decreto disciplina in modo dettagliato le condizioni e i criteri per la concessione della protezione temporanea nell'ambito di una procedura di carattere eccezionale. L'art. 1 del suddetto decreto rinvia espressamente all'art. 20 del Testo Unico sull'immigrazione, a mente del quale il Presidente del Consiglio dei Ministri ha facoltà di attivare misure di protezione temporanea per “rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all'Unione Europea” attraverso lo stanziamento di risorse preordinate allo scopo nell'ambito del Fondo nazionale per le politiche migratorie. La procedura prevista dal D.L.vo 85/03 pertanto si discosta dalla facoltà autonoma del Governo di attivare la procedura d'emergenza in quanto nel primo caso l'adozione del decreto è vincolato ad un accertamento ad opera del Consiglio dell'Unione Europea circa l'esistenza di un “flusso massiccio di sfollati” ai sensi dell'art. 5 della Direttiva 2011/55/CE.

Quanto al contenuto della protezione, l'ordinamento recepisce le disposizioni contenute nella Direttiva, prevedendo che agli sfollati venga rilasciato un permesso di soggiorno esteso allo studio e al lavoro, vengano predisposte misure assistenziali per l'alloggio, assistenza sociale e cure mediche. I soggetti ammessi alle misure di protezione possono presentare istanza di asilo, salva l'incompatibilità delle due forme di protezione che determina la sospensione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato nelle more della permanenza della protezione temporanea. (57) Sono previste, sulla scorta di quanto indicato nella norma recepita, cause di esclusione dalla protezione nonché la possibilità di proporre ricorso avverso il diniego. Quanto alla possibilità di presentare istanza di ricongiungimento familiare, si noti che l'art. 29 comma 10 TU colloca tra i soggetti non titolati per la proposizione della domanda “gli stranieri destinatari delle misure di protezione temporanea, disposte ai sensi del D.L.vo n. 85/03, ovvero delle misure di cui all'art. 20”. (58)

La norma, pur costituendo un importante tassello del quadro normativo vigente in materia di protezione umanitaria e internazionale, ha un impatto minore nella prassi italiana, non essendo mai stata applicata. In occasione della cosiddetta “Emergenza Nord-Africa” dei primi mesi del 2011, la richiesta del Governo di applicazione della Direttiva non ha avuto seguito, pertanto venne seguita la via delle misure straordinarie ai sensi dell'art. 20 D.L.vo 286/98 in un'ottica sganciata dal coordinamento europeo (59). L'accertamento di un flusso massiccio di sfollati da parte del Consiglio, su proposta della Commissione, che recepisce eventuali proposte degli Stati membri, avrebbe infatti determinato un obbligo di accoglienza nei confronti degli Stati membri. Le Istituzioni europee sono restie a compiere un passo in questo senso, che comporterebbe l'ingresso di un considerevole numero di stranieri all'interno del territorio dell'Unione (60), preferendo che i singoli Stati membri ricorrano alle forme di protezione umanitaria previste in via residuale nel proprio ordinamento interno.

3.2. La Direttiva 2003/9/CE, Direttiva Accoglienza ...

Il 27 gennaio 2003 il Consiglio approva la Direttiva 2003/9/CE recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. È significativo il fatto che la Direttiva in oggetto venga emanata in via prioritaria rispetto alle altrettanto fondamentali e forse preliminari norme recanti la definizione delle qualifiche e l'accesso alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale. Ciò indica un'attenzione particolare all'ambito dell'accoglienza, di grande importanza e problematicità visti i “particolarissimi connotati del bisogno di accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale” (61), tale da dover essere regolamentato in via prioritaria. I richiedenti asilo sono spesso persone che si trovano in condizioni di deprivazione economica e sociale non sperimentate prima, che hanno subito vicende di persecuzione personale o che sono da poco fuggite da situazioni di violenza generalizzata a causa di conflitti armati. Sono persone che portano sul corpo e nella mente segni indelebili del proprio vissuto e che necessitano di assistenza sanitaria, soprattutto sul fronte psicologico, talvolta psichico. Si tratta di persone che tendenzialmente non hanno una rete di supporto familiare o informale che possa sostenerli ed assisterli nell'imminenza dell'arrivo e nelle more della procedura dalle incerte tempistiche volta al conseguimento di una decisione circa la richiesta di riconoscimento di una forma di protezione. Sono pertanto, diversamente dalla generalità della popolazione migrante, titolari di un diritto all'accoglienza.

L'obiettivo della direttiva volta a delineare standard minimi nei sistemi di accoglienza per i richiedenti asilo dei Paesi membri, in linea con l'indirizzo politico espresso dal programma di Tampere che pone le basi per l'avvio della prima fase del regime europeo comune di asilo, si colloca in continuità con il coetaneo Regolamento di Dublino n. 343/2003 laddove l'armonizzazione delle condizioni di accoglienza “dovrebbe contribuire a limitare i movimenti secondari dei richiedenti asilo dovuti alla varietà delle condizioni di accoglienza”. (62) La presente direttiva sarà rifusa nella nuova direttiva accoglienza 2013/33/UE che rientra nella seconda fase di attuazione del Sistema Europeo Comune di Asilo, come previsto dal Programma di Stoccolma approvato nel 2010, che segna il passaggio verso una politica comune: si passa dalle norme minime alle norme comuni. (63)

Venendo ad una breve analisi dei contenuti della direttiva, l'art. 2 lett. c) ne chiarisce l'ambito di applicazione individuando quali destinatari delle misure i richiedenti asilo, dal momento in cui presentano la domanda di protezione internazionale a norma della Convenzione di Ginevra, fino a quanto è presa una decisione definitiva sulla domanda. Si noti che al momento dell'adozione della direttiva, non era ancora stata introdotto il concetto di protezione sussidiaria, inserito ad opera della Direttiva Qualifiche del 29 aprile 2004. Quasi la totalità degli Stati membri tuttavia ha interpretato in via estensiva il concetto di richiedente asilo, di fatto sostituendolo con quello di “richiedente protezione internazionale”. (64) Il capo più rilevante della direttiva attiene alle condizioni generali di accoglienza, ove sono disciplinati i doveri di informazione (art. 5), documentazione (art. 6), residenza e libera circolazione (art. 7), nucleo familiare (art. 8), esami medici (art. 9), scolarizzazione e istruzione dei minori (art. 10), lavoro (art. 11), formazione professionale (art. 12), nonché disposizioni generali e specifiche relative alle condizioni materiali di accoglienza e all'assistenza sanitaria. La direttiva, al Capo IV, impone agli Stati membri di prendere in considerazione gli specifici bisogni dei soggetti portatori di esigenze particolari, anche definiti soggetti vulnerabili, attraverso l'adozione di misure ad hoc. Sul piano procedimentale, vengono infine affrontati i temi della riduzione o revoca delle condizioni di accoglienza (Capo III), nonché i mezzi di ricorso avverso le decisioni negative relative alla concessione dei benefici di cui alla presente direttiva (Capo V).

Dedicando maggiore spazio ai fini del presente lavoro al recepimento della direttiva ad opera del legislatore italiano, ci si limiterà a una sommaria riflessione critica del testo e del tenore della stessa Direttiva 2003/9/CE. Come riportato ad opera della Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo sull'applicazione della direttiva del 26.11.2007, per quanto il recepimento da parte degli Stati membri possa essere considerato nel complesso soddisfacente, “è emerso chiaramente che l'ampio potere discrezionale lasciato dalla direttiva, in particolare per quanto riguarda l'accesso all'occupazione e all'assistenza sanitaria, il livello e la forma delle condizioni materiali di accoglienza, i diritti di libera circolazione e le esigenze delle persone vulnerabili, contrasta con l'obiettivo di creare condizioni uniformi nel campo delle condizioni di accoglienza”. (65) Diversi Stati membri infatti hanno consentito l'accesso solo alle prestazioni di pronto soccorso in ambito sanitario e, sul fronte lavorativo, metà di essi autorizza l'accesso al mercato di lavoro solamente dopo il periodo massimo autorizzato, ossia un anno. Assai problematico infine l'aspetto relativo alla identificazione delle persone vulnerabili, portatrici di esigenze particolari: laddove non siano regolate le procedure per il riconoscimento delle vulnerabilità, sarà violato il conseguente obbligo di assicurare loro un trattamento speciale. (66)

3.3. ... e il suo recepimento nell'ordinamento interno con il D.L.vo 30 maggio 2005, n. 140

L'Italia recepisce la Direttiva Accoglienza con il D.L.vo n. 140/2005. Prima di procedere ad un esame dettagliato della norma, si tenga presente che l'analisi a seguire non si addentrerà nella giungla delle prassi (spesso illegittime) e dei diritti non rispettati, cui non potranno evitarsi brevi cenni, limitandosi ad uno scrupoloso esame della norma sulla carta. In seguito verrà dato spazio al diritto vivente e al suo impatto da un punto di vista sociologico. Come anticipato, il decreto in oggetto si colloca in un contesto anteriore rispetto al decreto qualifiche che introduce il concetto di protezione sussidiaria accanto allo status di rifugiato, pertanto i riferimenti al “richiedente asilo” sono da leggersi alla luce della normativa più recente. Ai fini di comporre un quadro complessivo della normativa in materia di accoglienza, inoltre, sarà necessaria una lettura combinata con quanto disposto in merito dal D.L.vo n. 251/07 e dal D.L.vo n. 25/08, nonché dal Testo Unico sull'Immigrazione e dalle legislazioni di settore e disposizioni contenute in decreti e circolari ministeriali.

Secondo quanto indicato dalla direttiva, l'accoglienza di cui trattasi copre l'arco temporale compreso la domanda di protezione internazionale e la decisione al riguardo. Ricevuta la domanda, la Questura è tenuta ad adempiere agli obblighi di informazione (art. 3) e di documentazione (art. 4). Quanto al primo, viene previsto un dovere di informativa nei confronti del richiedente, al quale verrà consegnato un opuscolo informativo, in merito alle condizioni di accoglienza. Allo stesso sarà rilasciato, “entro tre giorni dalla presentazione della domanda, un attestato nominativo, nonché, entro venti giorni dalla presentazione della domanda, il permesso di soggiorno per richiesta asilo”. Nel caso in cui il richiedente sia destinatario di una misura di trattenimento, l'unica documentazione di cui sarà titolare fino all'assunzione di una decisione definitiva in merito sarà l'attestato nominativo, certificante la qualità di richiedente asilo presente nel centro di identificazione (67) ovvero nel centro di identificazione ed espulsione. Sul piano del recepimento sulla carta della direttiva, la disciplina italiana rispetta la norma europea, prevedendo anzi una tutela maggiore rispetto a quella minima richiesta laddove non prevede eccezioni al rilascio di documenti di soggiorno e prevedendo che le informazioni debbano essere sempre date per iscritto. Altra, vedremo essere la prassi.

L'accesso alle misure di accoglienza è garantito in presenza di determinati requisiti di ordine personale e temporale. Salvo i casi di trattenimento, il richiedente asilo “che risulta privo di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata per il sostentamento proprio e dei propri familiari” avrà accesso alle misure di accoglienza. (68) Il parametro per stabilire la sufficienza dei mezzi di sostentamento è da riferirsi ai criteri relativi al soggiorno per motivi di turismo. (69) Quanto alle tempistiche, l'accesso all'accoglienza viene subordinato al rispetto del termine di 8 giorni dall'ingresso dello straniero nel territorio nazionale, in forza di un rinvio al limite temporale stabilito dal TUI per la richiesta di rilascio del primo permesso di soggiorno. In caso di richiedente sur place il dies a quo decorre dal verificarsi dei motivi di persecuzione addotti nella domanda. L'onere della prova del rispetto del termine viene posto a carico del richiedente protezione internazionale. Si vedrà come nella prassi tale termine non venga di norma rispettato, a causa delle situazioni spesso emergenziali degli arrivi dei richiedenti asilo sul territorio nazionale. A ciò si aggiunga la rilevante discrasia tra il momento in cui l'interessato dichiara all'autorità competente di voler presentare una domanda di protezione internazionale e il momento in cui la stessa autorità 'accetta' di ricevere tale domanda, attraverso la sua verbalizzazione (70), con ripercussioni di grave entità in termini di effettività della tutela del richiedente. Al fine di accedere alle misure di accoglienza, il richiedente è tenuto a redigere apposita richiesta al momento della presentazione della domanda, previa dichiarazione di essere privo dei mezzi di sussistenza (art. 6 comma 1). Seguirà l'invio, qualora vi sia disponibilità, all'interno del Sistema di Protezione dei Richiedenti Asilo e dei Rifugiati, ovvero, in caso di indisponibilità, presso Centri di identificazione o strutture adibite all'accoglienza. Nel caso in cui anche questi ultimi avessero a loro volta esaurito la capacità ricettiva, al richiedente indigente verrà corrisposto un contributo di prima necessità, come previsto ai sensi dell'art. 1 sexies comma 3, lett. c) del D.L. n. 416/89, la cui erogazione sarà limitata al tempo strettamente necessario ad acquisire la disponibilità presso un centro di accoglienza.

Il soggetto preposto alla gestione dell'individuazione delle strutture di accoglienza e degli invii presso gli stessi è la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo. La Questura, ricevuta la domanda, provvederà alla trasmissione della documentazione alla Prefettura la quale, a sua volta, accertata l'insufficienza dei mezzi di sussistenza, valuterà la disponibilità di posti all'interno del sistema di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati o, in subordine, nei centri d'accoglienza o in altra struttura. Individuata la struttura, la Prefettura comunicherà alla Questura e alla Commissione Territoriale competente l'indirizzo della stessa, che “costituisce il luogo di domicilio del richiedente [...] dove verranno indirizzati la notifica e la comunicazione degli atti relativi al procedimento”. (71) Tali strutture devono garantire ai richiedenti protezione internazionale ivi ospitati una serie di servizi, in particolare “la tutela della vita e del nucleo familiare, ove possibile” e “la possibilità di comunicare con i parenti gli avvocati, nonché i rappresentanti dell'UNHCR” (art. 9 comma 1). Chi si trova all'interno di un Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE), invece, farà capo alle disposizioni contenute nel Testo Unico. Quanto all'aspetto della vita familiare, l'indicazione contenuta nel decreto accoglienza risulta essere meno garantista rispetto a quanto disposto nella Direttiva accoglienza laddove auspica la messa in atto di misure idonee alla tutela dell'unità del nucleo familiare. (72) Dal tenore letterale del decreto emerge che la garanzia di convivenza dei familiari non è assoluta.

Volgendo lo sguardo alle modalità di erogazione dei servizi, il decreto sottolinea l'aspetto qualitativo degli stessi: non solo in termini di erogazione materiale di servizi, ma dettando disposizioni anche in materia di risorse umane. (73) I minori sono destinatari di misure ad hoc, volte a dare attuazione al principio di fondo sancito dall'art. 18 della stessa Direttiva 2003/9/CE secondo cui “il prevalente interesse del minore costituisce un criterio fondamentale”. I minori, anche prescindendo dalla questione dell'unità familiare, godono di una particolare tutela in quanto qualificati come 'persone vulnerabili', pertanto destinatari di condizioni di accoglienza speciali. In termini più specifici, per quanto riservato ai minori, viene sancito il diritto/dovere all'istruzione scolastica. Peculiare infine il caso dei minori stranieri non accompagnati (MSNA), per la disciplina del quale il decreto prevede disposizioni specifiche. Ad essi sono infatti riservati specifici programmi di accoglienza all'interno di strutture dello Sprar, implementati ad opera degli enti locali interessati. È inoltre prevista l'attuazione di programmi volti a rintracciare i familiari dei minori non accompagnati, sulla base di convezioni stipulate dal Ministero dell'Interno con l'Organizzazione Italiana delle Migrazioni ovvero con la Croce Rossa Italiana.

L'art. 8 del decreto reca diposizioni particolari per l'accoglienza delle persone portatrici di esigenze particolari, i cosiddetti soggetti 'vulnerabili' come definiti ai sensi dell'art. 17 della Direttiva Accoglienza laddove sancisce che “gli Stati Membri tengono conto della specifica situazione di persone vulnerabili quali i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale”. In particolare per tali soggetti è prevista l'attivazione di supporti maggiormente significativi sul fronte dell'assistenza sanitaria e psicologica dati i peculiari percorsi di grave sofferenza fisica e/o psichica vissuti. È comunque assicurata, anche ai richiedenti asilo ordinari, l'iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, da operarsi a cura del gestore del servizio di accoglienza. Il decreto n. 140/05, in questo senso, garantisce una tutela maggiore rispetto a quanto richiesto nella direttiva, ispirata ad una logica di assistenza minimale (74) laddove stabilisce che i richiedenti devono ricevere “la necessaria assistenza sanitaria che comprende quanto meno le prestazioni di pronto soccorso e il trattamento essenziale delle malattie” (75). Anche su questo fronte, tuttavia, vedremo come l'iscrizione al SSN sia dipendente dalla formalizzazione della richiesta di protezione internazionale, variabile nella prassi delle diverse Questure, ciò comportando nelle more l'assistenza sanitaria del richiedente attraverso il tesserino STP (straniero temporaneamente presente) che garantisce unicamente “le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva”. (76)

L'art. 11 del decreto accoglienza reca disposizioni in materia di lavoro e di formazione professionale. Nel corso dei primi sei mesi a seguito del rilascio del permesso di soggiorno per richiesta asilo (della durata di 3 mesi, rinnovabile), allo stesso non è consentito svolgere alcuna attività lavorativa. Decorso questo periodo di tempo, “qualora la decisione sulla domanda di asilo non sia stata ancora adottata [...] ed il ritardo (77) non possa essere attribuito al richiedente asilo” il permesso che verrà rilasciato avrà la durata di 6 mesi e consentirà lo svolgimento di un'attività lavorativa. Anche nel caso in cui il richiedente reperisca un'occupazione, l'accoglienza non viene interrotta: la Circolare del Mistero dell'Interno n. 400/C/2005 del 22 ottobre 2005 chiarisce che lo svolgimento di un'attività lavorativa non impedisce la prosecuzione dell'accoglienza, ma “lo straniero interessato è tenuto a versare un contributo stabilito dall'ente gestore del servizio di accoglienza tenendo conto del reddito dell'attività lavorativa e del costo del servizio”, a copertura delle proprie spese di accoglienza.

L'accoglienza ha termine al momento della comunicazione della decisione sulla domanda di asilo. È prevista tuttavia la possibilità di usufruire di un periodo di accoglienza di sei mesi rinnovabili, finalizzato all'inserimento in un percorso di autonomia socio-economica, decorrente dalla notifica del provvedimento di riconoscimento di una forma di protezione internazionale o umanitaria. (78) In caso di diniego della domanda di protezione internazionale da parte della Commissione Territoriale, il comma 7 dell'art. 5 garantisce che l'accoglienza perduri nel caso di presentazione di ricorso giurisdizionale ed autorizzazione a permanere sul territorio nazionale, salvo sia decorso il termine previsto per l'accesso al lavoro (sei mesi dalla presentazione della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato). È possibile, tuttavia, che l'accoglienza si interrompa prima dell'esito della domanda di protezione: le cause che determinano la cessazione delle misure di accoglienza sono tassativamente elencate nell'art. 12 del decreto. La revoca è disposta in caso di mancata presentazione o abbandono della struttura individuata senza preventiva comunicazione alla Prefettura, mancata presentazione all'audizione davanti alla Commissione Territoriale, presentazione in Italia di precedete domanda di asilo, accertamento della disponibilità di mezzi economici e violazione grave o ripetuta delle regole del centro di accoglienza. Il Prefetto della provincia dove è ubicato il centro in cui è ospitato il richiedente asilo dispone la revoca dell'accoglienza con provvedimento motivato impugnabile presso il competente Tribunale Amministrativo Regionale.

3.4. Brevi cenni al D.L.vo 251/07, Decreto Qualifiche e al D.L.vo 28 gennaio 2008, n. 25, Decreto Procedure

La conformazione del diritto di asilo si completa con il recepimento di due importantissime direttive dell'Unione Europea che cambiano radicalmente il quadro normativo interno in materia di asilo. Le due direttive di cui trattasi sono la Direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione della qualifica di rifugiato e di protezione sussidiaria, e la Direttiva del Consiglio 1 dicembre 2005, 2005/85/CE recante norme minime sulle procedure applicate ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, recepite rispettivamente con il D.L.vo n. 251/07 e con il D.L.vo n. 25/08. (79) Al fine di avere uno sguardo d'insieme della normativa in materia di accoglienza, si rivela necessario contestualizzare il decreto accoglienza sopra esaminato alla luce del quadro normativo aggiornato in materia di procedure delle domande di asilo e di diritti garantiti, mettendo ordine nelle mal coordinate disposizioni contenute nei rispettivi decreti. (80)

Quanto alle novità introdotte dal Decreto Qualifiche, la previsione della forma di protezione sussidiaria riconosciuta a quel “cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel suo paese di origine, o nel caso di apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno”, riempie di un nuovo significato il termine 'asilo', riunendo lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria sotto il comune ombrello della protezione internazionale. Attraverso il recepimento della Direttiva Qualifiche, è divenuto operante un insieme consolidato di criteri sul riconoscimento degli elementi di persecuzione (la nozioni di timore fondato, persecuzione, agente di persecuzioni e motivi di persecuzione per quanto riguarda lo status di rifugiato, di danno grave per quanto riguarda la protezione sussidiaria) e si è altresì assicurato un livello minimo di diritti in favore di coloro che sono riconosciuti rifugiati o beneficiari di protezione sussidiaria.

Il ventaglio dei diritti riconosciuti ai titolari delle due diverse forme di protezione è venuto avvicinandosi a seguito del recepimento della nuova Direttiva Qualifiche 2011/95/UE, con la quale il Consiglio ha emendato e provveduto alla rifusione della precedente direttiva in materia. In particolare, con il D.L.vo 21 febbraio 2014, n. 18 che apporta modifiche al D.L.vo n. 251/07 ed al TUI, viene prevista un'equiparazione di fatto per ciò che concerne la durata del permesso di soggiorno (entrambi di durata quinquennale) (81), il diritto all'unità familiare (in entrambi i casi il familiare trainante è esentato dalla dimostrazione della disponibilità di un alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari e idoneità abitativa nonché di un reddito idoneo in base ai parametri dell'importo dell'assegno sociale annuo) (82) ed in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali, dei diplomi, dei certificati e di altri titoli conseguiti all'estero. Il decreto del 2014, inoltre, modifica la definizione di soggetto 'vulnerabile', ampliando la categoria anche ai “minori non accompagnati, le vittime della tratta degli esseri umani (83), le persone con disturbi psichici” (art. 19 comma 2 D.L.vo n. 251/07). Infine, vengono poste norme di tipo programmatico volte alla realizzazione di interventi strutturati di supporto all'integrazione socio-economica dei titolari di protezione internazionale, alla cui analisi verrà dato spazio laddove verrà preso in considerazione il sistema di accoglienza e di post-accoglienza.

L'anno seguente all'emanazione del Decreto Qualifiche, il sistema viene completato con l'entrata in vigore del decreto accoglienza, il D.L.vo 28 gennaio 2008, n. 25, Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. Il decreto procedure detta importanti disposizioni concernenti gli aspetti procedimentali della domanda di protezione internazionale (accesso alla procedura, formalizzazione della domanda, esame della domanda, organi competenti, le decisioni le garanzie giurisdizionali), andando a incidere sulla normativa previgente, con la quale si rende necessario un coordinamento. Per quanto concerne il tema dell'accoglienza, quanto previsto dal noto D.L.vo n. 140/05 in materia dovrà leggersi alla luce del combinato disposto degli artt. 20, 21 e 22 del decreto procedure, recanti disposizioni specifiche in materia di accoglienza e trattenimento dei richiedenti asilo. Queste disposizioni, che regolano quella fase mediana eventuale ed esterna compresa tra la presentazione della domanda e il suo esame (84), costituiscono uno degli aspetti più rilevanti e delicati della materia. Pone alcune problematiche interpretative il fatto che alcune disposizioni contenute nel D.L.vo 140/05 rinviino esplicitamente a disposizioni di fatto abrogate dal decreto procedure. Le misure introdotte nel decreto 25/08 non incidono sulla disciplina giuridica che regge l'organizzazione dello SPRAR, determinando una evidente situazione di disorganicità delle disposizioni in materia di accoglienza di soggetti che si trovano nella medesima condizione giuridica. (85)

L'art. 20 tratta dei casi di accoglienza del richiedente asilo. Al primo comma viene sancita la regola generale, a mente della quale “il richiedente non può essere accolto al solo fine di esaminare la domanda”, così esplicitando la non obbligatorietà della dimora presso appositi centri in funzione dello status di richiedente asilo. A seguire, vengono indicati i tre casi in cui si attiva il percorso dell'accoglienza in un CARA (Centro di accoglienza richiedenti asilo), sorto dalle ceneri dei vecchi CID (Centri di Identificazione), già istituiti a seguito dell'emanazione della legge Bossi Fini al fine di trattenere i richiedenti (art. 1 bis comma 3 D.L. n. 416/89). Il decreto abroga, infatti, gli articoli introdotti dalla L. 189/02 che prevedevano il trattenimento presso i Centri di identificazione e la relativa procedura semplificata.

L'accoglienza presso un CARA viene disposta qualora sia necessario verificare o determinare la nazionalità del richiedente ovvero quando al suo arrivo abbia presentato documenti risultati falsi o contraffatti (lett. a), quando la domanda sia stata presentata dopo essere stato fermato per aver eluso, o tentato di eludere, il controllo di frontiera (lett. b) e quando il richiedente abbia presentato la domanda dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare (lett. c). Nel primo caso l'accoglienza può essere disposta per un periodo massimo di 20 giorni, negli altri può arrivare fino a 35 giorni. Da queste disposizioni si evince che la nuova disciplina lascia pressoché invariata la normativa precedente nelle anzidette situazione, sostituendo i casi in cui si parlava di “trattenimento nei CID”, con un eufemistica “accoglienza nei CARA”, con la rilevante differenza che queste ultime sono strutture aperte: è consentito uscire dal centro nelle ore diurne. (86)

Le tre ipotesi di accoglienza meritano una breve analisi critica. Quanto all'eventualità per cui sia necessario verificare l'identità o nazionalità del richiedente, il legislatore avrebbe dovuto limitare i casi in questione alle ipotesi in cui venisse riscontrata un'effettiva incertezza su di esse, senza attribuire un'importanza determinante all'irregolarità documentale. (87) Una corretta applicazione della fattispecie di cui alla lettera b), a sua volta, richiede che l'autorità competente al ricevimento della domanda riscontri chiaramente nello straniero una volontà elusiva dei controlli di frontiera. Risulta pertanto dubbia l'applicazione della fattispecie considerata agli stranieri che fanno ingresso sul territorio nazionale via mare, in condizioni drammatiche e costretti a soggiacere alla volontà dell'organizzazione criminale organizzatrice del trasporto. (88) Così come la condizione del richiedente “fermato in condizioni di soggiorno irregolare” necessita un riscontro di tipo oggettivo, così escludendo le situazioni nelle quali il richiedente, ancorché irregolarmente presente, si presenti spontaneamente alle Autorità manifestando la volontà di chiedere protezione. (89) Si noti che il testo originario del D.L.vo n. 25/08 prevedeva una quarta ipotesi di 'accoglienza forzata' nel caso in cui il richiedente avesse presentato la domanda essendo già destinatario di un provvedimento di espulsione, soppressa dall'art. 1 lett. d) del D.L.vo 159/08. (90) Criticabile, infine, il fatto che l'invio presso un CARA da parte del Questore non debba essere motivato.

Rinviando nella trattazione a seguire la descrizione delle condizioni materiali di accoglienza dei richiedenti asilo trattenuti nei CARA, centri di prima accoglienza di notevoli dimensioni, si anticipa che al richiedente non è consentito allontanarsi dal centro, fatte salve le ore diurne e la possibilità di ottenere un permesso temporaneo di allontanamento per un periodo di tempo superiore da parte del Prefetto competente “per rilevanti motivi personali o per motivi attinenti alla domanda” (art. 20 comma 4). L'accoglienza, infatti, è subordinata all'effettiva permanenza nella struttura: l'allontanamento del richiedente dal centro senza giustificato motivo fa cessare le condizioni di accoglienza. Questa disposizione, prevista dall'art. 22 comma 2, attenua le conseguenze negative per l'ospitato che si allontani non iure, abrogando la presunzione assoluta di rinuncia tacita alla richiesta di asilo prevista dalla normativa previgente in conseguenza dell'allontanamento dai CID, prevedendo che la sua domanda verrà comunque decisa da parte della Commissione Territoriale sulla base della documentazione in suo possesso. (91)

Quanto al termine massimo del periodo di accoglienza in un CARA, la disposizione di cui al terzo comma (Allo scadere del periodo di accoglienza al richiedente è rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo di tre mesi, rinnovabile fino alla decisione della domanda) è da leggersi in conformità all'obbligo per gli Stati di garantire che il richiedente privo di mezzi possa vivere dignitosamente nel paese ospitante nel corso della procedura di esame di riconoscimento della protezione internazionale (92). Il richiedente potrà pertanto continuare ad usufruire dell'accoglienza presso il CARA in virtù di una proroga, ovvero essere inviato presso un progetto territoriale dello SPRAR. Allo scadere del periodo di accoglienza al richiedente viene rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo della validità di tre mesi, rinnovabile fino alla decisione della domanda. Il verificarsi di questa situazione, descritta come eventuale dal testo normativo, laddove vengano rispettati i termini ordinatori relativi alla procedura di esame della domanda di protezione internazionale ai sensi degli artt. 27 e 28 del D.L.vo 25/08, costituisce la norma nella prassi. Nel caso in cui non vi siano posti disponibili, né nei progetti SPRAR né nei CARA, si rinvia al D.L.vo 140/05 laddove prevede che la Prefettura eroghi al richiedente il contributo economico di cui all'art. 1 del decreto legge n. 416/89.

L'art. 21 del D.L.vo 25/08 prevede poi il trattenimento in un CIE per i richiedenti asilo che versino in alcune situazioni specifiche. Rispetto all'impianto originario, le ipotesi sono state ampliate ad opera del D.L.vo n. 159/08, che ha ripristinato di fatto la situazione precedente all'entrata in vigore del decreto procedure, ripristinando la misura del trattenimento nei confronti del richiedente che sia destinatario di un provvedimento di espulsione o respingimento (93) (lett. c). Sarà inoltre disposto il trattenimento nel caso in cui ricorrano le condizioni previste dall'art. 1 paragrafo F della Convenzione di Ginevra (94) (lett. a), ovvero il richiedente sia stato condannato in Italia per uno dei delitti indicati all'art. 380 commi 1 e 2 c.p.p., ovvero per i reati inerenti agli stupefacenti, alla libertà sessuale, al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina o reati connessi allo sfruttamento della prostituzione o di minori (lett. b).

Riguardo la procedura per l'adozione del procedimento di trattenimento, il secondo comma richiama l'art. 14 del TUI; qualora il trattenimento sia già in corso, il Questore chiederà la proroga al Tribunale in composizione monocratica per un periodo massimo di 30 giorni. Ai sensi del'art. 26 comma 4, al richiedente è rilasciato un attestato nominativo certificante la sua qualità di richiedente protezione internazionale presente nel centro, similmente a quanto rilasciato allo straniero ospitato in un CARA. Trattasi di titolo di soggiorno singolare, quasi a voler applicare al richiedente “una qualifica ibrida, che non è né quella di irregolare, né tanto meno quella di straniero regolarmente presente [...]. Il legislatore è come se avesse voluto escludere il richiedente asilo con una sorta di sospensione giuridica da quei diritti conseguenti al rilascio di un permesso di soggiorno in corso di validità”. (95)

Inevitabile un cenno alla Direttiva Rimpatri 2008/115/CE, laddove premette che l'accoglienza di richiedenti asilo che si trovano in stato di trattenimento dovrebbe essere configurata specificamente per rispondere alle loro esigenze in tale situazione (Considerando n. 10). Da ciò se ne desume che il trattenimento dei richiedenti asilo nei CIE debba potersi disporre solo a condizione che le concrete modalità con cui sia attuato non pregiudichino i diritti fondamentali degli stessi in relazione all'accesso alla procedura ed alla giurisdizione, alle misure di tutela legale e socio-sanitaria in pendenza dell'esame della domanda. (96) Così come, in conformità a quanto sancito nella direttiva citata, il trattenimento deve assurgere ad extrema ratio, laddove le altre misure meno afflittive non possano applicarsi al caso concreto.

Quanto alla durata del trattenimento, il secondo comma dell'art. 21 rinvia all'art. 28 (D.L.vo n. 25/08), correlando il termine della misura con l'espletamento della procedura di esame della domanda in via prioritaria. Il legislatore detta una rigorosa tempistica: il Questore, nei casi di trattenimento, è tenuto a provvedere all'invio della documentazione necessaria alla Commissione Territoriale contestualmente al ricevimento della domanda la quale, entro sette giorni, provvede all'audizione e nei due seguenti adotta la decisione.

3.5. In attesa del recepimento della Direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale

Con l'approvazione della direttiva 2013/33/UE del 26 giugno 2013 recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (rifusione della precedente e sopra esaminata direttiva 2003/9/CE), la seconda fase del Sistema Comune di Asilo Europeo si compone un ulteriore tassello, andando a rinnovare il fondamentale pilastro relativo alle condizioni di accoglienza. Come anticipato, l'Italia non ha ancora provveduto al recepimento della nuova direttiva, cui dovrà uniformarsi entro il termine perentorio del 20 luglio 2015, scaduto il quale la direttiva produrrà comunque il proprio effetto diretto 'verticale', ovvero sarà invocabile in sede giudiziaria. Il recepimento di questa e della nuova Direttiva Procedure 2013/32/UE da trasporsi entro il medesimo termine, è previsto dalla legge di delegazione europea relativa al secondo semestre 2013 (L. 154/2014), con la quale verranno apportate modifiche al D.L.vo n. 140/05.

Prima di volgere lo sguardo ai contenuti ed, in particolare, alle novità introdotte dalla nuova Direttiva Accoglienza, è opportuno ricordare le premesse che si pongono alla base del nuovo atto, ove vengono enunciati i principi ispiratori della disciplina: l'adozione di norme che siano sufficienti a garantire un livello di vita dignitoso e condizioni di vita analoghe in tutti gli Stati membri (considerando n. 10), l'armonizzazione delle condizioni di accoglienza dei richiedenti al fine di limitare i movimenti secondari dei richiedenti dovuti alla diversità delle condizioni di accoglienza (considerando n. 12), l'attenzione nei confronti delle persone portatrici di particolari esigenze di accoglienza (considerando n. 14), la regolamentazione del trattenimento in conformità al principio fondamentale per cui nessuno può essere trattenuto per il solo fatto di chiedere protezione internazionale (considerando n. 15).

In primo luogo la nuova direttiva supera l'originaria definizione di 'richiedente asilo', uniformandosi alla più recente assimilazione degli status di rifugiato e di protezione sussidiaria sotto il comune ombrello della protezione internazionale. Quanto ai contenuti, il nuovo atto mira ad un innalzamento degli standard precedentemente richiesti. Analiticamente, il nuovo art. 5 in materia di diritto di informativa elimina l'espressione “per quanto possibile” laddove impone agli Stati membri di fornire informazioni in una lingua che sia comprensibile al richiedente. In materia di accesso al lavoro, il termine massimo decorso il quale al richiedente deve essere garantita la possibilità di svolgere un'attività lavorativa si riduce da dodici a nove mesi dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale (art. 15). Nell'ambito relativo alle condizioni materiali di accoglienza, il nuovo art. 17 prevede che “gli Stati membri provvedono a che le condizioni materiali di accoglienza assicurino un'adeguata qualità di vita che garantisca il sostentamento dei richiedenti e ne tuteli la salute fisica e mentale”, laddove precedentemente impegnava gli Stati a “garantire loro una qualità della vita adeguata per la loro salute”, così aprendo la possibilità di abbassare il livello dei servizi in funzione dell'età, della salute e delle condizioni del richiedente.

La nuova direttiva dedica ampio spazio alla misura del trattenimento dei richiedenti asilo (artt. 8 - 11), dimostrando un'attenzione precipua al tema, cui in precedenza erano rivolti generici richiami. Sancito il principio in base al quale il richiedente non può essere trattenuto per il solo fatto di essere tale, l'art. 8 detta una serie di circostanze, da valutarsi caso per caso e salva l'applicazione di misure alternative meno coercitive, che consentono di applicare la misura del trattenimento. (97) Criticabile l'assenza di un termine massimo prestabilito, limitandosi a stabilire che il trattenimento debba essere il più breve possibile e fintantoché sussistano i motivi che ne giustifichino l'applicazione (art. 9). Quanto alle garanzie del trattenimento, il testo finale permette che la misura venga disposta da un'autorità amministrativa, salvo il vaglio da parte dell'autorità giudiziaria attraverso “una rapida verifica, d'ufficio o su domanda del richiedente”, non facendo proprie le indicazioni proposte dalla Commissione Europea in sede di revisione della precedente direttiva, che richiedeva di assicurare il controllo in sede giurisdizionale entro 72 ore dall'inizio del trattenimento. (98) Il trattenimento deve avvenire presso appositi centri, i richiedenti devono essere separati dai detenuti nel caso in cui la misura venga eseguita presso un istituto penitenziario, hanno accesso a spazi all'aria aperta e hanno la possibilità di comunicare con i rappresentanti dell'UNHCR, i propri familiari e consulenti legali.

Un'attenzione particolare viene accordata ai soggetti “vulnerabili”, precedentemente definiti in modo più generico “persone portatrici di esigenze particolari”. Conformemente a quanto previsto dalla Direttiva Qualifiche, la presente categoria è stata ampliata ed è attualmente composta dai minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta degli esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali e le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, quali le vittime di mutilazioni genitali femminili (art. 21 comma 1). Assai importante l'introduzione di una disposizione volta alla valutazione delle esigenze di accoglienza speciali del richiedente. Vedremo come tale aspetto costituisca tuttora uno degli aspetti più critici nella prassi, essendo l'emersione di tali esigenze e di conseguenza l'accesso a una forma di accoglienza ad hoc, in balia di valutazioni dalla non limpida procedura. La direttiva prevede che lo Stato membro avvii entro un termine ragionevole tale valutazione, che non dovrà assumere la forma di una procedura amministrativa, al fine di affrontare le particolari esigenze di accoglienza cui la persona necessita. Correttamente viene specificato che tali esigenze possono manifestarsi anche in una fase successiva della procedura di asilo, pertanto è opportuno un monitoraggio continuo. All'interno della categoria dei vulnerabili, un'attenzione peculiare viene dedicata ai minori, soli o accompagnati, e alle vittime di tortura e di violenza. Quanto a questi ultimi, si richiede che l'assistenza sul fronte sanitario, in particolare psicologico, sia appropriata (art. 25 comma 1). La raccomandazione contenuta al paragrafo seguente non risulta affatto scontata: si esplicita l'esigenza che gli operatori sanitari e socio-sanitari che assistono queste persone abbiano ricevuto e continuino a ricevere una specifica formazione in merito alle loro esigenze. Spesso, infatti, i servizi sanitari dei Paesi ospitanti, non dispongono di servizi appropriati né di personale competente ad affrontare tale peculiare bisogno di assistenza. Si vedrà come in Italia si possano contare rari ma virtuosi esperimenti messi in atto da parte di alcuni organizzazioni del privato sociale, in collaborazione con il sistema sanitario regionale, specializzati sul tema.

L'accoglienza dei minori tout court deve essere conforme al principio del prevalente interesse del minore, la cui valutazione richiede di tenere in debito conto “la possibilità di ricongiungimento familiare, il benessere e lo sviluppo sociale del minore [...], le considerazioni in ordine all'incolumità e alla sicurezza, in particolare se sussiste il rischio che il minore sia vittima della tratta degli esseri umani e l'opinione del minore, secondo la sua età e maturità”. I centri di accoglienza ove saranno accolti dovranno garantire loro la possibilità di svolgere attività di tempo libero e ricreative consone alla loro età. Una tutela particolare viene inoltre accordata alla differenziata la categoria dei MSNA (Minori Stranieri Non Accompagnati) (99). Oltre alle disposizioni in tema di rappresentanza legale, che deve essere assicurata “quanto prima” al minore affinché possa godere dei diritti e assolvere gli obblighi in tema di accoglienza, si precisa che dal punto di vista abitativo, l'alloggio dovrà avvenire alternativamente “presso familiari adulti, presso una famiglia affidataria, in centri di accoglienza che dispongano di specifiche strutture per i minori ovvero in altri alloggi idonei per i minori”. Contestualmente, gli Stati membri dovranno attivarsi per ritracciare i familiari del minore.

Nel caso in cui lo Stato ospitante debba procedere al trattenimento di uno dei soggetti sopracitati appartenenti alla categoria delle persone vulnerabili, esso dovrà disporsi, in maniera ancora più stringente, in via di extrema ratio. Laddove sia inevitabile applicare la misura, tuttavia, si chiarisce che “lo stato di salute, anche mentale, dei richiedenti trattenuti che sono persone vulnerabili costituisce la preoccupazione principale delle autorità nazionali” (art. 11 comma 1). Inoltre, nel caso si tratti di minori o di famiglie, la sistemazione di essi deve essere separata rispetto alla generalità dei richiedenti.

4. Conclusioni e brevi cenni alla normativa in materia di accoglienza dei titolari di protezione internazionale

La disciplina del sistema di accoglienza risulta assai disorganica e frammentaria. È auspicabile, ed invocata da più fronti, una riforma del sistema nazionale di accoglienza degli asilanti e, più in generale, la redazione di un corpus normativo organico che regoli il diritto di asilo. La mancanza di coordinamento tra le stesse disposizioni vigenti determina gravi conseguenze a livello di implementazione del sistema nella realtà quotidiana, ove si registrano difformità sostanziali in termini di effettività dei diritti. Risulta difficile parlare di un 'sistema' di accoglienza, coesistendo diversi canali di accesso, che garantiscono livelli di tutela differenziati, nonché l'esistenza di prassi difformi a livello territoriale. Tali criticità risultano crescenti alla luce del sensibile incremento delle richieste di protezione internazionale che negli ultimi anni sono state presentate in Italia, mettendo alla prova la tenuta del sistema, che non ha tardato a mostrare la sua fragilità e le sue carenze, determinando il ricorso a misure di stampo emergenziale.

Uno dei fattori di maggiore criticità della normativa, inoltre, è rinvenibile nell'assenza di riferimenti alla fase di post-accoglienza dei soggetti che hanno visto il riconoscimento di una forma di protezione internazionale. Tale lacuna costituisce forse l'aspetto più problematico del sistema italiano di accoglienza che non garantisce l'implementazione di programmi strutturati di supporto all'integrazione sociale ed economica dei titolari di protezione. Si vedrà, dall'esito di alcune ricerche svolte a livello territoriale, come un numero considerevole di questi viva in condizioni di disagio e di marginalità, non solo nel breve periodo, ma anche a distanza di diversi anni dall'ingresso nel territorio nazionale. I soggetti appartenenti alla categoria delle persone vulnerabili, in modo particolare, faticano a intraprendere percorsi di autonomia, in assenza di un supporto adeguato una volta fuoriusciti dal sistema.

Limitandosi per il momento al dato normativo, si riporta come sulla carta il cittadino straniero titolare di una forma di protezione internazionale sia parificato al cittadino italiano in materia di accesso all'occupazione e all'istruzione, in materia di assistenza sanitaria e sociale di integrazione e alloggio. (100) Tale parità formale di trattamento con il cittadino italiano, nonostante l'impianto positivo della normativa, non si rivela adeguata da un punto di vista sostanziale laddove non considera la situazione di debolezza in cui la persona si trova, subito dopo il riconoscimento dello status. (101) Il tema dell'accoglienza di secondo livello è scottante e di non facile risoluzione, salvo l'adozione di misure che riformino l'attuale sistema in modo strutturale. Deve riconoscersi che un primo passo in tal senso è stato compiuto con l'entrata in vigore del D.L.vo n. 18/2014 che ha recepito la nuova direttiva qualifiche, emendando l'art. 29 del D.L.vo n. 251/07 che prevede la futura programmazione di interventi e misure volti a favorire l'integrazione dei beneficiari di protezione internazionale, con particolare riguardo all'inserimento socio-lavorativo, attraverso la predisposizione di un Piano nazionale di intervento a cadenza biennale.

Note

1. Cfr. Cass. Pen. Sez. Un., 7 febbraio 1948, Marcianò e al.

2. Si veda in particolare sent. 27 novembre 1964, Corte d'appello di Milano in cui si afferma che “la passività del legislatore ordinario che sino ad oggi ha trascurato di provvedere a disciplinare dettagliatamente nei limiti segnati dalla Costituzione il diritto d'asilo non può essere d'ostacolo alla forza cogente della norma di cui al 3º comma dell'art. 10 della Costituzione medesima”.

3. Determinante in questo senso Cass. Sez. Un. 25 maggio 1997, n. 4674 ove si ribadisce il carattere precettivo e la conseguente immediata operatività della disposizione costituzionale.

4. Benvenuti M., Il diritto di asilo nell'ordinamento costituzionale italiano. Un'introduzione, Padova, CEDAM, 2007, p. 42.

5. Benvenuti M., cit., p. 213.

6. Art. 1 lett. A comma 2, Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951.

7. Codini E., D'Odorico M., Gioiosa M., Per una vita diversa. La nuova disciplina italiana dell'asilo, FrancoAngeli, Milano, 2009, p. 25.

8. Art. 33, Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951.

9. UNHCR, Parere consultivo sull'applicazione extraterritoriale degli obblighi di non-refoulement derivanti dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e dal suo Protocollo del 1967.

10. ASGI, Lo status di rifugiato. Scheda pratica a cura di N. Morandi e P. Bonetti, Febbraio 2013, p. 4.

11. Petrović N., Rifugiati, profughi, sfollati. Breve storia del diritto d'asilo in Italia, Milano, FrancoAngeli, 2013, p. 30.

12. Codini E., D'Odorico M., Gioiosa M., cit., p. 29.

13. Hein C. (a cura di), Rifugiati. Vent'anni di storia del diritto d'asilo in Italia, Roma, Donzelli Editore, 2010, p. 37.

14. Art. 1 comma 2, L.28 febbraio 1990, n. 39.

15. Codini E., D'Odorico M., Gioiosa M., cit., p. 31.

16. Come già esaminato, restano esclusi dalla nozione di rifugiati coloro che, non essendo individualmente perseguitati, siano sfuggiti dal proprio Paese a causa di altre situazioni, pur egualmente lesive in concreto dei diritti fondamentali della persona.

17. Art. 1 comma 5, L.28 febbraio 1990, n. 39.

18. Hein C. (a cura di), cit., p. 39.

19. Negli anni '70 viene riconosciuto lo status di rifugiato a cittadini iraniani in fuga dal regime di Khomeini nell'ambito di misure straordinarie.

20. Petrović N., cit., p. 38.

21. Nei periodi di massicci afflussi a causa delle emergenze umanitarie verificatesi negli anni Novanta, i tempi raggiunsero anche i ventiquattro mesi.

22. Hein C. (a cura di), cit., p. 47.

23. Petrović N., cit., p. 40.

24. Si veda il decreto del Ministero degli Affari Esteri del 9 settembre 1992.

25. Petrović N., cit., p. 45.

26. Hein C. (a cura di), cit., p. 64.

27. CesPi, Valutazione del Programma Nazionale Asilo, Roma, 2003, p.13.

28. I dati sono contenuti in Cespi, Dal Programma Nazionale Asilo al Sistema di Protezione per Richiedenti asilo e Rifugiati (2001 - 2004), Bilancio di una esperienza di governo territoriale dei flussi migratori, Ottobre 2004.

29. Petrović N., cit., p. 61.

30. Si veda la Relazione finale del Progetto Nausicaa, Roma, 2000.

31. Art. 4 comma 1, 2000/596/CE: Decisione del Consiglio, del 28 settembre 2000, che istituisce un Fondo europeo per i rifugiati.

32. I dati sono contenuti in Cespi, cit., Ottobre 2004.

33. Petrović N., cit., p. 67.

34. Benvenuti M., cit., p. 229.

35. Tra le altre disposizioni del Testo Unico che trattano del tema si rinvia anche all'art. 2 comma 7 recante il divieto per le autorità italiane di informare le autorità consolari del Paese di provenienza del richiedente asilo e del titolare di status di rifugiato o di protezione umanitaria; l'art. 29 comma 1 che riconosce il diritto all'unità familiare al rifugiato, esonerato dall'obbligo di dimostrazione di reddito e alloggio adeguato, l'art. 34 comma 1 lett. B in materia di iscrizione obbligatoria al SSN.

36. Acierno M., Il diritto del cittadino straniero alla protezione internazionale: condizione attuale e prospettive in Morozzo della Rocca P., “Manuale breve di diritto dell'immigrazione”, Santarcangelo di Romagna, Maggioli Editore, 2013, p. 60.

37. La L.189/02 abroga l'istituto dello 'Sponsor' che permetteva allo straniero di fare ingresso nel territorio nazionale per cercare un lavoro, inserisce il 'Contratto di soggiorno', vincolando il permesso alla titolarità di un lavoro, inseriesce “Disposizioni contro le immigrazione clandestine” inasprendo le sanzioni in materia di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare e aumenta il termine massimo relativo al periodo di permanenza presso i Centri di Permanenza Temporanea.

38. Hein C. (a cura di), cit., p. 70.

39. Le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale sono composte da un funzionario della carriera prefettizia, un funzionario della Polizia di Stato, un rappresentante designato dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali e da un rappresentante dell'ANCUR.

40. Art. 1 quinquies comma 2, L. 39/90.

41. Benvenuti M., cit., p. 236.

42. Van Krieken P.J., The consolidated Asylum and Migration Acquis. The EU directives in an expanded Europe, The Hague, 2004, p. 13.

43. Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito.

44. Benvenuti M., cit., p. 238.

45. Art. 63, par. 1, n. 1 - 2, TUE.

46. Zagato L., Le competenze della UE in materia di asilo dopo i Trattati di Amsterdam e di Nizza, e nella prospettiva del Trattato su una costituzione per l'Europa, in Zagato L. (a cura di), “Verso una disciplina comune europea del diritto d'asilo”, Padova, Cedam, 2006, p. 169.

47. Ferguson Sidorenko O., The Common European Asylum System. Background and Current State of Affairs Future Direction, The Hague, 2007, p. 29-30.

48. Si veda Green Paper on the future Common European Asylum System, COM(2007) 301 final, 06.06.2007 Brussels.

49. Policy Plan on Asylum. An Integrated Approach to Protection across the EU, COM (2008) 360 final, 17.06.2008 Brussels, p. 4.

50. Policy Plan on Asylum. An Integrated Approach to Protection across the EU, COM (2008) 360 final, 17.06.2008 Brussels, p. 5.

51. Morgese G., “La riforma del sistema europeo comune di asilo e i suoi principali riflessi nell'ordinamento italiano” in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza XV, 4-2013, p. 16.

52. Queste le premesse contenute nella Proposta di direttiva del Consiglio sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati [...], COM(2000) 303 def., 24.05.2000.

53. Ferguson Sidorenko O., cit., p. 109.

54. Art. 5, Direttiva 2001/55/CE.

55. Rossi E., Vitali L., I rifugiati in Italia e in Europa. Procedure di asilo fra controllo e diritti umani, Torino, Giappichelli, 2011, p. 129.

56. UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), UNHCR Commentary on the Draft Directive on Temporary Protection in the Event of a Mass Influx, 15 September 2000.

57. Disposizione criticata da parte della dottrina nella misura in cui non garantisce un accesso immediato a una forma di protezione più garantista e duratura.

58. Art. 29 comma 10, D.L.vo 286/98.

59. Petrović N., cit., p. 89.

60. Pizzolante G., Diritto di asilo e nuove esigenze di protezione internazionale nell'Unione Europea, Bari, Cacucci Editore, 2012, p. 106.

61. Benvenuti M. (a cura di), La protezione internazionale degli stranieri in Italia. Uno studio integrato sull'applicazione dei decreti di recepimento delle direttive europee sull'accoglienza, sulle qualifiche e sulle procedure, Napoli, Jovene editore, 2011, p. 23.

62. In questi termini il Considerando n. (8) della Direttiva 2003/9/CE.

63. Come si vedrà più approfonditamente in seguito, la Direttiva 2013/33/UE non è ancora stata recepita in Italia, che dovrà adoperarsi a compiere entro il termine del 25 luglio 2015.

64. Il dato è riportato nella Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo sull'applicazione della direttiva 2003/9/CE del 26.11.2007.

65. In questi termini si esprime la Commissione nelle Conclusioni della Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo sull'applicazione della direttiva 2003/9/CE del 26.11.2007.

66. A distanza di 4 anni dall'adozione della direttiva Regno Unito, Germania, Austria, Belgio, Lussemburgo, Grecia, Italia, Slovacchia e Slovenia non disponevano di procedure di identificazione delle persone vulnerabili.

67. Si noti che i Centri di Identificazione vengono soppressi a seguito dell'introduzione del D.L.vo n. 25/2008.

68. Art. 5 comma 2, D.L.vo 140/2005.

69. La Circolare del Ministero dell'Interno 400/C/2005/1170/P/15.1.12 del 17 ottobre 2005 illustra i criteri da seguire da parte delle Prefetture per la valutazione della “sufficienza dei mezzi di sussistenza” per l'accoglienza dei richiedenti asilo non soggetti a trattenimento, secondo specifici parametri legati al numero dei componenti i nuclei familiari e la durata della loro permanenza sul territorio dopo la presentazione della domanda. I parametri sono calcolati in riferimento all'ottenimento di un visto per motivi di turismo per un periodo non superiore a sei mesi dalla presentazione della domanda di asilo. I mezzi sufficienti vanno calcolati con riferimento alla quota fissa pari ad euro 206,58 cui si somma la quota giornaliera di euro 27,89.

70. Benvenuti M. (a cura di), cit., p. 33.

71. Circolare Ministero dell'Interno 22/10/2005.

72. Art. 8, Direttiva 2003/9/CE.

73. Viene richiesto che gli operatori dei centri di accoglienza abbiano una “formazione adeguata alle funzioni che esercitano” (art. 9 comma 3, D.L.vo n. 140/05).

74. Benvenuti M. (a cura di), cit., p. 102.

75. Art. 15 comma 1, Direttiva 2003/9/CE.

76. Art. 35 comma 3, TUI. Il tesserino STP viene rilasciato genericamente ai cittadini stranieri non iscritti al Servizio Sanitario Nazionale in quanto non in regola con le norme relative all'ingresso ed al soggiorno.

77. Il ritardo è attribuito allo straniero nei seguenti casi:

  • Presentazione di documenti e certificazioni false relative alla sua identità o nazionalità o, comunque, attinenti agli elementi della domanda di asilo;
  • Rifiuto di fornire le informazioni necessarie all'accertamento della sua identità o nazionalità;
  • Mancata presentazione del richiedente asilo all'audizione davanti all'organo di esame della domanda, nonostante la convocazione sia stata comunicata presso il centro di accoglienza ovvero nel luogo del domicilio eletto, fatti salvi i motivi di forza maggiore. (art. 11 comma 3, D.L.vo 140/05).

78. DM 22/07/2008, come modificato dal DM 05/08/2010, Linee-guida per la presentazione delle domande di contributo per il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo.

79. Come si vedrà in seguito, l'Italia ha recepito con il D.L.vo 21 febbraio 2014, n. 18 la nuova Direttiva accoglienza 2011/95/UE che ha apportato modifiche al D.L.vo n. 251/07.

80. Schiavone G., “Il diritto di asilo in Italia dopo il recepimento nell'ordinamento delle normative comunitarie. Uno sguardo d'insieme tra il de iure e il de facto”, in Mondi Migranti, 3/2009, p. 58.

81. Art. 23, comma 2, D.L.vo n. 251/07.

82. Art. 22 comma 4, D.L.vo n. 251/07 che rinvia all'art. 29 bis TUI.

83. Si vedrà come i recenti sviluppi normativi contengano riferimenti incrociati al tema della tratta e a quello dell'asilo. Da un lato le vittime di tratta entrano a far parte della categoria dei soggetti vulnerabili qualora cumulino lo status giuridico di richiedenti asilo; dall'altro il D.L.vo n. 24/2014 che ha recepito la direttiva 2011/36/UE relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta degli esseri umani ha previsto forme di coordinamento trai due sistemi prevedendo che nelle ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 18 TUI allo straniero vengano fornite adeguate informazioni circa la possibilità di presentare domanda di protezione internazionale e che, dall'altro lato, la Commissione Territoriale trasmetta gli atti al Questore se, nel corso dell'istruttoria, siano emersi fondati motivi per ritenere che il richiedente sia stato vittima dei delitti di cui agli artt. 600 e 601 c.p.

84. Codini E., D'Odorico M., Gioiosa M., cit., p. 85.

85. ASGI, Il diritto alla protezione. Studio sullo stato del sistema di asilo in Italia e proposte per una sua evoluzione, Giugno 2011, p. 124.

86. Petrović N., cit., p. 98.

87. Codini E., D'Odorico M., Gioiosa M., cit., p. 87.

88. ASGI, Il diritto alla protezione. Studio sullo stato del sistema di asilo in Italia e proposte per una sua evoluzione, Giugno 2011, p. 125.

89. Unione Europea, Provincia di Parma, Ministero dell'Interno, Per un'accoglienza e una relazione d'aiuto transculturali. Linee guida per un'accoglienza integrata e attenta alle situazioni vulnerabili dei richiedenti e titolari di protezione internazionale, Maggio 2011, p. 45.

90. Cfr. Decreto Legislativo 3 ottobre 2008, n. 159 “Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, recante attuazione della direttiva 2005/85/CE relativa alle norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato”.

91. Codini E., D'Odorico M., Gioiosa M., cit., p. 87.

92. Ciò in conformità con quanto disposto dalla Direttiva 2003/9/CE all'art. 16 comma 5: “gli Stati membri provvedono a che le condizioni materiali di accoglienza non siano revocate o ridotte prima che sia presa una decisione negativa”.

93. In questi casi si ritiene che il richiedente debba essere un soggetto già in precedenza destinatario di un provvedimento di espulsione che decide di presentare la domanda di asilo dopo essere stato nuovamente fermato in occasione di un successivo controllo. Nei confronti dello straniero irregolarmente presente, non già destinatario di un precedente provvedimento espulsivo che, fermato, presenti istanza di asilo, si provvede infatti all'invio del richiedente ad un CARA.

94. Le disposizioni della presente Convenzione non sono applicabili alle persone, di cui vi sia serio motivo di sospettare che:

  1. hanno commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l'umanità, nel senso degli strumenti internazionali contenenti disposizioni relative a siffatti crimini;
  2. hanno commesso un crimine grave di diritto comune fuori dei paese ospitante prima di essere ammesse come rifugiati;
  3. si sono rese colpevoli di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite.

95. Codini E., D'Odorico M., Gioiosa M., cit., p. 89-90.

96. ASGI, Il diritto alla protezione. Studio sullo stato del sistema di asilo in Italia e proposte per una sua evoluzione, Giugno 2011, p. 135.

97. Un richiedente può essere trattenuto soltanto:

  1. per determinarne o verificarne l'identità o la cittadinanza;
  2. per determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale che non potrebbero ottenersi senza il trattenimento, in particolare se sussiste il rischio di fuga del richiedente;
  3. per decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel territorio;
  4. quando la persona è trattenuta nell'ambito di una procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, al fine di preparare il rimpatrio e/o effettuare l'allontanamento e lo Stato membro interessato può comprovare, in base a criteri obiettivi, tra cui il fatto che la persona in questione abbia già avuto l'opportunità di accedere alla procedura di asilo, che vi sono fondati motivi per ritenere che la persona abbia manifestato la volontà di presentare la domanda di protezione internazionale al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione della decisione di rimpatrio;
  5. quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico;
  6. conformemente all'articolo 28 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri.

98. Cfr. Amended proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council laying down standards for the reception of asylum seekers (Recast), (COM(2011) 320 final), 01.06.2011.

99. Art. 24, Direttiva 2013/33/UE.

100. Cfr. artt. 25, 26, 27, 29 D.L.vo n. 251/07.

101. ASGI, Il diritto alla protezione. Studio sullo stato del sistema di asilo in Italia e proposte per una sua evoluzione, Giugno 2011, p. 296.