ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Conclusioni

Giulia Melani, 2014

Manicomio criminale, manicomio giudiziario, ospedale psichiatrico giudiziario, tre denominazioni che hanno indicato la stessa istituzione preposta al contenimento della pericolosità sociale del folle autore di reato. Un'istituzione che, a seconda del periodo storico, ha combinato funzioni custodialistiche con quelle terapeutiche in un mix variabile, con accentuazioni dell'una e dell'altra in ragione delle diverse esigenze teorico-pratiche. Nei primi anni della sua creazione la combinazione di cura e custodia era espressione di un sistema che, sotto la bandiera della funzione di difesa sociale del diritto penale, recludeva a vita gli irrecuperabili e ambiva, senza peraltro riuscirvi, alla riabilitazione dei soggetti curabili.

Gradualmente si è andata ad accentuare la sua funzione terapeutica, ma più sul piano teorico e dottrinale che non su quello fattuale: le riflessioni sulla necessità di umanizzare i manicomi giudiziari non sono, infatti, state seguite da una sostituzione di tali strutture afflittive e totalizzanti con altre di diversa natura, ma ci si è limitati a bilanciare in maniera parzialmente diversa le due esigenze che sin dalla sua istituzione hanno legittimato l'intervento custodiale nei confronti del malato di mente autore di reato.

Con l'entrata in vigore della Costituzione e i primi dubbi sulla compatibilità delle misure di sicurezza con i principi costituzionali l'OPG, grazie ai ripetuti interventi con cui la Corte Costituzionale ha scardinato alcuni automatismi della disciplina codicistica e grazie al recente intervento del legislatore, è stato adattato all'ideale terapeutico-riabilitativo, negli stessi anni in cui questo iniziava a mostrare vistosi segni di crisi.

Ciò che ci siamo chiesti nel corso della ricerca è se l'OPG, al di là del suo formale inquadramento tra le istituzioni riabilitative, non debba essere più propriamente considerata un'istituzione penitenziaria. Ci siamo domandati se nella pratica sia rivelata più affine al carcere, ad un'istituzione totale, disciplinare e afflittiva, oppure abbia presentato delle peculiarità che consentano di attribuirle una diversa funzione, di distanziarla dalla pena.

Abbiamo mostrato come questa istituzione sia nata all'interno del settore penitenziario, con funzione efficacemente definita da Daga «servente» (1) a quest'ultimo. Inizialmente era destinata ad accogliere i detenuti impazziti e, se richiamiamo alla memoria le ragioni che il Ministero dell'Interno - allora competente sul settore penitenziario - adduceva per promuovere l'adozione di questa tipologia di strutture, potremo agevolmente sostenere che il manicomio criminale era considerato come uno strumento utile per mantenere il quieto vivere e la disciplina all'interno delle case penali. Questo ha da sempre rappresentato il segmento finale del sistema carcerario, accogliendo i detenuti difficili, problematici. Abbiamo ad esempio visto come, l'invio in osservazione in OPG, consentito dal regolamento penitenziario, sia stato di frequente utilizzato come strumento di minaccia e conservazione dell'ordine interno delle carceri. Un intervento di carattere terapeutico all'interno del manicomio giudiziario era ostacolato dalla compresenza di categorie disomogenee di internati, tra i quali erano presenti soggetti cui non poteva diagnosticarsi una vera e propria patologia psichiatrica, nonché un numero cospicuo di internati in una condizione eternamente sospesa. Questa ambiguità dell'OPG ha finito per favorire la cronicizzazione delle patologie mentali, la prigionizzazione degli internati e forme di esclusione sociale irreversibile. L'OPG è così diventato un'istituzione dalla vocazione meramente contenitiva e di natura sostanzialmente custodiale, ben più severa e afflittiva dei comuni istituti penitenziari.

Con l'entrata in vigore dell'ordinamento penitenziario, il legislatore ha inteso adeguare la pena all'ideale rieducativo, anche attraverso una serie di misure alternative che, basate sulla logica premiale, consentivano di valutare le progressioni e regressioni nel processo di riabilitazione del reo. Ma abbiamo visto che, nonostante l'ordinamento penitenziario, il regime destinato al controllo degli internati in OPG si è rivelato, ancora una volta, essere più duro del carcere stesso: formalmente identico il regime detentivo, ma minori le prospettive di reinserimento, nessuna alternativa alla contenzione in istituto. L'OPG è diventato una «pena peggiore dell'ordinaria» (2), con un minimo prestabilito ed un massimo indeterminato.

Del resto l'afflittività, l'affinità con la pena emergono soprattutto se si confronta il modello dell'OPG con quello dell'assistenza psichiatrica inaugurato dalla legge Basaglia, n. 180 del 1978. Come abbiamo visto, con questa legge si è provveduto non soltanto alla chiusura dei manicomi, ma anche e soprattutto a scardinare il paradigma manicomiale della cura e della custodia di soggetti pericolosi per sé o per gli altri. Il legislatore attraverso il ricorso al principio della volontarietà del trattamento e alla previsione dei trattamenti sanitari obbligatori, ha predisposto un sistema fondato su due presupposti essenziali «la pienezza dei diritti personali del malato e l'obbligo di intervento del medico» (3). Un sistema di assistenza che ha cessato di essere incardinato sulla pericolosità sociale del folle e vi ha sostituito la risposta ai suoi bisogni. Abbiamo sottolineato come tale svolta epocale non abbia minimamente inciso sull'ospedale psichiatrico giudiziario, che è rimasto ultima istituzione manicomiale. Nonostante le sentenze della Corte Costituzionale del 1982 e del 2003 abbiano cancellato quella rigida serie di automatismi che conducevano all'internamento in OPG per un tempo indeterminato, questo ha comunque conservato per i suoi ospiti l'antico volto di istituzione preposta alla difesa sociale dai soggetti doppiamente etichettati folli e criminali.

L'OPG dell'era della sanitarizzazione è abitato da ospiti più omogenei. Il Regolamento di esecuzione dell'ordinamento penitenziario, come modificato nel 2000, ha previsto che gli accertamenti sullo stato psichico del detenuto debbano di norma eseguirsi negli istituti di pena dove questo si trova, inoltre il D.P.C.M. 1º aprile 2008 ha individuato tra gli obiettivi da perseguire nel settore della tutela della salute mentale, quello di trasferire nelle carceri gli internati che si trovavano in OPG in qualità di condannati, anche attraverso la predisposizione di Centri di osservazione psichiatrica all'interno degli istituti. Ciononostante gli OPG ospitano ancora i periziandi ed i sottoposti ad osservazione ma, è giusto sottolinearlo, questi rappresentano ormai un'esigua porzione della popolazione. Con un capovolgimento rispetto alle origini, l'OPG è diventata l'istituzione per i folli rei ma, si badi bene, non per questo è mutata la sua natura che resta sostanzialmente penitenziaria. Nonostante le aperture della Corte Costituzionale a misure non custodiali, ad un'ampia fetta dei prosciolti le alternative di questo genere sembrano precluse e l'OPG, anche negli anni 2000, continua ad essere un'istituzione totale afflittiva.

La misura di sicurezza è ancora subordinata all'esistenza di un qualità soggettiva: la pericolosità sociale. Se nella visione positivista tardo-ottocentesca, il pazzo criminale era di per sé un soggetto pericoloso e il rischio che poteva annidarsi nella valutazione della pericolosità sociale era al massimo quello di un falso negativo, oggi la scientificità della prognosi di una futura condotta criminale è messa in discussione. Il nesso tra malattia mentale e commissione di reati è confutato e la valutazione della pericolosità sociale ha cessato di essere fondata su meri dati clinico-anamnestici. Di fronte a nuove concezioni della malattia mentale, agli studi che mettono in rilievo come la percentuale di reati commessi dai malati di mente, in analoghe condizioni sociali, risulti uguale o inferiore a quella dei reati commessi nella popolazione sana, per esprimersi sulla pericolosità sociale, i periti iniziano a prendere in considerazione una serie di elementi: le condizioni sociali, familiari e lavorative del malato, i programmi offerti all'esterno dall'assistenza sanitaria e sociale.

La scienza psichiatrica è nata come scienza di amministrazione di un residuo, non tanto nel senso che ha represso e discriminato le classi sociali marginali e più deboli, quanto perché ha costruito il suo oggetto di conoscenza sugli scarti operati delle altre istituzioni: ciò che era estraneo, che sfuggiva alla logica del problema-soluzione, diveniva l'oggetto di intervento della scienza psichiatrica. Nei rapporti tra psichiatria e giustizia il residuo si declinava nella categoria del soggetto socialmente pericoloso (4). Con la trasformazione dell'istituzione psichiatrica e la summenzionata crisi delle certezze scientifiche, la pericolosità si trasforma in una linea di demarcazione di un nuovo residuo istituzionale.

Nel circuito dei servizi assistenziali, dove gli interventi di risposta a singoli problemi si coniugano con l'abbandono e l'esclusione sociale, la nuova pericolosità non è più legata deterministicamente alla malattia ma alla pericolosità situazionale. L'OPG contemporaneo è chiamato a contenere un nuovo tipo di internato, la cui pericolosità sociale è situazionale e de-individualizzata: non si tratta più del malato di mente che ha una patologia che lo conduce ad una determinata condotta criminale, ma è l'appartenente ad alcune classi di rischio. Analizzando il fenomeno dei cosiddetti "dimissibili" abbiamo verificato come l'importanza attribuita agli elementi sociali nella valutazione della pericolosità abbia dato luogo a situazioni in cui il perito riconosce l'assenza di pericolosità a patto della presa in carico da parte dei servizi sociali e assistenziali. E questo mette in luce una quota di popolazione psichiatrico-giudiziaria che permane nell'istituzione in ragione dell'incapacità dei servizi di offrire risposte a questi nuovi cronici.

La strada dell'adeguamento all'ideale terapeutico riabilitativo si inserisce nel quadro della crisi delle certezze scientifiche, della messa in discussione della pericolosità sociale e della sua nuova veste di pericolosità situazionale, che la rifonda e le attribuisce un nuova validità. In tale contesto si inserisce la sentenza della Corte Costituzionale - n. 253 del 2003 - che ha aperto a misure di sicurezza alternative non custodiali per i folli rei pericolosi. A partire da questa sentenza il magistrato di sorveglianza in fase di applicazione della misura di sicurezza (oppure il giudice quando ordina la misura nel processo di cognizione) può optare per la libertà vigilata in luogo dell'internamento in OPG. L'opzione per la libertà vigilata dipende dal grado di pericolosità sociale che si ritiene di poter ascrivere al soggetto, ad esempio un soggetto già in carico presso un DSM con un percorso terapeutico già avviato potrà essere considerato pericoloso ma non abbastanza da richiedere una misura custodiale. L'apertura a questa nuova opportunità non ha prodotto, come abbiamo visto, una de-istituzionalizzazione o una riduzione del ricorso alla misura del ricovero in OPG, bensì un effetto espansivo della rete di controllo sociale sul soggetto malato di mente ed autore di reato, un effetto net widening. Mentre il giudice di fronte all'opzione secca tra la libertà e l'istituzione OPG, cui si attribuiscono i noti caratteri negativi, avrebbe optato per la libertà, di fronte alla prospettiva dell'alternativa della libertà vigilata finisce per applicare la misura di sicurezza proprio a quel soggetto che prima avrebbe lasciato libero, magari proprio quello a cui facevamo riferimento poco sopra che è già preso in carico da un DSM ed ha intrapreso un percorso terapeutico. Gli stessi soggetti che alla lente della pericolosità situazionale, sarebbero risultati ieri pericolosi, oggi sono quelli particolarmente pericolosi, che non possono che incontrare il destino degli OPG.

La recente riforma, sul percorso dell'adeguamento all'ideale terapeutico, salvo probabili ulteriori proroghe condurrà ad aprile del 2015 alla chiusura degli OPG e all'apertura delle REMS. La chiusura degli OPG ventilata dai quotidiani, sarà in realtà niente altro che la sostituzione delle vecchie strutture dai muri ammuffiti e dai letti arrugginiti, con nuove strutture (e talvolta neanche questo, come nel caso della Lombardia che ha previsto la ristrutturazione dell'OPG di Castiglione delle Stiviere) più piccole, territoriali, a gestione sanitaria, con sorveglianza perimetrale esterna. Resterà integro il meccanismo con cui sono selezionati gli ospiti e nelle nuove strutture ripulite si potrà forse ancora sentire il grido disperato dell'internato che vuole urlare al mondo di non essere pericoloso. Certo è difficile predire quale sarà il futuro di un'istituzione, ma il fatto che il legislatore abbia scelto di proseguire su un percorso in parte già sperimentato ci permette di riflettere su quelli che potranno essere gli effetti dell'ultima riforma.

Il codice penale e l'ordinamento penitenziario non vengono toccati dalla recente legge n. 9 del 2012. Si auspica che per via interpretativa si riterranno non più applicabili alcune delle norme dell'ordinamento penitenziario, ma il rischio è che le nuove strutture non facciano altro che riproporre in piccolo (e anche sulle dimensioni sono intervenute delle modifiche che hanno permesso ad alcune regioni di predisporre strutture di notevoli dimensioni con una pluralità di piccoli reparti) la nota realtà dell'OPG. La presenza soltanto di personale sanitario del resto, non offre garanzie sulla tipologia di trattamento, anzi rischia di riproporre il modello manicomiale superato, attribuendo agli psichiatri funzioni di controllo sociale. Alcuni medici provenienti dalle fila di psichiatrica democratica hanno espresso le proprie perplessità, proprio in ragione del loro rifiuto ad assumere compiti e funzioni che non sono più inerenti con il loro mandato (5).

Il pericolo ulteriore di un fenomeno espansivo legato ai caratteri terapeutici e positivi che sono attribuiti alle nuove strutture, sembra rappresentare un rischio più che concreto, soprattutto al netto delle considerazioni svolte sull'effetto net widening prodotto dall'ampliamento delle misure di sicurezza applicabili al prosciolto folle pericoloso ad opera della Corte Costituzionale. La possibilità che si presenterà al giudice di applicare la libertà vigilata, oppure la misura di sicurezza detentiva ma in una struttura sanitaria, vicina al territorio di appartenenza (seppure anche sulla territorializzazione siano state consentite eccezioni con la previsione di accordi interregionali), produrrà probabilmente una nuova espansione della rete. Il fatto che alcune Regioni abbiano optato nei loro programmi per strutture diversificate a seconda del livello di pericolosità sociale dei futuri ospiti, accentua questo rischio. Infatti, la predisposizione di una serie di opzioni diversificate offre la possibilità di mantenere i soggetti che si sarebbero trovati in OPG nelle REMS più custodiali, di spostare alcuni dei soggetti che sarebbero stati in libertà vigilata nelle REMS con una custodia più attenuata ed infine coloro che sarebbero stati liberi in libertà vigilata.

Del resto riteniamo non avrà un impatto frenante la previsione della misura di sicurezza detentiva come extrema ratio: si ricordi che l'introduzione di un analogo dispositivo per l'applicazione delle misure cautelari non ha ridotto affatto lo smodato ricorso alla custodia cautelare in carcere, che fa dell'Italia uno dei paesi europei con la maggior percentuale di detenuti non condannati in via definitiva.

Il futuro dei malati di mente autori di reato dipenderà in buona parte dagli investimenti nei dipartimenti di salute mentale e dalla loro disponibilità a farsi carico dei pazienti psichiatrici con problemi giudiziari. Infatti, soltanto qualora i DSM predisponessero dei programmi individualizzati, anche e soprattutto nei confronti dei soggetti più marginali, si potrebbe depotenziare il ricorso alle misure di sicurezza detentive e incrementare la rapida fuoriuscita dei soggetti già istituzionalizzati. Soltanto la presenza di condizioni sociali rassicuranti o l'intervento suppletivo dei servizi socio-assistenziali potrebbero favorire un parere positivo sulla pericolosità sociale. Anche su questo fronte però, sono poche le speranze, i primi progetti regionali non provvedevano se non in minima parte a stanziare fondi per la ristrutturazione dei servizi psichiatrici territoriali, mentre prevedevano un numero notevole di posti letto nelle nuove REMS.

Del resto, non favorisce l'effettività della presa in carico da parte dei REMS, l'eccezione prevista dalla legge n. 9 del 2012 al principio di territorializzazione, che fin dalla riforma della sanità penitenziaria ha guidato l'intero iter legislativo. La riforma ha infatti previsto che le regioni possano accordarsi - ed alcune come ad esempio Toscana e Umbria lo hanno fatto - per realizzare strutture comuni per l'accoglienza dei pazienti sottoposti a misure di sicurezza e di conseguenza distribuirsi i fondi messi a disposizione. Questa previsione, che potrebbe ad un primo sguardo sembrare ininfluente, rischia di provocare un disinteresse dei DSM regionali che potranno scaricare la gestione dei pazienti sottoposti a misure di sicurezza ad altre regioni.

L'importanza dell'intervento dei servizi psichiatrici territoriali non gioca, come abbiamo anticipato, un ruolo importante soltanto nella fase di entrata nelle strutture, ma anche in quella di uscita. Sotto questo aspetto, benché l'ultima proroga abbia previsto un tetto massimo di durata della misura di sicurezza, permane il rischio della produzione di un circuito di nuovi cronicizzati che passeranno continuamente dalla libertà all'internamento. Senza la predisposizione di programmi individualizzati di reinserimento sociale è possibile presumere che il futuro di alcuni internati sarà ancora caratterizzato dal fenomeno delle porte girevoli: in mancanza di una presa in carico effettiva da parte dei DSM la misura di sicurezza avrà durata corrispondente al massimo di pena edittale previsto per il reato commesso, come dimostra l'alto numero di dimissibili tuttora presenti in OPG; gli internati continueranno a passare ex abrupto dall'istituzione totale chiusa ad una libertà caratterizzata da esclusione sociale ed abbandono e in tal modo saranno esposti giocoforza al rischio di nuova recidiva e di un nuovo internamento.

Il problema della presa in carico da parte dei DSM non si esaurisce solo in un problema di fondi messi a disposizione. La nuova riforma rappresenta, a oltre trent'anni dalla precedente, un nuovo banco di prova che la psichiatria italiana forse non è disposta ad affrontare. Una parte del settore psichiatrico ha mostrato, infatti, una certa ritrosia a prendersi carico dei pazienti particolarmente problematici oggi ospiti degli OPG. Da un lato perché c'è il timore che la riforma possa portare ad un nuovo assestamento dei rapporti tra psichiatria e giustizia, in cui lo psichiatra torni ad assumere funzioni di controllo istituzionale. Dall'altro perché si percepiscono i nuovi compiti assegnati dalla riforma ai DSM come un ulteriore carico di lavoro a servizi assistenziali già in dissesto a causa della crisi fiscale dello stato. Infine, vi è il timore del ritorno ad un'impropria commistione tra semplici malati e criminali, che contribuirebbe alla stigmatizzazione di tutti i pazienti psichiatrici. Tali preoccupazioni sembrano confermate dal parere espresso dai comitati scientifici di alcune associazioni di psichiatri italiani nella lettera al Ministro della salute Lorenzin, che arrivano ad affermare che: «non si può scaricare tout-court tutta la questione OPG sui Dipartimenti di Salute Mentale» (6).

La recente riforma è frutto di una critica che si è concentrata solo sulle carenze materiali delle attuali strutture e che, pertanto, non ha preteso di incidere sul dispositivo della misura di sicurezza, che resta così ancorato all'idea della pericolosità sociale del folle autore di reato. In questo contesto riteniamo che per superare l'«orrore indegno per un paese appena civile» (7) rappresentato dall'OPG, è necessario che le regioni ripensino i loro progetti e destinino fondi per la riqualificazione dei servizi psichiatrici territoriali e che, al contempo, si impegnino i DSM alla effettiva presa in carico degli internati.

Note

1. L. Daga, Ospedale psichiatrico giudiziario. Sistema penale e sistema penitenziario, cit., p. 1.

2. V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano. II, 1920, cit. in T. Padovani, L'ospedale psichiatrico giudiziario, cit., p. 248.

3. M. G. Giannichedda, "Salute, diritti, controllo sociale. Modelli di psichiatria dopo la riforma", in Dei delitti e delle pene, 1986, 1, p. 8.

4. O. De Leonardis, "Statuto e figure della pericolosità sociale tra psichiatria riformata e giustizia penale: note sociologiche", in O. De Leonardis, G. Gallio, D. Mauri, T. Pitch (a cura di), Curare e punire. Problemi e innovazioni nei rapporti tra psichiatria e giustizia penale, Milano, Unicopli, 1988, pp. 45 e ss.

5. In particolare abbiamo avuto occasione di ascoltare alcune di queste riflessioni durante la partecipazione al Convegno dal titolo "Chiude l'OPG: condivisione di paure e responsabilità" organizzato da Menthalia ad Empoli il 3 Ottobre 2013.

6. Si veda "Lettera aperta delle società scientifiche al ministro Lorenzin", con il commento di L. Benevelli, "Considerazioni sulle prese di posizione di una parte dell'establishment della psichiatria italiana in ordine alle modalità di chiusura e superamento degli Opg", in Stopopg.

7. Giorgio Napolitano, Messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica, Palazzo del Quirinale, 31 dicembre 2012, in Presidenza della Repubblica.