ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo quinto
Il problema dell'effettività dei controlli

Irene di Valvasone, 2013

1- I controlli a garanzia dell'effettività e della certezza della pena. Il "braccialetto elettronico"

Un ulteriore problema riguardante le alternative alla detenzione ruota attorno alla questione dell'effettività dei controlli. Sia le misure semidetentive che le misure domiciliari si eseguono in ambiente non carcerario, lontano dallo sguardo vigile e costante degli operatori penitenziari. Pertanto, ci si pone il problema di come garantire il rispetto delle prescrizioni impartite dalla magistratura di sorveglianza. Nelle detenzioni domiciliari la prescrizione principale è il rispetto dell'obbligo di permanenza nel domicilio, o il rispetto degli orari di uscita e di rientro quando il condannato ha il permesso di uscire per alcune ore del giorno. Nella semidetenzione le prescrizioni sono puntuali e tassative, e si tratta dell'obbligo di presentare l'ordinanza che dispone le modalità d'esecuzione agli organi di polizia che ne facciano eventualmente richiesta, del divieto di portare armi, del ritiro del passaporto e della sospensione della patente di guida, oltre all'obbligo di dimorare per almeno dieci ore al giorno in istituto penitenziario. Per quanto riguarda la semilibertà, non sono imposti dei precisi obblighi, il semilibero si considera libero quando non ha l'obbligo di rientrare in carcere. Tuttavia, anche qui si pone il problema di controllare che il condannato svolga effettivamente l'attività risocializzante concordata. D'altronde, le prescrizioni, le modalità esecutive imposte dal magistrato di sorveglianza, costituiscono il contenuto afflittivo della misura. Il mancato rispetto delle prescrizioni comporta la violazione della misura stessa, e per questo è sanzionato con la revoca. La necessità di controllare il rispetto delle prescrizioni, che costituiscono il contenuto stesso delle misure, si traduce nell'esigenza di garantire l'effettiva esecuzione della stesse. In altri termini, l'effettività e la certezza della pena dipendono dall'effettività dei controlli sul rispetto delle prescrizioni. Altrimenti, le alternative al carcere, invece di rappresentare delle modalità attenuate di esecuzione della pena detentiva, si trasformano in misure assolutamente clemenziali. Pertanto, l'effettività dei controlli garantisce che l'alternativa alla detenzione non si trasformi in un'alternativa alla pena stessa, in una forma d'impunità. (1)

La certezza della pena è la certezza che alla violazione della legge penale segua l'inflizione di una sanzione punitiva, è la sicurezza che sarà data una risposta sanzionatoria alla commissione di un reato. (2) L'effettività della pena è la sicurezza che la pena verrà scontata e sarà scontata per intero. Certezza ed effettività della pena sono alla base dell'efficacia intimidatoria della funzione di prevenzione generale, e l'indefettibilità della pena ristabilisce la fiducia dei consociati nel diritto. (3) Se non è certo che un colpevole verrà punito, il sistema sanzionatorio perde la capacità di intimare agli altri consociati di astenersi dal commettere reati: è un ordinamento "ad armi spuntate". Il controllo del rispetto delle prescrizioni inerenti alle alternative alla detenzione ha il fine di rendere effettiva anche la pena sostitutiva.

La misura che più delle altre necessita di un controllo effettivo è la detenzione domiciliare, compresa la permanenza domiciliare, poiché si svolge interamente in ambiente extramurario. Pertanto, il rispetto delle prescrizioni serve a garantire che la detenzione domiciliare non si trasformi in una vacanza a casa propria.

I controlli sono effettuati dagli organi di polizia, che senza preavviso si presentano in casa dell'individuo per verificarne la presenza. Tuttavia, questo tipo di controlli è molto rado, considerato l'alto numero delle persone in detenzione domiciliare e i costanti problemi di organico della polizia giudiziaria. Per ovviare a ciò, il decreto legge 24 novembre 2000, n. 341, convertito con modificazioni dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, ha introdotto i mezzi elettronici o altri strumenti tecnici di controllo da accompagnare alla misura cautelare degli arresti domiciliari oppure alla detenzione domiciliare, nelle sue varie forme. La previsione non è stata estesa alla permanenza domiciliare, probabilmente perché si è ritenuto che il rapporto tra costi e benefici non fosse vantaggioso. (4)

Non si tratta, dunque, di una nuova sanzione o di una nuova misura alternativa, ma di un particolare strumento di controllo da applicare alle misure esistenti per assicurarsi il rispetto delle prescrizioni. (5) Il "braccialetto elettronico", che per la verità generalmente è allacciato alla caviglia, permette in ogni momento di monitorare la presenza nel proprio domicilio della persona sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari o alla detenzione domiciliare. In questo modo, si riesce a sapere se la persona effettivamente rispetta le prescrizioni, principalmente l'obbligo di permanenza nella propria abitazione.

I modi in cui può essere effettuato il "monitoraggio elettronico" possono essere più o meno sofisticati, più o meno incisivi. Infatti, il controllo può limitarsi ad una telefonata senza preavviso con un sistema di riconoscimento vocale della persona ristretta in casa, oppure può consistere in un monitoraggio continuo attraverso la trasmissione di segnali dal braccialetto alla linea telefonica di casa che li invia alla centrale, oppure un trasmettitore che non deve neanche allacciarsi alla linea telefonica ma funziona tramite GPS.

Il decreto del Ministero dell'Interno, di concerto col Ministero della Giustizia, del 2 febbraio 2001, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 38 del 15-02-2001, ha ad oggetto le modalità di installazione ed uso, e descrizione dei tipi e delle caratteristiche dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici destinati al controllo delle persone sottoposte alla misura cautelare degli arresti domiciliari oppure alla misura della detenzione domiciliare. Nel decreto si precisa che i mezzi elettronici o gli altri strumenti tecnici di controllo a distanza devono essere composti da un dispositivo di controllo, da una linea telefonica e da un sistema informatico centrale. Il dispositivo di controllo è formato da un trasmettitore, che è il vero e proprio "braccialetto elettronico" e da un ricevitore, che riceve gli impulsi radio del trasmettitore e li invia al sistema centrale, che gestisce tutti i dispositivi, tramite il collegamento ad una linea telefonica. Il braccialetto, inoltre, è progettato in modo da inviare un segnale d'allarme nel caso si tenti di rimuoverlo o manometterlo. (6)

La primissima applicazione di un sistema elettronico per il controllo a distanza dei condannati risale al 1983, negli Stati Uniti d'America. Il giudice Jack Love ritenendo che fosse eccessivo irrogare la pena detentiva, decise di sperimentare questa nuova tecnica di controllo nei confronti di una persona condannata. Da allora, si può dire che l'utilizzo del "braccialetto elettronico" sia diventato ormai una prassi abituale negli USA, anche se, in verità, il massiccio utilizzo dell'electronic monitoring si deve principalmente alla necessità di limitare l'esorbitante numero di prigionieri che affollano le carceri americane. (7) In Europa, i primi, invece, sono stati gli inglesi, che hanno iniziato a sperimentare la sorveglianza elettronica a fine anni '80, per adottarla definitivamente nel 1991.

A più di dieci anni dalla sua introduzione in Italia, si continuano a nutrire sospetti verso questa forma di controllo a distanza delle persone condannate, che ne hanno determinato la scarsissima applicazione sul territorio.

Le critiche principali riguardano il pericolo di violare la riservatezza e la dignità del condannato. La sottoposizione a controllo elettronico sicuramente comporta il rischio di creare un "Grande Fratello" in casa dell'interessato, monitorando costantemente la sua presenza e invadendo anche la privacy di chi, eventualmente, convive con lui.

Altre ragioni dell'insuccesso del "braccialetto elettronico" sono riconducibili agli alti costi del dispositivo, alla limitata disponibilità da parte delle forze dell'ordine, e infine ai rischi di malfunzionamenti e inaffidabilità. (8)

A mio avviso, queste motivazioni sono del tutto insufficienti, non spiegano le reali ragioni per cui all'introduzione dei mezzi elettronici di controllo non è seguita la loro applicazione. Per quanto riguarda la preoccupazione del costo eccessivo del materiale, è un problema infondato perché se si confronta con i costi di mantenimento di un detenuto in istituto penitenziario, il "braccialetto elettronico" appare sicuramente più conveniente. Riguardo, invece, al limitato numero di dispositivi, non essendo io riuscita a trovare dati certi che attestino il numero di mezzi elettronici in circolazione e il numero di quelli effettivamente utilizzati, non so bene come interpretare il "mistero" che circonda gli oggetti in questione. Né il Ministero dell'Interno né il Ministero della Giustizia hanno saputo (o voluto) dirmi quanti braccialetti sono stati comprati; la Questura di Firenze e il Comando dell'Arma dei Carabinieri affermano che nel territorio della provincia di Firenze non sono presenti strumenti per effettuare il controllo a distanza delle persone sottoposte agli arresti domiciliari o alla misura alternativa della detenzione domiciliare. Tuttavia, il ministro Cancellieri, quand'era al vertice del Ministero dell'Interno ha cercato di dare un nuovo impulso all'utilizzo di questi strumenti, tramite un grosso finanziamento, destinato, inoltre, a rinnovare il contratto con una nota azienda telefonica, che ha l'incarico di gestire il servizio da anni, senza che il servizio sia mai stato veramente sfruttato. Dunque, questi "braccialetti elettronici" ci sono e non vengono utilizzati, oppure non ci sono affatto? Perché le persone che dovrebbero essere incaricate di metterli in funzione, non sono neanche a conoscenza della loro esistenza?

La critica che viene mossa al rischio di malfunzionamenti, oppure ai problemi legati all'inaffidabilità dei mezzi elettronici, è una critica corretta, ma non determinante. I rischi che la tecnologia possa sbagliarsi, funzionare male, sono ineliminabili, ma va anche detto che sono decenni ormai che questi dispositivi sono in circolazione, in Europa e Nord America, senza che nessuno abbia lamentato particolari problemi. L'elettronica certo può "incepparsi", ma questo non rende completamente inaffidabili gli strumenti in esame. Inoltre, basta concedere al giudice, sempre, la possibilità di valutare discrezionalmente i segnali, gli allarmi, che vengono mandati alla centrale, affinché non si configurino violazioni delle prescrizioni e degli obblighi solo sulla base di quello che rileva il braccialetto, ma verificando sempre la correttezza delle segnalazioni.

L'unica vera obiezione mi sembra quella riguardante i dubbi sul rispetto della privacy e della dignità umana. Tuttavia, se viene configurata una misura che impone l'obbligo di restare nel proprio domicilio, non si può criticare il fatto che venga controllato il rispetto di questo obbligo. Anche perché il dispositivo elettronico, comunque, non prevede la ripresa di immagini o la registrazione audio, è soltanto un localizzatore. Ma soprattutto è stato rilevato che la lesione della dignità umana non sussiste per il solo fatto che una persona è sottoposta a monitoraggio continuo, ma se questa persona non è a conoscenza dell'esistenza di questo controllo. Se una persona viene dettagliatamente informata e rilascia il suo consenso, non c'è una violazione dei suoi diritti. (9) Inoltre nel decreto ministeriale già citato, si prevede che vengano periodicamente cancellati tutti i dati, a meno che non siano relativi ad allarmi o ad eventi che rilevano ai fini dell'eventuale inosservanza delle prescrizioni o della sottrazione al controllo.

Non si capisce, pertanto, questa diffidenza per la tecnologia moderna, soprattutto quando può far risparmiare tempo ed energia alle forze di polizia, ma anche soldi.

Inoltre, a tutte queste critiche non si accompagnano studi approfonditi della materia, ricerche che dimostrino la fondatezza o meno del pregiudizio verso il controllo elettronico. Sembra che quei pochi "braccialetti elettronici" usati fin'ora siano passati sotto silenzio, senza farci sapere se davvero questi dispositivi siano altamente difettosi oppure no. Sono ormai passati tredici anni da quando è stata introdotta nel nostro ordinamento la possibilità di utilizzare i mezzi elettronici per il controllo a distanza, eppure sembra che i casi in cui sono stati effettivamente usati siano pochissimi. Non sarebbe più sensato far partire un'effettiva, massiccia, sperimentazione, e poi analizzarne i pregi e difetti riscontrati nell'applicazione in concreto? Allora, la ragione di questo insuccesso è forse soltanto l'assenza di una vera volontà di sperimentare qualcosa di diverso, una sorta d'inerzia al cambiamento. Io credo che i mezzi ci siano e ci sia anche il modo di farli entrare veramente in funzione, ma ancora una volta, in Italia, ci si scontra con la burocrazia eccessiva che porta allo confusione (oppure lo "scarico") di competenze fra uffici, con l'ignoranza a tutti i livelli, e con l'inerzia, la pigrizia, la mancanza di un'effettiva, reale, volontà di far partire un progetto innovativo, che è pronto da tredici anni e da tredici anni aspetta l'ultima approvazione. Ma la verità è che quest'ultima approvazione non arriverà da nessuno, perché nessuno deve darla. E i soldi continuano a uscire.

Ritengo che l'utilizzo di mezzi elettronici di controllo potrebbe, innanzitutto, restituire certezza ed effettività alla pena, in un momento storico in cui si formulano pesanti critiche alla deriva clemenziale del sistema sanzionatorio. Non è infatti un mistero che l'efficacia deterrente della pena si colleghi non alla sua severità, ma alla sua certezza; laddove vige la certezza che la pena verrà disapplicata, si rischia di far rimpiangere l'idea che legge e ordine vadano garantite a qualunque costo. (10) Le preoccupazioni sui costi e l'affidabilità dei mezzi elettronici risultano ancor più incomprensibili quando sono formulate non all'interno di un discorso su come rendere maggiormente affidabile la detenzione domiciliare, ma quando si pensa di utilizzare il "braccialetto elettronico" per allargare l'applicabilità della misura a scopo deflativo, diminuendo la pressione sugli istituti penitenziari. Se, inoltre, prima o poi, il legislatore decidesse di trasformare la misura alternativa prevista all'art. 47-ter dell'ordinamento penitenziario in una pena principale, ipotesi che non a caso è proposta sempre più di frequente, il "braccialetto elettronico" sarebbe l'unico modo per garantirne l'afflittività.

Il discorso sull'effettività dei controlli si estende, nuovamente, al problema del sovraffollamento nelle carceri. Un efficiente sistema di monitoraggio elettronico, infatti, permette di concedere la detenzione domiciliare anche a soggetti lievemente pericolosi, o a imputati per i quali le esigenze cautelari non sono tali da richiedere la misura della custodia cautelare. Se si vogliono, giustamente, creare delle alternative alla detenzione, bisogna trovare anche il modo di renderle effettive, altrimenti, tanto vale allargare i confini delle misure meramente sospensive. Soprattutto se si vuole elevare queste misure a pena, allora sarà necessario aumentare gli accorgimenti in termini di difesa sociale e di lotta alla recidiva.

Inoltre, l'utilizzo di mezzi elettronici di controllo permetterebbe di rivedere le modalità di attuazione della detenzione domiciliare. Avendo la certezza del rispetto degli orari d'ingresso e di uscita dalla propria abitazione, si potrebbe strutturare la misura in maniera più flessibile, garantendo ad esempio di continuare a svolgere un'attività lavorativa, di proseguire gli studi o di partecipare in maniera più attiva alla vita dei propri figli. Si potrebbe trasformare la misura prevista dall'art. 47-ter O.P. in una sorta di "semidetenzione domiciliare". (11) In questa maniera, si recupererebbe anche il contenuto rieducativo della misura domiciliare, caratterizzata non più solo da obblighi e divieti, ma anche da prescrizioni positive, rivolte al recupero sociale della persona, o almeno alla non desocializzazione, garantita attraverso la conservazione delle relazioni sociali e del lavoro. Garantendo la possibilità di svolgere un'attività lavorativa, il reinserimento sociale acquista contorni più definiti e meno propagandistici, e si contribuisce in maniera effettiva alla lotta alla recidiva, perché, si sa, la perdita del lavoro non aiuta certo a prevenire la reiterazione dei reati.

2- La sorveglianza elettronica in Francia: una sanzione inconcepibile senza la tecnologia, nel rispetto della dignità e della privacy del condannato

Si è già detto che in Francia l'introduzione della detenzione domiciliare è andata di pari passo con l'applicazione dei sistemi di controllo elettronico. Se ne può dedurre che il controllo costante, quotidiano dell'ammesso a beneficiare di una misura extramuraria, non sospensiva, sia considerato una premessa indissolubile per l'esecuzione della pena presso il domicilio. Sembra quasi che l'effettività dei controlli, garantita attraverso il controllo elettronico a distanza, sia un aspetto imprescindibile della sottoposizione ad un regime domiciliare. Sicuramente l'argomento non è considerato minimamente in questi termini dalla dottrina francese. Ma è pur vero, che nell'86, l'anno in cui fu introdotta in Italia la detenzione domiciliare, l'electronic monitoring non era stato introdotto neppure nel Regno Unito. Questo per spiegare perché nel nostro Paese esiste questa scissione tra sistemi più efficaci di controllo e la detenzione domiciliare, "sganciata" dall'elettronica.

Tuttavia, non significa che l'introduzione della surveillance électronique non abbia scatenato comunque un dibattito in Francia sui problemi che vengono sollevati dalla decisione di sottoporre ad un monitoraggio continuo una persona condannata. Anzi, la dottrina francese sottolinea frequentemente l'afflittività della misura domiciliare, e il suo carattere stigmatizzante e intrusivo nel privato della persona. (12) Viene considerata anche più severa, restrittiva, della stessa semi-liberté, nonostante elimini totalmente la detenzione carceraria. Da ciò, i riferimenti agli studi che dimostrano che la sottoposizione a sorveglianza elettronica abbia un limite di tolleranza che non supera i 6 mesi. È stato notato che, superato questo termine temporale, diventa più difficile mantenere l'autodisciplina, pertanto aumentano le violazioni delle prescrizioni. (13)

Il rischio da evitare è quello di creare una misura che, invece di attenuare gli effetti e il ricorso alla pena detentiva, riproduca le stesse logiche del carcere nella società libera, generando un'intrusione dell'amministrazione penitenziaria all'interno del focolare domestico. (14)

A tutela dei diritti del condannato, la surveillance électronique è stata circondata di cautele a garanzia della riservatezza e della dignità delle persone interessate. Innanzitutto, si pone molta enfasi sulla necessità che il condannato dia il suo consenso. È pur vero che il consenso è necessario anche per la concessione della semilibertà, o delle altre peines aménagées. Ma in questo caso si prevede anche che il soggetto sia preliminarmente informato su tutto quello che comporta la sottoposizione alla sorveglianza elettronica, compresa la configurazione del delitto di evasione nella condotta di chi neutralizza o manomette il dispositivo elettronico. Inoltre, può chiedere di essere assistito dal suo avvocato, prima di dare il consenso. (15) Il magistrato informa, infine, il beneficiario della possibilità di ritirare il suo consenso in qualunque momento.

È, poi, necessario il consenso del proprietario dell'abitazione, qualora la casa non sia di proprietà del condannato. Questo consenso non è richiesto soltanto perché è giusto che il proprietario sia consapevole ed accetti di ospitare una persona sottoposta a controllo elettronico, ma anche perché questo sistema influisce nella vita di tutti coloro che convivono nel domicilio. In qualche modo, si ritrovano monitorati anche i conviventi del condannato, di solito i familiari, perciò le informazioni devono essere portate anche a loro.

Infine, viene data al beneficiario la possibilità, sia prima che in ogni momento della sottoposizione alla misura, di richiedere che un medico valuti i possibili danni alla sua salute provocati dal dispositivo elettronico. Ci sono stati, infatti, casi in cui il "braccialetto elettronico" è risultato incompatibile con lo stato di salute del soggetto o dei suoi conviventi, ad esempio può creare interferenze con il pacemaker o altri apparecchi medici. (16) Perciò, si concede la facoltà di far valutare da un medico, in ogni momento, la compatibilità del braccialetto con lo stato di salute del beneficiario.

Dunque, il dispositivo di controllo elettronico che accompagna la misura della surveillance électronique consente una maggiore sicurezza che le prescrizioni vengano rispettate, e quindi che la misura, pur essendo attenuata rispetto alla pena detentiva, esplichi comunque un effetto punitivo, per mezzo della sua "effettiva afflittività".

Ma la cosa più interessante è che proprio le garanzie del controllo permettono un'esecuzione più flessibile, in modo da dotare la misura di un contenuto risocializzante, che manca nella nostra detenzione domiciliare. La garanzia di sapere che l'individuo tornerà a casa all'ora stabilita, altrimenti scatterà un allarme, dà la possibilità di concedere più ampi spazi di libertà al sorvegliato, spazi che vengono riempiti da quelle attività, previste pure per la semilibertà, che consentono il reinserimento della persona.

La fondamentale differenza tra la surveillance électronique e la detenzione domiciliare sta allora nel contenuto ampiamente risocializzante della prima, contenuto che è reso possibile dalle garanzie di effettività che nascono proprio dall'utilizzo di strumenti elettronici di controllo. Nonostante, anche in Francia, la misura domiciliare abbia il principale intento di ridurre l'affollamento nelle carceri, si delinea qualcosa di più di una pena che abbia il solo scopo di spostare la detenzione dalla prigione al proprio domicilio, e si realizza infatti la finalità di rieducazione.

Il dispositivo elettronico usato in Francia per il controllo a distanza si serve di un trasmettitore all'interno del braccialetto che invia un segnale radio, il quale attraverso la linea telefonica arriva ad un computer centrale; è lo stesso sistema adottato in Italia. L'allarme scatta se il sorvegliato, trovandosi troppo lontano dal rice-trasmettitore, non manda segnali alla centrale negli orari in cui è stabilito che si trovi a casa. Pertanto, il controllo sulla persona sottoposta a PSE non è assoluto, al di fuori degli orari di assegnazione a residenza non è esercitato nessun controllo su di lui. (17)

Tuttavia, è stata introdotta un'ulteriore modalità per effettuare la sorveglianza elettronica, il placement sous surveillance électronique mobile, il PSEM, che permette di conoscere la collocazione dell'individuo in ogni momento, attraverso un sistema GPS collegato al braccialetto. Le libertà che si possono concedere alla persona sono in questo caso sconfinate, nel senso che l'individuo è libero di muoversi come e quando vuole, esclusi eventualmente i luoghi che gli sono stati interdetti. Tuttavia, il monitoraggio sulla vita di una persona è totale, la sua posizione in ogni momento della giornata è conosciuta e registrata. C'è anche chi sottolinea il fatto che le libertà concesse alla persona sottoposta a PSEM hanno un pregio rispetto alla sorveglianza elettronica fissa, l'imposizione di orari rigidi comporta infatti che al condannato sembra di "vivere come se avesse un orologio in testa", cosa che non accade a chi è sottoposto alla sorveglianza elettronica mobile. (18)

Questo nuovo tipo di controllo elettronico è stato introdotto per la volontà di combattere la reiterazione dei reati, infatti la sua sperimentazione è partita con la legge n. 2005-1549 del 12 dicembre 2005, recante disposizioni sul trattamento della recidiva nelle violazioni della legge penale. Attualmente, il PSEM è utilizzato principalmente come misura di sicurezza. Il Consiglio di Stato, riunitosi il 7 dicembre 2007, ha rigettato la richiesta di annullare il decreto che applica la sorveglianza elettronica mobile, poiché per la sua concessione è richiesto il consenso dell'interessato, è una misura limitata nel tempo ed è applicata da un organo giurisdizionale; inoltre, essendo una misura basata sulla pericolosità della persona e non sulla sua colpevolezza è in grado di conciliare l'obiettivo della lotta alla recidiva col rispetto della vita privata e familiare del condannato. (19) Questo sistema di controllo mi sembra attualmente incompatibile col nostro ordinamento: l'aspetto disciplinare prevale nettamente sulle esigenze punitive, e infatti è previsto, per ora, solo come misura di sicurezza. Garantire così ampi spazi di libertà sarebbe certamente in linea con l'attuazione della finalità rieducativa della pena, ma perderebbe ogni connotato di afflittività, non sarebbe, in pratica, una detenzione domiciliare. Allora, si potrebbe prevedere la "sorveglianza mobile" come strumento di controllo nei confronti delle persone sottoposte a misure sospensive o affidate in prova. Non vi è dubbio, che le esigenze di difesa sociale e di prevenzione del pericolo di reiterazione del reato sarebbero ampiamente soddisfatte, ma il rischio in questo caso di creare una società che controlla i propri cittadini, più che punire coloro che infrangono la legge, diventerebbe tangibile, serio.

Esiste, dunque, un rischio comunque insito nel potenziamento dei sistemi elettronici di controllo a distanza. Come sta accadendo in Francia, si sta passando da una richiesta di maggiore effettività dei controlli, all'ammissione nella società di forme di controllo a carattere disciplinare, di ordine pubblico, invece che sanzionatorio. (20) Sembra che il discorso si stia spostando tutto sulla neutralizzazione del condannato per motivi di sicurezza, affinando le tecniche di controllo e dimenticando gli aspetti risocializzanti della misura domiciliare. I motivi che hanno portato un uomo a delinquere non si affrontano applicandogli un braccialetto al polso o alla caviglia e lasciandolo solo a casa sua (o addirittura fuori), ma seguendo comunque il soggetto nel suo reinserimento nel mondo libero, (21) principalmente attraverso gli interventi del servizio sociale.

Per quanto una "modernizzazione" degli strumenti a disposizione del diritto penale sia sicuramente auspicabile, non si possono neanche negare i pericoli che si porta dietro. Tuttavia, non negare i rischi non significa rinunciare a priori all'utilizzo di nuove tecnologie che possono aiutare a ridare effettività, o oserei quasi dire credibilità, al sistema sanzionatorio. Significa semplicemente disciplinare con legge i limiti che devono essere posti a tutela dei diritti della persona, cosa che è già stata fatta. D'altronde, non è certo per una remora delle istituzioni nei confronti del rispetto della riservatezza delle persone colpevoli di un reato che i mezzi elettronici di controlli non vengono utilizzati.

Note

1. Turchetti D., Legge svuotacarceri e esecuzione della pena presso il domicilio: ancora una variazione sul tema della detenzione domiciliare?, op. cit.

2. Giunta F., L'effettività della pena nell'epoca del dissolvimento del sistema sanzionatorio, op. cit., p. 416.

3. Giunta F., L'effettività della pena nell'epoca del dissolvimento del sistema sanzionatorio, op. cit., p. 422 ss.

4. Cerquetti G., La competenza penale del giudice di pace: aspetti sostanziali, op. cit., p. 280.

5. Buttarelli G., Marinari M., "Braccialetto elettronico" e misure alternative alla detenzione, in Cassazione penale, 1995, p. 2735.

6. Buttarelli G., Marinari M., "Braccialetto elettronico" e misure alternative alla detenzione, op. cit., p. 2733.

7. Barbagallo I., La sorveglianza elettronica dei detenuti: profili di diritto comparato, in Rassegna italiana di criminologia, 2000, p. 359.

8. Niro M., Signorini M., Arresti domiciliari e detenzione domiciliare, op. cit., p. 104.

9. Buttarelli G., Marinari M., "Braccialetto elettronico" e misure alternative alla detenzione, op. cit., p. 2736 s.

10. Marinucci G., Il sistema sanzionatorio tra collasso e prospettive di riforma, op. cit., p. 171.

11. Buttarelli G., Marinari M., "Braccialetto elettronico" e misure alternative alla detenzione, op. cit., p. 2735.

12. Lazerges C., L'electronique au service de la politique criminelle : du placement sous surveillance electronique statique (PSE) au placement sous surveillance electronique mobile (PSEM), op. cit., p. 190.

13. Herzog-Evans M., Droit de l'exécution des peines, op. cit., p. 652.

14. Cardet C., La mise en oeuvre du placement sous surveillance, in Recueil Dalloz 2003, Nº 27, p. 1783.

15. Art. 132-26-1 code pénal.

16. Janas M., Fasc. 20: Placement sous surveillance électronique "ab initio" (ou prononcé par la juridiction de jugement), op. cit.

17. Cardet C., La mise en oeuvre du placement sous surveillance, op. cit., p. 1785.

18. Lazerges C., L'electronique au service de la politique criminelle : du placement sous surveillance electronique statique (PSE) au placement sous surveillance electronique mobile (PSEM), op. cit., p. 186.

19. Faivre C., Lègalité du décret sur la surveillance électronique mobile, in Dalloz Actualité, 3 gennaio 2008.

20. Lazerges C., L'electronique au service de la politique criminelle : du placement sous surveillance electronique statique (PSE) au placement sous surveillance electronique mobile (PSEM), op. cit., p. 192.

21. Lavielle B., L'assignation à résidence sous surveillance électronique, ou de la difficulté d'être son propre gardien..., op. cit., p. 2019.