ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo quarto
La lotta alla pena detentiva: nuove sanzioni a titolo di pena principale o misure alternative?

Irene di Valvasone, 2013

1- Sanzioni applicate dal giudice della cognizione e misure alternative applicate dalla magistratura di sorveglianza

Intese in senso lato, le sanzioni possono essere applicate dal giudice della cognizione oppure dal giudice della fase esecutiva, che nel nostro ordinamento è la magistratura di sorveglianza. Le pene inflitte dal giudice del giudizio possono essere considerate sanzioni a titolo di pena principale oppure sanzioni sostitutive. Le prime sono le sanzioni che conseguono direttamente dalla violazione di una norma penale, sono obbligatorie, inderogabili, e solitamente sono contemplate nella stessa fattispecie incriminatrice. Si è visto, infatti, che la permanenza domiciliare pur considerandosi pena principale a tutti gli effetti, non ha modificato la parte speciale del codice penale. La commissione di un reato di competenza del giudice di pace può essere sanzionata soltanto con una delle pene previste dal d.lgs n. 274 del 2000, attraverso una clausola generale di sostituzione, secondo la quale la multa e l'ammenda continuano ad applicarsi, mentre se la pena detentiva è alternativa a quella pecuniaria, si applica la pena pecuniaria fino a sei mesi di detenzione; sopra questa soglia e quando la pena detentiva è sola o congiunta alla pena pecuniaria, il giudice onorario sceglie se applicare la pena pecuniaria, la permanenza domiciliare oppure il lavoro di pubblica utilità. Ad ogni modo, si tratta di misure effettivamente alternative alla restrizione in carcere, perché non si sovrappongono alla pena detentiva breve ma sono del tutto indipendenti da essa. (1) Ed infatti si considerano pene principali.

Anche le sanzioni sostitutive introdotte dalla legge n. 689 del 1981 sono applicate per mezzo di una clausola generale di sostituzione, che permette di irrogarle al posto della pena principale. La semidetenzione può sostituire tutte le pene detentive fino a 2 anni, se si realizzano anche le altre condizioni, ed è applicata direttamente in sentenza di condanna, dal giudice della cognizione. Il termine "sanzione sostitutiva" si riferisce appunto ad una misura che si sostituisce alla pena tradizionale, in particolare alla pena detentiva. Tuttavia, proprio perché si tratta di un surrogato, la pena detentiva rimane sempre sullo sfondo. Il calcolo della sanzione da infliggere è fatto sulla pena della reclusione o dell'arresto, poi è questa sanzione che, se possibile, viene sostituita con un'alternativa, tramite dei criteri di ragguaglio. Viceversa, nel caso in cui il condannato commetta una violazione, la pena sostitutiva si revoca e si converte nella sanzione sostituita, proprio per il rapporto stretto che la lega alla pena detentiva. Non sono misure autonome, ma sussistono in quanto sostitutivi della pena detentiva. Nascono insieme alla presa di coscienza dell'inutilità delle pene detentive brevi, come misure adatte a prevenirne gli effetti desocializzanti. (2)

Infine, ci sono le misure che possono essere concesse dalla magistratura di sorveglianza. Si definiscono misure alternative alla detenzione, ma anche in questo caso la terminologia non è esatta. Se si parla dell'affidamento in prova al servizio sociale, della liberazione condizionale, della sospensione condizionale ai sensi della l. 1º agosto 2003, n. 207, siamo di fronte a misure sospensive dell'esecuzione della pena detentiva, accompagnate da un numero più o meno abbondante di prescrizioni a contenuto positivo. Per quanto riguarda l'espulsione dello straniero prevista dall'art. 16 del testo unico sull'immigrazione, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 180, è sicuramente una misura del tutto peculiare, dettata più da motivi legati a politiche dell'immigrazione che da finalità risocializzanti. La semilibertà e la detenzione domiciliare, invece, sono considerate non tanto misure alternative, quanto modalità alternative di esecuzione della pena detentiva. Sotto un profilo contenutistico, queste due misure non rientrano fra le sanzioni, in senso lato, sostitutive: la detenzione domiciliare è disposta infatti dal Tribunale di sorveglianza, e ciò implica che non sia possibile considerarla tra i sostituti della pena detentiva breve; le misure semidetentive si eseguono parzialmente in istituto penitenziario, e ciò esclude la loro alternatività con la pena detentiva. C'è chi considera addirittura una "truffa delle etichette" l'aver incluso la semidetenzione fra le sanzioni sostitutive introdotte dalla legge 24 novembre 1981, n. 689. (3)

Il meccanismo di sospensione dell'ordine di esecuzione permette la concessione di queste misure anche ab initio, cioè prima che l'esecuzione della pena sia iniziata. Se infatti inizialmente erano previste quasi sempre dopo un "assaggio di carcere", (4) per cui il loro scopo era principalmente quello di attuare la progressione nel trattamento rieducativo, con la possibilità di concederle anticipatamente, la loro finalità si avvicina alla volontà di sostituire la pena detentiva. È questo infatti il motivo della sovrapposizione tra la semilibertà, specie per pene brevi o comunque inferiori a 3 anni, e la semidetenzione. Le misure alternative alla detenzione previste nell'ordinamento penitenziario hanno carattere facoltativo, ovviamente, ma neanche le sanzioni sostitutive sono obbligatorie. Tuttavia, le misure alternative sono finalizzate a dare attuazione al principio di rieducazione nella fase dell'esecuzione penale; la magistratura di sorveglianza ha il compito di adattare costantemente la sanzione alla personalità dell'individuo, che si evolve durante la sottoposizione al trattamento penitenziario. Le sanzioni sostitutive rispondono pure al principio d'individualizzazione delle pene, ma essendo irrogate dal giudice in sentenza devono comunque realizzare una pretesa punitiva, sono sanzioni a tutti gli effetti, anche se non vengono inflitte a titolo di pena principale.

Nel nostro ordinamento, le sanzioni sostitutive non hanno avuto molta fortuna, neppure con il tentativo di dargli un nuovo slancio, tramite la legge 12 giugno 2003, n. 134, che ne ha raddoppiato i limiti di pena. Al 31 luglio 2013 i soggetti che beneficiano della sanzione semidetentiva sono soltanto 11. (5) D'altronde, la loro introduzione aveva come obiettivo quello di anticipare l'attuazione del principio di rieducazione alla fase della commisurazione della pena, principio invece relegato alla sola fase dell'esecuzione; tuttavia, un sistema basato su una clausola generale di sostituzione non può che confermare la gerarchia di valori stabilita dal codice Rocco, e pertanto le sanzioni sostitutive appaiono inadeguate come le stesse pene che sostituiscono. (6) Inoltre, per quanto riguarda la semidetenzione in particolare, l'obiettivo della legge di eliminare il ricorso alle pene detentive brevi non poteva che fallire in partenza, dato che lo strumento di lotta alle pene brevi prescelto dal legislatore, essendo quello coi limiti edittali più ampi, è una sanzione che si esegue, seppure parzialmente, in carcere! L'insuccesso della pene sostitutive si deve, poi, alla totale mancanza di coordinamento con il restante quadro di sanzioni proposte dal nostro ordinamento: fin da subito, è stato sottolineato che la scarsa applicazione della semidetenzione è in gran parte spiegabile col sovrapporsi del suo campo di applicazione col campo di applicazione della sospensione condizionale da una parte, (7) e della semilibertà dall'altra. Nonostante le opinioni concordi sul considerare questa una, se non la più importante, causa del fallimento delle sanzioni sostitutive in generale, e della semidetenzione in particolare, dopo tantissimi anni di distanza non si è ancora fatto nulla per cercare di trovare norme di raccordo nella disciplina dei vari istituti, neppure si è proseguito ad eliminare la possibilità di sospendere condizionalmente le sanzioni previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689.

Maggiore successo è invece riservato alle misure alternative alla detenzione. Si parla sempre del numero elevato di ristretti in istituto penitenziario, specialmente in relazione alla capienza degli stessi, ma non si dice mai che il numero di persone che riescono ad accedere alle alternative previste dall'ordinamento penitenziario è piuttosto elevato.

Di conseguenza, si delinea un sistema sanzionatorio diviso in due fasi. In una prima fase, la pena è commisurata e inflitta dal giudice della cognizione. Nella fase dell'esecuzione, la pena è rimessa in discussione dal giudice della sorveglianza, che può decidere discrezionalmente di concedere una misura alternativa. La possibilità di concedere le misure alternative, anche ab initio, oltre ad ulteriori facoltà concesse al giudice dell'esecuzione, come la possibilità di applicare la disciplina del concorso formale e del reato continuato, portano a correggere la commisurazione fatta dal giudice della cognizione. Si può affermare, allora, che «si è passati da un sistema di commisurazione sostanzialmente monistico ... ad un sistema di commisurazione pluralistico». (8) C'è infatti chi non teme di dire che il nostro sistema è, di fatto, bifasico. (9) Nei sistemi bifasici, c'è prima un giudice che verifica la responsabilità penale dell'imputato e decide se condannarlo o meno. Dopodiché, il giudice della cognizione rinvia la decisione ad un secondo momento (a volte, ad un secondo giudice) per poter effettuare gli accertamenti necessari a conoscere la capacità a delinquere del condannato e la sua situazione in generale. Si divide la fase dell'accertamento del fatto e della responsabilità del suo autore, da quella della commisurazione della sanzione. (10) In questo modo, si concedono al secondo giudice poteri d'indagine sulla personalità del condannato, poteri che non possono essere utilizzati nella prima fase, permettendo un effettivo adeguamento della sanzione all'individuo. Si supera il fatto che il giudice della cognizione non possa conoscere tutti gli elementi necessari ad adeguare la pena alla personalità dell'individuo, e che, anche se ci riuscisse, non potrebbe infliggere una sanzione che fosse equa anche per il futuro. (11) È vero, però, che è comunque possibile dotare il giudice della cognizione degli strumenti adatti attraverso il meccanismo del pre-sentence investigation, permettendogli di effettuare le indagini sulla situazione personale e sociale dell'individuo nella fase finale del giudizio. (12) Tuttavia, la magistratura di sorveglianza, oltre ad essere dotata di questi strumenti di conoscenza, è ormai in grado di utilizzare nel miglior modo possibile le informazioni a sua disposizione, trattandosi di un giudice specializzato e avendo da tempo aperto un dialogo con i servizi sociali e gli altri operatori penitenziari. Inoltre, il suo lavoro non si esaurisce dopo la decisione, ma continua a vigilare sull'esecuzione della misura finché non sia stata espiata la pena. (13)

Ed, in effetti, addirittura prima dell'introduzione della legge sull'ordinamento penitenziario, la Corte costituzionale affermava che, in base all'articolo 27, comma terzo, della Costituzione, è diritto del condannato chiedere che venga riesaminato il protrarsi della pretesa punitiva, al fine di accertare se la quantità di pena espiata abbia assolto o meno la sua funzione rieducativa. (14) Quindi, già prima dell'impostazione attuale del sistema sanzionatorio, la Consulta aveva affermato il diritto del condannato ad un riesame della corrispondenza tra sanzione e finalità rieducativa, anche e soprattutto dopo l'intervento di una condanna definitiva. È l'affermazione del principio di flessibilità della pena e di progressione nel trattamento rieducativo.

Nel nostro ordinamento, in realtà, il giudice della cognizione non si limita ad accertare il fatto e la responsabilità del suo autore, ma sceglie anche la sanzione da irrogare. Pertanto, il giudizio della magistratura di sorveglianza sulla sanzione è un doppione, non si esprime nelle forme tradizionali del sentencing. Si può, poi, ribaltare il ragionamento e domandarsi per quale motivo il giudice dell'esecuzione possa correggere la sanzione, proprio senza sapere nulla del reato e delle circostanze con cui è stato commesso. (15) Inoltre, la sospensione dell'ordine di esecuzione, disciplinata dall'art. 656 c.p.p., consente l'applicazione della misura alternativa ab initio; mettendo da parte la retorica, su cosa nella pratica si differenzierebbe il ragionamento del giudice della cognizione da quello del Tribunale di sorveglianza? (16)

Il nostro sistema sanzionatorio, se non si può negare che sia caratterizzato da una scissione in due fasi, appare comunque differente dai tradizionali sistemi bifasici. La seconda fase, infatti, è eventuale e su istanza dell'interessato. (17) Viene considerato un sistema bifasico parziale, perché riguarda soltanto una sanzione inflitta, la pena detentiva; e imperfetto, perché il giudice del giudizio decide la quantità di pena da irrogare, invece il giudice della sorveglianza decide la qualità della sanzione, se alternativa oppure carceraria. (18) D'altronde, il giudice dell'esecuzione è chiamato principalmente a dare effettività al principio della flessibilizzazione del trattamento, in base ad una concezione dinamica del trattamento rieducativo, e a tutelare i diritti dei detenuti contro eventuali abusi. È il giudice "specializzato" nel recupero sociale dei condannati, non il giudice che, in generale, si occupa della commisurazione della sanzione. Si ricordi in proposito che il nostro paese è stato fra i pionieri della "giurisdizionalizzazione" della fase dell'esecuzione penale.

Al di là delle precisazioni tecniche, la presenza delle misure alternative nel nostro ordinamento è un dato di fatto; la loro importanza collegata al ruolo effettivamente svolto nel nostro ordinamento, specialmente se comparato con lo spazio che invece è riservato alle sanzioni sostitutive, le rendono una realtà del sistema sanzionatorio difficilmente sacrificabile. (19)

2- La soluzione onnicomprensiva francese: sanzioni alternative e aménagement delle pene

Ancora una volta, la soluzione francese è improntata a garantire il massimo della flessibilità al sistema sanzionatorio. Le peines aménagées sono sempre state di competenza del juge d'applications des peines, il giudice della fase dell'esecuzione.

In verità, il giudice della cognizione aveva già un ampio ventaglio di possibilità con cui individualizzare la sanzione, dato che l'introduzione delle prime pene sostitutive risale al 1975. Le peines aménagées essendo considerate più propriamente delle modalità di esecuzione delle pene, erano per questa ragione relegate alla fase dell'applicazione delle sanzioni. Tuttavia, il Jap ha la facoltà di applicarle ab initio, permettendo che in questo modo si sostituiscano effettivamente alla pena detentiva correzionale, come delle vere sanzioni alternative.

Proprio in funzione di lotta alle pene brevi, nel caso in cui un individuo sia condannato dallo stato di libertà ad una pena detentiva non superiore a 2 anni, l'articolo 723-15 del codice di procedura penale impone che venga fissata un'udienza di fronte al Jap affinché prenda in considerazione la possibilità di procedere all'aménagement della sanzione prima che il condannato venga portato in prigione. (20)

La possibilità di concedere la misura direttamente nella sentenza di condanna riguardava inizialmente soltanto la semi-liberté, poi la legge n. 2004-204 del 9 marzo 2004, l'ha estesa anche al PSE, il "braccialetto elettronico" (oltre che al placement à l'extérieur). Così facendo, quando vengono irrogate dal giudice della cognizione, queste misure prendono la natura di vere e proprie pene. (21) La legge penitenziaria n. 2009-1436 del 24 novembre 2009 ha esteso poi il limite di pena a due anni, per incoraggiare un più ampio utilizzo delle peines aménagées.

Dunque, si può affermare che la soluzione adottata dall'ordinamento francese sia assolutamente onnicomprensiva. Perfino le peines aménagées che sono propriamente delle misure con cui il giudice modula, organizza, la pena detentiva, possono essere adottate prima dell'esecuzione o durante, dal giudice del giudizio oppure dal giudice dell'esecuzione. È come se il legislatore francese non avesse paura del fenomeno dell'erosione della pena detentiva, e della conseguente ineffettività del sistema sanzionatorio. Anzi, sembra proprio che abbia come obiettivo principale l'ampliamento delle possibilità di evitare la pena detentiva o almeno l'emprisonnement ferme. In breve, il carcere come ultimo ricorso. Va detto che, in realtà, le misure adottate direttamente in sentenza di condanna, dal giudice della cognizione, sono poche. Le ragioni risiedono nella scarsità d'informazioni sulla personalità e sull'ambiente, familiare e sociale, da cui proviene il condannato a cui il giudice della cognizione può accedere, essendo impegnato in primo luogo all'accertamento della responsabilità penale ed avendo già una bella mole di lavoro.

Le recenti riforme sono andate, poi, in direzione di una semplificazione dell'accesso alle peines aménagées. Questa semplificazione è però realizzata attraverso un processo inverso di "giurisdizionalizzazione", come si è visto per la grace électronique, che infatti fa parte di queste procedure. Si riduce il ruolo del giudice dell'applicazione in favore del ruolo degli organi dell'amministrazione penitenziaria.

La "giurisdizionalizzazione" della fase dell'esecuzione penale è iniziata nel 2000, con la legge 15 giugno 2000 adottata per rafforzare il principio di presunzione d'innocenza e i diritti delle vittime. La legge in commento per la prima volta instaura un procedimento contraddittorio, alla presenza del difensore, per la concessione delle misure d'aménagements di fronte al giudice dell'applicazione delle pene. Il percorso di "giurisdizionalizzazione" viene completato dalla legge del 9 marzo 2004, che qualifica finalmente le decisioni del Jap come atti giurisdizionali e generalizza le possibilità d'impugnazione. (22) Gli unici atti che mantengono la qualifica di misure "d'amministrazione giudiziaria" sono i permessi, le autorizzazioni a uscire sotto scorta e le riduzioni di pena (paragonabili alla liberazione anticipata). D'altronde, ragioni pratiche legate al numero elevato di atti di questo genere hanno portato il legislatore a decidere di non includerli tra le misure giurisdizionali, per rendere la decisione più celere e non ingolfare i tribunali. (23)

Le decisioni del Jap riguardanti la semilibertà, la sorveglianza elettronica, oppure il fractionnement de la peine possono essere impugnate di fronte alla Camera dell'applicazione delle pene, creata dalla legge del 2004 per rendere effettivo il principio del doppio grado di giurisdizione. Eppure, la stessa legge del 2004, detta anche loi Perben II, ha introdotto delle procedure, accentuate poi dalla legge penitenziaria, che sono definite procedure semplificate d'applicazione delle pene, PSAP. Queste nuove procedure permettono l'adozione della semilibertà e del "braccialetto elettronico", oltre che della liberazione condizionale e del lavoro penitenziario, attraverso delle procedure sì semplificate, ma per questo dotate di minori garanzie giurisdizionali. La loro concessione è infatti affidata all'iniziativa del D-Spip, il direttore dei servizi d'inserimento e probation, che prepara la proposta d'aménagement di una pena, poi la invia alla procura della Repubblica, affinché la trasmetta, entro 5 giorni, al Jap per l'omologazione. Si parla in questo caso, di misure "quasi-giurisdizionali", poiché l'iniziativa è nelle mani dell'amministrazione penitenziaria, ma è comunque necessaria l'omologazione del giudice. Se però il Jap non si pronuncia entro tre settimane, il D-Spip, nel rispetto delle istruzioni della Procura, può comunque dare esecuzione alla peine aménagée, che in questo modo torna a essere una misura d'amministrazione giudiziaria.

La procedura semplificata, nonostante si consideri una battuta d'arresto nel processo di "giurisdizionalizzazione" dell'esecuzione penale, ha la funzione di dare vigore alla lotta contro le sorties sèches, (24) di rendere effettivo il ricorso alle modalità alternative all'esecuzione della pena detentiva quando si arrivi a fine pena, oltre naturalmente a liberare posti nelle prigioni sovraffollate. Tuttavia, va sottolineato anche il pericolo intrinseco ad una tale "degiurisdizionalizzazione", il rischio di abbassare le garanzie che tutelano le misure giurisdizionali.

È interessante notare come nell'ordinamento francese si adottino soluzioni per ridurre il ricorso alla pena detentiva che consistono, tra le altre cose, nell'allargare l'iniziativa a soggetti ulteriori all'interessato e al suo difensore. Non è una questione irrilevante, dato che molto spesso i condannati non hanno idea dei diritti che gli spettano e delle misure a cui possono accedere. In fondo, la scelta di far partire d'ufficio l'istanza di detenzione domiciliare ai sensi della legge n. 199 del 2010 ha proprio questa finalità.

Tuttavia, il bilancio dell'applicazione delle procedure semplificate d'aménagement delle pene, non è roseo, perché in realtà i servizi d'inserimento e probation non hanno intenzione di aggiungere al loro lavoro anche quello dei giudici dell'esecuzione, essendo già abbastanza sovraccarichi. (25) Ma l'aspetto più preoccupante è la rinnovata erosione degli spazi attribuiti alla magistratura in materia di esecuzione penale. (26) Se anche le procedure semplificate sono pensate a favore dei condannati, aumentando e velocizzando l'accesso alle peines aménageès, non si può non guardare con sospetto alla "degiurisdizionalizzazione" di una fase in cui sono in gioco le libertà fondamentali della persona.

3- L'emergere dello scopo deflativo: la riduzione dei contenuti risocializzanti delle misure alternative. I vantaggi e gli svantaggi nell'anticipare le alternative alla detenzione

Negli ultimi anni, l'implementazione delle misure alternative si è accompagnata ad un mutamento nella loro finalità. Se l'introduzione di tali misure era stata motivata dalla necessità di dare attuazione alle esigenze risocializzanti, ultimamente il vero scopo perseguito dal legislatore è l'introduzione di strumenti deflazionistici, al fine di ridurre la popolazione carceraria, costretta in condizioni di sempre maggiore sovraffollamento. La riduzione del contenuto risocializzante delle misure alternative si spiega, dunque, con la miopia del legislatore, attento a cercare soluzioni nel breve termine invece d'intraprendere la strada di una riforma complessiva del sistema sanzionatorio, o addirittura dell'intero diritto penale. Un'altra spiegazione risiede nella carenze organizzative delle strutture che si occupano del trattamento rieducativo, in parte, dovute alla carenza di fondi destinati a loro, in parte, dovute al cattivo impiego delle risorse, umane ed economiche. Infine, non si può tacere la crisi dell'ideologia del trattamento. (27) Sicuramente, l'idea di rieducare un condannato ha goduto di maggior fortuna negli anni passati, ed infatti ha portato alla riforma dell'ordinamento penitenziario del '75, introdotta per dare attuazione all'art. 27, comma terzo, della Costituzione, e ha portato anche alla legge Gozzini dell'86, che rappresenta il momento di massima estensione dell'individualizzazione del trattamento sanzionatorio. (28) Ma già nella legge Simeone si riscontra una tensione tra esigenze deflative e finalità di risocializzazione, la volontà di espandere le misure alternative alla detenzione, ma non più soltanto per dare attuazione alla finalità rieducativa della pena, ma anche per cercare di ridurre la popolazione penitenziaria.

L'eccessivo ampliamento delle condizioni d'ammissibilità ha reso le misure alternative evanescenti da un punto di vista contenutistico, inefficaci dal lato dell'afflittività e del controllo della pericolosità sociale. Quello che si vuole ottenere in cambio del disfacimento dei tradizionali connotati delle misure alternative sono delle mere utilità a livello pragmatico: si tratta del mantenimento dell'ordine all'interno degli istituti penitenziari e del contenimento della popolazione reclusa. (29) Quest'ultimo obiettivo, inoltre, non sembra stia avendo molto successo.

Tuttavia, la perdita di contenuti risocializzanti si pone in contrasto con i principi costituzionali. La Corte costituzionale stessa laddove ammette la flessibilità nel trattamento sanzionatorio, la giustifica per le esigenze individualizzanti che derivano dall'art. 27, comma terzo. (30) Le misure alternative possono rimettere in discussione la pena decisa in sentenza soltanto se sono finalizzate a dare attuazione al principio di rieducazione o al principio di umanità. In altri termini, la sanzione si può modificare in fase esecutiva solo per esigenze risocializzanti o umanitarie, non certo per l'esigenza di svuotare le carceri sovraffollate.

Ciò non significa che non si debba proseguire nella lotta al sovraffollamento delle carceri. Anzi, la risoluzione di questo problema deve essere in cima all'agenda del legislatore, per evitare di protrarre una situazione di notevole disagio, in cui vengono quotidianamente violati i diritti dei detenuti, in particolare il diritto alla salute.

Inoltre, la ricerca di una soluzione urgente è resa necessaria anche dalla "pendenza" della sentenza "Torregiani" della Corte Europea, (31) in cui viene denunciata nei casi di grave sovraffollamento la violazione del divieto di trattamenti disumani e degradanti, stabilito dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. Ma soprattutto, ravvisando nella situazione denunciata dai ricorrenti un fenomeno sistemico e non isolato, scaturente da un malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano, la Corte europea condanna l'Italia ad adottare tutte le misure necessarie a risolvere il problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari. (32) In sintesi, se l'Italia entro un anno da quando la sentenza diventa definitiva non risolve la situazione, il rischio è che tutti i ricorsi che verranno presentati alla Corte per violazione dell'articolo 3 saranno accolti, comportando una lunga serie di risarcimenti che lo Stato dovrà pagare ai detenuti. Il discorso richiederebbe un approccio globale, cosa che esula dalla mia ricerca. Limitandoci all'argomento della tesi, si può vedere se esiste un modo più sapiente di configurare le alternative al carcere, al fine di ridurre il ricorso alla pena detentiva.

Emerge spesso in dottrina l'ipotesi di anticipare la concessione di una misura alternativa al momento della pronuncia della sentenza di condanna, permettendo allo stesso giudice della cognizione di poter scegliere fra la pena detentiva e una sua alternativa. Si parla, dunque, non più di misure alternative previste dall'ordinamento penitenziario, ma di vere e proprie alternative al carcere, che possono essere concepite o come pene sostitutive, surrogati penali, com'è ad esempio la semidetenzione, o nuove specie di pene principali, com'è invece la permanenza domiciliare. Anticipare alla fase della cognizione la previsione di sanzioni alternative alla pena detentiva, permette di appianare il divario esistente tra pena edittale e sanzione applicata in concreto, limitando di conseguenza i poteri discrezionali del giudice. (33) Anticipando nella fase della commisurazione le alternative alla detenzione si riesce ad evitare del tutto gli ingressi in carcere, quando ovviamente si rientri nei limiti edittali per l'accesso alla misura, e addirittura si riesce a limitare il ricorso stesso alla pena detentiva, delineando un sistema sanzionatorio più articolato. Quindi, in primo luogo si perseguirebbe in maniera più efficace la lotta alle pene brevi, evitando di sottoporre agli effetti desocializzanti del carcere chi è stato condannato ad una sanzione breve, segno di non rilevante gravità del fatto. In secondo luogo, si affermerebbe l'idea del carcere come extrema ratio, dotando il giudice della cognizione di strumenti sanzionatori ulteriori in modo da poter effettivamente concepire la pena detentiva come la sanzione necessaria soltanto quando le altre non appaiano adeguate.

Tuttavia, bisogna anche ricordare che le misure alternative possono essere concesse ab initio, perciò a parte la differenza di giudice competente a concedere le alternative al carcere, non si può dire che nel nostro ordinamento non ci siano gli strumenti per contrastare il ricorso alle pene brevi. È vero, però, che prevedere un'alternativa al carcere come pena invece che come beneficio penitenziario avrebbe il pregio di eliminare la discussione sugli scarsi contenuti risocializzanti.

In secondo luogo, non si può dire che il nostro sistema sanzionatorio sia privo di pene alternative al carcere perché in realtà la legge 24 novembre 1981, n. 689, ha introdotto le sanzioni sostitutive. Pertanto, esistono già delle misure alternative anticipate alla fase cognitiva, eppure, si è già detto che sono scarsamente applicate.

Viene naturale rivolgersi allora all'ordinamento francese, che appunto ha adottato tutte le soluzioni possibili, nel senso che permette la concessione delle alternative alla detenzione sia aventi natura di pene, che di sanzioni sostitutive che di modalità di esecuzione. In verità, la dottrina francese lamenta spesso lo scarso ricorso ai modi d'individualizzare la pena, per la scarsità d'informazioni che i giudici del giudizio posseggono sulla personalità del colpevole. E inoltre si riscontra un tasso di sovraffollamento nelle carceri pari al 119%, inferiore al nostro che si aggira attorno al 137%, ma non poi più di tanto. (34)

Se anche in Francia, dove le alternative al carcere non sono certo poche, si riscontrano problemi di sovraffollamento, allora forse la soluzione non sta nelle alternative quanto nella pena detentiva stessa. Quello che intendo dire è che una lotta efficace alle pene brevi e un'applicazione effettiva del principio di extrema ratio della pena detentiva non può che partire da una nuova concezione della pena per eccellenza, piuttosto che dalla creazione di un numero sempre maggiore di suoi surrogati. In quanto sostituti o alternative, si tratta pur sempre di misure che partono dal presupposto della necessità della pena detentiva. È in questa direzione che si è mosso il d.lgs 274/2000, che ha introdotto le disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, eliminando qualunque riferimento alla pena carceraria. Ma l'importante non è che si tratti di pene principali invece che di sanzioni sostitutive, quanto della previsione di fattispecie criminose che molto semplicemente non siano punibili con la pena detentiva, perlomeno quando si tratti di reati non gravi, non violenti, per i quali la pena detentiva appare sproporzionata e desocializzante. Solo in questo modo il carcere diventa l'ultima sanzione alla quale ricorrere, e di conseguenza la sanzione non indicata per le pene di una certa brevità. Tanto più che punire allo stesso modo, con la stessa specie di pena, i delitti di rilevante gravità e i reati bagatellari comporta un'errata percezione del loro reale disvalore. (35)

Ciò detto, non vi è dubbio che anticipare alla fase della cognizione la previsione di sanzioni alternative alla pena detentiva consentirebbe un'applicazione conforme a Costituzione del principio di tassatività delle pene, e permetterebbe di anticipare la stessa funzione risocializzante delle sanzioni al momento dell'irrogazione della pena, e non solo alla fase dell'esecuzione penale. Tuttavia, il principio di flessibilità del trattamento rieducativo continua ad avere un senso, se non si vogliono irrogare sanzioni immutabili nel tempo, e perciò prive di fini risocializzanti. (36) Allora, forse la soluzione onnicomprensiva francese è l'unica in grado di tenere in considerazione tutte queste diverse esigenze, che si esprimono anche in diverse fasi del procedimento. L'unico problema è riuscire a convincere l'opinione pubblica, ma anche molti operatori del diritto, che la sanzione non esiste come pena certa e immutabile, ma come processo sanzionatorio dinamico, necessariamente mutevole al mutare delle esigenze di recupero della persona.

Certo è che un sistema punitivo perennemente "aperto" è senz'altro difficilissimo da realizzare, e in realtà neanche vantaggioso. Se un soggetto, infatti, si mostrasse più pericoloso durante il corso della pena che all'inizio, il rischio sarebbe di aggravare la punizione nella fase dell'esecuzione, senza rispettare la proporzionalità della sanzione alla gravità del fatto di reato, ovvero senza rispettare il principio di colpevolezza. Si rischierebbe di forgiare la pena sulle misure di sicurezza, tenendo sempre in considerazione la persona e la sua pericolosità sociale, e non più la gravità del fatto e il suo disvalore intrinseco. Questo è sicuramente uno scenario esagerato, significherebbe permettere di aumentare la pena dopo che è stata irrogata in sentenza di condanna, mentre il principio di flessibilità della pena ha sempre come presupposto la finalità di recupero della persona, perciò si muove necessariamente verso il basso. Tuttavia, serve a ricordare che anche una pena indeterminata è una pena non rispettosa dei principi fondamentali dell'ordinamento.

Il discorso sull'individualizzazione del trattamento rieducativo si pone in termini problematici soltanto quando ci si trova di fronte alla pena detentiva. Se si adottassero delle vere alternative al carcere, credo che il discorso perderebbe gran parte del suo fascino. Basta pensare alla pena pecuniaria, l'alternativa per eccellenza nei paesi del nord Europa: anche se viene versata a rate attraverso il sistema dei "tassi giornalieri", nessuno si è mai preoccupato di adeguare la pena pecuniaria all'evoluzione della personalità del condannato durante la sua esecuzione. E lo stesso ragionamento potrebbe essere fatto per le sanzioni di una certa brevità o immediatezza, per le quali non sarebbe necessario rivalutare la situazione. Questo perché l'attualità dell'adeguatezza della sanzione alla personalità del condannato si pone in termini problematici solo quando è in gioco la libertà personale di una persona, bene di rilievo costituzionale che può essere limitato solo a certe condizioni, condizioni che devono essere sempre attuali. Introducendo sanzioni che non sono privative della libertà personale, ma anche solo limitative, il principio di flessibilità della pena vedrebbe ridotto il suo peso.

Ad ogni modo, nel nostro ordinamento è impensabile ridurre il principio di flessibilità nell'esecuzione penale, senza violare la Costituzione stessa; si può certamente renderlo migliore, più coerente e razionale, (37) ma non si può certo pensare di eliminare le misure alternative in favore di un sistema di sanzioni alternative alla detenzione nelle sole mani del giudice della cognizione. In ossequio ai principi che riguardano il sistema delle pene, si potrebbero introdurre diversi strumenti sanzionatori di cui dotare il giudice della cognizione, prestabiliti dal legislatore a seconda delle categorie di reati. Così, si ridurrebbe la discrezionalità giudiziale ridando certezza al diritto penale, e si limiterebbe realmente il ricorso alla pena detentiva, erodendo il monopolio carcerario. (38)

Al contempo, si potrebbero lasciare le misure alternative nella fase esecutiva, ma riscrivere i loro contenuti in maniera più rigida, per garantire una la loro applicazione omogenea sul territorio ed evitare troppe differenze nell'interpretazione e, di conseguenza, nella concessione da parte dei diversi Tribunali di sorveglianza. (39)

Ma, soprattutto, si dovrebbe limitare la funzione delle misure alternative a quella loro propria, di strumento per attuare la progressività nel trattamento rieducativo, la flessibilità dell'esecuzione penale, eliminando invece la possibilità di concederle ab initio. (40) Le misure alternative smetterebbero di sostituirsi alla pena decisa dal giudice della cognizione, ma verrebbero adottate soltanto quando la pena detentiva non si dimostri più idonea al reinserimento sociale del condannato, oppure si dimostri eccessivamente disumana.

Note

1. Dolcini E., Paliero C.E., Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, op. cit., p. 177.

2. Dolcini E., Paliero C.E., Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, op. cit., p. 175 s.

3. Dolcini E., Paliero C.E., Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, op. cit., p. 173 s.

4. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 722.

5. Dati forniti dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Ministero della Giustizia, aggiornati al 31 luglio 2013. Ai soggetti in semidetenzione vanno aggiunti 194 soggetti che sono sottoposti alla libertà controllata, per un totale di 205 condannati ad una sanzione sostitutiva diversa dalla pena pecuniaria.

6. Neppi Modona G., Il sistema sanzionatorio: considerazioni in margine ad un recente schema di riforma, op. cit., p. 319 ss.

7. Dolcini E., Paliero C.E., Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, op. cit., p. 283 ss.

8. Giunta F., L'effettività della pena nell'epoca del dissolvimento del sistema sanzionatorio, op. cit., p. 420.

9. Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, op. cit., p. 18.

10. Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, op. cit., p. 7.

11. Breda R., Riforma del carcere e sue alternative, in Dir. Pen. Proc. 1996, p. 249.

12. Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione: commento alla Legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, con riferimento al regolamento di esecuzione e alla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, op. cit., p. 20.

13. Breda R., Riflessioni critiche sull'uso improprio delle misure alternative, in Dir. Pen. proc. 1997, p. 1409.

14. Corte cost., 27 giugno-4 luglio 1974, n. 204, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

15. Dolcini E., Riforma della parte generale del codice e rifondazione del sistema sanzionatorio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, p. 835.

16. Monteverde L., Tribunale della pena, processo bifasico e giusto processo, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 2002, p. 157 ss.

17. Bricola F., Le misure alternative alla pena nel quadro di una "nuova" politica criminale, op. cit., p. 38.

18. Monteverde L., Tribunale della pena, processo bifasico e giusto processo, op. cit., p. 161 s.

19. Dolcini E., Riforma della parte generale del codice e rifondazione del sistema sanzionatorio, op. cit., p. 835.

20. Giacopelli M., La promotion du milieu ouvert par l'aménagement des peines, op. cit., p. 90.

21. Herzog-Evans M., Droit de l'exécution des peines, op. cit., p. 521.

22. Giacopelli M., Réforme du droit de l'application des peines (dispositions de la loi no 2004-204 du 9 mars 2004 relatives à l'exécution des peines privatives de liberté). In Recueil Le Dalloz, 2004, p. 2589.

23. D'Hauteville A., Reflexions sur la remise en cause de la sanction penale, in Revue de science criminelle et de droit pénal comparé, 2002, Nº 2, p. 405.

24. Herzog-Evans M., Droit de l'exécution des peines, op. cit., p. 1033.

25. Herzog-Evans M., Droit de l'exécution des peines, op. cit., p. 1038.

26. Lavielle B., L'assignation à résidence sous surveillance électronique, ou de la difficulté d'être son propre gardien..., op. cit., p. 2018.

27. Della Casa F., Misure alternative al carcere ed effettività della pena tra realtà e prospettive, op. cit., p. 73.

28. Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione: commento alla Legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, con riferimento al regolamento di esecuzione e alla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, op. cit., p. 1 ss.

29. Della Casa F., Misure alternative al carcere ed effettività della pena tra realtà e prospettive, op. cit., p. 68.

30. Corte cost., 27 giugno-4 luglio 1974, n. 204, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

31. Corte europea dei diritti dell'uomo, Sez. II, 8 gennaio 2013, n. 43517.

32. Romoli F., Il sovraffollamento carcerario come trattamento inumano o degradante, in Giur. It., 2013, p. 1188.

33. Neppi Modona G., Il sistema sanzionatorio: considerazioni in margine ad un recente schema di riforma, op. cit., p. 335.

34. Les Chiffres clés de l'administration pénitentiaire, Ministère de la Justice, calcolano in 56.992 la capienza regolamentare negli istituti penitenziari, a fronte di 67.977 detenuti, dati aggiornati al 1º gennaio 2013.

35. Dolcini E., Paliero C.E., Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, op. cit., p. 7.

36. Della Casa F., Misure alternative al carcere ed effettività della pena tra realtà e prospettive, op. cit., p. 77 s.

37. Dolcini E., Riforma della parte generale del codice e rifondazione del sistema sanzionatorio, op. cit., p. 830 s.

38. Palazzo F. C., Riforma del sistema sanzionatorio e discrezionalità giudiziale, in Diritto penale e processo, 2013, p. 102.

39. Niro M., Le misure alternative tra deflazione carceraria e revisione del sistema sanzionatorio, in Questione Giustizia, 2007, p. 228.

40. Dolcini E., Riforma della parte generale del codice e rifondazione del sistema sanzionatorio, op. cit., p. 835.