ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo primo
Le misure semidetentive

Irene di Valvasone, 2013

1- Semilibertà e semidetenzione: due ipotesi simili e diversissime al contempo

La commissione di un fatto di reato comporta una risposta sanzionatoria da parte dell'ordinamento giuridico, che riveste la forma tipica della pena. La pena è la sanzione prevista in conseguenza della violazione della legge penale. Le sanzioni penali sono tassativamente elencate all'articolo 17 del codice penale; ciò però non ha precluso l'introduzione nel nostro ordinamento di alcune alternative alla pena, che a vario titolo, si sostituiscono o almeno rimodulano le pene principali, in particolar modo la sanzione detentiva. La mia ricerca si concentrerà su alcune di queste alternative: le misure semidetentive e le misure detentive non carcerarie.

Le misure semidetentive sono alternative alla pena detentiva in quanto non si eseguono completamente in carcere, ma alternano, durante il corso della giornata, una periodo di tempo trascorso in libertà e un periodo di tempo trascorso in istituto penitenziario. Si parla di una detenzione solo parziale, “una prigione a mezzo servizio”. (1) Questo significa che non costituiscono delle sanzioni che si aggiungono e si diversificano dalla tradizionale pena detentiva, ma si tratta più semplicemente di modalità differenti di eseguire la pena carceraria. Le misure semidetentive creano un regime detentivo attenuato, proprio perché sono solo parzialmente detentive. (2)

Nel nostro ordinamento si riscontrano due misure che hanno queste caratteristiche: la semidetenzione e la semilibertà. Ma al di là delle apparenti somiglianze, siamo di fronte a due istituti molto diversi fra loro. Infatti, mentre la semidetenzione viene considerata una sanzione sostitutiva, sanzione che nasce per sostituirsi ab initio, nella fase della cognizione, alla pena detentiva; la semilibertà è invece una misura alternativa alla detenzione, che nel nostro ordinamento viene concessa solo dopo che la sentenza di condanna è diventata irrevocabile, da parte della magistratura di sorveglianza.

2- La semilibertà: misura alternativa ovvero modalità alternativa di esecuzione della pena detentiva

La semilibertà è una misura alternativa alla detenzione, disciplinata agli articoli 48 e ss della legge sull'ordinamento penitenziario, l. 26 luglio 1975, n. 354. Nonostante sia inserita nel Capo sesto, dedicato alle misure alternative alla detenzione, è difficile considerarla un'alternativa vera e propria al carcere. Mentre l'affidamento in prova ai servizi sociali, ad esempio, è sicuramente una misura alternativa alla detenzione perché si esegue interamente fuori dall'istituto penitenziario; la semilibertà, invece, non è alternativa alla pena detentiva, poiché comunque prevede una restrizione in carcere. (3) Semmai si può definire una parziale sostituzione della pena detentiva tradizionale, (4) dato che una parte della giornata viene trascorsa in libertà, e l'altra parte in stato di detenzione. Per questo motivo, appare più corretto qualificarla come modalità alternativa di esecuzione della pena detentiva, (5) una variante della pena carceraria, dalla quale si differenzia per il regime attenuato, più favorevole al reo. (6) Di conseguenza, il semilibero è considerato ugualmente un soggetto detenuto, a cui si applica la legge sull'ordinamento penitenziario e il suo regolamento esecutivo, quando si trovi in istituto penitenziario. (7)

La semilibertà consiste nel trascorrere parte della giornata in libertà, svolgendo talune attività indicate dalla legge, e l'altra parte dimorando in istituto penitenziario. Questa misura alternativa è stata introdotta allo scopo di attuare la progressività nel trattamento sanzionatorio, così permettendo un graduale reinserimento del soggetto in ambiente libero. In questo modo, il detenuto può lentamente riabituarsi alla libertà e cercare di reinserirsi nel tessuto sociale attraverso lo svolgimento di un'attività, invece di essere bruscamente abbandonato nel momento in cui ha completamente espiato la pena. Grazie al suo contenuto altamente risocializzante, la semilibertà attua dunque il principio di rieducazione della pena, e realizza l'individualizzazione del trattamento punitivo nella fase dell'esecuzione: la sanzione viene adeguata alla personalità dell'individuo, dato che giustamente può evolversi nel tempo. (8)

La misura della semilibertà può essere concessa sia ai condannati sia agli internati, quindi sia a soggetti condannati a pena detentiva sia a soggetti sottoposti ad una misura di sicurezza detentiva, cioè l'assegnazione ad una casa di lavoro o a una colonia, il ricovero in una casa di cura e di custodia, e infine, ancora per poco, il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario. Qualche dubbio era stato sollevato sulla possibilità di concedere la semilibertà, così come le altre misure alternative, agli stranieri irregolari. Alla fine, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2006 ha affermato che l'espulsione dello straniero in base all'art. 16 del d.lgs 25 luglio 1998, n. 286 non è la sola misura alternativa che può essere concessa allo straniero entrato illegalmente nel territorio italiano o comunque privo del permesso di soggiorno, altrimenti verrebbero violati il principio di pari dignità delle persone e il principio di rieducazione della pena. Pertanto, le misure alternative si possono concedere anche agli stranieri destinatari della misura di sicurezza dell'espulsione dal territorio dello Stato. (9) La Corte costituzionale nel 2007 ha poi dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 47, 48 e 50 della legge sull'ordinamento penitenziario, a meno che non vengano interpretati in modo da renderli applicabili anche agli stranieri che sono entrati illegalmente in Italia o sono privi del permesso di soggiorno. Una preclusione automatica delle misure alternative agli stranieri contrasterebbe col principio costituzionale ex art. 27, comma terzo, oltre che con gli artt. 2 e 3 Cost., che impongono di garantire a tutti l'accesso ad ogni beneficio che possa permettere la rieducazione del reo, anche perché non si può ritenere che una condizione soggettiva possa essere di per sé sintomatica della maggiore pericolosità di una persona. (10) Inoltre, è proprio il fatto che il condannato debba espiare una pena che lo obbliga a permanere nel territorio dello Stato, sia che l'esecuzione avvenga all'interno di un istituto penitenziario, sia che avvenga all'esterno, come accade nell'esecuzione delle misure alternative alla detenzione. Lo straniero clandestino ha un titolo che legittima la sua presenza sul suolo italiano, proprio in forza dell'obbligo di espiare la pena a cui è stato condannato. (11)

La legge prevede che la misura della semilibertà venga scontata in appositi istituti o in apposite sezioni autonome di istituti penitenziari; la legge permetterebbe l'utilizzo anche di edifici di civile abitazione, ma la previsione non viene mai applicata a causa della mancanza di strutture, dovuta alla scarsa disponibilità dei cittadini. (12)

La previsione volta a differenziare gli istituti per coloro che hanno il permesso di uscire in libertà e coloro che sono ristretti in detenzione continua è dettata da motivi di sicurezza, cerca di evitare la promiscuità tra questi soggetti. (13) Il rischio è di aumentare la frustrazione dei detenuti che sono costretti in carcere, nel vedere che altri soggetti possono uscire. Ma, soprattutto, si temono le pressioni che potrebbero subire i semiliberi da parte degli altri detenuti, pressioni affinché portino in carcere qualcosa di cui hanno bisogno, oppure lo portino fuori, affinché incontrino qualcuno o si mettano in contatto coi familiari di chi non può uscire, fino alle pressioni che possono portare alla commissione di reati, ad esempio il traffico di stupefacenti.

L'utilizzo della casa delle semilibertà è previsto anche quando si tratta di detenute madri di prole inferiore ai tre anni: è stata la legge 10 ottobre 1986, n. 663, meglio nota come legge “Gozzini”, a prevedere questa norma di favore, ma è ugualmente necessario che le condannate madri soddisfino anche gli altri presupposti richiesti per la concessione della semilibertà. (14) La differenza sta nel fatto che le detenute madri hanno diritto di accedere a queste strutture, mentre i semiliberi, condannati o internati, possono soltanto chiedere di risiedere in questi edifici, finché ci sono posti disponibili. (15) Ciò detto, va anche aggiunto che in Italia le strutture di questo genere non sono molte, la qual cosa incide sulla possibilità di accedere alla misura alternativa della semilibertà.

2.1- Le attività risocializzanti come espressione del contenuto rieducativo

Le condizioni per ottenere la misura della semilibertà variano a seconda dell'ipotesi che si prende in considerazione, poiché in realtà l'art. 50 dell'ordinamento penitenziario suddivide la semilibertà in tre distinte figure, diverse non solo per le condizioni di accesso, ma anche per la loro finalità. L'unico requisito che si presenta indispensabile in tutt'e tre i casi è lo svolgimento di un'attività lavorativa, istruttiva o comunque utile al reinserimento sociale del condannato. (16) Il tempo trascorso in libertà è dunque predeterminato dal legislatore, che impone a chiunque voglia accedere alla misura di svolgere un'attività che contribuisca al suo reinserimento.

L'attività risocializzante per eccellenza è sicuramente il lavoro. Purtroppo, specialmente in tempi recenti, l'accesso ad una prestazione lavorativa è diventato molto difficile, mentre dalla prassi emerge che la giurisprudenza concede più facilmente la semilibertà se è subordinata allo svolgimento di un'attività professionale, piuttosto che istruttiva o di altro genere, poiché la disponibilità di un lavoro dovrebbe impedire la commissione di ulteriori reati. In compenso, la Corte di Cassazione ha ammesso che prendersi cura della salute dei propri familiari può rientrare nelle attività utili al reinserimento sociale del condannato «sempreché tale attività non rimanga confinata nell'ambito dei valori strettamente familiari, che anche se apprezzati dall'ordinamento, non sono oggettivamente indicativi del reinserimento del soggetto nella società per il quale è richiesto, invece, l'espletamento di un'attività con finalità “altruistiche”, o, comunque, idonea a dimostrare il superamento delle pulsioni personali, di solito egoistiche, che hanno determinato il soggetto a delinquere». (17) Sulla base di queste affermazioni, la giurisprudenza di legittimità ha poi incluso tra le attività risocializzanti lo svolgimento di un lavoro non retribuito, (18) venendo in tal modo incontro alle difficoltà dei giorni nostri, e aprendo la strada a quelle attività che hanno comunque uno scopo altruistico, come il volontariato. (19) Il fatto che l'attività lavorativa sia priva di retribuzione non è di per sé rilevante, a meno che non si dimostri che non sia in grado di consentire il reinserimento sociale del condannato e che non impedisca la commissione di nuovi reati al fine di procurarsi i mezzi di sussistenza. Ma rimane innegabile il rischio di subordinare la concessione della semilibertà a circostanze indipendenti dalla volontà dell'interessato, come la carenza di posti di lavoro, (20) nonostante l'apertura che la legge fa' alle altre attività utili al reinserimento. (21) Lo stesso si può dire quando queste condizioni vengono meno durante il corso della misura, nel caso ad esempio in cui il soggetto venga licenziato non per sua colpa, ma per la necessità del datore di lavoro di ridurre i costi del lavoro. La crisi economica, la mancanza di disponibilità da parte dei datori di lavoro, la poca lungimiranza dell'amministrazione penitenziaria che non perde molto tempo a cercare di stipulare contratti con le cooperative sociali, oltre alla scarsità di strutture idonee, fanno di questa misura alternativa la meno applicata, nonostante il grande potenziale in termini di rieducazione.

Infatti, lo svolgimento di un'attività all'esterno dell'istituto penitenziario non è soltanto una condizione di accesso al regime della semilibertà, ma è soprattutto espressione del contenuto rieducativo di questa misura. (22) La rieducazione del condannato, il suo reinserimento nel mondo libero, passa proprio attraverso il lavoro, lo studio e tutto ciò che possa aiutarlo ad abituarsi, nuovamente o per la prima volta, a vivere nella comunità, svolgendo appunto quelle attività che fanno parte della vita quotidiana dei soggetti liberi. Va detto, poi, che la legge è stata formulata in termini molto generici, soprattutto nell'inciso finale, cosicché sembra possibile ammettere ogni tipo di attività, purché contribuisca al reinserimento sociale del detenuto. In questo modo, si aprono ampi margini di discrezionalità nelle mani del giudice. (23) Il Tribunale di sorveglianza, dotato di un potere discrezionale quasi illimitato, potrebbe, teoricamente, subordinare la concessione della semilibertà allo svolgimento delle più svariate prestazioni, magari aumentando anche il numero di persone che possono accedere alla misura. In verità, come già detto, la magistratura è poco incline a dare un'interpretazione ampia alle attività risocializzanti, preferendo subordinare la concessione della semilibertà alla sicurezza, economica e quindi in termini di contenimento della recidiva, che deriva dallo svolgimento di un'attività lavorativa. Tuttavia, l'attività da svolgere deve essere utile al reinserimento sociale del condannato, che è lo scopo della semilibertà. Perché si realizzi questa condizione, è necessario che il giudice di merito valuti attentamente la possibilità che l'attività sia in concreto “utile” al superamento degli istinti egoistici in favore di una partecipazione alla vita sociale da parte del condannato, e non in astratto in riferimento all'intrinseca natura dell'attività. (24) Quindi, la discrezionalità giudiziale è necessaria per valutare se, in concreto, l'attività alla quale è subordinata la semilibertà è idonea ad accelerare quel procedimento di modificazione della personalità del condannato che prende il nome di rieducazione.

L'attività che s'intende svolgere deve essere menzionata nel programma di trattamento, un programma preciso che contiene le prescrizioni inerenti alla misura, gli orari di uscita e di rientro dal carcere, e indica inoltre i rapporti che il semilibero può intrattenere all'esterno, come precisa l'art. 101 del regolamento di esecuzione della legge sull'ordinamento penitenziario, emanato con decreto del Presidente della Repubblica, il 30 giugno 2000, n. 230. Il programma di trattamento contiene, in sintesi, le condizioni di esecuzione della semilibertà, ed è per questo che è approvato dal magistrato di sorveglianza, che è l'organo competente quando si tratta di modalità attuative delle misure alternative, essendo il giudice preposto alla vigilanza sugli istituti di pena. In via provvisoria, il programma di trattamento può essere redatto anche dal direttore dell'istituto penitenziario, per evitare i ritardi dovuti alla sua stesura, e poi viene approvato dal magistrato di sorveglianza. (25) La competenza nella concessione o nella revoca della semilibertà spetta, invece, al Tribunale di Sorveglianza, come per le altre misure alternative, che abbia la giurisdizione del luogo dov'è detenuto il condannato, o se libero, del luogo di residenza o domicilio dell'interessato.

2.2- Le condizioni di accesso alla semi-liberté: un'unica formula per tutte le peines aménagées

La ricerca all'interno dell'ordinamento francese di uno strumento corrispondente alla nostra misura della semilibertà, è piuttosto agevole. Oltre al fatto di avere un'identica denominazione, anche la semi-liberté, introdotta in Francia nel 1958, inizialmente era stata concepita come una sanzione avente lo scopo di evitare il carcere quando la pena detentiva fosse breve, oppure preparare alla libertà nel caso si trattasse di pene di una certa lunghezza. (26) Tuttavia, la disciplina è diventata più complicata quando si è cercato di ampliare il più possibile la possibilità di ricorrere alla semilibertà, permettendo che potesse essere concessa sia dal giudice della cognizione, al momento dell'irrogazione della pena detentiva, sia dal giudice dell'applicazione delle pene, prima dell'inizio dell'esecuzione della sanzione oppure a fine pena. (27) La semi-liberté, infine, può essere considerata una misura preliminare alla concessione della liberazione condizionale; in questo caso si parla di semilibertà probatoria, (28) che diventa addirittura obbligatoria nel caso in cui al soggetto sia stata applicata una misura di sicurezza superiore ai 15 anni. (29) È necessario sottolineare il rapporto che lega la semi-liberté con il placement sous surveillance électronique e il placement à l'extérieur. Quest'ultima è la misura che deriva dai cosiddetti “cantieri esterni”, fino a trasformarsi nel lavoro penitenziario sotto il diretto controllo dell'amministrazione penitenziaria. (30) Insieme alla semilibertà, si considera una misura di assegnazione in ambiente semilibero. (31)

Le tre misure sopracitate sono denominate peines aménagées; in particolar modo, si considerano modalità di esecuzione della pena detentiva, ed è per questo che non rientrano tra le vere e proprie sanzioni alternative. Possono interessare soltanto la pena detentiva correzionale, cioè la sanzione prevista per la commissione di un delitto; ne consegue la loro esclusione nel caso in cui venga commesso un crimine, il tipo di reato più grave previsto dall'ordinamento francese, oppure venga commessa una contravvenzione, che non è mai sanzionata con una pena detentiva. La caratteristica di rilievo che accomuna queste tre misure è il fatto che permettono un “aménagement” della pena pur mantenendo il condannato in stato di detenzione. Il termine “aménagement” è difficilmente traducibile in italiano, rimanda all'idea di un qualcosa che può essere aumentato oppure diminuito, che può essere “arrangiato”, organizzato in altra maniera. È la facoltà data al giudice di “modulare” la sanzione. Dire che semi-liberté, placement sous surveillance électronique e placement à l'extérieur sono tutt'e tre delle “ristrutturazioni” della pena detentiva che però conservano uno stato detentivo, significa focalizzarsi sul fatto che si tratta di sanzioni accomunate dalla particolare afflittività, dalla permanenza di un certo grado di restrizione della libertà personale. (32) Tuttavia, l'indifferenziazione semantica con cui è utilizzato il termine “aménagement” lo rende ambiguo e fuorviante. Se la misura è concessa dal Juge de l'application des peines allora non si crea confusione considerandole “modulazioni” della pena detentiva, ma quando sono applicate dal giudice della cognizione diventano vere e proprie pene principali. L'ambiguità è però accresciuta dal fatto che sono considerate peines aménagées soltanto la semi-liberté, il placement sous surveillance électronique, il placement à l'extérieur e il fractionnement des peines, senza includere le varie forme di sospensione condizionale della pena, pur rientranti nei modi di personalizzazione delle pene, che in qualche modo, soprattutto quando si tratta della sospensione con messa alla prova o accompagnata dal lavoro d'interesse generale, sono dei modi ulteriori di ristrutturare la pena inflitta. (33) La disciplina è comune anche per quanto riguarda i limiti di pena: la pena detentiva che può essere sostituita non deve superare i 2 anni, 1 anno nel caso si tratti di un soggetto recidivo. Anche in Francia, dunque, si è creato un percorso aggravato per coloro che si trovano in stato di recidiva legale, confondendo così il piano della pericolosità sociale con la circostanza di aver commesso più di un'infrazione penale.

All'articolo 132-25 del codice penale francese sono indicate le attività alle quali è subordinata la concessione della semilibertà, e che sono le stesse previste per accedere “all'assegnazione all'esterno” e alla sottoposizione a sorveglianza elettronica. Queste attività consistono nell'esercizio di un'attività professionale, anche temporanea, in uno stage o nella frequentazione di un corso d'insegnamento, oppure di formazione professionale, nonché nella ricerca di un impiego. Possono essere attinenti, inoltre, alla partecipazione essenziale alla vita di famiglia, alla necessità di sottoporsi ad un trattamento sanitario, e infine all'esistenza di sforzi di riadattamento sociale, prolungati nel tempo e risultanti da un progetto d'inserimento o reinserimento. Nonostante questo elenco sia molto più vasto di quello previsto dal nostro art. 48 della legge sull'ordinamento penitenziario, non si può dire che sia maggiormente determinato: le attività spaziano dal lavoro, alla famiglia, alle cure mediche, perciò il loro apprezzamento al fine di ottenere una delle 3 sanzioni summenzionate è completamente rimesso nelle mani del magistrato, nonostante siano considerate attività tassative. (34) La discrezionalità nella concessione delle peines aménagées è ineliminabile, l'unica cosa che si chiede al magistrato è di tenere in considerazione la personalità e la situazione materiale, familiare e sociale del condannato, nonché di avere riguardo al reinserimento del soggetto e alla possibilità di prevenire la recidiva. Così recita l'art. 707 del codice di procedura penale francese, ma non si può certo considerare un freno alla discrezionalità del giudice, dato che la norma è formulata in termini altrettanto generici, e altrettanto privi di significato senza una valutazione del magistrato che espliciti cosa la legge intenda dire. Ad ogni modo, le attività menzionate dalla legge sono molto interessanti per la considerazione che hanno delle effettive possibilità che il mondo del lavoro offre. La legge penitenziaria del 2009 ha infatti aggiunto il lavoro a tempo determinato e la ricerca di un impiego, avendo riguardo alle difficoltà occupazionali che i Paesi europei stanno vivendo in questi ultimi anni. I motivi legati alla salute parlano solamente della necessità di sottoporsi ad un trattamento sanitario, senza specificare né il tipo di cura né la gravità della malattia, lasciando al magistrato un'importante facoltà d'apprezzamento. L'attività di partecipazione alla vita di famiglia è rivolta principalmente ai giovani detenuti, per i quali questa partecipazione si presenta come essenziale al loro sviluppo. Tuttavia, questa condizione può andare anche a favore delle detenute madri o dei detenuti padri, per i quali l'ordinamento francese non prevede nessuna misura specifica. Il progetto d'inserimento comporta un impegno serio e duraturo da parte dell'interessato, e che si appalesi idoneo a prevenire il rischio di commissione di ulteriori reati. (35) Lo stretto rapporto tra semi-liberté, placement sous surveillance électronique e placement à l'extérieur, è testimoniato dalla fungibilità delle modalità di esecuzione della pena correzionale: il giudice può decidere di irrogare indifferentemente una delle tre misure, e può anche sostituire l'una con l'altra, nonostante non sia stato esplicitamente richiesto dal condannato. (36) La fungibilità permette al Jap, il giudice dell'applicazione delle pene, di adattare le modalità di esecuzione di una pena alla personalità del condannato. Si ritiene che, grazie all'individualizzazione delle modalità attuative della pena detentiva, si rinforza l'effettività delle pene. (37) Inoltre, stabilire un'equivalenza tra le tre peines aménagées è una garanzia nella lotta alle pene brevi, perché dà effettività al principio d'individualizzazione delle pene ab initio, concedendo al giudice dell'applicazione di valutare ancor prima dell'inizio dell'esecuzione quale sia il regime più adatto ad una determinata persona. (38) Si realizza il principio di flessibilità delle pene e la progressione nel trattamento, facendo sceglier al giudice quale delle peines amenagées sia la più opportuna. Pertanto, se la personalità dell'individuo, oppure i materiali a disposizione lo richiedano (si pensi ad esempio alla mancanza di braccialetti elettronici), il giudice può decidere di sostituire la sorveglianza elettronica con la semilibertà oppure con il lavoro penitenziario. (39)

2.3- La semilibertà per “pene brevi”. Una misura contro gli effetti desocializzanti del carcere

L'art. 50 della legge n. 354 del 1975 elenca tre differenti ipotesi in cui si può richiedere di essere ammessi al regime di semilibertà. Il primo caso è quello in cui la pena detentiva è inferiore o uguale a 6 mesi. La finalità di questa misura è quella di evitare gli effetti desocializzanti del carcere. (40) È ormai accertato che un periodo breve di reclusione comporta più conseguenze negative che altro. Innanzitutto, non c'è abbastanza tempo per intraprendere un programma di trattamento, volto alla rieducazione del condannato. Secondariamente, però, il periodo trascorso in istituto penitenziario è comunque sufficiente a produrre gli effetti negativi, desocializzanti, della detenzione; ad esempio, la perdita del lavoro, dei contatti con la famiglia e in generale con l'ambiente esterno, il rischio della contaminazione carceraria, secondo il quale il carcere è “una scuola del crimine”, (41) e infine gli effetti indelebili e stigmatizzanti della reclusione. (42) In un quadro generale di lotta alle pene brevi, quest'ipotesi di semilibertà incarna la volontà di ridurre il ricorso alle pene detentive non superiori a 6 mesi attraverso la loro sostituzione con un regime detentivo attenuato. (43) Si cerca dunque di evitare gli effetti desocializzanti del carcere, permettendo al condannato di conservare il posto di lavoro e i contatti con l'esterno. Seppure non si evita del tutto l'impatto con l'ambiente carcerario, in qualche modo, almeno, lo si limita.

La semilibertà “ab initio” si può concedere, appunto, quando la pena detentiva non superi i 6 mesi. È ancora controverso se questo limite di pena si riferisca soltanto alla reclusione oppure anche all'arresto. A livello linguistico, il riferimento temporale è collegato soltanto al termine reclusione, poiché si usa l'aggettivo “non superiore”, riferito al limite dei 6 mesi, usato al singolare. Pertanto, il dato letterale sembra escludere che il limite di pena si riferisca anche all'arresto. (44) Tuttavia, questa tesi creerebbe non poche disparità di trattamento. (45) È vero che generalmente le contravvenzioni sono reati meno gravi dei delitti, ma può succedere che un soggetto che ha commesso una lunga serie di reati puniti con l'arresto può in ogni caso vedersi convertita la pena detentiva nella misura della semilibertà, mentre una persona che ha commesso un solo delitto si vede negata questa possibilità se la reclusione inflitta supera, anche di poco, i 6 mesi. Concedere, poi, la semilibertà al posto di una pena dell'arresto piuttosto lunga tradisce la ratio stessa della misura alternativa di cui al comma 1 dell'art. 50 O.P., la funzione, appunto, di sostituto delle pene detentive brevi. (46) Questa considerazione ha portato alcuni esponenti della dottrina ad estendere il limite di pena anche alla sanzione dell'arresto, appianando in questo modo qualunque disparità. (47) Ma in fondo, non è tanto insensato pensare che il legislatore abbia voluto considerare il limite di 6 mesi riferito soltanto alla pena della reclusione, e abbia ammesso alla semilibertà chi commette contravvenzioni, in qualunque momento, poiché si tratta effettivamente di reati meno gravi, che inoltre vengono espiati in un regime sì attenuato, ma comunque sempre detentivo.

Oltre al limite edittale, per avere accesso a questa forma di semilibertà è richiesta la mancata concessione dell'affidamento in prova ai servizi sociali. Con quest'affermazione si vuole evitare che, laddove sia possibile applicare la misura più favorevole, che è appunto l'affidamento in prova, si finisca per concedere invece la semilibertà ab initio, che è sicuramente meno vantaggiosa per il reo. La conseguenza è l'instaurazione di un rapporto di residualità fra le due ipotesi: quando non è proprio possibile concedere la misura dell'affidamento, rimane la possibilità di ammettere il condannato alla semilibertà. In origine, in verità, la semilibertà per pene brevi era stata pensata per essere concessa soltanto al detenuto, (48) che dunque poteva accedervi solo dal carcere e non dallo stato di libertà. La legge n. 663 del 1986, la legge “Gozzini”, ha poi modificato il sesto comma dell'art. 50 dell'ordinamento penitenziario fugando ogni dubbio: la semilibertà prevista dal comma 1 dello stesso articolo può essere concessa sia dallo stato di libertà che dallo stato di detenzione, anche come residuo di pene più lunghe; inoltre, in quest'ultimo caso può essere concessa se il condannato ha dimostrato la propria volontà di reinserimento. La legge 27 maggio 1998, n. 165, anche detta legge “Simeone-Saraceni”, ha infine coordinato la disciplina dell'art. 656 del codice di procedura penale con la disciplina della semilibertà per pene brevi, permettendo che durante la sospensione dell'ordine di esecuzione della pena detentiva, il difensore o il condannato possano chiedere al Tribunale di sorveglianza non solo l'affidamento in prova o la detenzione domiciliare, ma anche la semilibertà prevista al comma 1 dell'art. 50 della legge n. 354 del 1975.

Il presupposto soggettivo della volontà di reinserimento sociale è sicuramente formulato in termini molto vaghi, indefiniti. Pertanto, lascia ampi margini di discrezionalità al Tribunale di sorveglianza, che in questo senso ha come il potere di trasformare la semilibertà in un beneficio più o meno indulgenziale. (49) Il significato della volontà del condannato di reinserirsi socialmente viene esplicitato dal rinvio all'art. 47, comma quarto, dell'ordinamento penitenziario: la semilibertà per pene brevi viene concessa quando dalla protrazione della detenzione in carcere potrebbe derivarne un pregiudizio per il beneficiario, e quando si attesti l'assenza del pericolo di fuga. (50) Si tratta di valutazioni ulteriormente vaghe, incapaci di delimitare in qualche modo la concessione della misura alternativa. Questa povertà di requisiti, soprattutto se si fa un paragone con la semilibertà per pene lunghe, si giustifica col fatto che la semilibertà ab initio non ha tanto una finalità di rieducazione del condannato, ma si limita più semplicemente a garantire che le pene detentive, nel momento in cui sono di una certa brevità, non esplichino i loro effetti desocializzanti. (51)

In quanto, poi, parziale sostituto della pena detentiva breve, non è necessaria l'osservazione della personalità dell'interessato e dei progressi compiuti nel corso del trattamento, come nell'affidamento in prova, ma è sufficiente una generale volontà di reinserirsi. Altrimenti, si allungherebbero i tempi per la sua concessione e non avrebbe più senso. In questo modo, però, si assottiglia il confine tra la semilibertà e la semidetenzione, (52) anch'essa carente di contenuti risocializzanti dato che si tratta di una vera e propria sanzione, che si sostituisce alle pene detentive brevi a scopo anti-desocializzante. La prognosi positiva sulla possibilità di un reinserimento nella società, la previsione della concessione ab initio, la finalità di non desocializzare sono tutti aspetti in comune fra le due misure, e sono i motivi che hanno spinto a parlare di una tendenza alla sovrapposizione fra semidetenzione e semilibertà per pene brevi, una parziale coincidenza fra i rispettivi ambiti di applicazione. (53) Sicuramente, l'accesso alla semidetenzione è più difficile per il numero maggiore di preclusioni, ma la semilibertà ab initio è limitata alle pene fino a 6 mesi invece che fino a 2 anni. (54)

2.4- La semilibertà per “pene medio-lunghe”: la realizzazione della progressione nel trattamento

La seconda ipotesi di semilibertà, presente anch'essa nella versione iniziale dell'art. 50 dell'ordinamento penitenziario, è la semilibertà per pene medio-lunghe. La ratio di questa misura alternativa è duplice. Da un lato, cerca di preparare il soggetto alla libertà: essendo concessa al condannato che ha trascorso in istituto penitenziario un periodo di tempo non breve, la finalità della semilibertà è quella di riabituare gradualmente alla vita nel mondo libero, di permettere un reinserimento progressivo, invece che brusco e immediato. Dall'altro lato, la semilibertà ha la finalità di valutare se i progressi nel trattamento sono stati concreti, effettivi, di testare se il grado di rieducazione ottenuto dentro le mura, sia sufficiente a permettere al soggetto di tornare a vivere nell'ambiente esterno. Quindi, la semilibertà è, al tempo stesso, «propedeutica all'ottenimento della libertà e probatoria dei risultati conseguiti fino a quel momento», (55) esercitando contemporaneamente una funzione premiale, (56) rivolta al passato, e una funzione di riabilitazione, (57) rivolta al futuro.

Non c'è dubbio che sia la misura che più di tutte incarna l'esigenza di progressività nel trattamento rieducativo: almeno nella mente del legislatore, la semilibertà per pene di una certa lunghezza è vista come la tappa di un percorso che si articola nella detenzione in istituto, per poi attenuarsi col regime solo parzialmente detentivo della semilibertà, a cui segue la liberazione condizionale in base all'art. 176 c.p., a sua volta propedeutica all'ottenimento della libertà. La progressività nel trattamento penitenziario si basa sulla consapevolezza che dopo un lungo periodo di reclusione in carcere può essere molto difficile per l'ex-detenuto riadattarsi all'ambiente libero, quasi contro-producente rispetto ad un reinserimento graduale e accompagnato. Il contenuto altamente rieducativo della semilibertà si arricchisce qui del tentativo di responsabilizzare il condannato o l'internato, il progressivo recupero della libertà porta l'interessato ad impegnarsi concretamente per conservare i vantaggi acquisiti e acquistarne di nuovi. (58) Per ottenere la semilibertà prevista nel primo periodo del comma 2 dell'art. 50 O.P., è necessario aver espiato un determinato quantum di pena. In generale, il condannato deve aver espiato metà della pena che gli è stata inflitta, intesa come la sanzione concretamente irrogata, quindi dopo aver detratto le riduzioni conseguenti alla concessione della liberazione anticipata e detratto l'eventuale periodo passato in custodia cautelare, compresi gli arresti domiciliari. Se però il condannato ha commesso uno dei reati elencati all'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario, la quantità di pena da espiare s'innalza a due terzi.

L'articolo 4-bis introduce un divieto di concessione dei benefici penitenziari a soggetti ritenuti particolarmente pericolosi, infatti s'indirizza a coloro che hanno commesso delitti con finalità di terrorismo oppure delitti collegati alla criminalità organizzata, e ulteriori delitti particolarmente gravi. In questi casi, l'unico modo per poter usufruire delle misure alternative disciplinate dall'ordinamento penitenziario, o dei permessi premio, oppure dell'assegnazione del lavoro all'esterno, è necessaria la collaborazione con la giustizia a norma dell'articolo 58-ter ord. pen. Grazie all'intervento della Corte costituzionale, la concessione dei suddetti benefici è inoltre ammessa quando la collaborazione con la giustizia è impossibile, poiché la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata in sentenza di condanna ha reso inesigibile un'utile collaborazione, (59) oppure quando l'integrale accertamento del fatto e della responsabilità la rende irrilevante, sempre che sia possibile escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. (60) Il comma 1-ter estende il divieto di concessione dei benefici penitenziari agli autori di altri gravi delitti, a meno che non sussistano elementi che escludono la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. Nel caso di commissione di delitti sessuali, la concessione può inoltre avvenire solo sulla base dei risultati prodotti dall'osservazione della personalità per almeno un anno. Già il divieto di cui al primo comma è opinabile, perché oltre ad essere basato su una presunzione di pericolosità, sembra poi prevalentemente redatto per incentivare la collaborazione dei cosiddetti “pentiti”, senza tenere in minima considerazione la finalità rieducativa che è il presupposto della concessione delle misure alternative. (61) L'estensione, poi, ad ulteriori reati che non hanno necessariamente collegamenti con la mafia o con il terrorismo contribuisce ad alimentare l'idea che esista un “doppio binario” per cui alcuni autori di gravi reati, per'altro sempre più numerosi, si trovano esclusi dal trattamento rieducativo che dovrebbe essergli invece garantito ai sensi dell'articolo 1 dell'ordinamento penitenziario. Per potere accedere al regime di semilibertà previsto nel primo periodo del secondo comma dell'art. 50, i condannati che hanno commesso uno dei delitti previsti all'art. 4-bis devono aver espiato almeno due terzi della pena loro inflitta. Per interpretazione pacifica della Corte di Cassazione, il rinvio che l'art. 50 fa all'art. 4-bis deve essere inteso come un rinvio all'intero catalogo dei delitti da questo contemplati, da intendersi come un riferimento all'individuazione di quei delitti ritenuti sintomatici di un livello di pericolosità del condannato, tale da impedirgli l'accesso ai benefici penitenziari. Pertanto, anche quando il reato commesso rientri nei delitti menzionati nel comma 1-ter (il caso sottoposto alla Corte riguarda infatti la fattispecie di omicidio), per i quali l'ostatività non opera se non ci sono elementi tali da far ritenere sussistenti dei collegamenti con la criminalità organizzata, per accedere al regime della semilibertà è comunque necessario aver espiato i due terzi della pena, e non la metà, pur avendo rilevato l'insussistenza di tali collegamenti. (62) Quest'interpretazione è avvalorata dalla lettera e dalla ratio della previsione contemplata nel secondo comma dell'art. 50, che appunto rinvia all'art- 4-bis senza nessuna distinzione fra i reati elencati in esso, e dal fatto che, se così non fosse, il divieto di concessione di benefici, che può essere superato soltanto dall'accertamento della collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter, verrebbe aggirato col verificarsi della condizione di aver espiato due terzi di pena. Quest'interpretazione sembra ancor più pacifica dopo che la legge 15 luglio 2009, n. 94, ha modificato il comma secondo dell'art. 50, cosicché adesso rinvia esplicitamente ai commi 1, 1-ter e 1-quater dell'art. 4-bis, cioè esattamente a quei commi che forniscono un catalogo dei delitti. (63)

Tornando alla semilibertà, l'accesso a questa misura è permesso anche a chi è stato condannato alla pena dell'ergastolo, dopo aver espiato almeno 20 anni di prigione. I soggetti internati, invece, possono esservi ammessi in qualunque momento. Pur esistendo un limite di pena che deve essere stata espiata, non è stato previsto un limite finale, un massimo di pena che si può trascorrere in regime di semilibertà. In teoria, dunque, quando la sanzione è veramente consistente, anche il residuo da espiare in misura alternativa può essere molto lungo. È dimostrato che dopo un certo periodo trascorso in semilibertà, si può iniziare a soffrire di questa situazione altalenante tra la detenzione e la libertà, causando disagi in chi è costretto a vivere tutti i giorni una sorta di “doppia vita”. Non a caso questa modalità di esecuzione della pena è stata immaginata come provvisoria e preliminare alla liberazione, piena o almeno condizionale, del detenuto. (64) Tuttavia, questo rischio, che un condannato passi molti anni in regime di semilibertà, è sussistente.

Ci sono altre due condizioni per essere ammessi alla semilibertà. Il Tribunale di sorveglianza deve valutare i progressi compiuti nel corso del trattamento e il graduale reinserimento del soggetto in libertà. Nel primo caso, il giudice deve compiere una valutazione sul comportamento passato del detenuto, sull'evoluzione della sua personalità nel corso del trattamento penitenziario. (65) I progressi da considerare non dovrebbero limitarsi alla buona condotta tenuta in istituto penitenziario, tuttavia, la situazione reale delle carceri, povere di esperienze trattamentali, tende a far coincidere queste due valutazioni. (66) Nel secondo caso, il magistrato dovrà valutare il futuro comportamento del soggetto e formulare una prognosi favorevole sul suo reinserimento sociale. Entrambe le condizioni devono essere soddisfatte, non sono infatti alternative. (67) Si tratta dunque di una valutazione globale sulla personalità di chi voglia accedere alla semilibertà e sulle sue possibilità di reinserirsi.

Va infine ricordato che anche l'art. 50-bis si applica alla semilibertà per pene medio-lunghe. Introdotto con la legge 5 dicembre 2005, n. 251, soprannominata legge “ex- Cirielli”, l'articolo in esame stabilisce una disciplina differente e aggravata per i recidivi. Infatti, coloro che sono stati dichiarati recidivi reiterati in base all'art. 99, comma 4, del codice penale, per accedere a questa misura alternativa devono aver espiato due terzi di pena nel caso di delitti comuni, e tre quarti di pena nel caso di delitti indicati nell'art. 4-bis ord. pen. Perché venga in gioco questa norma, l'aggravante ad effetto speciale della recidiva reiterata bisogna che sia contestata e riconosciuta in sentenza di condanna. In caso di concorso tra aggravanti e attenuanti, il quarto comma dell'art. 99 c.p. deve essere stato dichiarato prevalente sulle attenuanti, mentre non viene preso in considerazione non solo se la recidiva reiterata è stata considerata subvalente rispetto alle attenuanti, ma anche se il giudice le ha considerate equivalenti. La legge “ex-Cirielli” ha modificato la disciplina della recidiva, rendendo più difficile l'accesso a quasi tutti i benefici penitenziari. Il problema riguarda la successione della legge nel tempo: è prevalsa la tesi che ritiene che la l. 251/2005 apporti modifiche non a norme di diritto sostanziale, ma a norme di diritto processuale, poiché si tratta di regole sulle variazioni modali della pena, che pertanto non sono sottoposte al divieto di retroattività della legge penale. (68) Allora, queste norme possono essere applicate anche a chi è stato dichiarato recidivo prima dell'entrata in vigore della legge ed è già in esecuzione della sanzione penale. La Corte costituzionale non si è mai pronunciata direttamente sulla legittimità costituzionale della retroattività della legge in questione, ma ha cercato di ridurre la portata di quest'asserzione rifacendosi ai suoi precedenti orientamenti, espressi nelle sentenze 1997/445 e 1999/137, che riguardano invece le modifiche apportate all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario. (69) Con sentenza n. 257 del 2006 ribadisce infatti che le preclusioni introdotte con la legge “ex Cirielli” non possono riguardare coloro che, al momento della entrata in vigore della normativa, hanno già raggiunto un certo grado del percorso rieducativo e hanno già maturato le condizioni più favorevoli per accedere al beneficio richiesto, altrimenti violano il principio di rieducazione stabilito dall'art. 27, comma 3, della Costituzione. Escludere a priori i criteri individualizzanti della pena, significa permettere all'opzione repressiva di scavalcare il principio di rieducazione. (70) In questi giorni, tuttavia, è entrato in vigore il decreto 1 luglio 2013, n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 9 agosto 2013, n. 94, che ha infine soppresso l'art. 50-bis ord. pen. L'iter è stato travagliato perché inizialmente il Senato aveva soppresso l'articolo che abrogava la norma in esame, ma la Camera lo ha ripristinato. L'eliminazione dei limiti di pena più elevati nei confronti di chi viene considerato recidivo con l'aggravante del quarto comma dell'art. 99 c.p. ristabilisce la competenza in materia da parte del giudice: sarà il Tribunale di sorveglianza e non una presunzione legale a stabilire la pericolosità di questa categoria, valutando in concreto se la persona sia meritevole o meno di accedere alla misura alternativa della semilibertà.

2.5- La semilibertà “surrogatoria”: l'introduzione di un'ipotesi di coordinamento con l'affidamento in prova al servizio sociale

Quest'ulteriore ipotesi interna alla semilibertà è stata introdotta successivamente all'entrata in vigore dell'ordinamento penitenziario, con la legge n. 663 del 1986, al fine di aumentare le possibilità di accedere alla misura della semilibertà e, soprattutto, per coordinare la sua disciplina con quella dell'altra misura alternativa presente fin dalle origini, l'affidamento in prova al servizio sociale. Infatti, prima della sua introduzione si era creata una situazione in cui, per le pene non superiori a 3 anni, era possibile chiedere l'affidamento in prova, misura alternativa che elimina del tutto lo stato detentivo, mentre per l'ammissione al regime della semilibertà, misura sicuramente più afflittiva, era necessario aver espiato un certo quantum di pena in istituto penitenziario, a meno che la pena non fosse inferiore ai 6 mesi. Dunque, per le sanzioni di media lunghezza era più facile l'accesso alla misura più favorevole al reo, piuttosto che l'ammissione ad un regime parzialmente detentivo, delineando una disciplina poco ragionevole. La legge “Gozzini” ha voluto eliminare questa incongruenza permettendo di anticipare la concessione della semilibertà, anche prima di aver espiato metà pena. (71) Quindi, quando la pena detentiva da eseguire è inferiore ai 3 anni, anche residua, si può chiedere di essere ammessi al regime della semilibertà, alla sola condizione che manchino i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale. In questo modo, si crea un coordinamento tra le due misure alternative, basandosi sul presupposto che se è astrattamente possibile concedere il beneficio più favorevole al reo, dovrà essere possibile concedere anche quello maggiormente afflittivo.

Il coordinamento tra le due discipline risponde poi alla finalità di dare attuazione al principio di progressione nel trattamento rieducativo. L'ammissione alla misura più restrittiva ha, dunque, anche uno scopo sperimentale, di prova, prima di concedere la misura dell'affidamento. (72)

L'unica condizione d'ammissibilità è l'assenza di requisiti per richiedere l'affidamento in prova, ma la presenza di quelli richiesti per accedere alla semilibertà, eccetto ovviamente i limiti di pena. La legge prevede la preclusione del beneficio per coloro che hanno commesso uno dei reati elencati nel primo comma dell'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario, preclusione che si considera assoluta, cioè non superabile in alcun modo. Da sottolineare a questo punto che, mentre il divieto di concessione dell'affidamento in prova ai soggetti che hanno commesso uno dei reati elencati nell'art. 4-bis è superabile con le condizioni ordinarie previste dalla norma (collaborazione con la giustizia, oppure collaborazione impossibile o irrilevante, osservazione della personalità per un anno per chi ha commesso un delitto di natura sessuale), nel caso della semilibertà prevista al secondo comma, prima parte, dell'art. 50 è richiesta l'ulteriore condizione di aver espiato un più elevato quantum di pena, e addirittura è sempre impedito nel caso della semilibertà surrogatoria, se si rientra nei reati del primo comma. In sintesi, chi ha commesso uno dei delitti inseriti nell'elenco dell'art. 4-bis, anche se la pena o il residuo pena non superi i 3 anni di reclusione, dovrà in ogni caso aver espiato 2/3 di essa. Si tratta di una disciplina contraddittoria e lesiva del principio di uguaglianza, che perde di razionalità nel momento in cui aggrava le condizioni di ammissibilità proprio ai benefici più restrittivi, in termini di difesa sociale. Ne risultano, svantaggiati, inoltre, i soggetti che vogliono accedere alla semilibertà con una pena di media lunghezza, rispetto a chi è invece stato condannato ad una pena più lunga di tre anni. (73)

Nella versione originale erano richieste altre due condizioni per poter accedere alla semilibertà surrogatoria dell'affidamento: si richiedeva, infatti, l'osservazione della personalità del condannato per almeno un mese, come nell'affidamento in prova, e la valutazione da parte del giudice degli stessi criteri richiesti nella semilibertà per pene medio-lunghe, in particolar modo i progressi compiuti nel corso del trattamento penitenziario. (74) Questi requisiti portavano a escludere la possibilità che venisse concessa prima dell'inizio dell'esecuzione, com'era invece permesso all'affidamento in prova ai servizi sociali. In ogni caso, era necessario un periodo di detenzione di un mese minimo, periodo necessario per l'osservazione della personalità del condannato, ma che allo stesso tempo era troppo breve per poter valutare se ci fossero stati progressi o meno nell'assimilazione del trattamento rieducativo. (75) La legge Simeone ha eliminato il riferimento ai criteri del quarto comma dell'art. 50, cioè ai progressi compiuti nel corso del trattamento, ed ha eliminato la necessità di sottoporre a osservazione la personalità dell'interessato.

Conseguenza, però, dell'intervento del legislatore è che adesso il contenuto della semilibertà si esprime interamente in termini negativi, limitandosi appunto a richiedere l'assenza dei requisiti richiesti per la concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale. Il rischio è di violare il principio di legalità, (76) permettendo di concedere la semilibertà in qualunque situazione, sganciata com'è da qualsiasi presupposto legale. Bisogna ricordare, però, che la magistratura di sorveglianza deve sempre valutare l'opportunità o meno di concedere una misura alternativa. In altre parole, deve sempre considerare se c'è la possibilità che il condannato, attraverso la concessione di un determinato beneficio penitenziario, possa giovarne in termini di rieducazione, e che la misura, alla luce della personalità del reo, sia in grado di prevenire il pericolo di commissione di ulteriori reati e il pericolo di fuga. Questa valutazione è imprescindibile, anche quando la legge non lo richiede espressamente.

Ad ogni modo, si crea un rapporto di residualità, di continenza, tra questa ipotesi di semilibertà e l'affidamento in prova al servizio sociale. Quando non è possibile concedere la misura più vantaggiosa per l'interessato, si concederà la semilibertà, in ossequio al principio del favor rei, anche se si smarrisce del tutto la gradualità nel percorso rieducativo, la progressione nel trattamento. I soggetti che non potranno essere affidati in prova, nonostante soddisfino il requisito temporale, saranno probabilmente coloro che manifestano ancora la necessità di essere ammoniti e controllati dall'ordinamento, perciò si preferisce ammetterli al regime parzialmente detentivo della semilibertà. (77) L'eliminazione della necessità di sottoporre ad osservazione la personalità del richiedente ha comportato un'ulteriore conseguenza. Si è iniziato a pensare, infatti, che questa figura fosse concedibile anche dallo stato di libertà, senza dover far trascorrere al condannato almeno un mese in istituto di pena. (78) Tuttavia, non si può negare il dato letterale: quando l'articolo 50, comma secondo, ord. pen. dice che l'ammissione alla semilibertà può avvenire “anche prima dell'espiazione di metà della pena”, sembra avvalorare la tesi per cui l'esecuzione deve essere già iniziata. (79) Inoltre, l'art. 656, comma quinto, del codice di procedura penale, laddove elenca le misure alternative che si possono chiedere durante il periodo di sospensione dell'ordine di esecuzione, menziona soltanto il primo comma dell'art. 50, quello relativo alla semilibertà ab initio. Sembra pertanto smentire il fatto che anche la semilibertà surrogatoria possa essere richiesta prima dell'inizio dell'esecuzione. Ciò nonostante, la giurisprudenza propende per l'interpretazione più favorevole al reo, e quindi per la possibilità di concedere la semilibertà ex art. 50, comma 2, secondo periodo, anche dallo stato di libertà. (80) D'altronde, impedire ciò apparirebbe in contrasto con la logica dell'istituto, surrogatoria appunto dell'affidamento in prova. Se la misura alternativa che intende surrogare si può concedere prima dell'esecuzione della pena, allora anche ad essa dovrà essere permesso. (81)

2.6 - Le ipotesi di revoca della semilibertà e la possibilità di sospensione cautelativa delle misure alternative

La semilibertà può essere revocata dal Tribunale di sorveglianza, e la revoca comporta che il soggetto viene nuovamente sottoposto al regime detentivo pieno. L'art. 51 della legge sull'ordinamento penitenziario disciplina le diverse ipotesi in cui può essere revocata la misura della semilibertà, attraverso un'elencazione tassativa.

Il primo motivo che può portare alla revoca della misura è attinente al comportamento del soggetto: il Tribunale di sorveglianza può pronunciare la revoca della semilibertà ogni volta che il condannato non si appalesi idoneo al trattamento. È una valutazione molto generica, ma anche per questo motivo non si considera automatica. Il giudice svolge un ragionamento contrario a quello fatto all'inizio, al momento della concessione, come se smentisse l'iniziale prognosi che vedeva con favore la concessione della misura alternativa a quel determinato detenuto. (82) Tuttavia, proprio perché ha ad oggetto dei fatti comportamentali e delle condizioni ambientali, e non delle oggettive violazioni, il rischio è che la semilibertà possa essere revocata anche per fattori indipendenti dalla volontà e dal comportamento del condannato. (83) Nonostante i dubbi della dottrina, la giurisprudenza sembra consolidata nella prassi di revocare la semilibertà anche quando non viene meno la volontà del condannato di proseguire il percorso rieducativo, ma solo le possibilità materiali di svolgere l'attività utile al suo reinserimento. (84) Si pensi alla perdita del posto di lavoro, non per colpa del detenuto, o addirittura perché il condannato è diventato invalido e per questo motivo non può più lavorare: situazioni che sicuramente non si possono imputare al semilibero, ma che possono comunque portare alla revoca del beneficio.

Se non si può evitare la revoca della semilibertà per il venir meno di una condizione oggettiva, senza colpa del condannato, quantomeno è necessario limitare le sue conseguenze sfavorevoli. È auspicabile che il Tribunale di sorveglianza, nel valutare la concessione di un nuovo beneficio penitenziario, non faccia operare la preclusione prevista nell'art. 58-quater, comma secondo, della l. 354/1975, che prevede il divieto di durata triennale, di concessione di una misura alternativa quando sia intervenuta la revoca di una precedente misura. (85)

C'è un altro motivo che può comportare la revoca della semilibertà: quando il semilibero ritardi a rientrare in istituto. In questo caso, occorre fare una distinzione. Se l'assenza dall'istituto penitenziario non supera le 12 ore, senza che sia possibile addurre un giustificato motivo, il condannato viene punito in via disciplinare e può essere proposto per la revoca della concessione. La revoca è facoltativa, quindi, e verrà valutata dal Tribunale di sorveglianza, sempre che il direttore decida di proporlo per la stessa. Nel caso, invece, in cui il ritardo nel rientrare in istituto superi le 12 ore, il condannato è punibile per il delitto di evasione a norma dell'articolo 385 del codice penale. La denuncia per evasione comporta la sospensione della semilibertà, e la condanna ne impone la revoca. In questo secondo caso, dunque, la revoca diventa inderogabile, automatica.

Se il ritardo a rientrare in istituto è commesso dall'internato, la revoca invece non è mai automatica. Sopra le tre ore e in assenza di giustificato motivo, l'internato è punito in via disciplinare, ma la revoca rimane comunque facoltativa. Se il ritardo non supera le tre ore, si ha una sanatoria ex lege, poiché non è punibile neanche in via disciplinare, sopra le tre ore si ha solo una proposta di revoca. In ogni caso, non commette il delitto di evasione. (86)

Il soggetto che subisce la revoca della concessione della semilibertà è obbligato a scontare il resto della pena in detenzione. Tuttavia, ogni singolo giorno trascorso in semilibertà è scomputato dalla pena detentiva complessiva. Infatti, com'è facilmente comprensibile, un giorno di detenzione corrisponde ad un giorno di semilibertà, poiché si tratta di una variazione modale della pena carceraria. (87)

C'è poi un'altra causa che può portare alla revoca della semilibertà. L'art. 51-bis disciplina il caso di sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà. Questa norma ha una portata generale, nel senso che si applica anche all'affidamento in prova e alla detenzione domiciliare, ordinaria e speciale. Se sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva, il magistrato di sorveglianza deve valutare la permanenza o meno delle condizioni richieste per la concessione della misura alternativa. Dopo aver disposto la prosecuzione o la sospensione della misura in via provvisoria, invia gli atti al Tribunale di sorveglianza affinché decida sulla revoca o sulla prosecuzione della misura. La Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza propone di modificare l'articolo 51-bis in modo da permettere al magistrato di sorveglianza di disporre de plano la prosecuzione della misura, laddove sia possibile, interpellando il Tribunale di sorveglianza nei soli casi in cui sia necessario. Al fine di ridurre i tempi processuali e semplificare le procedure, si propone di concedere la competenza al magistrato singolo, così da alleggerire il carico dell'organo collegiale. (88)

Sempre a livello generale, l'articolo successivo, il 51-ter, ha previsto la possibilità che il magistrato di sorveglianza sospenda in via cautelare le misure alternative presenti nel nostro ordinamento penitenziario. La sospensione provvisoria è contemplata nel caso in cui il condannato abbia posto in essere comportamenti che fanno prevedere la revoca della misura, nell'attesa che il tribunale decida sulla prosecuzione o meno della stessa. La decisione del magistrato comporta l'accompagnamento del soggetto in istituto. Tuttavia, se il tribunale non si esprime entro 30 giorni, il provvedimento di sospensione perde efficacia. Si cerca con questa previsione di tutelare il condannato da un uso ingiustificato e arbitrario dello strumento sospensivo, imponendo al Tribunale di sorveglianza di intervenire e di farlo celermente. (89)

2.7- La disciplina delle licenze

Del tutto peculiare del regime della semilibertà è l'istituto delle licenze. Le licenze possono essere concesse sia ai condannati semiliberi sia agli internati, e permettono di trascorrere alcuni giorni fuori dall'istituto penitenziario. Durante il periodo trascorso in licenza, i beneficiari non hanno dunque l'obbligo di rientrare in carcere, ma sono invece soggetti agli obblighi e alle preclusioni che derivano dalla sottoposizione al regime di libertà vigilata.

La concessione delle licenze agli internati era prevista addirittura prima dell'introduzione della legge sull'ordinamento penitenziario, nel regolamento penitenziario del 1931, come strumento di prova e di riadattamento alla vita libera. (90) In generale, la funzione delle licenze è quella di permettere al beneficiario di mantenere i rapporti coi familiari e preparare il soggetto alla libertà, (91) abituandolo nuovamente, a piccoli passi, a quello che sarà il reingresso in società, a fini dunque di prevenzione speciale. (92) Ma le licenze hanno anche uno scopo strettamente premiale, specificato direttamente dall'articolo 52 O.P.: vengono concesse infatti come premio per chi ha tenuto in carcere un buon comportamento.

Per spiegare le licenze bisogna distinguere tra quelle concesse al condannato e quelle concesse all'internato. Nel primo caso, si può concedere una o più licenze, non superiori nel complesso a 45 giorni all'anno. Il riferimento temporale viene inteso non come anno solare, ma partendo dalla data d'inizio della semilibertà, per non creare disparità fra condannati ammessi al regime in diversi mesi dell'anno. (93) La legge non specifica i presupposti per ottenere una licenza, pertanto si ritiene che sia sufficiente che il condannato abbia tenuto una regolare condotta mentre usufruiva del regime attenuato della semilibertà. Questi tesi è stata avvalorata dal fatto che per i permessi premio, introdotti successivamente, con la legge 663/1986, è richiesta appunto la verifica di aver tenuto regolare condotta. Dato che le licenze hanno moltissimi punti in comune con i permessi premio, si è ritenuto che con la loro introduzione si confermasse l'unico requisito richiesto per la concessione, ovvero la buona condotta del semilibero. (94) Se il condannato trasgredisce gli obblighi che gli sono stati imposti, la licenza può essergli revocata. Tuttavia, la revoca della licenza non comporta la revoca della semilibertà. Ciò ammesso, è pur possibile che il Tribunale di sorveglianza ritenga che il comportamento tenuto dal condannato in licenza sia incompatibile con la prosecuzione della misura, e perciò decida autonomamente di revocare anche la semilibertà. Nel caso di mancato rientro in istituto, si applicano le stesse disposizioni previste all'articolo 51 della legge 354/1975.

Agl'internati possono essere concessi quattro diversi tipi di licenza. Il primo è identico a quello concesso ai condannati: una licenza di non più di 45 giorni all'anno a titolo di premio, nel caso in cui l'internato sia stato ammesso al regime della semilibertà. Inoltre, però, l'internato può usufruire di una licenza di sei mesi nel periodo immediatamente precedente al riesame della pericolosità, oppure può chiedere una licenza fino a 30 giorni all'anno, per favorire il suo riadattamento sociale. Quest'ultime due licenze hanno carattere sperimentale, servono infatti a mettere alla prova l'internato e a rendere più facile il suo reinserimento. L'ultimo tipo di licenza ha invece carattere eccezionale, nel senso che è concessa per gravi esigenze personali o familiari, di durata non superiore ai 15 giorni consecutivi.

La competenza nella concessione delle licenze è del magistrato di sorveglianza, il suo provvedimento non era reclamabile fino a qualche tempo fa. La Corte costituzionale è stata però chiamata a pronunciarsi sui permessi premio; in quell'occasione ha stabilito, senza più alcun dubbio, la natura giurisdizionale, e non amministrativa, dei permessi ex art. 30-ter O.P., in quanto incidono sulla libertà personale. (95) Dopo questa pronuncia, la Corte di Cassazione ha inizialmente continuato a ribadire l'inoppugnabilità delle licenze concesse ai condannati semiliberi. Le licenze infatti, ad avviso della Corte, non incidono sul contenuto afflittivo della misura, se non in maniera occasionale e contingente, dato che non condividono il percorso rieducativo dei permessi premio né i motivi gravi alla base dei permessi di necessità, ed esulano dall'ambito dell'art. 111 Cost. poiché permettono di fruire di spazi di libertà che in verità sono già stati concessi. (96) Negli ultimi anni, si assiste, invece, ad un mutamento nell'orientamento giurisprudenziale. La suprema Corte ha iniziato a sottolineare l'identità di finalità, premiale e probatoria, tra i permessi ex art. 30-ter e le licenze agl'internati, e di conseguenza anche l'identità di natura giuridica. I provvedimenti di revoca delle licenze agl'internati hanno certamente natura afflittiva, in quanto incidono sulla libertà personale, e dunque necessitano di tutte le garanzie giurisdizionali che circondano i provvedimenti analoghi. (97) Dopo queste affermazioni, la Suprema Corte ammette pacificamente la facoltà di proporre appello ex art. 680 del codice di procedura penale avverso i provvedimenti di concessione o di revoca delle licenze agl'internati, dato che queste hanno sicuramente finalità di reinserimento, e a differenza delle licenze ai condannati semiliberi, non sono concesse a chi già gode di spazi di libertà. (98) L'art. 680 c.p.p. permette, infatti, di impugnare tutti i provvedimenti concernenti le misure di sicurezza, perciò anche le licenze concesse agli internati, le quali sicuramente incidono sul grado di afflittività della misura.

Tuttavia, è molto probabile che quest'apertura della giurisprudenza di legittimità porti ben presto all'ammissione della possibilità d'impugnare i provvedimenti sulla concessione e la revoca delle licenze ai condannati, anche perché è la stessa Costituzione, all'art. 111, comma 7, a garantire la ricorribilità in Cassazione di tutti i provvedimenti che incidono sulla libertà personale.

La citata giurisprudenza permette di capire anche perché al condannato semilibero non possono essere concessi i permessi premio, poiché appunto ricoprono lo stesso ruolo che già le licenze svolgono nell'ambito della semilibertà, una funzione di prova e una funzione di reinserimento. (99) Mentre lo stesso discorso non vale per i permessi di necessità, che essendo motivati sulla base di eventi di particolare gravità, hanno un carattere di straordinarietà e una finalità umanitaria; perciò, possono essere concessi anche ai semiliberi.

3- La semidetenzione. La legge 689/1981 nel panorama della lotta alle pene detentive brevi

La seconda misura parzialmente detentiva presente nel nostro ordinamento è la sanzione semidetentiva. La semidetenzione è una sanzione sostitutiva, introdotta con la legge 24 novembre 1981, n. 689, recante “Modifiche al sistema penale”. Questa legge aveva lo scopo di alleggerire il sistema penale, cercando di ridurre il ricorso alla pena detentiva attraverso, da un lato, la depenalizzazione di alcuni reati, dall'altro, creando nuove sanzioni che si sostituissero alla pena detentiva breve. Le sanzioni sostitutive nascono dunque al fine di attuare il principio del carcere come extrema ratio, l'idea che la pena detentiva debba essere irrogata soltanto nei casi in cui nessun'altra sanzione appaia adeguata. La privazione della libertà personale, bene di rilievo costituzionale in base all'articolo 13 della Costituzione, non può che essere l'ultimo strumento di tutela a disposizione dell'ordinamento e sempre a protezione di beni giuridici altrettanto fondamentali. Inoltre, le pene detentive brevi si sono dimostrate inefficaci, anzi dannose. Se, infatti, si parte dal principio che le pene debbano tendere alla rieducazione, laddove un soggetto si trovi a scontare in carcere una pena di una certa brevità, non ci sarà il tempo necessario per sottoporlo ad un programma trattamentale. Una breve detenzione comporta addirittura più effetti desocializzanti che positivi: infatti è sufficiente a sradicare il condannato dal territorio, facendogli perdere il lavoro, i rapporti con la famiglia e in generale i rapporti col mondo esterno, e producendo comunque l'effetto stigmatizzante del carcere che comporta l'emarginazione di chiunque sia passato da una prigione. (100) Inoltre, il ricorso indiscriminato alla pena detentiva affievolisce la distinzione fra i reati, il diverso grado di disvalore di cui sono portatori, ledendo il principio di uguaglianza, la proporzionalità che le pene devono avere rispetto al reato commesso e la stessa forza dissuasiva, intimidatrice della legge penale. (101) Le sanzioni sostitutive dunque s'inquadrano nella lotta alle pene detentive brevi, in quegli anni molto enfatizzata anche per l'interesse che rivestiva all'interno del Movimento internazionale di riforma del diritto penale, che in Francia, ad esempio, ha portato alla legge del 1975 che per prima ha introdotto in quell'ordinamento un vasto numero di sostitutivi delle pene brevi. (102)

In Italia, le sanzioni sostitutive sono la pena pecuniaria sostitutiva, la libertà controllata e la semidetenzione. La semidetenzione in particolare è apparsa fin da subito poco innovativa, perché non si sostituisce completamente alla pena detentiva, ma semmai l'attenua, e non crea una nuova sanzione, ma si rifà appunto alla misura alternativa della semilibertà. (103) La sanzione semidetentiva consiste nell'obbligo di trascorrere almeno 10 ore in istituto penitenziario, quindi formalmente si struttura come il regime di semilibertà, alternando la libertà e la permanenza in carcere nell'arco della giornata. Questa somiglianza spiega inoltre perché anche la semidetenzione, più che vero e proprio sostituto della pena detentiva, si considera una modalità attenuata di esecuzione della pena. (104)

Anch'essa si svolge negli istituti o nelle sezioni degli istituti penitenziari dove si esegue il regime di semilibertà, sempre al fine di evitare la promiscuità con le persone in detenzione continua.

Le sanzioni sostitutive possono essere irrogate dal giudice della cognizione, al posto della pena detentiva, quando ricorrono le condizioni imposte dalla legge. Dunque, la loro sostituzione è possibile ab initio, al momento stesso dell'irrogazione della pena, nella sentenza di condanna. È questa la differenza principale con le misure alternative. In molti paesi, ad esempio in Francia, sono le nostre sanzioni sostitutive ad essere definite sanzioni alternative, poiché sono queste ad essere effettivamente alternative alla pena detentiva. (105) Si considerano pene autonome, sanzioni a tutti gli effetti, anche se non sono comminate a titolo di pena principale: infatti, si aggiungono all'elenco dell'articolo 17 c.p., con la particolarità che però si considerano facoltative. La loro natura sanzionatoria è confermata dal contenuto afflittivo, punitivo, e dall'assenza di contenuti risocializzanti. (106) Il meccanismo di sostituibilità è garantito da una clausola generale di sostituzione: non si è proseguito alla revisione dell'intera parte speciale, ma è stato affidato al giudice un generalizzato potere di sostituzione della pena principale con una delle sanzioni previste nella legge 689/1986. (107)

La semidetenzione è indubbiamente la più afflittiva delle sanzioni sostitutive, perciò può sostituire le pene detentive fino a 2 anni, mentre le pena pecuniaria sostitutiva e la libertà controllata possono sostituire soltanto le pene, rispettivamente, fino a 6 mesi e fino a 1 anno.

Le sanzioni sostitutive sono applicabili anche ai reati militari. Inizialmente, questa possibilità era pacificamente esclusa in quanto l'art. 54 della legge 24 novembre 1981, n. 689 imponeva la loro applicazione ai soli reati di competenza del pretore, perciò non vi rientravano i reati militari. Per questa ragione, la Corte costituzionale (108) aveva dichiarato la questione inammissibile, ritenendo che una simile operazione rientrasse nella discrezionalità delle scelte del legislatore. (109) Con l'abrogazione dell'art. 54, ad opera del d.l. 14 giugno 1993, n. 187, convertito in legge dalla l. 12 agosto 1993, n. 296, è venuto meno l'ostacolo principale all'estensione della disciplina delle sanzioni sostitutive ai reati militari. Pertanto, la Consulta (110) ha potuto proseguire all'eliminazione di questa disparità di trattamento, pur nella consapevolezza che tale estensione comporta comunque la necessità di una regolamentazione della materia.

La semidetenzione ha pertanto lo scopo di non desocializzare il condannato, ed è in questo senso che realizza la funzione di prevenzione speciale della pena, pur non essendo propriamente rieducativa. Persegue pure una finalità di prevenzione generale, poiché conserva l'efficacia intimidatoria della pena detentiva, da cui infatti si discosta solo parzialmente. (111) È vero, però, che la restrizione in carcere non è del tutto eliminata, di conseguenza sopravvivono le influenze criminogene derivanti dal contatto con l'ambiente carcerario. (112)

3.1- Rigide preclusioni versus ampia discrezionalità nella scelta della sanzione

La semidetenzione prevede l'obbligo per il condannato di trascorrere almeno dieci ore al giorno in istituto penitenziario. Non si fa riferimento a come debba essere trascorso il periodo di tempo passato in libertà, l'art. 55 della legge 689/1981 fa solo riferimento alle esigenze di lavoro e studio nel determinare le ore e l'istituto dove eseguire la pena. Sono previsti, invece, una serie di obblighi e divieti, oltre all'obbligo principale di parziale permanenza in carcere. Questi obblighi sono in gran parte comuni alla libertà controllata, e consistono nel divieto di detenere armi, nella sospensione della patente di guida, nel ritiro del passaporto, nell'obbligo di conservare e presentare, agli organi di polizia che lo richiedano, l'ordinanza che dispone le modalità di esecuzione della misura. Queste disposizioni non lasciano margini di discrezionalità al magistrato di sorveglianza, che può soltanto decidere di non sospendere la patente se risulta indispensabile al condannato per svolgere il suo lavoro. La decisione di affidare la competenza a disporre le modalità di esecuzione al magistrato di sorveglianza, del luogo di residenza del condannato, è ben comprensibile perché rende la procedura più veloce. Inoltre, il magistrato di sorveglianza è sicuramente il giudice che conosce meglio la situazione delle carceri e che si tiene costantemente in contatto con l'amministrazione penitenziaria. (113) È sicuramente il magistrato più adatto a decidere le modalità giuste per una migliore attuazione in concreto, o per la modificazione, della alternative alla pena detentiva.

Analizzando il contenuto della semidetenzione, si nota la presenza di sole prescrizioni che hanno natura di obblighi o divieti, mentre è del tutto assente un contenuto positivo che possa dare piena attuazione alla funzione rieducativa della pena. (114) Inoltre, se ne deduce anche che il contenuto della semidetenzione è tutto rigidamente predeterminato dal legislatore, senza lasciare molti margini di flessibilità. (115)

Per concedere la sanzione della semidetenzione, il giudice deve controllare se, nel caso in esame, non sussistono tutta una serie di preclusioni, che incarnano delle condizioni di ammissibilità sia oggettive, riguardanti il reato, che soggettive, riguardanti la persona. Dopo questo esame preliminare, il giudice deve poi valutare l'opportunità o meno di sostituire la sanzione detentiva con una delle pene introdotte dalla l. 689/1981, e scegliere quale di esse sia adeguata, attraverso un ragionamento altamente discrezionale. Le preclusioni oggettive sono state quasi tutte abrogate nel tempo. Inizialmente, la sostituzione era ammessa solo per i reati di competenza del pretore. Lo scopo era di limitare il ricorso alle sanzioni sostitutive a quei reati che sicuramente fossero indice di una gravità minore, poiché appunto erano di competenza del pretore. Tuttavia, era già previsto che la semidetenzione potesse sostituirsi soltanto a pene detentive non superiori ai 2 anni. Essendo poi irrogate direttamente dal giudice della cognizione, quindi previste per sostituire l'intera pena irrogata e non i residui pena come accade nelle misure alternative, è normale che il limite edittale escluda già i reati più gravi.

Questo contenimento della facoltà di sostituzione era poi ribadito attraverso le esclusioni di alcuni reati individuati dal legislatore. In realtà, l'elenco era stato stilato senza molta coerenza, includendo o escludendo reati non sempre con un filo logico ragionevole, ma ricalcando la legge sull'amnistia del 1978. L'eliminazione della competenza penale del pretore e la legge 12 giugno 2003, n. 134, hanno abrogato entrambe le disposizioni, che erano dettate unicamente per scopi di prevenzione generale. Attualmente, l'unico requisito oggettivo che è rimasto è il limite edittale di 2 anni, ma è sicuramente sufficiente ad ancorare la sostituibilità della pena detentiva alle situazioni meno gravi e ai condannati meno pericolosi.

Le preclusioni soggettive riguardano alcuni autori di reato, che la legge presume a priori che non siano meritevoli di scontare una pena diversa da quella detentiva. Il problema è che l'art. 59 della legge in questione è stato formulato in maniera molto poco chiara. Il primo comma esclude la concessione delle sanzioni sostitutive nei confronti di chi ha riportato una o più condanne alla reclusione, nel complesso, superiore a tre anni, avendo commesso il fatto di reato entro 5 anni dalla condanna precedente. Se ne deduce che si tratti solo di condanne per delitto. La preclusione dà quindi importanza alla recidiva, infraquinquiennale, anche se non è stata dichiarata in sentenza. (116)

Il secondo comma aggiunge tre ipotesi di esclusione della sostituibilità della pena detentiva, se comunque è stata “comminata” per un fatto commesso nei 10 anni precedenti. Innanzitutto, bisogna correggere l'errore del legislatore, che usa il verbo comminare al posto di irrogare. Il periodo decennale s'interpreta come quello intercorrente dalla commissione del fatto di reato e la condanna per lo stesso, ma non ha molto senso in riferimento ad alcune ipotesi contemplate dal secondo comma dell'art. 59 della legge n. 689 del 1981. Ma è ancora più difficile capire come sia possibile giungere a condanna per un fatto commesso oltre 10 anni prima, dato che si tratta di fatti di reato non gravi che nella maggior parte dei casi si prescriveranno molto prima. La Corte costituzionale è stata investita della questione, ma ha dichiarato l'ordinanza inammissibile poiché, pur confermando l'irrazionalità dell'inciso, se lo eliminasse con un'interpretazione costituzionalmente orientata, effettuerebbe un procedimento analogico in malam partem, quindi non ammesso in diritto penale. (117) Probabilmente, per dare senso a questo inciso è necessario accostarlo alle singole ipotesi contemplate nel secondo comma, e cercare di dargli il significato più corretto in base a ciascuna preclusione soggettiva. Alla lettera a), i soggetti nei cui confronti non può essere sostituita la pena detentiva sono coloro che sono stati condannati più di due volte per reati della stessa indole. L'interpretazione più corretta della norma sembra richiedere la presenza di tre precedenti condanne, sempre della stessa indole, e il sopraggiungere di una quarta condanna fa scattare la preclusione, indipendentemente dal reato commesso. (118) Si tratta comunque di un'ipotesi di recidiva specifica reiterata. In questo caso, i 10 anni potrebbero intercorrere dall'ultima condanna. L'esclusione soggettiva si basa sulla presunta pericolosità dei soggetti recidivi, presunzione irrazionale specialmente quando si tratta di reati bagatellari, come piccoli furti e reati di piccolo spaccio, magari commessi da tossicodipendenti, in cui è proprio l'applicazione della pena detentiva ad avere dimostrato tutta la sua inutilità. (119) La seconda ipotesi riguarda coloro che hanno subito la revoca della precedente pena sostituita ex art 66 della l. 689/1981, che tratta della revoca solamente per la violazione delle prescrizioni, oppure la revoca della misura alternativa della semilibertà. Non si capisce perché il legislatore si sia dimenticato di menzionare la revoca delle altre misure alternative, quantomeno dell'affidamento in prova, dato che la detenzione domiciliare non era ancora stata introdotta. Il periodo decennale si calcola dall'ordinanza di conversione oppure dall'ordinanza di revoca. La lettera c) esclude infine i soggetti che hanno commesso il reato mentre erano sottoposti alla misura di sicurezza della libertà vigilata, oppure alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Si tratta d'ipotesi in cui il soggetto appare insensibile a forme di controllo non detentive. (120) Tuttavia, anche qui sembra che il legislatore abbia scelto soltanto alcuni fra i soggetti che si possono ritenere pericolosi, senza nessun criterio apparente e creando una certa disparità di trattamento. I 10 anni si calcolano dalla commissione del reato al momento del giudizio. (121)

Dopo aver accertato l'assenza di preclusioni, il giudice deve ora valutare se c'è la possibilità, in concreto, di sostituire l'arresto o la reclusione con una sanzione sostitutiva. In primo luogo, deve valutare l'opportunità di sostituire la pena detentiva alla luce della gravità del reato e della capacità a delinquere del colpevole, cioè dei criteri indicati nell'art. 133 del codice penale. La pena detentiva, continua l'art. 58 della legge 689/1981, non può però essere sostituita quando si presume che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato. Oltre ad essere pacificamente ammesso dal legislatore, che ha rubricato la norma in questione “potere discrezionale del giudice nella sostituzione della pena detentiva”, il riferimento all'art. 133 c.p. lascia pochi dubbi sulla natura ampiamente discrezionale della valutazione del giudice del giudizio. Il giudice sceglie la sanzione sostitutiva se, in base alla gravità del reato e alla capacità a delinquere, il disvalore del fatto compiuto risulta minimo. (122) Sempre al fine di valutare l'opportunità di sostituire la pena detentiva, il giudice non può procedere alla sostituzione quando presume che le prescrizioni non saranno adempiute. Si rende necessario fare una prognosi sulla futura conformità del comportamento del reo alle norme penali. (123) Ma, in fondo, un giudizio predittivo sulla diligenza nel rispetto delle prescrizioni non è che un'ulteriore richiesta al giudice di valutare la capacità a delinquere del colpevole. (124) Combinando i criteri fattuali dell'art. 133 c.p. con la prognosi di adempimento, la decisione se sostituire la pena detentiva con una sanzione sostitutiva si baserà sulla sanzione meno desocializzante possibile, ma allo stesso tempo sufficientemente capace di creare un effetto intimidatorio. (125)

Dopo che il giudice ha ritenuto preferibile irrogare la sanzione sostitutiva, deve però stabilire quale delle tre. Ovviamente, il discorso ha senso solo in quei limiti di pena in cui è possibile infliggere più di una sanzione. Quindi, quando la pena detentiva in concreto irrogata non supera i 6 mesi e allora sono astrattamente irrogabili tutt'e tre le sanzioni sostitutive, oppure tra i 6 mesi ed un anno, dov'è possibile sostituire la sanzione carceraria con la libertà controllata oppure la semidetenzione. Sopra l'anno, ed entro i due, è possibile la sostituzione solo con la semidetenzione, perciò il problema non si pone. L'art. 58 àncora alla scelta della singola pena sostitutiva il solo criterio generale della sanzione più idonea al reinserimento sociale del condannato. Si recupera la finalità special-preventiva della pena, imponendo di scegliere quella che lascia presumere le maggiori possibilità di recupero del condannato. (126) Di nuovo, però, spetta al giudice spiegare che cosa il legislatore intendesse dire, guardando alla concretezza delle situazioni per trovare criteri e soluzioni meno sfuggenti. Si ripropone la necessità di fare un giudizio di bilanciamento, fra le esigenze di prevenzione generale e la finalità rieducativa della pena, portando a scegliere la sanzione sostitutiva maggiormente capace di non desocializzare, pur mantenendo una certa afflittività adeguata alla situazione concreta. (127) Per applicare una sanzione sostitutiva, si deve quindi superare innanzitutto una serie di ostacoli imposti direttamente dal legislatore, le preclusioni rigidamente predeterminate, che non lasciano alcuna possibilità di valutazione. In secondo luogo, si dovranno superare altri ostacoli, questa volta più sfumati in quanto rimessi alla discrezionalità del giudice.

Non c'è dubbio che queste difficoltà sono la principale causa dell'insuccesso delle sanzioni sostitutive. Si è registrata con favore l'abrogazione dell'esclusioni oggettive basate sul titolo di reato o sulla competenza del giudice. Se si vuole comunque evitare la sostituzione delle pene detentive medio-gravi, è sufficiente lasciare i limiti di pena ed è ragionevole subordinare la scelta ad una valutazione del magistrato, che non deciderà se un fatto è più grave di un altro solo dal titolo di reato, ma terrà in considerazione quelle che sono le concrete modalità con cui è stato commesso il reato. Lo stesso discorso si può fare per le preclusioni soggettive. Il legislatore ha deciso che certe categorie di soggetti non meritano di accedere alle sanzioni sostitutive, per il solo fatto di aver subito una precedente condanna, o di essere incorsi nella revoca di una misura, o per la sottoposizione ad un certo regime particolare. La scelta non è del tutto irragionevole, ma la verità è che nella realtà possono esserci tanti fattori che possono spiegare i comportamenti umani. Basta pensare alla revoca incolpevole del regime di semilibertà, per esempio per la perdita del lavoro che non dipende da colpa del semilibero: in questo caso, si preclude la possibilità di sostituire la pena detentiva ad un soggetto che non ha certo dimostrato di non rispettare le prescrizioni. D'altronde, queste valutazioni sulla pericolosità dell'interessato sono comunque approfondite in sede di scelta della sanzione da parte del giudice. Il giudice deve in ogni caso valutare se in concreto la sostituzione è opportuna e quale sanzione è preferibile, quindi sarebbe più semplice lasciare completamente a lui la decisione, abrogando anche queste ultime preclusioni a carattere soggettivo. È vero che il giudice della cognizione ne esce con un potere di discrezionale molto ampio, ma è proprio la fase dell'irrogazione di una sanzione a richiedere una valutazione in concreto, e non una predeterminazione astratta, di quale sia la risposta sanzionatoria più adeguata possibile alla personalità del soggetto ed effettivamente proporzionata alla violazione commessa. Si dà rilievo quindi al principio d'individualizzazione del trattamento rieducativo, anticipando peraltro questo principio alla fase del giudizio, con qualche rischio però di penalizzare il principio di legalità e la certezza del diritto. (128)

Ad ogni modo, l'ultimo comma dell'art. 58 impone al giudice uno specifico obbligo di motivazione. Egli deve dettagliatamente spiegare i motivi della sua scelta, permettendo dunque di sottoporre a controllo il suo ragionamento, e quindi l'esercizio del potere discrezionale. (129)

3.2 - Il problema della possibilità di sospendere condizionalmente la semidetenzione

Il discorso sulla possibilità o meno di sospendere condizionalmente la semidetenzione sottintende il problema più generale dell'effettività della sanzione sostitutiva. La semidetenzione, così come la pena pecuniaria sostitutiva e la libertà controllata, è stata introdotta per sostituirsi alla pena detentiva, quando questa, soprattutto se è di breve durata, risulti eccessivamente punitiva. D'altra parte, però, già prima della legge 24 novembre 1981, n. 689, era possibile sospendere condizionalmente la pena, che è una misura sospensiva, a carattere indubbiamente clemenziale. Prima dell'introduzione delle sanzioni sostitutive l'alternativa era secca, o la pena detentiva o la sospensione condizionale. Pertanto, il ricorso alla sospensione condizionale, in caso di pene brevi, era quasi indiscriminato. (130) Le sanzioni sostitutive hanno introdotto una via di mezzo tra la misura afflittiva per eccellenza e la misura sospensiva dell'esecuzione della pena detentiva. È necessario però creare un coordinamento tra la sospensione condizionale e la semidetenzione, in particolare, anche perché soprattutto da quando i limiti di pena per concedere la semidetenzione sono stati portati a 2 anni, il campo di applicazione dei due istituti è praticamente lo stesso. Anzi, prima accadeva che la sospensione condizionale della pena, sicuramente meno afflittiva, avesse condizioni d'accesso più ampie della sanzione semidetentiva, inizialmente limitata alle pene fino a 6 mesi. (131)

Lo scopo dell'introduzione di nuove sanzioni, che si sostituissero alla pena breve, era di creare delle pene, poiché sempre di pene si tratta, meno afflittive della pena detentiva, ma comunque punitive. La sospensione condizionale, viceversa, è semplicemente una misura sospensiva, che rinuncia totalmente all'esecuzione della pena. Permettere di sospendere condizionalmente la sanzione della semidetenzione significa privarla della funzione per la quale è stata prevista. Il problema è che la legge n. 689 del 1981, pur non affermandolo chiaramente, ammette comunque la possibilità di sospendere condizionalmente la semidetenzione. L'articolo 57, comma terzo, afferma, infatti, che i criteri di ragguaglio, secondo i quali un giorno di pena detentiva equivale ad un giorno di pena semidetentiva, valgono anche nel caso in cui sia stata concessa la sospensione condizionale. Quindi, lascia pochi dubbi sulla possibilità o meno di sospendere condizionalmente le sanzioni sostitutive. D'altronde, è la stessa equiparazione che la legge fa tra semidetenzione e pena detentiva ad avvalorare la tesi positiva. (132) Eppure, questa scelta lascia ancora perplessi. Se la finalità del legislatore dell'81 era di evitare gli effetti desocializzanti del carcere, ma non di evitare la punibilità dei reati, non si capisce perché poi abbia aperto alla possibilità di sospendere la pena che è già, a sua volta, sostitutiva della pena detentiva. Sembra, dunque, offuscare la stessa ratio delle pene sostitutive. Inoltre, ne risulta esasperato il problema della “fuga dalla sanzione”: laddove prima si applicava la sospensione condizionale della pena detentiva, adesso si applica la sospensione della sanzione sostitutiva. (133)

Non c'è dubbio che la possibilità di applicare la sospensione condizionale della pena si considera uno dei fattori che hanno contribuito al poco successo della semidetenzione, e delle sanzioni sostitutive in generale. La sospensione condizionale, infatti, comporta costi minori rispetto alla sanzione semidetentiva. (134)

La possibilità di sospendere la semidetenzione contraddice l'esigenza di effettività delle pene, seppure brevi. Il rischio è punire più lievemente fatti ritenuti meno gravi, perché puniti con pene più corte, e poi annullare del tutto la loro minore afflittività attraverso un istituto sospensivo della pena. Questa contraddizione è accentuata anche dal fatto che semidetenzione e sospensione condizionale si contendono praticamente lo stesso campo d'azione. Non solo hanno lo stesso limite di pena, ma interessano più o meno gli stessi reati. Tuttavia, la lettera della legge è inequivocabile, quindi non si può che constatare che è possibile sospendere condizionalmente la semidetenzione. Viene auspicata in dottrina l'eliminazione di questa previsione, anche per evitare la sovrapposizione fra i due istituti. (135) Probabilmente, una soluzione interpretativa razionale potrebbe comunque limitare la sospensione condizionale a quei soli casi in cui risulti indispensabile per esigenze di prevenzione speciale, onde evitare la ricaduta del condannato nel reato. (136) Quindi, si potrebbe limitare il ricorso alla sospensione condizionale della pena ai casi in cui, dopo aver analizzato la personalità del condannato, risulti eccessivamente afflittiva perfino la semidetenzione. Tuttavia, la soluzione preferibile sarebbe l'eliminazione di questa facoltà, così da restituire effettività al sistema delle sanzioni sostitutive.

3.3- La sospensione dell'esecuzione della semidetenzione: un'ipotesi cautelativa e un'ipotesi a favore del condannato

Gli artt. 68 e 69 della legge 24 novembre 1981, n. 689, riguardano due ipotesi di sospensione della sanzione sostitutiva, assolutamente eterogenee fra loro. Infatti, la prima norma disciplina la sospensione dell'esecuzione della semidetenzione per esigenze cautelari; la seconda, è invece disposta a favore del condannato, come una sorta di beneficio nei suoi confronti in presenza di determinati motivi.

La prima sospensione può essere stabilita per il sopraggiungere di un ordine di carcerazione o di consegna, in caso di arresto in flagranza, di fermo o di cattura, oppure in caso di applicazione provvisoria di una misura di sicurezza. Si tratta di motivi gravi, tutti attinenti all'intervento di un nuovo titolo di privazione della libertà personale a carico del semidetenuto, anche se l'elenco è incompleto, poiché mancano tutta una serie di ulteriori ipotesi in cui il soggetto si trova, in qualche modo, ristretto. Tuttavia, anche nei casi non contemplati dall'art. 68 si ritiene necessario differire la sanzione semidetentiva, per l'ovvia impossibilità di eseguire contemporaneamente una misura totalmente privativa della libertà e una misura semidetentiva. (137) Dalla lettera della legge si deduce che la sospensione dell'esecuzione della semidetenzione, ma anche della libertà controllata, interviene ex lege, senza che intervenga uno specifico provvedimento del magistrato di sorveglianza, ma soltanto in via provvisoria. Questa sospensione obbligatoria delle sanzioni sostitutive è dovuta alla prevalenza dell'esecuzione di un nuovo titolo di privazione della libertà sull'esecuzione, seppure già iniziata, del regime semidetentivo. Praticamente, in un teorico ordine in cui vanno eseguite le sanzioni detentive, la semidetenzione è l'ultima pena da espiare. La sanzione semidetentiva ripartirà a decorrere dal momento della cessazione dell'esecuzione della misura detentiva: dopo aver deciso la sospensione cautelare, il magistrato infatti calcola il residuo di pena semidetentiva che rimane da eseguire, affinché il direttore dell'istituto penitenziario e gli organi di polizia siano informati del momento esatto in cui riprenderà l'esecuzione della semidetenzione, ovvero dal giorno successivo all'espiazione del diverso titolo di privazione della libertà personale. (138) Il discorso è analogo quando è la pena sostitutiva che sopraggiunge durante l'esecuzione di un'altra misura privativa della libertà personale: in questo caso, al posto della sospensione, si ha il differimento dell'esecuzione della semidetenzione, che inizia a decorrere dal momento in cui cessa l'altra misura.

L'art. 69 disciplina, invece, la sospensione della semidetenzione a favore del condannato. I motivi per cui può essere disposta devono essere attinenti al lavoro, allo studio o alla famiglia. Va notato che la norma non menziona i motivi di salute, probabilmente ritenendo che la salute del condannato sia già ampiamente tutelata tramite altri strumenti previsti dall'ordinamento, come ad esempio il rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione della pena, ai sensi degli artt. 146 e 147 del codice penale. (139) Tuttavia, ritengo che il legislatore avrebbe fatto meglio ad includere anche i motivi di salute nell'art. 69, considerato che il differimento dell'esecuzione della pena si ottiene solo in situazioni gravi. La sospensione non può durare più di 7 giorni per ciascun mese di pena. È una sospensione eccezionale, non cautelare, infatti non contempla il reingresso immediato in istituto, ma anzi la libertà piena del condannato. Per questo motivo è prevista la revoca della sospensione stessa. La norma infatti dice che, in caso di violazione delle prescrizioni, oppure se il semidetenuto non si presenta alla polizia entro 12 ore dalla scadenza del periodo di sospensione, la pena sostitutiva si converte in quella sostituita ex art. 66 della l. 689/1981. All'interno della norma in commento, viene fatto un rinvio all'articolo sulle licenze ai condannati semiliberi, creando così un collegamento tra i due istituti. Ma a ben guardare, il rimando appare superfluo, anche perché i due istituti sono difficilmente assimilabili fra loro, dato che le licenze hanno una funzione premiale, mentre la sospensione della semidetenzione è dettata da motivi eccezionali, di necessità. (140) L'unica cosa che sembra sottolineare è il fatto che il periodo di tempo trascorso in libertà, viene scomputato dalla pena complessiva, ovvero si considera pena espiata. Ma per la verità era già desumibile dall'art. 69. (141)

3.4- L'equiparazione alla pena detentiva temporanea. I suoi effetti nella disciplina del concorso di pene sostitutive. Lo spettro del carcere nelle ipotesi di revoca/conversione

La legge in esame stabilisce l'equiparazione fra semidetenzione e libertà controllata con la pena detentiva temporanea. Afferma, infatti, l'art. 57 della legge n. 689 del 1981 che, per ogni effetto giuridico, le due sanzioni sostitutive si considerano pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena sostituita. Quindi, si considerano arresto se hanno sostituito la pena dell'arresto, oppure reclusione in caso di commissione di un delitto. Il criterio di ragguaglio tra pena detentiva e semidetenzione è, logicamente, che ad un giorno di detenzione corrisponde un giorno di pena parzialmente detentiva. È possibile però che ad un soggetto vengano contestati più reati contemporaneamente, con una o più sentenze di condanna, oppure che con un'unica condotta commetta più violazioni o con condotte diverse compia diversi reati ma all'insegna del medesimo disegno criminoso. La disciplina del concorso di sanzioni e del concorso di reati è sicuramente una delle parti più complicate e confuse della legge. È necessario capire come funziona il concorso di pene per poter capire quando è possibile comunque proseguire alla sostituzione della pena detentiva, anche in presenza di più di una sanzione.

L'ultimo comma dell'art. 53 della l. 689/1981 prende in considerazione il reato continuato e il concorso formale di reati, rinviando all'art. 81 del codice penale. In questo caso, se il giudice vuole irrogare la sanzione sostitutiva, deve innanzitutto controllare se per ciascun reato sia possibile proseguire alla sostituzione, cioè se nessuno è escluso per il sussistere di una condizione soggettiva. Poi, verifica che il reato più grave rientri nel limite di pena di 2 anni, e se la verifica dà esito positivo, dispone la sostituzione di questo reato con la semidetenzione. Coerentemente con la disciplina del reato continuato, l'aumento fino al triplo viene effettuato sulla pena che è stata sostituita. Questa soluzione serve ad evitare che l'effetto positivo che si ricollega alla continuazione, diventi invece negativo, preclusivo, nel caso della sostituzione, poiché se si aumentasse la pena non sostituita sarebbe più difficile riuscire a rientrare nei limiti edittali per ottenere la sostituzione. Ma anche nel caso in cui ad uno o più reati non possa essere irrogata la sanzione sostitutiva per la presenza di una delle condizioni dell'art. 59, il giudice, se ritiene opportuno procedere comunque alla sostituzione, determina quali reati si possano sostituire e quale pena viene convertita in semidetenzione. (142)

La disciplina del concorso materiale dei reati è ancora discussa. In base agli articoli 71 e ss. del codice penale, il concorso materiale si effettua su pene della stessa specie, che vengono considerate pena unica, della durata complessiva delle pene che dovrebbero infliggersi per i singoli reati. Se le pene sono di specie diversa, allora si considerano pene distinte e si applicano per intero, anche se agli effetti giuridici si considerano pena unica della specie più grave. Il vantaggio sta nel fatto che nel caso di concorso di pene della stessa specie sono previsti dei limiti agli aumenti della pene principali: la sanzione da applicare, infatti, non dovrà essere superiore al quintuplo della più grave fra le pene concorrenti; inoltre, non dovrà eccedere i trenta anni se si tratta di reclusione, o sei per l'arresto.

Il problema è capire cosa s'intende per specie di pena in materia di sanzioni sostitutive. Un primo modo d'intendere l'espressione potrebbe essere di ritenere pene della stessa specie le pene sostitutive, cioè s'intendono sanzione unica tutte le semidetenzioni o tutte le sanzioni della libertà controllata, senza guardare se in concreto hanno sostituito l'arresto oppure la reclusione. Un altro modo d'intendere le pene della stessa specie, potrebbe appunto fare riferimento alla pena sostituita, quindi tutte le pene della reclusione costituiscono pena unica, oppure tutte le sanzioni dell'arresto, restando indifferente in quale delle sanzione sostitutiva personali siano state convertite. Infine, pene della stessa specie si possono considerare o tutte le sanzioni semidetentive o tutte le pene della libertà controllata, che altresì siano sostitutive o solo dell'arresto o solo della reclusione. Tuttavia, considerare della stessa specie la semidetenzione e la libertà controllata non è possibile perché hanno sicuramente un contenuto diverso. Trattare come pena unica invece tutte le pene che sostituiscano solo l'arresto o solo la reclusione crea una certa disparità di trattamento, irragionevole, tra chi, ad esempio, ha commesso solo delitti e chi ha commesso delitti e contravvenzioni. Infatti, a chi ha commesso solo delitti si potranno applicare i limiti agli aumenti di pena, mentre non sarà possibile se una persona ha commesso anche una contravvenzione. Allora forse è preferibile considerare pene della stessa specie tutte le semidetenzioni oppure tutte le libertà controllate a prescindere dalla pena detentiva che sostituiscono. (143) Sembra confortare questa tesi il fatto che l'art. 70 della l. 689/1981, laddove unifica le pene ai fini della loro applicazione, dà importanza al tipo di pena sostitutiva senza nemmeno nominare la specie di pena sostituita, a rimarcare la necessità di distinguere tra semidetenzione e libertà controllata, ma non tra reclusione e arresto. Adottando questa soluzione, si rispetta, dunque, il differente contenuto fra le sanzioni sostitutive e si appianano le disparità di trattamento, nel rispetto del principio costituzionale di uguaglianza. (144)

Aspetto fondamentale della disciplina delle sanzioni sostitutive è il fatto che la sostituzione della pena detentiva non si considera mai definitiva. (145) Il carcere rimane sempre sullo sfondo. Dato che la semidetenzione si considera pena della specie corrispondente a quella che sostituisce, quest'ultima rivive nel momento della revoca della sanzione sostitutiva. Qualunque sia il motivo della revoca, la semidetenzione si converte nella pena detentiva calcolata attraverso i criteri di ragguaglio, cioè semplicemente il residuo di semidetenzione si ritrasforma nella pena detentiva della stessa durata, poiché un giorno di semidetenzione equivale ad un giorno di reclusione o arresto.

Non è pacifico se il computo del residuo di pena da riconvertire in pena detentiva si debba calcolare dal giorno della violazione o da quello del giudizio. Nel primo caso si corre il rischio di sottoporre il condannato ad una duplice esecuzione della pena, poiché la sanzione detentiva viene calcolata dal momento della violazione, ma può darsi che il soggetto abbia continuato ad essere sottoposto alla misura semidetentiva e alle sue prescrizioni. (146) Viceversa, se il residuo pena da scontare si calcola dal momento in cui si decide la revoca, si corre il rischio di considerare la pena già interamente espiata, senza che però il condannato abbia trascorso un solo giorno in carcere, considerati anche i tempi lunghi della giustizia italiana. La giurisprudenza sembra preferire la tesi secondo la quale la pena riconvertita in pena detentiva va calcolata non dal giorno della violazione di una prescrizione, ma dalla data di emanazione del provvedimento di conversione, eventualmente deducendo la restante pena sostituita espiata dopo la violazione. In questo modo, la giurisprudenza è sicura di evitare che il soggetto sia costretto a subire una doppia espiazione di pena, quella della semidetenzione dal momento della violazione al momento del provvedimento del tribunale di Sorveglianza, e quella della pena detentiva calcolata dal giorno della violazione. (147) Per fortuna, nella prassi della magistratura di sorveglianza si registra la frequente pratica di sospendere provvisoriamente la semidetenzione, anche se questo motivo di sospensione non è espressamente previsto dalla legge. Così facendo, quando la pena viene convertita, non si rischia di sottoporre il condannato ad una doppia esecuzione. (148)

Il carattere non completamente autonomo delle sanzioni sostitutive si vede proprio nello “spettro del carcere”: qualunque violazione che comporti la revoca, comporta anche la riconversione della sanzione in pena detentiva. Ed è sempre lo “spettro del carcere” che dovrebbe funzionare da incentivo al rispetto delle prescrizioni.

La revoca in base all'art. 66 della l. n. 689 del 1981 è la conseguenza della violazione anche di una sola delle prescrizioni imposte al semidetenuto. La disciplina è molto rigida, rigorosa, basta una sola violazione per revocare la semidetenzione. Mentre nella semilibertà, il comportamento del condannato è valutato dal Tribunale di sorveglianza, qui non si lascia spazio alla discrezionalità giudiziale, ma ci si trova di fronte ad una revoca automatica. (149) Questa differenza conferma la natura sanzionatoria della semidetenzione. (150) Tuttavia, s'incorre nel rischio di non poter valutare le violazioni incolpevoli delle prescrizioni, quando il comportamento del soggetto non è dovuto né a dolo né a colpa, poiché non si lascia il minimo spazio alle valutazioni discrezionali del giudice. (151)

Altro motivo di revoca, sempre obbligatoria, è costituito dal sopraggiungere di una nuova condanna a pena detentiva, ai sensi dell'art. 72 della legge n. 689 del 1981. La condanna può avere ad oggetto un fatto commesso precedentemente alla sostituzione; la legge rimanda all'art. 59, comma uno e comma secondo, lettera a), quindi, si riferisce alla condanna alla reclusione superiore a tre anni, oppure alla condanna per aver commesso il terzo reato della stessa indole, intervenute dopo, ma che si riferiscono a fatti precedenti alla sostituzione. La semidetenzione viene revocata perché ci si accorge, successivamente, che non c'erano le condizioni per applicarla. La nuova condanna può riguardare pure un fatto commesso dopo la sostituzione. In questo caso, si smentisce la meritevolezza della semidetenzione concessa al condannato. (152) Ma non siamo di fronte ad una misura alternativa che ha come finalità la rieducazione, la semidetenzione è pena a tutti gli effetti, per cui un discorso sulla meritevolezza della pena da parte di un condannato è un po' eccessivo. Il legislatore però ha deciso che anche in questo caso si converta la pena residua in pena detentiva. Ad ogni modo, la condanna deve essere stabilita da una sentenza definitiva, durante il processo la semidetenzione si può solo sospendere, ma bisogna aspettare la condanna definitiva per poter convertire la pena. La Corte di Cassazione ha ribadito questo principio nella sentenza 28 novembre 2000, annullando l'ordinanza di un Tribunale di sorveglianza che aveva convertito la sanzione sostitutiva prima che la sentenza diventasse definitiva, basandosi sul fatto che la commissione di un reato si può equiparare all'inosservanza anche di una sola prescrizione ex art. 66 della l. 689/1981. La Suprema Corte ritiene che il Tribunale abbia usato l'analogia in malam partem, eludendo il fatto che la legge indica tassativamente quali sono gli obblighi da rispettare e dimenticandosi che c'è una norma apposita, l'art. 72, che stabilisce che in caso di commissione di un reato la revoca intervenga solo con la sentenza definitiva. (153) Pertanto, non è possibile accostare la commissione di un reato alla violazione di una prescrizione, senza fornire un'interpretazione sbagliata della legge. La natura di norma penale dell'art. 72 impedisce un'interpretazione analogica sfavorevole al condannato. D'altronde, la disciplina della revoca della semidetenzione ruota intorno alla sua afflittività: le sanzioni sostitutive sono comunque sanzioni, pertanto l'inosservanza di una prescrizione o una nuova condanna dimostrano il fallimento della funzione general-preventiva della pena. (154)

Al detenuto in espiazione di pena detentiva convertita in base all'art. 66 non si possono applicare le misure alternative dell'affidamento in prova al servizio sociale e della semilibertà. La disposizione è sicuramente razionale, perché vuole evitare la possibilità di concedere la misura premiale delle alternative alla detenzione, dopo che il soggetto si sia già dimostrato insofferente verso le sanzioni non detentive o parzialmente detentive, affini dunque alle misure alternative. (155) È quindi una previsione coerente col carattere sanzionatorio della conversione. (156) L'unico problema è che tra le misure alternative, il legislatore ha dimenticato di aggiungere la detenzione domiciliare, che quindi rimane l'unica misura che potrebbe essere concessa anche dopo la revoca della semidetenzione e la conversione in pena detentiva.

4- Gli “arresti di fine settimana” nell'ordinamento francese: le fractionnement de la peine

Quando si parla di “arresti di fine settimana” si fa riferimento a quelle sanzioni che emergono ultimamente in molti Paesi europei, e che concentrano l'esecuzione della pena in alcuni giorni della settimana, generalmente corrispondenti al fine settimana.

L'obiettivo di queste sanzioni consiste nell'evitare gli effetti desocializzanti del carcere attraverso l'interruzione, l'esecuzione in maniera non continuata, della pena. Limitare l'esecuzione della pena ad alcuni giorni a settimana permette di conservare il posto di lavoro, l'attività risocializzante per eccellenza. La semidetenzione, in questo caso, si svolge in maniera orizzontale invece che verticale, nel senso che l'alternanza tra libertà e carcere non avviene nell'arco della giornata, ma interessa giorni della settimana differenti. Tuttavia, non necessariamente gli “arresti di fine settimana” si svolgono in carcere, anzi molto spesso l'esecuzione avviene nel domicilio, configurando una specie di detenzione domiciliare che si svolge in maniera non continuativa.

In Francia, una misura che può essere ricondotta alla categoria degli “arresti di fine settimana” è il fractionnement de la peine, il frazionamento della pena, appunto. La sua introduzione si deve alla legge 11 luglio 1975, anche se la possibilità di concessione ab initio si deve all'entrata in vigore del nuovo codice penale nel 1994. Anche il “frazionamento della pena” è considerato una misura d'aménagement, un modo per organizzare in maniera differente le modalità di esecuzione della pena detentiva, un diverso modo di espiare la pena tenendo conto della personalità del condannato.

Per la verità, il fractionnement può riguardare differenti tipi di sanzione, comprese le pene pecuniarie, che allora saranno rateizzate, e la sospensione della patente di guida. Quando la pena dell'emprisonnement, ovvero la pena detentiva correzionale, ha una durata non superiore ai 2 anni, oppure ad un anno se il soggetto è stato dichiarato recidivo, la sanzione può essere eseguita in frazioni. (157) Quindi, la caratteristica del fractionnement de la peine è di permettere di eseguire la sanzione in unità di tempo separate, frazionate, cosicché il condannato abbia l'obbligo di dimorare in carcere solo alcuni giorni alla settimana. L'esecuzione della pena, anche se frazionata deve comunque aver luogo entro un periodo di tempo che non superi i 4 anni, ed ogni frazione di pena non può essere inferiore ai 2 giorni consecutivi.

Anche nel nostro ordinamento esiste una forma di “arresti di fine settimana”, ed è la permanenza domiciliare. Tuttavia, da noi la pena si esegue nel proprio domicilio, mentre nel fractionnement l'esecuzione avviene in istituto penitenziario, infatti si parla di “week-end pénitentiaire”. (158)

I motivi per cui il giudice può decidere di frazionare la pena detentiva sono piuttosto vaghi, si parla di motivi familiari, sociali, sanitari o professionali. La finalità è di evitare gli inconvenienti che possono derivare da un'esecuzione continuata della pena detentiva, in primis quindi gli effetti desocializzanti del carcere, permettendo innanzitutto di conservare il posto di lavoro, ma potrebbe anche servire a mantenere i rapporti con i propri familiari, per accudire i figli minori ad esempio, oppure potrebbe servire al condannato per curarsi, quando necessita di un tipo di cure regolari, continuative. In ogni caso, il fractionnement della pena si considera una mera facoltà del giudice, (159) nel senso che spetta sempre al giudice l'apprezzamento della necessità di eseguire la pena in maniera continuativa oppure frazionata. Anche qui, si evidenzia la grande discrezionalità concessa al giudice: una discrezionalità che non si limita a lasciare al giudice l'onere di decidere se concedere o meno una determinata misura, ma riguarda perfino i contenuti da dare a questa misura, contenuti che dipenderanno dal motivo sotteso alla sua concessione.

5- Il confronto fra semilibertà e semidetenzione: una distinzione sempre più labile

Si è detto come, nella forma, semidetenzione e semilibertà abbiano molto in comune. Entrambe sono caratterizzate dall'alternanza tra libertà e detenzione carceraria, entrambe sono definite, a questo proposito, modalità alternative di esecuzione della pena detentiva. Tuttavia, in un caso si parla di una sanzione sostitutiva, nell'altro di una misura alternativa alla detenzione. Quindi, la prima differenza riguarda sicuramente la natura giuridica dei due istituti: mentre la semidetenzione è una sanzione a tutti gli effetti, la semilibertà è uno strumento del trattamento individualizzato; la prima è irrogata direttamente in sentenza dal giudice della cognizione, la seconda è valutata dal Tribunale di sorveglianza. (160) Quest'importante differenza ha ripercussioni anche sulla finalità delle stesse: la semidetenzione nasce proprio per non desocializzare il condannato a pene brevi, conservando inoltre l'afflittività tipica delle sanzioni penali; la semilibertà invece è completamente orientata verso la funzione di prevenzione speciale e tende senza dubbio alla rieducazione del beneficiario. Si dice infatti che «mentre la semilibertà presuppone lo stato di detenzione, la semidetenzione presuppone, al contrario, lo stato di libertà». (161) Questo sta a significare che se una è rivolta a rendere la pena detentiva più sopportabile a chi deve scontare una pena breve e viene dallo stato di libertà, la misura alternativa invece viene concessa dopo aver scontato un certo periodo di tempo in detenzione e proprio per riavvicinare il condannato alla libertà. Dopo queste differenze di rilievo generale, inerenti alla sostanza stessa degli istituti, ci sono poi differenze che si riflettono sul contenuto della disciplina. Il contenuto, in un caso, è tutto delineato in negativo, con una serie di obblighi da rispettare e nessuna indicazione su come trascorrere il tempo in libertà; nell'altro caso, è tutto rigorosamente in positivo, esplicandosi nelle attività risocializzanti. (162) Le differenze si ripercuotono di conseguenza anche nella disciplina della revoca: si è visto che nella semidetenzione la revoca è sempre automatica, per la natura di pena della stessa, viceversa nella semilibertà la revoca comporta quasi sempre una valutazione discrezionale da parte del Tribunale di sorveglianza. Inoltre, il semidetenuto non commette evasione per il ritardato o mancato rientro in istituto, perché la legge non prevede espressamente che questa condotta integri la fattispecie di reato di cui all'art. 385 del codice penale, (163) anche se comunque potrebbe essere considerata una violazione delle prescrizioni, che quindi ne comporterebbe la revoca e la conversione in pena detentiva. (164)

Eppure, con l'evolversi della misura della semilibertà, dovuto ai successivi e insistenti interventi del legislatore, le differenze fra i due istituti sembrano appianarsi. La possibilità di concedere la semilibertà ab initio, nell'ipotesi delineata dal primo comma dell'art. 50 dell'ordinamento penitenziario, ha una funzione evidentemente antidesocializzante piuttosto che rieducativa, e perciò si contende il campo, almeno fino a 6 mesi di pena, con la semidetenzione. (165) Anche la semilibertà surrogatoria dell'affidamento in prova al servizio sociale si può ora concedere dallo stato di libertà. Ne consegue che la concedibilità prima dell'esecuzione non è più prerogativa della semidetenzione.

D'altronde, l'affinità tra le due misure è confermata anche dall'art. 67 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che vieta la concessione della semilibertà, oltre che dell'affidamento in prova, sulla pena detentiva convertita dopo la revoca della semidetenzione.

Si delineano allora due figure apparentemente diverse, ma nella sostanza sempre più sovrapponibili. Il rischio è togliere effettività all'una o all'altra misura, rendendole scarsamente applicate nella prassi, come infatti succede. È importante quindi domandarsi se sussiste la necessità di mantenere nel nostro ordinamento sia la semidetenzione sia la semilibertà, o forse si creerebbero meno problemi di coordinamento e meno dubbi sui reciproci limiti di applicazione scegliendo una sola di queste modalità d'esecuzione della pena detentiva. Oppure, si potrebbe usare l'esempio francese che chiama con lo stesso nome sia la misura semidetentiva applicata dal giudice della cognizione, sia quella applicata dal giudice della fase dell'esecuzione. Probabilmente si caricherebbe di contenuti risocializzanti anche la misura semidetentiva applicata ab initio, pur senza rinunciare alla funzione propedeutica alla riconquista della libertà della misura semidetentiva applicata in corso d'esecuzione.

Note

1. Padovani T., Evoluzione storica ed aspetti di diritto comparato nelle misure alternative, (relazione al Convegno sul tema “Depenalizzazione e misure alternative nel nuovo disegno di legge ‘Modifiche al sistema penale’”, Prato, 27 gennaio 1979), in Cassazione penale, 1979, p. 498.

2. D'Onofrio M., Sartori M., Le misure alternative alla detenzione, Milano, 2004, p. 236.

3. Canepa M., Merlo S., Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2010, p. 310.

4. Palazzo F., Semilibertà e trattamento penitenziario, in Alternative alla detenzione e riforma penitenziaria, a cura di Grevi V., Bologna, 1982, p. 68.

5. Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione: commento alla Legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, con riferimento al regolamento di esecuzione e alla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, Milano, 1997, p. 251; Flora G., Misure alternative alla pena detentiva, voce in Novissimo Digesto italiano, appendice Vol. V, Torino, 1984, p. 98.

6. D'Onofrio M., Sartori M., Le misure alternative alla detenzione, op. cit., p. 236.

7. Daga L., Semilibertà, voce in Enciclopedia del diritto, Milano, 1989, p. 1121; Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, Padova, 2011, p.709.

8. Palazzo F., Semilibertà e trattamento penitenziario, op. cit., p. 67 ss.

9. Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 14500, in Studio legale.

10. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 710 s.

11. Corte cost., 5-16 marzo 2007, n. 78, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

12. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 712.

13. Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione: commento alla Legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, con riferimento al regolamento di esecuzione e alla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, op. cit., p. 252; Daga L., Semilibertà, op. cit., p. 1128.

14. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 741 s.

15. Canepa M., Merlo S., Manuale di diritto penitenziario, op. cit., p. 346.

16. Corso P., Manuale dell'esecuzione penitenziaria, Bologna, 2006, p 198 ritiene invece che per accedere alla semilibertà per pene brevi non sia necessario individuare un'attività utile al reinserimento.

17. Cass., Sez. I, 3 ottobre 1997, n. 5561, Di Marco, in DeJure.

18. Cass., Sez. I, 21 dicembre 2000, n. 11299, Campisi, in DeJure.

19. Canepa M., Merlo S., Manuale di diritto penitenziario, op. cit., p. 335.

20. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 733.

21. Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione: commento alla Legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, con riferimento al regolamento di esecuzione e alla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, op. cit., p. 252.

22. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 740.

23. Musacchio V., La disciplina della semilibertà nel sistema penitenziario italiano, in La Giustizia Penale, 1994, p. 203.

24. Cass., Sez. I, 14 maggio 1984, n. 1158, Stanghellini, in ItalgiureWeb.

25. Filippi L., Spangher G., Manuale di diritto penitenziario, Milano 2011, p.148; Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 111.

26. Poncela P, Medici C., La semi-liberté, in Revue de science criminelle, 2011, p. 154.

27. Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, Monografia, Paris, 2009, p. 921.

28. Herzog-Evans M., Droit de l'exécution des peines, Paris, 2012, p. 520.

29. Poncela P, Medici C., La semi-liberté, op. cit., p. 156.

30. Leblois-Happe J., Fasc. 20: Personnalisation des peines. - Généralités. Semi-liberté. Placement à l'extérieur, in JurisClasseur Pénal Code > Art. 132-24 à 132-26, 2012, in LexisNexis en France.

31. Herzog-Evans M., Droit de l'exécution des peines, op. cit., p. 517.

32. Kensey-Boudadi A., L'amenagement des peines vers le milieu ouvert (dossier), in Actualité Juridique Pénal - AJP 2005, p. 107.

33. Poncela P, Medici C., La semi-liberté: contours d'une sanction pénale multiforme et détour par le quartier de semi-liberté de Versailles- Chronique de l'exécution des peines, in Revue de science criminelle et de droit pénal comparé, op. cit., p. 155.

34. Herzog-Evans M., Droit de l'exécution des peines, op. cit., p. 639.

35. Leblois-Happe J., Fasc. 20: Personnalisation des peines. - Généralités. Semi-liberté. Placement à l'extérieur, op. cit.

36. Herzog-Evans M., Droit de l'exécution des peines, op. cit., p. 866.

37. Bertrand B., Fasc. 20: Détention. - Exécution des peines privatives de liberté. - Placement sous surveillance électronique, in JurisClasseur Procédure pénale > Art. 723-7 à 723-13-1, 2010, LexisNexis en France.

38. Giacopelli M., La promotion du milieu ouvert par l'aménagement des peines, in Dossier- L'aménagement des peines vers le milieu ouvert, in Actualité Juridique Pénal-AJP, 2005, p. 91.

39. Art. 723-7-1 del codice di procedura penale francese.

40. Flora G., Misure alternative alla pena detentiva, op. cit., p. 98; Palazzo F., Semilibertà e trattamento penitenziario, op. cit., p. 75.

41. Dolcini E., Paliero C.E., Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, Milano, 1989, p. 6.

42. Padovani T., Evoluzione storica ed aspetti di diritto comparato nelle misure alternative, op. cit., p. 492.

43. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 716.

44. Musacchio V., La disciplina della semilibertà nel sistema penitenziario italiano, op. cit., p. 206; Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione: commento alla Legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, con riferimento al regolamento di esecuzione e alla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, op. cit., p. 255; D'Onofrio M., Sartori M., Le misure alternative alla detenzione, op. cit., p. 240.

45. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 721.

46. Palazzo F., Semilibertà e trattamento penitenziario op. cit., p. 75 s.

47. Flora G., Misure alternative alla pena detentiva, op. cit., p. 102.

48. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 721.

49. Bernasconi A., La semilibertà nel quadro della legge 27 maggio 1998, n. 165: aporie e disfunzioni, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2000, p. 194.

50. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 724.

51. Bernasconi A., La semilibertà nel quadro della legge 27 maggio 1998, n. 165: aporie e disfunzioni, op. cit., p. 193 s.

52. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 725.

53. Bernasconi A., La semilibertà nel quadro della legge 27 maggio 1998, n. 165: aporie e disfunzioni, op. cit., p. 193 s.

54. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 725.

55. Ibidem.

56. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 717.

57. D'Onofrio M., Sartori M., Le misure alternative alla detenzione, op. cit., p. 241.

58. Palazzo F., Semilibertà e trattamento penitenziario, op. cit., p. 78 s.

59. Corte cost., 19-27 luglio 1994, n. 357, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

60. Corte cost., 22 febbraio-1 marzo 1995, n. 68, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

61. Degl'Innocenti L., Faldi F., Misure alternative alla detenzione e procedimento di sorveglianza, Milano, 2010, p. 256 s.

62. Cass., Sez. I, 25 giugno, 2004, n. 33730; Cass., Sez. I, 3 marzo 2006, n. 24566; Cass., Sez. I, 13 gennaio 2010, n. 5486; Cass., Sez. I, 13 maggio 2010, n. 24175, in DeJure.

63. Eusebi L., Ergastolano “non collaborante” ai sensi dell'art. 4-bis, comma 1, ord. penit. e benefici penitenziari: l'unica ipotesi di detenzione ininterrotta, immodificabile e senza prospettabilità di una fine?, in Cassazione Penale, 2012, p. 1220 ss., l'autore tuttavia ritiene che proprio il rimando, tra gli altri, al comma 1 dell'art. 4-bis che contempla il divieto di concessione dei benefici penitenziari ai detenuti non collaboranti, costituirebbe un antinomia fra le normative, da cui deriva che i limiti temporali previsti per l'accesso alla semilibertà sono applicabili anche ai detenuti che non hanno collaborato.

64. Palazzo F., Semilibertà e trattamento penitenziario, op. cit., p. 80.

65. D'Onofrio M., Sartori M., Le misure alternative alla detenzione, op. cit., p. 246.

66. Palazzo F., Semilibertà e trattamento penitenziario, op. cit., p. 84 s.

67. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 731.

68. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 745.

69. Corte cost., 16-30 dicembre 1997, n. 445, e 14-22 aprile 1999, n. 137, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

70. Corte cost., 21 giugno-4 luglio 2006, n. 257, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

71. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 734.

72. Fiorio C., Semilibertà “surrogatoria” dell'affidamento in prova al servizio sociale e “irrigidimenti” penitenziari: alla ricerca di nuovi equilibri, (Nota a C. Cost. 10 ottobre 2008 n. 338), in Giurisprudenza costituzionale, 2008, p. 3784.

73. Fiorio C., Semilibertà “surrogatoria” dell'affidamento in prova al servizio sociale e “irrigidimenti” penitenziari: alla ricerca di nuovi equilibri, op. cit., p. 3785 ss.

74. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 735 s.

75. Bernasconi A., La semilibertà nel quadro della legge 27 maggio 1998, n. 165: aporie e disfunzioni, op. cit., p. 196.

76. Fiorio C., Semilibertà “surrogatoria” dell'affidamento in prova al servizio sociale e “irrigidimenti” penitenziari: alla ricerca di nuovi equilibri, op. cit., p. 3784.

77. Bernasconi A., La semilibertà nel quadro della legge 27 maggio 1998, n. 165: aporie e disfunzioni, op. cit., p. 196 ss.

78. Dolcini E., Le misure alternative oggi: alternative alla detenzione o alternative alla pena?, In Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1999, p. 865 s.

79. Bernasconi A., La semilibertà nel quadro della legge 27 maggio 1998, n. 165: aporie e disfunzioni, op. cit., p. 199 ss.

80. Cass. Sez. I, 1 dicembre 1998, n. 5998, in DeJure.

81. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 736.

82. Canepa M., Merlo S., Manuale di diritto penitenziario, op. cit., p. 346.

83. Palazzo F., Semilibertà e trattamento penitenziario, op. cit., p. 107.

84. Musacchio V., La disciplina della semilibertà nel sistema penitenziario italiano, op. cit., p. 214.

85. Canepa M., Merlo S., Manuale di diritto penitenziario, op. cit., p. 348.

86. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 750 s.

87. Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione: commento alla Legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, con riferimento al regolamento di esecuzione e alla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, op. cit., p. 257.

88. Sovraffollamento carceri: una proposta per affrontare l'emergenza, Relazione della Commissione Mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza, istituita con delibera dall'Assemblea plenaria del 4 maggio 2011, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, 2013, p. 19.

89. Canepa M., Merlo S., Manuale di diritto penitenziario, op. cit., p. 356.

90. Grevi V., Giostra G., Della Casa F., Ordinamento penitenziario commentato, op. cit., p. 763.

91. Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, op. cit., p. 261.

92. Flora G., Misure alternative alla pena detentiva, op. cit., p. 106.

93. Canepa M., Merlo S., Manuale di diritto penitenziario, op. cit., p. 332.

94. Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, op. cit., p. 261.

95. Corte cost. 8-16 febbraio, 1993, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

96. Cass, Sez. I, 13 dicembre 2002, n. 15684, Natoli, in Studio legale.

97. Cass, Sez. VII, ord. 24 febbraio 2009, n. 14688, Lo Russo, in ItalgiureWeb.

98. Cass, Sez. I, 1 dicembre 2009, n. 4606, in DeJure; Cass, Sez. I, 7 gennaio 2010, n. 4087, in DeJure; Cass, Sez. I, 17 febbraio 2010, n. 8235, in DeJure; Cass, Sez. I, 17 febbraio 2010, n. 13535, in DeJure.

99. Daga L., Semilibertà, op. cit., p. 1129; Canepa M., Merlo S., Manuale di diritto penitenziario, op. cit., p. 351.

100. Grasso G., La riforma del sistema sanzionatorio: le nuove pene sostitutive della detenzione di breve durata, in Rivista italiana diritto e procedura penale, 1981, p. 1412 ss.

101. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, Padova, 1985, p. 1.

102. Grasso G., La riforma del sistema sanzionatorio: le nuove pene sostitutive della detenzione di breve durata, op. cit., p. 1412 s.

103. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 73; Dolcini E., Paliero C.E., Sanzioni sostitutive (dir.pen.), in Enciclopedia del diritto, 1989, p. 490.

104. Dolcini E., Paliero C.E., Sanzioni sostitutive (dir.pen.), op. cit., p. 488.

105. Travaglia Cicirello T., La pena detentiva e le sue poliedriche alternative: un'analisi del sistema sanzionatorio italiano e francese, Firenze, 2009, p. 275.

106. Sartarelli S., Brevi considerazioni in ordine alla revoca, conversione e sospensione della pena sostitutiva, (Nota a Cass. sez. I pen. 28 novembre 2000), in Giurisprudenza italiana, 2001, p. 2128.

107. Dolcini E., Le “sanzioni sostitutive” applicate in sede di condanna. profili interpretativi, sistematici e politico-criminali del capo III, sezione I della legge 689 del 1981, (l. 24 novembre 1981, n. 689), in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1982, p. 1394; 1397.

108. Corte cost., 7-16 luglio 1987, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

109. Brunelli D., Sanzioni sostitutive e reati militari: mere “difficoltà” attuative o insuperabili ostacoli “ontologici”? (Nota a Cass. sez. I pen. 4 novembre 1994), in Cassazione penale, 1995, pag. 1235-1242.

110. Corte cost., 15-29 giugno 1995, n. 284, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

111. Dolcini E., Paliero C.E., Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, op. cit., p. 206 ss.

112. Grasso G., La riforma del sistema sanzionatorio: le nuove pene sostitutive della detenzione di breve durata, op. cit., p. 142.

113. Tonini P., L'applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato, in Il Foro italiano, 1982, p. 275.

114. Palazzo F., Semilibertà e trattamento penitenziario, op. cit., p. 70.

115. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 76.

116. Dolcini E., Paliero C.E., Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, op. cit., p. 219.

117. Corte cost., 7-9 giugno 2000, n. 183, in Corte costituzionale della Repubblica Italiana.

118. Dolcini E., Paliero C.E., Il carcere ha alternative?: le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, op. cit., p. 222 s.

119. Dolcini E., Paliero C.E., Sanzioni sostitutive (dir.pen.), op. cit., p. 500.

120. Dolcini E., Paliero C.E., Il carcere ha alternative?: le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, op. cit., p. 224.

121. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 59 ss., per Dolcini e Paliero quest'interpretazione comporta una forzatura della lettera c) dell'art. 59, perciò preferiscono riferire l'intervallo decennale al periodo trascorso tra la commissione del fatto e l'irrogazione della pena, valido per tutte e tre le ipotesi, Dolcini E., Paliero C.E., Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, op. cit., p. 221.

122. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 108.

123. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 119.

124. Giunta F., Pene sostitutive e sistema delle sanzioni: profili ricostruttivi ed interpretativi del capo III della legge 689 del 1981, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1985, p. 493 ss.

125. Dolcini E., Le “sanzioni sostitutive” applicate in sede di condanna. profili interpretativi, sistematici e politico-criminali del capo III, sezione I della legge 689 del 1981, (l. 24 novembre 1981, n. 689), op. cit., p. 1403 s.

126. Grasso G., La riforma del sistema sanzionatorio: le nuove pene sostitutive della detenzione di breve durata, op. cit., p. 1436 ss.

127. Dolcini E., Paliero C.E., Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, op. cit., p. 237.

128. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 18.

129. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 121.

130. Dolcini E., Paliero C.E., Sanzioni sostitutive (dir.pen.), op. cit., p. 520.

131. Pagliaro A., Le sanzioni sostitutive, (relazione al Convegno su “Nuove prospettive per le sanzioni penali”, Gardone Riviera, 7-8 giugno 1985), in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1985, p. 1030.

132. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 105.

133. Dolcini E., Le “sanzioni sostitutive” applicate in sede di condanna. profili interpretativi, sistematici e politico-criminali del capo III, sezione I della legge 689 del 1981, (l. 24 novembre 1981, n. 689), op. cit., p. 1421.

134. Marinucci G., Il sistema sanzionatorio tra collasso e prospettive di riforma, (Relazione tenuta al Convegno promosso dall'Accademia Nazionale dei Lincei e dal CNR, 2 aprile 1998), in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2000, p. 162.

135. Grasso G., La riforma del sistema sanzionatorio: le nuove pene sostitutive della detenzione di breve durata, op. cit., p. 1446 ss.

136. Giunta F., Pene sostitutive e sistema delle sanzioni: profili ricostruttivi ed interpretativi del capo III della legge 689 del 1981, op. cit., p. 521.

137. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 181 ss.

138. Canepa M., Merlo S., Manuale di diritto penitenziario, op. cit., p. 414.

139. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 192 ss.

140. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 198 ss.

141. Canepa M., Merlo S., Manuale di diritto penitenziario, op. cit., p. 416.

142. Dolcini E., Paliero C.E., Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, op. cit., p. 244 ss.

143. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 253 ss.

144. Dolcini E., Paliero C.E., Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, op. cit., p. 251 ss.

145. Giunta F., Pene sostitutive e sistema delle sanzioni: profili ricostruttivi ed interpretativi del capo III della legge 689 del 1981, op. cit., p. 483.

146. Propende per la tesi che calcola il residuo pena dal momento della violazione di una prescrizione: Dolcini E., Paliero C.E., Sanzioni sostitutive (dir.pen.), op. cit., p. 511.

147. In senso conforme: Cass., Sez. I, 3 ottobre 1994, n. 4181, De Riu, in ItalgiureWeb; Cass. Sez. I, 11 dicembre 1995, n. 6458, Toccoli, in ItalgiureWeb; Cass. Sez. I, 30 maggio 1997, n. 3874, Cosma, in ItalgiureWeb; Cass., Sez. I, 29 novembre 2000, n. 9589, Gelsomino, in ItalgiureWeb; in senso difforme: Cass., Sez. VI, 16 ottobre 1985, n. 1010, Degli Innocenti, in ItalgiureWeb.

148. Canepa M., Merlo S., Manuale di diritto penitenziario, op. cit., p. 425 s.

149. Grasso G., La riforma del sistema sanzionatorio: le nuove pene sostitutive della detenzione di breve durata, op. cit., p. 1440 s.

150. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 215.

151. Dolcini E., Le “sanzioni sostitutive” applicate in sede di condanna. profili interpretativi, sistematici e politico-criminali del capo III, sezione I della legge 689 del 1981, (l. 24 novembre 1981, n. 689), op. cit., pag. 1415; per altri solo le trasgressioni volute e evitabili possono portare alla revoca, vedi Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 216 ss.

152. Grasso G., La riforma del sistema sanzionatorio: le nuove pene sostitutive della detenzione di breve durata, op. cit., p. 1442.

153. Cass., Sez I, 28 novembre 2000, n. 6322, in DeJure.

154. Sartarelli S., Brevi considerazioni in ordine alla revoca, conversione e sospensione della pena sostitutiva, op. cit., p. 2128.

155. Dolcini E., Paliero C.E., Sanzioni sostitutive (dir.pen.), op. cit., 513.

156. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 231.

157. Art. 132-27 du code pénal.

158. Bouloc B., Droit pénal général, Dalloz, 2011, p. 638.

159. Bouloc B., Droit pénal général, op. cit., p. 638.

160. Tonini P., L'applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato, op. cit., p. 274 s.

161. Palazzo F., Semilibertà e trattamento penitenziario, op. cit., p. 67.

162. Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, op. cit., p. 251.

163. Trapani M., Le sanzioni penali sostitutive, op. cit., p. 80.

164. Canepa M., Merlo S., Manuale di diritto penitenziario, op. cit., p. 433 s.

165. Bernasconi A., La semilibertà nel quadro della legge 27 maggio 1998, n. 165: aporie e disfunzioni, op. cit., p. 193 s.