ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo V
Nelle more del recepimento della direttiva 2008/115/CE nell'ordinamento italiano: dibattito dottrinale e "governo dei giudici"

Carlotta Happacher, 2012

Il 24 dicembre 2010, termine fissato dall'articolo 20 della direttiva 2008/115/CE per l'adeguamento delle legislazioni nazionali degli Stati membri, il legislatore italiano non aveva ancora provveduto al recepimento della suddetta direttiva (1). Pertanto si è immediatamente posto il problema di comprendere quali fossero le conseguenze, rispetto al sistema italiano di espulsione dello straniero, della mancata attuazione entro il termine stabilito, in particolare in riferimento ai delitti di inosservanza di cui ai commi 5-ter e 5-quater dell'articolo 14 T. U. Immigrazione.

Le posizioni emerse in dottrina, e avvallate dalla giurisprudenza di merito, sono state numerose e con rilevanti differenze le une dalle altre: alcuni (2) hanno sostenuto la piena compatibilità delle norme europee con quelle nazionali, altri (3), pur ammettendo la sussistenza di un contrasto, hanno affermato la non immediata applicabilità della direttiva, altri ancora (4) si sono espressi per la radicale incompatibilità delle due discipline con prevalenza della fonte comunitaria. Tra questi ultimi vi sono state posizioni (5) che hanno fatto leva sulla finalità di tutela dei diritti fondamentali dello straniero sottoposto a procedura di rimpatrio, che, insieme a quella di garantire l'effettività dei rimpatri, rappresenta lo scopo a cui la direttiva tende, altri (6) hanno fatto discendere la disapplicazione delle norme incriminatrici interne, dalla sostanziale illegittimità ("comunitaria") dell'atto amministrativo presupposto. Dell'ampio dibattito che si è sviluppato nei mesi intercorsi tra la scadenza del termine previsto nella direttiva e l'adozione del decreto - legge 23 giugno 2011, n. 89, poi convertito con modificazioni in legge 2 agosto 2011, n. 129, nonché delle ricadute pratiche che questo ha avuto sui processi in corso, si cercherà di dare conto nel presente capitolo; all'analisi della legge di recepimento e delle questioni che ancora aperte si tratterà nel sesto capitolo.

1. Circolare del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno del 17.12.2010

Secondo l'articolo 288 del TFUE (già articolo 249 del Trattato CE), "la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi". Lo Stato membro è quindi obbligato ad "adottare tutte le misure necessarie per realizzare il risultato voluto dalla direttiva; è un obbligo cogente e investe tutti gli organi dello Stato" (7). La discrezionalità lasciata allo Stato riguardo forma e mezzi per raggiungere lo scopo fissato dalla direttiva "certamente non implica che le sue disposizioni siano meno vincolanti delle altre norme comunitarie, né comporta un'attenuazione delle conseguenze sfavorevoli per gli Stati destinatari in caso di violazione da parte di questi ultimi" (8).

Del fatto che una direttiva europea, sebbene non attuata, possa produrre degli effetti nell'ordinamento interno degli Stati membri ha mostrato di avere piena consapevolezza anche il Governo italiano in carica al momento della scadenza del termine di recepimento. Infatti il Dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell'Interno, preoccupato delle possibili ricadute sui procedimenti espulsivi in corso, ha emanato, in data 17 dicembre 2010, una circolare rivolta a questori e prefetti (9), con la quale ha tentato di conciliare il diritto interno con la normativa europea sopravvenuta. Secondo il ministero dell'interno nelle more del recepimento da parte dell'Italia della direttiva rimpatri, lo straniero avrebbe potuto impugnare il provvedimento finalizzato al suo rimpatrio eccependone l'incompatibilità con la normativa europea; ricorso accoglibile "poiché il giudice, in applicazione dei principi di diritto comunitario, è obbligato ad interpretare il diritto interno alla luce della lettera e dello scopo della Direttiva" (10).

In vista della possibilità che i ricorsi degli stranieri fossero accolti, venivano fornite alle autorità competenti una serie di direttive operative, in particolare riguardanti la motivazioni dei provvedimenti amministrativi finalizzati al rimpatrio, le quali, assumendo 'rilevanza strategica', sarebbero dovute essere "idonee a neutralizzare gli effetti del ricorso", in quanto "articolate in modo che emerga con chiarezza la conformità dell'azione di rimpatrio rispetto ai contenuti della normativa comunitaria" (11). Per rendere compatibile la disciplina interna, fondata sul rimpatrio forzato, con quella europea, che privilegia invece la partenza volontaria, secondo il ministero dell'interno era sufficiente che questori e prefetti si attenessero ad una serie di disposizioni operative, fornite dalla stessa Circolare a seguito di una rapida disamina della Direttiva. In primo luogo essi dovevano valutare attentamente la posizione individuale di ogni straniero, attraverso l'intervista alla quale questo viene sottoposto prima di avviarlo al rimpatrio, in particolare verificando l'esistenza di "condizioni affinché allo stesso sia possibile rilasciare un permesso di soggiorno umanitario o ad altro titolo". In secondo luogo dovevano accertare la sussistenza di motivi impeditivi alla concessione di un termine per la partenza volontaria (istituto questo in realtà non previsto dalla legislazione italiana), ossia: l'avere lo straniero presentato una domanda di soggiorno respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta; l'essere un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale; l'esistenza del pericolo che lo straniero interessato possa sottrarsi al rimpatrio. Proprio quest'ultimo, il pericolo di fuga, è il punto sul quale il ministero pensava di fare leva per "evitare di dover adottare atti che la normativa italiana non prevede e che renderebbero il provvedimento contrastante con la direttiva" (12). Per la verifica della presenza o meno di un rischio di fuga si suggeriva di chiedere allo straniero di

dimostrare, mediante la consegna di apposito carteggio:

  • la disponibilità di adeguate garanzie finanziarie provenienti da fonti lecite, idonee allo scopo;
  • il possesso di un documento utile all'espatrio, in corso di validità;
  • l'utilizzabilità di un alloggio stabile non precario, ove egli possa essere rintracciato senza alcuna difficoltà;
  • la linearità della sua condotta pregressa;
  • il proprio concreto interesse a tornare quanto prima nel Paese d'origine o in altro Paese terzo, senza più prolungare la permanenza irregolare sul territorio italiano;
  • ogni altro elemento utile ad evidenziare la presenza o meno del pericolo che egli si sottragga volontariamente al rimpatrio, qualora gli venisse concesso un termine per la partenza volontaria (13).

L'assurdità delle dimostrazioni richieste allo straniero per la concessione del termine per la partenza volontaria è ben evidenziata da Savio, che definendole 'tragicamente reali', sottolinea:

questi elementi idonei a scongiurare il rischio di fuga dovrebbero essere dimostrati in sede di "intervista amministrativa", cioè subito dopo essere finiti nelle camere di sicurezza a seguito di una retata o di un controllo del territorio (senza avvocato e senza interprete). È noto, infatti, che ogni irregolare porta con sé la documentazione attestante la disponibilità di adeguate garanzie finanziarie!

Pare evidente che le motivazioni idonee a "neutralizzare gli effetti del ricorso" si tradurranno nella apposizione della particella "NON" davanti alle singole proposizioni dell'intervista proposta dal ministero; la modulistica sarà predisposta al fine di dimostrare che l'interessato dichiara - con atto facente fede sino a querela di falso - che non si trova in alcuna situazione per cui possa escludersi il pericolo di fuga, né può essere adottata altra misura meno coercitiva del trattenimento ... non fosse altro perché la legge non la prevede, ma questa risposta non sarà prevista dalla modulistica, c'è da scommetterci (14)!

Nella remota ipotesi che lo straniero riuscisse a fornire tutta la documentazione richiesta ai fini dell'esclusione del rischio di fuga, essendo l'istituto del termine per la partenza del tutto assente nel T.U. Immigrazione, la circolare sembrava suggerire di concedere allo straniero un permesso di soggiorno per motivi umanitari, anche se non si capisce come questo potesse avvenire, posto che la valutazione circa la sussistenza delle condizioni per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari doveva precedere quella inerente il rischio di fuga.

Per ciò che concerne trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione, "dalla lettura del provvedimento [sarebbe dovuto] emergere che, nel caso concreto, non [risultava] possibile applicare altre misure meno coercitive, proprio a causa della particolare situazione che caratterizza la posizione dello straniero" (15). Si noti però che nel sistema italiano queste misure meno coercitive non erano previste, di conseguenza non si capisce come i questori avrebbero potuto applicarle. Essendo da escludere, in virtù delle riserve di legge in materia di libertà personale e di libertà di circolazione di cui agli articoli 13 e 16 delle Costituzione (16), la tesi, sostenuta dalla Circolare, secondo cui

il questore sarebbe legittimato a creare ex novo dei provvedimenti che prevengano il pericolo di fuga (quali l'obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità; di costituire una garanzia finanziaria adeguata o di dimorare in un certo luogo), al fine di dimostrare che il rimpatrio ha avuto luogo sulla base delle principali novità introdotte dalla direttiva (17).

La circolare qui brevemente descritta, se da un lato mostra la consapevolezza del ministero dell'interno dell'esistenza di un obbligo immediato e diretto di rispetto della direttiva (18), dall'altro lato non poteva certo considerarsi strumento idoneo all'attuazione degli obblighi da essa derivanti (19). Infatti, quando una direttiva europea interviene in un settore già coperto dalla legislazione nazionale, con norme i vigore al momento della scadenza del termine per il recepimento della direttiva, la trasposizione di quest'ultima deve avvenire mediante un atto di rango equivalente a quello delle norme nazionali preesistenti (20). Poiché l'attuazione delle direttive deve avvenire in modo da soddisfare "in ogni caso l'esigenza di chiarezza e di certezza delle situazioni giuridiche volute dalla direttiva" (21), la Corte di Giustizia ha più volte ritenuto non adeguato lo strumento utilizzato dagli Stati membri. Secondo la Corte, l'incompatibilità della normativa nazionale con quella europea:

può essere definitivamente soppressa solo tramite disposizioni interne vincolanti che abbiano lo stesso valore giuridico di quelle da modificare. Come la corte ha chiarito nella costante giurisprudenza relativa all'attuazione delle direttive da parte degli Stati membri, semplici prassi amministrative, per natura modificabili a piacimento dall'amministrazione e prive di adeguata pubblicità, non possono essere considerate valido adempimento degli obblighi del trattato (22).

La citata sentenza, rivolta proprio allo Stato italiano, prosegue affermando che quest'ultimo

non può quindi sottrarsi all'obbligo di adattare la sua legislazione nazionale a quanto prescritto dal trattato invocando [...] il fatto di avere adottato una data prassi amministrativa, [e nemmeno] la migliore conoscenza che i cittadini comunitari avrebbero dei loro diritti. Nella fattispecie, del resto, questi rimangono in uno stato di incertezza non solo per la conservazione in vigore di disposizioni nazionali contrarie al trattato, ma anche per l'entrata in vigore di nuove disposizioni... (23)

L'intenzione del ministero non era però recepire la direttiva attraverso l'adozione di una circolare, quanto fornire a prefetti e questori una serie di indicazioni che sarebbero dovute essere sufficienti ad evitare l'annullamento in sede giurisdizionale degli atti emanati nel corso della procedura espulsiva, ritenendo che l'adeguamento della normativa nazionale potesse realizzarsi in via interpretativa, secondo il principio dell'interpretazione conforme. Tale principio, che la Corte di Giustizia deduce dagli articoli 4 TUE e 288, paragrafo 3 TFUE (24), impone ai giudici e a tutti gli organi dello Stato membro di interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva non trasposta, al fine di conseguire il risultato da questa perseguito (25). Vi sono però importanti limiti all'applicazione del principio dell'interpretazione conforme: innanzitutto, da un'interpretazione del diritto nazionale conforme ad una direttiva non trasposta non possono essere fatti derivare obblighi in capo al singolo. In secondo luogo, non è possibile pervenire, nel rispetto dei principi di certezza del diritto e di irretroattività, ad un'interpretazione contra legem delle norme nazionali (26). In considerazione dell'entità delle divergenze tra la normativa italiana e la 'direttiva rimpatri' (27), in particolare l'assenza nella prima dell'istituto della partenza volontaria e delle misure meno coercitive da imporre allo straniero in luogo del trattenimento, è evidente che quella delineata dalla circolare del ministero dell'interno non poteva che essere un'interpretazione del diritto nazionale contra legem, in quanto tale preclusa in ossequio ai principi generali del diritto europeo e nazionale.

2. Direttiva 2008/115/CE e T.U. Immigrazione: partenza volontaria e allontanamento coattivo

Le differenze tra la procedura di esecuzione dei rimpatri delineata dalla direttiva 2008/115/CE e quella prevista da T.U. Immigrazione, al momento della scadenza del termine per il recepimento, nonostante il tentativo fatto dal ministero dell'Interno con la circolare del 17 dicembre, sono molteplici ed evidenti. Entrambe le discipline sono state descritte nei capitoli che precedono, ci si limita ora a richiamarne i tratti essenziali così da metterne in luce i principali punti di divergenza.

La prima e più evidente differenza tra il sistema di allontanamento delineato dalla 'direttiva rimpatri' e la procedura amministrativa prevista dall'ordinamento italiano al momento dell'entrata in vigore della norma europea sta nella sostanziale assenza nel diritto nazionale dell'istituto della partenza volontaria. Infatti, salvo l'eccezionale ipotesi che era prevista dall'articolo 13, comma 5 per lo straniero in possesso di un permesso di soggiorno scaduto da oltre sessanta giorni che avesse omesso di chiederne il rinnovo (28), tutte le espulsioni dovevano avvenire con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (29). Al contrario, il considerando n. 10 e l'articolo 7 della direttiva stabiliscono che deve essere privilegiata la partenza volontaria con l'assegnazione di un termine compreso tra i sette e i trenta giorni, salvi i casi in cui questo può essere ridotto o escluso (30). Né si può obiettare asserendo che nella prassi la maggior parte delle espulsioni venivano eseguite mediante ordine di allontanamento del questore. Non soltanto perché il termine previsto di cinque giorni era comunque inferiore al minimo di sette giorni indicato dalla direttiva (31), ma soprattutto perché l'ipotesi di emissione dell'ordine di allontanamento rivestiva natura doppiamente eventuale, potendo essere adottato soltanto qualora non fosse possibile eseguire con immediatezza l'allontanamento, e non fosse possibile disporre il trattenimento, ovvero nel caso i termini massimi di quest'ultimo fossero già inutilmente decorsi. In secondo luogo, mentre il paragrafo 2 dell'articolo 7 prevede la possibilità di prorogare il termine per la partenza volontaria in relazione circostanze specifiche del caso individuale (32), il T.U. Immigrazione non contemplava alcuna possibilità di proroga nemmeno in riferimento all'unico caso di espulsione eseguita mediante intimazione (33). Parimenti assenti, nella normativa italiana precedente all'entrata in vigore della direttiva, gli obblighi che secondo il paragrafo 3 dell'articolo 7 possono essere imposti in pendenza del termine per la partenza volontaria al fine di scongiurare il rischio di fuga (34).

La possibilità di ricorrere a misure coercitive secondo la direttiva è limitata al caso in cui lo straniero opponga resistenza al rimpatrio e devono in ogni caso essere proporzionate e non eccedere un "uso ragionevole della forza", contrariamente il T.U. Immigrazione "contempla il trattenimento come unica misura coercitiva adottabile nelle more dell'accompagnamento coattivo" (35).

In sintesi: la direttiva 2008/115/CE disciplina una scansione procedurale secondo cui il rimpatrio deve avvenire in prima istanza mediante concessione del termine per la partenza volontaria, con o senza l'imposizione di obblighi finalizzati ad evitare il rischio di fuga. Soltanto laddove il termine non venga concesso ovvero decorra senza che l'interessato abbia adempiuto all'obbligo di rimpatrio, lo Stato è può eseguire coattivamente il rimpatrio, adottando tutte le misure necessarie, comprese quelle coercitive, tra le quali il trattenimento si pone come ultima ratio. Diametralmente opposto l'allora vigente sistema italiano: la regola era l'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, il trattenimento dello straniero espellendo l'unica misura coercitiva prevista nelle more dell'allontanamento e l'ordine del questore la modalità meramente residuale di esecuzione del rimpatrio.

Alla luce delle considerazioni svolte, è evidente che le differenze tra la disciplina dettata dalla direttiva e quella del T.U. Immigrazione si collocano sul terreno amministrativo della procedura di rimpatrio. L'attenzione della dottrina si è però, prevalentemente (36), concentrata sull'incidenza della 'direttiva rimpatri' sulle sanzioni penali detentive previste per la mancata ottemperanza (anche reiterata) all'ordine di allontanamento del questore, quindi sulla possibile disapplicazione dell'articolo 14, commi 5-ter e 5-quater. Lo stesso dicasi sul versante giurisprudenziale: i Giudici di Pace, competenti sia in materia di ricorso avverso il decreto prefettizio di espulsione, che in tema di convalida dei provvedimenti che dispongono l'accompagnamento coattivo e il trattenimento, salvo sporadiche pronunce di annullamento del decreto di espulsione impugnato dall'interessato (37), non hanno svolto un ruolo di rilievo nell'ampio dibattito che si è svolto prima che intervenisse la sentenza della Corte di Giustizia (38).

Anche detta pronuncia, in quanto originata da una questione pregiudiziale posta nell'ambito di un procedimento penale per il delitto di cui all'articolo 14, comma 5-ter, si è espressa sulla (non) compatibilità dei reati di mancata ottemperanza, allora sanzionati con una pena detentiva. Si può ritenere che se la questione fosse stata sollevata, invece che dal giudice penale ordinario, da un Giudice di Pace in occasione del giudizio su un ricorso avverso il decreto prefettizio, ovvero del procedimento di convalida del provvedimento di accompagnamento coattivo, ne sarebbe derivata una sentenza ben diversa. La Corte, focalizzandosi esclusivamente sui tratti di incompatibilità della procedura amministrativa di espulsione prevista dal diritto nazionale con la disciplina detta dalla direttiva, avrebbe potuto fornire maggiori indicazioni al legislatore per il corretto recepimento delle norme europee, lasciando agli istituti del diritto nazionale la soluzione del problema (penalistico) della disapplicazione dei reati di inottemperanza.

2.1 Tesi della compatibilità (totale o parziale) T. U. Immigrazione - 'direttiva rimpatri'

Secondo una parte (minoritaria) della dottrina e della giurisprudenza di merito, la disciplina contenuta nella direttiva rimpatri sarebbe stata compatibile, in tutto o in parte, con le norme del Testo unico vigenti alla data di entrata in vigore della Direttiva. Queste teorie sono fondate su una serie di considerazioni, alcune comuni a tutti (o quasi) gli autori, altre molto distanti tra loro: si cercherà qui di svolgerne un quadro per quanto possibile esaustivo.

2.1.1 La direttiva 2008/115/CE non tocca la sfera penale

Il Trattato di Lisbona, firmato nel 2007 ed entrato in vigore il 1º dicembre 2009, che, come si è visto (supra cap. IV § 1), ha abolito la struttura a tre pilastri istituita con il Trattato di Maastricht, portando così in ambito comunitario la materia di visti, asilo e immigrazione, ha altresì previsto la competenza dell'Unione europea ad emanare atti (regolamenti e direttive) in materia penale e di polizia (39). Ciononostante, gli articoli 9 e 10 del Protocollo n. 36 sulle Disposizioni transitorie del Trattato di Lisbona (40), stabiliscono che gli atti adottati anteriormente continueranno ad applicarsi secondo la valenza loro attribuita precedentemente all'entrata in vigore del suddetto trattato. Di conseguenza, poiché adottata nel 2008,

in forza della citata disposizione transitoria a tale direttiva potrà riconoscersi, in ambito penale, la valenza attribuita a tali atti prima dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona, almeno sino a che le istituzioni comunitarie non si avvarranno delle nuove competenze loro attribuite direttamente in materia penale (41).

Anche nell'assetto anteriore al Trattato di Lisbona, le norme comunitarie direttamente efficaci, emanate in materie di competenza comunitaria, possono astrattamente influire sulle norme penali interne, nella misura in cui la fattispecie comprenda elementi per la cui definizione è necessaria l'applicazione di norme extrapenali, le quali pur non di per sé illegittime, non vengono in considerazione nell'ambito della competenza comunitaria (42). Se la direttiva rimpatri avesse effetto diretto e fosse contrastante con la normativa interna (43), il principio di preminenza del diritto europeo implicherebbe la disapplicazione (comunitaria) della normativa interna con la conseguente illegittimità del provvedimento amministrativo, comportando

'solo' la disapplicazione dell'atto amministrativo di allontanamento e mai la inapplicazione diretta della norma penale di cui all'art. 14 d.lgs. n. 286/98, trattandosi di norma che, in quanto penale, prima del Trattato di Lisbona e in base al citato Protocollo sulle disposizioni transitorie, non rientra direttamente nell'ambito di rilevanza comunitaria (44).

Proseguendo sul filone argomentativo di quanti escludono l'incidenza della direttiva sulla normativa penale interna, essi ritengono che il legislatore comunitario non soltanto non avrebbe avuto la possibilità di intervenire nel settore penale stante l'assetto pre Lisbona, ma che non ne sarebbe ravvisabile nemmeno l'intenzione. La conferma della tesi secondo cui il legislatore europeo avrebbe voluto prestare la massima attenzione a non invadere minimamente la sfera penale, sarebbe da rinvenire nell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b) della direttiva, il quale attribuisce agli Stati la facoltà di non applicare la direttiva ai cittadini di paesi terzi che siano "sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale, o sottoposti a procedura di estradizione".

Ecco allora che la certosina puntualizzazione contenuta nell'art. 2 della direttiva non può avere altra ragione se non quella di tenersi rigorosamente e rigidamente al di fuori di qualsiasi incidenza sul campo penale. A questo punto dichiarare l'incompatibilità di una normativa penale (per l'entità della pena) con una normativa che di pena non si può, non si deve e non si vuole occupare, appare davvero una forzatura non consentita né dall'ordinamento comunitario né dall'ordinamento costituzionale interno (45).

2.1.2 La direttiva 2008/115/CE non ha effetto diretto

Sebbene le direttive, come si è detto, vincolino lo Stato membro al quale sono rivolte in ordine al risultato da raggiungere, lasciando ad esso la competenza di definire la forma e mezzi per conseguirlo, è ormai da tempo pacifico che in presenza di determinati requisiti le direttive siano dotate di effetto diretto.

Quando si parla di effetto diretto si fa riferimento all'idoneità

di una norma comunitaria a creare diritti ed obblighi direttamente ed utilmente in capo ai singoli, non importa se persone fisiche o giuridiche, senza cioè che lo Stato eserciti quella funzione di diaframma che consiste nel porre in essere una qualche procedura formale per riversare sui singoli gli obblighi o i diritti prefigurati da norme 'esterne' al sistema giuridico nazionale (46).

Nella pratica questo si traduce nella possibilità per il singolo di far valere di fronte al giudice nazionale la posizione giuridica soggettiva che la norma europea gli attribuisce, obbligando parallelamente all'applicazione della suddetta norma tutti gli organi dell'amministrazione statale (47). In generale, l'attribuzione dell'effetto diretto ad una norma comunitaria discende dall'essere quest'ultima sufficientemente chiara, precisa e incondizionata, ossia la cui applicazione non sia subordinata all'emanazione di ulteriori atti (48). Non è, invece, necessario che la norma sia formalmente indirizzata ai singoli, ben potendo i diritti loro attribuiti essere una 'contropartita' a precisi obblighi imposti agli Stati membri o alle istituzioni comunitarie (49). Il problema dell'effetto diretto si è posto anche in relazione alle direttive (50), le quali si rivolgono agli Stati imponendo loro un risultato da raggiungere, ed è stato risolto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia facendo leva sugli stessi argomenti usati in relazione alle norme del Trattato rivolte agli Stati membri, ovvero:

a) un preciso obbligo dello Stato ha come contropartita un diritto di un singolo; b) l'articolo 249 (51) non esclude che atti diversi dal regolamento producano gli stessi effetti; c) la portata dell'obbligazione imposta allo Stato sarebbe ridotta se i singoli non ne potessero far valere l'efficacia e i giudici nazionali non potessero prenderla in considerazione (52).

In definitiva, secondo la Corte di Giustizia, che ha sempre sostenuto il criterio di prevalenza della sostanza sulla forma, per

costante giurisprudenza (cfr., in particolare, sentenza 19 gennaio 1982, causa 8/81, Becker, Race. pag. 53), ogniqualvolta delle disposizioni di una direttiva appaiano, quanto al loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise, tali disposizioni possono essere richiamate, in mancanza di provvedimenti di attuazione adottati nei termini, per opporsi a qualsiasi norma di diritto interno non conforme alla direttiva, ovvero in quanto sono atte a definire diritti che i singoli possono far valere nei confronti dello Stato (53).

È stato sottolineato che l'effetto diretto si ricollega ad un intento pedagogico, se non addirittura sanzionatorio nei confronti degli Stati che non adempiano puntualmente agli obblighi comunitari, esso, infatti

è concepito ed in fatto è una vera e propria sanzione per gli Stati inadempienti, nella misura in cui attribuisce al giudice nazionale, eventualmente attraverso la cooperazione anche del giudice comunitario, il compito - perché tacerlo, sostitutivo di quello del legislatore - di realizzare comunque lo scopo della direttiva in funzione di tutela delle posizioni giuridiche individuali in ipotesi lese dal comportamento dello Stato (54).

Poiché il fondamento dell'effetto diretto attribuito alle direttive sta proprio nell'esigenza di impedire allo Stato che non ha correttamente e tempestivamente trasposto l'atto comunitario nell'ordinamento interno, di far valere, a proprio vantaggio, il suo stesso inadempimento nei confronti dei singoli, questi ultimi possono far valere le disposizioni dotate di effetto diretto soltanto nei confronti dello Stato, non anche di altri individui (cosiddetto effetto diretto verticale) (55). Parallelamente, lo Stato inadempiente non può far valere nei confronti dell'individuo un obbligo sancito dalla direttiva non trasposta, non potendo quest'ultima imporre "a differenza di una norma del Trattato, obblighi in capo ai singoli indipendentemente da una legge interna che vi abbia dato attuazione" (56).

Riassumendo, le direttive hanno effetto diretto quando il termine per il recepimento sia scaduto; quando siano sufficientemente chiare, precise e dettagliate; e qualora attribuiscano al singolo una posizione giuridica di vantaggio.

La tesi (57) che ha negato il carattere auto-applicativo della 'direttiva rimpatri' ha fatto leva in particolare sugli ampi spazi di discrezionalità lasciati al legislatore nazionale nella definizione della normativa di dettaglio (58). In primo luogo la possibilità di escludere dall'ambito di applicazione della direttiva i cittadini di paesi terzi sottoposti a respingimento alla frontiera, ovvero "fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell'attraversamento irregolare" (59) della frontiera esterna di uno Stato membro; nonché di quanti siano sottoposti a rimpatrio in "come sanzione penale o come conseguenza di sanzione penale" (60). In secondo luogo l'articolo 7, non prevedendo una disciplina puntuale e incondizionata, implica il "doveroso intervento dello Stato per dare concretezza al sistema dei pesi e contrappesi" (61). Anche ritenendo che la sanzione che punisce il mero inadempimento volontario con una la reclusione per un tempo notevolmente superiore alla durata massima di privazione della libertà personale consentita dalle norme della direttiva, sia in contrasto con la disciplina dettata da questa, "non si può ritenere [che la sua abrogazione derivi dalla] natura self-executing delle disposizioni in questione, atteso che l'abrogazione di una fattispecie penale è atto insostituibile dell'ordinamento interno" (62).

Rispetto all'efficacia diretta della 'direttiva rimpatri', vi è stata anche una posizione 'intermedia' (63), la quale ha assunto "come postulato il carattere non auto-applicativo della direttiva comunitaria", ma ha ritenuto che questo non impedisse "di rilevare il carattere chiaro, preciso e dettagliato delle norme comunitarie che disciplinano sia i limiti assoluti ed esterni sia la funzione o lo scopo del trattenimento del cittadino di uno Stato terzo in situazione irregolare" (64). Il carattere imperativo del limite massimo del trattenimento, nonché del suo essere finalizzato esclusivamente alla preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento si rinviene non soltanto nel dato letterale dei numeri 5 e 6 dell'articolo 15 e del considerando numero 16, ma anche dalla pronuncia della Corte di Giustizia nella sentenza 30 novembre 2011, C-357/09, (Kadzoev). La Corte, nella sentenza citata, ha affermato il principio secondo cui finalità della direttiva è "garantire, in ogni caso, che il trattenimento ai fini dell'allontanamento non ecceda i diciotto mesi" (65), nonché "garantire una comune durata massima del trattenimento negli Stati membri" (66). Inoltre il trattenimento può essere mantenuto solo "per il tempo necessario all'espletamento diligente delle modalità di rimpatrio, purché sia necessario ad assicurare che l'allontanamento sia eseguito", dovendo al contrario cessare nel caso in cui non vi sia più "alcuna ragionevole prospettiva di allontanamento" (67).

Per quanti ritenevano la 'direttiva rimpatri' incompatibile con il diritto nazionale, ma non dotata di effetto diretto, l'unica strada esperibile per la rimozione del contrasto era quella dell'incidente di legittimità costituzionale, assumendo come parametri di legittimità gli articoli 10 e 117 della Costituzione (68). La Corte Costituzionale, con ordinanza 5 ottobre - 7 novembre 2011, n. 295, ha ordinato la restituzione degli atti ai giudici remittenti, rilevando che:

relativamente alla norma censurata, si sono succedute nel tempo due vicende modificative, costituite rispettivamente dalla incompatibilità sopravvenuta con la disciplina comunitaria e dalla successiva riforma, con la sostituzione di pene pecuniarie alla sanzione detentiva originariamente comminata;

che il richiamato ius superveniens, alla luce dei principi che governano la successione di leggi penali nel tempo, pone la questione della perdurante applicabilità della norma incriminatrice contenuta nel testo previgente dell'art. 14, comma 5-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, e comunque delle sanzioni detentive in esso previste, così investendo ogni aspetto delle censure proposte dai rimettenti;

che occorre dunque rimettere ai giudici a quibus la valutazione circa l'attuale rilevanza delle questioni sollevate.

2.1.3 La direttiva 2008/115/CE non è in contrasto con i reati previsti dal T. U. Immigrazione

Secondo un'ulteriore ricostruzione, la 'direttiva rimpatri' non solo non sarebbe stata dotata di effetto diretto, ma se anche così fosse stato, essa non si sarebbe posta in contrasto con le fattispecie delittuose previste dai vecchi commi 5-ter e 5-quater dell'articolo 14 T. U. Immigrazione. La tesi in discorso partiva dal presupposto che tali reati fossero concepiti dal legislatore italiano come preordinati all'esecuzione dell'espulsione: attraverso la previsione di una sanzione penale, la cui entità "favorisse sia il non - ingresso clandestino sia il rimpatrio volontario del soggiornante irregolare" (69). I delitti di mancata ottemperanza all'ordine di allontanamento del questore avrebbero quindi rappresentato un meccanismo "fondato proprio sulla partenza volontaria, come espressamente stabilito dalla direttiva" (70), differenziandosi da quest'ultima soltanto in ordine alla durata del termine concesso allo straniero per l'adempimento (71).

In quanto sanzioni preordinate all'esecuzione dell'espulsione, le fattispecie previste dal T. U. Immigrazione, potevano essere ricondotte alle 'misure' che l'articolo 8, paragrafo 1 della 'direttiva rimpatri' consente agli Stati membri di adottare al fine di portare a compimento la procedura di allontanamento dello straniero irregolarmente presente. Nell'ampiamente motivato ricorso del P.G. presso la Corte d'Appello di Torino viene ripetutamente ribadito che lo scopo primario perseguito dal legislatore europeo attraverso la 'direttiva rimpatri'

è quello di ottenere prima di ogni altra cosa, l'osservanza delle regole in materia di immigrazione, con una politica che assicuri che si ponga fine alla situazione di permanenza illegale, nel territorio di uno degli Stati membri, di cittadini di paesi terzi [...] per quelli che la Corte costituzionale chiama i 'migranti economici' l'obiettivo che si pone la direttiva è quello di ottenere una politica efficace che imponga il rispetto delle regole e ripristini lo status quo ante con il rimpatrio volontario o coatto di chi si trova in situazione di illegalità o irregolarità (72).

La finalità principale dell'effettiva esecuzione del rimpatrio (73) deve sì essere perseguita nel rispetto di quelle garanzie procedurali che la direttiva stessa stabilisce, "ma [tali garanzie] non possono essere interpretate in modo da confliggere con quella finalità, svuotandola di possibilità di attuazione" (74). Per conseguire l'obiettivo dell'esecuzione della decisione di rimpatrio la direttiva prevede che gli Stati membri adottino tutte le misure necessarie, qualora non sia stato concesso un termine per la partenza volontaria, ovvero quando lo straniero non abbia adempiuto all'obbligo di allontanarsi entro il termine stabilito. Secondo quanti sostengono la compatibilità della direttiva con il testo previgente del T. U. Immigrazione, lo spazio di discrezionalità (75) lasciato dal legislatore europeo a quello nazionale nella definizione della misure da adottare per l'esecuzione del rimpatrio, legittima la previsione di "un delitto come l'art. 14 cit. che, attraverso la minaccia di sanzioni penali per il soggetto inottemperante, favorisce indubbiamente (76) tale allontanamento volontario" (77). La conclusione che ne è stata tratta è che la disciplina in vigore nell'ordinamento italiano al momento della scadenza del termine per il recepimento della direttiva europea

rappresenta lo strumento assolutamente adottato dallo Stato per ottenere quel rimpatrio volontario che rappresenta la massima aspirazione del legislatore comunitario. Far cadere quello strumento, e farlo cadere sulla base di una pretesa incompatibilità con la normativa comunitaria, significa far avere a quest'ultima... il danno e le beffe (78).

Inoltre, sempre secondo la tesi che negava il contrasto tra normativa italiana e normativa europea, la previsione di simili misure si può spiegare soltanto ritenendole funzionali a distinguere nettamente

le privazioni della libertà personale finalizzate all'espulsione coatta dalla privazioni della libertà stabilite come punizione per l'inottemperanza all'allontanamento volontario (fatte salve, appunto, dall'art. 8 della direttiva), con conseguente impossibilità di utilizzare ai fini della concretizzazione del principio fondamentale della proporzionalità della pena (ritenuto ripetutamente non violato dalla nostra Corte costituzionale nei precedenti scrutini di costituzionalità), la durata della restrizione della libertà per l'esecuzione coattiva dell'espulsione. (79)

Secondo i fautori della tesi in discorso, una conferma della non cumulabilità dei diversi titoli di privazione della libertà personale dello straniero (trattenimento amministrativo finalizzato al rimpatrio e detenzione in carcere come sanzione penale per il reato di mancata ottemperanza all'ordine di allontanamento), era rinvenibile nella ricordata sentenza Kadzoev, ove la Corte di Giustizia affermava che, in quanto rientrante in un differente regime giuridico:

il periodo durante il quale una persona è stata collocata in un Centro di permanenza temporanea in forza di una decisione adottata a norma delle disposizioni nazionali e comunitarie relative ai richiedenti asilo non deve essere considerato un trattenimento ai fini dell'allontanamento ai sensi dell'art. 15 della direttiva 2008/115. (80)

Da quanto stabilito dalla Corte di Giustizia a proposito del trattenimento del richiedente asilo, veniva fatta derivare a fortiori l'impossibilità di equiparare la detenzione disposta in conseguenza di una specifica condotta cui lo Stato attribuisce rilievo penale con il trattenimento ai fini dell'allontanamento (81).

Infine, si è argomentato sulla base della sentenza della Corte costituzionale 5 luglio 2010, n. 250, la quale, prima della scadenza del termine di recepimento della direttiva (82) 2008/115/CE si era succintamente espressa a proposito del contrasto tra quest'ultima e l'articolo 10-bis T. U. Immigrazione (83), asserendo che

non deriverebbe comunque dall'introduzione del reato oggetto di scrutinio, quanto piuttosto - in ipotesi - dal mantenimento delle norme interne preesistenti che individuano nell'accompagnamento coattivo alla frontiera la modalità normale di esecuzione dei provvedimenti espulsivi (in particolare, art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998): norme diverse, dunque, da quella impugnata (84).

Dalle poche righe appena citate, facenti parte di una ben più ampia motivazione, si è fatto discendere che il contrasto con la normativa europea potrebbe al più coinvolgere la procedura amministrativa di accompagnamento alla frontiera, ma senza impedire allo Stato di sanzionare penalmente chi non adempia, dato un termine per la partenza volontaria, all'obbligo di allontanarsi.

Quella che, secondo alcuni, rappresenta l'unica reale difformità tra la normativa nazionale e la direttiva europea, ossia la durata del termine concesso per la partenza volontaria (da sette a trenta giorni secondo la direttiva e soli cinque giorni secondo la legge interna), è problema facilmente superabile, o percorrendo la strada dell'interpretazione conforme (85), ovvero ricordando che la "direttiva rimette allo Stato la possibilità di riduzione ovvero di esclusione del termine stesso" (86).

2.2 Tesi della incompatibilità T. U. Immigrazione - 'direttiva rimpatri'

Sull'opposto fronte dottrinale e giurisprudenziale vi è stato chi ha sostenuto che non potessero più essere emesse condanne per i reati di inottemperanza all'ordine di allontanamento del questore, sulla base però di diverse argomentazioni. Alcuni hanno affermato che l'incompatibilità delle fattispecie penali con la 'direttiva rimpatri' derivasse (in modo quindi indiretto) dalla difformità tra la procedura nazionale di espulsione amministrativa e quella sancita dalla direttiva; secondo altri si sarebbe trattato, invece, di un'incompatibilità diretta, ostando la direttiva alla previsione di una sanzione detentiva in conseguenza della mancata ottemperanza all'ordine di allontanamento. Prima di esaminare nel dettaglio i due percorsi argomentativi sui quali si snoda la tesi qui in esame, è necessario fare alcune premesse in ordine alla possibile incidenza delle norme europee sul sistema penale degli Stati membri (nell'assetto precedente al Trattato di Lisbona, nel quale la 'direttiva rimpatri' è stata emanata); alla portata della facoltà esclusione dall'ambito di applicazione della direttiva per le espulsioni derivanti da sanzione penale prevista dall'articolo 2, paragrafo 2, lettera b); alle considerazioni che hanno fatto ritenere la 'direttiva rimpatri' dotata di effetto diretto.

2.2.1 Competenza penale dell'Unione europea, ambito di applicazione della direttiva 2008/115/CE

Come si è detto, il Trattato di Lisbona ha attribuito alle istituzioni dell'Unione europea alcune competenze in materia penale e di polizia, stabilendo però (Protocollo n. 36 sulle Disposizioni Transitorie) che gli atti adottati precedentemente continuino ad applicarsi secondo la valenza loro attribuita prima dell'entrata in vigore del Trattato (87). Ciò però non vuol dire che gli atti emanati in ambito europeo non abbiano alcuna incidenza sul diritto penale interno degli Stati membri. La dottrina (88) distingue tre moduli attraverso cui viene perseguita la necessaria integrazione tra le fonti comunitarie e il diritto penale nazionale. Secondo un primo modulo - affidamento - si impone allo Stato membro di intervenire per prevedere determinati illeciti penali; il secondo - assimilazione - consiste nell'intervento di una fonte europea (trattato o atto derivato) al fine di tutelare interessi comunitari di illeciti già presenti nella legislazione nazionale; infine, il modulo interpretativo che, laddove vi sia contrasto tra il diritto interno e una norma di diritto comunitario (sempre che quest'ultima sia dotata di effetto diretto), consente la disapplicazione della norma interna. In particolare, il diritto europeo può comportare "una riduzione dell'area dell'illiceità penale definita dalle norme di diritto interno ovvero un'attenuazione delle sanzioni applicabili" (89), così che

nessuno discute in realtà l'immediata efficacia in bonam partem del diritto comunitario, con la conseguente disapplicazione totale o parziale delle norme penali interne eventualmente incompatibili [...] Infatti la disapplicazione della norma incriminatrice nazionale viene ammessa non soltanto nei casi di riconoscimento da parte di norme comunitarie di un diritto che possa valere come causa di giustificazione della condotta ai sensi dell'art. 51 c. p., ma anche nei casi in cui la norma comunitaria elida integralmente il divieto penalmente sanzionato dal diritto nazionale (90).

La Corte di Giustizia si è espressa più volte riconoscendo che così come il diritto comunitario può imporre agli Stati obblighi di incriminazione "allorché l'applicazione di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive da parte delle competenti autorità nazionali costituisce una misura indispensabile" (91), le fonti europee, nonostante la competenza in materia penale sia esclusiva prerogativa degli Stati membri, possono limitarne la portata a tutela delle libertà fondamentali che mirano a tutelare (92).

Per quanto riguarda l'ambito applicativo della direttiva e la facoltà di esclusione prevista dall'articolo 2, paragrafo 2 si deve innanzitutto sottolineare che essa rappresenta un'opzione che lo Stato membro deve esercitare con la legge di attuazione (93). In considerazione del dichiarato intento del Governo italiano allora in carica di tentare di eludere il contenuto della 'direttiva rimpatri' attraverso l'introduzione del reato di 'immigrazione clandestina' (94), è stato osservato che se una simile interpretazione fosse accolta, ciò significherebbe rendere pressoché nulla la portata della direttiva (95). Di conseguenza

poiché il diritto dell'Unione Europea deve essere interpretato in modo da conferire ad esso effetto utile, l'art. 2, par. 2, lett. b), deve essere interpretato in maniera restrittiva in modo da escludere quelle espulsioni che sono connesse con un reato che sanziona in via generale lo stesso comportamento che secondo la direttiva dovrebbe dar luogo ad espulsione, come l'ingresso e il soggiorno irregolare degli stranieri. Non è dunque possibile qualificare lo stesso comportamento come reato per evitare l'attuazione della direttiva (96).

La ratio dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b) viene quindi individuata nell'escludere dall'ambito di applicazione della direttiva "quei soli stranieri che oltre a trovarsi in condizione di irregolarità rispetto all'ingresso o al soggiorno in un paese membro dell'UE, abbiano anche commesso dei reati nel territorio di quel paese" (97), circostanza che giustifica la possibilità che siano previste garanzie in qualche misura minori rispetto a quelle che le direttiva riserva alle persone in mera condizione di irregolarità. Analoghe considerazioni valgono per i reati di mancata ottemperanza all'ordine di allontanamento del questore, poiché anche in questo caso lo Stato italiano potrebbe sottrarsi all'applicazione della direttiva, qualificando come reato la mancata cooperazione dello straniero alla procedura amministrativa di rimpatrio, che ricade, invece nell'ambito di operatività della direttiva (98).

L'adozione di misure che cercano di eludere l'effetto utile delle norme europee rappresenta, inoltre, una violazione del principio di leale collaborazione; in pendenza del termine previsto dalle direttive per la loro attuazione gli Stati devono non soltanto adempiere all'obbligo di recepimento, ma anche astenersi dall'adottare misure che si pongano in contrasto con la disciplina comunitaria, e certamente non devono avvalersi del termine "per pianificare una strategia per evitare l'attuazione" (99).

Come si è detto perché sia riconosciuto effetto diretto alle norme di una direttiva europea è necessario che esse siano sufficientemente chiare, precise, incondizionate e attributive di una posizione di vantaggio per l'individuo, nonché l'inutile decorso del termine per l'attuazione (100). Si è visto che l'obiezione principale al ritenere la 'direttiva rimpatri' dotata di effetto diretto risiedeva nell'ampio spazio discrezionale lasciato agli Stati membri, sia in riferimento alle scelte da operare al momento dell'attuazione mediante una normativa di dettaglio che rispetto alle facoltà derogatorie. A questo proposito occorre sottolineare che non è necessario che una direttiva sia dotata, nella sua interezza, dei requisiti predetti, essendo sufficiente che lo siano le singole disposizioni che rilevano nel caso di specie (101). In tal senso si è sempre espressa la Corte di Giustizia, la quale in una risalente pronuncia, in merito allo spazio lasciato al legislatore nazionale nella definizione della normativa di dettaglio, ha affermato che nonostante vi sia

un margine di discrezionalità più o meno ampio per l'attuazione delle sue disposizioni, non si può tuttavia negare ai singoli il diritto di far valere quelle disposizioni che, tenuto conto del loro specifico oggetto, sono atte ad essere isolate dal contesto ed applicate come tali. [...] Quest'obbligo sarebbe reso del tutto inoperante qualora fosse consentito agli Stati membri di annullare, con la loro omissione, anche gli effetti di talune disposizioni di una direttiva che sono atte a produrre effetti in forza del loro contenuto.

Non si può quindi far valere il carattere generale della direttiva di cui trattasi, o l'ampiezza del potere discrezionale ch'essa lasica d'altra parte agli Stati membri, per negare qualsiasi efficacia a quelle disposizioni che, tenuto conto del loro oggetto, sono atte ad essere utilmente fatte valere in giudizio, nonostante il fatto che la direttiva non sia stata attuata nel suo complesso (102).

Di conseguenza, in relazione alla 'direttiva rimpatri', l'idoneità a dispiegare effetti diretti nell'ordinamento interno degli Stati membri va ricercata nelle singole disposizioni in essa contenute, verificando la sussistenza dei requisiti atti a conferire carattere self-executing e la possibilità che essere determinino un "livello minimo di tutela che deve comunque essere realizzato" (103). La presenza di disposizioni che consentono agli Stati di introdurre deroghe che limitano la posizione soggettiva di vantaggio attribuita al singolo non impedisce di considerare la norma dotata di effetto diretto, poiché:

sino a che gli Stati membri non esercitino la prerogativa normativa loro riconosciuta dal diritto comunitario, si deve ritenere che il diritto riconosciuto al singolo dall'ordinamento dell'Unione europea sia esteso in tutta la sua latitudine (ciò esclude che - in simili casi - l'inerzia del legislatore possa comprimere posizioni soggettive di vantaggio riconosciute dal diritto comunitario) (104).

2.2.2 L'effetto diretto degli articoli 7 e 15 della direttiva

Ai fini del presente lavoro è utile esaminare in particolare l'attitudine a dispiegare effetti diretti delle disposizioni contenute negli articoli 7 e 15 della direttiva. Il primo disciplina la partenza volontaria che, secondo il considerando n. 10 dovrebbe essere preferita al rimpatrio forzato, nel rispetto dei principi di proporzionalità ed efficacia ai quali l'uso di misure coercitive dovrebbe essere improntato (105). Infatti, disponendo che la decisione di rimpatrio fissi per la partenza volontaria "un periodo congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni", attribuisce allo straniero sottoposto a rimpatrio una posizione soggettiva di vantaggio, nella misura in cui il singolo ha diritto a non essere allontanato coattivamente in pendenza del termine concessogli (106), potendo al contrario partire prima della scadenza (107). L'assegnazione allo straniero destinatario di una decisione di rimpatrio di un termine per adempiere spontaneamente rappresenta, nel sistema delineato dalla direttiva la modalità ordinaria di esecuzione delle espulsioni, alla quale è possibile derogare soltanto in presenza di determinate circostanze. In questo senso è evidente il carattere chiaro e preciso di un diritto - alla concessione del termine - di cui "è ben possibile comprendere con immediatezza il contenuto e perfino la latitudine temporale" (108). In base alle considerazioni fin qui svolte è possibile concludere in favore della diretta applicabilità dell'articolo 7 della 'direttiva rimpatri' nell'ordinamento italiano.

La seconda norma che interessa è l'articolo 15, relativo al trattenimento ai fini dell'allontanamento. Come si è detto (109) la direttiva prevede che gli Stati membri adottino, al fine di eseguire la decisione di rimpatrio, misure limitative della libertà personale nei confronti del cittadino di un Paese terzo interessato. Tra queste il trattenimento rappresenta l'extrema ratio, nel senso che esso può essere disposto soltanto quando nessun altra misura coercitiva (meno afflittiva) possa essere efficacemente impiegata, nel caso concreto, per assicurare il rimpatrio e/o effettuare l'allontanamento (110). La norma delinea in modo sufficientemente chiaro e preciso i presupposti in presenza dei quali è consentito disporre il trattenimento dell'interessato, realizzando la massima compressione del diritto alla libertà personale consentita dalla direttiva. Innanzitutto deve sussistere un pericolo di fuga, ovvero la circostanza che lo straniero sottoposto a rimpatrio ne eviti od ostacoli la preparazione. In secondo luogo, altre misure devono essersi rivelate (in concreto) insufficienti, e vi deve essere una stretta "connessione teleologica tra privazione della libertà e successo della procedura di rimpatrio" (111), ciò in quanto il trattenimento costituisce sempre misura strumentale all'esecuzione dell'allontanamento (112). Insieme ai presupposti, per la cui verifica è stabilito che il trattenimento sia disposto per iscritto motivato in fatto e in diritto, la direttiva delinea con chiarezza anche le scansioni e le garanzie procedurali che lo devono regolare. Pur potendo essere disposto sia da autorità giudiziarie che amministrative, in questo secondo caso gli Stati devono prevedere un riesame giudiziario che verifichi la legittimità del trattenimento, riesame che può essere previsto in modo automatico ovvero su richiesta dell'interessato, che deve essere messo a conoscenza della possibilità di proporre ricorso (113). La sussistenza dei presupposti legittimanti il trattenimento deve essere, inoltre, riesaminata ad intervalli regolari, in modo che esso cessi immediatamente qualora non sia più legittimo, ovvero nel caso in cui non esista più alcuna ragionevole prospettiva di effettivo allontanamento (114). Anche sotto il profilo della durata massima la direttiva è chiara nello stabilire che essa non può superare i 6 mesi, prorogabile di ulteriori 12 soltanto in presenza di determinati presupposti (115): mancata cooperazione dello straniero sottoposto a rimpatrio, ovvero in caso di ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione da parte di Paesi terzi.

In merito alla diretta applicabilità dell'articolo 15 si deve sottolineare che questa è stata evidentemente riconosciuta dalla Corte di Giustizia nella già citata sentenza Kadzoev (116). In quell'occasione la Corte era stata chiamata a pronunciarsi su alcuni quesiti inerenti supposti profili di contrasto tra la direttiva rimpatri e la legislazione nazionale bulgara (la quale aveva peraltro già dato attuazione alla direttiva). In particolare il giudice rimettente chiedeva alla Corte: 1) se, nel computo del periodo massimo di trattenimento, si dovesse tenere conto dei periodi già sofferti antecedentemente all'entrata in vigore della legge di recepimento, ovvero di quelli sofferti ad altro titolo (nell'ambito di una procedura di richiesta di asilo politico); 2) se in pendenza di un ricorso avverso la legittimità del trattenimento debba comunque decorrere il termine rilevante ai fini dei limiti massimi di trattenimento; 3) l'esatta interpretazione della nozione di "ragionevole prospettiva di allontanamento"; 4) l'interpretazione da dare ai paragrafi 4 e 6 dell'articolo 15, in merito alla possibilità di non disporre il rilascio dello straniero in presenza di determinate condizioni (l'interessato non dispone di validi documenti d'identità, a prescindere da durata e validità, sussistendo perciò dubbi sulla sua identità, tiene un comportamento aggressivo, non dispone di mezzi di sussistenza e non ci sono terzi che si siano impegnati a garantirla), nonché se nel disporre il rilascio debba valutarsi approfonditamente la disponibilità da parte dello straniero dei mezzi necessari per soggiornare nel territorio dello Stato membro nonché di un indirizzo presso il quale possa risiedere.

Sulla non computabilità dei periodi di privazione della libertà personale nell'ambito di una procedura di richiesta di asilo ai fini del calcolo del periodo massimo di trattenimento ai fini dell'allontanamento in quanto rientranti in distinti regimi giuridici, si è già detto (supra cap. V, § 2.3). Ciò che qui interessa è mettere in evidenza come la Corte, nel rispondere nel merito ai diversi quesiti, ha ritenuto l'articolo 15 dotato non solo di effetto diretto, ma addirittura retroattivo, laddove ha affermato che dovessero essere computati anche i periodi sofferti precedentemente all'entrata in vigore della normativa prevista dalla direttiva (117). In caso contrario non vi sarebbe conformità con la "finalità perseguita dalle citate disposizioni della direttiva che consiste nel garantire che in ogni caso, il trattenimento ai fini dell'allontanamento non ecceda i 18 mesi" (118).

Analogamente, la Corte ha stabilito il periodo durante il quale l'esecuzione dell'allontanamento è stata sospesa a causa della proposizione di un ricorso da parte dell'interessato, deve essere computato ai fini del termine massimo di trattenimento se trascorso mentre lo straniero si trovava in un centro di permanenza temporanea (119).

Secondo la Corte non sussiste più "una prospettiva ragionevole di allontanamento quando sembra poco probabile che l'interessato sia accolto da un paese terzo" (120) entro i termini massimi di trattenimento. Termini da considerarsi inderogabili anche quando l'interessato "non è in possesso di validi documenti, tiene un comportamento aggressivo e non dispone di mezzi di sussistenza propri né di un alloggio o di mezzi forniti dallo Stato membro a tale fine" (121), in quanto la direttiva 2008/115/CE non può essere posta a fondamento di un trattenimento per motivi di ordine pubblico o di sicurezza pubblica.

In conclusione, è possibile affermare che la norma di cui trattasi

attribuisce al cittadino di Paese terzo una posizione soggettiva di vantaggio (il diritto ad un determinato spazio di libertà, comprimibile solo a certe condizioni e per un tempo determinato), dando una descrizione del contenuto del diritto che risulta sufficientemente chiara e precisa e che non può dirsi certo condizionata - per il godimento del diritto nel suo contenuto incomprimibile - dalla necessità di intervento di altri atti o provvedimenti normativi o amministrativi (122).

2.2.3 Incompatibilità 'indiretta'

Alla conclusione della non applicabilità dei reati di cui all'articolo 14 comma 5-ter e quater si è pervenuti attraverso due diverse linee argomentative (123).

Secondo la prima si tratta di incompatibilità delle fattispecie penali italiane derivava dal palese contrasto tra la procedura di espulsione allora prevista dal T.U. Immigrazione rispetto a quella delineata dalla direttiva europea (124), contrasto che avrebbe reso l'ordine di allontanamento del questore illegittimo per violazione del diritto comunitario, comportando l'assoluzione dello straniero imputato per uno dei delitti di cui ai commi 5-ter e 5-quater. Si rinvia a quanto detto precedentemente

Secondo l'orientamento qui descritto

le norme del D.lgs. 286/98 che disciplinano il procedimento di espulsione (contenute in particolare negli artt. 13 e 14 T.U. 286/98) sono in radicale ed insanabile contrasto con le norme self executing della Direttiva e non debbono quindi essere applicate, con conseguenti effetti caducatori sul provvedimento amministrativo emanato nell'esercizio della potestà amministrativa attribuita da tali norme, rimanendo esso del tutto sprovvisto di base legale (c.d. illegittimità comunitaria indiretta o derivata del provvedimento amministrativo) (125).

In altri termini, una volta riconosciuto l'effetto diretto delle norme della direttiva, in base al principio di preminenza (primauté) (126) del diritto europeo si impone la conseguente disapplicazione (o in-applicazione) delle norme interne incompatibili, la quale spetta in via esclusiva, per consolidata giurisprudenza, al giudice nazionale (127). All'obiezione secondo cui per gli ordini di allontanamento emanati prima della scadenza del termine per il recepimento della 'direttiva rimpatri', quindi da considerarsi adottati in maniera completamente legittima, la sopravvenienza della norma europea non sia rilevante in virtù del principio generale del tempus regit actum (128) che si applica a tutti gli atti amministrativi, è stato replicato (129) facendo ancora una volta riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia. La Corte, nella sentenza 29 aprile 1999, C-224/97, (Ciola), ha affermato il principio secondo cui l'esistenza della tutela accordata ai singoli da norme di diritto comunitario dotate di efficacia diretta "non può dipendere dalla natura della disposizione di diritto interno contrastante con il diritto comunitario" (130). Nell'ottica di garantire l'applicazione del diritto europeo, la Corte ha stabilito che non solo le norme interne, ma anche i provvedimenti amministrativi che siano in contrasto con la norma europea devono essere "necessariamente disapplicati nel giudizio sulla legittimità della sanzione penale irrogata per l'inosservanza di tale norma; ciò anche quando essi siano stati adottati anteriormente alla vigenza della norma europea" (131).

Inoltre, sul versante del diritto interno, si deve notare che il consolidamento degli effetti amministrativi interni dell'atto non implica la sua definitività ad ogni altro fine, in particolare ai fini della valutazione della sussistenza del reato il provvedimento amministrativo continua a esplicare effetti, il che impone che il giudizio sulla compatibilità della norma nazionale con quella europea debba avvenire al momento del processo penale (132).

Il venir meno della base legale del provvedimento amministrativo, in questo caso l'ordine di allontanamento del questore, fa sì che venga a mancare uno dei presupposti delle fattispecie incriminatrici di cui ai commi 5-ter e 5-quater dell'articolo 14 T. U. Immigrazione (133). Infatti

la disciplina che regola le modalità di espulsione permea di sé completamente le due ipotesi di reato previste dall'art. 14 comma 5 ter e quater e va considerata un elemento normativo della fattispecie, suscettibile - se più favorevole - di una applicazione retroattiva (cfr. in tema, Cass. Pen. Un., 27.9.2007, n. 2451) e non un mero presupposto di fatto per l'integrazione del delitto (134).

La pronuncia della Corte di Cassazione cui fa riferimento la citata sentenza del Tribunale di Torino riguardava l'applicabilità del reato di inottemperanza all'ordine di allontanamento ai cittadini della Romania in seguito all'adesione di quest'ultima all'Unione europea. In quel caso, restando invariato il disvalore penale della fattispecie e quindi la punibilità del fatto, a cambiare era la mera applicabilità soggettiva relativamente ad un determinato gruppo di individui, i cittadini romeni, non più nella condizione di 'cittadini extracomunitari' presupposto della norma. Differentemente, con l'entrata in vigore della direttiva 2008/115/CE si è determinato un "radicale stravolgimento dell'assetto normativo, tale da far venir meno l'offensività della condotta di inottemperanza all'ordine del Questore emesso sulla base di una normativa ormai superata ed incompatibile con il diritto comunitario" (135). In definitiva, l'adesione alla tesi appena esposta impone al giudice penale di applicare le norme della direttiva in luogo di quelle interne incompatibili con le prime, addivenendo alla disapplicazione dell'ordine di allontanamento illegittimo (per violazione delle norme dell'Unione europea) secondo quanto previsto dall'articolo 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E), e conseguente assoluzione dell'imputato perché il fatto non sussiste (136).

2.2.4 Incompatibilità 'diretta'

Il secondo, e più radicale, filone argomentativo, riconducibile principalmente ai due studiosi che per primi hanno acceso il dibattito dottrinale sull'incidenza della direttiva europea sul diritto interno, Francesco Viganò e Luca Masera. Gli Autori hanno sostenuto che l'incompatibilità tra la normativa interna e quella europea fosse da rinvenirsi nel contrasto tra l'intero assetto sanzionatorio previsto dal diritto interno e gli obiettivi perseguiti dalla direttiva (137), la quale, essendo finalizzata anche a garantire i diritti fondamentali degli stranieri sottoposti a procedura di rimpatrio avrebbe vietato di sanzionare penalmente l'inottemperanza all'ordine di allontanamento del questore, o quantomeno di farlo attraverso una pena detentiva. La tesi muoveva dalla considerazione che la direttiva disciplina in modo chiaro e puntuale i presupposti, le modalità esecutive e i termini massimi di durata, della privazione della libertà personale che poteva essere imposta straniero nell'ottica di eseguire l'allontanamento. I sostenitori di questo orientamento facevano leva in particolare sulle finalità perseguite dal legislatore europeo attraverso la 'direttiva rimpatri': non soltanto l'istituzione di una politica comune efficace in materia di rimpatri, ma anche fornire la garanzia di uno standard minimo di tutela dei diritti fondamentali delle persone sottoposte a rimpatrio. Si è sostenuto che la direttiva intendesse 'cristallizzare' il bilanciamento tra l'obiettivo di garantire il rimpatrio dell'immigrato irregolare e le esigenze di rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini non comunitari, diritti la cui tutela è assunta dalla direttiva "quale proprio scopo autonomo" insieme all'ordinata gestione dei flussi migratori (138).

I dati testuali che mettono in evidenza l'obiettivo della direttiva di approntare delle garanzie minime a tutela dei diritti fondamentali dei cittadini di paesi terzi sono molteplici, a partire dal considerando n. 2 che afferma che le persone devono essere rimpatriate "in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità". La procedura di rimpatrio deve essere "equa e trasparente" (139), dovendosi "stabilire garanzie giuridiche minime comuni sulle decisioni connesse al rimpatrio per l'efficace protezione delle persone interessate" (140). Inoltre,

che lo scopo almeno concorrente della direttiva sia proprio quello di tutelare lo straniero nell'ambito delle procedure di rimpatrio emerge d'altronde evidente dall'art. 4, laddove si dispone che la direttiva lascia impregiudicate le "diposizioni più favorevoli" (per lo straniero) già previste dagli accordi internazionali in vigore nonché dall'acquis comunitario in materia di immigrazione ed asilo, e laddove - soprattutto - si precisa che resta ferma la "facoltà degli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli alle persone cui si applica, purché compatibili con le norme in essa stabilite". La direttiva stabilisce insomma standard minimi di tutela dello straniero, cui ciascuno Stato può derogare esclusivamente in melius (141).

Le norme della direttiva su cui si incentra la tesi sostenuta da Viganò sono però quelle relative al trattenimento dello straniero in attesa di espulsione: gli articoli 15 e 16 che, secondo l'Autore, sono - soprattutto la prima - espressione del delicato bilanciamento faticosamente raggiunto in sede europea tra i predetti interessi contrapposti (142). Ripercorrendo brevemente quanto già esposto in merito alla disciplina del trattenimento ai fini dell'allontanamento nella direttiva (143) e nell'allora vigente T. U. Immigrazione (144), è possibile mettere in evidenza i principali punti di contrasto.

La prima, e più evidente, divergenza riguarda, come già si è detto (145), l'assenza nella disciplina italiana della previsione di quelle "altre misure sufficienti ma meno coercitive" che siano potenzialmente idonee nel caso concreto a garantire l'esecuzione del rimpatrio (146). Il trattenimento è quindi concepito come ultima ratio, alla quale ricorrere nel solo caso in cui le 'altre misure' si rivelino concretamente non efficaci. Diversamente, il trattenimento era l'unica misura coercitiva prevista nel sistema italiano precedente la direttiva. In secondo luogo, i presupposti che legittimano il trattenimento indicati dalla direttiva (147) sono innegabilmente diversi da quelli previsti dal T. U. Immigrazione (148). Evidentemente, è cosa ben diversa ostacolare o evitare la preparazione del rimpatrio dall'accertamento in ordine alla nazionalità o identità, ovvero dall'indisponibilità di un vettore: nel primo caso si è di fronte ad una condotta attiva dello straniero finalizzata ad eludere la decisione di rimpatrio; nel secondo può trattarsi, al più, di una 'resistenza' da parte dell'interessato; mentre l'assenza di un vettore idoneo non dipende in alcun modo dalla volontà del trattenuto (149).

Com'è noto, l'impossibilità di trattenere lo straniero ovvero l'infruttuosa scadenza dei termini massimi stabiliti dalla legge, comportava l'emissione dell'ordine di allontanamento nel termine di cinque giorni da parte del questore. I reati di mancata ottemperanza al suddetto ordine, posti a rafforzamento dell'effettività del meccanismo espulsivo, si inseriscono a pieno titolo nel procedimento amministrativo di espulsione (150).

Pur riconoscendo che la 'direttiva rimpatri' non si occupa delle privazioni della libertà personale in conseguenza di una sentenza penale e che essa non esclude, esplicitamente o implicitamente, la possibilità che gli Stati membri facciano ricorso allo strumento penale in materia di ingresso o permanenza irregolare, ad essere posta in discussione era la possibilità che il legislatore nazionale prevedesse come reato, sanzionato con una pena detentiva, quindi attraverso una privazione della libertà personale, qualitativamente eterogenea e temporalmente più estesa, la mera inottemperanza all'ordine di lasciare il territorio nazionale (151). Il punto cruciale sta, secondo questa ricostruzione, nel fatto che

le incriminazioni di cui ai co. 5-ter e quater dell'art. 14 d.lgs. 286/98 configurano un vero e proprio intervento incidentale del diritto penale nell'ambito di una procedura di espulsione amministrativa, in chiave sanzionatoria rispetto all'inosservanza di una decisione (amministrativa) di rimpatrio; e un intervento idoneo a produrre consistenti privazioni della libertà personale (in conseguenza della sequenza arresto/misura cautelare/reclusione) diverse, e comunque ulteriori, rispetto alla detenzione amministrativa ("trattenimento") disciplinata dalla direttiva UE (152).

Sul versante della durata della privazione della libertà personale, poiché la pena edittale prevista per i reati di mancata ottemperanza va da un minimo di un anno fino ad un massimo di quattro (nell'ipotesi di cui al comma 5-ter, cinque per quella del comma 5-quater), è evidente che la sanzione che può essere applicata allo straniero, nel mezzo della procedura di espulsione, comporta la detenzioni per periodi astrattamente molto più elevati del limite massimo imposto dalla direttiva alla durata del trattenimento (18 mesi). Inoltre, la reiterabilità degli ordini di allontanamento, e quindi delle condanne penali per la violazione degli stessi (153), nonché la possibilità che i periodi di detenzione in carcere si alternino a quelli di trattenimento nei CIE, rende la privazione della libertà personale nel corso di una procedura di espulsione potenzialmente illimitata (154).

Al di là della durata della detenzione, la compressione della libertà personale realizzata attraverso la condanna per i delitti in esame, si rivela "fortemente distonica rispetto agli standard imposti dalla direttiva" (155). Innanzitutto sul versante della stretta correlazione imposta dalla direttiva tra il trattenimento e l'esecuzione del rimpatrio, resa evidente dalla previsione che la misura cessi, anche prima del termine massimo di durata, qualora le condizioni che l'hanno legittimata vengano a mancare, ma soprattutto nel caso in cui non risulti esservi alcuna ragionevole prospettiva di realizzare l'obiettivo dell'allontanamento dello straniero trattenuto, che deve di conseguenza essere immediatamente liberato (156). Niente del genere è, ovviamente, possibile per la detenzione inflitta per i delitti di inottemperanza, laddove la pena è predeterminata dal giudice al momento della condanna; non vi è alcuna correlazione funzionale rispetto al rimpatrio, di cui peraltro nessuno si occupa più in sede amministrativa durante il periodo di detenzione (157) ed evidentemente non è possibile che sia fatta cessare qualora risulti comunque impossibile procedere all'allontanamento coattivo (158).

Una delle obiezioni mosse nei confronti della tesi qui esposta è che vi è reciproca autonomia, per natura e funzioni, tra trattenimento e pena detentiva, di conseguenza i periodi scontati per l'una o l'altra causa non sarebbero sommabili al fine di verifica della compatibilità della direttiva. La replica parte dalla considerazione che è certamente vero che la detenzione conseguente a sanzione penale è un alius rispetto al trattenimento ai fini dell'allontanamento, ma non va dimenticata la particolarità dei delitti di inosservanza all'ordine di allontanamento. Essi sono stati pensati e progettati dal legislatore italiano "al solo scopo di assicurare l'enforcement di una procedura di espulsione", venendo ad essere utilizzati come una "misura funzionalmente equivalente" (159) al trattenimento; la condotta punita consiste unicamente nella mancata partenza nel termine assegnato, senza alcuna qualificazione ulteriore, ossia la medesima situazione - la mancata cooperazione al rimpatrio - per la quale la direttiva prevede come conseguenza la possibilità per lo Stato di disporre il trattenimento (160).

Il diritto europeo, così come i giudici europei, guarda non tanto all'inquadramento formale degli istituti, quanto piuttosto alla loro sostanza e funzione reale, inoltre, la direttiva si occupa anche di "stabilire quali possano essere le conseguenze incidenti sulla libertà personale che possono legittimamente derivare dalla mancata partenza volontaria dello straniero". Di conseguenza ritenere compatibili con il sistema di rimpatrio delineato dalla direttiva i reati che sanzionano con una pena detentiva il mancato allontanamento dello straniero nel termine assegnatogli, implica

una imprudente violazione dell'obbligo di fedeltà comunitaria che incombe sugli Stati membri dell'UE, ed assieme finisce per pregiudicare l'effetto utile (in termini di tutela dei diritti fondamentali dello straniero sottoposto a procedura di espulsione) a cui mira la direttiva, consentendo nei fatti di prolungare indefinitamente (attraverso il meccanismo di alternanza tra detenzione amministrativa e reclusione sopra descritto) la privazione della libertà personale dello straniero in attesa dell'esecuzione dell'espulsione e frustrando, così, la ratio di tutela di quel diritto fondamentale di cui la direttiva intende invece farsi carico (161).

La conclusione tratta a seguito delle argomentazioni qui descritte è stata quella della necessaria disapplicazione delle disposizioni di cui ai commi 5-ter e 5-quater per il loro insanabile contrasto con le previsioni della direttiva (162); operazione che grava sul giudice ordinario in quanto primo interprete del diritto dell'Unione europea, il quale dovrà conseguentemente assolvere l'imputato perché il fatto non è (più) previsto dalla legge come reato (163).

Come si dirà, quella appena esposta è la tesi che solo apparentemente è risultata essere quella vincente (164).

3. La sentenza della Corte di Giustizia nel caso 'El Dridi'

L'ampio dibattito sviluppatosi in dottrina e giurisprudenza in seguito all'inutile scadenza del termine fissato per il recepimento della direttiva 2008/115/CE, nel corso del quale si sono viste confrontarsi le posizioni più disparate: alcuni hanno sostenuto la piena compatibilità tra le norme europee e il sistema espulsivo italiano; altri hanno sollecitato l'intervento della Corte costituzionale, sostenendo il contrasto tra le due fonti, ma non riconoscendo alla direttiva effetto diretto; altri ancora, anche se in base a percorsi argomentativi diversi, hanno affermato la radicale incompatibilità tra le norme della direttiva e quelle del T. U. Immigrazione, con la conseguenza del venir meno dei reati di mancata ottemperanza all'ordine del questore.

In questo contesto, come era prevedibile, è stato ritenuto opportuno, in particolare dalla Corte d'Appello di Trento, rimettere la questione alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, attraverso la formulazione di un ricorso in via pregiudiziale ai sensi dell'articolo 267 del TFUE (165).

3.1 I termini essenziali della questione sottoposta alla Corte e la presa di posizione dell'avvocato generale Mazàk

Nel corso di un processo penale per violazione dell'articolo 14, comma 5-ter, la Corte d'Appello di Trento, dovendo prendere in considerazione gli effetti sulla norma in questione della sopravvenuta disciplina europea, ha ritenuto sospendere il procedimento e sottoporre questione interpretativa alla Corte di Giustizia. Trovandosi l'imputato in stato di custodia cautelare in carcere per la causa in corso, la Corte ha ritenuto di chiedere che si procedesse secondo la procedura d'urgenza prevista dall'articolo 104-bis del regolamento di procedura della Corte di Giustizia.

Nell'ordinanza di remissione i giudici si interrogavano sulla compatibilità tra la fattispecie incriminatrice interna e gli articoli 15 e 16 della direttiva, i quali ritengono essere dotati di effetto diretto; ciò che si sono chiesti è se, posto che la direttiva non vieta espressamente di sanzionare penalmente le violazioni alle disposizioni connesse al rimpatrio, sia possibile che ciò avvenga non al termine, ma durante la procedura di espulsione (166).

In definitiva, la domanda posta alla Corte di Giustizia era se,

alla luce dei principi di leale collaborazione all'effetto utile di conseguimento degli scopi della direttiva e di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza della pena, gli artt. 15 e 16 della direttiva 2008/115/CE ostino:

  1. alla possibilità che venga sanzionata penalmente la violazione di un passaggio intermedio della procedura amministrativa di rimpatrio, prima che essa sia completata con il ricorso al massimo rigore coercitivo ancora possibile amministrativamente;
  2. alla possibilità che venga punita con la reclusione sino a quattro anni la mera mancata cooperazione dell'interessato alla procedura di espulsione, ed in particolare l'ipotesi d inosservanza al primo ordine di allontanamento emanato dall'autorità amministrativa (167).

Davanti alla Corte di Giustizia la difesa della parte privata è stata assunta dall'avvocato Luca Masera uno dei fautori, insieme al professor Francesco Viganò della tesi precedentemente esposta dell'incompatibilità diretta e immediata tra i reati previsti dal T. U. Immigrazione e la direttiva, alla quale è sufficiente rinviare.

È necessario, invece, soffermarsi sulla presa di posizione dell'avvocato generale Mazàk, alla quale la Corte ha dimostrato di dare grande peso, richiamandola più volte nella propria decisione. Dopo una ricognizione dei tratti essenziali della direttiva e del T. U. Immigrazione, l'avvocato Mazàk ha in primo luogo replicato ad una delle obiezioni mosse dal Governo italiano, ossia quella inerente l'applicabilità alla situazione in cui si trova l'imputato della 'direttiva rimpatri', tenendo conto della deroga di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera b). Sul punto l'avvocato generale si è limitato a sottolineare che, pur non essendo competenza della Corte di Giustizia interpretare il diritto nazionale, è evidente che la sanzione penale prevista dall'articolo 14, comma 5-ter non è la causa dell'obbligo di rimpatrio, ma al contrario la conseguenza della sua violazione, non potendo quindi rientrare nella sfera di applicazione dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b) (168). Ciò anche al di là della considerazione che

lo Stato membro che non ha adottato le disposizioni di trasposizione di una direttiva [...] non può avvalersi di un diritto che deriva da tale direttiva, nel caso specifico il diritto dello Stato membro di limitare il campo di applicazione rationae personae della direttiva. Se si ammettesse il contrario, ciò significherebbe che lo Stato membro può beneficiare di diritti derivanti dalla direttiva senza adempiere agli obblighi corrispondenti, in particolare all'obbligo di adottare le diposizioni necessarie per la sua trasposizione (169).

In secondo luogo, rilevando che la Repubblica italiana ha ammesso di non aver adottato, nel termine prescritto, le disposizioni necessarie a dare esecuzione agli obblighi imposti dalla direttiva, l'avvocato Mazàk ha osservato che la disciplina dell'espulsione nel sistema italiano diverge radicalmente da quella prevista dalla norma europea. Egli ha però sottolineato che le due normative hanno un punto in comune: "la possibilità che il cittadino di un paese terzo che soggiorna irregolarmente nel territorio di uno Stato membro non ottemperi all'ordine dell'autorità pubblica di lasciare il territorio nazionale nel termine prescrittogli". A divergere sono le conseguenze di tale comportamento: nel sistema delineato dalla direttiva esso può determinare il trattenimento dell'inottemperante, salvo sia possibile adottare efficacemente altre misure meno afflittive; secondo il T. U. Immigrazione, lo stesso è considerato reato punibile con la reclusione da uno a quattro anni.

La questione da porsi, secondo l'Avvocato Generale, era se il delitto di cui all'articolo 14, comma 5-ter, T. U. Immigrazione, potesse essere considerato una delle misure adottabili dallo Stato conseguire l'obiettivo perseguito dalla direttiva di dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, ovvero, al contrario, "come una misura tale da compromettere l'esecuzione di detta decisione" (170). Sul punto l'Avvocato conclude affermando di trovarsi assolutamente d'accordo con quanto detto nella memoria scritta dalla Repubblica italiana a proposito della sanzione inflitta per la violazione dell'ordine dell'autorità, non si tratta di "una misura coercitiva destinata a dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, ma costituisce una reazione repressiva dell'ordinamento giuridico". Coerentemente è da escludere che la stessa possa rientrare tra le misure previste dall'articolo 8 della direttiva adottabili per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio (171). Al contrario,

la pena della reclusione prevista in caso di inottemperanza ad un ordine dell'autorità pubblica di lasciare il territorio nazionale nel termine prescritto impedisce legittimamente, anche se solo temporaneamente, di eseguire tale decisione di rimpatrio. Ciò non è certamente compatibile con la politica di rimpatrio efficace prevista dalla direttiva 2008/115. Infatti, la normativa che prevede la pena in esame priva l'art. 8, n. 1 della direttiva 2008/115, letto in combinato disposto con l'art. 15 di detta direttiva, del suo effetto utile.

Il rilievo appena esposto è valido non solo rispetto alla pena della reclusione prevista in caso di inottemperanza ad un ordine dell'autorità pubblica di lasciare il territorio nazionale nel termine prescritto, ma anche rispetto alla criminalizzazione vera e propria del mancato rispetto di siffatto ordine (172).

Applicando una sanzione penale nella stessa situazione di fatto in cui dovrebbero applicarsi le norme della direttiva, conclude l'avvocato Mazàk, lo Stato italiano tutela l'autorità dei pubblici poteri a scapito di una politica di rimpatrio efficace, privando di effetto utile l'articolo 15 della direttiva. Conseguentemente

è giocoforza concludere che la direttiva 2008/115, e in particolare l'art. 8, n. 1, della medesima, letto in combinato disposto con l'art. 15, osta a una normativa nazionale che prevede che l'inottemperanza ad un ordine dell'autorità pubblica a lasciare il territorio nazionale nel termine prescritto costituisce un reato punito con la pena della reclusione fino a quattro anni, poiché tale normativa priva gli articoli citati della direttiva del loro effetto utile (173).

Sull'argomento secondo cui la legislazione penale rientra nella competenza esclusiva degli Stati membri, l'Avvocato Generale si è limitato a un richiamo della costante giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui tale competenza è limitata nella misura in cui deve essere esercitata in modo da garantire l'adempimento degli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione e non comprometterne l'effetto utile (174).

3.2 La sentenza della Corte di Giustizia

Avendo accolto, per la prima volta nell'ambito di una vicenda relativa a una persona detenuta (175), la richiesta formulata dalla Corte d'Appello di Trento di procedere mediante il procedimento d'urgenza di (ex articolo 104-ter del regolamento di procedura della Corte), la Corte di Giustizia è rapidamente pervenuta ad una decisione con sentenza 28 aprile 2011, C - 61/11 (El Dridi).

Sulla questione dell'idoneità delle norme della direttiva a produrre effetti diretti nell'ordinamento degli Stati membri la Corte spende poche parole eliminando ogni dubbio, affermando che quando un diritto suscettibile di essere applicato dai giudici la norma produce effetti diretti (176), come nel caso degli articoli 15 e 16 della direttiva (177).

In seguito ad una lunga disamina delle normative, europea e italiana, in supposto contrasto, la Corte si sofferma sugli aspetti essenziali della direttiva, presi in considerazione per valutare la compatibilità dei reati di inottemperanza previsti dal diritto interno italiano. In particolare, la Corte mette in evidenza la finalità perseguita dalla direttiva di assicurare l'efficacia delle procedure di rimpatrio, imponendo agli Stati (articolo 8, paragrafi da 1 a 4) l'obbligo di procedere all'allontanamento, adottando tutte le misure necessarie, ivi comprese quelle coercitive. Secondo la Corte, che fa rifermento anche alla giurisprudenza della CEDU, però, queste ultime devono rispettare il principio di proporzionalità, il quale impone che "il trattenimento di una persona sottoposta a procedura di espulsione o di estradizione non si protragga oltre un termine ragionevole, vale a dire non superi il tempo necessario per raggiungere lo scopo perseguito" (178). Inoltre, sottolinea la Corte,

la successione delle fasi della procedura di rimpatrio stabilita dalla direttiva 2008/115 corrisponde a una gradazione delle misure da prendere per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, gradazione che va dalla misura meno restrittiva per la libertà dell'interessato - la concessione di un termine per la partenza volontaria - alla misura che maggiormente limita la sua libertà - il trattenimento in un apposito centro -, fermo restando in tutte le fasi della procedura l'obbligo di osservare il principio di proporzionalità (179).

Si afferma quindi la notevole divergenza tra la normativa italiana, che, ad esempio non prevede alcun termine per la partenza volontaria, e quella dettata dalla direttiva. Allo stesso modo della presa di posizione dell'Avvocato Generale Mazàk, la Corte si sofferma solo brevemente sulla questione della competenza in materia penale dell'Unione europea, ribadendo il principio degli effetti indiretti del diritto UE (180): gli Stati nell'esercitare le proprie competenze esclusive, tra le quali certamente rientra la legislazione penale e di procedura penale, devono rispettare il diritto dell'Unione, adottando ogni misura necessaria a dare esecuzione agli obblighi che ne derivano e astenendosi dall'adottare misure che mettano in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione (181).

In merito alle misure coercitive che gli Stati possono adottare a norma del paragrafo 4 dell'articolo 8, fra le quali la Corte ricomprende l'accompagnamento coattivo alla frontiera previsto dall'articolo 13, comma 4 T. U. Immigrazione, la direttiva non impedisce agli Stati di adottare tutte le misure, anche penali atte a dissuadere i cittadini di paesi terzi a soggiornare illegalmente nel territorio di detti Stati, ma ciò a condizione che le predette misure coercitive "non abbiano consentito di raggiungere il risultato perseguito, ossia l'allontanamento" dello straniero (182). Eventuali sanzioni penali, quindi, non possono intervenire nel corso della procedura di rimpatrio, ma soltanto, con 'finalità dissuasiva', al termine della stessa nei confronti di coloro che non sono ancora stati allontanati. Dovendo gli Stati continuare a perseguire l'obiettivo (primario) dell'allontanamento, è necessario che le sanzioni siano funzionali allo scopo di eseguire la decisione di rimpatrio che continua a produrre i suoi effetti (183).

La Corte conclude affermando che una pena detentiva come quella prevista dai commi 5-ter e 5-quater dell'articolo 14 T. U. Immigrazione

segnatamente in ragione delle sue condizioni e modalità di applicazione rischia di compromettere la realizzazione dell'obiettivo perseguito dalla direttiva, ossia l'instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare. In particolare, come ha rilevato l'avvocato generale al paragrafo 42 della sua presa di posizione, una normativa nazionale quale quella oggetto del procedimento principale più ostacolare l'applicazione delle misure di cui all'art. 8, n. 1, della direttiva 2008/115 e ritardare l'esecuzione della decisione di rimpatrio (184).

In questo ultimo passaggio della sentenza 'El Dridi' si manifesta chiaramente il ragionamento svolto dalla Corte per pervenire alla disapplicazione delle norme interne incompatibili, ragionamento ben diverso da quello prospettato da parte della dottrina e della giurisprudenza italiane. Infatti, pur facendo derivare l'incompatibilità dai principi di effetto utile e di leale collaborazione, come prospettato anche nel dibattito interno, la Corte ha fatto riferimento a questi principi non tanto in relazione alla tutela dei diritti fondamentali delle persone sottoposte a rimpatrio, quanto piuttosto rispetto al conseguimento dell'obiettivo della direttiva: l'efficace allontanamento di coloro che soggiornano irregolarmente (185).

A fronte di interpretazioni interne che valorizzavano il mancato rispetto in punto di bilanciamento fissato in sede comunitaria tra diritti di libertà del cittadino di Paese terzo e le contrapposte esigenze statuali, la Corte di Lussemburgo sancisce che l'incompatibilità tra legislazione italiana e diritto comunitario è dovuta non già alla pretermissione di istanze di libertà dell'individuo interessato a una procedura di espulsione, quanto piuttosto alle stesse esigenze (statuali e comunitarie) di efficacia dell'azione di allontanamento (186).

In definitiva, la Corte non impone agli Stati un divieto di criminalizzazione in sé e per sé, ma soltanto nella misura in cui questa ostacoli il conseguimento degli obiettivi posti dalla politica comunitaria.

4. Le conseguenze della sentenza 'El Dridi' nell'ordinamento italiano

La sentenza della Corte di Giustizia, pronuncia pregiudiziale emessa ai sensi dell'articolo 267 del TFUE, ha una portata generale, non vincolando soltanto il giudice a quo, ma tutti i giudici nazionali e gli organi amministrativi interni.

Occorre esaminare gli effetti che la sentenza 'El Dridi' ha comportato nei confronti dei processi in corso e delle sentenze passate in giudicato per i delitti di inottemperanza, nonché quelli dispiegati in campo amministrativo rispetto all'ostatività della condanna per il reato in discorso all'accoglimento dell'istanza di sanatoria da parte degli stranieri impiegati in modo irregolare.

La prima, e più immediata conseguenza, è l'obbligo per i giudici penali di disapplicare le norme incriminatrici che si pongono in contrasto con la direttiva 2008/115/CE, in particolare i reati di cui ai commi 5-ter e 5-quater del T. U. Immigrazione (187). In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, che il giorno successivo alla sentenza della Corte di Giustizia (188), ha disposto l'annullamento senza rinvio delle sentenze impugnate perché "il fatto non è previsto dalla legge come reato", formula tipica dei casi di abolitio criminis (la Corte fa infatti riferimento alla disciplina dell'articolo 2, comma 2 del codice penale) (189). Attraverso l'esplicito riferimento all'articolo 2, comma 2 del codice penale (190), la Corte di Cassazione sostanzialmente equipara la disapplicazione per contrasto con la normativa comunitaria ad una vera e propria abrogazione della norma incriminatrice (191). Secondo altra ricostruzione, pur ammettendo incontestabilmente che "il fatto non è più previsto dalla legge come reato", si ritiene che ciò non discenda dal fatto che sia intervenuta abolitio criminis, bensì dallo 'stato di quiescenza' della norma incriminatrice, divenuta non più applicabile (192). Di conseguenza il principio applicabile nei procedimenti concernenti i reati dichiarati incompatibili con la 'direttiva rimpatri' a doversi applicare sarebbe quello di retroattività della lex mitior (193).

Sia che si applichi il principio di cui all'articolo 2, comma 2 del codice penali, che quello della retroattività della lex mitior, per quel che riguarda le conseguenze della sentenza El Dridi sui processi pendenti si devono distinguere due ipotesi: il caso in cui la condotta storica sia precedente al termine fissato per il recepimento della direttiva da quello in cui la condotta sia iniziata successivamente a detto termine. Qualora la condotta di inottemperanza abbia avuto inizio dopo il 24 dicembre 2010, l'assoluzione deve aver luogo "perché il fatto non sussiste"; nei casi, certamente la maggioranza, nei quali i fatti di inottemperanza sono iniziati precedentemente al 24 dicembre 2010, la formula più corretta appare quella adottata dalla Corte di Cassazione, ossia l'assoluzione "perché il fatto non è (più) previsto dalla legge come reato" (194).

In merito alle sentenze di condanna passate in giudicato, occorre soffermarsi sulla questione dell'applicabilità dell'articolo 673 del codice di procedura penale, che disciplina la revoca delle sentenze passate in giudicato nei casi di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, all'ipotesi di sopravvenuta incompatibilità della norma incriminatrice con il diritto dell'Unione europea. Per risolvere il problema sono state prospettate due ipotesi: sollevare questione di legittimità costituzionale dell'articolo 673 asserendo il contrasto con gli articoli 3 e 117, comma 1, relativamente al principio di retroattività della lex mitior di cui all'articolo 7 della CEDU, ovvero applicarlo analogicamente all'ipotesi qui considerata (195). Nel primo caso, considerando l'articolo 673 disposizione di natura eccezionale rispetto al generale principio di intangibilità del giudicato, quindi insuscettibile di applicazione analogica, si renderebbe necessario sollevare questione di legittimità costituzionale.

Nel secondo caso, si considera l'articolo 673 espressione di

un principio generale dell'ordinamento interno oltre che della stessa Unione europea, quale il principio di retroattività della norma più favorevole, che nella valutazione della Corte EDU addirittura assurge a vero e proprio diritto fondamentale dell'individuo sulla base dell'art. 7 CEDU, di fronte al quale non potranno che cedere le esigenze di tutela della certezza dei rapporti giuridici sottese all'intangibilità del giudicato (196).

Di conseguenza, rilevando identità di ratio tra le ipotesi di abrogazione e di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice - evitare l'esecuzione di una pena per un fatto divenuto penalmente irrilevante - e quella sopravvenuta illegittimità comunitaria, si considera l'articolo 673 applicabile in via analogica a questa seconda ipotesi (197).

La nota della Procura Generale presso la Corte Suprema di Cassazione del 3 maggio 2011, rivolta ai Procuratori generali presso le Corti d'Appello, in cui si sollecitano quest'ultime ad attivare la procedura prevista dagli articoli 665 e 673 del codice di procedura penale (198), mostra chiaramente l'adesione della Corte alla seconda prospettazione.

Infine si deve sottolineare la posizione espressa dal Consiglio di Stato con sentenza 10 maggio 2011, n. 7, in merito al ricorso avverso il rigetto di un'istanza di regolarizzazione in base all'articolo 1-ter, comma 13, lettera c), della legge 3 agosto 2009, n. 102. Il Consiglio di Stato sostiene che, essendo intervenuta abolizione del reato di cui all'articolo 14, comma 5-ter (ostativo all'accoglimento dell'istanza di regolarizzazione), avente, in base all'articolo 2, comma 2 del codice penale efficacia retroattiva, si debba ritenere che tale retroattività riverberi i "propri effetti sui provvedimenti negativi dell'emersione dal lavoro irregolare, adottati sul presupposto della condanna per un fatto che non è più previsto come reato" (199).

Note

1. Adeguamento avvenuto dapprima con decreto - legge 23 giugno 2011, n. 89, recante disposizioni urgenti per il completamento dell'attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari, in seguito convertito con modificazioni nella legge 2 agosto 2011, n. 129.

2. Tra gli altri: T. Epidendio, Direttiva rimpatri e art. 14 t. u. immigrazione - Intervento nel dibattito, Diritto penale contemporaneo; Procura Generale di Torino, PG Maddalena, ricorso per saltum del 09.02.2011; Infra cap. V, § 2.1.

3. F. Focardi, Ancora sull'impatto della direttiva comunitaria 2008/115/CE sui reati di cui all'artt. 14 co. 5-ter e 5-quater d.lgs. 286/98, Diritto penale contemporaneo; Infra cap. V, § 2.1.2.

4. Per la disamina delle tesi che sostengono l'incompatibilità tra la direttiva e il previgente T.U. Immigrazione si veda Infra cap. V, § 2.2.

5. Posizione espressa soprattutto da: F. Viganò, L. Masera, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, cit.; Infra cap. V, § 2.2.3.

6. Ad esempio: Tribunale di Cagliari, sentenza, 14 gennaio 2011, n. 329/11, giudice Renoldi; Tribunale di Torino, V sezione penale, sentenza 8 gennaio 2011, giudice Salvadori; Infra cap. V, § 2.2.2.

7. G. Tesauro, Diritto comunitario, IV edizione, Padova, Cedam, 2005, p. 140.

8. Ivi., p. 141.

9. Ai Commissari del Governo per le Province Autonome di Trento e Bolzano e al Presidente della Commissione di Coordinamento per la Regione Val d'Aosta.

10. Circolare Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Ministero dell'Interno, Prot. 400/B/2010, p. 1.

11. Ivi.

12. G. Savio, Verso una rivoluzione copernicana in materia di espulsioni? La direttiva 2008/115/CE (direttiva rimpatri) e le sue ricadute sull'attuale normativa italiana in materia di espulsioni e trattenimento nei C.I.E., Seminario di studi ASGI - MD, Verona, 15 gennaio 2011, in ASGI, p. 17.

13. Circolare Prot. 400/B/2010, cit.

14. G. Savio, Verso una rivoluzione copernicana in materia di espulsioni?, cit., p. 17.

15. Circolare Prot. 400/B/2010, cit., p. 4.

16. Inoltre, "le misure restrittive della libertà personale in vista di una successiva espulsione non possono essere determinate esclusivamente dall'autorità amministrativa, ma devono essere espressamente previste dalla legge, che ne deve fissare casi specifici e modalità di applicazione. Non basta certo una direttiva ministeriale o una circolare del capo della polizia a ritenere soddisfatto il requisito della riserva di legge previsto dalla CEDU in materia di limitazione della libertà personale in funzione di un successivo allontanamento dal territorio dello stato". F. Vassallo Paleologo, Direttiva rimpatri e stato di diritto - Un commento alla luce della circolare Manganelli del 17 dicembre, Melting Pot.

17. C. Gabrielli, La mancata attuazione della direttiva rimpatri 2008/115/CE ed il 'governo dei giudici' in attesa dell'interpretazione pregiudiziale della Corte di Giustizia, cit., p. 40.

18. Sentenza n. 10587/10 emessa da Tribunale di Milano, in data 19.01.2011, giudice Interlandi, p. 8, G. Savio, Verso una rivoluzione copernicana in materia di espulsioni?, cit.

19. Tribunale di Cagliari, sentenza, 14 gennaio 2011, n. 329/11, giudice Renoldi, p. 7.

20. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE e i reati previsti dall'art. 14 D.lgs. n. 286/98 - Orientamenti giurisprudenziali - Disapplicazione della norma interna contrastante con la direttiva comunitaria, ASGI, p. 18.

21. G. Tesauro, Diritto comunitario, cit. p. 142.

22. Corte di Giustizia, sentenza del 15 ottobre 1986 Commissione contro Italia, causa C-168/85, n. 13.

23. Ivi, n. 14.

24. G. Tesauro, Diritto dell'Unione europea, Padova, Cedam, 2010, p. 195.

25. Corte di Giustizia, sentenza 13 novembre 1990, causa C-106/89, (Marleasing).

26. G. Tesauro, Diritto dell'Unione europea, cit., p. 198.

27. Delle principali differenze tra le due normative si dirà infra cap. V, § 2.

28. In questo caso la precedente formulazione dell'articolo 13, comma 5 prevedeva che l'espulsione venisse eseguita mediante intimazione a lasciare il territorio nazionale nel termine di 15 giorni, potendo però il questore disporre l'esecuzione coattiva nel caso in cui il prefetto avesse ritenuto che vi fosse il pericolo che lo straniero si sottraesse al rimpatrio.

29. Articolo 13, comma 4, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, la quale ha sancito la regola dell'esecuzione forzosa dei provvedimenti di espulsione, contrariamente a quanto previsto nella formulazione originaria del T.U. Immigrazione, in cui l'accompagnamento coattivo rappresentava l'eccezione a fronte della regola dell'espulsione mediante intimazione (supra cap. III, § 1.1).

30. Articolo 7, paragrafo 4.

31. Non potendosi ritenere il 'rischio di fuga' che legittima, secondo la direttiva, la riduzione o l'esclusione del termine, presunto dal legislatore italiano.

32. Come la durata del soggiorno, la presenza di bambini che frequentano la scuola o l'esistenza di altri legami familiari e sociali.

33. Tribunale di Cagliari, sentenza, 14 gennaio 2011, n. 329/11, giudice Renoldi, cit., p.5.

34. L'articolo 9, paragrafo 3 prevede che gli stessi obblighi possano essere imposti qualora lo Stato rinvii l'allontanamento dello straniero a norma paragrafi 1 e 2 del medesimo articolo.

35. Tribunale di Reggio Calabria - prima sezione penale, sentenza 13 gennaio 2011, n. 17, p. 11.

36. Ciò anche in considerazione del fatto che, poiché il comma 5-quinquies dell'articolo 14 prevedeva per i reati di cui commi 5-ter e 5-quater il giudizio direttissimo, le prime pronunce dei giudici penali che disapplicavano la norma italiana per contrasto con la direttiva, con conseguente assoluzione dell'imputato, sono intervenute all'indomani della scadenza del termine per il recepimento.

37. Ad esempio: Giudice di Pace di Milano, sentenza 26 aprile 2011.

38. La sentenza della Corte di Giustizia 28 aprile 2011, causa C-61/11, (El Dridi) sarà esaminata infra cap. V, § 3.2.

39. C. Favilli, La competenza dell'Unione europea in materia di visti, asilo e immigrazione alla luce del trattato di Lisbona, cit.

40. Articolo 9: "Gli effetti giuridici degli atti delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell'Unione adottati in base al trattato sull'Unione europea prima dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona sono mantenuti finché tali atti non saranno stati abrogati, annullati o modificati in applicazione dei trattati. Ciò vale anche per le convenzioni concluse tra Stati membri in base al trattato sull'Unione europea"; Articolo 10: "1. A titolo di misura transitoria e in ordine agli atti dell'Unione nel settore della cooperazione di polizia e della cooperazione giudiziaria in materia penale adottati prima dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona, le attribuzioni delle istituzioni alla data di entrata in vigore di detto trattato sono le seguenti: le attribuzioni della Commissione ai sensi dell'articolo 258 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea non sono applicabili e le attribuzioni della Corte di giustizia dell'Unione europea ai sensi del titolo VI del trattato sull'Unione europea, nella versione vigente prima dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona, restano invariate, anche nel caso in cui siano state accettate in forza dell'articolo 35, paragrafo 2 di detto trattato sull'Unione europea. 2. La modifica di un atto di cui al paragrafo 1 comporta che, con riguardo all'atto modificato e nei confronti degli Stati membri ai quali esso si applica, le attribuzioni delle istituzioni menzionate in detto paragrafo si applichino quali previste dai trattati. 3. In ogni caso la misura transitoria di cui al paragrafo 1 cessa di avere effetto cinque anni dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona. 4. Al più tardi sei mesi prima della fine del periodo transitorio di cui al paragrafo 3 il Regno Unito può notificare al Consiglio che, riguardo agli atti di cui al paragrafo 1, non accetta le attribuzioni delle istituzioni menzionate al paragrafo 1 quali previste dai trattati. Se il Regno Unito ha effettuato la notifica, cessano di applicarsi a detto Stato tutti gli atti di cui al paragrafo 1 dalla data di fine del periodo transitorio di cui al paragrafo 3. Il presente comma non si applica nel caso degli atti modificati applicabili al Regno Unito secondo quanto indicato al paragrafo 2. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, determina gli adattamenti necessari che ne conseguono e il necessario regime transitorio. Il Regno Unito non partecipa all'adozione della decisione. Per maggioranza qualificata del Consiglio si intende quella definita conformemente all'articolo 238, paragrafo 3, lettera a) del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, può altresì adottare una decisione che stabilisce che il Regno Unito si fa carico delle eventuali conseguenze finanziarie dirette, derivanti necessariamente e inevitabilmente dalla cessazione della sua partecipazione agli atti suddetti. 5. Successivamente il Regno Unito può in qualsiasi momento notificare al Consiglio che desidera partecipare ad atti che, in forza del paragrafo 4, primo comma, hanno cessato di applicarsi a detto Stato. In tale occorrenza si applicano, secondo i casi, le disposizioni pertinenti del protocollo sull'acquis di Schengen integrato nell'ambito dell'Unione europea o del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell'Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Le attribuzioni delle istituzioni riguardo a tali atti sono quelle previste dai trattati. Quando agiscono nell'ambito dei protocolli in questione, le istituzioni dell'Unione e il Regno Unito si adoperano per ristabilire la più ampia partecipazione possibile del Regno Unito all'acquis dell'Unione riguardo allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza incidere profondamente sul funzionamento pratico delle varie parti dell'acquis e rispettandone la coerenza".

41. T. Epidendio, Direttiva rimpatri e art. 14 t. u. immigrazione - Intervento nel dibattito, Diritto penale contemporaneo, p. 1; nel medesimo senso: Tribunale di Milano, ordinanza 11 febbraio 2011, giudice Barazzetta (ordinanza che respinge una richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia); Procura Generale di Torino, PG Maddalena, ricorso per saltum del 09.02.2011, entrambe in Diritto penale contemporaneo.

42. T. Epidendio, Direttiva rimpatri e art. 14 t. u. immigrazione - Intervento nel dibattito, cit.

43. Come si dirà più avanti coloro che negano l'incidenza della direttiva sulla sfera penale, escludono altresì la diretta applicabilità della direttiva e il contrasto tra quest'ultima e le fattispecie incriminatrici di cui all'articolo 14 T. U. Immigrazione.

44. T. Epidendio, Direttiva rimpatri e art. 14 t. u. immigrazione - Intervento nel dibattito, cit., p. 2.

45. Procura Generale di Torino, PG Maddalena, ricorso per saltum del 09.02.2011, cit., p. 7.

46. G. Tesauro, Diritto comunitario, cit., pp. 164 - 165.

47. Ivi.

48. Ivi, p. 166.

49. Ivi, p. 167.

50. Nel caso delle direttive ovviamente il problema si pone soltanto nel momento in cui gli Stati non abbiano dato (o non lo abbiano fatto correttamente) attuazione alle direttive stesse nel termine fissato per il recepimento.

51. Ora articolo 288 TFUE.

52. G. Tesauro, Diritto comunitario, cit., p. 172; Corte di Giustizia, sentenza 4 dicembre 1974, C - 41/74 (Van Duyn).

53. Corte di Giustizia, sentenza 17 ottobre 1989, C - 231/87 e C - 129/88 (Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Fiorenzuola d'Arda e a./Comune di Carpaneto piacentino e a.), n. 30.

54. G. Tesauro, Diritto comunitario, cit., p. 173.

55. Ibid.

56. Ibid.

57. F. Focardi, Ancora sull'impatto della direttiva comunitaria 2008/115/CE sui reati di cui all'artt. 14 co. 5-ter e 5-quater d.lgs. 286/98, cit.; Procura Generale di Torino, PG Maddalena, ricorso per saltum del 09.02.2011, cit.

58. Così: T. Epidendio, Direttiva rimpatri e art. 14 t. u. immigrazione - Intervento nel dibattito, cit.; F. Focardi, Ancora sull'impatto della direttiva comunitaria 2008/115/CE sui reati di cui all'artt. 14 co. 5-ter e 5-quater d.lgs. 286/98, cit.; Sentenza emessa da Tribunale di Cagliari, in data 18.01.2011, giudice Piziali.

59. Articolo 2, paragrafo 2, lettera a), direttiva 2008/115/CE.

60. Articolo 2, paragrafo 2, lettera b), direttiva 2008/115/CE.

61. F. Focardi, Ancora sull'impatto della direttiva comunitaria 2008/115/CE sui reati di cui all'artt. 14 co. 5-ter e 5-quater d.lgs. 286/98, cit., p. 3.

62. Ivi, p. 4.

63. L. D'Ambrosio, Qualche ulteriore considerazione sulla illegittimità comunitaria della vigente disciplina amministrativa e penale in materia di espulsioni, Diritto penale contemporaneo.

64. Ivi, pp. 1 - 2.

65. Corte di Giustizia nella sentenza 30 novembre 2011, causa C-357/09, (Kadzoev), n. 37.

66. Ivi, n. 54.

67. Ivi, punti 63 - 64.

68. Nonché, secondo l'ordinanza di remissione del 1º marzo 2011, del Tribunale di Modica, "gli articoli 3 e 27 della Costituzione in quanto comminano una sanzione di peculiare gravità per una condotta di mero pericolo che appare di per sé priva di pericolosità sociale e non tendono alla rieducazione del condannato giacché il fine rieducativo a cui la pena dovrebbe tendere risulterebbe vanificato da una punizione manifestamente eccessiva".

69. Procura Generale di Torino, PG Maddalena, ricorso per saltum del 09.02.2011, cit.

70. T. Epidendio, Direttiva rimpatri e art. 14 t. u. immigrazione - Intervento nel dibattito, cit., p. 4.

71. Ivi; Tribunale di Milano, Ordinanza 18 gennaio 2011, giudice Tremolada; Procura Generale di Torino, PG Maddalena, ricorso per saltum del 09.02.2011cit.; Tribunale di Verona, Sentenza 18 gennaio 2011, giudice Piziali.

72. Procura Generale di Torino, PG Maddalena, ricorso per saltum del 09.02.2011, cit., p. 5.

73. Che lo scopo principale della direttiva europea sia proprio quello di garantire che i cittadini di paesi terzi irregolarmente soggiornanti nel territorio degli Stati membri siano effettivamente rimpatriati, è stato affermato anche dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 30 aprile 2011, C - 61/11, (El Dridi), di cui si dirà ampiamente infra § 5.4, pervenendo però la Corte a conclusioni diametralmente opposte a quelle del Procuratore Generale nel ricorso di cui trattasi.

74. Procura Generale di Torino, PG Maddalena, ricorso per saltum del 09.02.2011, cit., pp. 5 - 6.

75. Ordinanza 18 gennaio 2011, giudice Tremolada, cit., p. 1.

76. Del fatto che la minaccia di sanzioni penali favorisca l'adempimento da parte dello straniero dell'obbligo di lasciare il territorio nazionale sembra lecito dubitare alla luce dei dati riportati nella tabella 3, supra cap. III, § 1.4.

77. T. Epidendio, Direttiva rimpatri e art. 14 t. u. immigrazione - Intervento nel dibattito, cit., p. 4.

78. Procura Generale di Torino, PG Maddalena, ricorso per saltum del 09.02.2011, cit., p. 8.

79. T. Epidendio, Direttiva rimpatri e art. 14 t. u. immigrazione - Intervento nel dibattito, cit., p. 4.

80. Corte di Giustizia nella sentenza 30 novembre 2011, causa C-357/09, (Kadzoev), n. 48.

81. Tribunale di Verona, Sentenza 18 gennaio 2011, giudice Piziali, p. 3.

82. Circostanza che ha impedito alla Corte di addentrarsi nel merito: "Non occorre verificare, in questa sede, la reale validità dell'argomento su cui poggia la censura e consistente, in sostanza, nell'assunto per cui la facoltà degli Stati membri di non applicare la citata direttiva ai «cittadini di paesi terzi [...] sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale» (art. 2, paragrafo 2, lettera b) dovrebbe ritenersi riferita, per non svuotare di senso la direttiva stessa, esclusivamente alle fattispecie penali diverse dall'ingresso o dal soggiorno irregolare.
È sufficiente osservare che il termine di adeguamento dell'ordinamento nazionale alla direttiva non è ancora scaduto, risultando fissato al 24 dicembre 2010 (art. 20): circostanza che rende, allo stato, comunque non significativo, ai fini della configurabilità della lesione costituzionale denunciata, l'ipotizzato contrasto con la disciplina comunitaria", sentenza 5 luglio 2010, n. 250, considerato in diritto n. 9.

83. Il reato di cui all'articolo 10-bis T.U. Immigrazione è stato esaminato supra cap. II, § 1.2.

84. Corte costituzionale, sentenza 5 luglio 2010, n. 250, considerato in diritto n. 9.

85. "Non è possibile una 'interpretazione conforme' che, per questo aspetto (ed unicamente per questo aspetto), adegui la normativa interna a quella comunitaria in modo da far ritenere che in realtà il termine da considerare sia sempre almeno quello di sette? Di modo che si possa ritenere non violato l'ordine se la violazione dell'obbligo di rimpatrio è stata accertata tra il sesto ed il settimo giorno? E questo tanto per il presente che per il passato, dove del resto non risulta mai successo (e men che meno nel caso oggetto della decisione del Tribunale) che l'arrestato sia stato colto in flagrante violazione dell'obbligo di rimpatrio al sesto giorno. O vogliamo credere e far credere che l'imputato arrestato a mesi di distanza dal primo e magari anche dal secondo ordine di allontanamento, avrebbe osservato l'ordine se invece di esserci scritto cinque ci fosse stato scritto sette? Francamente, se nella interpretazione delle norme, nella loro comparazione e confronto, nella valutazione della loro "incompatibilità" vi è ancora un residuo spazio per il buon senso, non vi è dubbio allora che la soluzione non può che essere quella che sopra si è adombrata, e cioè di una 'interpretazione conforme'". Procura Generale di Torino, PG Maddalena, ricorso per saltum del 09.02.2011, cit., p. 9.

86. Ordinanza 18 gennaio 2011, giudice Tremolada, cit., p. 3.

87. Supra cap. V, § 2.1.

88. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE e i reati previsti dall'art. 14 D.lgs. n. 286/98 - Orientamenti giurisprudenziali - Disapplicazione della norma interna contrastante con la direttiva comunitaria, cit.

89. A. Nappi, Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, Giuffré, 2010, p. 52.

90. Ivi.

91. Corte di Giustizia, causa C-176/03 (Commissione delle Comunità europee contro Consiglio dell'Unione europea).

92. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE e i reati previsti dall'art. 14 D.lgs. n. 286/98 - Orientamenti giurisprudenziali - Disapplicazione della norma interna contrastante con la direttiva comunitaria, cit., p. 22.

93. C. Favilli, L'attuazione della direttiva rimpatri: dall'inerzia all'urgenza con scarsa cooperazione, "Rivista di Diritto Internazionale", 2011, 3, pp. 693-730.

94. Si veda supra cap. II, § 1.2.

95. G. Savio, Verso una rivoluzione copernicana in materia di espulsioni? La direttiva 2008/115/CE (direttiva rimpatri) e le sue ricadute sull'attuale normativa italiana in materia di espulsioni e trattenimento nei C.I.E., cit., p. 4.

96. C. Favilli, L'attuazione della direttiva rimpatri: dall'inerzia all'urgenza con scarsa cooperazione, "Rivista di Diritto Internazionale", 2011, 3, pp. 693-730.

97. F. Viganò, L. Masera, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, Diritto penale contemporaneo, p. 27.

98. F. Viganò, Disapplicazione dell'art. 14 co. 5-ter e quater, sette repliche ad altrettante obiezioni, Relazione all'incontro di studio organizzato dalla formazione decentrata dei magistrati della Corte d'Appello di Bologna il 18 febbraio 2011, Diritto penale contemporaneo, pp. 7 - 8; Nello stesso senso: Tribunale di Reggio Calabria - prima sezione penale, sentenza 13 gennaio 2011, n. 17, pp. 13 - 14; Tribunale di Torino, sentenza 5 gennaio 2011, giudice Bosio.

99. C. Favilli, L'attuazione della direttiva rimpatri: dall'inerzia all'urgenza con scarsa cooperazione, "Rivista di Diritto Internazionale", 2011, 3, pp. 693-730.

100. Supra cap. V, § 2.2.

101. In generale: S. Lorenzon, Teoria degli effetti diretti e applicazione del diritto - L'efficacia delle norme ce self-executing nell'interpretazione della Corte di Giustizia e del giudice interno, Dottorato di ricerca in Diritto Costituzionale, Università di Ferrara; con specifico riferimento alla direttiva 2008/115/CE: A. Natale, La direttiva 2008/115/CE e i reati previsti dall'art. 14 D.lgs. n. 286/98 - Orientamenti giurisprudenziali - Disapplicazione della norma interna contrastante con la direttiva comunitaria, cit., p. 15, C. Gabrielli, La mancata attuazione della direttiva rimpatri 2008/115/CE ed il 'governo dei giudici' in attesa dell'interpretazione pregiudiziale della Corte di Giustizia, Gli Stranieri, 2011, n. 1; F. Viganò, Disapplicazione dell'art. 14 co. 5-ter e quater, sette repliche ad altrettante obiezioni, cit., p. 10; Tribunale di Cagliari, sentenza, 14 gennaio 2011, n. 329/11, giudice Renoldi, cit., p. 7.

102. Corte di giustizia, sentenza 19 gennaio 1982, causa C-8/81 (Becker), in diritto nn. 29 - 30.

103. Corte di Giustizia, sentenza 14 luglio 1994, causa C-91/92 (Facci - Dori), n. 17.

104. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE e i reati previsti dall'art. 14 D.lgs. n. 286/98 - Orientamenti giurisprudenziali - Disapplicazione della norma interna contrastante con la direttiva comunitaria, cit., p. 17, l'Autore fa riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, citando a titolo esemplificativo la sentenza 14 ottobre 2010, causa C-243/09 (Günter Fuß - Stadt Halle).

105. Direttiva 2008/115/CE, considerando n. 13.

106. Articolo 8, paragrafo 2, che fa salva l'ipotesi che nel corso del periodo di tempo concesso allo straniero sorga uno dei rischi di cui al paragrafo 4 dell'articolo 7.

107. Articolo 7, paragrafo 1, seconda parte.

108. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE e i reati previsti dall'art. 14 D.lgs. n. 286/98 - Orientamenti giurisprudenziali - Disapplicazione della norma interna contrastante con la direttiva comunitaria, cit., p. 26.

109. Sulle misure limitative della libertà personale adottabili nella procedura di rimpatrio: supra cap. IV, § 3.4.3.

110. Articolo 15, paragrafo 1.

111. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE e i reati previsti dall'art. 14 D.lgs. n. 286/98 - Orientamenti giurisprudenziali - Disapplicazione della norma interna contrastante con la direttiva comunitaria, cit., p. 27.

112. C. Gabrielli, La mancata attuazione della direttiva rimpatri 2008/115/CE ed il 'governo dei giudici' in attesa dell'interpretazione pregiudiziale della Corte di Giustizia, cit., p. 49.

113. Articolo 15, paragrafo 2.

114. Articolo 15, paragrafi 3 e 4.

115. Anch'essi definiti con sufficiente chiarezza e precisione (Articolo 15, paragrafo 6).

116. Per l'analisi della sentenza 'Kadzoev' si veda supra cap. IV, § 3.4.3.

117. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE e i reati previsti dall'art. 14 D.lgs. n. 286/98 - Orientamenti giurisprudenziali - Disapplicazione della norma interna contrastante con la direttiva comunitaria, cit., p. 29.

118. Corte di Giustizia nella sentenza 30 novembre 2011, causa C-357/09, (Kadzoev), n. 37. In conclusione: "38. Del resto, l'art. 15, nn. 5 e 6, della direttiva 2008/115 si applica immediatamente agli effetti futuri di una situazione creatasi quando era in vigore la normativa precedente. 39. Si deve pertanto risolvere la prima questione, sub a), dichiarando che l'art. 15, nn. 5 e 6, della direttiva 2008/115 dev'essere interpretato nel senso che la durata massima del trattenimento ivi prevista deve includere il periodo di trattenimento subìto nel contesto di una procedura di allontanamento avviata prima che il regime introdotto da tale direttiva divenisse applicabile".

119. Corte di Giustizia nella sentenza 30 novembre 2011, causa C-357/09, (Kadzoev), n. 57.

120. Corte di Giustizia nella sentenza 30 novembre 2011, causa C-357/09, (Kadzoev), n. 66.

121. Corte di Giustizia nella sentenza 30 novembre 2011, causa C-357/09, (Kadzoev), n. 71.

122. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE e i reati previsti dall'art. 14 D.lgs. n. 286/98 - Orientamenti giurisprudenziali - Disapplicazione della norma interna contrastante con la direttiva comunitaria, cit., p. 27.

123. A. di Martino, R. Raffaelli, La libertà di Bertoldo: "direttiva rimpatri" e diritto penale italiano", Diritto penale contemporaneo, p. 11.

124. Per le principali differenze tra la procedura di rimpatrio della direttiva e quella del T.U. Immigrazione, in particolare rispetto all'assenza nel secondo dell'istituto della partenza volontaria, si veda supra cap. V, § 2.

125. Tribunale di Cagliari, sentenza, 14 gennaio 2011, n. 329/11, giudice Renoldi, p. 8.

126. Principio di diritto internazionale generale, secondo cui vi è prevalenza sulle norme interne contrastanti, sia precedenti che successive, e, se del caso, anche costituzionali. Così, G. Tesauro, Diritto comunitario, op. cit., p. 201. Per la giurisprudenza della Corte di Giustizia, tra le tante: sentenza 15 luglio 1964, C - 6/64, (Costa - Enel), nella quale si legge: "Tale integrazione nel diritto di ciascuno Stato membro di norme che promanano da fonti comunitarie, e più in generale, lo spirito e i termini del Trattato, hanno per corollario l'impossibilità per lo Stato di far prevalere, contro un ordinamento giuridico da essi accettato a condizioni di reciprocità, un provvedimento unilaterale ulteriore, il quale pertanto non potrà essere opponibile all'ordine comune [...]. Gli obblighi assunti con il Trattato istitutivo della Comunità non sarebbero assoluti, ma soltanto condizionati, qualora le parti contraenti potessero sottrarsi alla loro osservanza mediante ulteriori provvedimenti legislativi [...]. La preminenza del diritto comunitario trova conferma nell'articolo 189 [ora articolo 249 TFUE], a norma del quale i regolamenti sono obbligatori e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri. Questa disposizione, che non è accompagnata da alcuna riserva, sarebbe priva di significato se uno stato potesse unilateralmente annullarne gli effetti con un provvedimento legislativo che prevalesse sui testi comunitari" (corsivo aggiunto).

127. Si veda ad esempio, Corte di Giustizia, sentenza 9 marzo 1978, C - 106/77, (Simmenthal), in diritto n. 24: "il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell'ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha l'obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all'occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento giurisdizionale" (corsivo aggiunto).

128. "Tale principio significa, per un verso, che la normativa applicabile non è quella vigente al momento della presentazione della domanda di un provvedimento amministrativo da parte di un privato, bensì quella vigente al momento dell'emanazione dell'atto amministrativo che decide sulla domanda; per altro verso, significa che la legittimità dell'atto amministrativo, anche per quanto attiene ai suoi aspetti sostanziali, deve essere valutata in base alle norme vigenti al momento della sua emanazione, senza che assuma rilievo la normativa sopravvenuta, neanche se entrata in vigore durante la pendenza dei procedimenti amministrativi di riesame del ricorso, ossia in sede di contenzioso amministrativo nel senso che la sua legittimità va valutata con riferimento alle norme vigenti al momento della sua emanazione, senza che le norme emanate successivamente possano incidere su di esso". D. De Carolis, L'annullabilità del provvedimento amministrativo, Milano, Giuffré, 2009, p. 1010.

129. Tribunale di Cagliari, sentenza, 14 gennaio 2011, n. 329/11, giudice Renoldi.

130. Corte di Giustizia, sentenza 29 aprile 1999, C-224/97, (Ciola), n. 33.

131. Tribunale di Cagliari, sentenza, 14 gennaio 2011, n. 329/11, giudice Renoldi, p. 8.

132. Tribunale di Milano, sentenza 19 gennaio 2011, n. 1057/10, giudice Interlandi.

133. Tribunale di Torino, sentenza 3 gennaio 2011, giudice La Gatta, p. 9.

134. Tribunale di Torino, V sezione penale, sentenza 8 gennaio 2011, giudice Salvadori, pp. 5 - 6.

135. Ivi, p. 6, ove si argomenta sulla base della sentenza della Corte di Cassazione, 27 settembre 2007, n. 2451 ("l'art. 2 c.p. può trovare applicazione rispetto a norme extrapenali che siano esse stesse esplicitamente o implicitamente, retroattive, quando nella fattispecie penale non rilevano solo per la qualificazione di un elemento ma per l'assetto giuridico che realizzano").

136. Tribunale di Torino, sentenza 3 gennaio 2011, giudice La Gatta; Tribunale di Torino, V sezione penale, sentenza 8 gennaio 2011, giudice Salvadori; Tribunale di Milano, sentenza 19 gennaio 2011, n. 1057/10, giudice Interlandi; Tribunale di Cagliari, sentenza, 14 gennaio 2011, n. 329/11, giudice Renoldi; Tribunale di Torino, 4 gennaio 2011, giudice Minucci.

137. A. Natale - C. Renoldi, La tutela dei diritti e paradossi del diritto - La direttiva rimpatri, l'Italia e la libertà dei migranti, Questione giustizia, 2011, n. 5, p.12.

138. F. Viganò, L. Masera, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, cit., p.5.

139. Considerando introduttivo n. 6.

140. Considerando introduttivo n. 11.

141. F. Viganò, L. Masera, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, cit., pp. 5 - 6.

142. F. Viganò, Il dibattito continua: ancora in tema di direttiva rimpatri e inosservanza dell'ordine di allontanamento - Qualche replica 'a caldo alle obiezioni sollevate nel dibattito in corso, Diritto penale contemporaneo, p. 3.

143. Supra cap. IV, § 3.4.3.

144. Supra cap. III, § 2.1.

145. Supra cap. V, § 3.2.

146. Articolo 15, paragrafo 1.

147. Sussistenza del rischio di fuga ovvero qualora il cittadino di paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio.

148. Ossia: necessità di procedere al soccorso; necessità di accertamenti ulteriori in ordine all'identità o nazionalità; necessità di reperire i documenti di viaggio; indisponibilità del vettore; attesa di nulla osta da parte dell'autorità giudiziaria di cui all'articolo 13, comma 3; attesa di convalida del provvedimento di accompagnamento e in caso si debba aspettare la risposta ad una domanda di asilo.

149. G. Savio, Verso una rivoluzione copernicana in materia di espulsioni? La direttiva 2008/115/CE (direttiva rimpatri) e le sue ricadute sull'attuale normativa italiana in materia di espulsioni e trattenimento nei C.I.E., cit., p. 13.

150. Supra cap. III, § 1.3.

151. F. Viganò, Direttiva rimpatri e delitti di inosservanza dell'ordine di allontanamento del questore, Relazione ad un incontro di studio in data 20 dicembre 2010 presso il Tribunale di Milano, p. 3.

152. F. Viganò, L. Masera, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, cit., p. 18.

153. Innescando quella "spirale di condanne" fortemente criticata da dottrina e giurisprudenza, si veda supra cap. III, § 2.1.3.

154. F. Viganò, L. Masera, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, cit., p. 18 - 19.

155. Ivi, p. 19.

156. Articolo 15, paragrafo 4. Corte di Giustizia, sentenza Kadzoev, cit.

157. Tribunale di Torino, sentenza 5 gennaio 2011, giudice Bosio, p. 5.

158. F. Viganò, L. Masera, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, cit., pp. 21 - 22.

159. Ivi, pp. 23 - 24.

160. F. Viganò, Il dibattito continua: ancora in tema di direttiva rimpatri e inosservanza dell'ordine di allontanamento - Qualche replica 'a caldo alle obiezioni sollevate nel dibattito in corso, cit., p. 4.

161. F. Viganò, L. Masera, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, cit., p. 25.

162. Ivi, p. 33.

163. A. Natale, La direttiva 2008/115/CE e i reati previsti dall'art. 14 D.lgs. n. 286/98 - Orientamenti giurisprudenziali - Disapplicazione della norma interna contrastante con la direttiva comunitaria, cit., p. 39; formula assolutoria utilizzata da Tribunale di Reggio Calabria - prima sezione penale, sentenza 13 gennaio 2011, n. 17.

164. A. Natale, C. Renoldi, La tutela dei diritti e paradossi del diritto - La direttiva rimpatri, l'Italia e la libertà dei migranti, cit., p. 12.

165. Articolo 267, TFUE: "La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull'interpretazione dei trattati; b) sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione. Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione. Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte. Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce il più rapidamente possibile".

166. A. di Martino, R. Raffaelli, La libertà di Bertoldo: "direttiva rimpatri" e diritto penale italiano", cit., p. 17.

167. Corte d'Appello di Trento, Ordinanza nel procedimento a carico di El Dridi, 2 febbraio 2011, Diritto penale contemporaneo, p. 4.

168. Presa di posizione dell'Avvocato Generale Mazàk, 1 aprile 2011, Causa C - 61/11 (El Dridi), nn. 22 - 27.

169. Ivi, n. 28.

170. Ivi, n. 39.

171. Ivi, n. 40.

172. Ivi, n. 42 - 43, (corsivo aggiunto).

173. Ivi, n. 45.

174. Ivi, n. 46 - 47.

175. B. Nascimbene, La "Direttiva rimpatri" e le conseguenze della sentenza della Corte di giustizia (El Dridi) nel nostro ordinamento, cit., p. 9.

176. C. Favilli, L'attuazione della direttiva rimpatri: dall'inerzia all'urgenza con scarsa cooperazione, "Rivista di Diritto Internazionale", 2011, 3, pp. 693-730.

177. Corte di Giustizia, sentenza 28 aprile 2011, C - 61/11 (El Dridi), n. 47.

178. Ivi, n. 43.

179. Ivi, n. 41.

180. C. Favilli, L'attuazione della direttiva rimpatri: dall'inerzia all'urgenza con scarsa cooperazione, "Rivista di Diritto Internazionale", 2011, 3, pp. 693-730.:

181. Corte di Giustizia, sentenza 28 aprile 2011, C - 61/11 (El Dridi), nn. 53 - 56.

182. Ivi, n. 52.

183. C. Favilli, L'attuazione della direttiva rimpatri: dall'inerzia all'urgenza con scarsa cooperazione, "Rivista di Diritto Internazionale", 2011, 3, pp. 693-730.

184. Corte di Giustizia, sentenza 28 aprile 2011, C - 61/11 (El Dridi), n. 59.

185. A. di Martino, R. Raffaelli, La libertà di Bertoldo: "direttiva rimpatri" e diritto penale italiano", cit., p. 23.

186. A. Natale - C. Renoldi, La tutela dei diritti e paradossi del diritto - La direttiva rimpatri, l'Italia e la libertà dei migranti, cit., p. 13.

187. M. Gambardella, Le conseguenze di diritto intertemporale prodotte dalla pronuncia della Corte di Giustizia El Dridi (direttiva "rimpatri") nell'ordinamento italiano - Riflessioni sui criteri per risolvere l'antinomia tra norma interna e norma comunitaria, Diritto penale contemporaneo, p.2.

188. Corte Suprema di Cassazione, I Sezione Penale, Notizie di Decisione (su questione nuova), n. 9/2011, Diritto penale contemporaneo.

189. B. Nascimbene, La "Direttiva rimpatri" e le conseguenze della sentenza della Corte di giustizia (El Dridi) nel nostro ordinamento, cit., p. 11.

190. Si veda anche Corte di cassazione, I Sezione penale, 28 aprile 2011, depositata 1 giugno 2011, n. 22105, Diritto penale contemporaneo.

191. B. Nascimbene, La "Direttiva rimpatri" e le conseguenze della sentenza della Corte di giustizia (El Dridi) nel nostro ordinamento, cit., p. 11; L. Masera, F. Viganò, Addio articolo 14 - considerazioni sulla sentenza della Corte di Giustizia UE, 28 aprile 2011, El Dridi (C - 61/11) e il suo impatto sull'ordinamento italiano, Diritto penale contemporaneo, p.6.

192. M. Gambardella, Le conseguenze di diritto intertemporale prodotte dalla pronuncia della Corte di Giustizia El Dridi (direttiva "rimpatri") nell'ordinamento italiano - Riflessioni sui criteri per risolvere l'antinomia tra norma interna e norma comunitaria, cit., pp. 8 - 9.

193. Ivi, pp. 9 - 10: Principio della lex mitior "che, pur non essendo codificato espressamente in un testo costituzionale, trova però la sua consacrazione positiva a livello internazionale e comunitario: in particolare, nell'art. 15 paragrafo 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (adottato a New York il 16 dicembre 1966, ed entrato in vigore per l'Italia il 15 dicembre 1978); nell'art. 49 comma 1 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (oggi espressamente richiamata dal Trattato di Lisbona); nell'importante sentenza "Scoppola" della Corte europea, la quale, disattendendo la giurisprudenza precedente, ha riconosciuto che la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'art. 7, fa proprio il principio di retroattività della legge penale più favorevole; nella giurisprudenza della Corte di giustizia: secondo cui il principio dell'applicazione retroattiva della pena più mite deve essere considerato parte integrante dei principi generali del diritto comunitario".

194. Ivi, p. 10; L. Masera, F. Viganò, Addio articolo 14 - considerazioni sulla sentenza della Corte di Giustizia UE, 28 aprile 2011, El Dridi (C - 61/11) e il suo impatto sull'ordinamento italiano, cit., p. 6.

195. L. Masera, F. Viganò, Addio articolo 14 - considerazioni sulla sentenza della Corte di Giustizia UE, 28 aprile 2011, El Dridi (C - 61/11) e il suo impatto sull'ordinamento italiano, Diritto penale contemporaneo, pp. 10 - 11.

196. Ivi, p. 11.

197. Ivi, p. 11; M. Gambardella, Le conseguenze di diritto intertemporale prodotte dalla pronuncia della Corte di Giustizia El Dridi (direttiva "rimpatri") nell'ordinamento italiano - Riflessioni sui criteri per risolvere l'antinomia tra norma interna e norma comunitaria, cit.

198. Nota della Procura generale della Repubblica presso la Corte Suprema di Cassazione, 3 maggio 2011, Diritto penale contemporaneo.

199. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 10 maggio 2011, n. 7, ASGI.