ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo II
L'allontanamento dello straniero: respingimenti ed espulsioni

Carlotta Happacher, 2012

1. Premessa: l'ingresso nel territorio dello Stato

Prima di analizzare il sistema di allontanamento dello straniero dal territorio italiano è necessaria una breve disamina dei requisiti richiesti per l'ingresso regolare e del reato di ingresso e soggiorno irregolari.

1.1 Ingresso (cenni)

Il primo intervento legislativo che si è proposto di regolare in modo organico la materia è stato il decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, poi convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 39 (meglio nota come "Legge Martelli"), che ha introdotto un sistema di regolazione dell'ingresso degli stranieri basato da un lato sulla programmazione annuale dei flussi, dall'altro sul possesso di determinati requisiti da parte del singolo straniero. Lo stesso sistema è stato poi ripreso dalla legge 6 marzo 1998, n. 40 ("Legge Napolitano-Turco"), poi confluita del D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di seguito T.U. Immigrazione), ed è quello tuttora in vigore.

Attraverso il cosiddetto "decreto-flussi", ogni anno devono essere definite le quote massime di stranieri che possono essere ammessi nel territorio dello Stato, suddivise per tipologia di visto d'ingresso/permesso di soggiorno (1).

Oltre a rientrare nel numero di ingressi consentito, il singolo straniero che voglia essere ammesso a soggiornare regolarmente in Italia, deve dimostrare di essere in possesso di una serie di requisiti soggettivi, alcuni di carattere generale, stabiliti dall'articolo 4 del T.U. Immigrazione, altri relativi al tipo di permesso di soggiorno di cui intende chiedere il rilascio. Infatti, diversi sono i motivi per cui lo straniero può essere autorizzato all'ingresso e al soggiorno in Italia e ad essi corrispondono differenti tipologie di permessi. Poiché, però, "l'orientamento legislativo prevalente è quello di considerare i migranti come riserva di lavoro" (2), rilievo centrale assume l'ingresso e il soggiorno per motivi di lavoro subordinato, ed è a questo che occorre fare riferimento per un inquadramento generale della disciplina.

Secondo quanto previsto dall'articolo 22 del T.U. Immigrazione, la procedura per consentire l'ingresso dello straniero per motivi di lavoro subordinato, dovrebbe essere instaurata per iniziativa del datore di lavoro, cittadino italiano o straniero regolarmente soggiornante, il quale è tenuto a presentare richiesta di nulla osta all'assunzione presso lo Sportello unico per l'immigrazione (istituito in ogni provincia presso la Prefettura, dalla legge 189/2002). Tale richiesta può essere nominativa, ovvero numerica, e deve essere accompagnata da: a) la documentazione relativa alla disponibilità di un alloggio per il lavoratore (3); b) la proposta di contratto di soggiorno (4); c) la dichiarazione dell'impegno a comunicare "ogni variazione concernente il rapporto di lavoro". Una volta che siano stati espletati tutti gli adempimenti e le verifiche necessarie (5), e ottenuto il rilascio del nulla osta all'assunzione, l'articolo 31, comma 7, del D.P.R. 394/99, prevede che il datore di lavoro ne dia comunicazione allo straniero, il quale a questo punto può recarsi presso la rappresentanza diplomatica o consolare competente per richiedere il visto d'ingresso.

In sostanza il legislatore ha immaginato che l'incontro tra lo straniero che vuole lavorare in Italia e il datore di lavoro che intende assumerlo, quindi tra domanda e offerta nel mercato del lavoro, avvenga a distanza, non solo in termini spaziali, dovendo il "futuro lavoratore" trovarsi all'estero, ma anche temporali, poiché tra l'avvio della procedura per il rilascio del nulla osta al lavoro (che peraltro deve tener conto della necessaria emanazione annuale del "decreto-flussi") e l'effettiva assunzione può passare un lasso di tempo notevole. Anche nella migliore delle ipotesi, è difficile pensare che un datore di lavoro che ha l'esigenza di assumere mano d'opera in un'impresa, possa permettersi di attendere l'esito dell'intero iter, soprattutto in considerazione delle, tanto decantate, esigenze di celerità e flessibilità dell'attuale sistema economico (6).

Com'è stato fatto notare, la realtà è ben diversa dalla previsione normativa, infatti:

il migrante assunto per chiamata nominale non di rado è un soggetto che auto-sana la propria posizione sul territorio nazionale. Spesso, infatti, questi migranti non sono all'estero, come vorrebbe la legge, ma presenti in modo irregolare sul territorio nazionale, e magari già lavorano per un datore di lavoro "onesto", che alla pubblicazione del decreto flussi, richiede la loro assunzione, per permettere loro di godere delle più elementari forme di protezione previste per i lavoratori. Se la domanda del datore di lavoro rientra nella quota, il migrante fa rientro nel suo paese di origine, ottiene un regolare visto di ingresso e torna nel nostro paese dove gli viene rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di lavoro che lo protegge dalla forme più odiose di sfruttamento (7).

A conclusione della rapida panoramica del sistema di accesso regolare degli stranieri nel territorio italiano, si devono ora prendere in considerazione i requisiti generali di cui deve essere in possesso lo straniero al momento dell'ingresso in Italia e dei motivi ostativi, entrambi previsti dall'articolo 4 del T.U. Immigrazione. Innanzi tutto, a norma dell'articolo 4 comma 1 T.U. Immigrazione, lo straniero, presentandosi con visto d'ingresso, salvi casi di esenzione, e passaporto o altro documento valido, può entrare in Italia, salvo casi di forza maggiore, soltanto presso i valichi di frontiera appositamente istituiti, dove, ai sensi dell'articolo 7, comma 2 del D.P.R. 394/1999, "è fatto obbligo al personale addetto ai controlli di frontiera di apporre sul passaporto il timbro di ingresso, con l'indicazione della data". Quest'ultima disposizione è di particolare importanza, se si considera che, pur essendo un obbligo posto a carico delle forze di polizia di frontiera adibite ai controlli, la mancata apposizione del timbro riportante la data di ingresso, anche se dovuta a imperizia del personale addetto, comporta conseguenze molto pesanti per lo straniero. Infatti, dovendo egli richiedere il permesso di soggiorno nel termine perentorio di otto giorni dall'ingresso nel territorio italiano (8), provando la regolarità di quest'ultimo, deve poter dimostrare di aver rispettato tale termine, e, secondo giurisprudenza costante della Corte di Cassazione (9), ciò può avvenire soltanto tramite l'esibizione del timbro d'ingresso riportato sul passaporto.

In secondo luogo, il comma 3 dello stesso articolo 4 impone allo straniero di dimostrare di "essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e, fatta eccezione per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, anche per il ritorno nel Paese di provenienza".

Sussistono, infine, alcune cause ostative, in presenza delle quali l'accesso al territorio italiano è negato:

Non è ammesso in Italia lo straniero che non soddisfi tali requisiti o che sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone o che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, adottata, a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite. Impedisce l'ingresso dello straniero in Italia anche la condanna, con sentenza irrevocabile, per uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale (10).

Riassumendo, i canali predisposti dal legislatore per l'ingresso regolare nel territorio italiano, sono caratterizzati da un'estrema rigidità (11), ma soprattutto si rivelano, alla prova dei fatti, del tutto impraticabili. Il frequente ricorso a "sanatorie", che hanno consentito la regolarizzazione di un numero molto elevato di stranieri irregolarmente presenti sul territorio (12), mostra come, in realtà, ci sia piena consapevolezza, da parte dei governi degli ultimi vent'anni, dell'inadeguatezza dei canali "normali" di ingresso regolare. Tutto questo, però, non ha mai portato ad un ripensamento delle politiche intraprese in materia, attraverso l'adozione di meccanismi che rendessero più semplice l'accesso regolare; al contrario, ciò che emerge è "una chiara volontà politica di privilegiare il meccanismo del soggiorno irregolare come strumento di inserimento sociale dei migranti" (13), i quali quindi, sono costretti ad un "percorso tracciato dalle seguenti tappe: ingresso irregolare o per motivi di turismo, soggiorno irregolare che consente di trovare un inserimento nel mondo del lavoro sommerso, sanatoria" (14), o, possibilità di rientrare, verificandosene le condizioni, nelle quote annuali al momento dell'emanazione del 'decreto-flussi'.

Si aggiunga, infine, che se è così difficile per uno straniero ottenere un permesso di soggiorno, non lo è altrettanto perderlo. Anche se la perdita del lavoro non determina per ciò solo la perdita del permesso di soggiorno (15), è espressamente stabilito che il venir meno dei requisiti legittimanti l'ingresso comporta il rifiuto del rinnovo, o la revoca del permesso precedentemente rilasciato (16). Il rischio di scivolare nell'irregolarità, costantemente presente nella vita dello straniero residente nel territorio italiano, e la gravità delle conseguenze, espulsione con automatico divieto di reingresso, rendono la permanenza dello straniero costantemente precaria, relegandolo in una condizione di estrema marginalità e ricattabilità.

1.2 Articolo 10-bis: il reato di immigrazione clandestina

Con la legge 15 luglio 2009, n. 94 ("Disposizioni in materia di pubblica sicurezza"), è stato inserito nel T. U. Immigrazione, l'articolo 10-bis (17), che ha introdotto nell'ordinamento italiano il reato di ingresso e permanenza irregolare nel territorio dello Stato, un reato che punisce non "un fatto ma una condizione personale" (18). Senza dubbio la scelta del legislatore di fare ricorso allo strumento del diritto penale, attraverso la predisposizione di due fattispecie (ingresso e permanenza illegale) che si "sovrappongono perfettamente alle ipotesi di inosservanza delle norme che consentono l'adozione del provvedimento di espulsione amministrativa" (19), risponde all'esigenza (politica) di soddisfare le "pulsioni securitarie" di "elettori assetati di sicurezza e sempre più insofferenti verso l'immigrazione" (20). Con l'introduzione del reato di 'immigrazione clandestina', espressione di quello che è stato definito "razzismo istituzionale" (21), si dà fondamento normativo all'equazione immigrato-criminale (22), alimentando così le paure diffuse in parte dell'opinione pubblica (23). Oltre alla ricerca di un facile consenso elettorale, il Governo italiano è stato spinto dall'obiettivo di "sterilizzare gli obblighi imposti dalla Direttiva 2008/115/CE" (24), finalità che lo stesso Ministro dell'interno esplicitamente ha dichiarato nel corso di un'audizione davanti al Comitato parlamentare sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione:

L'altra disposizione prevista riguarda il reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato. Su questo secondo punto il Governo insiste, pur prevedendo una pena pecuniaria e non detentiva, perché la direttiva europea stabilisce che la regola per l'allontanamento dei cittadini extracomunitari sarà l'invito ad andarsene e non l'espulsione, a meno che il provvedimento di espulsione sia conseguenza di una sanzione penale. Noi quindi vogliamo disegnare il reato di immigrazione clandestina o di ingresso illegale puntando principalmente sulla sanzione accessoria del provvedimento giudiziale di espulsione emanato dal giudice, piuttosto che sulla sanzione principale che sarà una sanzione pecuniaria. In questo modo possiamo procedere all'espulsione immediata con un provvedimento del giudice, applicando la direttiva europea ma eliminando l'inconveniente che ne pregiudicherebbe l'efficacia, perché come ha dimostrato l'esperienza italiana l'invito ad andarsene significa che nessuno verrebbe più espulso. (25)

Di come l'idea del Ministro di poter così semplicemente aggirare le previsioni di una direttiva comunitaria si sia rivelata in breve tempo del tutto impraticabile, mettendo in evidenza soltanto la scarsa conoscenza da parte del Governo italiano degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea, si dirà in seguito (infra cap. V, § 3.1), quando si tratteranno nello specifico i rapporti tra la normativa italiana (oggetto del presente capitolo) e la cosiddetta 'direttiva rimpatri'; ciò che ora interessa è delineare i tratti fondamentali del reato di cui all'articolo 10-bis.

Trattasi, innanzitutto di reato proprio, che può essere commesso soltanto dallo straniero, così come definito dall'articolo 1 T. U. Immigrazione: ossia il cittadino di paese non appartenente all'Unione europea e l'apolide (26). Le condotte penalmente rilevanti sono due, poste tra loro in rapporto di alternatività: l'ingresso (27) o il trattenimento in violazione delle norme che stabiliscono le condizioni generali di ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato (28). Nel caso di ingresso illegale il reato ha natura istantanea, perfezionandosi al momento dell'attraversamento del confine in assenza delle condizioni richieste per la regolarità dell'accesso al territorio dello Stato; al contrario, è permanente il reato commesso da chi si trattenga in posizione di irregolarità (29). Essendo una fattispecie di natura contravvenzionale è applicabile la regola generale di cui all'articolo 42, comma 4 del codice penale: è quindi consentita l'imputazione a titolo colposo (30). Sul piano processuale, la competenza per il reato in discorso è stata attribuita al Giudice di pace, scelta fortemente criticata, soprattutto per via della

possibilità concessa al giudice non togato di sostituire la pena pecuniaria con una sanzione, quale l'espulsione, incidente sulla libertà personale. Una scelta, quindi, che introduce un virus in grado di innescare una mutazione genetica della giurisdizione del giudice di pace che, almeno nella sua configurazione originaria, è una giurisdizione più 'mite', diretta alla composizione di 'microconflittualità individuali', secondo una logica non ti repressione ma di conciliazione e riparazione (31).

L'intento del legislatore sembra essere quello di privilegiare le esigenze di celerità nella definizione del processo, rispetto a quelle di tutela dell'individuo sottoposto a procedimento penale.

E ciò a conferma dell'intenzione di allontanare nel più breve tempo possibile lo straniero dal territorio nazionale. Sintomatiche, in tal senso, le riforme apportate dalla stessa l. 94/2009, che prevedono sì la presentazione immediata a giudizio dell'imputato dinanzi al Giudice di Pace anche con citazione contestuale per il reato di clandestinità, ma dispongono pure che l'espulsione per chi è processato per tale contravvenzione non necessita del nulla osta del giudice procedente, legittimato comunque a disporre l'espulsione come misura sostitutiva nel caso di condanna. Esemplificazione che ben rende l'idea di quell'intreccio tra istituti amministrativistici e istituti penalistici e processual-penalistici, tutti finalizzati alle varie esigenze (politiche oltre che pratiche e giuridiche) di controllo del fenomeno migratorio. (32)

La disposizione in esame è stata oggetto di forti critiche provenienti da larga parte della dottrina; prima ancora che in relazione a specifici aspetti della disciplina, è stata messa in discussione la legittimità della scelta di sanzionare penalmente l'ingresso e il soggiorno irregolare. È stato da più parti sostenuto che con il reato di clandestinità ci si trova di fronte ad un "diritto penale d'autore" (33), che punisce non un fatto di reato, ma "una mera condizione personale e sociale del migrante clandestino" (34). Infatti "è il reo, con le sue caratteristiche e la sua identità scomoda, a portare addosso 'cucito' come un abito, l'elemento caratterizzante il disvalore della condotta (di per sé lecita, e neutra, ove posta in essere dal cittadino o [...] dallo straniero comunitario)" (35). All'indomani dell'entrata in vigore del 'reato di clandestinità', sono state sollevate questioni di legittimità costituzionale, che la Corte ha affrontato suddividendole in due gruppi: da un lato quelle che, investendo la norma nel suo complesso, sotto il profilo della legittimità della scelta di penalizzazione, se accolte, avrebbero portato alla totale ablazione della norma; dall'altro quelle che contestavano la conformità alla Costituzione di specifici aspetti sostanziali o processuali, le quali avrebbero condotto ad una dichiarazione d'illegittimità solo parziale.

La prima, e fondamentale, questione, sollevata dal Giudice di pace di Torino, riguarda la compatibilità dell'incriminazione di cui all'articolo 10-bis T.U. Immigrazione, con i principi di materialità ed offensività del reato in riferimento all'articolo 25, comma 2 della Costituzione. Secondo il giudice rimettente, la norma configura una "fattispecie penale discriminatoria", poiché

solo apparentemente viene sanzionata una condotta (l'azione di ingresso e l'omissione del mancato allontanamento) di per sé neutra agli effetti penalistici, mentre in realtà il vero oggetto dell'incriminazione è la mera condizione personale dello straniero, costituita dal mancato possesso di un titolo ablativo e della successiva permanenza nel territorio dello Stato che è la condizione tipica del migrante economico e, dunque, anche una condizione sociale cioè propria di una categoria di persone. (36)

La Corte costituzionale, dopo aver premesso che "l'individuazione delle condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella discrezionalità del legislatore" (37), respinge le affermazioni del giudice rimettente. Secondo la Corte non è vero che la norma sanziona un "modo di essere" della persona, punendo, al contrario "uno specifico comportamento trasgressivo delle norme vigenti", essendo la condizione di clandestinità non "un dato preesistente ed estraneo al fatto, ma rappresenta, al contrario, la conseguenza della stessa condotta resa penalmente illecita, esprimendone in termini di sintesi la nota strutturale illiceità" (38). Poiché lo Stato ha il dovere di presidiare le proprie frontiere e regolare il fenomeno migratorio e poiché il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice sottoposta all'esame della Consulta è esattamente l'interesse dello Stato al controllo ed alla gestione ordinata dei flussi migratori, secondo la Corte non è illegittima la decisione del legislatore di utilizzare lo strumento del diritto penale per realizzare tale finalità, in quanto rientra nella sua discrezionalità la scelta della risposta sanzionatoria più adeguata. L'iter argomentativo seguito dalla Corte costituzionale è stato valutato come eccessivamente formalistico, poiché a caratterizzare il reato di cui trattasi è

l'oggetto della disciplina di cui si va a sanzionare la violazione, e soprattutto la tipologia di condotte in cui si sostanzia tale violazione. Mentre solitamente si appresta lo strumento penale per garantire il rispetto di discipline volte a tutelare beni giuridici che possono essere messi in pericolo da specifiche condotte (attive od omissive) del reo, qui il pericolo per l'interesse tutelato (il controllo dei flussi migratori) deriva dalla stessa presenza dello straniero nel territorio dello Stato, ed è ineliminabile sino a che egli si trattenga in Italia. Il risultato allora è quello di punire solo apparentemente una condotta contraria alla legge, quando in realtà si sanziona lo straniero per il suo essere irregolare, posto che il comportamento che gli si rimprovera si identifica con la sua condizione esistenziale di migrante non in regola con la disciplina del soggiorno. (39)

Il secondo aspetto di carattere generale che interessa particolarmente ai fini del presente lavoro, riguarda l'asserita violazione dell'articolo 117 della Costituzione, in ragione del contrasto con la Direttiva 2008/115/CE (40), che la Corte costituzionale ha respinto senza entrare nel merito delle cesure mosse, sulla base della considerazione che il termine assegnato agli Stati membri per il recepimento della suddetta Direttiva fissato per il 24 dicembre 2010, non era al momento ancora scaduto. In questo modo la Corte sostanzialmente evita di affrontare il tema complesso del rapporto tra le norme contenute nella direttiva e l'ordinamento interno, dimenticando che per costante indirizzo interpretativo, "una volta approvata in via definitiva e pubblicata con le modalità richieste la Direttiva è già a tutti gli effetti in vigore" e con ciò impone agli Stati membri di

non apportare modifiche normative in contrasto con il contenuto della Direttiva stessa, posto che in tal modo si aumenta, invece di ridursi, la distanza tra il diritto interno e la normativa sovraordinata di rango comunitario cui la legislazione nazionale dovrà risultare conforme, e tali modifiche perderebbero comunque efficacia allo scadere del termine di adeguamento. (41)

Per ciò che concerne il secondo ordine di questioni sollevate dai giudici rimettenti, ossia quelle che riguardano specifici aspetti della disciplina, la più importante è senz'altro quella che contesta l'assenza della clausola esimente del "giustificato motivo" (42), presente, invece, in altre disposizioni incriminatrici del T.U. Immigrazione, ossia i commi 5-ter e 5-quater dell'articolo 14, assunti dal giudice rimettente come tertia comparationis. Secondo la Corte le due fattispecie sono strutturalmente diverse, il che giustifica il diverso regime delle due norme, senza che vi sia, di conseguenza, alcuna violazione dell'articolo 3 della Costituzione. Nel caso dell'articolo 10-bis, trovano senz'altro applicazione le esimenti generali, nonché, differentemente dalle fattispecie di mancata ottemperanza all'ordine di allontanamento, l'istituto della improcedibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'articolo 34 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, in ragione dell'attribuzione della competenza al Giudice di pace. Anche su questo punto sono state mosse delle critiche all'impostazione seguita dalla Corte, in particolare in riferimento all'affermata diversità strutturale tra la fattispecie di cui all'articolo 10-bis e quella di cui all'articolo 14, comma 5-ter.

Le indiscutibili diversità strutturali tra le due fattispecie non possono, infatti, mettere in ombra la loro profonda affinità, posto che entrambe sanzionano la permanenza illecita dello straniero sul territorio dello Stato, prima o dopo l'emanazione di un ordine di allontanamento. (43)

In conclusione, la decisione della Corte di non dichiarare l'illegittimità costituzionale del 'reato di clandestinità', sembra essere dettata dalla consueta prudenza della Consulta nell'affrontare una materia "politicamente sensibile, esposta al comune sentire" (44), peraltro oggetto di particolare investimento da parte del Governo allora in carica; ciononostante, permangono i dubbi e le criticità legate al fatto che un reato come quello dell'articolo 10-bis sia in realtà espressione di un 'diritto penale d'autore', del tutto incompatibile con i principi liberali di offensività e materialità.

2. I respingimenti ex art. 10 T.U. Immigrazione

L'articolo 10 del T.U. Immigrazione disciplina due differenti fattispecie di respingimento: la prima di competenza della polizia di frontiera, e la seconda affidata, invece, al questore.

2.1 Il respingimento alla frontiera

L'ingresso nel territorio italiano è consentito, a norma dell'articolo 4, comma 1 T.U. Immigrazione, salvo casi di forza maggiore, soltanto presso i valichi di frontiera appositamente istituiti, dove la polizia di frontiera svolge i relativi controlli, secondo quanto stabilito dal Regolamento CE n. 562/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006, istitutivo del codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), che impone lo svolgimento di "verifiche approfondite" (45).

A norma del primo comma dell'articolo 10 T.U. Immigrazione, la "polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal presente testo unico per l'ingresso nel territorio dello Stato". Quindi, a tutti coloro che non sono in possesso dei requisiti richiesti per l'ingresso, cui si è già accennato (46), si aggiungono gli stranieri che siano già stati espulsi dal territorio nazionale (47), nonché quelli "segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore in Italia, ai fini del respingimento o della non ammissione per gravi motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale e di tutela delle relazioni internazionali", secondo quanto stabilito dall'articolo 4, comma 6 T.U. Immigrazione.

In questi casi, la polizia di frontiera impedisce allo straniero di entrare nel territorio italiano. È stato sottolineato, il carattere fortemente discrezionale dell'attività svolta dalla polizia di frontiera, la quale

in quanto preposta ai controlli ai valichi di frontiera, esprime per prima ed in maniera pressoché insindacabile un giudizio di meritevolezza o immeritevolezza dello straniero ad entrare nello Stato italiano. Il rischio è che la polizia, dovendo verificare la sussistenza dei tanti requisiti di ingresso "richiesti dal presente Testo Unico", molti dei quali apprezzabili discrezionalmente, assuma decisioni arbitrarie od errate.

Particolare perplessità, infatti, suscitano formule aperte come: "non è ammesso in Italia lo straniero che sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato".

A meno che, infatti, lo straniero non si presenti al valico di frontiera palesemente armato, ipotesi invero assai inverosimile, ovvero sul suo conto non siano già state effettuate circostanziate indagini, non si comprende su quali elementi la polizia di frontiera possa fondare una prognosi di pericolosità nei pochi minuti del controllo (48).

Il comma 3, dello stesso articolo 10, impone al vettore "che ha condotto alla frontiera uno straniero privo dei documenti di cui all'articolo 4, o che deve comunque essere respinto a norma del presente articolo", l'obbligo di farsene carico riconducendolo immediatamente "nello Stato di provenienza, o in quello che ha rilasciato il documento di viaggio eventualmente in possesso dello straniero". Ciò vale anche per lo straniero che si trovi alla frontiera italiana perché in transito verso un altro Stato, qualora quest'ultimo abbia negato l'ingresso o lo abbia rinviato nello Stato, ovvero il vettore che doveva condurlo verso lo Stato di destinazione rifiuti di imbarcarlo. Quest'ultima disposizione è stata introdotta dal D.lgs. 7 aprile 2003, n. 87, emanato in recepimento della direttiva 2001/51/CE del Consiglio del 28 giugno 2001 che integra le disposizioni dell'articolo 26 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985.

Il predetto obbligo a carico del vettore, si ricollega, inoltre, alla previsione dell'articolo 12, comma 6, T.U. Immigrazione, che prevede una sanzione pecuniaria (nonché per i casi più gravi, la sospensione da uno a dodici mesi, ovvero la revoca della licenza, autorizzazione o concessione rilasciata dall'autorità amministrativa italiana inerenti all'attività professionale svolta e al mezzo di trasporto utilizzato), a carico del vettore che non rispetti i seguenti obblighi: accertamento del possesso, da parte dello straniero trasportato dei documenti richiesti per l'ingresso e dichiarazione alla polizia di frontiera l'eventuale presenza a bordo di stranieri in posizione irregolare.

2.2 Il respingimento "differito"

La seconda ipotesi contemplata dall'articolo 10 T.U. Immigrazione, al secondo comma, è quella del respingimento cosiddetto 'differito', disposto questa volta dal questore, nei confronti di due tipologie di stranieri molto differenti tra loro: coloro che siano entrati nel territorio dello stato sottraendosi ai controlli di frontiera e che siano fermati all'ingresso o "subito dopo" e quanti, pur trovandosi nelle condizioni che legittimano il respingimento ad opera della polizia di frontiera, siano stati temporaneamente ammessi per necessità di pubblico soccorso.

Questa seconda fattispecie di respingimento è certamente quella che ha destato maggiori perplessità in dottrina, da un lato perché essa sottopone allo stesso trattamento persone che si trovano in situazioni molto differenti (infatti è ben diversa la condotta di chi si sottragga volontariamente ai controlli di polizia da quella di chi non venga respinto immediatamente per necessità di soccorso), dall'altro per la vaghezza dei presupposti, in particolare in relazione alla locuzione "subito dopo" che dovrebbe tracciare la linea di confine tra respingimento ed espulsione. Inoltre, è stata da più parti sottolineata la sostanziale assenza di tutela giurisdizionale, avverso un provvedimento che deve essere eseguito con accompagnamento coattivo alla frontiera, quindi con modalità tali da incidere sul diritto fondamentale alla libertà personale, non essendo prevista alcuna convalida preventiva, né effetto sospensivo di un eventuale ricorso presentato dallo straniero respinto.

In relazione alla condotta dello straniero che entri "sottraendosi" ai controlli di frontiera, la Corte di Cassazione ha più volte precisato che essa si realizza non solo in caso di elusione dei suddetti controlli, ma anche nel caso in cui essi siano vanificati attraverso l'esibizione di documentazione falsa (49). È evidente come sia di difficile assimilazione a quest'ultima ipotesi, la situazione degli stranieri, che senza alcuna condotta elusiva, siano ammessi nel territorio dello Stato per esigenze di pubblico soccorso, potendo ciò riguardare anche coloro che vengono soccorsi in mare e condotti in porto dalle forze di polizia costiera; ciononostante essi sono soggetti alla stessa disciplina.

Particolari critiche ha suscitato poi la difficile individuazione dell'esatto significato della locuzione "subito dopo", che "consente all'autorità di pubblica sicurezza una discrezionalità pressoché illimitata, perché non sono indicati i criteri" necessari a delimitarne il campo, "sicché si possono adottare respingimenti così differiti da equivalere in sostanza ad un'espulsione" (50). L'indeterminatezza dei presupposti legittimanti il respingimento, che rischia di tradursi in un vero e proprio arbitrio da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, messa nelle condizioni di scegliere il tipo di provvedimento da adottare, ha gravi riflessi sul versante delle garanzie giurisdizionali, anche in ragione della mancanza di una specifica previsione normativa dei rimedi offerti allo straniero. In assenza di tale esplicita previsione, da alcuni autori (51) è stata sostenuta l'applicazione analogica del procedimento descritto dal comma 8, dell'articolo 13 T.U. Immigrazione, che disciplina il ricorso avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto. Secondo altri (52), la strada dell'applicazione analogica non è praticabile a causa della differente autorità competente per i due diversi provvedimenti: il Prefetto per l'espulsione, il Questore per il respingimento. Né possono ricavarsi indicazioni uniformi dalla giurisprudenza, la quale è divisa fin dall'individuazione del giudice competente in materia: sia giudici di pace che tribunali amministrativi si sono più volte espressi, affermando o negando la propria competenza. L'affermazione di competenza del Tribunale amministrativo, e la speculare negazione da parte di quello ordinario, si fonda sulla configurazione del respingimento come "atto amministrativo autoritativo che si limita a comprimere, ma non ad eliminare, l'eventuale diritto all'ingresso, degradandolo a interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo sulle relative controversie" (53). In altre pronunce, sia il giudice amministrativo che quello ordinario, si sono espressi in senso contrario, affermando la competenza del secondo, sulla base dell'appartenenza del respingimento al più ampio genus dei provvedimenti di espulsione, nonché sull'inerenza dell'istituto in esame alla materia coperta dall'articolo 13 della Costituzione, in quanto misura incidente sulla libertà personale (54). In conclusione:

La attuale divergenza di opinioni tra i giudici di pace ed il giudice amministrativo, che escludono a vicenda la propria giurisdizione, si traduce così nella negazione sostanziale del diritto di difesa degli immigrati destinatari dei provvedimenti di respingimento differito, anche a fronte del mancato riconoscimento di un qualunque effetto sospensivo ai ricorsi avverso i provvedimenti di accompagnamento alla frontiera. (55)

Infine, si ricorda che il respingimento deve essere eseguito mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, ma qualora questo non sia possibile, è previsto che lo straniero respinto possa essere trattenuto, al pari dello straniero espulso, presso i centri di identificazione ed espulsione, nonché in caso di indisponibilità di questi ultimi, gli può essere intimato di lasciare il territorio nazionale nel termine di cinque giorni, ex articolo 14, comma 5 bis T.U. Immigrazione. In particolare in riferimento al provvedimento che dispone il trattenimento, per il quale è necessaria la convalida del giudice di pace, è stato notato che la cognizione di quest'ultimo sembra non estendersi, a differenza di quanto avviene in caso di espulsione, alla sussistenza dei presupposti per l'adozione del respingimento (56), il quale rimane quindi sostanzialmente privo di tutela giurisdizionale.

3. Le espulsioni

L'ordinamento italiano prevede un sistema articolato di fattispecie espulsive, che si differenziano in ordine all'autorità competente a disporle, nonché ai presupposti che ne legittimano l'adozione.

Sotto il primo profilo si distinguono le espulsioni amministrative, a loro volta suddivise in espulsione ministeriale ed espulsione prefettizia, da quelle giudiziali, che comprendono l'espulsione come misura di sicurezza, le espulsioni come misura sostitutiva e alternativa alla detenzione.

3.1 Espulsioni ministeriali

La principale ipotesi di espulsione ministeriale è quella prevista dall'articolo 13 comma 1 del T.U. Immigrazione, alla quale si è successivamente aggiunta la fattispecie disciplinata dall'articolo 3 comma 1 del D.L. 27 luglio 2005, N. 144 (c.d. "decreto Pisanu"), convertito con modificazioni in L. 31 luglio 2005, N. 155 ("Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale").

Ai sensi del primo comma dell'articolo 13 del TU il Ministro dell'Interno, previa comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli Affari Esteri, "può disporre l'espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato", per "motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato". Come è stato da più parti sottolineato (57), il carattere marcatamente politico di tale fattispecie espulsiva è reso evidente sia in considerazione dei soggetti coinvolti, anche se solo a titolo informativo, nella procedura di espulsione (il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro degli Affari Esteri), sia dell'ampio margine di discrezionalità lasciato all'autorità competente nella decisione. Il fatto che la legge dica espressamente che il Ministro può disporre l'espulsione mette in risalto come la decisione di adottare il decreto espulsivo sia qualificata direttamente dalla norma come discrezionale. Non si tratta infatti della mera verifica della sussistenza di determinati presupposti in presenza dei quali l'adozione dell'atto si configurerebbe come dovuta, ma di una "libera determinazione del ministro" (58), che "pur in presenza dei presupposti che ne legittimerebbero l'esercizio, ha comunque il potere di decidere in maniera autonoma ed insindacabile di non darvi corso" (59). Gli stessi presupposti della decisione del Ministro non sono definiti in modo stringente dalla legge; al contrario essi si rivelano formule dai contorni incerti, la cui definizione è in larga parte lasciata all'interprete, che in questo caso è in primo luogo il Ministro stesso. Nel criticare l'eccessiva indeterminatezza dei presupposti fondativi della tipologia di espulsione in esame, ordine pubblico e sicurezza dello Stato, parte della dottrina ha cercato di fornire una lettura degli stessi che fosse in qualche modo capace di renderne più chiari i contorni, ribadendone però la vaghezza. Alcuni autori (60), in particolare, per circoscrivere il significato di ordine pubblico hanno fatto riferimento alla definizione fornita dal comma 2 dell'articolo 159 del D.Lgs. del 31 marzo 1998, n. 112, che si riferisce all'ordine pubblico come al "complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni". Proprio in relazione all'interpretazione da dare alla suddetta formula legislativa è poi intervenuta la Corte Costituzionale, che, con la sentenza del 25 luglio 2001, n. 290 ha stabilito che:

L'art. 159, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998 precisa che le funzioni e i compiti amministrativi relativi all'ordine pubblico e alla sicurezza pubblica concernono le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni. È opportuno chiarire che tale definizione nulla aggiunge alla tradizionale nozione di ordine pubblico e sicurezza pubblica tramandata dalla giurisprudenza di questa Corte, nella quale la riserva allo Stato riguarda le funzioni primariamente dirette a tutelare beni fondamentali, quali l'integrità fisica o psichica delle persone, la sicurezza dei possessi ed ogni altro bene che assume primaria importanza per l'esistenza stessa dell'ordinamento. È dunque in questo senso che deve essere interpretata la locuzione "interessi pubblici primari" utilizzata nell'art. 159, comma 2: non qualsiasi interesse pubblico alla cui cura siano preposte le pubbliche amministrazioni, ma soltanto quegli interessi essenziali al mantenimento di una ordinata convivenza civile. Una siffatta precisazione è necessaria ad impedire che una smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico si converta in una preminente competenza statale in relazione a tutte le attività che vanificherebbe ogni ripartizione di compiti tra autorità statali di polizia e autonomie locali. (61)

Facendo riferimento all'articolo 159 del D.Lgs. del 31 marzo 1998, n. 112 e alla citata sentenza della Corte Costituzionale è possibile dare una definizione meno vaga del bene giuridico tutelato dall'espulsione ministeriale. Rimane il problema che una misura espulsiva è di per sé lesiva di un bene giuridico, la libertà personale, altrettanto meritevole di tutela. Autorevole dottrina (62) ha in proposito sottolineato come sia necessario che i motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato che possono fondare l'emanazione da parte del Ministro degli Interni del decreto di espulsione, debbano sostanziarsi in una condotta riferibile allo straniero interessato, poiché in caso contrario si violerebbe il principio di legalità, principio generale dell'ordinamento, che non necessita per la sua vigenza di espressa statuizione da parte delle singole norme di legge. Accogliendo la ricostruzione proposta da Centonze si ritiene che sia necessaria la compresenza di tre condizioni che permettono di imputare la situazione di allarme per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato allo straniero:

  1. che la situazione di pericolo si sia concretamente verificata e non sia meramente supposta. È questo il principio di offensività , espresso dal brocardo nullum crimen sine iniura;
  2. che siffatta situazione sia stata determinata da una condotta dello straniero. A tal uopo non è sufficiente che il proposito di attentare alle istituzioni resti nell'interno psichico dell'agente, ma è necessario che si sostanzi nella realtà attraverso fatti oggettivamente valutabili come pericolosi o dannosi. Pertanto è onere del Ministro di indicare precisamente in cosa consiste la lesione o minaccia dei beni che la norma tende a tutelare. È questo il principio di materialità (nullum crimen sine actione);
  3. che la situazione di pericolo verificatasi sia dall'agente prevista e voluta come conseguenza della propria azione. È questo il principio di soggettività (nullum crimen sine culpa) (63)

Poiché l'istituto in esame ha sempre avuto scarsa applicazione, vi sono state poche occasioni per il T.A.R. del Lazio, unico tribunale competente in materia di espulsione ministeriale ex articolo 13 comma 1 T.U. Immigrazione, di pronunciarsi. Lo ha fatto in particolare la Sezione I-ter T.A.R. Lazio con sentenza 11 novembre 2004, n. 15336, Rel. De Bernardi, con la quale il collegio, accogliendo il ricorso dell'interessato, ha annullato il decreto ministeriale di espulsione. In tale occasione, il T.A.R. del Lazio ammette in via generale che "il Ministro dell'Interno è indubbiamente abilitato ad individuare i comportamenti dello straniero che possono rivelarsi indici di pericolo per gli interessi primari tutelati dalla norma attributiva del potere", e che, "la necessità di tutelare il bene fondamentale rappresentato dalla conservazione delle basi del sistema che garantisce l'ordinato svolgersi dell'intera vita sociale (ché di questo, in buona sostanza, si tratta) può legittimamente comportare la compressione di (altri) valori di rango costituzionale". Nonostante ciò, secondo il collegio si deve avere specifico riguardo alla condotta dello straniero, la cui lesività deve essere dimostrata dal Ministro, non essendo sufficiente un'esternazione di pensiero, come tale libera manifestazione garantita dalla Costituzione, ma richiedendosi una condotta esterna lesiva del bene dell'ordine pubblico.

Un'altra particolarità della fattispecie di espulsione ministeriale, che ne mette ulteriormente in evidenza l'eccezionalità, è che essa può essere disposta anche nei confronti di quelle categorie di soggetti che non possono essere destinatari di altri provvedimenti espulsivi, siano essi amministrativi o giudiziali. Infatti l'articolo 19 del TU - rubricato "Divieti di espulsione e respingimento - al secondo comma, laddove vengono elencati i soggetti nei cui confronti non è possibile disporre provvedimenti di espulsione (64), fa salvi i casi previsti dall'articolo 13 comma 1.

Non ha alcuna rilevanza, ai fini dell'applicabilità della misura, la regolarità o meno della presenza dello straniero nel territorio italiano, potendo essere disposta anche nei confronti dei titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornati di lungo periodo; l'articolo 9 del T.U. Immigrazione, che disciplina quest'ultimo tipo di titolo di soggiorno, prevede, infatti, al comma 10 che:

Nei confronti del titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, l'espulsione può essere disposta:

a) per gravi motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato; b) nei casi di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155; c) quando lo straniero appartiene ad una delle categorie indicate all'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ovvero all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, sempre che sia stata applicata, anche in via cautelare, una delle misure di cui all'articolo 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55 (65).

Permane, al contrario, il divieto stabilito dal primo comma dello stesso articolo 19, espressione del generale principio di non-refoulement, che impone di tutelare l'individuo dal rischio di persecuzione nel quale potrebbe incorrere se rinviato nel paese di provenienza.

La seconda fattispecie di espulsione di competenza del Ministro degli Interni (66) è quella prevista dall'articolo 3 comma 1 del D.L. 27 luglio 2005, n. 144 (c.d. "decreto Pisanu"), convertito con modificazioni in L. 31 luglio 2005, n. 155 ("Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale").

Oltre a quanto previsto dagli articoli 9, comma 5 (67), e 13, comma 1, del decreto legislativo n. 286 del 1998 il Ministro dell'interno o, su sua delega, il prefetto può disporre l'espulsione dello straniero appartenente ad una delle categorie di cui all'articolo 18 della legge 22 maggio 1975, n. 152 (68), o nei cui confronti vi sono fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali. (69)

In questo caso è lo stesso decreto legge 144 del 2005 a dare una definizione delle azioni con finalità di terrorismo, inserendo nel codice penale l'articolo 270-sexies che stabilisce:

Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia (70).

Il c.d. 'decreto Pisanu' è stato emanato in seguito agli attentati del luglio 2005 a Londra, che hanno destato grave allarme nei governi e nell'opinione pubblica europea. È perciò maturato in un contesto emergenziale, che ha fatto sì che la conversione in legge avvenisse a pochissimi giorni di distanza dall'approvazione del decreto, cosa piuttosto inusuale per il nostro Paese. Dell'eccezionalità delle misure adottate, che importano un grave sacrificio delle garanzie normalmente poste a tutela dell'individuo, mostra di avere totale consapevolezza lo stesso legislatore, il quale, infatti, ne ha previsto, per alcune, la transitorietà.

Come è stato autorevolmente sostenuto (71), la fattispecie espulsiva prevista dal cd "decreto Pisanu" è disciplinata in modo tale da escludere deliberatamente qualsiasi forma di controllo giurisdizionale. In primo luogo il comma 2 dell'articolo 3 del dall'articolo 3 comma 1 della legge 31 luglio 2005, n. 155 stabilisce che, salvo si tratti di persona detenuta, l'espulsione sia eseguita immediatamente, esplicitamente derogando a quanto previsto dai commi 3 e seguenti dell'articolo 13 T.U. Immigrazione, in merito alla richiesta di nulla - osta all'espulsione dell'autorità giudiziaria. Quest'ultima disposizione non è attualmente in vigore, poiché, come stabilito al comma 6 del medesimo articolo, essa, insieme a quella del comma 5 (72), era applicabile fino al 31 dicembre 2007. Per nulla transitoria è invece la disposizione del quarto comma dell'articolo 3 della legge 31 luglio 2005, n. 155, il quale, stabilendo la competenza esclusiva del T.A.R. del Lazio per i ricorsi avverso l'espulsione, afferma che la proposizione del ricorso "in nessun caso può sospendere l'esecuzione del provvedimento". Per evitare che il giudice eventualmente adito si potesse valersi dello strumento della sospensione cautelare del provvedimento impugnato, in sede di conversione del decreto, il Legislatore si è preoccupato di aggiungere il successivo comma 4-bis che recita: "nei confronti dei provvedimenti di espulsione, di cui al comma 1, adottati dal Ministro dell'interno, o su sua delega, non è ammessa la sospensione dell'esecuzione in sede giurisdizionale ai sensi dell'articolo 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, o dell'articolo 36 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642".

3.2 Espulsione prefettizia

L'espulsione di competenza del Prefetto, i cui presupposti sono individuati dall'articolo 13 comma 2 e comma 2-bis T.U. Immigrazione, è l'istituto centrale dell'intero sistema, rappresentando, insieme al respingimento alla frontiera, il canale attraverso il quale il legislatore ha inteso gestire l'irregolarità; infatti, anche secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale con ordinanza 25 ottobre - 9 novembre 2000, n. 485, l'espulsione amministrativa di cui al comma 2, articolo 13 T.U. Immigrazione "è preordinata ad assicurare una razionale gestione dei flussi di immigrazione nel nostro Paese".

A differenza dell'espulsione disposta dal ministro, che ha carattere discrezionale, quella del Prefetto è un'attività vincolata (73), dovendo egli, emanare il decreto espulsivo al verificarsi di determinati presupposti; anche laddove esiste un margine di apprezzamento discrezionale, il carattere di atto dovuto non viene meno; infatti, poiché "è la legge stessa che impone la valutazione di determinati requisiti soggettivi dello straniero, tale attività si configura come accertamento di fatto (di cui si deve dar conto nella motivazione del provvedimento), nell'ambito di un'attività comunque vincolata" (74).

3.2.1 Presupposti dell'espulsione prefettizia

Le ipotesi espulsive hanno carattere tassativo, in rispetto del principio di legalità, con la naturale conseguenza che l'espulsione non può essere disposta nei confronti dello straniero che non si trovi in una delle situazioni previste dalla legge (75).

Secondo la previgente formulazione del comma 2 dell'articolo 13 T.U. Immigrazione:

L'espulsione è disposta dal Prefetto quando lo straniero:

  1. è entrato nel territorio dello stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto ai sensi dell'articolo 10;
  2. si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all'articolo 27, comma 1-bis, o senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo;
  3. appartiene a taluna delle categorie indicate nell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'articolo 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, o nell'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646.

Mentre le prime due lettere riguardano soltanto gli stranieri irregolarmente presenti, in seguito a ingresso irregolare nell'ipotesi sub a), ovvero a ingresso regolare seguito da permanenza irregolare nell'ipotesi sub b), l'ipotesi sub c) può riguardare anche gli stranieri titolari di permesso di soggiorno (76) che siano considerati pericolosi. In base al richiamo all'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, gli stranieri destinatari dell'espulsione di cui alla lettera c), del comma 2, dell'articolo 13 T.U. Immigrazione, sono coloro a cui sarebbe astrattamente applicabile una misura di prevenzione. A differenza di queste ultime, però, l'espulsione in discorso, non è circondata delle medesime garanzie. In particolare, il controllo giurisdizionale, che per le misure di prevenzione è necessario e preventivo, è qui soltanto eventuale e successivo, nel senso che l'interessato può proporre ricorso, ma poiché la proposizione del ricorso non sospende l'efficacia del provvedimento espulsivo, può accadere che questo sia eseguito in pendenza dei termini per l'impugnazione. È evidente che la possibilità per lo straniero espulso di presentare ricorso personalmente tramite le rappresentanze diplomatiche italiane nel paese di origine, si rivela nei fatti molto difficoltosa, rendendo l'interessato sostanzialmente privo di tutela avverso una misura estremamente gravosa, che può essere adottata anche nei confronti degli stranieri muniti di titolo di soggiorno.

Nel caso l'espulsione di cui alle lettere a) e b) debba essere disposta nei confronti dello straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, ovvero del familiare ricongiunto (77), il prefetto deve, secondo quanto stabilito dal comma 2-bis, dello stesso articolo 13, tenere conto di una serie di altri elementi, ossia: "della natura e dell'effettività dei vincoli familiari dell'interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine". Di tale valutazione il prefetto dovrà dar conto nella motivazione del decreto di espulsione.

3.2.2 Requisiti del decreto prefettizio di espulsione

La motivazione del provvedimento, sempre obbligatoria, assume particolare rilevanza nei casi in cui residua un, seppur limitato, spazio di discrezionalità dell'autorità amministrativa nel disporre l'espulsione dello straniero, quindi nei casi di cui alla lettera c), del comma 2 e di cui al comma 2-bis, dell'articolo 13 T.U. Immigrazione. L'obbligo di motivare il decreto espulsivo discende dal principio secondo cui tutti gli atti della pubblica amministrazione che contengano determinazioni in grado di incidere negativamente sulle posizioni soggettive dei destinatari devono essere adeguatamente motivati (78). Secondo l'articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ("Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi"):

  1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria.
  2. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale.
  3. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama.
  4. In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere.

In base a quest'ultima norma la motivazione non può ridursi a mere formule di stile, ma deve essere tale da mettere l'interessato in condizione di verificare l'effettiva sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge che legittimano l'espulsione, così da poter eventualmente proporre ricorso avverso la decisione del prefetto. In caso di impugnazione, l'obbligo di motivazione assolve l'ulteriore funzione di permettere al giudice adito di esercitare il controllo giurisdizionale cui è preposto.

Oltre all'essere adeguatamente motivato, il contenuto del decreto di espulsione deve essere effettivamente conoscibile dal destinatario, che, poiché straniero potrebbe non comprendere sufficientemente la lingua italiana. A questo fine, il comma 7, dell'articolo 13 T.U. Immigrazione, impone che qualsiasi atto che riguardi l'ingresso, il soggiorno, o l'espulsione dello straniero, debba essere comunicato all'interessato in una lingua a lui conosciuta, ovvero, se questo non è possibile, in una delle cosiddette lingue veicolari, ossia in lingua francese, inglese o spagnola (79).

La conoscibilità del provvedimento, di cui la traduzione in lingua comprensibile dall'interessato è un presupposto, è dunque preposta al pieno esercizio del diritto di difesa, che, in quanto diritto fondamentale della persona, spetta allo straniero anche se irregolarmente soggiornante (80). In seguito a questa affermazione di principio, la Corte Costituzionale, prosegue affermando che ciò che deve essere in concreto verificato è il raggiungimento dello scopo dell'atto, ossia l'esercizio del diritto di difesa. Il che significa, sempre secondo la Corte nella sentenza 8-16 giugno 2000, n. 198, che, in caso di omissione della traduzione della motivazione da parte del prefetto, sarà il giudice di merito a dover valutare se nel caso specifico lo scopo dell'atto sia stato o meno raggiunto. La conseguenza nel caso di totale mancanza della traduzione, secondo consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, è l'insanabile nullità dell'atto. Infatti, secondo la Suprema Corte, poiché la ratio della traduzione sta nel "consentire allo straniero la comprensione della misura e l'apprestamento della difesa", essa "si configura come condizione di validità del provvedimento", e, inoltre

l'emissione del provvedimento stesso in lingua italiana accompagnato dalla traduzione in lingua inglese presuppone, a pena di nullità del decreto, l'acquisizione della prova della conoscenza da parte dello straniero di tali lingue, ovvero la giustificazione della impossibilità di traduzione in una lingua a lui conosciuta, senza che possa configurarsi la sanatoria della nullità in caso di proposizione del ricorso avverso il provvedimento di cui si tratta. (81)

3.2.3 Rapporto tra espulsione e processo penale: il nulla-osta dell'autorità giudiziaria e la "condizione di non procedibilità atipica" dell'avvenuta espulsione

Nel caso lo straniero espellendo si trovi sottoposto a procedimento penale, per l'esecuzione dell'espulsione il questore, ai sensi del comma 3 dell'articolo 13 T.U. Immigrazione è tenuto a richiedere l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria. Il procedimento per il rilascio del nullaosta, introdotto fin dalla formulazione originaria del T.U. Immigrazione, ma dettagliatamente disciplinato con la legge 30 luglio 2002, n. 189, ben rappresenta la prevalenza, nelle intenzioni del legislatore, dell'interesse dello Stato all'allontanamento dello straniero, non solo rispetto all'esigenza di salvaguardare la pienezza del diritto di difesa dell'individuo sottoposto a procedimento penale, ma anche nei confronti dello stesso interesse punitivo dello Stato nei confronti di chi sia stato condannato per la commissione di un reato.

Mentre nella formulazione originaria non vi era una specificazione di quali fossero le "inderogabili esigenze processuali" in presenza delle quali, secondo il comma 3 dell'articolo 13 T.U. Immigrazione, l'autorità giudiziaria poteva negare il nullaosta all'espulsione, con le modifiche apportate dalla legge "Bossi-Fini", queste sono state circoscritte all'accertamento della responsabilità di soggetti terzi o all'interesse della persona offesa dal reato (82). L'aver elencato le esigenze che possono dar luogo a rigetto della richiesta di nullaosta ha chiaramente il senso di escludere che quest'ultimo possa essere negato in tutte le altre situazioni (83), prima fra tutte, la volontà di partecipazione al processo dell'imputato (ma lo stesso vale per la persona offesa dal reato). L'interesse che lo straniero sottoposto a procedimento penale può avere ad un accertamento nel merito della propria responsabilità in relazione ai fatti contestatagli viene così sacrificata, con un'evidente compressione dei diritti di rango costituzionale sanciti negli articoli 24 e 111 della Costituzione (84). L'unica strada percorribile per lo straniero (imputato o persona offesa) che intenda partecipare al processo, è quella angusta delineata dall'articolo 17 T.U. Immigrazione, che prevede l'autorizzazione al rientro rilasciata dal questore, in presenza di una richiesta inoltrata anche per il tramite delle rappresentanza diplomatiche e consolari. Tale autorizzazione è, però, limitata al "tempo strettamente necessario" all'esercizio del diritto di difesa, ed è rilasciata all'unico fine di partecipare al giudizio o al compimento di atti per i quali è necessaria la presenza dello straniero espulso (85). Senza considerare che una volta che l'espulsione sia stata eseguita, essa comporta una serie di effetti difficilmente reversibili: infatti è altamente improbabile che lo straniero espulso si trovi nella disponibilità delle informazioni e dei mezzi necessari a presentare la richiesta per il tramite delle rappresentanze diplomatiche o consolari all'estero, né è facile immaginare che sia il difensore, per lo più designato d'ufficio, ad attivarsi per rintracciare lo straniero e dare corso alla richiesta di rientro.

La finalità perseguita dal legislatore di rimuovere tutti i possibili ostacoli (86) che si frappongono all'espulsione dello straniero, è resa ulteriormente evidente dall'inedita introduzione nel processo penale di un meccanismo tipicamente proprio delle pubbliche amministrazioni: il silenzio - assenso. La legge prevede, infatti, che decorsi sette giorni (87) dalla richiesta del questore, senza che l'autorità giudiziaria si sia pronunciata, il nulla osta si intenda concesso. La previsione di un nullaosta all'espulsione tacito è stata fortemente criticata in relazione alla rispondenza ai principi costituzionali sotto due profili. In primo luogo, poiché l'avvenuta espulsione dello straniero per il quale non sia stato ancora disposto il giudizio comporta la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere, di conseguenza il nullaosta all'espulsione ha conseguenze giurisdizionali, e rientra dunque tra i provvedimenti giurisdizionali che, ai sensi dell'articolo 111 della Costituzione, devono essere motivati. In secondo luogo, nei confronti dello straniero sottoposto a misura cautelare, diversa dalla custodia in carcere, il nullaosta incide sui provvedimenti limitativi della libertà personale che devono essere scritti e motivati, ai fini dell'impugnabilità in Cassazione ex articolo 113 della Costituzione (88).

A conclusione della breve panoramica fin qui svolta sull'istituto del nullaosta all'espulsione, si ricorda che questo non può essere richiesto nel caso in cui l'imputato si trovi in stato di custodia cautelare in carcere, mentre non sono escluse le ipotesi di applicazione delle altre misure cautelari personali (come ad esempio la misura degli arresti domiciliari) (89).

Strettamente connessa all'istituto del nullaosta è la previsione del comma 3-quater dello stesso articolo 13 T.U. Immigrazione, che stabilisce:

Nei casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter, il giudice, acquisita la prova dell'avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. È sempre disposta la confisca delle cose indicate nel secondo comma dell'articolo 240 del codice penale. Si applicano le disposizioni di cui ai commi 13, 13-bis, 13-ter e 14.

Lo Stato sostanzialmente rinuncia ad esercitare l'azione penale (90) nei confronti dello straniero per cui vi sia prova dell'avvenuta espulsione, venendosi a configurare quest'ultima, secondo quando affermato anche dalla Corte Costituzionale (91), come una causa di non procedibilità atipica. La Corte, nel respingere le eccezioni di incostituzionalità sollevate dai giudici remittenti, dichiarandole manifestamente inammissibili in relazione all'articolo 3 della Costituzione, e manifestamente infondate in relazione all'articolo 24 della Costituzione, configura la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere come un "beneficio" nei confronti dello straniero espulso, in ragione della rinuncia dello Stato alla propria pretesa punitiva (92). La Corte conclude affermando che

è del tutto priva di fondamento la pretesa del rimettente di veder rimosso, sic et simpliciter ed in termini generali, il "beneficio" dell'improcedibilità, in nome di un ipotetico ed astratto interesse dell'imputato ad affrontare il processo al fine di conseguire un proscioglimento nel merito: interesse che l'imputato potrebbe bene non avere [...]

Quest'ultima considerazione appare criticabile nel senso che, se è vero che l'imputato potrebbe non avere alcun interesse ad un proscioglimento nel merito, che la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere preclude, ma è altrettanto vero che nel caso in cui l'imputato avesse un simile interesse la legge non gli riconosce la facoltà di manifestarlo.

Se lo straniero espulso, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere rientra nel territorio nazionale prima che sia decorso il termine del divieto di reingresso previsto dal comma 14 dell'articolo 13 T.U. Immigrazione, ovvero, se di durata maggiore, prima del maturare della prescrizione per il reato più grave, si applica l'articolo 345 del codice di procedura penale (93) e, nel caso fosse stato scarcerato per decorrenza termini, la custodia cautelare, a norma dell'articolo 307 del codice di procedura penale (94), è ripristinata (95).

3.3 Espulsioni disposte dal giudice

L'ordinamento italiano prevede tre tipologie di espulsione disposte dall'autorità giudiziaria: l'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione e l'espulsione come misura di sicurezza. Quest'ultima, potendo essere disposta soltanto in seguito ad una condanna penale, l'espulsione come misura di sicurezza è l'unica delle espulsioni disposte dal giudice la cui riconducibilità alla sfera di applicazione della deroga di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera b) della direttiva 2008/115/CE (la cui incidenza nell'ordinamento italiano è oggetto del presente lavoro) non è stata messa in discussione (96). Pertanto ci si limita a segnalare l'espulsione come misura di sicurezza è prevista dal codice penale e da altre previsioni speciali. In particolare: dagli articoli 235 e 312 del codice penale (97), dall'articolo 86 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) (98) e dall'articolo 15 T.U. Immigrazione (99).

3.3.1 Espulsione come misura sostitutiva o alternativa alla detenzione

Entrambe disciplinate dall'articolo 16 T.U. Immigrazione, la prima risale alla versione originaria del testo unico (anche se un'ipotesi applicativa è stata recentemente inserita dalla legge 15 luglio 2009, n. 94) mentre la seconda è stata introdotta dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.

Prima dell'entrata in vigore del decreto - legge 23 giugno 2011, n. 89 convertito con modificazioni in legge 2 agosto 2011, n. 129 (100), che ha modificato l'articolo 16 del T.U. Immigrazione l'espulsione come misura sostitutiva poteva essere disposta in due ipotesi, alle quali ora se ne è aggiunta una terza (101). In primo luogo, nel caso di sentenza di condanna per reato non colposo, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti ex articolo 444 del codice di procedura penale, il giudice, quando ritenga di dover applicare una pena detentiva nel limite di due anni, ed escluda la sospensione condizionale della pena ex articolo 163 del codice penale può disporre l'espulsione in sostituzione della pena detentiva; la seconda ipotesi è stata introdotta contestualmente al reato di 'clandestinità', di cui all'articolo 10-bis, la cui sanzione pecuniaria può essere sostituita dal giudice con l'espulsione. Poiché la competenza per il reato di 'clandestinità' è attribuita al Giudice di pace, il legislatore ha introdotto l'articolo 62-bis nel d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, così consentendo anche al giudice non togato di applicare la misura dell'espulsione, in sostituzione della pena.

La misura è applicabile soltanto ai cittadini stranieri (o agli apolidi) in condizione di irregolarità (102), in ragione del richiamo all'articolo 13, comma 2 del T.U. Immigrazione, ed è esclusa nel caso la condanna riguardi uno dei reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale ovvero uno dei reati previsti dallo stesso T.U. Immigrazione, per cui sia prevista una pena edittale superiore nel massimo a due anni. Nel caso dei reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale, la ratio dell'esclusione è evidentemente la prevalenza dell'interesse all'effettiva espiazione della pena, in ragione della gravità dei reati commessi, meno chiaro è il motivo che ha spinto il legislatore ad escludere i reati previsti nel T.U. Immigrazione, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni (103). Non devono, inoltre, ricorrere le condizioni ostative di cui all'articolo 14, comma 1. A norma del comma 2, dell'articolo 16 T.U. Immigrazione, l'esecuzione della misura è affidata al questore, che procede anche nel caso di condanna con sentenza non definitiva. Anche in questa ipotesi espulsiva, lo straniero non può fare nuovamente ingresso nel territorio nazionale la durata del divieto di cui al comma 14 dell'articolo 13. In caso di trasgressione, oltre alla commissione del reato di cui all'articolo 13, comma 13-bis T.U. Immigrazione, lo straniero va incontro anche alla revoca dell'espulsione, con reviviscenza della pena sostituita (104). La competenza per la revoca è del giudice di cognizione in veste di giudice dell'esecuzione (105).

La legge 30 luglio 2002, n. 189, ha introdotto l'altra tipologia di espulsione disciplinata dall'articolo 16 T.U. Immigrazione, che riguarda lo straniero identificato e detenuto (106), che debba scontare una pena, anche se residua, non superiore ai due anni. La finalità perseguita dal legislatore mediante l'introduzione dell'istituto in discorso era quella di soddisfare un'esigenza deflattiva del sistema carcerario, caratterizzato da uno strutturale sovraffollamento (107). Anche nel caso dell'espulsione come misura alternativa, lo straniero deve trovarsi in una delle condizioni indicate dall'articolo 13, comma 2 del T.U. Immigrazione, quindi in situazione di irregolarità, inoltre, la condanna non deve riguardare uno dei reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale, ovvero uno dei delitti dello stesso testo unico. La competenza a disporre l'espulsione come misura alternativa è del magistrato di sorveglianza, che decide con decreto motivato, senza formalità una volta acquisite le informazioni degli organi di polizia sull'identità e sulla nazionalità dello straniero. Quest'ultimo, può, entro il termine di dieci giorni dall'avvenuta comunicazione, proporre opposizione davanti al tribunale di sorveglianza, che decide nel termine di venti giorni. L'esecuzione della misura, affidata al questore con la modalità dell'accompagnamento coattivo, è sospesa fino alla decorrenza dei termini per l'impugnazione, o fino alla decisione del tribunale; nel frattempo permane lo stato di detenzione (108). Secondo il comma 8 dell'articolo 16 T.U. Immigrazione, se lo straniero rientra illegittimamente nel territorio italiano prima dello scadere del termine di dieci anni (che comporta l'estinzione della pena), lo stato di detenzione è ripristinato e riprende l'esecuzione della pena.

Ai sensi del comma 9, l'espulsione sostitutiva o alternativa alla detenzione non si applica nei casi previsti dall'articolo 19 T.U. Immigrazione, valgono quindi gli stessi divieti espulsivi che interessano l'espulsione prefettizia.

Dopo un rapido esame dei presupposti e della disciplina delle due fattispecie espulsive contenute nell'articolo 16, è necessario soffermarsi sulle due ordinanze della Corte costituzionale, che, prima per l'una poi per l'altra, ne hanno affermato la natura amministrativa al di là del nomen juris scelto dal legislatore, vista la particolare importanza che la questione riveste ai fini di questo lavoro (109).

L'ordinanza 14 - 28 luglio 1999, n. 369 della Corte costituzionale (110), riguardante l'espulsione a titolo di misura sostitutiva, è intervenuta a seguito dei dubbi di costituzionalità avanzati dai Pretori di Roma e Rimini, in relazione agli articoli 3, 25 comma 2, 27 commi 2 e 3, della Costituzione. Senza qui soffermarsi sulle specifiche cesure dei remittenti, ci si limita a segnalare che entrambi si sono mossi a partire dal presupposto della natura di istituto penale dell'espulsione come sanzione sostitutiva (111). La Corte costituzionale ha giudicato errato tale presupposto, sostenendo che l'espulsione in discussione, "non si può configurare come una sanzione criminale, ma come una misura amministrativa per i caratteri che assume" (112). Le argomentazioni della Corte sono così riassumibili: in primo luogo la norma qualifica l'espulsione come "misura"; in secondo luogo ne affida l'esecuzione all'autorità amministrativa, differentemente da quanto avviene per l'esecuzione della pena che è promossa dal Pubblico Ministero; in terzo luogo sono richiamate le condizioni che costituiscono il presupposto sostanziale dell'espulsione amministrativa; infine, "dal punto di vista sostanziale siffatta misura solo indirettamente riveste un contenuto afflittivo, posto che il suo effetto tipico si risolve nell'allontanamento dal territorio dello Stato" (113), di soggetti che dovrebbero essere espulsi in via amministrativa.

In conclusione:

le caratteristiche formali e sostanziali dell'espulsione dello straniero devono far escludere che quest'ultima, [...] , possa farsi rientrare nel genus delle sanzioni penali, sebbene la circostanza per cui l'espulsione sia disposta dal giudice investito di un'azione penale ne metta in risalto il carattere assolutamente peculiare rispetto ad altre ipotesi, pur presenti nel nostro ordinamento, in cui il giudice penale è chiamato ad applicare misure di natura amministrativa. (114)

L'ordinanza appena citata è stata oggetto di specifico richiamo da parte della stessa Corte costituzionale, chiamata a valutare la conformità a Costituzione della seconda delle fattispecie espulsive di cui trattasi: l'espulsione come misura alternativa di cui all'articolo 16, comma 5 T.U. Immigrazione. Con ordinanza 8 - 15 luglio 2004, n. 226, la Corte ha affermato di non volersi discostare dall'interpretazione precedentemente accolta in relazione all'espulsione come misura sostitutiva, sostenendo anche in questo caso la natura amministrativa dell'istituto in discussione

posto che anche tale misura è subordinata alla condizione che lo straniero si trovi in taluna delle situazioni che costituiscono il presupposto dell'espulsione amministrativa disciplinata dall'art. 13, alla quale si dovrebbe comunque e certamente dare corso al termine dell'esecuzione della pena detentiva, cosicché, nella sostanza, viene solo ad essere anticipato un provvedimento di cui già sussistono le condizioni. (115)

Note

1. Articolo 3, comma 4, T.U. Immigrazione.: "Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il Comitato di cui all'articolo 2-bis, comma 2, la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e le competenti Commissioni parlamentari, sono annualmente definite, entro il termine del 30 novembre dell'anno precedente a quello di riferimento del decreto, sulla base dei criteri generali individuati nel documento programmatico, le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e per lavoro autonomo, tenuto conto dei ricongiungimenti familiari e delle misure di protezione temporanea eventualmente disposte ai sensi dell'articolo 20. Qualora se ne ravvisi l'opportunità, ulteriori decreti possono essere emanati durante l'anno. I visti di ingresso ed i permessi di soggiorno per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e per lavoro autonomo, sono rilasciati entro il limite delle quote predette. In caso di mancata pubblicazione del decreto di programmazione annuale, il Presidente del Consiglio dei Ministri può provvedere in via transitoria, con proprio decreto, nel limite delle quote stabilite per l'anno precedente".

2. K. Calavita, La dialettica dell'inclusione degli immigrati nell'età dell'incertezza: il caso dell'Europa Meridionale, in "Studi sulla questione criminale", 2007, 1, p. 33.

3. L'alloggio è idoneo se rientra nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

4. Il contratto di soggiorno, introdotto con la legge 30 luglio 2002, n. 189, ha un contenuto obbligatorio e necessario, in mancanza del quale il contratto non è valido. Il datore di lavoro deve, in particolare, garantire allo straniero la disponibilità di un alloggio idoneo e impegnarsi al pagamento delle spese di rientro nel Paese di provenienza. Il contratto viene stipulato dopo l'ingresso dello straniero in Italia presso lo Sportello Unico gestito dalle Prefetture.

5. In particolare, la Questura verifica che non vi siano cause ostative all'ingresso, la Direzione Provinciale del Lavoro che il contratto proposto dal datore di lavoro sia congruente al contratto nazionale applicato alla tipologia di lavoro richiesta. E. Zanrosso, Diritto dell'immigrazione - Manuale pratico in materia di ingresso e condizione degli stranieri in Italia, Napoli, Simoni, 2010.

6. Il discorso non cambia nel caso del lavoro domestico: anche una famiglia che abbia necessità di assumere colf o badanti normalmente deve far fronte ad un'esigenza contingente, e non può permettersi di attendere mesi, oltre, naturalmente, al fatto che questo tipo di lavoro è connotato da un forte rapporto fiduciario, che difficilmente si può pensare si instauri con qualcuno che il datore di lavoro non ha mai visto.

7. E. Santoro, Dalla cittadinanza inclusiva alla cittadinanza escludente: il ruolo del carcere nel governo delle migrazioni, in "Diritto e questioni pubbliche", 2006, n. 6, p. 48-49.

8. Secondo quanto stabilito dal comma 2 dell'articolo 5 T. U. Immigrazione.

9. Corte di cassazione, Sezione I, sentenza n. 25360/2006; Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza n. 7688/2004; L. D'Ascia, Diritto degli stranieri e immigrazione - Percorsi giurisprudenziali, Milano, Guffrè, 2009.

10. Articolo 4 comma 3 T. U. Immigrazione.

11. Rigidità che, dopo l'introduzione del T. U. Immigrazione nel 1998, è stata resa sempre più stringente dalle riforme successive, attraverso, ad esempio, l'introduzione del contratto di soggiorno e l'abolizione dell'istituto della "sponsorizzazione", entrambe avvenute con la legge 189/2002. Quest'ultimo, del quale pure era stata fatta scarsa utilizzazione, era stato introdotto dal legislatore del 1998, per dare la possibilità ad un certo numero di stranieri, inscritti in apposite liste e che dimostrassero la disponibilità di mezzi di sostentamento sufficienti, di entrare in Italia per cercare un'occupazione, favorendo quindi un reale incontro tra domanda e offerta di mano d'opera.

12. In particolare i provvedimenti di regolarizzazione sono stati: con la legge 30 dicembre 1986, n. 943 sono state regolarizzati 105.000 stranieri; 217.626 con la legge 28 febbraio 1990, n. 39; 244.492 con il decreto - legge n. 493/95; 217.124 con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 ottobre 1998; 703.879 con la legge 30 luglio 2002, n. 189; ultima la sanatoria disposta con la legge 15 luglio 2009, n. 94, rivolta esclusivamente a colf e badanti: le domande presentate sono state 294.744, di cui secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero dell'interno, 215.255 accettate.

13. E. Santoro, "La regolamentazione dell'immigrazione come questione sociale: dalla cittadinanza inclusiva al neoschiavismo", in E. Santoro (a cura di), Diritto come questione sociale, Giappichelli, Torino, 2010, p. 142.

14. Ivi, p. 135.

15. Infatti, l'articolo 22, comma 11, T. U. Immigrazione stabilisce che: "La perdita del permesso di soggiorno non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario ed ai suoi familiari legalmente soggiornanti. Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto alle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore a sei mesi".

16. Così il comma 5, articolo 5, T. U. Immigrazione: "Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato...".

17. Articolo 10-bis T. U. Immigrazione: 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all'articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Al reato di cui al presente comma non si applica l'articolo 162 del codice penale. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano allo straniero destinatario del provvedimento di respingimento ai sensi dell'articolo 10, comma 1. 3. Al procedimento penale per il reato di cui al comma 1 si applicano le disposizioni di cui agli articoli 20-bis, 20-ter e 32-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274. 4. Ai fini dell'esecuzione dell'espulsione dello straniero denunciato ai sensi del comma 1 non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui all'articolo 13, comma 3, da parte dell'autorità giudiziaria competente all'accertamento del medesimo reato. Il questore comunica l'avvenuta esecuzione dell'espulsione ovvero del respingimento di cui all'articolo 10, comma 2, all'autorità giudiziaria competente all'accertamento del reato. 5. Il giudice, acquisita la notizia dell'esecuzione dell'espulsione o del respingimento ai sensi dell'articolo 10, comma 2, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Se lo straniero rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall'articolo 13, comma 14, si applica l'articolo 345 del codice di procedura penale. 6. Nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il procedimento è sospeso. Acquisita la comunicazione del riconoscimento della protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero del rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all'articolo 5, comma 6, del presente testo unico, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere.

18. L. Pepino, Le migrazioni, il diritto, il nemico. Considerazioni a margine della legge n. 94/2009, "Diritto immigrazione e cittadinanza", 2009, 4, p. 15.

19. C. Renoldi, I nuovi reati di ingresso e permanenza illegale dello straniero nel territorio dello Stato, "Diritto, immigrazione e cittadinanza", 2009, 4, p. 39.

20. G. L. Gatta, Il 'reato di clandestinità' e la riformata disciplina penale dell'immigrazione, "Diritto penale e processo", 2009, 11, p. 1331.

21. L. Ferrajoli, La criminalizzazione degli immigrati (Note a margine della legge n. 94/2009), "Questione giustizia", 2009, 5, pp. 9 e ss.

22. Si ricorda che con il decreto legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni, nella legge 24 luglio 2008, n. 125, era stato inserito il n. 11-bis nell'articolo 61 del codice penale, prevedendo come aggravante "l'avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale". La Corte costituzionale, con sentenza 8 luglio 2010, n. 249 ha dichiarato incostituzionale la suddetta aggravante.

23. G. L. Gatta, Il 'reato di clandestinità' e la riformata disciplina penale dell'immigrazione, cit., p. 1324.

24. C. Renoldi, I nuovi reati di ingresso e permanenza illegale dello straniero nel territorio dello Stato, cit., p. 57.

25. Intervento del Ministro Maroni, Audizione davanti al Comitato parlamentare sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione del 15 ottobre 2008, resoconto stenografico, p. 6, Camera dei deputati.

26. L. Cordì, "Il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato", in L. Degl'Innocenti (a cura di), Stranieri irregolari e diritto penale, Milano, Giuffré, 2011, pp. 341 e ss.

27. L'unico caso in cui il reato non si applica è quello del respingimento immediato alla frontiera ex articolo 10, comma 1 T.U. Immigrazione, "evitando il paradosso di contestare ad un soggetto fisicamente respinto un reato che implicherebbe la sua presenza nel processo penale davanti al giudice di pace" (P. Pisa, La repressione dell'immigrazione irregolare: un'espansione incontrollata della normativa penale?, "Diritto penale e processo", 2009, speciale 1, p. 6).

28. C. Renoldi, I nuovi reati di ingresso e permanenza illegale dello straniero nel territorio dello Stato, cit., p. 42.

29. L. Cordì, "Il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato", in L. Degl'Innocenti (a cura di), Stranieri irregolari e diritto penale, cit., p. 355.

30. C. Renoldi, I nuovi reati di ingresso e permanenza illegale dello straniero nel territorio dello Stato, cit., p. 47; L. Cordì, "Il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato", in L. Degl'Innocenti (a cura di), Stranieri irregolari e diritto penale, cit., p. 363.

31. C. Renoldi, "Le principali modifiche alle norme penali in materia di immigrazione", in Immigrazione e Cittadinanza - Profili normativi e ordinamenti giurisprudenziali, Wolters Kluwer Italia, 2009, p. 19.

32. L. Cordì, "Il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato", in L. Degl'Innocenti (a cura di), Stranieri irregolari e diritto penale, cit., p. 372.

33. M. Donini, Il cittadino extracomunitario da oggetto materiale a tipo d'autore nel controllo penale dell'immigrazione, "Questione giustizia", 2009, 1, pp. 101 e ss.

34. L. Masera, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte costituzionale, "Diritto, immigrazione e cittadinanza", 2010, 3, p. 47.

35. C. Mazzuccato, Il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato. La posizione della Corte Costituzionale e i persistenti dubbi di legittimità riguardo a una norma "lucidamente incoerente", "Gli stranieri. Rassegna di studi e giurisprudenza", 2010, 2, p. 131.

36. Giudice di pace di Torino, ordinanza 6 ottobre 2009, pubblicata in "Questione giustizia", 2009, 5, p. 169.

37. Sentenza 5 luglio 2010, n. 250, considerato in diritto n. 5.

38. Ivi, considerato in diritto n. 6.2.

39. L. Masera, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte costituzionale, cit., p. 49 (corsivi nel testo); nella medesima direzione C. Mazzuccato, Il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato. La posizione della Corte Costituzionale e i persistenti dubbi di legittimità riguardo a una norma "lucidamente incoerente", cit., p. 131, la quale afferma: "La decisione qui commentata esclude - forse davvero un po' troppo rapidamente e con eccessiva confidenza - l'aspetto su cui la dottrina si è invece lungamente spesa per segnalare la preoccupante distanza tra il reato 'di polizia' di cui all'art. 10-bis T.U. e la tradizione garantistica del 'volto costituzionale' del diritto penale: il rischio - se non la certezza - che la contravvenzione criminalizzi un 'tipo d'autore' anziché un fatto materiale concretamente offensivo".

40. Come già accennato, l'esame nel merito dei profili di incompatibilità tra l'articolo 10-bis del T.U. Immigrazione e le previsioni della Direttiva 2008/115/CE, sarà svolto in seguito (infra cap. VI, § 2), qui ci si limita a segnalare la scarsa attenzione prestata dalla Corte costituzionale al tema.

41. L. Masera, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte costituzionale, cit., p. 50.

42. Della clausola "senza giustificato motivo", presente nelle norme incriminatrici di cui all'articolo 14, commi 5-ter e 5-quater T.U. Immigrazione si dirà infra cap. III, § 2.1.3.

43. L. Masera, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte costituzionale, cit., p. 56.

44. G. Marra, Il trattamento penale dell'immigrato irregolare al vaglio della Corte costituzionale. Una decisione ragionevole per una norma irragionevole, "Gli stranieri", 2010, 2, p. 169.

45. In particolare l'articolo 7, comma 3, stabilisce: "All'ingresso e all'uscita, i cittadini di paesi terzi sono sottoposti a verifiche approfondite. a) La verifica approfondita all'ingresso comporta la verifica delle condizioni d'ingresso di cui all'articolo 5, paragrafo 1, nonché, se del caso, dei documenti che autorizzano il soggiorno e l'esercizio di un'attività professionale. Tale verifica comprende un esame dettagliato articolato nei seguenti elementi: i) l'accertamento che il cittadino di paese terzo sia in possesso di un documento non scaduto valido per l'attraversamento della frontiera e, all'occorrenza, che il documento sia provvisto del visto o del permesso di soggiorno richiesto; ii) la disamina approfondita del documento di viaggio per accertare la presenza di indizi di falsificazione o di contraffazione; iii) la disamina dei timbri d'ingresso e di uscita sul documento di viaggio del cittadino di paese terzo interessato al fine di accertare, raffrontando le date d'ingresso e di uscita, se tale persona non abbia già oltrepassato la durata massima di soggiorno autorizzata nel territorio degli Stati membri; iv) gli accertamenti relativi al luogo di partenza e di destinazione del cittadino di paese terzo interessato nonché lo scopo del soggiorno previsto e, se necessario, la verifica dei documenti giustificativi corrispondenti; v) l'accertamento che il cittadino di paese terzo interessato disponga di mezzi di sussistenza sufficienti sia per la durata e lo scopo del soggiorno previsto, sia per il ritorno nel paese di origine o per il transito verso un paese terzo nel quale è sicuro di essere ammesso, ovvero che sia in grado di acquisire legalmente detti mezzi; vi) l'accertamento che il cittadino di paese terzo interessato, i suoi mezzi di trasporto e gli oggetti da esso trasportati non costituiscano un pericolo per l'ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali di uno degli Stati membri. Tale accertamento comporta la consultazione diretta dei dati e delle segnalazioni relativi alle persone e, se necessario, agli oggetti inclusi nel SIS e negli archivi nazionali di ricerca nonché, se del caso, l'attuazione della condotta da adottare per effetto della segnalazione in questione".

46. Si veda supra cap. II, § 1.1.

47. In base al disposto dell'articolo 13, comma 13 del T. U. Immigrazione allo straniero espulso si applica un divieto di ingresso la cui violazione comporta la commissione di un reato, per cui si veda infra cap. III, § 2.2.

48. S. Centonze, L'espulsione dello straniero, cit., pp. 36-37.

49. Cass., Sez. I, n. 5267 del 2003; Cass., Sez. I, n. 13864 del 2001; Cass. Sez. I, n. 20668 del 2005.

50. P. Bonetti e A. Casadonte, "Ingresso, soggiorno e allontanamento", in B. Nascimbene (a cura di), Diritto degli stranieri, Padova, 2004, p. 280. Nello stesso senso: F. Vassallo Paleologo, Il respingimento differito disposto dal questore e le garanzie costituzionali, "Diritto, immigrazione e cittadinanza", 2009, 2; in senso contrario, sostiene sia "difficile configurare una reale situazione di incertezza normativa sull'ambito di operatività del respingimento", L. D'Ascia, Diritto degli stranieri e immigrazione, cit., p. 116.

51. P. Dubolino, "Le questioni proposte e talune possibili ragioni del 'no'", in R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Stranieri tra i diritti, Torino, 2001.

52. F. Vassallo Paleologo, cit., p. 19; A. Pugiotto, "Purché se ne vadano". La tutela giurisdizionale (assente o carente) nei meccanismi di allontanamento dello straniero, relazione al Convegno nazionale dell'Associazione Italiana Costituzionalisti, Lo statuto costituzionale del non cittadino, Cagliari, 16-17 ottobre 2009.

53. Cfr. Tribunale di Agrigento, decreto 26.3.2009 - est. Salvadori, pubblicato "Diritto, immigrazione e cittadinanza", cit., p. 194-195; Tribunale amministrativo regionale Friuli Venezia Giulia, 22.03.2003, n. 89.

54. In questo senso: Giudice di pace di Agrigento, decreto 26.09.2008 - est. Alioto, ivi; Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - sez. II, sentenza 7.4.2009, n. 668 - rel. Monetleone, ivi.

55. F. Vassallo Paleologo, Il respingimento differito disposto dal questore e le garanzie costituzionali, cit., p. 23.

56. P. Bonetti e A. Casadonte, "Ingresso, soggiorno e allontanamento", cit., p. 287-288.

57. P. Bonetti e A. Casadonte, "Ingresso, soggiorno e allontanamento", in B. Nascimbene (a cura di), Diritto degli stranieri, cit.; S. Centonze, L'espulsione dello straniero, cit.

58. Ivi, p.266.

59. Ibid.

60. P. Bonetti e A. Casadonte, "Ingresso, soggiorno e allontanamento", in B. Nascimbene (a cura di), Diritto degli stranieri, cit.; S. Centonze, L'espulsione dello straniero, cit.

61. Corte Costituzionale, sentenza del 25 luglio 2001, n. 290.

62. S. Centonze, L'espulsione dello straniero, cit.

63. S. Centonze, L'espulsione dello straniero, p. 276.

64. "Non è consentita l'espulsione, salvo che nei casi previsti dall'articolo 13, comma 1, nei confronti: a. degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi; b. degli stranieri in possesso della carta di soggiorno, salvo il disposto dell'articolo 9; c. degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge, di nazionalità italiana; d. delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono". Si aggiunga che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 376 del 27 luglio 2000, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della lettera c) del comma 2 dell'articolo 19 del T.U. Immigrazione, nella parte in cui non estende il divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio.

65. Articolo 9 comma 5, T.U. Immigrazione.

66. La competenza del Ministro dell'Interno è stata stabilita in sede di conversione del decreto (avvenuta con eccezionale rapidità a soli pochi giorni di distanza dall'approvazione del D.L. 144/2005), il quale originariamente prevedeva che essa spettasse al prefetto "informando preventivamente il Ministro dell'interno". Nella formulazione della Legge di conversione è, invece, previsto che il Ministro possa delegare al Prefetto la propria competenza.

67. Il testo vigente dell'articolo 9, comma 5, T.U. Immigrazione al momento dell'emanazione del 'Decreto Pisanu' era il seguente: "Nei confronti del titolare della carta di soggiorno l'espulsione amministrativa può essere disposta solo per gravi motivi di ordine pubblico o sicurezza nazionale, ovvero quando lo stesso appartiene ad una delle categorie indicate dall'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'articolo 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, ovvero dall'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646, sempre che sia applicata, anche in via cautelare, una delle misure di cui all'articolo 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55".

68. "Le disposizioni della legge 31 maggio 1965, n. 575, si applicano anche a coloro che: 1) operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I, titolo VI, del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale; 2) abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge 20 giugno 1952, n. 645, e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una attività analoga a quella precedente; 3) compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla ricostituzione del partito fascista ai sensi dell'articolo 1 della citata legge n. 645 del 1952, in particolare con l'esaltazione o la pratica della violenza; 4) fuori dei casi indicati nei numeri precedenti, siano stati condannati per uno dei delitti previsti nella legge 2 ottobre 1967, n. 895, e negli articoli 8 e seguenti della legge 14 ottobre 1974, n. 497, e successive modificazioni, quando debba ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a commettere un reato della stessa specie col fine indicato nel precedente n. 1). Le disposizioni di cui al precedente comma si applicano altresì agli istigatori, ai mandanti e ai finanziatori. È finanziatore colui il quale fornisce somme di denaro o altri beni, conoscendo lo scopo a cui sono destinati. Le disposizioni di cui al primo comma, [anche in deroga all'articolo 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55], e quelle dell'articolo 22 della presente legge possono essere altresì applicate alle persone fisiche e giuridiche segnalate al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite, o ad altro organismo internazionale competente per disporre il congelamento di fondi o di risorse economiche, quando vi sono fondati elementi per ritenere che i fondi o le risorse possano essere dispersi, occultati o utilizzati per il finanziamento di organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali".

69. Articolo 3, comma 1, decreto - legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito con modificazioni in L. 31 luglio 2005, n. 155.

70. Articolo 270-sexies, codice penale.

71. A. Pugiotto, "Purché se ne vadano" La tutela giurisdizionale (assente o carente) nei meccanismi di allontanamento dello straniero, cit.

72. "Quando nel corso dell'esame dei ricorsi di cui al comma 4 del presente articolo e di quelli di cui all'articolo 13, comma 11, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, la decisione dipende dalla cognizione di atti per i quali sussiste il segreto d'indagine o il segreto di Stato, il procedimento è sospeso fino a quando l'atto o i contenuti essenziali dello stesso non possono essere comunicati al Tribunale amministrativo. Qualora la sospensione si protragga per un tempo superiore a due anni, il Tribunale amministrativo può fissare un termine entro il quale l'amministrazione è tenuta a produrre nuovi elementi per la decisione o a revocare il provvedimento impugnato. Decorso il predetto termine, il Tribunale amministrativo decide allo stato degli atti".

73. Nel recepire la direttiva 2008/115/CE, il decreto - legge 23 giugno 2011, n. 89 convertito con modificazioni in legge 2 agosto 2011, n. 129 ha inserito nel comma 2 dell'articolo 13 T.U. Immigrazione l'inciso "caso per caso", che sembra far venir meno il carattere di attività vincolata, infra cap. VI, § 1.

74. G. Savio, "Respingimento, espulsione, trattenimento e accompagnamento alla frontiera (i presupposti e le procedure), la revoca e il reingresso, la segnalazione a Schengen", cit., p. 138.

75. L'importanza delle conseguenze pratiche del divieto di applicazione analogica conseguente al rispetto del principio di tassatività, sono sintetizzate da Savio, che considera "l'ipotesi - assolutamente frequente - dell'espulsione conseguente a rigetto dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno regolarmente presentata nei termini di legge: in questi casi di norma l'amministrazione espelle lo straniero ai sensi della lett. b) dell'art. 13, d.lg. n. 286/1998. Tale disposizione, tuttavia, prevede l'espulsione per aver omesso di chiedere il permesso di soggiorno, ovvero quando lo stesso è revocato, annullato o scaduto da più di sessanta giorni, senza che ne sia stato chiesto il rinnovo, ma non prevede affatto il caso in cui sia stato tempestivamente richiesto e la relativa istanza sia stata rigettata. È evidente, in questi casi, che l'adozione del decreto espulsivo sia frutto di un'applicazione analogica della disposizione di legge, per cui si assimila la posizione di chi si è visto rigettare il rinnovo del permesso di soggiorno a quella di chi non l'ha mai chiesto, ovvero se l'è visto annullare o revocare, in palese violazione del principio di stretta legalità" (G. Savio, "Respingimento, espulsione, trattenimento e accompagnamento alla frontiera (i presupposti e le procedure), la revoca e il reingresso, la segnalazione a Schengen", cit., p. 138).

76. L'espulsione del titolare del permesso CE per soggiornanti di lungo periodo è disciplinata dal comma 10 dell'articolo 9 T.U. Immigrazione e può essere disposta solo "a) per gravi motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato; b) nei casi di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito dalla legge 31 luglio 2005, n. 155; c) quando lo straniero appartiene ad una delle categorie indicate all'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ovvero all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965 n. 575, sempre che sia stata applicata anche in via cautelare, una delle misure di cui all'articolo 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55".

77. Il ricongiungimento familiare, disciplinato dall'articolo 29 del T.U. Immigrazione, che ne stabilisce i limiti e la procedura, è stato nel tempo più volte modificato, in direzione di un progressivo restringimento delle possibilità d'accesso all'istituto.

78. S. Centonze, L'espulsione dello straniero, cit., p. 12.

79. Il comma 3, dell'articolo 3 del REGATT specifica che la traduzione in lingua inglese, francese o spagnola, deve avvenire secondo la preferenza indicata dall'interessato.

80. Corte costituzionale sentenza 8-16 giugno 2000, n. 198, considerato in diritto n. 3.

81. Corte di Cassazione, sez. I, sentenza 8.11.2001, n. 13817, in M. Ronco e S. Ardizzone, Codice penale ipertestuale, Torino, 2003, p. 1017.

82. P. Bonetti e A. Casadonte, "Ingresso, soggiorno e allontanamento", in B. Nascimbene (a cura di), Diritto degli stranieri, cit.

83. A. Casadonte e P.L. Di Bari, L'espulsione, l'accompagnamento alla frontiera ed il trattenimento secondo la legge Bossi - Fini n. 189/2002 ovvero il massimo rigore apparente senza proporzionalità ed efficienza. Garanzie minime e incertezza delle divergenti vie del controllo giurisdizionale. Conseguenti dubbi di legittimità costituzionale, "Diritto, Immigrazione e cittadinanza", 2002, n. 3.

84. L. Parlato, Aspetti processualpenalistici e dubbi di costituzionalità della legge in materia di immigrazone: figlia di un "giusto processo minore"?, in "Cassazione Penale", 2004, n. 1, pp. 346-363.

85. G. Savio, "Respingimento, espulsione, trattenimento e accompagnamento alla frontiera (i presupposti e le procedure), la revoca e il reingresso, la segnalazione a Schengen", cit., p. 140. L'A. sottolinea che dalla nozione di diritto di difesa accolta dall'articolo 17 T.U. Immigrazione, rimangano sostanzialmente escluse "tutte le diverse attività attraverso le quali si concretizza l'esercizio del diritto di difesa, quali a titolo esemplificativo, i colloqui con il difensore ed i consulenti di parte, le indagini difensive e più in generale le scelte di strategia processuale (come l'accesso consapevole ai riti alternativi)".

86. E ad essere considerati alla stregua di ostacoli spesso sono le garanzie del sistema processuale e la tutela dei diritti delle persone.

87. L'originario termine, di quindici giorni, è stato portato a soli sette dall'articolo 5, comma 1-bis, del decreto legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella legge 24 luglio 2008, n. 125.

88. Queste le critiche mosse da P. Bonetti e A. Casadonte, Ingresso, soggiorno e allontanamento, cit., p. 496.

89. Il comma 3-sexies dell'articolo 13 T.U. Immigrazione, introdotto anch'esso con la legge 30 luglio 2002, n. 189, prevedeva che il nullaosta all'espulsione non potesse essere concesso nel caso si procedesse per uno dei reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale, e di cui all'articolo 12 dello stesso testo unico, è stato abrogato dall'articolo 3, comma 7 del decreto legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito con modificazioni nella legge 31 luglio 2005, n. 155. Anche nei confronti dei reati di maggiore gravità il legislatore ha ritenuto di far prevalere l'allontanamento dello straniero dal territorio italiano sulla potestà punitiva dello Stato.

90. Azione penale che si ricorda essere obbligatoria ai sensi dell'articolo 112 della Costituzione.

91. Ordinanze 142/2006 e 143/2006.

92. Ordinanza 143/2006.

93. Articolo 34, Codice di Procedura Penale: Difetto di una condizione di procedibilità. Riproponibilità dell'azione penale. 1. Il provvedimento di archiviazione e la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, anche se non più soggetta a impugnazione, con i quali è stata dichiarata la mancanza della querela, della istanza, della richiesta o dell'autorizzazione a procedere, non impediscono l'esercizio dell'azione penale per il medesimo fatto e contro la medesima persona se è in seguito proposta la querela, l'istanza, la richiesta o è concessa l'autorizzazione ovvero se è venuta meno la condizione personale che rendeva necessaria l'autorizzazione. 2. La stessa disposizione si applica quando il giudice accerta la mancanza di una condizione di procedibilità diversa da quelle indicate nel comma 1.

94. Articolo 307, Codice di Procedura Penale: Provvedimenti in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini. 1. Nei confronti dell'imputato scarcerato per decorrenza dei termini il giudice dispone le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti, solo se sussistano le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare. 1-bis. Qualora si proceda per taluno dei reati indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), il giudice dispone le misure cautelari indicate dagli articoli 281, 282 e 283 anche cumulativamente. 2. La custodia cautelare, ove risulti necessaria a norma dell'articolo 275, è tuttavia ripristinata: a) se l'imputato ha dolosamente trasgredito alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare disposta a norma del comma 1, sempre che, in relazione alla natura di tale trasgressione, ricorra taluna delle esigenze cautelari previste dall'articolo 274; b) contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado, quando ricorre l'esigenza cautelare prevista dall'articolo 274 comma 1 lettera b). 3. Con il ripristino della custodia, i termini relativi alla fase in cui il procedimento si trova decorrono nuovamente ma, ai fini del computo del termine previsto dall'articolo 303 comma 4, si tiene conto anche della custodia anteriormente subita. 4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere al fermo dell'imputato che, trasgredendo alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare disposta a norma del comma 1 o nell'ipotesi prevista dal comma 2, lettera b), stia per darsi alla fuga. Del fermo è data notizia senza ritardo, e comunque entro le ventiquattro ore, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo ove il fermo è stato eseguito. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sul fermo di indiziato di delitto. Con il provvedimento di convalida, il giudice per le indagini preliminari, se il pubblico ministero ne fa richiesta, dispone con ordinanza, quando ne ricorrono le condizioni, la misura della custodia cautelare e trasmette gli atti al giudice competente. 5. La misura disposta a norma del comma 4 cessa di avere effetto se, entro venti giorni dalla ordinanza, il giudice competente non provvede a norma del comma 2 lettera a).

95. Così il comma 3-quinquies dell'articolo 13 T.U. Immigrazione.

96. Per l'analisi dell'ambito di applicazione della direttiva 2008/115/CE e in particolare della facoltà derogatoria attribuita agli Stati dall'articolo 2, paragrafo 2, lettera b) si veda infra cap. IV, § 3.2.

97. Articolo 235, codice penale: "Il giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno stato membro dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero sia condannato alla reclusione per un tempo superiore ai due anni. Il trasgressore dell'ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice è punito con la reclusione da uno a quattro anni".

Articolo 312, codice penale: "Il giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno stato membro dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero o il cittadino di stato dell'Unione europea sia condannato ad una pena restrittiva della libertà personale per taluno dei delitti preveduti da questo titolo [Titolo I, Libro II]. Il trasgressore dell'ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice è punito con la reclusione da uno a quattro anni".

98. Articolo 86, D.P.R. 309/90: "1. Lo straniero condannato per uno dei reati previsti dagli articoli 73, 74, 79 e 82, commi 2 e 3, a pena espiata deve essere espulso dallo Stato. 2. Lo stesso provvedimento di espulsione dallo Stato può essere adottato nei confronti dello straniero condannato per uno degli altri delitti previsti dal presente testo unico. 3. Se ricorre lo stato di flagranza di cui all'articolo 382 del codice di procedura penale in riferimento ai delitti previsti dai commi 1, 2 e 5 dell'articolo 73, il prefetto dispone l'espulsione immediata e l'accompagnamento alla frontiera dello straniero, previo nulla osta dell'autorità giudiziaria procedente".

99. Articolo 15, T.U. Immigrazione: "1. Fuori dei casi previsti dal codice penale, il giudice può ordinare l'espulsione dello straniero che sia condannato per taluno dei delitti previsti dagli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, sempre che risulti socialmente pericoloso".

100. Al recepimento della direttiva 2008/115/CE sarà dedicato il capitolo VI.

101. L'espulsione come sanzione sostitutiva è ora applicabile anche ai nuovi reati di cui all'articolo 14, comma 5-ter e 5-quater, si veda infra cap. VI, § 1.5.

102. S. Romanotto e P. Bonetti, Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva, in ASGI.

103. S. Tovani, "Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione", L. Degl'innocenti (a cura di), Stranieri irregolari e diritto penale, cit., p. 284.

104. S. Romanotto e P. Bonetti, Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva, cit.

105. S. Tovani, "Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione", L. Degl'innocenti (a cura di), Stranieri irregolari e diritto penale, cit., p. 287.

106. L'orientamento della Corte di Cassazione, riportato da S. Tovani, "Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione", L. Degl'innocenti (a cura di), Stranieri irregolari e diritto penale, cit., ritiene applicabile la misura dell'espulsione agli stranieri in semilibertà, mentre la esclude per i soggetti che si trovino ad espiare la pena in misura alternativa. Secondo l'A. tale orientamento non è condivisibile, poiché il condannato in detenzione domiciliare è comunque soggetto detenuto, tanto che se si allontana ingiustificatamente dal luogo di permanenza commette il delitto di evasione.

107. C. Renoldi, Recenti arresti giurisprudenziali in materia di espulsione come sanzione alternativa alla detenzione, "Diritto, immigrazione e cittadinanza", 2009, 2, p. 119.

108. Commi 6 e 7, articolo 16 T.U. Immigrazione.

109. Se ne parlerà nello specifico nel terzo capitolo, laddove si affronterà l'impatto sull'ordinamento italiano della direttiva 2008/115/CE, prima e dopo l'intervento del legislatore italiano.

110. Le questioni sollevate riguardavano tutte l'articolo 14 della legge 40/1998, poi sostituito con norme di analogo contenuto dall'articolo 16 T.U. Immigrazione.

111. A. Casadonte, L'espulsione come sanzione sostitutiva della pena e i dubbi di legittimità costituzionale, "Diritto, immigrazione e cittadinanza", 1999, 1, p. 71.

112. Corte costituzionale, ordinanza 14 - 28 luglio 1999, n. 369.

113. Ibid.

114. Ibid.

115. Corte costituzionale, ordinanza 8 - 15 luglio 2004, n. 226.