ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Conclusioni

Graziella Ortu, 2011

Dall'analisi che precede può dirsi che l'istanza, formulata in varie fonti normative nazionali ed internazionali, volta a consentire che il processo penale minorile sia finalizzato al recupero del minore che commette un reato, è stata recepita dalla Riforma del sistema processuale minorile attraverso la previsione di alcuni istituti ispirati al principio della minima offensività. E' convinzione unanime che il più importante ed innovativo tra tali istituti sia rappresentato dalla sospensione del processo con messa alla prova previsto dall'art. 28 del DPR 448/88.

Il fatto che alla riforma del processo minorile non sia seguita l'altrettanto attesa e necessaria riforma del diritto sostanziale e dell'ordinamento penitenziario ha tuttavia determinato l'effetto distorto di far apparire come autoreferenziali le soluzioni prospettate a fronte di una criminalità minorile in continuo divenire. Se, infatti, con l'emanazione del DPR 448/88 si è dotato il sistema processuale penale minorile di nuovi strumenti volti alla destigmatizzazione della condotta del minore autore di reato con conseguenti effetti deflattivi delle condanne, l'ordinamento non ha ancora provveduto a dare risposte altrettanto diversificate dal punto di vista del sistema sanzionatorio, che resta ancora oggi ancorato al modello "detentivo" e pertanto di privazione della libertà personale. Il dato che, tuttavia, appare indiscusso nella pur parziale riforma del diritto minorile è che tra le varie teorie di politica criminale ipotizzabili non possa trovare spazio un approccio che separi il profilo punitivo da quello educativo. (1) In tal senso l'istituto della messa alla prova, distinguendosi da altri strumenti processuali, racchiude pienamente la capacità di conciliare questi due obiettivi in uno sforzo non semplice che, proprio per questo, ne rende più difficoltosa l'applicazione.

L'indagine svolta ha consentito di verificare secondo quali principi e modalità il Tribunale per i minorenni di Firenze abbia adottato l'istituto della sospensione del processo con messa alla prova e di come ne sia mutata l'applicazione nel corso degli anni esaminati.

In primo luogo la ricerca svolta ha inteso verificare se anche nella prassi applicativa del Tribunale di Firenze fosse confermato il dato, rilevabile dalle statistiche nazionali, secondo cui il provvedimento di messa alla prova sia utilizzato con criteri quantitativi e qualitativi alquanto selettivi, come potrebbe sembrare dal numero di provvedimenti adottati. Il fatto che la norma richieda per l'applicabilità dell'istituto una prognosi di riuscita positiva della prova, ovvero che la situazione personale psicologica ed ambientale del ragazzo sia idonea a consentirla, in modo da orientarla verso un esito positivo, ha, infatti, comportato una maggiore prudenza del giudice nel decidere sulla concessione del provvedimento ove il rischio di insuccesso sia ritenuto eccessivo (2).

L'esperienza ha confermato, ad oltre vent'anni dall'introduzione dell'istituto, che, per giungere ad esiti positivi, la messa alla prova necessiti del coinvolgimento di varie figure ed organismi esterni, della concreta accessibilità e qualità delle risorse familiari, sociali ed istituzionali disponibili, oltre alla adesione del minore e ad una valutazione positiva della sua personalità in termini di percorso di maturazione.

Si è riscontrato, infatti, che le difficoltà legate all'adozione dell'istituto non sono riconducibili necessariamente a resistenze ideologiche e culturali ma spesso ad aspetti di concreta applicabilità. Come emerso dall'analisi, di frequente l'esito negativo della prova è determinato proprio dalla scarsa partecipazione e motivazione verso tale esperienza della famiglia del minore, che connotata spesso da aspetti da una pluralità di problemi, si rivela non in grado di svolgere il ruolo di sostegno e di stimolo nei confronti del minore nell'assolvere gli impegni assunti e favorire la sua presa di responsabilità.

Non emerge dall'analisi operata l'identificazione di una tipologia astratta di reato rispetto al quale viene disposto il provvedimento di sospensione, né di un particolare target di autore nei cui confronti si ritiene opportuno prevederla. Tuttavia la presenza di un contesto sociale ed ambientale idoneo a sostenere e dare stabilità al minore durante il periodo di sospensione, elementi fondamentali per la buona riuscita della prova, si sono rivelati preclusivi dell'accesso alla misura per quella parte di minori privi di una residenza stabile e che non possono contare su un sostegno familiare e sociale.

Molta parte della dottrina ritiene che l'opportunità della messa alla prova non vada sprecata per reati di lieve gravità, per i quali appare più opportuna la soluzione della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto ai sensi dell'art. 27 del DPR 448/88, nonché per i reati che hanno natura occasionale ai quali dovrebbe piuttosto applicarsi la concessione del perdono giudiziale e nei casi di accertata immaturità che si concludono con il proscioglimento ai sensi dell'art. 98 c.p.

Sulla base di tali premesse si è giunti a valutare come altamente probabile il rischio di insuccesso in particolare nel caso di minori stranieri, spesso non accompagnati e privi di un controllo familiare e di una dimora stabile, nonché nelle ipotesi di fattispecie di reato ritenute più gravi, ritenendo intrinseca la maggiore problematicità del minore che commette crimini che destano allarme sociale (3).

Con riferimento al periodo esaminato si è osservato che nel Tribunale di Firenze il numero di provvedimenti adottati nei confronti di minori stranieri, è assai ridotto benché in progressivo aumento. Sul problema, di rilevanza nazionale, è intervenuta anche la Corte di Cassazione (4), precisando che la misura nei confronti dei minori stranieri possa essere disposta anche nei casi di oggettiva difficoltà a prevedere un percorso efficace di messa alla prova e nei confronti di coloro che si rivelino non inseriti in un adeguato contesto ambientale e sociale. Nonostante gli importanti progressi, non può negarsi che tuttora il rischio di una applicazione asimmetrica della norma e di un cosiddetto diritto diseguale sia attuale e concreto.

Un utilizzo eccessivamente cauto del provvedimento, secondo quanto emerge dalle statistiche nazionali, si è registrato in ordine alla gravità del reato commesso. Sul piano nazionale, infatti, si è riscontrato che la messa alla prova è stata disposta frequentemente per reati non gravi, per criminalità bagatellare e di non alta pericolosità sociale (5); si tratta di tipologie di reato per le quali la messa alla prova richiede un impegno meno gravoso da parte del minore, della sua famiglia e delle istituzioni e rispetto ai quali è molto più alta la prognosi di riuscita positiva.

I giudici del Tribunale di Firenze, in linea con una rilevante parte della dottrina e della giurisprudenza, ritengono opportuno utilizzare la messa alla prova anche in relazione a reati più gravi ed espressione di una criminalità più significativa, prevedendo programmi maggiormente articolati e sostenuti.

Per quanto attiene alla tipologia di reati per i quali viene disposta la sospensione si è rilevato che il distretto di Firenze valuta l'opportunità di disporre il provvedimento principalmente in funzione della personalità del minore e della sua idoneità ad essere sottoposto al periodo di prova più che alla oggettiva gravità del reato. Non si rilevano, infatti, preclusioni per quanto riguarda l'ammissibilità della prova in riferimento a reati gravi che non appaiono di per sé un fattore determinante ma unicamente un parametro di valutazione da associare ad altri elementi. Il giudice, infatti, nel disporre la prova tiene principalmente conto del grado di consapevolezza rispetto al disvalore del fatto commesso valutando la personalità del minore e la possibilità di una sua evoluzione positiva durante la messa alla prova.

Non si è riscontrata l'adozione del provvedimento nel caso di reati di natura bagatellare, per i quali si utilizza la più appropriata soluzione della sentenza per irrilevanza del fatto, salve le ipotesi di reato realizzate da personalità complesse per le quali si ritenga comunque opportuna la previsione di un percorso educativo.

Il dato è rimasto costante durante tutto l'arco del periodo esaminato.

L'adozione da parte del Tribunale di Firenze del provvedimento nei confronti dei minori stranieri ha avuto un iter più difficile. Le difficoltà riscontrate in relazione a coloro che non possono contare sul sostegno familiare e sociale, hanno penalizzato sostanzialmente il minore straniero dandogli un limitato accesso alla prova. Soltanto negli ultimi anni si è registrato un aumento dei provvedimenti soprattutto grazie al superamento delle oggettive difficoltà operative. Un primo passo verso la maggiore apertura nei confronti dei minori stranieri si è avuto grazie al potenziamento di strutture residenziali in grado ospitarli in modo stabile, consentendo la programmazione di un percorso educativo. In secondo luogo, come si è visto, il Tribunale di Firenze ha contribuito a risolvere il problema attraverso un elaborato meccanismo volto a giustapporre il provvedimento di sospensione alla misura della custodia cautelare in carcere a cui sia stato precedentemente sottoposto il minore.

In tal senso, già nel corso della misura cautelare, i servizi effettuano una prima valutazione della personalità del minore in funzione della successiva potenziale previsione di una messa alla prova. Il successivo inserimento del minore in una comunità residenziale in un periodo di cosiddetta "pre - messa alla prova" in attesa che il giudice emetta l'ordinanza di sospensione e disponga effettivamente la prova, consente di giungere alla revoca della misura cautelare previamente disposta.

Il Tribunale di Firenze, interpretando in modo estensivo la volontà del legislatore che ha collegato l'applicazione dell'istituto introdotto alla valutazione prognostica di alta probabilità di esito positivo, ha sostanzialmente lanciato una sfida concedendo fiducia al minore anche con riferimento ai casi di inferiore probabilità di esito positivo e ai casi in cui il minore richieda di essere sottoposto all'istituto in modo apparentemente strumentale al fine di evitare una condanna certa. In tal modo, come precisato dal Presidente Dott. Casciano, si offrono al minore gli strumenti per intraprendere un percorso alternativo rispetto allo stile di vita che, altrimenti ne determinerebbe una più radicata personalità criminosa.

Dall'analisi è emerso che i criteri applicativi adottati, la flessibilità nell'utilizzo dell'istituto, nonché la capacità di adottare soluzioni creative consentono senz'altro di valutare positivamente la prassi adottata dal Tribunale per i Minorenni di Firenze che, come emerge dalle rilevazioni statistiche, rappresenta un successo non solo in termini strettamente processuali (6). Altrettanto positivo è il giudizio relativo all'apporto fornito da tutte le figure professionali, in particolare i servizi sociali, coinvolti nella ricerca continua di soluzioni che consentano un utilizzo più diffuso del provvedimento.

L'obiettivo voluto dal legislatore, l'uscita dal circuito criminoso attraverso il cambiamento dello stile di vita non può dirsi ancora pienamente raggiunto.

Alla luce dei dati emersi appare necessario un maggiore utilizzo dello strumento disciplinato dall'art. 28, attraverso il potenziamento delle risorse che consentono di diversificare e personalizzare maggiormente i progetti di messa alla prova tenendo conto delle peculiarità e degli interessi dei minori.

In tal senso, poiché le finalità pregnanti della messa alla prova insistono sulle dinamiche psicoevolutive del minore e mirano alla comprensione della personalità del reo, al suo recupero ed alla sua rieducazione, ne deriva che la previsione di progetti sostanzialmente standardizzati anziché adattati alle specifiche personalità, rischiano di rendere lo strumento della messa alla prova come una misura alternativa alla pena ed alla carcerazione e pertanto una sorta di "depenalizzazione implicita" caratterizzata, rispetto alle altre formule alternative previste dall'ordinamento penitenziario, da connotati educativi.

Alla luce dell'analisi effettuata si ritiene che il rischio di un utilizzo in questi termini sia tuttora presente nella prassi applicativa del Tribunale di Firenze. Soltanto una valutazione degli esiti in termini non strettamente processuali ma criminologici, compiuta attraverso la rilevazione delle recidive in un arco temporale che includa anche la vita da adulto dei destinatari del provvedimento potrebbe consentire un giudizio pieno sull'efficacia dell'orientamento adottato dal Tribunale di Firenze.

Note

1. T. Bandini, U. Gatti, M.I. Marugo, A. Verde, Criminologia, Giuffrè, Milano, 1991, p. 749.

2. Il concetto può racchiudersi nell'espressione utilizzata da un giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna il quale afferma "con la messa alla prova si fanno correre i cavalli migliori, sui quali è più conveniente scommettere parecchio". C. Scivoletto, op. cit, p. 176.

3. C. Scivoletto, op. cit., p. 158.

4. Cass. Sez. I, 08.07.1999.

5. C. Scivoletto, La messa alla prova, una misura per tutti, in Minori Giustizia, Franco Angeli, Milano, 2005, p.

6. Ricordiamo che nell'arco del periodo esaminato sono stati disposti provvedimenti di sospensione nei confronti di 1285 minori, a conclusione dei quali si sono registrati 1021 esiti positivi a cui ha fatto seguito l'estinzione del reato, mentre gli esiti negativi sono stati 245.