ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Conclusioni

Pasquale Tancredi, 2010

La legislazione sulle misure patrimoniali antimafia e sul riutilizzo dei beni confiscati rappresenta un efficace strumento normativo per contrastare il fenomeno mafioso, non solo da un punto di vista giudiziario, economico e finanziario, ma anche sociale e culturale. Questo sistema normativo, infatti, articolato nella legge 575/65 e successive modifiche, è riuscito a coniugare il concetto di antimafia istituzionale con quello di antimafia sociale. Suo perno è infatti, la reazione delle istituzioni che avviene, mediante il ricorso ad uno specifico tipo di azione giudiziaria concepito per colpire le ricchezze illecitamente accumulate dai soggetti facenti parte dell'associazione mafiosa. Lo stesso Giovanni Falcone sottolineò che:

La legge La Torre continua a rivestire grandissima utilità in tutte le indagini patrimoniali a carico dei pregiudicati mafiosi, in quanto autorizza la confisca dei beni acquisiti illecitamente colpendo i mafiosi nel loro punto debole: ricchezza e guadagni. Questa legge, se ben utilizzata, offre al magistrato la possibilità di selezionare le persone sottoposte ad indagini: da un lato, quelle per cui esistono prove inconfutabili del reato di associazione mafiosa; dall'altro, quelle per le quali, pur in assenza di prove sufficienti per un processo, il sospetto di appartenenza alla mafia appare tuttavia fondato. Per queste il magistrato può ricorrere a misure di prevenzione di carattere personale e patrimoniale, in attesa di acquisire la prova per gli specifici delitti commessi. Ciò dimostra che anche con il nostro arsenale legislativo complesso e spesso contraddittorio si può impostare una vera e propria azione repressiva in presenza di delitti senza autore e di indagini senza prove (1).

All'efficacia dello strumento penale si associa il riutilizzo sociale ed istituzionale di questi beni confiscati. Questi vengono restituiti alla collettività, evento dal forte significato culturale e simbolico: le mafie vengono sconfitte e restituiscono il maltolto. I beni vengono così immessi in un circuito di legalità e l'intera società civile del territorio in cui si trovano potrà così usufruire dei benefici che il nuovo impiego ed utilizzo porta con sé.

Si tratta di un sistema legislativo all'avanguardia che riesce quindi a contrastare il fenomeno mafioso sotto un duplice punto di vista: repressivo e culturale. Non a caso nel marzo 2009 il Parlamento europeo ha approvato un report di Maria Grazia Pagano in cui si raccomanda al Consiglio di adottare una forma di legislazione europea sul riuso sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata (2). In data 19 gennaio 2010, poi, in un udienza pubblica presso il Parlamento europeo, Cecilia Malmstrom, Commissario designato per gli Affari interni, interrogata dall'europarlamentare Rita Borsellino, sulla necessità di migliorare la lotta contro la criminalità organizzata a livello continentale, ha risposto che avrebbe lavorato con Viviane Reding, Commissario designato per la giustizia, sul tema della confisca dei beni mafiosi. Il Commissario Malmstrom ha precisato che la criminalità organizzata non deve essere più pensata solo come un fenomeno italiano ma come un fenomeno che investe tutta l'Europa. Le mafie, infatti, sono da considerarsi come un fenomeno transnazionale, che investe fiumi di denaro anche in altri Paese europei, inquinandone così l'economia. La legge sulla confisca e sul riuso dei beni dei criminali, ha aggiunto, "è un modello in vigore in Italia da oltre 15 anni e che è divenuto un metodo molto efficace per coinvolgere la società civile nella lotta contro la criminalità" (3). Infine, il 19 febbraio scorso si sono riuniti a Torino, per il primo incontro, un gruppo di esperti nel settore della legislazione antimafia sulle confische ed il riuso dei beni, coordinati da "Flare Network" (4). Il gruppo ha discusso delle strategie da adottare al fine di raggiungere l'obiettivo di una direttiva europea sul riutilizzo dei beni confiscati.

L'impianto legislativo italiano, pur essendo considerato un modello, non è però esente da critiche.

Rimane inspiegabile, visti anche gli ultimi importanti interventi del legislatore in materia, il motivo per cui non sia stata introdotta la competenza del Procuratore distrettuale antimafia a richiedere l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale. Tale previsione sarebbe stata molto efficace, visto l'alto livello di specializzazione in materia di contrasto alla criminalità organizzata delle Direzioni distrettuali antimafia.

Sarebbe opportuno, inoltre, introdurre la trattazione dei procedimenti previsti dalla legge 575/65 da parte di sezioni o collegi specializzati. Vista la particolare natura del procedimento di prevenzione, si potrebbero costituire collegi ad hoc che assicurino la necessaria specializzazione dei magistrati, il che comporterebbe un'evidente accelerazione del procedimento.

Andrebbero, poi, risolti alcuni punti critici emersi dall'analisi del procedimento di prevenzione. Ad esempio, bisognerebbe contemplare la possibilità di disporre la partecipazione a distanza (videoconferenza) al procedimento camerale di prevenzione dei soggetti sottoposti al regime di cui all'art. 41 bis O.P., attualmente esclusa dagli artt. 45 bis e 146 bis, comma 1 bis, norme di attuazione c.p.p., ciò sia per semplificare e velocizzare il procedimento sia per eliminare i costi conseguenti alla trasferta del Tribunale. Sarebbe auspicabile anche che il soggetto sottoposto a procedimento di prevenzione possa chiedere che il processo si svolga in pubblica udienza. Tale previsione appare opportuna vista la condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo che, nella causa Bocellari e Rizza (5), ha dichiarato che vi è stata violazione da parte dell'Italia dell'art. 6, comma 1, della Convenzione, in quanto l'ordinamento italiano non prevede la possibilità che il soggetto sottoposto a procedimento di prevenzione possa richiedere la pubblica udienza a garanzia del principio del "giusto processo".

Molto efficace sarebbe anche stabilire la prevalenza del sequestro di prevenzione rispetto a quello penale in caso di coesistenza delle due misure cautelari. Oggi è infatti previsto il contrario, ma se fosse stabilita la prevalenza del sequestro di prevenzione, una volta che questo sia divenuto confisca irrevocabile ex art. 2 ter, l. 575/65 prima della confisca penale, si potrebbe procedere alla destinazione ed utilizzazione dei beni ex legge 109/96.

Si potrebbe, infine, adottare un testo unico in materia antimafia, e comunque in materia di sequestro e confisca dei beni (in sede di prevenzione ed in sede penale), che affronti le criticità emerse sotto il profilo normativo e che razionalizzi e disciplini in modo unitario le molteplici ipotesi di sequestro e di confisca di beni previste nel codice di rito e nelle leggi speciali. Si pensi, a solo titolo di esempio, alle questioni inerenti il rapporto tra sequestro, confisca patrimoniale e garanzie reali dei terzi sui beni oggetto di procedimento ablativo, tra procedura di prevenzione patrimoniale e diritti dei terzi creditori chirografari, tra procedura di prevenzione e norme in materia di diritto fallimentare, di esecuzione mobiliare ed immobiliare, tra procedura di prevenzione e norme amministrative e fiscali, ed i casi, seppur eccezionali, di revoca della confisca.

Anche la legge 109/96 sul riutilizzo dei beni confiscati andrebbe rivista nella parte che riguarda le aziende. I dati poco incoraggianti e i problemi che abbiamo esaminato possono essere molto pericolosi, oltre che sotto un profilo economico, anche da un punto di vista sociale. Il fallimento o la liquidazione di un'azienda determina inevitabilmente la perdita di posti di lavoro, con la conseguenza che possa passare il pericoloso messaggio che la mafia crea occupazione mentre lo Stato, col suo intervento repressivo, crea disoccupazione e precarietà. Per questo la legge andrebbe rivista in alcuni aspetti.

Bisognerebbe, innanzitutto, abrogare la parte in cui è prevista la vendita delle aziende confiscate. Tale previsione, infatti, comporta un duplice rischio. Il primo è che le organizzazioni mafiose avranno tutto l'interesse, laddove vi sia la possibilità, di riacquistare ciò che è loro stato tolto. Alla mafie non mancano, infatti, le risorse ed i mezzi per compiere tale operazione. Esse potranno, ad esempio, far svalutare il complesso aziendale, come avvenuto nel caso della "Calcestruzzi Ericina", che si trova in Amministrazione giudiziaria, per poi riacquistarlo ad un prezzo inferiore al valore di mercato che avrebbe avuto senza l'intervento delle pressioni e senza l'azione di boicottaggio creato dal sodalizio criminale sull'azienda in fase di amministrazione giudiziaria. Oppure vi è la semplice possibilità di riacquistarlo al reale valore di mercato vista la grande disponibilità di liquidità di cui dispongono le organizzazioni mafiose. Secondo rischio è che laddove vi sia il singolo imprenditore interessato all'acquisto di tali beni sarebbe con molta probabilità esposto alle pressione mafiose. Infatti, potrebbe essergli impedito o l'acquisto dell'azienda o comunque lo svolgimento dell'attività imprenditoriale una volta rilevata l'impresa. Certo anche l'affitto dell'azienda oneroso al privato comporta quest'ultimo rischio, sembra opportuno che l'affitto venga supportato dall'intervento pubblico e dell'associazionismo in modo da creare una posizione di maggiore forza dell'imprenditore rispetto alle associazioni mafiose.

Occorrerebbe poi rivedere la previsione che riguarda l'affitto gratuito delle aziende, estendendo tale possibilità non solo a cooperative di lavoratori già occupati all'interno dell'impresa, ma laddove ciò non sia possibile, anche a nuove cooperative costituitesi ad hoc per perseguire tale obiettivo gestionale. Si potrebbe, insomma, ripercorre la strada vista per la gestione dei beni immobili confiscati in cui i soci ed i lavoratori delle cooperative che lavorano sui terreni confiscati vengono prescelti tramite bando pubblico. In questo modo, come prima già accennato, si coinvolgerebbero sia soggetti pubblici, lo Stato e/o gli Enti locali, ma anche Associazioni e Federazioni di categoria, che potrebbero aiutare lo sviluppo di queste nuove realtà imprenditoriali. Tali progetti, inoltre, potrebbero farsi portatori anche di una forte dimensione sociale facendo sì che l'impresa si impegni anche sotto il profilo della promozione della cultura della legalità e del riutilizzo dei beni confiscati, della valorizzazione delle risorse esistenti nel territorio e del perseguimento di obiettivi di sostenibilità economica, sociale e ambientale nella gestione. Senza dimenticare, tra l'altro, che il coinvolgimento di soggetti come Stato, Enti locali e Associazioni può costituire una forma di protezione e garanzia verso le possibili interferenze che la criminalità organizzata potrebbe attuare verso queste realtà. Tali progetti potrebbero costituire un nuovo modello di sviluppo senza, però, la pretesa di costituire la soluzione definitiva al difficile problema del riutilizzo delle imprese confiscate alle mafie, le quali, strutturalmente, viste le condizioni di illegalità in cui operano prima dell'intervento dell'Autorità giudiziaria, spesso saranno comunque destinate al fallimento o alla liquidazione.

Infine appare pienamente condivisibile l'istituzione di un'Agenzia nazionale per i beni confiscati, un organismo, cioè, finalizzato ad assicurare l'unitarietà degli interventi e, soprattutto, a programmare, già durante la fase dell'amministrazione giudiziaria, la destinazione finale dei beni sequestrati. Bisognerà però verificare, nel momento in cui l'Agenzia sarà operativa, come verranno regolati i suoi rapporti con l'Autorità giudiziaria e gli Amministratori giudiziari durante la fase del sequestro. L'attribuzione all'Agenzia dell'amministrazione dei beni sequestrati e la conseguente riduzione dei poteri del giudice rischia di creare preoccupanti criticità sia nella fase dell'esecuzione del sequestro che dell'amministrazione, con possibile dispersione dei beni e difficoltà operative non facilmente affrontabili dalla Agenzia ed incrementi dei costi derivanti dall'utilizzo di coadiutori e proposti (nominati dall'Agenzia) e dall'intervento del personale di raccordo dell'Agenzia.

Con riferimento alla fase successiva alla confisca definitiva va apprezzato lo sforzo del legislatore di attribuire tutte le competenze in capo ad un unico soggetto, al fine di velocizzare tutti i provvedimenti necessari per la migliore utilizzazione finale del bene, con compiti conoscitivi e di analisi di tutte le fasi e di adozione di linee guida, attività di programmazione e quanto necessario per la migliore e più rapida utilizzazione dei beni. Nelle nuove disposizioni emergono, comunque, dei punti deboli. Si poteva pensare, infatti, di istituire articolazioni territoriali dell'Agenzia su base regionale visto l'ingente numero di beni confiscati non solo nelle Regioni meridionali ma anche al Nord. Si potevano, inoltre, disciplinare più dettagliatamente i nuclei di supporto previsti presso le Prefetture. Anche la dotazione organica del personale (30 unità) appare irrisoria rispetto ad un numero di beni confiscati molto elevato ancora in attesa di destinazione. Infine, si poteva prevedere l'istituzione di un apposito fondo diretto alla gestione dei beni ed al sostegno finanziario delle attività dei soggetti destinatari, con partecipazione diretta con i fondi dell'Agenzia al finanziamento delle attività di ristrutturazione e riconversione dei beni destinati e assegnati per finalità sociali e istituzionali al fine di assicurarne il pieno utilizzo sociale e pubblico.

Note

1. Cfr. G. Falcone, M. Padovani, Cose di Cosa Nostra, Milano, 1991, pag 153.

2. Fonte: Flare Network.

3. Ibid.

4. Si tratta di una rete di organizzazioni della società civile per la lotta sociale contro le mafie e la criminalità organizzata transnazionale. Nata da un'idea dell'associazione "Libera", la rete "Flare" è stata ufficialmente costituita il 10 giugno 2008 presso il Parlamento europeo a Bruxelles, con l'adesione di associazioni e organizzazioni non governative provenienti da oltre 30 paesi. Attualmente "Flare" è composta da più di 40 ONG. Si occupa principalmente di settori quali la promozione dei giovani, la lotta contro le donne e sfruttamento sessuale dei bambini, la tutela dell'ambiente, la difesa dei diritti umani, la lotta contro la corruzione, il sostegno ai migranti e ai rifugiati.

5. CEDU, sez. II, 13 novembre 2007, n. 399.