ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Introduzione

Giacomo Muraca, 2009

La presente ricerca prende le mosse dall'attività che ho svolto negli ultimi tre anni all'interno dello Sportello Documenti e Tutele del carcere di Sollicciano. Tale Sportello, nato nel 2004 nell'ambito delle attività dell'associazione Altro Diritto onlus, si occupa di garantire ai soggetti reclusi l'accesso ai diritti assistenziali e previdenziali. Grazie a questa esperienza ho potuto costatare quali e quante siano le difficoltà riscontrate dalla popolazione detenuta nel fruire di queste prestazioni pubbliche.

Quello dell'accesso ai diritti sociali da parte delle persone recluse è un tema estremamente complesso che richiede un continuo confronto tra la disciplina penitenziaria e quella delle tutele sociali, al fine di comprendere in quali punti queste due materie siano compatibili e in quali contrastino creando delle discrasie normative.

La dottrina, che ha generalmente mostrato uno scarso interesse per la materia, si è limitata spesso a sostenere una pacifica quanto teorica estensione della comune disciplina assistenziale e previdenziale alla popolazione detenuta, dando vita così a teorie che, sebbene formalmente corrette, non avevano alcun riscontro con la realtà degli istituti di pena e del lavoro carcerario.

È necessaria invece un'analisi che tenga conto dell'effettività di queste tutele all'interno della realtà penitenziaria. La nostra ricerca si incentrerà, infatti, sullo studio delle problematiche reali che impediscono alla popolazione carceraria di accedere alle delle tutele sociali. Non ci limiteremo pertanto all'esame delle sole previsioni normative in materia, ma analizzeremo la loro applicazione concreta e le prassi cui danno origine.

Assunto essenziale della nostra ricerca è che il soggetto detenuto, benché oggettivamente privato di alcuni suoi diritti fondamentali, quale ad esempio quello alla libertà di circolazione, rimane titolare di tutta una serie di posizioni giuridiche attive (1). I diritti assistenziali e previdenziali fanno parte delle posizioni che, pur subendo delle limitazioni dovute allo stato di detenzione, non possono essere totalmente cancellate.

Dal punto di vista storico l'estensione di questi diritti ai soggetti reclusi deriva dal progressivo mutamento delle concezioni del lavoro carcerario e dei diritti sociali. Inizialmente prevalevano, infatti, concezioni che negavano alle persone recluse la possibilità di fruire delle prestazioni sociali. L'istituzione carceraria era considerata una realtà del tutto separata dal mondo libero e si sosteneva la legittima esclusione del reo dal congresso dei soggetti che compongono la società. In un secondo momento, grazie all'affermarsi del principio rieducativo e dell'idea che il carcere debba essere organizzato secondo regole il più possibile simili a quelle del mondo libero, si è iniziato ad ammettere che il detenuto potesse godere dei diritti sociali.

La difficoltà incontrata da questa categoria di diritti ad affermarsi all'interno delle mura del carcere è spesso derivata da una concezione che vede il soggetto recluso come colui che con la sua condotta criminale ha contravvenuto all'accordo che lega assieme gli appartenenti ad una certa società (contratto sociale) e deve perciò essere escluso da quest'ultima e dai diritti che da essa derivano (quelli cioè propri della cittadinanza, sociali).

Nel primo capitolo ci soffermeremo sulla definizione di diritti sociali e su quale sia il loro rapporto con il concetto di cittadinanza (2). In seconda battuta tracceremo la distinzione tra diritti di natura previdenziale e assistenziale. L'indagine si incentrerà, infatti, solo su una determinata categoria di tutele sociali, perlopiù di natura previdenziale, le quali hanno un diverso livello di effettività se applicate ai lavoratori liberi o ai lavoratori detenuti (3).

Effettueremo poi un'analisi approfondita della disciplina generale di questi istituti (tra i quali le prestazioni pensionistiche, di disoccupazione, per l'invalidità), al fine di porre le basi normative per il raffronto con la specificità delle previsioni dell'ordinamento penitenziario e delle prassi adottate negli istituti di pena.

La seconda parte della nostra ricerca, incentrata sull'analisi delle problematiche proprie della realtà carceraria, si aprirà con lo studio dei diritti spettanti agli individui, per cercare di comprendere quali tra questi siano compatibili con lo stato di detenzione. Cercheremo soprattutto di individuare quali limitazioni lo stato detentivo ponga ai diritti sociali. Quest'ultimi all'interno della realtà carceraria sembrano subire un forte condizionamento da parte di due diversi fattori: lo stato di detenzione da una parte e le caratteristiche proprie delle attività lavorative carcerarie dall'altra. Analizzati quindi i diritti dei soggetti reclusi, passeremo ad esaminare quali siano le caratteristiche del lavoro carcerario e se questo sia del tutto equiparabile alle attività svolte dai soggetti liberi.

Il carattere di questa tipologia di lavoro è mutato nel corso del tempo permettendo che il lavoratore detenuto divenisse, almeno formalmente, titolare dei diritti previdenziali che in precedenza gli erano negati. Mentre nei previgenti regolamenti carcerari del 1891 e del 1931 il lavoro carcerario aveva natura afflittiva, con l'ordinamento penitenziario del 1975 è entrato a far parte degli elementi del trattamento penitenziario finalizzato alla rieducazione del detenuto (art. 15 o.p.). Affinché l'attività lavorativa svolta negli istituti di pena fosse mezzo di rieducazione e reinserimento, è stato però necessario stabilire che i suoi metodi e la sua organizzazione riflettessero "quelli del lavoro nella società libera" (art. 20 c. V o.p.) e fosse perciò garantita ai detenuti lavoranti anche "la tutela assicurativa e previdenziale" (art. 20 c. XVII o.p.), alla stregua di tutti gli altri lavoratori.

Quest'ultime previsioni non sono state però sufficienti a sancire una totale e definitiva equiparazione, in punto di tutele, tra il lavoratori detenuti e quelli liberi.

Le peculiarità del lavoro che si svolge all'interno degli istituti di pena sono tali da rendere difficile l'applicazione ad esso della comune disciplina protettiva del lavoro e, quindi, delle tutele previdenziali. In verità, come vedremo tale problematica riguarda solo il lavoro alle dirette dipendenze dell'amministrazione penitenziaria. Per quanto concerne invece i lavori alle dipendenze di terzi l'equiparazione rispetto alle attività svolte dai soggetti liberi sembra più pacifica. Si è creato, infatti, in tema di diritti previdenziali un vero e proprio sistema bipartito che distingue i titolari dei diritti stessi a seconda della natura del datore di lavoro.

Il nostro studio proseguirà poi con l'analisi degli effetti che il lavoro carcerario e lo stato detentivo hanno su ciascuna delle tutele sociali analizzate nel capitolo I. In questa parte non ci limiteremo all'esame della sola disciplina giuspositivistica, ma tenteremo di valutare, sulla base dell'esperienza dello Sportello Documenti e Tutele, quale sia il livello di effettività della tutela di questi diritti all'interno della realtà penitenziaria. Come vedremo l'enunciazione dell'art. 20 c. XVII o.p., pur stabilendo la possibilità per i detenuti lavoranti di fruire delle tutele assicurative e previdenziali, rischia spesso di rimanere uno sterile dettato di principio a causa delle peculiarità proprie del lavoro e della vita carceraria.

La ricostruzione della disciplina dei singoli istituti previdenziali e assistenziali in ambito carcerario ha presentato un duplice ordine di problemi. Da una parte la dottrina, come abbiamo detto, da sempre ha mostrato un generale disinteresse per questa materia, limitandosi spesso a ricostruzioni alquanto semplicistiche e teoriche. Al riguardo si consideri che l'unico testo dal carattere esaustivo sull'argomento (R. Ciccotti, F. Pittau, Lavoro e carcere, aspetti giuridici e operativi, Franco Angeli, Milano, 1987) risulta ormai eccessivamente attempato, soprattutto per una disciplina come quella delle tutele sociali in continuo divenire. Dall'altro tutta la materia spesso è regolata, specie nei suoi aspetti più tecnici, nel generale silenzio del legislatore ordinario, da atti di natura prettamente secondaria, quali circolari provenienti da vari istituti esterni (ad esempio Inps, Inail, Agenzia delle entrate) o dalla stessa amministrazione penitenziaria (Ministero della Giustizia, Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Provveditorati regionali dell'amministrazione penitenziaria). Entrambi questi fattori hanno quindi reso estremamente difficoltosa la nostra ricerca.

Analizzeremo infine l'evoluzione della giurisprudenza in materia di competenza nelle controversie lavorative dei soggetti detenuti fino alla svolta imposta dalla pronuncia n. 341 del 2006 della Corte costituzionale, che ha attribuito la titolarità di questi procedimenti al giudice del lavoro anziché, come era in precedenza, al magistrato di sorveglianza.

Tanto nel primo che nel secondo capitolo, particolare attenzione verrà dedicata allo status dei soggetti extracomunitari detenuti in carcere. L'accesso alle tutele sociali da parte di queste persone è infatti regolato in maniera parzialmente diversa, specie in punto di tutele assistenziali, rispetto ai cittadini italiani. Come vedremo, inoltre, la detenzione produce nei loro confronti un duplice effetto. Da una parte, qualora siano privi di validi titoli di soggiorno, essa dà vita ad una sorta di 'regolarizzazione carceraria', tale da garantire loro la fruizione di alcuni diritti sociali che all'esterno, in virtù della loro irregolarità, sono negati. Dall'altra la condanna penale è in grado, tramite la disciplina del'art. 5 e dell'art. 9 del Testo Unico sull'immigrazione (4) (d.l. n. 286 del 25 luglio 1998), di togliere allo straniero ogni valido titolo di soggiorno e, quindi, la possibilità, una volta scarcerato, di beneficiare delle tutele di natura sociale. La nostra attenzione a questo particolare aspetto della disciplina previdenziale è dovuta anche al fatto che l'elevata presenza di detenuti extracomunitari negli istituti di pena, che raggiungono circa il 31% (5) della popolazione carceraria totale, ha fatto diventare il tema di stretta attualità.

Nell'ultima parte della nostra ricerca, dopo aver analizzato in generale l'accessibilità delle tutele sociali da parte dei detenuti, ci soffermeremo sulle sue implicazioni nella realtà carceraria attraverso il case-study dello Sportello documenti e tutele.

I dati statistici raccolti dallo Sportello dalla sua creazione ad oggi ci permetteranno di analizzare a fondo l'effettività dei diritti assistenziali e previdenziali all'interno della realtà penitenziaria di Sollicciano. Compareremo inoltre questi dati con quelli inerenti alle attività lavorative svolte nell'istituto, al fine di evidenziare le modalità attraverso cui il lavoro carcerario (rectius: alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria) influisce sulla fruizione di queste prestazioni. Lo studio di tipo statistico condotto nei paragrafi relativi alle singole tutele (dalle prestazioni di disoccupazione al Bonus famiglie) verrà utilizzato per testare la validità dell'ipotesi di ricerca formulata nel secondo capitolo, che vede nelle 'patologie' del lavoro carcerario e della vita detentiva dei fattori di estremo danno per l'accesso alle tutele sociali.

Note

1. "Chi si trova in stato di detenzione, pur privato della maggior parte delle sue libertà, ne conserva sempre un residuo, che è tanto più prezioso in quanto costituisce l'ultimo ambito nel quale può espandersi la sua personalità individuale" (Corte cost. sent. n. 349 del 28 luglio 1993, in "Giur. cost.", 1993, p. 2740).

2. Sul tema vedremo in modo particolare l'impostazione seguita da T.H. Marshall, Citizenship and social class, in T.H. Marshall, Class, Citizenship and Social Development, The University of Chicago Press, Chicago, 1964 (trad. it. Cittadinanza e classe sociale, Utet, Torino, 1976).

3. Tra queste: le prestazioni di disoccupazione, gli assegni per il nucleo familiare, le prestazioni pensionistiche, l'assegno sociale, le prestazioni a favore dei disabili, la Carta acquisti e il Bonus famiglie.

4. Si tratta della disciplina dei cosiddetti 'reati ostativi' al possesso del permesso di soggiorno.

5. Percentuale elaborata sulla base dei dati rilevati al 31 dicembre 2008, Ministero della Giustizia.