ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Globalizzazione e traffico di migranti

Marica Lo Bue, 2008

Sommario: Introduzione - 1.1 - Trafficking e smuggling: definizioni - 1.2 - Organizzazione del fenomeno: costrizione o consenso? - 1.3 - L'industria del passaggio delle frontiere - 1.4 - Trafficking e smuggling: un business globale - 2.1 - Lotta al crimine internazionale e protezione di diritti umani: il panorama normativo - 2.2 - La legislazione italiana in materia - Conclusioni - Appendice - Bibliografia

Introduzione

I processi migratori e in particolar modo quelli caratterizzati dagli elementi di clandestinità, traffico e sfruttamento di esseri umani difficilmente possono essere correttamente compresi e interpretati se non alla luce del fatto che il contesto entro il quale tale fenomeno si colloca è quello della cosiddetta "società globalizzata".

La globalizzazione è "un processo sociale [...] che ha dato vita ad una vera e propria rete mondiale di connessioni spaziali e di interdipendenze funzionali. Questa "rete" mette in contatto fra loro un numero crescente di attori sociali e di eventi economici, politici, culturali e comunicativi, un tempo disconnessi a causa delle distanze geografiche o delle barriere cognitive e sociali di vario tipo" (1).

Questa definizione, seppur generica, risulta particolarmente utile ai fini della comprensione del traffico di migranti nell'era globale; è infatti interessante notare come venga posto l'accento sull'aspetto della crescente connettività sociale, politica ed economica, ossia l'interdipendenza tra le varie parti del mondo, determinata dal dominio delle nuove tecnologie.

In effetti, nel corso della trattazione si cercherà di analizzare il fenomeno del traffico di esseri umani tentando di dimostrare in qualche modo la sua esistenza e la sua "essenza" quale esito di un processo di globalizzazione caratterizzato da elementi di complessità e contraddittorietà.

Se da un lato, è necessario ammettere che la globalizzazione ha determinato possibilità di mobilità e di movimento, inducendo ulteriori mutamenti economici e sociali, dall'altro, è interessante analizzare quegli aspetti politici e culturali determinanti nella gestione di quei conflitti favoriti dallo stesso processo globale.

Infatti, mentre sul piano economico, la globalizzazione assume palesemente le vesti di crescente integrazione e interdipendenza, su quello sociale- culturale essa ha indotto un mutamento importante in quelle che sono le nuove modalità di controllo e di esclusione verso tutti i soggetti ai quali è precluso il godimento di ogni possibile beneficio derivante dai nuovi processi globali (2).

La tensione continua tra mobilità ed integrazione di pochi e paralisi ed esclusione di molti ha creato dunque una nuova forma di stratificazione sociale mondiale e ad una polarizzazione del mondo che come sostiene Zygmunt Bauman, ha separato l'élite che cerca e trova "soluzioni personali a problematiche di tipo collettivo da coloro cui mancano o sono negate le risorse per trovare queste soluzioni, e la cui esistenza personale, di conseguenza, risente pesantemente dei problemi comuni" (3).

Inoltre, nell'era liquido-globale contemporanea, per quel che riguarda il confronto con lo straniero migrante, non sarebbe possibile trovare alcuna forma di legittimazione a tendenze di tipo antropofagico (volte cioè all'inclusione e all'assimilazione) o di tipo antropoemico (rigetto ed espulsione dai confini). In effetti, ciò presupporrebbe una logica dentro-fuori in perfetta contraddizione con quegli attributi di fluidità e interconnessione con i quali taluni amano definire la globalizzazione (4).

Nella realtà dei fatti, però, non è difficile pensare a come il fenomeno delle migrazioni e più in particolare quello del traffico e sfruttamento dei migranti sia essenzialmente riconducibile a queste logiche di potere e di controllo, limitanti ogni possibilità di mobilità e di libertà.

Nell'analisi che segue si è voluto dapprima definire il fenomeno nelle sue complesse e molteplici accezioni, in seguito ci si è soffermati a identificare i soggetti (migranti trafficati e reti criminali internazionali), le loro motivazioni e i luoghi lungo i quali avviene il traffico.

Inoltre, al fine di voler rafforzare l'idea del nesso tra globalizzazione e traffico di migranti, si è cercata dell'evidenza empirica in un'indagine di tipo econometrico.

Infine, prima di passare alle conclusioni, segue una rassegna dei più importanti strumenti giuridici elaborati sia in seno alle Nazioni Unite che in sede Unione Europea che nel nostro paese, e volti a contrastare e prevenire il fenomeno.

1.1 Trafficking e smuggling: definizioni

Le difficoltà legate alla interpretazione del fenomeno iniziano già nel momento della sua definizione: il traffico e lo sfruttamento di esseri umani seguono infatti dinamiche complesse e modus operandi talvolta differenziati nelle singole aree regionali. Con il termine "migranti trafficati" ci si riferisce a quegli individui costretti o persuasi ad emigrare da altri, interessati a trarne profitto o a sfruttarli una volta giunti a destinazione e, trattenuti contro la loro volontà, ridotti in schiavi. (5).

Più comunemente le maggiori istituzioni internazionali si riconducono alla terminologia adottata dall'ONU e volta ad identificare nella pratica dello smuggling il semplice aggiramento dei vincoli all'ingresso e il favoreggiamento dell'ingresso irregolare ad opera di un"passatore" (smuggler) incaricato dietro compenso di aiutare clienti consenzienti a varcare le frontiere illegalmente (6).

Con trafficking invece si identifica il più vasto e grave fenomeno della tratta di esseri umani, per cui il trafficante è colui che facendo entrare delle persone in un altro paese con l'inganno o con la violenza, le assoggetta al suo potere sfruttandole in diversi modi (prostituzione, lavoro forzato, mendicità...) o rivendendole ad altri trafficanti (7).

Ne segue che, dal punto di vista definitorio un punto essenziale sta nell'identificazione del consenso e della partecipazione attiva dei soggetti fatti passare attraverso le frontiere, pur ammettendo sul piano pratico la soggiacente difficoltà a distinguere gli elementi di frode o di coercizione dalla scelta consapevole da parte dei soggetti coinvolti.

Inoltre, nonostante spesso si tenda ad isolare concettualmente il fenomeno, le pratiche di sfruttamento di esseri umani includono anche il cosiddetto "turismo sessuale", per i quali non esisterebbe alcun "traffico", essendo gli stessi sfruttatori pronti a intraprendere un viaggio verso luoghi esotici o paesi dell'Est, pur di poter soddisfare aberranti fini.

E' possibile comprendere meglio il commercio della merce persona nell'era contemporanea se lo si analizza alla luce del confronto con le vecchie tradizionali forme di schiavitù: in entrambi i casi soggiace la possibilità di lucrare alti profitti sfruttando manodopera a costo zero, ma, mentre un tempo la schiavitù era lecita e tollerata, oggi essa è illegale e accompagnata da un certo "sentimento" pubblico contrario.

Secondo Bales (8), due sono essenzialmente i fattori determinanti del passaggio dalla schiavitù di tipo tradizionale all'esplosivo diffondersi della nuova: boom demografico e modernizzazione. Da una parte, quindi, è possibile constatare come il drammatico aumento della popolazione mondiale dopo la Seconda guerra mondiale (e, in particolar modo, nel Sud-Est asiatico, in Africa e paesi arabi e nelle aree in cui la schiavitù fa parte della cultura storica) abbia fatto crescere verticalmente l'offerta di schiavi potenziali abbassandone il "prezzo". D'altra parte, si osserva che il rapido mutamento sociale ed economico portato dalla modernizzazione in molti paesi in via di sviluppo ha concesso immensi benefici a ristrette élites, permettendo, nello stesso tempo, il peggioramento del processo di impoverimento di molti individui.

Bales, infatti, pur ammettendo che modernizzazione e globalizzazione abbiano prodotto effetti positivi, dal miglioramento delle condizioni sanitarie all'innalzamento dei livelli di scolarità, riconosce che la concentrazione della proprietà terriera e la corruzione dei governi locali favoriti dalla rapidità del cambiamento socio-economico abbiano portato ad un progressivo impoverimento e ad una schiavitù di tipo nuovo, in cui è proprio la natura del rapporto schiavi/schiavisti ad essersi radicalmente trasformata: "la nuova disponibilità ha aumentato in modo drammatico la quantità di profitto che si può ricavare da uno schiavo, ridotto la durata del normale rapporto di schiavitù e reso meno rilevante la questione della proprietà legale" (9).

1.2 Organizzazione del fenomeno: costrizione o consenso?

Una stima esatta del numero totale delle vittime della tratta è difficile da ottenere a causa della natura clandestina del traffico stesso, e dei problemi legati alla rilevazione e documentazione degli episodi di traffico. Per quantificare il numero di episodi che non giungono agli onori della cronaca, spesso, si fanno estrapolazioni dai casi documentati, quindi, prevedendo sempre un margine d'errore.

Le stime divengono ancora più difficili quando vengono fatte a livello regionale o a livello internazionale; i dati, infatti, possono essere raccolti usando criteri diversi. Ad esempio, alcuni possono tenere in considerazione soltanto le persone introdotte clandestinamente attraverso il confine di stato, mentre altri tengono in conto sia coloro che transitano attraverso il confine di stato, sia coloro che vengono "trafficati" all'interno di uno stesso stato. L'ILO, infatti, ha rimarcato di avere incontrato grosse difficoltà nella raccolta dei dati sul traffico di minori; difficoltà dovute essenzialmente al fatto che alcune raccolte di dati erano state fatte su base annuale, mentre altre fornivano delle raffigurazioni tese a misurare il numero di minori "trafficati" in un particolare periodo.

Inoltre, come si è sottolineato, tra traffico (smuggling) e tratta (trafficking) esistono differenze significative, anche se nel linguaggio comune spesso si tende a confondere (10). Tuttavia, occorre precisare che i confini sono labili e che di frequente episodi di traffico, in itinere divengono casi di tratta. Infatti, i due mercati, sempre contigui, tendono spesso a confondersi. Talvolta infatti le organizzazioni ed i singoli imprenditori svolgono entrambe le attività, e spesso le vie di trasporto internazionale coincidono, in tutto o in parte. Inoltre, non di rado, accade che la persona trasportata, inizialmente richieda il servizio di ingresso migratorio illegale in uno Stato, per divenire, in un momento successivo, vittima di tratta. E' stato rilevato, infatti, che, in molti casi la persona si rivolge spontaneamente agli esponenti delle organizzazioni che gestiscono il servizio migratorio illegale per essere condotta in altro Stato e, solo in seguito, durante le fasi del viaggio, la condotta del trasportatore si modifica, subentra la coercizione e intervengono la finalità di sfruttamento e le altre manifestazioni di prevaricazione (minacce, violenze).

Il traffico si articola in un certo periodo di tempo e riguarda il territorio di più Stati; pertanto, è frequente che alcuni elementi obiettivi si manifestino in uno Stato diverso da quello in cui la persona ha iniziato il viaggio; e può accadere che proprio a seguito del manifestarsi di tali elementi si possa configurare un'ipotesi di trafficking, piuttosto che di semplice smuggling: ciò comporta la necessità di conoscere e valutare tutte le fasi in cui si è articolata la condotta per poterla identificare e qualificare giuridicamente in maniera corretta. Inoltre, poiché i due fenomeni vengono confusi anche nella percezione dell'opinione pubblica, si nota come difficilmente la società riesca a distinguere la figura della persona trafficata da quella dell'immigrato irregolare, e quindi, ad attribuire alla prima il ruolo di vittima (11).

Sembra infatti, che non vi sia piena consapevolezza (tanto da parte dell'opinione pubblica, quanto degli stessi operatori) circa la fallacia della distinzione tra "vittime innocenti" e "vittime colpevoli". Il problema è particolarmente visibile in relazione alla tratta per scopi di prostituzione forzata o di altre forme di sfruttamento sessuale, ma è attinente a tutti i migranti irregolari trafficati.

Questa distinzione rilevabile nella prassi presuppone che le vittime colpevoli non siano meritevoli di protezione contro il lavoro forzato, la schiavitù o condizioni analoghe, dal momento che gli abusi a cui sono sottoposte sono ritenute essere una conseguenza di una loro presunta colpa. Secondo questo approccio le vittime autentiche sono quelle capaci di provare di essere state forzate a rendersi schiave, mentre le vittime colpevoli sono coloro che erano già coinvolte in qualche attività (e.g prostituzione) prima di essere trafficate, supponendo che esse sarebbero o sono consenzienti a svolgere questi "lavori" anche in condizioni non coercitive. Secondo tale interpretazione, l'elemento di coercizione è erroneamente considerato in relazione alla volontà o meno della persona di svolgere attività di prostituzione e non invece alle condizioni coercitive o schiavistiche alle quali può essere assoggettata in un secondo tempo. La conseguenza diretta di questa distinzione può consistere nel paradosso che anziché essere il responsabile ad essere perseguito, preliminarmente è la vittima a dover provare la sua innocenza.

1.3 L'industria del passaggio delle frontiere

La complessa organizzazione del fenomeno può esser interpretata sotto le vesti di un'industria del passaggio delle frontiere (12) nella quale lo smuggling diviene una fase del trafficking essendo quest'ultimo identificabile come un fondamentale elemento di connessione all'interno di un sistema reticolare più ampio meglio noto come migration business.

Nell'analisi condotta da Salt e Stein (13) vengono identificati tre stadi del trafficking: la mobilitazione eil reclutamento dei migranti nei paesi d'origine; il loro viaggio attraverso i confini tra gli stati; l'inserimento nel mercato del lavoro e nelle società dei paesi di destinazione.

Ne segue che l'articolazione del fenomeno risulta in un denso intrecciarsi e in una fitta commistione di soggetti e funzioni: non sempre accade che sia la stessa organizzazione a doversi occupare della gestione di tutte le fasi, certe attività infatti possono essere "appaltate" ad altri soggetti e inoltre non di rado una stessa organizzazione può gestire anche altri business come il commercio di droga e di armi o il riciclaggio di denaro e di merce rubata.

Le organizzazioni criminali internazionali sono costituite seguendo un modello reticolare e fluido, basato su piccole organizzazioni flessibili, senza strutture gerarchiche e rapporti durevoli. Flessibilità operativa e capacità relazionale contraddistinguono il loro operato: se il primo aspetto consente un adattamento delle modalità di reclutamento e trasporto ai vincoli determinati dalle strategie di contrasto; il secondo implica abilità nell'instaurare rapporti di collaborazione con le organizzazioni che si occupano del reclutamento e del transito delle vittime.

Appare dunque, come le reti criminali internazionali coinvolte nel traffico somiglino più alla struttura multi-cefala e difficilmente reprimibile dell'Hydra, piuttosto che alla classica immagine della Piovra con la quale si è soliti identificare le varie mafie.

Parlare di criminalità organizzata implica quindi il riferimento ad una struttura composta di uomini, di mezzi e di ingenti capitali tra i cui fini principali rientrano l'arricchimento ingente e rapido, la ricerca dell'impunità e l'acquisizione di posizioni di potere (14).

Quanto agli spazi entro i quali il traffico di esseri umani si consolida, si potrebbe pensare ad enclaves, forme spaziali emergenti nate dalla fenditura esistente tra il vecchio sistema territoriale degli stati nazione e la nuova rete globale. Tali enclaves possono essere di tipo giuridico (laddove mancano meccanismi legislativi appropriati di prevenzione e repressione del trafficking), o ancora di tipo sociale, ossia rafforzate dall'appartenenza a reti etniche e societarie. Inoltre, in tempi recenti, sebbene le enclaves di tipo territoriale (15) continuino ad esser sicuri punti di snodo del traffico, si nota come la rete telematica sia diventata una nuova forma (virtuale) di reclutamento delle vittime.

1.4 Trafficking e smuggling: un business globale (16)

Èquesto un interessante approccio all'interpretazione del fenomeno, che, pur se ancorato ad un lessico e a una simbologia strettamente economici, riesce in maniera efficace a spiegarne le possibili cause a scorgere i legami con il più vasto fenomeno della globalizzazione.

Si suppone qui l'esistenza di un mercato illegale di vittime trafficate (nel caso esaminato, per semplificazione, questo è costituito dallo sfruttamento sessuale) e di fattori esplicativi della domanda e dell'offerta in grado di determinare l'incidenza globale del fenomeno (17).

Come in qualsiasi mercato, l'offerta risulta crescente rispetto al prezzo, mentre la domanda di vittime da parte dei trafficanti dipende invece soprattutto dal prezzo che i consumatori sono disposti a pagare per il "servizio" offerto.

Ne segue che, almeno da un punto di vista teorico si potrebbe stimare empiricamente la grandezza del fenomeno attraverso un sistema di equazioni di domanda e di offerta; in pratica tuttavia, importanti complicazioni rendono impossibile tale esercizio

In primo luogo, in questo particolare tipo di mercato non è raro trovare imperfezioni e fallimenti e di conseguenza l'assenza di equilibri stabili.

In secondo luogo, esiste una sovrapposizione di ruoli che rende impossibile distinguere con chiarezza il trafficante dallo sfruttatore o dal trasportatore di vittime, dal momento che questi attori sono spesso membri della stessa organizzazione criminale.

Tale commistione di ruoli all'interno delle reti criminali se da un lato rende quasi impossibile l'identificazione di un prezzo delle vittime, dall'altro risulta funzionale alla nostra interpretazione del fenomeno nella misura in cui cerca di spiegare attraverso la finalità di massimizzazione del profitto e minimizzazione dei costi il comportamento di tali organizzazioni.

Dal lato dei benefici si includono i proventi dallo sfruttamento economico delle vittime lungo la catena del traffico (includendo qui anche il rimborso del debito che come si è visto "costringe" le vittime ad acconsentire al loro sfruttamento).

Dal lato dei costi, poiché evidentemente non esistono salari con i quali remunerare i soggetti trafficati e sfruttati, l'unico capitolo di spesa apparirebbe come un rischio essendo esso costituito dalla probabilità di "esser scoperti" e incorrere in sanzioni legali.

Pertanto, come qualsiasi homo oeconomicus il trafficante valuterà costi e benefici, e resterà sul mercato fintanto che i profitti (illegali) resteranno superiori ai costi attesi (calcolati in base al valore pecuniario della sanzione aggiustato con la probabilità di incorrere in tale sanzione); in particolare, l'offerta di vittime trafficate sarà sufficientemente elevata finché i profitti dell'attività di traffico saranno alti relativamente a qualche altra opzione commerciale legale e tali da eccedere sostanzialmente sia il rischio di incorrere in sanzioni e azioni punitive sia i costi di transazione.

In particolare, si può analizzare quali siano i fattori in grado di influenzare la domanda all'interno dei paesi riceventi i flussi di lavoratori trafficati; in altri termini, si è qui interessati a capire non tanto la ragione per la quale un certo paese sia un paese ricevente (banalmente tutti i paesi con medio e alto livello di ricchezza lo sono), quanto piuttosto perché la domanda possa variare tra diversi paesi riceventi, cosa cioè possa rendere un certo paese più "attraente" e appetibile rispetto ad altri.

L'ipotesi è che all'interno di tali paesi la domanda di vittime trafficate sia spinta da fattori quali l'apertura commerciale, l'incidenza della prostituzione (18) e il prezzo dei servizi offerti dalle vittime (19).

La globalizzazione è stata infatti descritta (20) come una fra le principali forze che hanno arricchito le reti criminali e indebolito le agenzie create per combatterle, e il grado di apertura commerciale di un paese (in termini di volume di esportazioni e importazioni normalizzate sul Prodotto Interno Lordo) rappresenterebbe una misura dell'integrazione economica nell'economia globale ma in un certo senso anche della permeabilità dei confini (21).

A questo punto, però è importante porre un caveat circa l'effetto imputabile al grado di apertura commerciale e politica: se da un lato, sembrerebbe che, laddove i confini siano più permeabili, le attività illegali emergano meno chiaramente, e il numero di trafficati risulti sottostimato; d'altra parte, è pur vero che quando esistono più opportunità per le migrazioni regolari, tutte quelle attività illegale come il traffico e lo sfruttamento di esseri umani tendono a diminuire.

Infine, per quanto attiene al lato dell'offerta si suppone che questa dipenda principalmente da disoccupazione femminile e corruzione nei paesi di origine, ma è nota anche l'influenza di altri fattori quali: apertura dei confini nei paesi in transizione associata con un maggiore mobilità fisica (22), femminizzazione della povertà, profondi differenziali di ricchezza tra paesi di origine (in via di sviluppo) e paesi di arrivo (solitamente sviluppati), o alti tassi di analfabetismo, alta disuguaglianza nella distribuzione del reddito, presenza di conflitti, disastri naturali (siccità, carestie) nei paesi di origine.

A questo punto gli autori formalizzando un modello di regressione econometrica (23), giungono a determinati risultati con i quali confermano che la globalizzazione sia positivamente correlata con il traffico, in particolare si sostiene che più un paese è aperto, tanto più è esposto alle attività criminali dei trafficanti. Allo stesso tempo va notato che, almeno in questo studio, appare impossibile determinare se tale risultato sia riconducibile tout-court ad un'apertura economico-commerciale piuttosto che al libero movimento di persone. Da ciò discende una possibile interpretazione degli effetti che, le riforme economico-finanziarie, fortemente suggellate dagli approcci del tipo "There is no alternative" (T.I.N.A) del FMI e l'abbassamento delle barriere tariffarie e doganali abbiano in qualche modo avuto sul traffico di persone, rendendo più agevole l'attività dei trafficanti.

Quanto all'incidenza della prostituzione gli autori trovano solo una lieve correlazione, riconducibile essenzialmente alla difficoltà di reperimento dei dati per distinguere la prostituzione legale da quella illegale.

Importanti infine, risultano gli elementi influenzanti l'offerta, quasi a voler evidenziare l'esistenza di implicazioni politiche in grado di condurre verso un'azione più mirata nei paesi di origine delle vittime (riduzione della povertà, aumento dell'occupazione femminile, riduzione della corruzione).

2.1 Lotta al crimine internazionale e protezione di diritti umani universali: panorama normativo internazionale

Dall'analisi fin qui condotta, emerge come il fenomeno del trafficking e dello smuggling siano in realtà fortemente influenzati dalle condizioni reali e diffuse di povertà e marginalizzazione socio-economica che fanno parte dell'odierno mondo globalizzato.

Dunque, appare determinante affrontare il problema del trafficking in persons sotto una prospettiva che sia abbastanza ampia da poter comprendere le varie sfaccettature del fenomeno, seppur ponendo la necessaria cautela nell'affermazione di principi universalistici che possano in realtà esser facilmente criticati e reinterpretati dalle singole identità culturali locali nazionali.

D'altra parte, però, considerare questo problema come una mera questione di controllo del crimine organizzato o di difesa delle frontiere nazionali è riduttivo e fuorviante nel momento in cui si violano la dignità umana e gli stessi diritti riconosciuti ad ogni essere umano dalle Convenzioni Internazionali e dalle Costituzioni di molti paesi come il diritto alla libertà personale, all'integrità fisica, alla libertà di movimento e a non subire trattamenti umani degradanti.

La peculiarità del fenomeno esige dunque l'analisi delle sue interconnessioni con questioni quali: l'immigrazione, la situazione socio-economica e l'instabilità politica di molte zone del mondo, la sicurezza, etc. e dei relativi strumenti legislativi di volta in volta adottati per contrastare ciascuno di questi elementi.

Inoltre, se oggi i fenomeni del neo-schiavismo e del traffico internazionale di persone e di migranti sono ben noti alla comunità internazionale costituendo oggetto di numerosi interventi in sede internazionale e comunitaria, soltanto alla luce di dati relativi alla portata del fenomeno e della elevata redditività delle attività criminali (24), è sorta la consapevolezza e l'esigenza di dover apprestare specifici ed efficaci strumenti di intervento volti alla lotta e alla repressione del fenomeno.

La lunga inerzia del legislatore nei diversi ordinamenti nazionali può essere ricondotta ad un duplice ordine di ragioni: da un lato, la persistente negazione alle persone trafficate dello status di vittime; dall'altro, la fuorviante sovrapposizione tra il fenomeno dell'immigrazione clandestina e della tratta di persone.

Inoltre, è necessario notare che della schiavitù e della tratta, in epoca moderna, si è occupato soprattutto il diritto internazionale, e solo di riflesso la normativa interna, con una dislocazione cronologica delle norme in materia, in tre differenti periodi storici.

  1. Prima fase: dal Trattato e Dichiarazione per l'abolizione della tratta (Congresso di Vienna, 1815) al c.d. Trattato di San Germano (1919). Inoltre a partire dagli anni '20 si comincia ad accendere l'attenzione da parte della comunità internazionale, e il fenomeno da contrastare non è più soltanto quello della "schiavitù dei negri" ma è anche la "tratta delle bianche".
  2. Seconda fase: nell'arco di circa quarant'anni vengono elaborati significativi atti internazionali quali la Convenzione di Ginevra (1926); la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1948); la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (1950); la Convenzione supplementare di Ginevra (1956); il Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966).
  3. Terza fase: Risoluzione del Parlamento europeo sulla tratta di esseri umani (1996); Azione comune del Consiglio dell'Unione europea per la lotta contro la tratta di esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini (1997); Dichiarazione della Conferenza ministeriale sulle linee guida europee contro la tratta (1997); Trattato di Amsterdam (1997); art. 7 dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (1998); Carta europea dei diritti (Nizza, 2000), poi inserita nel Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa (2004); Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale ed i Protocolli supplementari sulla tratta di persone (trafficking in human beings) e sul traffico di migranti (smuggling of migrants), nei testi adottati dal Comitato ad hoc per l'elaborazione il 28/10/2000, approvati dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, e aperti alla firma nella Conferenza internazionale di Palermo; Decisione-quadro del Consiglio dell'UE sulla lotta alla tratta degli esseri umani (2002); Decisione della Commissione relativa alla istituzione di un Gruppo di esperti sulla tratta degli esseri umani (2003). Infine si può ricordare anche che l'art. 8 della l. 22.4.2005 n. 69, recante "Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13.6.2002, relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra stati membri", prevede che si faccia luogo alla consegna in base al mandato di arresto europeo, indipendentemente dalla doppia incriminazione, proprio per il fatto di costringere o indurre una persona, mediante violenza o minaccia, o inganno, o abuso di una autorità, a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio di uno stato, o a trasferirsi all'interno dello stesso, al fine di sottoporla a schiavitù o al lavoro forzato o all'accattonaggio o allo sfruttamento di prestazioni sessuali.

E' da ricordare, anche, la serie di programmi (in particolare, Stop, Agis, Daphne, Phare, Tacis, Cards, Aeneas) finanziati e gestiti dalla Commissione europea, che offrono l'opportunità di realizzare progetti mirati a rafforzare la prevenzione e la lotta alla tratta di esseri umani. Inoltre, organizzazioni come Europol e Eurojust sono state istituite e munite di specifiche competenze nel campo della tratta.

Infine, appare utile sottolineare, che durante il vertice di Varsavia del maggio 2005, i capi di stato e di governo dei Paesi membri del Consiglio d'Europa hanno firmato una Convenzione sull'azione contro il traffico di persone con l'obiettivo di combattere il traffico, nazionale o internazionale, legato o non al crimine organizzato.

Un principio fondamentale enunciato nella Convenzione è che la protezione e la promozione dei diritti delle vittime devono essere assicurate senza discriminazioni basate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni, l'origine nazionale o sociale, l'associazione con una minoranza nazionale, i beni posseduti, la nascita o un altro status dato. Il valore aggiunto della Convenzione sta proprio nel suo fondarsi sui diritti umani, nell'attenzione alla protezione delle vittime e nel meccanismo di monitoraggio indipendente che vigilerà sull'applicazione delle norme nei paesi firmatari. Ancora una volta è possibile osservare come l'aspetto repressivo e quello della valorizzazione dei diritti umani delle persone trafficate siano negli strumenti giuridici internazionali i due aspetti inscindibili di una medesima medaglia.

Fra le fonti normative citate, merita particolare attenzione la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata, la quale, con i relativi Protocolli aggiuntivi ha recepito e cristallizzato le definizioni già da tempo invalse in campo internazionale, divenendo un chiaro e significativo punto di riferimento per i futuri interventi legislativi nazionali e internazionali in materia.

La Convenzione si pone, infatti, l'obiettivo di prevenire e contrastare il traffico internazionale di persone gestito da organizzazioni criminali transnazionali, introducendo una disciplina comune agli Stati e prevedendo strategie di cooperazione internazionale sul piano investigativo (25).

Sulla stessa scia, ma in ambito europeo, la Decisione quadro relativa alla posizione della vittima adottata dal Consiglio dell'Unione europea il 15 marzo 2001, ha sottolineato la necessità che gli Stati membri ravvicinino le loro disposizioni per raggiungere l'obiettivo di offrire alle vittime della criminalità, indipendentemente dallo Stato membro in cui si trovino, un livello elevato di protezione.

È stato, poi, precisato che le disposizioni della Decisione quadro non hanno come unico obiettivo quello di salvaguardare gli interessi della vittima nell'ambito del procedimento penale in senso stretto, ma comprendono altresì misure di assistenza alle vittime, prima, durante e dopo il procedimento penale, che potrebbero attenuare gli effetti del reato (così nelle considerazioni generali), ed è stato ribadito l'impegno in virtù del quale ciascuno Stato membro garantisce un livello adeguato di protezione alle vittime di reati (articolo 8.1). Appare, inoltre, che tutte queste indicazioni non hanno natura meramente assistenzialistica, ma contribuiscono a rafforzare il sistema di prevenzione e repressione dei traffici di persone; anzi, come risulta testualmente, esse mirano anche ad incentivare il momento repressivo, e ben si inquadrano, quindi, nel più ampio scenario normativo internazionale di sollecitazione all'adozione da parte dei diversi Paesi di misure omogenee per prevenire e reprimere severamente le condotte in questione. Dunque, anche l'Europa ha gradualmente dimostrato di essere fortemente impegnata per contrastare un fenomeno che, come si è visto, da tempo la coinvolge direttamente quale area di destinazione dei traffici di persone.

2.2 La normativa italiana in materia di trafficking e smuggling

La legislazione italiana in materia di tratta e traffico di esseri umani è essenzialmente definita nell'articolo 18 del Testo unico 25 luglio 1998 n. 286, in cui si è cercato di attuare i principi consolidati negli strumenti normativi internazionali, coniugando il rafforzamento delle azioni repressive del traffico di persone e la tutela dei diritti delle vittime.

La norma in questione presenta aspetti assolutamente peculiari e rappresenta un modello in ambito europeo, tanto da restare invariata anche a seguito delle modifiche apportate alla disciplina dell'immigrazione con la legge 30 luglio 2002, n. 189. L'art. 18 prevede la possibilità del rilascio da parte del questore di uno speciale permesso di soggiorno allo straniero sottoposto a violenza o a grave sfruttamento, quando vi sia pericolo per la sua incolumità al fine di consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale, su richiesta o previo parere del procuratore della Repubblica. Le condizioni di violenza o sfruttamento possono essere accertate o nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di procedimenti per delitti connessi alla prostituzione o altri gravi delitti, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali pubblici o di enti ed associazioni non governative. Il permesso, che ha la durata di sei mesi, può essere rinnovato, per gli stessi motivi, per un anno o per un periodo maggiore. Dopo tale scadenza, esso può essere rinnovato per motivi di lavoro o convertito in permesso di soggiorno per motivi di studio. Lo strumento in questione evidenzia un doppio binario di tutela:

  1. la possibilità di integrazione sociale dello straniero al quale, come si è detto, in attuazione del programma di assistenza, può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di studio, per motivi, cioè, che determinano una rottura con il passato e con le vicende da cui ha tratto origine la presenza irregolare dello straniero in Italia.
  2. la possibilità per lo straniero di rivolgersi inizialmente ai servizi sociali o ad enti ed organizzazioni non governative, con un approccio certamente più agevole e meno traumatico di quello legato ad una denuncia alla polizia giudiziaria. Questa possibilità, di un percorso sociale, costituisce l'aspetto più significativo e peculiare della norma, senza che vi sia contrasto con le esigenze di accertamento giudiziario, sia perché il percorso sociale è comunque destinato a sfociare nel percorso giudiziario, sia perché rappresenta un'azione di sostegno nei confronti della vittima.

Se da una parte, bisogna notare come ad oltre dieci anni dall'introduzione dell'articolo 18 permangano difficoltà interpretative, per cui, ad esempio, alcune questure non concedono il permesso di soggiorno se non c'è prima un procedimento penale in corso (il che è un evidente controsenso rispetto alla ratio della norma); d'altra parte l'esperienza processuale testimonia che quando una vittima è assistita con gli strumenti che offre l'articolo 18, anche gli esiti, investigativi prima e processuali poi, sono positivi e conducono a condanne dei trafficanti, avviando il superamento della visione strettamente premiale (tipica del sistema dei collaboratori di giustizia) e la pianificazione di un intervento pubblico di reintegrazione e valorizzazione dei diritti fondamentali delle persone.

Conclusioni

Attraverso il presente lavoro si è cercato di analizzare il fenomeno tanto diffuso quanto nascosto del traffico e dello sfruttamento di esseri umani e a comprenderne i legami con il più ampio scenario della globalizzazione.

In tal senso, infatti, si potrebbero leggere gli effetti della globalizzazione in chiave di strani ibridi o forme ossimoriche perverse. Da una parte, la tendenza verso un raccorciamento delle distanze e un abbattimento di ogni tipo di confine; dall'altra, il consolidamento dei poteri più forti e la conseguente erezione di barriere mobili e selettive a protezione di "isole felici" nelle quali sia possibile godere dei benefici della globalizzazione.

Il tutto si risolve entro una logica "dentro-fuori" che lascia ai margini grandi fette della popolazione con l'illusione di poter trarre vantaggi da uno scenario in realtà altamente controllato.

Come fa notare A. Dal Lago, se i confini rappresentano l'apparenza che le relazioni tra stati assumono sulla scena globale, "frontiere e fronti costituiscono la realtà, attuale e virtuale, di un movimento complessivo di forze ben più strategiche. Le frontiere economiche, sociali e mediali contano oggi ben più delle linee tracciate, spesso arbitrariamente, sulle carte geo-politiche [...] E i fronti, sia nel caso di conflitti aperti, sia e soprattutto nel caso di quelli nascosti e segreti, non conoscono frontiere e confini" (26).

Abbracciando un'impostazione foucoltiana, si può sostenere che l'ordine discorsivo dominante cerca di realizzare un'omogeneizzazione materiale e simbolica ma non guarda agli effetti perversi che ne discendono, e il traffico e lo sfruttamento di esseri umani rappresenta uno di questi.

La mancanza di accesso a fondamentali risorse e la speranza di entrare in quelle "isole felici", così come rappresentate dai cartelloni pubblicitari, rappresentano i principali fattori di spinta e di attrazione che conducono alla scelta (più o meno forzata) di migrare.

Il paradosso che si realizza consiste dunque, nel fatto che, nel mondo globalizzato, la distanza tra chi ha accesso alle risorse e chi no, tra chi crea un ordine discorsivo e chi ne è sottomesso, non si risolve nella loro separazione (come all'epoca del colonialismo e dell'imperialismo) ma nella loro contiguità. Ed ecco che allora, si può chiaramente delineare quale sia lo scenario che permette al traffico di migranti, o più in generale, allo sfruttamento di esseri umani di realizzarsi: questo è costituito dalla "rete globale" (27) che con le sue connessioni spaziali e interdipendenze funzionali finisce per creare unioni ma anche profonde fenditure.

Appendice

L'industria del passaggio delle frontiere

Bibliografia

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  • Zolo, D., Globalizzazione. Una mappa dei problemi, Laterza, Roma-Bari 2006.

Siti consultati

Note

1. Zolo, D., Globalizzazione. Una mappa dei problemi, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 4.

2. "Ciò che appare come conquista di globalizzazione per alcuni, rappresenta una riduzione della dimensione locale per altri; dove per alcuni la globalizzazione seganle nuove libertà, per molti altri discende come un destino non voluto e crudele. La mobilità assurge al rango più elevato tra i valori che danno prestigio e la stessa libertà di movimento, da sempre merce scarsa e distribuita in maniera ineguale, diventa il principale fattore di stratificazione sociale dei nostri tempi [...]" (Bauman, Z., Dentro la globalizzazione: le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari, 1999, p. 4).

3. Bauman, Z., Una nuova condizione umana, Vita e Pensiero, 2003, pp. 80-81.

4. Bauman, Z., La società sotto assedio, Laterza, Roma-Bari, 2003, pp. 112-113.

5. In effetti, la categoria dei "migranti trafficati" rientrerebbe in una sfera intermedia e in parte sovrapposta a quella di "immigrato irregolare" e "clandestino", laddove se quest'ultimo identifica chiunque abbia commesso qualche azione dolosa, aggirando i controlli legali alla frontiera, con il primo termine si intendono invece i cosiddetti overstayers che inizialmente entrati legalmente hanno visto scadere il permesso di soggiorno.

6. Ai sensi dell'art. 3 del «Protocol against the smuggling of migrants by land, sea, and air, supplementing the United Nation Convention against transnational organized crim e» (infra), lo smuggling è definito come «the procurement, in order to obtain, directly or indireclty, a financial or other material benefit, of the illegal entry of a person into a State Party of which the person is not a national or a permanent resident».

7. Ai sensi dell'art. 3 del «Protocol to prevent, suppress, and punish trafficking in persons, especially women and children, supplementing the United Nation Convention against transnational organized crim e» (infra), il trafficking è definito come «the recruitement, transportation, transfer, harbouring or receipt of persons, by means of the threat or use of force or other forms of coercion, of abduction, of fraud, of deception, of the abuse of power or of position of vulnerability or of the giving or receiving of payments or benefits to achieve the consent of a person having control over another person, for the purpose of exploitation. Exploitation shall include, at minimum, the exploitation of prostitution, of others or other form of sexual exploitation, forced labour and slavery, servitude or the removal of organs».

8. Bales K., I nuovi schiavi, Feltrinelli, Milano 2000.

9. Bales K., I nuovi schiavi, cit p. 19.

10. Nella presente analisi si utilizzeranno come sinonimi il termine italiani e il corrispondente in lingua inglese (tratta o trafficking e traffico o smuggling).

11. Le considerazioni che seguono, lungi dall'accettazione di un'impostazione teorica "vittimo-centrica", mirano piuttosto all'identificazione di precise responsabilità in capo ad alcuni soggetti.

12. Salt J., Stein J., Migration as a Business: The Case of Trafficking, "International Migration", Vol. 35 (4), 1997.

13. Si veda in proposito una mappa cognitiva riportata in appendice.

14. Spiezia F., Frezza F., Pace N.M, Il Traffico e lo sfruttamento di esseri umani, Giuffrè Editore, Milano 2002, p. 130.

15. Calais, Patras, Kiev costituiscono alcuni esempi fra le principali rotte intermedie del traffico.

16. Analisi dello studio econometrico condotto da Trainor G. e Belser P., Globalization and the illicit market for human trafficking: an empirical analysis of supply and demand, Geneva, ILO, 2006.

17. Quest'analogia con il mercato implicherebbe (in virtù non già di qualche forma di opinione ma delle modalità con le quali i trafficanti "usano" le loro vittime) una "reificazione" delle vittime, ossia una riduzione di queste a beni di natura fungibile.

18. Si suppone qui che quando l'incidenza della prostituzione aumenti, anche la domanda di vittime cresca, alimentando il traffico di esseri umani (tale asserzione risulta particolarmente veritiera se si pensa a paesi tristemente noti per esser meta di turismo sessuale).

19. Anche in questo caso a prezzi crescenti si associano più alti profitti per i "manager" del traffico e dunque un aumento nella domanda di vittime.

20. Naim M., Illicit, William Heinemann, London, 2006.

21. Pellerin (2005) sostiene ad esempio l'esistenza empirica di un legame analitico tra apertura commerciale e politica, tra confini all'integrazione economica e confini (politici) di sicurezza sicché l'uno può essere utilizzato come proxy dell'altro.

22. Per esempio, secondo Shelley (2003) nell'ultimo decennio il collasso dell'Unione Sovietica congiuntamente alle accresciute possibilità di mobilità fisica arrecate dalla globalizzazione ha facilitato l'aumento nel traffico di persone.

23. Traffico = a1 + a2 disoccupazione femminile + a3 pil (dal lato dell'offerta) e Traffico = a1 + a2 apertura commerciale + a3 prostituzione + a3 prezzo (dal lato della domanda).

24. Sul punto, v. l'analisi fornita dalla COMMISSIONE NAZIONALE ANTIMAFIA, La criminalità internazionale: le nuove mafie, Documento XIII, n. 57, 26, laddove si rileva che "il traffico di esseri umani coinvolge attualmente un numero stimato di persone nel mondo oscillante tra una cifra di 27 e 200 milioni di persone, consentendo alla criminalità organizzata di realizzare un fatturato stimato tra i 7 e i 13 miliardi di dollari l'anno".

25. Spiezia F., Frezza F., Pace N.M, Il Traffico e lo sfruttamento di esseri umani, cit. p. 159 ss.

26. Dal Lago, A., Fronti e frontiere in Vassallo Paleologo F., Cuttitta P., (a cura di) Migrazioni, frontiere, diritti, ESI, Napoli 2006, p. 205.

27. Cfr. Zolo, D., Globalizzazione. Una mappa dei problemi, cit p. 4.