ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 6
La recidiva ed il suo assetto attuale

Guido Tozzi Pevere, 2007

6.1 La riforma del 2005

Oggi l'istituto è normato dall'art. 99 c.p., nella sua veste successiva alle modifiche apportate dal D.l. 11 Aprile 1974 n. 99, novellato dall'art. 4 della Legge 5 dicembre 2005 n. 251, ex Cirielli:

Chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo.

La pena può essere aumentata fino alla metà:

  1. se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole;
  2. se il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente;
  3. se il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l'esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all'esecuzione della pena.

Qualora concorrano più circostanze fra quelle indicate al secondo comma, l'aumento di pena è della metà.

Se il recidivo commette un altro delitto non colposo, l'aumento della pena, nel caso di cui al primo comma, è della metà e, nei casi previsti dal secondo comma, è di due terzi.

Se si tratta di uno dei delitti indicati all'art. 407, comma 2, lettera a) del Codice di procedura penale, l'aumento della pena per la recidiva è obbligatorio e, nei casi indicati al secondo comma, non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto.

In nessun caso l'aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo.

La differenza più rilevante rispetto alla novella del 1974, come vedremo più sotto, riguarda la tipologia di reati ai quali si applica la recidiva: non più qualsiasi reato, ma "delitti non colposi". Conseguentemente è mutato anche il quantum di pena che deve essere aumentata: dato che la veste del 1974 dell'art 99 c.p. prevedeva un aumento "fino ad un sesto", nella stessa casistica attuale ma, ovviamente, per il compimento di qualunque "reato".

Altra importante novità è costituita dalla previsione del comma 4 della norma in esame che, nei casi di cui all'art 407, comma 2, lettera a) c.p.p. (1), prevede il ritorno all'odioso meccanismo dell'automaticità nell'applicazione della recidiva. Così il Giudice è obbligato a dichiararla, e ad applicare i previsti aumenti di pena, per i casi in cui siano stata commessa un'ampia serie di delitti, con un evidente ritorno ad un vetusto sistema di obbligatorietà dal quale ci eravamo, faticosamente, sdoganati.

In ultimo, l'art. 1 della Legge 251/2005, avendo sostituito l'art. 62-bis c.p, introduce il divieto di operare un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alle circostanze inerenti la persona del colpevole, quando questo è un recidivo reiterato. In tal modo, come è stato osservato (Pistorelli), è stato compresso "il potere discrezionale del Giudice nella concessione delle attenuanti e nel giudizio di bilanciamento delle circostanze, al punto da annullarlo per effetto di veri e propri automatismi, che minimizzano ogni valutazione della gravità del fatto e della personalità del reo" (2).

6.2 Finalità ed inquadramento dottrinale della recidiva

La finalità dell'istituto è stata oggetto di ampio dibattito, con la tesi prevalente (3) - sotto la vigenza del Codice del 1930 - che riconosceva alla recidiva un fine 'preventivo'; ciò argomentando dalla automaticità ed obbligatorietà che la caratterizzavano, salvo nelle ipotesi di 'recidiva facoltativa', in cui - fino all'abrogazione dell'art. 100 c.p. - il Giudice poteva escluderla "fra delitti e contravvenzioni, fra delitti dolosi o preterintenzionali e delitti colposi, ovvero fra contravvenzioni". A seguito della riforma del 1974 si era, invece, andata affermando l'idea (4) in base alla quale la recidiva avrebbe avuto in sé una componente retributiva, dovendo il recidivo subire sanzioni più gravi rispetto al cosiddetto 'delinquente primario'; accanto alla teoria per cui si sarebbe avuta, nel delinquente recidivo, una "maggiore intensità dell'elemento soggettivo" (5) ed una maggiore capacità a delinquere.

Il dibattito interessò l'istituto anche in merito alla definizione della sua natura, con la nostra preferenza verso il primo dei due filoni interpretativi che seguono. La si ricostruì, infatti, come circostanza aggravante, argomentando:

  • sia dalla sua inclusione - ad opera dell'art. 69 c.p. (6) - fra gli oggetti del giudizio di bilanciamento (Ambrosetti (7), Dessano (8) Mulliri (9));
  • sia dalla esistenza, nel nostro ordinamento giuridico, di altre circostanze generiche (art. 62-bis c.p.) per le quali si ha piena discrezionalità nella loro applicazione (Marini) (10);
  • sia dal facile rilievo della collocazione della recidiva fra le circostanze soggettive ex art. 70 c.p.;
  • sia, infine, dalla considerazione che vi sono altri casi in cui uno status del soggetto è, de jure, considerato come contenuto di una circostanza; così, ad esempio, l'art. 61 numero 6 c.p. che espressamente riconosce la qualifica di circostanza aggravante alla condizione subiettiva di 'latitante' (Marini) (11).

Tuttavia, certa dottrina continuò - anche dopo la riforma - a negarle tale natura di circostanza e la vide:

  • ora come qualificazione personale del soggetto agente, come tale indice di commisurazione della pena si sensi dell'art. 133 c.p., argomentando dalla collocazione nel Codice nella parte dedicata al reo (Dell'Andro (12), Latagliata (13), Malinverni (14));
  • ora come un indice di maggiore pericolosità del reo, avente come tale una funzione diversa da quelle delle circostanze in senso proprio (Guerrini (15)).

Ancor prima, però, la recidiva ha interessato sotto il profilo della sua stessa 'giustificabilità' giuridica. Essa, infatti, attrasse gli strali delle più ortodosse teorie retributive in quanto, innegabilmente, viene a scindere l'equazione 'pena-reato'; poiché introduce un elemento di valutazione estraneo, soggettivistico, che genera uno iato con la proporzionalità della pena rispetto al male commesso. Per contro, come facilmente intuibile, la recidiva venne sostenuta dalle dottrine, antitetiche, personologiche: in quanto esprime una responsabilità 'aggravata' che giustifica e richiede un maggior rigore punitivo; ed in quanto caratterizza i soggetti anche sotto il profilo della pericolosità sociale, legittimando misure di sicurezza.

6.3 A commento della recidiva

Entrando nel dettaglio dell'istituto, suo presupposto è la pronuncia di una sentenza di condanna definitiva, alla quale deve equipararsi anche l'emissione di un decreto penale di condanna, divenuto non opponibile e revocabile, e la sentenza straniera riconosciuta ex art. 12 c.p. (16) (al contrario di quanto prevedeva il vecchio Codice del 1889).

Ciò che non rileva è la circostanza che il condannato abbia o meno scontato la pena; cioè a dire che una causa di estinzione del reato o l'amnistia impropria, ad esempio, non spiegheranno i loro effetti sotto il profilo della recidiva, non potendo impedire - quindi - che questa sia dichiarata. Così, espressamente, l'art. 106 c.p. "Agli effetti della recidiva e della dichiarazione di abitualità e di professionalità nel reato, si tien conto altresì delle condanne per le quali è intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena"; a meno che la causa di estinzione non riguardi anche gli effetti penali. In tal senso anche la sentenza della IV Sezione penale della Corte di cassazione, del 28 Gennaio 1997. La cosa appare, a ben guardare, di estrema logicità in quanto, in caso contrario, si sarebbe agevolato, non applicando alla sua condanna gli aumenti previsti dalla recidiva, anche chi si fosse sottratto volontariamente all'esecuzione della pena precedentemente subita; cioè, fuori dal forbito linguaggio giuridico, chi si fosse reso latitante o fosse, addirittura, evaso. Al di là di questa ipotesi, che potrebbe essere un'iperbole come un caso concretissimo, da un punto di vista più liberal garantista, qualche perplessità potrebbe sorgere - a nostro avviso - per l'irrilevanza, ai fini della recidiva, almeno di una delle possibili cause di estinzione del reato: la remissione di querela.

Per quanto concerne la tipologia di reati per i quali è prevista la recidiva, può essere utile rimarcare le differenze fra l'impianto previgente e quello attuale: prima si faceva riferimento a qualsiasi 'reato', mentre adesso solo ai 'delitti non colposi', con una tardiva, quanto opportuna, circoscrizione a questa tipologia di reati. In effetti applicare la recidiva a chi - a mero titolo di provocatorio esempio - avesse causato due sinistri stradali, arrecando lesioni gravi alle persone coinvolte, sarebbe apparso, a nostro avviso, alquanto eccessivo.

L'art. 99 c.p. prevede, nei suoi primi due commi, due tipi diversi di recidiva: quella semplice, che si ha quando viene compiuto un altro delitto non colposo dopo una precedente condanna; accanto a quella aggravata, nei tre casi che sopra abbiamo elencato e che certa dottrina (17) nomencla come recidiva specifica, infraquinquennale e vera. Il regime sanzionatorio è diverso, comportando la recidiva semplice un aumento "di un terzo" e quella aggravata "fino alla metà".

Proseguendo nella ricostruzione dell'istituto, vediamo come siano previsti dalla legge altri due tipi diversi di recidiva, che si distinguono fra loro, di nuovo, per i diversi effetti che comportano sulla commisurazione della pena. Trattasi della 'recidiva plurima', che si ha quando ricorrono più di uno dei casi di recidiva aggravata; e della 'recidiva reiterata', che si ha quando chi è già stato riconosciuto recidivo compie un nuovo delitto non colposo. Nel primo caso l'art. 99 c.p. prevede un aumento di pena non più "fino alla metà", ma "della metà"; il secondo caso vede, invece, un'implementazione delle pena: "della metà", in caso di reiterazione di recidiva semplice, o "di due terzi", per la ripetizione di recidiva aggravata.

6.4 L'applicazione della recidiva

Affinché si possa procedere alla declaratoria della recidiva è necessario che questa sia stata, previamente, contestata sulla base delle risultanze del certificato del Casellario giudiziale. In caso di omissione di tale atto di contestazione e, ciononostante, di applicazione degli aumenti di pena previsti dall'istituto, si ha un'ipotesi di nullità in procedendo (18). Vi è, tuttavia, una tesi giurisprudenziale (19) (di recente abbandonata) in base alla quale il suddetto obbligo di previa contestazione sarebbe assolto anche con una mera contestazione generica, che non specifichi che tipo di recidiva venga addebitata all'imputato (semplice, aggravata, etc...). Una volta effettuata tale contestazione, il Giudice - tuttavia - ben potrà riqualificare giuridicamente il tipo specifico di recidiva da applicare, ma non in senso peggiorativo per l'imputato.

Come abbiamo sopra accennato, la riforma del 1974, con il distinguo del comma 5 della novella del 2005, ha fatto venir meno l'obbligatorietà per il Giudice di applicare l'istituto della recidiva pur in presenza di nuova commissione di delitti non colposi. Nel silenzio del legislatore, tale facoltatività crea alcune problematiche - in un ottica di certezza del diritto e di garantistica sua uguaglianza applicativa - soprattutto in quanto niente si dice su eventuali criteri, da utilizzare per dichiarare o meno la recidiva.

Dottrina (20) e giurisprudenza stanno convergendo, su questo punto, sulla opportunità di ricercare una sorta di 'nesso psicologico' tra il soggetto agente e le sue precedenti condanne. Criptica affermazione questa, per evidenziare la necessità di verificare che il reo abbia nuovamente delitto, ben sapendo dei suoi precedenti e, quindi, "nonostante la controspinta psicologica costituita dalla precedente condanna" (21).

A questo punto rimane, tuttavia, da individuare quel criterio in base al quale poter decidere se applicare o meno la recidiva, stando lontani dal profondo baratro dell'arbitrio. Criterio che certa dottrina (22) ha individuato nella valutazione che dovrebbe essere fatta dal Giudice, in punto di verifica se la condanna precedente e la sua esecuzione abbiano dato al condannato stimoli per non delinquere in futuro; stimoli intesi non solo in senso special preventivo (o 'minatorio', potremmo dire), ma legati a concrete opportunità di reinserimento. Se, possiamo concludere, vi sono state queste possibilità ed il condannato ha commesso nuovi delitti, il Giudice ha un criterio da seguire per portarlo, schematicamente, a decidere di applicare la recidiva. Certamente, è facile intuire, questa ricostruzione dottrinale nulla aggiunge alla vigente previsione normativa, che di certo avrebbe potuto dire di più e meglio.

6.5 Quale facoltatività

Accertato che il legislatore del 1974 abbia voluto introdurre un regime di facoltatività della recidiva, aperto è il dibattito sulla esatta delimitazione di tale opzione lasciata al Giudice. Secondo altalenante giurisprudenza (23) e autorevole dottrina (24), la facoltà di scegliere se utilizzare o meno quanto disposto dall'art. 99 c.p. verrebbe ad investire il Giudice sotto due diversi profili: non solo in punto di declaratoria della recidiva, ma anche di applicazione dei previsti aumenti di pena. Secondo tale pensiero, cioè, l'organo giudicante potrebbe dichiarare la recidiva e, ciononostante, decidere di non infliggere alcun aumento di pena. In contrapposizione a tale ricostruzione (forse, in effetti, eccessivamente discrezionale), si è, in altra sede (25), sostenuto come al riconoscimento dello status di recidivo debba, necessariamente, seguire l'irrogazione dei previsti aumenti di pena. Su questo filone speculativo si è andato ad innestare, poi, chi ha sostenuto che la facoltatività interessi solo l'aumento di pena, ma non anche gli altri effetti penali legati alla ripetizione dei reati.

Conferma, in ultimo, del favore col quale il legislatore ha guardato alla facoltatività della recidiva, la si può avere anche dall'art. 57 del Codice penale militare di pace: "Il Giudice, salvo che si tratti di reati della stessa indole, ha facoltà di escludere la recidiva fra reati preveduti dalla legge penale comune e reati esclusivamente militari". Il che significa che, in questi casi, la recidiva è prevista in via generale con un sorta di 'automatismo', ben potendo - tuttavia - il Giudice procedere alla sua esclusione.

Come abbiamo visto, in senso del tutto contrario si colloca l'art. 4, comma 5, della Legge 5 dicembre 2005 n. 251 che prevede un ritorno a "discutibili concezioni soggettivistiche del diritto penale [...], esasperate dalla reintroduzione di arcaici automatismi sanzionatori, che privano il Giudice della discrezionalità necessaria a graduare individualmente la sanzione" (26).

6.6.1 La recidiva e la premialità in executivis

Potremmo citare numerosi esempi, e nei settori più disparati (dall'abbandono di animali alla violazione di sepolcri, passando per la vendita di prodotti industriali con segni mendaci), in cui il nostro Codice penale ricorre all'istituto della recidiva per sanzionare - o per dare la possibilità di sanzionare - in maniera più punitiva i rei non primari.

Un settore, tuttavia, in cui vale la pena di addentrarsi è quello dell'ordinamento penitenziario, dove l'istituto emerge talvolta in maniera dirompente, se tenuto conto dell'ambiente particolare - istituzione totale per antonomasia - che è il carcere.

Così, l'art. 143 c.p. recitava: "In ogni stabilimento penitenziario, ordinario o speciale, si tien conto, nella ripartizione dei condannati, della recidiva e dell'indole del reato", prima che venisse abrogato dall'art. 89 della Legge 26 Luglio 1975 n. 354 sull'ordinamento penitenziario.

Norme ben più recenti, a partire dalla tanto discussa (e, a detta di chi scrive, profondamente inopportuna) ex Legge Cirielli, pongono la recidiva quale fulcro baricentrico delle loro previsioni in tema di misure premiali ai detenuti. Così l'art. 30 della Legge sull'ordinamento penitenziario, modificato proprio dalla pessima Legge 5 dicembre 2005 n. 251, prevede che i permessi possano essere concessi ai detenuti recidivi reiterati secondo regole e condizioni differenziate: chi, recidivo reiterato, è stato condannato all'arresto o alla reclusione non superiore a 3 anni può accedervi dopo aver espiato un terzo della pena; mentre per gli altri detenuti, primari, non è previsto alcun termine iniziale. Lo stesso dicasi per i condannati alla pena dell'ergastolo che, se recidivi, potranno beneficiare del meccanismo dei permessi dopo l'espiazione di due terzi della pena; mentre, se non recidivi, dopo avere scontato la metà della pena. Idem, infine, per la semilibertà alla quale possono oggi accedere i recidivi reiterati, soltanto dopo l'espiazione di due terzi (non più metà) della pena.

Ancora, se per gli ultrasettantenni è possibile scontare, in forma domiciliare, una condanna a pena detentiva temporanea di qualsiasi entità (nuovo comma 1 dell'art. 47-ter della Legge 26 Luglio 1975 n. 354), fra i requisiti è richiesto che il condannato non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, né sia stato mai condannato con l'aggravante della recidiva, anche semplice (si noti, qui, il maggior rigore della norma che va a precludere l'accesso al beneficium non solo ai recidivi reiterati ma anche a quelli 'semplici').

6.6.2 Nel dettaglio dell'art. 58-ter, comma 7-bis, o.p

Infine, quella che appare essere la disposizione più severa è, senza dubbio, il comma 7 dell'art. 7, introducente un comma 7-bis all'art. 58-ter dell'ordinamento penitenziario: "L'affidamento in prova, la detenzione domiciliare, la semilibertà non possono essere concessi più di una volta al condannato al quale sia stata applicata le recidiva prevista all'art. 99, quarto comma, c.p.".

Invero la norma, che non brilla certo per chiarezza, si presta a più ricostruzioni ermeneutiche: se il recidivo reiterato possa godere una sola volta nella vita di una qualunque misura alternativa; o di ogni singolo tipo di misura (un affidamento, una detenzione domiciliare etc...), sempre in tutta l'esistenza; o di una sola volta dei benefici, relativamente ad ogni condanna.

Pavarini (27) ritiene che, con tutti gli sforzi possibili, non si possa concludere che nella prima accezione, quella più pesantemente punitiva nei confronti dei condannati di cui al comma 4 dell'art 99 c.p.; nonostante ciò possa comportare (Padovani (28)) la contrarietà al criterio della proporzionalità della pena. In ogni caso ciò che rileva, sotto il profilo sociologico, è l'intento del legislatore palesato dall'infelice lettera della Legge, che conferma una marcata deriva sanzionatoria nei confronti di chi, recidivo, sia tornato a delinquere.

Con la conseguenza, per dirla con Magistratura democratica, che "se si dovesse dare esecuzione a questa disposizione nell'interpretazione restrittiva qui sopra richiamata, potremmo, fin da ora, decretare a breve la morte definitiva dello spirito della riforma penitenziaria" (29). In effetti, la maggior parte dei condannati verrebbe (riprendendo di nuovo Pavarini (30)) a giocarsi in un'unica 'partita' l'unica chance di alternatività loro concessa. Dopodiché si tornerebbe ad una, rigida ed inflessibile, pena detentiva di tipo cercerario, rinunciando alla flessibilità della pena in fase esecutiva e, cioè, ad ogni strategia di premialità.

Potremmo continuare ulteriormente nel dettaglio delle novità apportate dalla recente norma all'ordinamento penitenziario, ma andremmo oltre il nostro intento: richiamare l'attenzione su come l'istituto della recidiva sia destinato a rilevare, in maniera anche marcata, sulla 'sorte' di chi viene condannato (commisurazione della pena), così come sulla 'vita' di chi già sta scontando una pena (accesso alle misure premiali e alternative).

6.6.3 Un commento alla 'controriforma penitenziaria'

Condivisibile dottrina (Florio (31)) si è espressa in termini molto duri nei confronti di quella che abbiamo visto essere stata una 'rivoluzione' dell'istituto della recidiva, soprattutto in rapporto al regime penitenziario; ben distante da quel trend di illuminata prassi legislativa che, culminato nella Legge Gozzini, aveva inaugurato un'attenzione tutta nuova verso il detenuto-persona ed il suo trattamento.

Agli antipodi rispetto a tale fermento riformatore, si è oggi assistito ad una scelta radicale di 'tolleranza zero' verso chi torna a delinquere, elevando a potenza la recidiva e "configurandola - a guisa di 'moltiplicatore' penale e penitenziario - quale punizione 'per' la punizione" (32). Addirittura, secondo l'Autore, si sarebbe assistito ad un divaricamento del 'doppio binario penitenziario' che, nato per 'strappare' la collaborazione ai detenuti per reati associativi, è stati ampliato fino a ricomprendere i recidivi reiterati; prescindendo da qualsiasi tecnica di contrasto o di principio sinallagmatico del do ut des, per scivolare in una prospettiva di repressiva ottica retributiva.

Così, chiaramente, il Florio:

Siffatto mutamento di strategia apre ad ulteriori considerazioni: la lotta alle mafie o all'eversione si estende (o si riduce, a seconda dei punti di vista) alla lotta verso il delinquente (anche comune) che continua a delinquere. Non più, quindi, 'restituzione' di benefici dietro un'utile collaborazione (art. 58-ter ord. penit.), ma internamento tout court del deviante, del paria destinatario non solamente di un trattamento sanzionatorio più afflittivo, ma anche di tempi prescrizionali maggiormente dilatati e di un trattamento penitenziario più severo.

Altro, delicato, punto sul quale la dottrina in esame si è soffermata criticamente è la modifica, ad opera dell'art. 9 della Legge ex Cirielli, dell'art. 656, comma 9, c.p.p. (33) Tale norma, nella sua attuale formulazione, esclude la sospensione dell'ordine di esecuzione (di cui al comma 5 dello stesso art. 656 c.p.p. (34)), per pene detentive o residui inferiori ai tre anni, "nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'art. 99, quarto comma, del Codice penale". In tale modo le preclusioni, prima circoscritte ai condannati per i delitti di cui all'art. 4-bis o.p. ed a quelli che già si trovavano in custodia cautelare per lo stesso fatto oggetto della condanna da eseguire, si arricchiscono di una nuova species: quella dei recidivi reiterati. Invero l'intervento attuato dalla Legge Simeone sull'art. 656 c.p.p. ne costituiva, probabilmente, l'elemento più innovativo e caratterizzante: la possibilità di accesso alle misure alternative direttamente dallo status libertatis, grazie ad una sorta di sospensione automatica da pronunciarsi, da parte del Pubblico ministero, al verificarsi di determinati presupposti. Ora, la creazione di una nuova preclusione, legata alla recidiva reiterata, snatura la ratio della stessa Legge 165/1998 e sortirà il presumibile effetto di implementare il numero di ingressi al carcere "anche nei casi di relativa o modesta pericolosità, dal momento che la nozione di recidiva reiterata, di cui all'art. 99 comma 4 c.p., è del tutto generica e non opera distinzioni tra categorie di reati" (35).

Sulla stessa scia di pensiero il Pavarini, per il quale:

La sospensione del decreto di esecuzione per il mese necessario al fine di presentare al Tribunale di Sorveglianza competente, dallo stato di libertà, istanza di qualche misura alternativa (prevalentemente affidamento ordinario e/o speciale e detenzione domiciliare) ha nel tempo determinato - per l'impossibilità della giurisdizione di sorveglianza di fare fronte ad un carico elevato di istanze - quella situazione anomala di un limbo - vera sala d'aspetto di fronte alla Porta della Legge di kafkiana memoria - di una esecuzione 'permanentemente' sospesa per un universo sociale di alcune decine di migliaia di condannati definitivi (36).

Di questo tot di soggetti ad esecuzione sospesa, un ampio numero di recidivi reiterati (ammontante, secondo i dati dell'Associazione Antigone, a circa il 50% del totale) perderebbe oggi il beneficio della sospensione condizionale, a causa degli strali restrittivi della ex Cirielli in esame; andando dritti verso le porte del carcere, quale 'area della detenzione sociale', così definita da attenta nomenclatura sociologica.

Avviandoci verso una conclusione, è possibile concordare col Florio sulla re-introduzione, almeno nella fase esecutiva del processo penale, di una sorta di recidiva coatta, bel oltre l'apparentemente innocua previsione dell'art. 99 c.p.:

Nel sistema delineato dalla legge in commento colpisce, in modo particolare, il ruolo giocato dalla recidiva, nuovamente sottratta alla discrezionalità giudiziale. Espressione di una presunzione assoluta di capacità a delinquere, essa tende, in executivis, a tramutarsi in una sorta di inemendabilità assolutamente ingiustificata (37).

Ancora, il Pavarini, ricorda come la disciplina della differenziazione della pena per ragioni di pericolosità criminale, consolidatasi fino a ieri, si era andata fondando su elementi qualificanti operanti su più livelli: una valutazione presunta di pericolosità (desumibile dalla gravità di alcuni fatti di reato), accanto alla possibilità che la condotta carceraria del condannato potesse portare ad una più benevola differenziazione trattamentale (Guazzaloca) (38). Al contrario, l'attuale iter di differenziazione per oggettiva 'pericolosità criminale', introdotto dalla nuova recidiva, si basa su presupposti diversi:

Una presunzione legale assoluta di pericolosità connessa alla sola ricaduta nel delitto giudizialmente accertata, anche per illeciti bagatellari e tra loro disomogenei, purché dolosi; e l'irrilevanza, ai fini di una riconsiderazione della pericolosità, della condotta del condannato in fase esecutiva. [Con la conseguenza che] il marchio di Caino viene impresso a fuoco solo per il fatto di essere qualificato recidivo reiterato. E una volta impresso, non può più essere cancellato, con tutto quello che ne consegue. Si è e si rimane per sempre e comunque socialmente pericolosi. Insomma: una pericolosità 'permanente' e 'indifferente' alla stessa osservazione empirica. Indifferente anche all'evidenza, come nel caso che il recidivo-specifico fosse in grado di dare prova non altrimenti confutabile della sua cessata pericolosità.

6.6.4 Radici della ex Cirielli

Per concludere la nostra analisi sulla Legge che ha profondamente innovato la recidiva, soprattutto in relazione alla fase esecutiva del processo penale ma non solo, si può riconoscere (ancora una volta col Pavarini (39)) come non tanto questa si sia 'isprirata', ma abbia bensì 'copiato', con i necessari adattamenti, un'esperienza nord-americana di particolare rigore punitivo.

Facciamo riferimento alla regola, vigente a livello federale, del 'three strikes and you are out' (40) (anticipata dal c.d. Three strikes bill (41) istituito in California nel 1994) che prevede che, al compimento del terzo reato, anche di natura bagatellare, si sia 'al di fuori' del sistema normale del sentencing, cioè di un meccanismo di pena flessibile. Infatti, in questo caso di recidiva reiterata, si è condannati, obbligatoriamente, ad una pena life o no-fixed, che comporta - in ogni caso - un minimo di pena detentiva da scontare particolarmente elevato.

Risulta davvero inquietante rilevare come vi fosse negli Stati Uniti d'America, prima del three strikes, e precisamente nel 1975, un tasso di carcerizzazione uguale a quello italiano di questi giorni: di un detenuto ogni mille abitanti. Oggi, "dopo più di vent'anni di applicazione di questa strategia di incapacitazione selettiva" (42), i detenuti risultano ammontare a oltre due milioni e duecentomila annui (e i condannati a misure alternative a quattro milioni e mezzo annui), cioè a dire a sette detenuti su mille (e tredici condannati a misure alternative sempre su mille) residenti (43).

Per la loro chiara sinteticità, chiudiamo con le parole dello stesso Pavarini:

Lo strumento della pena detentiva inflessibile non si orienta ad una logica di incapacitazione individuale, per cui esso è l'estrema risposta per i colpevoli di reati particolarmente gravi, ma diventa il contenitore per tutti coloro che risultano in base ad una logica di incapacitazione selettiva come appartenenti a gruppi sociali ad elevato rischio criminale (44).

Note

1. "La durata massima è tuttavia di due anni se le indagini preliminari riguardano: a) i delitti appresso indicati: 1) delitti di cui agli articoli 285, 286, 416-bis e 422 del codice penale, 291-ter, limitatamente alle ipotesi aggravate previste dalle lettere a), d) ed e) del comma 2, e 291-quater, comma 4, del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43; 2) delitti consumati o tentati di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630 dello stesso codice penale; 3) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo; 4) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma e 306, secondo comma, del codice penale; 5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall'articolo 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110; 6) delitti di cui agli articoli 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 80, comma 2, e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni; 7) delitto di cui all'articolo 416 del codice penale nei casi in cui è obbligatorio l'arresto in flagranza;7-bis) dei delitti previsto dagli articoli 600, 600-bis, comma 1, 600-ter, comma 1, 601, 602, 609-bis nelle ipotesi aggravate previste dall'art. 609-ter, 609-quater, 609-octies codice penale".

2. L. Pistorelli, Ridotta la discrezionalità del giudice, in "Guida al Diritto. Il Sole - 24 Ore", Dossier n. 1, Gennaio 2006, pp. 61-66.

3. F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, XIII Ed., Milano, 1994, p. 660.

4. E. M. Ambrosetti, Recidiva e recidivismo, Cedam, Padova, 1997, p. 44.

5. G. Marini, Lineamenti del sistema penale, II Ed, Torino, 1993, p. 893.

6. Tale articolo, titolato Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti, prevedeva espressamente che: "Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole" oltre a contenere la previsione, abrogata nel 1974, che gli aumenti e le diminuzioni di pena si operassero "[...] valutata per ultima la recidiva".

7. E.M. Ambrosetti, op. cit., p. 35.

8. F. Dassano, Recidiva e potere discrezionale del giudice, Utet, Torino, 1981, p. 131.

9. C. Mulliri, La recidiva nel giudizio di bilanciamento delle circostanze in senso tecnico, in "Riv. it. dir. e proc. pen.", 1975, p. 1324.

10. G. Marini, Lineamenti del sistema penale, op. cit., p. 896.

11. G. Marini, Le circostanze del reato, Milano, 1965, p. 94.

12. R. Dell'Andro, La recidiva nella teoria della norma penale, Priulla, 1950, p. 195.

13. A.R. Latagliata, Contributo allo studio della recidiva, Jovene, 1958, p. 250.

14. A. Malinverni, Circostanze del reato, in Enciclopedia giuridica, volume VII, Milano, 1960, p. 72.

15. F. Guerrini, La recidiva: le modifiche apportate dall'art. 9 D.l. 11 Aprile 1974 n. 99, in Studi senesi, 1978, p. 35 e ss.

16. Vedasi Cassazione penale, 17 Maggio 1984.

17. C. Santorello, 2001, in De Agostini Professionale.

18. V Sezione penale della Corte di cassazione, 24 Marzo 1995.

19. VI Sezione penale della Corte di cassazione, 29 Ottobre 1980, in "Riv. Pen.", 1981, p. 746.

20. P. Pittaro, Recidiva, in Dig. Disc. Pen., XI, Torino, 1996, p. 359.

21. VI Sezione penale della Corte di cassazione 23 Aprile 1993.

22. M. Boscarelli, Diritto penale. Parte generale, VIII ed., Milano, 1994, p. 189.

23. III Sezione penale della Corte di cassazione, 20 Maggio 1993, in "Riv. Pen.", 1994, p. 401.

24. F. Mantovani, op. cit., p. 667.

25. P. Nuvolone, Il sistema del diritto penale, cit., p. 337.

26. M. Florio, Diritto penale e processo, 2006, p. 301 ss.

27. M. Pavarini, The spaghetti incapacitation. La nuova disciplina della recidiva, in "Studi sulla questione Criminale", n. 2, anno I (2006), pp. 7-29.

28. T. Padovani, Una novella piena di contraddizioni che introduce disparità inaccettabili, in "Guida al Diritto. Il Sole - 24 Ore", cit., pp. 32-37.

29. Magistratura democratica (a cura di), La proposta di legge Cirielli: emblema del diritto diseguale, 3 febbraio 2005.

30. M. Pavarini, ivi.

31. M. Florio, op. cit., p. 307.

32. M. Florio, ibid.

33. La sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta: a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell'articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni; b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva; c) nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, del codice penale.

34. Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l'esecuzione. L'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell'esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio, con l'avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47-ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all'articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 dello stesso testo unico. L'avviso informa altresì che, ove non sia presentata l'istanza o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del citato testo unico, l'esecuzione della pena avrà corso immediato.

35. M. Florio, Ibid.

36. M. Pavarini, op. cit., p. 9.

37. M. Florio, ibid.; ma nello stesso senso vedasi anche Bricola, Le misure alternative alla pena, Milano, 1996, p. 387 e Canepa-Gatti, L'affidamento in prova al servizio sociale come alternativa alla detenzione: problemi criminologici, in AA.VV., Pene e misure alternative nell'attuale momento storico. Atti del Convegno, Milano, 1977, p. 387 ss.

38. B. Guazzaloca, Criterio del 'doppio binario', utilizzo della 'premialità' e 'degiurisdizionalizzazione' del procedimento di sorveglianza nella legislazione penitenziaria dell'emergenza, in G. Giostra, G. Insolera (a cura di), Lotta alla criminalità organizzata. Gli strumenti normativi, Giuffré, Milano, 1996, pp. 141-176.

39. M. Pavarini, op. cit.

40. Traduzione libera dall'inglese: tre colpi e sei fuori...

41. Regola in base alla quale, in caso di una seconda condanna per delitto (cd felony) si ha un aumento nel doppio del minimo della pena; mentre la reclusione arriva, in caso di terzo delitto, addirittura ad essere indeterminata. Vedasi la rubrica Recent legislation, in Harward Low, volume 107, 1994, p. 2123 e ss.

42. M. Pavarini, op. cit., p. 26.

43. L. Wacquant, Parola d'ordine: tolleranza zero, Feltrinelli, Milano, 2000.

44. M. Pavarini, op. cit., p. 26.