ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo V
Tutela non giurisdizionale e conclusioni

Gennaro Santoro, 2006

5.1. Introduzione: le recenti proposte di riforma del sistema penitenziario pt (dal 1996 al febbraio 2004) - 5.1.1. (continua) Il Provedor de Justiça, l'IGAI e la soddisfacente tutela non giurisdizionale dei diritti e degli interessi dei ristretti portoghesi. - 5.1.2. (continua) Il rapporto 2003 del Provedor de Justiça sulle condizioni delle carceri portoghesi (RSP2003) - 5.2. (continua) Comparazione a margine con l'Italia. L'Osservatorio dell'Assocciazione Antigone sulle condizioni delle carceri italiane (rinvio) - 5.3. A mo' di conclusione: verso un Provedor de Justiça italiano?

5.1. Introduzione: le recenti proposte di riforma del sistema penitenziario pt (dal 1996 al febbraio 2004)

A partire dal 1996 si assiste ad un differente atteggiamento delle istituzioni portoghesi nei confronti della questione penitenziaria. Il riconoscere la drammaticità della situazione allora presente, (1) denunciata, tra gli altri, nella relazione della visita effettuata dal CPT nel'95 e '96, (2) convinse il governo ad adottare una serie di misure che integrano il "Programma de aççao para o sistema prisonal", approvato dalla risoluzione del Consiglio dei ministri n.62/96, del 29 Aprile. In questo clima furono adottate misure di natura legislativa e amministrativa. Riguardo le prime si segnalano, in particolare: il decreto-lei 375/97, del 24 dicembre -che favorisce il lavoro a favore della comunità-; la lei 122/99, del 20 Agosto -per l'applicazione del controllo elettronico-; la lei 36/96 del 29 Agosto -che prevede la liberazione dei ristretti in fase terminale di una malattia grave-; del decreto lei 46/96, del 14 Maggio e del decreto lei 328/98, del 2 novembre -che prevedono meccanismi speciali al fine di semplificare e favorire le procedure di reclutamento del personale, l'acquisto di beni e la costruzione di opere; si sottolinea inoltre il progressivo aumento di spesa dello stato a favore del sistema carcerario, e la dubbia apertura all'investimento privato (3) nella costruzione di nuovi istituti.

Per quanto concerne la politica criminale, degne di plauso, sia pur con le dovute cautele, sono la lei 4/2001, del 10 gennaio, che fissa il nuovo regime della espulsione, e il decreto lei 30/2000 che depenalizza la detenzione di 10 dosi giornaliere di droga (ad es., è punita con sanzione amministrativa la detenzione di grammi cinque di marijuana).

Per quanto riguarda le misure di natura amministrativa, frutto di questo movimento riformatore, si menzionano, a titolo di esempio, l'aumento della capacità di alloggiamento del sistema che, nel 2001, presenta 2372 posti in più (4) rispetto il '96; la diffusa istallazione di sanitari per porre fine al degradante uso del "balde igienico" (5), e, più in generale, il miglioramento delle condizioni di vivibilità degli istituti di pena; creazione di 5 "unidades livres de droga"; aumento di capacità dell'ospedale penitenziario; creazione di infermeria e unità di salute in 7 istituti.

Ancor prima della risoluzione 62/96, il despacho 20/MJ/96 (6) istituisce la "Commissao para a reforma do sistema de execuçao de pena e medidas".

che presenta, al Ministro da Justiça del XIII governo costituzionale, nel Novembre del 1997, il "Relatorio sobre a execuçao das medidas privativas de liberdade". In questa relazione vi sono proposte, di natura legislativa e istituzionale, relative alle misure privative della libertà. La prima parte della relazione è dedicata all'esecuzione in carcere; la seconda raggruppa l'esecuzione delle restanti misure privative della libertà: "prisao preventiva, colocaçao em centro de detençao, medida de segurança de internamento. [...] La ragione di questa divisione è facilmente comprensibile: la pena della prigione continua ad essere il modello di riferimento della privazione della libertà, non solo statisticamente, ma anche perché è la misura dove si collocano e risolvono i problemi comuni a tutte le misure." (7) Il carcere, quindi, continua ad essere visto come l'istituto "fondamentale" della privazione della libertà" e le altre misure assumono carattere di "specialità". (8)

Le proposte contenute in questa relazione vengono a concretizzarsi in un disegno di legge (9) solo nel Febbraio 2001. Nelle motivazioni ed 'esplicazioni' che precedono il disegno di riforma organica del vetusto decreto-lei 265/79, l'autrice (10) riconosce, anzitutto, la titolarità dei diritti fondamentali dei ristretti, e il corrispettivo dovere dei poteri pubblici a trattare gli stessi come cittadini tout court. Sono inoltre delineati i tre 'assiomi' della riforma nei seguenti punti: "il rispetto della libertà di coscienza [art. 41, n.1 CRP] del ristretto, la realizzazione positiva dei diritti fondamentali del ristretto e l'obbligo costituzionale d'intervento sociale dello Stato". (11) Da tali principi, discende l'esigenza di improntare la riforma dell'esecuzione penale sulla base della volontaria adesione del ristretto al trattamento 'rieducativo', (12) della stesura di uno Statuto giuridico dei diritti e dei doveri del cittadino ristretto, (13) dell'intervento statuale 'sociale' per la categoria 'debole' dei detenuti (art. 13 CRP, principio di uguaglianza formale; art. 1,2 CRP, Stato di diritto e dignità della persona; e, soprattutto, 9, lettera d CRP, principio di uguaglianza sostanziale -Cfr. art. 3, n.2 Cost.it.). 'L'umanizzazione' della pena così delineata, porterà -sempre a parere dell'autrice - a benevoli effetti al fine ultimo della pena, ossia, alla risocializzazione del ristretto, o, quanto meno, alla sua "non desocializzazione". "Obiettivo che solo potrà essere raggiunto attraverso il riconoscimento della cittadinanza del ristretto e attraverso la protezione efficace dei suoi diritti fondamentali", quindi, garantendo i diritti dei ristretti "con un maggiore intervento del potere giurisdizionale nell'esecuzione della pena [...] e la riformulazione della carta dell'avvocato, in virtù del diritto al patrocinio consacrato dall'art. 20 CRP." (14)

Si denuncia esplicitamente, quindi, la più grande "pecca" della legislazione penitenziaria preesistente: la mancanza della tutela giurisdizionale dei diritti del ristretto. (15) Ritornando alla funzione della pena (Cfr.3.2.b.) e alle relazioni speciali di potere (3.2.e.) è doveroso menzionare la posizione del PCREP a tal proposito: "è l'idea della socializzazione che fondamentalmente giustifica lo statuto speciale del recluso nella sua natura di statuto restrittivo. La finalità della risocializzazione dell'esecuzione non si limita nella positivizzazione, nel dare forma concreta ai diritti del ristretto. È anche un obiettivo della politica penale dello Stato -prevenzione (speciale) della recidiva -e, come tale, si iscrive nel programma di azione statuale con fine eteronomo all'individuo." (16)

Altro punto cardine delle 'motivazioni' è la critica alle politiche della sicurezza a discapito della socializzazione: "Socializzare è caro. Ma è illusorio pensare che ridurre i costi della socializzazione e investire nella sicurezza sia più conveniente. Il costo della riduzione dei costi va ad essere più alto". (17)

Viene poi evidenziata la necessità di emanare un regolamento esecutivo che integri la sopramenzionata proposta di legge: l'art. 136, n.1 del diploma, subordina l'entrata in vigore del PCREP all'entrata in vigore del regolamento.

Per quanto concerne il trattamento, si plaude la posizione del seguente diploma che pone, come visto, l'accento sulla partecipazione volontaria del ristretto, pur se controbilanciata dal dovere dell'amministrazione di favorirla. Si afferma, in particolare, che il trattamento è un diritto del ristretto (art. 5) e il principio del trattamento volontario è diritto "ad essere differenti", quindi, è emanazione del più pregnante principio di dignità umana sancito dal combinato disposto degli art. 1 e 2 della CRP. Si sostiene, inoltre, una accesa critica dell'attuale legislazione là dove prevede il 'dovere' del detenuto di lavorare -rendendo in effettivo l'art. 59 CRP, così come riformato dalla legge costituzionale 1/1997 (18)- in quanto "vari studi empirici e scientifici hanno dimostrato che il grado delle tensioni negli istituti penitenziari è inversamente proporzionale al grado di costringimento imposto". (19) E le tensioni nelle carceri impediscono l'attuazione della rieducazione del ristretto, o, quanto meno, non favoriscono la non desocializzazione, alimentando così i numeri della recidiva. Si auspica, quindi, che non vi sia una "consacrazione legale" di uno specifico dovere di lavorare. (20) L'obbligatorietà del lavoro nella fase esecutiva ha natura civile, nel senso che il rifiuto ingiustificato a lavorare, sarà tenuto in considerazione, ai fini legali, nel processo di socializzazione. (21)

Degna di nota è l'idea di parificare, sul piano giuridico, anche il lavoro prestato a favore dell'amministrazione al lavoro libero, non solo - come prevede già il decreto lei 265/79 - per quanto riguarda sicurezza, igiene, incidenti sul lavoro, malattie professionali, ma, anche per ciò che concerne la remunerazione, prescrivendo all'art. 56, n.1, che, chi svolge attività produttive nell'istituto riceve una retribuzione calcolata sulla base del salario percepito dai lavoratori in libertà, tenendo in conto il tipo di lavoro prestato e la qualifica professionale; l'art. 55, n.4, recita: "la durata del lavoro, ben come i periodi di riposo e il godimento di ferie del ristretto che lavora in istituto sono oggetto di regolamentazione, osservata la legislazione sul lavoro vigente"; al num. 5 dello stesso articolo, si sancisce il dovere del ristretto a garantire la prestazione a favore della amministrazione penitenziaria, "osservata la legislazione sul lavoro vigente e le disposizioni regolamentari". Bisognerebbe quindi verificare quale sarà il contenuto del regolamento esecutivo, per poter concretamente ponderare gli effetti "benevoli" dell'eventuale approvazione del PCREP. Ma intanto il governo è cambiato: e il principio 'democratico', e il correlativo principio dell'emergenza che domina, senza confini, la politica penale, ha portato al nuovo governo portoghese a 'dimenticare' il PCREP, e ad istituire un nuovo gruppo di osservazione che, a sua volta, ha presentato un nuovo rapporto sulle condizioni di detenzione, nonché le 'direttive' della riforma penitenziaria, nel Febbraio 2004. Più precisamente, la Commissione è stata istituita il 13 Febbraio 2003 ("Commisao de estudo e debate da reforma do sistema prisonal") al fine di stabilire un "programma di azione coerente con le esigenze legali e la realtà del sistema carcerario". (22) Per motivi di tempo, nella seguito della trattazione si terrà presente il contenuto del solo PCREP.

In questa sede, risulta opinabile la preferenza accordata al lavoro del ristretto alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria, definendo come sussidiario quello svolto alle dipendenze di entità diverse, (23) per evitare -si legge nelle motivazioni - la possibilità di sottoporre i ristretti lavoratori ad abusi; per giustificare tale posizione, viene fatto un rinvio a quanto disposto dalla Convenzione n.9 dell'OIL, e dalle RM73 e RE 73. (24) Fortunatamente, le critiche non sono tardate ad arrivare. Lo stesso Provedor de Justiça (25) mette in evidenza come gli abusi sui ristretti lavoratori possano egualmente essere perpetrati dall'amministrazione penitenziaria, e, comunque, è già garantito, all'art. 54, n.4 dello stesso PCREP, a favore dei lavoratori alle dipendenze di entità esterne, un dovere di controllo da parte dell'amministrazione; inoltre, il Provedor sottolinea come il lavoro esterno sia più stimolante, meglio pagato e, soprattutto, offre maggiori possibilità di reinserimento sociale e lavorativo a seguito della liberazione. (26)

Opinabile, ancora, è il non riconoscimento dei diritti sindacali dei ristretti che prestano servizio all'interno del carcere. "Non sorprenderà che i diritti fondamentali dei lavoratori consacrati nella Costituzione non siano applicati al recluso che lavora nell'istituto, senza la necessità che ciò sia espressamente stabilito dalla legge. Così è il caso, ad esempio, del diritto allo sciopero del quale il recluso non è titolare per non essere in una relazione di lavoro con l'amministrazione sovrapponibile a quella dei lavoratori in libertà." (27)

Per quanto riguarda gli altri diritti sociali, in attuazione dell'art. 67 CRP che tutela e promuove l'istituzione familiare, il diploma si preoccupa di prevedere l'istituzione delle visite intime (art. 26), visite familiari e di convivenza (art. 27), permanenza in carcere dei minori di tre anni con chi eserciti la potestà (art. 124). (28)

È interessante notare che, già dal 1998 è iniziato un progetto pilota in due istituti penitenziari portoghesi (29) che permette ad alcuni ristretti di ricevere in visita intima il proprio partner. (30) La consacrazione legale si ha nel "Regulamento de visitas intimas" del 26 maggio 2000 dove, oltre ad auspicare l'estensione del regime in altri istituti, si statuisce che le visite intime dovranno decorrere mensilmente (e non più trimestralmente) e hanno la durata di tre ore (precedentemente erano previste due ore). Ad oggi, il progetto è rimasto isolato ai soli due istituti sopra menzionati, come denunciato dal Provedor de Justiça nel RSP2003. A tal proposito, il Provedor stesso raccomanda l'estensione del regime a tutti gli istituti, l'estensione soggettiva a favore dei ristretti in custodia cautelare, (31) e a favore degli omosessuali -nel senso che questi possano "ospitare" i propri partner al fine di rendere effettivo il principio di uguaglianza sancito dall'art. 13 CRP -. (32)

Passando ora alle visite di convivenza e familiari queste già sono attuate dal '96 e al I semestre 2002, sono 43 gli istituti che permettono la realizzazione di questi incontri. (33) Si registra anche che 49 istituti cercano di promuovere l'incontro di familiari che si trovano ristretti in istituti diversi: non mancano però le difficoltà legate alla generalizzata mancanza di personale di vigilanza e di mezzi di locomozione. Il Provedor raccomanda che siano dotati gli istituti dei mezzi materiali e di personale sufficiente per favorire le visite di convivenza. In alternativa, propone il trasferimento 'precario' di uno dei due familiari all'istituto dove è ristretto l'altro familiare, specie nelle ipotesi in cui quest'ultimo rappresenti l'unico legame affettivo dell'interessato.

5.1.1. Il Provedor de Justiça, l'IGAI e la soddisfacente tutela non giurisdizionale dei diritti e degli interessi dei ristretti portoghesi

Abbiamo visto al paragrafo 3.2.d. che il Provedor de Justiça è istituito dal decreto lei 212/75, per essere poi elevato a rango costituzionale dall'art. 23 della Costituzione del '76. Lo statuto del Provedor, come già detto, è previsto dalla legge 9/91, del 9 Aprile, modificato dalla legge 30/96, del 14 Agosto. Ricordiamo solo alcuni punti salienti d detto statuto. È organo dello Stato (lei 9/91, art. 1) designato da AR (Assemblea della Repubblica); seppur eletto dall'Assemblea è un organo indipendente e inamovibile, non potendo le sue funzioni cessare prima del termine per il quale è stato designato (4 anni, ex art. 7, lei 9/91).

L'inserimento dell'art. 23 CRP nella parte generale dei diritti fondamentali mostra, chiaramente, che tale figura è essenzialmente un organo di garanzia dei diritti fondamentali, ma è anche organo di garanzia della Costituzione, (34) non solo per ciò che attiene ai diritti fondamentali. (35) Oltre a svolgere attività a seguito di denunce di cittadini, il Provedor può esercitare, di propria iniziativa, attività al fine di promuovere la propria funzione istituzionale.

La Costituzione non statuisce nessun limite alla competenza del Provedor; in particolare, l'accesso a tale organo nei luoghi dove si esercitino poteri pubblici (con la sola esclusione della funzione giurisdizionale ai sensi dell'art. 206 CRP) non può essere postergato o sottoposto a condizioni speciali o a restrizioni particolari. Entrando nello specifico, ai fini di quello che interessa in questo studio, nessun'autorizzazione o preavviso deve essere dato allorquando il Provedor visiti gli istituti di pena. La sua attività, inoltre, non si limita all'apprezzamento delle denunce contro l'attuazione dei poteri pubblici, potendo segnalare deficienze della legislazione ed emettendo raccomandazioni, al fine di proporre all'AR di interpretare, alterare, o revocare norme giuridiche vigenti, o suggerire l'elaborazione di una nuova legislazione (art 20, lei 9/91).

L'unico vero potere del Provedor è la persuasione: deve cercare di convincere l'Amministrazione di procedere in modo conforme alla legge e al principio della buon'amministrazione. Gli strumenti a sostegno dell'operato del Provedor sono: raccomandazioni, ispezioni, relazione annuale, ricorso ai mezzi di comunicazione sociale.

L'operato del Provedor si regge su due principi fondamentali:

In formalismo, nel senso che il Provedor deve ricercare la verità utilizzando tutti i modi possibili, senza essere sottomesso a ritualità di sorta (la sua attività non soggiace alle regole processuali relative alla prova);

Contraddittorio, cioè il diritto degli organi dell'amministrazione a esporre la propria posizione su il fatto oggetto di critica o censura del Provedor.

Ciò che più interessa ai fini di questo studio è la relazione sulle condizioni delle carceri che, a partire dal 1996, il Provedor è tenuto ad effettuare, con scadenza triennale, al fine di far conoscere al Ministro de Justiça e all'AR, le condizioni materiali dell'esecuzione penale e rivolgere eventuali raccomandazioni per migliorarle. Questa scelta, come visto, rientra nel più vasto progetto governativo del "Programma de aççao para o sistema prisonal", e ha apportato in Portogallo un grande contributo alla questione penitenziaria, nel senso, quantomeno, di aver offerto - e di continuare ad offrire - una panoramica della realtà carceraria da un organo terzo rispetto l'amministrazione penitenziaria o altro potere statuale. Si ricordi inoltre che il Provedor effettua visite negli istituti di pena senza preavviso e che durante dette visite può ricevere denunce, senza vincoli di forma, dei ristretti, anche quando si siano prescritti i termini per impugnare presso il TEP gli atti dell'amministrazione penitenziaria, o per atti dell'Amministrazione non passibili d'impugnazione (in Portogallo, come visto nel par. 4.2.4., la stragrande maggioranza). È inoltre un organo che crea "interattività" tra cittadini e istituzioni, proprio perché il Provedor si serve dei mezzi d'informazione per far conoscere all'opinione pubblica il proprio operato, e, al tempo stesso, cittadini ed associazioni possono rivolgergli denunce (anche di rilievo costituzionale) e segnalazioni.

Il sopra menzionato "Programma de aççao para o sistema prisonal", è da menzionare anche per l'istituzione di una altro organismo di controllo dell'esecuzione delle pene, l'IGAI: letteralmente, 'ispettorato generale (dell')amministrazione interna', istituito dal decreto legge 227/95 dell'11 settembre 1995. Secondo questo decreto, l'IGAI è una Autorità preposta al monitoraggio e alla supervisione della legalità delle attività delle forze di polizia. La sua funzione principale è rappresentata dalla protezione dei diritti dei cittadini eventualmente offesi da atti delle forze dell'ordine; riceve, infatti, le denunce dei cittadini riguardanti, principalmente, eccesso di potere o abuso d'ufficio delle forze di polizia (anche penitenziaria), ed ha il potere dovere di iniziare le necessarie indagini e di avviare le eventuali procedure disciplinari. Parte degli uffici dell'IGAI sono istituiti presso la DGSP, nonostante il decreto in questione sancisca l'indipendenza e l'autonomia dell'istituendo organo; si plaude la scelta di destinare a tali uffici, tra gli altri, anche magistrati. Detto organo, così come il Provedor, hanno ricevuto il plauso dei comitati CAT e del CPT, proprio per i poteri ad essi attribuiti e per il loro concreto operato. Ad es., come precedentemente visto, (36) nelle 'osservazioni finali' del Comitato del CAT (37) (1997), oltre all'elogio per la riforma del codice penale in tema di torture, si esaltano l'istituzione e i poteri attribuiti al Provedor de Justiça e all'IGAI, misure giudicate idonee al fine di dare attuazione all'art. 2 (38) della Convenzione, ossia, a impedire la perpetrazione di atti di tortura in quelle istituzioni totali dove tali atti, tali sub culture, attecchiscono con maggior facilità, venendo a concretizzarsi e a rappresentare quegli ostacoli (cui allude il dettato dell'art. 3, n.2 Cost.) che impediscono il pieno e libero sviluppo della persona.

La comparazione a margine con lo Stato italiano, non può non venire da sola, alla luce di quanto esposto ai par.3.2.d. e s.: l'ordinamento giuridico italiano non prevede il reato di tortura, (39) non prevede il Garante nazionale dei cittadini liberi (40) né, tanto meno, un Garante dei ristretti; non prevede, ancora, un organo di controllo delle forze dell'ordine (inclusa la polizia penitenziaria) paragonabile ai poteri e all'operato dell'IGAI.

Le critiche (dovute) a tale stato dell'arte le rinviamo. Per il momento, sembra opportuno 'imparare' e costruire quella che A.Baratta ci ha insegnato essere la sicurezza dei diritti, particolarmente quelli deboli, ossia quelli che rappresentano l'ultima ruota del carro delle attenzioni globali, la punta dell'isberg di ciò che è la politica criminal sociale della (in)sicurezza. Il sintomo che qualcosa, nella nostra visone di Stato e di diritto (locale, nazionale, comunitario e internazionale) abbia ceduto. E sono appunto le garanzie, giurisdizionali e non (rectius, la effettività delle stesse, le regole preliminari del 'gioco') quelle che permettono di giudicare il livello di salute dei diritti universali in uno stato 'moderno' 'di diritto'. Qualcuno di recente, non a caso, ha parlato di "ritorno al pre-moderno, al 'signore' che tutto può perché tutti spaventa." (41)

Per costruire e non continuare a distruggere, per imparare e non insegnare (o, peggio, 'esportare') lezioni di 'democrazia', si propone, nel prossimo paragrafo, una brevissima lezione di 'diritto' scritta da un organo costituzionale, indipendente e a garanzia dei diritti deboli e ristretti, il Provedor de Justiça. Nelle pagine che seguono, il Garante ci offre una panoramica delle patrie galere portoghesi, frutto delle visite a tutti gli istituti di pena e detenzione (anche presso stazioni di polizia) e presso gli ospedali psichiatrici giudiziari. (42)

5.1.2. Il rapporto 2003 del Provedor de Justiça sulle condizioni delle carceri portoghesi

Abbiamo visto che il Provedor, a partire dal 1996, è tenuto a realizzare un rapporto triennale sulle carceri portoghesi, al fine di far conoscere al Ministro della Justiça (e all'Assemblea della Repubblica) le condizioni materiali dell'esecuzione penale e di rivolgere allo stesso raccomandazioni per migliorarle. I precedenti rapporti risalgono al 1996 e al 1999. Quello di seguito analizzato è invece il RSP2003. I dati in esso menzionati si riferiscono alle visite del I semestre2002.

La relazione si divide in una parte generale inerente tematiche specifiche del trattamento penitenziario (alloggi, salute, lavoro, ordine e disciplina, relazioni con il mondo libero etc) e in una seconda parte dedicata specificamente alla condizione dei singoli istituti di pena.

Il Provedor sottolinea l'impegno dei vari governi, susseguitesi a partire dal '96, nei confronti della questione carceraria, in risposta allo stato degradante che ha caratterizzato il Portogallo fin quella data - denunciato più volte dal CPT, dal CAT e da Amnesty Internazional -, a partire dall'aumento degli investimenti statali nel settore nonostante la pressione contraria dell'opinione pubblica. (43) I miglioramenti delle condizioni di vita, rispetto al rapporto del '96, sono notevoli: basti pensare alla riduzione (ma non alla soppressione!) dell'aberrante uso del "balde igienico" (leggi pappagallo), per avere un idea dei soprammenzionati miglioramenti.

Ciò nonostante, permane come principale la questione penitenziaria. La "colpa" principalmente viene attribuita al legislatore che tarda l'attuazione di una riforma organica e sistematica della esecuzione penale, che si basa ancora sul vetusto decreto lei 265/79 ed è 'caratterizzata' dall'assenza di un regolamento esecutivo. Ci sono stati tentativi innovatori, ma le proposte di legge non sono mai tramutate in leggi dello stato. (44) Più in particolare, viene sottolineata la necessità di ampliare il ricorso alle forme alternative alla detenzione carceraria (ad oggi, quasi del tutto inesistenti, vedi 4.2.2.), di intensificare la tutela effettiva del ristretto, di riformare l'organizzazione e il funzionamento dei servizi penitenziari.

Per quanto concerne il sovraffollamento l'accusa è rivolta ancora al legislatore, auspicando una riforma penale nel senso di creare nuove regole che portino ad un minore intervento penale e a diminuire la media della reclusione. (45) Un dato allarmante è l'aumento più che proporzionale dei cittadini reclusi rispetto quello della popolazione libera. Si auspica che la politica criminale non sia frutto del solo crescente bisogno di sicurezza ma si ispiri al reinserimento del recluso e alla prevenzione speciale della recidiva, in particolare della prima. Si sottolinea, al contrario, come sia aumentato, statisticamente, dal '96, il numero dei reclusi recidivi (51% nel 2002). Si auspica, quindi, l'abbandono di politiche di emergenza, come perdoni giudiziali e atti di amnistia che, a lungo termine, portano a risultati opposti a quelli prefissati, e un incentivo concreto alla rieducazione del ristretto e al trattamento individualizzato che, in altri paesi, ha portato ad una apprezzabile diminuzione del numero dei recidivi. Al contempo, vengono invitati legislatore e tribunali a creare e ad attuare la certezza e l'equità della pena, nel senso di punire allo stesso modo lo stesso reato. (46)

Si critica, inoltre, l'eccessiva durata della carcerazione preventiva, caratterizzata da ritardi sia nella formulazione della prima accusa, sia, successivamente, nella pronuncia nel merito.

Passando al lavoro (47) e alla formazione, si criticano gli scarsi risultati finora raggiunti, denunciando in particolare che molti corsi di formazione rivolti ai ristretti non tengono in conto le possibilità lavorative del mondo libero.

Si passa quindi alle statistiche penitenziarie. (48) A questo proposito, preliminarmente, viene esalta la Portaria 39/2001 che dà vita al regolamento di archiviazione digitale del DGSP abbondando la vetusta archiviazione cartacea. (49)

13168 reclusi, 12097 uomini, 1071 donne. Diminuisce del 9,5% il tasso di reclusione rispetto al '98, ma ciò è dovuto principalmente agli atti di amnistia e al perdono successivi alla legge 29/99 del 12 maggio; ciò è dimostrato dal fatto che al primo giugno 2003, il numero dei reclusi risulta essere di 14195.

Comparando i numeri raccolti nel 1996, 1998 e 2002, si ha il seguente quadro:

1996 1998 2002
Detenuti 13049 14556 13168
Percentuale rispetto la popolazione libera 1,31‰ 1,46‰ 1,27‰

I suggerimenti rivolti al Ministro e all'AR sono: potenziamento dell'istituto di reinserimento sociale (50) nella disponibilità di mezzi sia per intensificare la possibilità di ricorrere alle pene alternative al carcere, sia per facilitare e favorire l'attività del tribunale dell'esecuzione penale; il maggiore utilizzo del braccialetto elettronico estendendone l'utilizzo anche alla libertà condizionale, accompagnato dall'ordine di permanere in un determinato luogo.

Passando ora alla "ripartizione per genere", sono 1071 le donne ristrette; diminuzione in percentuale rispetto al '98 (dal 10% al 8,1%). L'evoluzione posteriore al I semestre 2002, non ha comportato aumenti di reclusione, il che, se si aggiunge il constatato aumento della popolazione maschile, comporta una presenza pari al 7% della popolazione femminile. (51)

Per quanto concerne la situazione giuridico-penale, 7763 sono i ristretti della popolazione maschile in compimento di pena; 934 già condannati, con processi pendenti con ordinanza di custodia cautelare; solo 14 i reclusi per giorni liberi (a eloquente dimostrazione della quasi totale non applicazione dell'istituto), 87 non imputabili; passando alla popolazione femminile, 59 le ristrette già condannate con altro processo pendente con ordinanza di custodia cautelare, 599 condannate.

Per quanto riguarda la custodia cautelare, questa interessa ben 3342 uomini e 413 donne: in percentuale, rispettivamente, 27,53% e 42,8% dell'intera popolazione (nel '98 26,4% e 40,8%).

Ai dati aggiornati al 1 giugno 2003 risulta un totale di 4289 custodie cautelari per un totale di 14362 ristretti, in un leggero aumento da 28,5% a 29,9%. Il 27,2% delle custodie cautelari interessa i detenuti ristretti per reati legati alla tossicodipendenza.

La prima osservazione riguardante i condannati è piuttosto negativa: nessun miglioramento per quanto concerne la durata media della pena rispetto al '98: della popolazione maschile, il 77% sconta una pena superiore ai 3 anni; la percentuale delle pene inferiori ai 6 mesi passa dal 1,1 del '98 a 1,6 nel 2003. Come nel '98 è da notare che il 57% dei condannati a pena superiore ai tre anni, sconta la pena in EPR, che non hanno le caratteristiche proprie per ospitare detenuti sottoposti a condanne di lunga durata.

Passando ai numeri della popolazione femminile, si sottolinea l'aumento della durata media della pena. Così, per le pene di lunga durata, si passa dal'84% del '98, al all'88% del 2003, con la consequenziale diminuzione delle pene inferiori ai tre anni.

Considerando infine l'intera popolazione, si ha una crescita delle pene di breve durata (dal 1,1%del'98, al 1,5%); le pene di media durata (condanna tra sei mesi e tre anni) passano dal 23% del'98 al 21% del 2002; le pene di lunga durata dal 76% del '98, al 78% del 2002.

Nelle carceri centrali e speciali, sei istituti ospitano per il 90% detenuti per pene di lunga durata (Coimbra, Linhò, Pinheiro da Cruz, Izeda, Vale de Judeus, Paços de Ferriera.) Al contrario si denunciano gli istituti centrali di Coimbra e Alcoentre in quanto ospitano un eccessivo numero di ristretti per condanne di breve durata.

Nelle carceri regionali (dati riferiti a soli 21 istituti, ossia, i 2/3 degli esistenti), ben il 50% dei condannati sconta pene di lunga durata, con valori superiori al 75% negli istituti di Chaves, Lamego, Viseu, Bragança, nonostante gli EPR non abbiano le caratteristiche proprie per ospitare detenuti sottoposti a condanne di lunga espiazione.

Il tasso dei ristretti recidivi 'la dice lunga' su quel 'contenitore dell'esclusione sociale' che è il carcere: 51% (48% nel'98) della popolazione maschile è recidiva, il 57% in insituti centrali o speciali, 35% (44% nel 98) in istituti regionali.

I crimini con motivazione legata alla tossicodipendenza, rappresentano il 55% (62%nel '98): 57% della popolazione maschile, 82% di quella femminile. (52)

Per quanto concerne la popolazione straniera, 1726 i ristretti, il 13,1% della popolazione totale maschile, in aumento rispetto al '99, con diminuzione della presenza di stranieri con origine nei paesi di lingua portoghese (dal 63% del'99 al 54% del 2002); 157 le ristrette. L'ombra del 'contenitore sociale' torna a calarsi sulla scena quando passiamo al seguente dato: ben il 41% di tutta la popolazione straniera è in custodia cautelare.

Nella sezione che interessa la salute, si evidenzia, anzi tutto, che non ci sono stati miglioramenti, a partire dal '96, riguardo alla diminuzione del rischio di contagio di malattie infettive, in particolare dell'AIDS e dell'epatite c.

In questo contesto, il dato più allarmante è rappresentato dal fatto che, spesso, le vaccinazioni, in particolare contro l'epatite b, siano fatte esclusivamente ai c.d. "gruppi sotto rischio", contrariamente a quanto previsto dalla legge (e dal buon senso); il Provedor raccomanda che le vaccinazioni vengano effettuate sull'intera popolazione, a partire dal primo giorno d'ingresso in istituto. Questa non felice consuetudine ha portato ad un alto tasso di diffusione delle malattie infettive; e le amministrazioni penitenziarie, piuttosto che pensare ad attuare le raccomandazioni al riguardo che il Provedor aveva sollecitato nei due precedenti rapporti, hanno solo pensato di occultare i dati, non facendo pervenire al Provedor stesso i dati completi; quelli pervenuti, comunque, esplicano che il 30% almeno dei ristretti ha l'epatite (l'86% di questi ha l'epatite c). I sieropositivi sono 1131 - di cui il 63% con epatite - in diminuzione rispetto al'99 (dal 11% al 9% della popolazione totale). I ristretti, nella libertà e nella morsa cieca dell'AIDS, sono 362 - di cui il 73% ha l'epatite, il 13% la tubercolosi polmonare - in aumento rispetto al'99 (dal 2,6% al 3%).

Si ribadisce, il problema principale di questi dati è che mancano i numeri degli istituti di Funchal, Lisboa, Pinheiro da Cruz e Vale de Judeus, che rappresentano il 21% della popolazione carceraria!

A proposito ancora della (non) salute dei luoghi di detenzione, si denuncia che il carcere di Monsanto, sistematicamente, non fa la diagnosi di malattie infettive al momento d'ingresso dei ristretti; infine, è denunciata la rilevante ed eloquente presenza di pulci negli istituti penitenziari.

5.2. (continua) Comparazione a margine con l'Italia. I rapporti dell'Assocciazione Antigone sulle condizioni delle carceri italiane (rinvio)

Le riforme italiane dell'esecuzione penale, contrariamente alla realtà portoghese (vedi II parte, in particolare 4.2.2.), hanno interessato, a partire dal 1981 in poi, prevalentemente, la creazione di 'alternative' alla centralità del carcere nel mondo delle sanzioni penali. Lungi dal criticare siffatto atteggiamento del Legislatore italiano, al contrario, salutando con plauso tale scelta 'politica' e di 'diritto', un lettore con senso civico non può, però, non constatare il notevole aumento del controllo penale che si è verificato a partire dagli anni Novanta. Certamente, come visto (secondo capitolo), la principale causa è da imputare alle opere, politico-mediatiche, di criminalizzazione ('primaria') del semplice consumo di stupefacenti, di repressione delle etnie migranti, e, più in generale, ai pacchetti sicurezza dei vari governi (di sinistra, di destra e 'tecnici') che hanno dominato le scelte del Legislatore italiano (e non solo) degli ultimi tre lustri. Ciò nonostante, tornando alle misure alternative della detenzione carceraria, sembra doveroso aggiungere due riflessioni:

  1. l'attenzione 'politica' (e il correlativo estendersi del ricorso) alle misure alternative ha portato, inevitabilmente, a trascurare tematiche quali quelle concernenti gli "strumenti necessari per migliorare le condizioni di detenzione, le forme di controllo di legalità nei luoghi di privazione della libertà personale e i meccanismi di tutela dei diritti fondamentali delle persone detenute". (53)
  2. i giudici (la statistica al riguardo lo conferma) hanno adottato (e continuano ad adottare) in maniera più rigorosa del passato il ricorso alla sanzione penale poiché 'relegare' una persona ad una restrizione meno affittiva della patria galera comporta un minor disagio 'etico' ed emotivo, in altre parole, e senza voler sollevare critiche, destinare un reo, ad.es., ai servizi sociali, costa meno alla coscienza che ogni giudice, in quanto uomo, ha.

I numeri (imparziali indicatori) delle statistiche penitenziarie, parlano chiaro: il controllo penale, che nel 1990 annoverava 25.000'unità', rectius, soggetti, dal 2001 in poi interessa circa 95000 persone (!).

Tale stato dell'arte deve portare ad una serie riflessione, critica e civile. Il luogo di questo dialogo può essere, per la politica, il Parlamento, per il diritto e la democrazia (sostanziale e) partecipativa, il Soggetto collettivo di cui parla A.Baratta, partendo dall'esperienza (preesistente, cospicua e fruttuosa), dalle attività e dalle azioni delle amministrazioni locali e dei comitati cittadini (Si pensi, alle recenti istituzioni di difensori civici locali, ai diversi Osservatori sulle condizioni delle Carceri istituiti in seno ad alcune ONG o ONLUS, o, ancora, alle opere di sensibilizzazione dell'opinione pubblica di alcuni comitati cittadini). (54) I contenuti di tale discussione, a lunga distanza, potrebbero portare ad una volontà organica volta nel senso della decarcerizzazione, depenalizzazione e riserva rafforzata di codice (vedi capitolo I) e alla redazione di uno "Statuto dei diritti dei detenuti", ossia, un "catalogo dei diritti che devono essere riconosciuti alle persone private dalla libertà personale, al quale si accompagni la predisposizione di strumenti di tutela adeguati". (55)

A breve termine, urge adempire quegli obblighi internazionali ai quali si è fatto riferimento in varie parti del presente lavoro, ossia, introdurre il reato di tortura nel CP, istituire un organo amministrativo disciplinare che verifichi la legalità dell'operato delle forze dell'ordine, istituire, finalmente, il Garante Nazionale (dei cittadini liberi così come) dei ristretti, seguendo e migliorando il modello giuridico e l'esempio portoghese.

Soffermiamo la nostra attenzione, ancora una volta, sul Provedor de Justiça. Abbiamo visto, nel precedente paragrafo, che tale organo, attraverso i poteri garantitigli e il suo effettivo operato, è riuscito ad apportare un grande contributo alla questione penitenziaria portoghese, nel senso, quantomeno, di aver offerto - e continuare ad offrire - una 'panoramica' della realtà carceraria da parte di un organo terzo rispetto l'amministrazione penitenziaria o altro potere statuale. L'utilità dell'osservazione di un mondo, come quello carcerario, chiuso per definizione -a 'dispetto', su di un piano assiologico, sia della Costituzione italiana (ineffettività dell'art. 27, n.3) sia della legislazione ordinaria (Cfr. art. 17, comma 2, O.P.) -va a vantaggio dell'intero sistema giustizia, offrendo informazione (appunto, su di un mondo chiuso, su quello che sembra rappresentare un tabù o, peggio, un limite immanente della concezione stessa dello stato moderno 'democratico' di 'diritto') non solo, come già detto, all'Assemblea della Repubblica e al Ministro de Justiça, ma anche all'opinione pubblica e alle associazioni del settore, controbilanciando in questo modo l'opera mediatica (dall'alto) e, ancor più drammaticamente, fattuale di 'criminalizzazione' 'secondaria'(o 'ulteriore') del reo nella fase esecutiva.

In Italia tutto ciò non è possibile, appunto, perché tale figura (Costituzionalmente prevista in Portogallo) è assente nel nostro ordinamento. A tale lacuna ha sopperito, per quanto consentito, l'associazione Antigone, creando un Osservatorio permanente sulle condizioni di detenzione delle carceri italiane. (56) Ma la non facoltà di parlare con i ristretti, il dovere di autorizzazioni ad hoc per ogni singola visita (e la recente vicenda estiva del rifiuto d'ingresso nel Carcere di Regina Coeli a due membri di tale Osservatorio e, peggio ancora, al Difensore civico del comune di Roma, nonostante tale visita fosse stata programmata con l'Amministrazione e autorizzata dal Magistrato di Sorveglianza di competenza) (57) da parte dei palazzi del potere, svilisce questo tentativo civile di 'democrazia dal basso', riportando in auge la questione iniziale: bisogna istituire (e garantirne l'effettività) il Difensore civico nazionale contro ogni forma di arbitrio del potere pubblico, a vantaggio di ogni individuo che si trovi sul suolo dello Stato (di diritto) italiano, sia esso libero o parzialmente libero, sano di mente o meno, ristretto in patrie galere o in patrie 'gabbie etniche'. Per questo motivo, l'ultimo paragrafo di questa dissertazione sarà dedicato, ancora, fino alla noia, (rectius, fino alla realizzazione), alla causa civile della istituzione del Garante.

5.3. A mo' di conclusione: verso un Provedor de Justiça italiano?

Abbiamo individuato, grazie all'esempio del sistema giuridico portoghese - qui analizzato cercando di applicare il metodo della interdisciplinarietà esterna alla luce degli insegnamenti della teoria del garantismo nei suoi tre significati di 'modello di diritto', critica del diritto e critica della politica -, grazie alla 'narrativa' del (ineffettivo) diritto internazionale convenzionale (58) e alle esperienze maturate dalle associazioni del settore (e dai comitati cittadini), che il primo 'tassello' della lotta civile per la giustizia è da identificarsi nella istituzione del Garante nazionale dei diritti, (in particolare, ai sensi dell'art. 3, n.2 Cost.it, a tutela dei diritti deboli o 'ristretti'). Inutile riportare nuovamente i contenuti 'a favore' di questa proposta precedentemente esposti. Un'ultima considerazione vuole però essere svolta riguardo l'utilità 'legale' ('civile' ed 'etica') di detto organo. Preliminarmente, è opportuno considerare che, a medio termine, tale Garante potrebbe rappresentare il coordinatore ideale di quel soggetto collettivo di cui parla A.Baratta, proprio perché, come sottolineato da G.Canotilho a proposito del Provedor, è un organo che crea "interattività" tra cittadini e istituzioni, poiché si serve dei mezzi d'informazione per far conoscere all'opinione pubblica il proprio operato, e, al tempo stesso, cittadini ed associazioni possono rivolgergli denunce (anche di rilievo costituzionale) e segnalazioni.

Sempre sul piano delle premesse, è bene ribadire le due critiche, già precedentemente esposte, concernenti:

  1. il mancato riconoscimento, a favore dei difensori civici locali (59) della possibilità di esercitare le proprie funzioni a vantaggio di soggetti ristretti nella libertà (non solo) in carcere, ma anche negli ospedali psichiatrici giudiziari, negli istituti penali per minori, nei centri di detenzione per immigrati, nelle camere di sicurezza delle caserme dei carabinieri e della guardia di finanza, nei commissariati di pubblica sicurezza; (60)
  2. le proposte di leggi italiane là dove prevedono che il Garante dei ristretti ha competenza per la tutela dei soli diritti fondamentali. (61) Questo aspetto, come detto, comporta conseguenze negative. "Il riferimento alla categoria 'diritti fondamentali' rischia di ridurre ingiustificatamente lo spatium operandi del difensore civico, assegnandogli confini che, alla luce di quanto statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza n.26/1999, verrebbero ad essere addirittura più ristretti di quelli entro cui si esplica - rectius, si dovrebbe esplicare - il controllo giurisdizionale del magistrato di sorveglianza". (62) Sarebbe opportuno, anzi, estendere la tutela anche agli interessi legittimi, in base alla considerazione che, nella istituzione totale carcere, "alla distinzione tra diritti e interessi non corrisponde necessariamente dal punto di vista sostanziale una simmetrica graduatoria: è difficile negare, ad esempio, che il trasferimento del detenuto in una struttura lontana dal luogo di residenza dei suoi familiari possiede una carica di afflittività ben maggiore della mancata corresponsione della «mercede» relativa ad un giorno di lavoro." (63) Sembra dunque inopportuno il riferimento alla categoria 'diritto fondamentale' operata nelle Proposte di legge inerenti l'Istituzione del Garante dei ristretti. E ciò alla luce della sentenza 26/1999 del Giudice delle Leggi che esplica il significato dell'oggetto della tutela ex art. 35 O.P. ossia "la lesione di tutti i diritti la cui violazione sia potenziale conseguenza del regime di sottoposizione a restrizione della libertà personale e dipenda da atti dell'amministrazione ad esso preposta, non essendo possibile -come opportunamente rileva la Corte in relazione alla portata generale degli artt. 24 e 113 Cost. it -distinguere, per assicurare la garanzia giurisdizionale solo ai primi, tra diritti aventi e diritti non aventi fondamento costituzionale." (64) In altre parole, la distinzione tra categorie di diritti (di rilievo costituzionale e non), e tra diritti e interesse legittimo (distinzione propria dell'ordinamento giuridico italiano del cittadino libero) dovrebbe venir meno -o essere differentemente delineata -nella legislazione penitenziaria, causa la peculiarità dell'istituzione totale dove detto ordinamento esplica la sua efficacia.

L'ultimo dubbio che bisogna ora chiarire, per sgomberare il campo da indecisioni circa l'utilità dell'istituzione del Garante dei ristretti, può essere rappresentato dalla risposta che si dà alla domanda se il Garante penitenziario non sia una (tanto inutile quanto) dispendiosa 'copia' del Magistrato di Sorveglianza.

A tale proposito ci viene in aiuto, ancora una volta, l'intervento del Prof. F.Della Casa sopra menzionato, il quale parte proprio da questa "questione pregiudiziale" per verificare l'utilità o meno dell'istituzione di detto organo. A parere dell'autore, l'analisi dei poteri e dell'operato del Magistrato di Sorveglianza porta ad individuare i punti deboli dell'attuale meccanismo di tutela degli 'interessi basici' dei ristretti, proprio nella "blanda azione ispettiva del magistrato di sorveglianza" e nel "suo circoscritto potere di intervento diretto".

Per esplicare tale punto di vista, l'autore asserisce: "Bisogna infatti riconoscere che l'allontanamento dalle incandescenti dinamiche carcerarie è in una certa misura anche il risultato di una scelta consapevole, effettuata da molti magistrati di sorveglianza desiderosi di salvaguardare al massimo la loro terzietà di giudici. [...] Oltre tutto, tale scelta è in sintonia - al punto che taluni vi colgono una correlazione - con le crescenti attribuzioni che il legislatore ha devoluto al giudice monocratico nel settore delle misure alternative. Per completezza, va altresì ricordato che, secondo un'opinione abbastanza diffusa tra quanti hanno preferito ritirarsi nel loro 'guscio corazzato di giurisdizionalità', l'accesso al carcere del magistrato di sorveglianza si ridurrebbe ad una vuota liturgia, posto che i detenuti utilizzano di regola l'incontro con il giudice 'penitenziario' solo per chiedere informazioni circa la futura concessione di un permesso o di una misura alternativa".

In secondo luogo, l'autore cerca di individuare i limiti oggettivi, per cosi dire, "ontologici" del sindacato giurisdizionale sull'operato dell'amministrazione penitenziaria. "Risulta rispondente allo scopo uno scritto di Johannes Feest, nel quale l'Autore esamina come funziona in concreto il ricorso all'autorità giudiziaria (Strafvollstreckungskammer), esperibile dal detenuto ai sensi dei §§ 109 e 110 della legge penitenziaria tedesca (Strafvollzugsgesetz). Estrapolando da tale scritto le considerazioni maggiormente inerenti al nostro discorso, emergono i seguenti rilievi critici:

  1. il tempo che il giudice 'penitenziario' impiega per decidere il reclamo del detenuto nei confronti di un atto dell'amministrazione carceraria non è - anche a causa del rispetto delle forme imposto dal contesto giurisdizionale - sufficientemente contenuto. Ciò in molti casi fa sì che, pure nelle ipotesi in cui il reclamo viene accolto, la 'vittoria' del detenuto risulti puramente simbolica, in quanto nel frattempo è venuta meno la ragione del contendere (basti pensare al trasferimento del ricorrente in un altro istituto o, prima ancora, alla sua dimissione);
  2. un reclamo che venga deciso da un giudice in esito ad un procedimento giurisdizionale presuppone il rispetto delle ordinarie regole in cui si articola il diritto delle prove. A tale proposito, va però osservato che l'amministrazione si trova in una posizione di vantaggio rispetto al detenuto che, proprio a causa del suo stato di soggezione nei confronti della controparte, può incontrare non poche difficoltà nel procurarsi i necessari elementi di prova;
  3. talune perplessità sono riconducibili al fatto che vi possa essere coincidenza di persona fisica tra il giudice che decide i reclami contro l'amministrazione penitenziaria e il giudice competente a concedere i permessi e le misure alternative. Infatti la proposizione dei reclami potrebbe comportare l'etichetta di detenuto 'protestatario', che non è il miglior viatico per il conseguimento di un beneficio penitenziario.

Muovendo da queste considerazioni - estensibili senza forzature alla procedura di reclamo davanti al magistrato di sorveglianza (art. 69 c.6 ord.penit.) - l'Autore prospetta l'opportunità di un meccanismo che permetta di evitare gli inconvenienti appena menzionati. In quest'ottica viene evocata una figura istituzionale diversa dal giudice, la quale, forte della sua assidua presenza all'interno della struttura carceraria, potrebbe operare per la risoluzione del conflitto ispirandosi alla logica e ai canoni della mediazione.

Sulla base di quanto sinora appurato esistono contesti (l'ambiente carcerario) e aree (quella ricomprendente le posizioni meno 'forti' del diritto soggettivo) che sono sottratti al controllo continuativo di un organo esterno all'amministrazione penitenziaria. Inoltre, anche con riferimento a quei settori nei quali tale controllo ha invece modo di operare, non risulta per ciò stesso esclusa l'opportunità di un'ulteriore forma di tutela che abbia caratteristiche ovviamente diverse da quella giurisdizionale, così da porsi rispetto ad essa in un rapporto di complementarietà. Sembrano dunque sussistere le premesse per l'introduzione nel nostro ordinamento del difensore civico penitenziario, la cui fisionomia può essere in larga misura tratteggiata proprio tenendo presenti - secondo una logica di giustapposizione - i punti deboli del nostro attuale sistema. [...] Grazie ad alcune autorevoli testimonianze, la constatazione che i giudici 'penitenziari' sono riluttanti ad assicurare la loro presenza in carcere, lungi dal riguardare esclusivamente la situazione italiana, si presta ad essere generalizzata, e questo dato consente di formulare l'ipotesi secondo cui si tratta di una resistenza, per così dire, culturale. [...] Proprio con riferimento all'ombudsman penitenziario si è per contro evidenziato che, quanto più esso è presente in carcere, tanto più agevole è per il detenuto lamentare eventuali irregolarità - magari ancora allo stadio iniziale e, quindi, più facilmente correggibili - e tanto più contenuto risulta il timore di eventuali ritorsioni. Ovviamente, al diritto incondizionato di accesso si deve accompagnare un penetrante potere ispettivo, non inferiore a quello che l'art. 5 reg. esec. conferisce al magistrato di sorveglianza. Quanto alla latitudine del controllo, non ci si deve più cimentare con astratte categorie giuridiche. Tutto ciò che si ponga in contrasto con la normativa penitenziaria, o che comunque sia suscettibile di arrecare al detenuto un'afflittività aggiuntiva rispetto a quella scaturente dalla corretta esecuzione della pena, ricade sotto il raggio di azione dell'organismo in esame. In altre parole, è tipico dell'ombudsman penitenziario un controllo diffuso, di talché quando in certi ordinamenti - come in Inghilterra - si vuole escludere uno specifico settore, lo si indica esplicitamente. Gli spazi di intervento sono perciò molto ampi, vuoi con riferimento alle situazioni di carattere individuale - si faccia l'ipotesi di un reclamo concernente la mancata autorizzazione ad avere un colloquio con persona diversa dai congiunti e dai conviventi (art. 37 c. 1 reg.esec.) - vuoi con riferimento a situazioni che chiamano in causa più direttamente i vertici dell'amministrazione penitenziaria, quali, ad esempio, la situazione di sovraffollamento o il contrasto di una circolare con le previsioni della legge del 1975."

Sgombrato il campo da quest'ultimo dubbio, ossia, l'utilità o meno di creare una nuova figura di controllo nelle istituzioni totali, non resta che continuare a lottare per la battaglia civile dell'istituzione del Garante dei ristretti.

Note

1. Basti pensare che il sovraffollamento raggiungeva livelli record in quell'anno, rappresentando il 57,5%, mentre nel 2001 rappresenta il 17% (Fonte, Direzione generale dei servizi penitenziari).

2. In particolare, la visita effettuata nell'Ottobre '96 è una visita ad hoc del CPT, al fine di verificare se fossero migliorate le terrificanti condizioni in cui versava il carcere di Porto durante la visita del maggio'95."Sovraffollamento, assenza di igiene, forti tensioni e violenze tra i ristretti, alto consumo di droghe", sono solo alcune delle denunce registrate dal CPT anche nella visita del '96, riscontrando miglioramenti appena nell'Aprile '99, in occasione di una nuova visita. Purtroppo, l'esempio di Porto, non è un caso isolato. Per maggiori ragguagli, è consultabile il sito del CPT.

3. Dubbia, in quanto la logica del profitto, indissolubile all'investimento privato, puo' comportare effetti negativi sulla questione penitenziaria. Un esempio è costituito da una recente vicenda statunitense, dove la diminuizione del numero dei detenuti di alcune carceri privatizzate, "che ovunque sarebbe stata salutata come un risultato di grande rilevanza sociale, è stato percepito dalle società private che gestiscono penitenziari come una sciagura, tale da indurre le stesse ad avviare un azione di lobbing per spingere i giudici a tornare ad applicazioni più severe della legge"..La notizia è riferita da M. Ruotolo, Diritti dei detenuti e Costituzione, Torino, 2002, premessa, pagina XIV.

4. Fonte, Direzione generale dei servizi penitenziari.

5. il CPT, in visita nel '95, denuncia il mal costume diffuso di utilizzare il "pappagallo"; nonostante l'istallazione di molti sanitari negli istituti di pena, l'uso del balde igienico continua ad essere presente come testimoniato dalle denunce riportate dal Provedor de Justiça nel RSP 2003.

6. Despacho del 30 Gennaio del 1996, pubblicato nel Diario da Republica, 2.serie.

7. A.M.Rodrigues, Novo olhar sobre a questao penitenciaria, Coimbra, 2002, 179. In questo testo l'autrice riporta il testo integrale della proposta di riforma -di cui lei stessa è una degli autori - dell'esecuzione penale, PCREP (vedi nota 9), esponendo le 'motivazioni' che hanno portato alla stesura del diploma.

8. Ibid., 180.

9. Projecto de proposta de lei de execuçao das penas e medidas privativas de liberdade, da ora in poi PCREP.

10. Vedi nota 7.

11. A.M.Rodrigues., cit., 53.

12. Su questo tema, in Italia, vedi A.Bernasconi, Articolo 13 -Individualizzazione del trattamento, in V.Grevi -G.Giostra -F. Della Casa, Ordinamento penitenziario.Commento articolo per articolo, Padova, 1997, 112.

13. È interessante notare che l'autrice (nota 3, pag.66), per affermare la necessità del riconoscimento di uno statuto (di cittadinanza) dei diritti dei ristretti, parte dalle parole di Bettiol - Diritto penale (1978) - il quale evidenzia come il principio di legalità "vive" nell'esecuzione penale.

14. Ibid., 54 e 55.

15. Basti pensare che il preambolo del decreto lei 265/79 parla di "semigiurisdizionalità" della esecuzione; l'unico intervento giurisdizionale del giudice della esecuzione è previsto per l'internamento in cella disciplinare per un tempo superiore agli otto giorni (vedi 4.2.3 e s.).

16. Ibid., 90 e s.

17. Ibid., 183.

18. Vedi 4.2.1.

19. Ibid., 207.

20. Se il presente diploma diventasse legge, sarebbe implicitamente abrogata - in quanto non riprodotta - la dubbia norma sancita dall'art. 64, n.2 del decreto lei 265/79, che prevede la possibilità di obbligare il ristretto a realizzare servizi ausiliari nell'istituto fino a tre mesi l'anno (o per un periodo superiore se c'è il consenso del ristretto).

21. L'art. 55, n.6 PCREP recita: "L'esercizio di attività lavorative, nei termini del n.1, art. 52, deve essere tenuta in considerazione nell'evoluzione del comportamento del recluso, tenendo in vista la finalità dell'esecuzione previste negli art. 1 e 2".

22. Portaria 183/2003.

23. Art. 54, n.1 PCREP.

24. PCREP, 19.

25. RSP 2003, 343 e s.

26. In antitesi alla posizione portoghese, è il Real decreto spagnolo 190/96 che all'art. 138 prevede come alternative, e non sussidiarie, la possibilità di lavorare alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria o di entità giuridiche estranee alla stessa. Ancora più antagonista è il recente progetto di legge penitenziaria francese che prevede come sussidiario, questa volta, il lavoro svolto alle dipendenze dell'amministrazione. (Cf. p. 24, I. do Document de présentation générale de l'avant projet de loi sur la peine et le service public pénitentiaire).

27. Ibid., 206. In Italia, la posizione della dottrina è oscillante. A favore del riconoscimento dei diritti sindacali dei ristretti che lavorano in carcere (in attuazione dell'art. 48, n.11 reg.esec), sulla base della considerazione dell'assenza 'aprioristica' di ragioni di sicurezza che ne ostacolino l'esercizio, vedi M.Ruotolo, cit., 181 ss.

28. In questo ultimo caso tale possibilità è postergata all'installazione di "unidade de maes" e "unidade de pais" negli stabilimenti (n.4, art. 124).

29. EP de Funchal e de Vale de Judeus.

30. Detto progetto è maturato a seguito di una raccomandazione del Provedor de Justica a sostegno dell'istituzione di tale regime, in occasione della visita agli istituti di pena decorsa nel'96.

31. Si ricordi che detto regolamento prevede come destinatari di tale regime solo i condannati che non beneficino di licenze d'uscita dall'istituto.

32. RSP2003, 453 s.

33. RSP2003, 455 s.

34. Si ricordi che al Provedor è attribuito il potere di sollevare questione di legittimità costituzionale durante l'esercizio delle proprie funzioni.

35. In questo senso, G.Canotilho, V.Moreira, Constituicao...anotada, cit., 171.

36. Vedi par.3.2.e.

37. SUMMARY RECORD OF THE PUBLIC PART* OF THE 308th MEETING, Held at the Palais des Nations, Geneva, on Friday, 14 November 1997.

38. 'Ogni Stato Parte prende provvedimenti legislativi, amministrativi, giudiziari ed altri provvedimenti efficaci per impedire che atti di tortura siano compiuti in un territorio sotto la sua giurisdizione'.

39. Per rilievi critici riguardo l'inadempimento agli obblighi internazionali dello stato italiano in tema di tortura, si rinvia a M.Palma, La tortura "rattoppata", consultabile partendo dal sito della Chiesa evangelica valdese. Nella seconda parte dell'intervento, è analizzata la (già citata) proposta di legge sull'introduzione del reato di tortura: "Questa posizione traballante sembrava essere arrivata al termine nelle scorse settimane: una proposta di legge di introduzione del reato specifico nel nostro codice è arrivata alla discussione della Camera, con un apparente accordo di tutte le forze politiche. Una proposta semplice, che riprendeva la definizione di tortura data dalla Convenzione e prevedeva una pena da sei mesi a dieci anni per i maltrattamenti da parte delle forze dell'ordine di persone fermate o arrestate, per ottenerne confessioni o informazioni o per intimidirle o umiliarle. Una norma con valore preventivo, quale messaggio verso quella cultura di copertura, troppe volte presentata come «spirito di corpo», che è di grave danno per chi invece opera correttamente.
Ovviamente gran parte della tortura ha la forma della minaccia: di infliggere sofferenze, di colpire persone care, di detenere indefinitamente e segretamente, di simulare un incidente per giustificare un'eventuale uccisione... la minaccia è parte costitutiva della sensazione di essere nella disponibilità del proprio aguzzino, che si determina nella vittima. Un improvvido emendamento della Lega Nord ha proposto che laddove il testo menzionava le violenze e le minacce a cui la persona è sottoposta, venisse aggiunto l'aggettivo «reiterate». La maggioranza ha approvato. Quindi violenze e minacce, se esercitate una sola volta, non rientrano nell'area di azione del nuovo reato: per una volta «si può». Non solo, ma basta cambiare ogni volta colui che opera per non configurare mai tale responsabilità penale. Una norma ineffettiva, oltre che eticamente inaccettabile.
La corsa ai ripari di coloro che hanno votato per ordine di schieramento, al di là del contenuto, è andata nella direzione di riservare solo alle minacce quella richiesta di reiterazione. Debole rattoppo: anche una sola volta la minaccia di supplizio o di rivalsa su un'altra persona cara, nel contesto intimidente in cui si attua e nella situazione psicologica di minorità della persona a cui è rivolta, è di per sé contraria a quella proibizione assoluta, che non ammette deroghe. Dunque conviene rinunciare alla legge e attendere tempi migliori. Ma, quando interessi di alleanze e gruppi prendono il sopravvento sui valori fondamentali, tutti dovremmo fermarci un attimo a riflettere. Perché tutti stiamo perdendo qualcosa."

40. Ad essere più corretti esiste la previsione (leggi, vigore formale) del garante nazionale dei diritti ('forti') dei cittadini liberi. Tale norma, a più di dieci anni dalla sua entrata in vigore non ha ancora trovato attuazione e regolamentazione.

41. G.Polo, Un mondo di paura, editoriale del quotidiano Il Manifesto, 7 settembre 2004. La politica della (in)sicurezza oggetto di questo editoriale è (soprattutto) quella internazionale. Ciò nonostante, si riportano, di seguito, i tratti salienti dell'articolo poiché delineano le fonti primarie della politica dell'emergenza criminale, internazionale e non. Si ricorda, inoltre, che l'articolo è stato pubblicato subito dopo i drammatici eventi della carneficina 'asilo di Beslan "La politica della paura governa il mondo. [...]. Chi sequestra e uccide centinaia di bambini non vuole raccogliere consenso alla propria «causa», pensa solo che spaventando il nemico la sua follia avrà effetto. Chi distrugge una «provincia» che si proclama indipendente non vuole convincere i suoi abitanti ma semplicemente trasformarli in sudditi schiavizzati dal timore delle armi. Come, altrove nel mondo, chi viola l'habeas corpus di un individuo o il diritto internazionale: per dimostrare che conta solo la forza, sovrana assoluta perché arbitraria. E' il ritorno al premoderno, al «signore» che tutto può perché tutti spaventa. [...] E' lì che muore la politica dell'occidente democratico, nel pubblico che diventa spettatore e smette di chiedersi il perché, d'interrogarsi e dire. Fino a ieri nel fiducioso spettacolo dei trionfi del capitalismo, oggi nell'annichilente conta dei massacri. Ci è ancora permesso - come atto di difesa - di ritrarci (ma ancora per quanto?), di accendere una candela o esporre una bandiera arcobaleno: manifestare la nostra distanza. Forse non basta, perché rischiamo di diventare strumento di una nuova rimozione, quella delle cause delle nostre paure. Di quanto abbiamo fatto pagare agli altri i costi delle nostre democrazie che per questa via si sono progressivamente indebolite, di come abbiamo costruito le élite che quelle democrazie stanno distruggendo facendo dello stato di emergenza una filosofia di governo. Gli orrori ceceni o mediorientali, l'11 settembre di New York o l'11 marzo di Madrid, gli attori dei massacri, non sono alieni piombati sulla terra all'improvviso e senza ragioni: chiamano in causa noi, il nostro modello di vita, la nostra concezione del mondo, non solo perché poi ci ricadono addosso. Mettono in discussione le radici della nostra libertà, di chi pensandosi più forte si è poco curato delle libertà altrui, finendo per mettere a repentaglio le proprie. Ed è forse questa la cosa che fa più paura".

42. Non anche nei centri di detenzione per immigrati. Questo dato, come già osservato, testimonia un disinteressamento generalizzato (se non globale) nei confronti della classe debole, rectius, etnia, migrante. In Italia è da osservare che i centri di permanenza (leggi, detenzione) temporanea possono essere visitati esclusivamente da parlamentari (non anche magistrato di sorveglianza) e dai membri del CPT; opinabile, rectius, intollerabile, è il fatto che i parlamentari in visita non hanno il diritto di parlare con i ristretti. Esiste, quindi, una differenza giuridica, una discriminazione sostanziale tra ristretti comuni e ristretti in 'gabbie etniche': i primi possono interloquire con i parlamentari, pure se si fossero macchiati del 'peggiore' dei reati; i secondi, per la sola colpa di essere 'presunti' irregolari (e non assassini, stupratori, politici corrotti o altro), non hanno riconosciuta tale prerogativa. Si ribadisce, queste differenziazioni non rispondono a parametri di logica ma ad un ordine ideologico, non adempiono a quanto prescritto dal Trattato di Ginevra e dall'art. 10 della Cost.it, ma alla volontà dei vari Legislatori, italiano, portoghese e 'democratici', di attuare un controllo sociale totale si stampo post-coloniale.

43. A questo proposito il Provedor cita Condorcet, il quale sostiene che la democrazia rappresentativa deve mirare a realizzare i veri interessi del popolo, non le ipotetiche o reali opinioni dello stesso.

44. Vedi 5.1.

45. Al contrario, il Portogallo è tra i primi paesi dell'U.E. per il numero di ristretti su 100000 abitanti e per la durata media della carcerazione (vedi capitolo secondo).

46. Ad es., alcuni giudici ritengono il furto reato contro il patrimonio, altri contro la persona; ciò comporta non solo pene diverse per la stessa fattispecie, ma anche una ingiustificata discriminazione nell'ottenere benefici penitenziari e liberazione condizionale.

47. Vedi 4.2.1.

48. Dati riferiti al I semestre 2002.

49. Numerose le denuncie presentate al Provedor, concernenti l'inefficienza nella trasmissione di notizie tra i vari soggetti (tribunale, DGSP..) preposti all'esecuzione della pena. La forte burocratizzazione, la lentezza, il mancato coordinamento aumentano le situazioni di iniquità e, talvolta, comportano inutili dispendi di energia.

50. Comparabile, a grandi linee, al nostro C.S.S.A.

51. Il Provedor, a proposito di quest'ultimo dato, invita però legislatore e amministrazione a non adottare decisioni come quella di destinare un'ala del carcere di Tires a detenuti uomini; al contrario, 'suggerisce' di destinare questo padiglione al fine di migliorare le condizioni delle detenute, ad es., destinandolo alle visite intime delle stesse.

52. La motivazione di questo squilibrio, della 'enormità' del numero di donne ristrette per questo tipo di reato sono ravvisabile nell'usanza, locale ed internazionale, di 'usare' le donne come "postine" da parte delle famiglie narco trafficanti. La notizia mi è stata riferita durante una intervista (inedita) al 'Procurador' del STJ, E.M.Costa.

53. Relazione illustrativa al Progetto di Legge n.411(Istituzione del Garante dei ristretti) presentato alla Camera dei Deputati il 1 Giugno 2001 (primo firmatario on.Pisapia), citata e commentata de M.Ruotolo, Diritti dei detenuti e Costituzione, Torino, 2002, 233; nello stesso senso, F.Della Casa, intervento al Convegno "Tra custodi e custoditi"del 5/11/02, consultabile partendo dal sito A buon diritto (vedi oltre).

54. Si fa riferimento, a titolo di esempio e per la sola città di Roma, rispettivamente, all'istituzione del Garante dei ristretti locale e regionale; all'Osservatorio dell'Associazione Antigone; al Comitato 'Odio il carcere', in particolare, alle azioni di sensibilizzazione pubblica (sulla drammatica condizione delle carceri della capitale) che si svolgono da diversi anni -ad es., la festa di Capodanno avanti il carcere di Rebibbia con musica dal vivo (anche per le orecchie 'ristrette') e ('contro')informazione in diretta sull'emittente locale Radio Onda Rossa -.

55. M.Ruotolo, cit., 233.

56. Uno dei frutti di tale Osservatorio, è rappresentato dalla pubblicazione di S.Anastasia -P.Gonnella (a cura di), Inchiesta sulle carceri italiane, Roma, 2002.

57. Per approfondimenti della vicenda, si rinvia agli articoli di M.Bartocci e altri comparsi sulle pagine del quotidiano Il Manifesto nei giorni immediatamente successivi al 24 Agosto 2004.

58. La mancanza di un Garante dei ristretti in Italia è stata denunciata, a più riprese, dal CPT e dal CAT che hanno raccomandato al governo italiano di sopperire a tale lacuna contraria ad accordi internazionali ratificati (in pompa magna) dai vari governi italiani (in ultimo, nel 2002, il Protocollo addizionale della Convenzione CAT che prevede proprio l'istituzione di garanti nazionali indipendenti per la tutela dei diritti dei ristretti, affinché tali figure nazionali creino una collaborazione 'virtuosa' con il Comitato CAT.

59. Ad oggi sono stati istituiti garanti dei ristretti 'locali' nella regione Lazio, e nei comuni di Roma, Firenze e Torino. Progetti e proposte per l'istituzione del Garante sono inoltre presenti in diverse parti del paese, da Bari a Milano.

Per l'aggiornamento e per una più pregnante analisi di queste notizie, si consiglia di consultare i seguenti siti: Associazione Antigone, A buon diritto, Ristretti.

60. In Portogallo il Provedor svolge le proprie funzioni a favore dei soggetti ristretti negli istituti sopra menzionati, con esclusione dei ristretti in Centri di permanenza temporanea (!).

Parte della dottrina italiana, (F.Della Casa, cit.), sostiene, oltre l'utilità di istituire il Difensore civico a garanzia dei cittadini ristretti nei luoghi sopra menzionati, di "estendere il raggio d'azione del difensore civico ai soggetti che stanno fruendo di una misura alternativa o che sono sottoposti alla libertà vigilata. Si tratta infatti di soggetti che, godendo di una libertà attenuata e sub condicione, si trovano, a loro volta, in una situazione di particolare fragilità nei confronti degli apparati che vigilano sulla corretta esecuzione di tali misure." Sul piano comparativo, si tenga presente che un potere del genere è attribuito all'Ombudsman inglese. Al contrario, nelle proposte di legge italiana sopra menzionate, manca tale previsione.

61. Art. 6 Atto C.411; Art. 6 Atto C. 3344.

62. F.Della Casa, cit.

La sentenza della Corte Costituzionale citata, la 26/1999, dichiara l'incostituzionalità per omissione degli artt. 35 e 69 O.P. nella parte in cui tali disposizioni non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti del detenuto. Tuttavia, avendo la Corte adottato una sentenza additiva di principio, e continuando a persistere il silenzio del legislatore in merito, la tutela giurisdizionale dei diritti del ristretto in carcere continua ad essere limitata alle ipotesi previste dagli artt. 14 ter, 41 bis, n.2, 30 bis e ter, 53 bis, 69, n.6O.P., mentre resta in vita il procedimento - non giurisdizionale - de plano sui reclami 'generici' ex art. 35. Per approfondimenti sulla sentenza sopra menzionata, si rinvia a M.Ruotolo, cit., 189 ss., ivi riferimenti bibliografici.

63. F.Della Casa, cit.

64. M.Ruotolo, cit., 202.