ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Introduzione

Leonardo Bresci, 2004

Il 24 novembre del 1981 entra in vigore nel nostro ordinamento una legge (1) che aveva l'ambizione di apportare profonde modifiche al sistema punitivo allora vigente. La riforma aveva infatti l'obiettivo di razionalizzare la risposta punitiva al crimine, tendendo conto delle mutate esigenze della moderna società democratica.

La materia relativa alle conseguenze giuridiche del reato trova la sua disciplina originaria nel codice penale emanato nel 1930. I mutamenti della società rispetto a quell'epoca, segnati anche dall'entrata in vigore della Costituzione, rendeva urgente una rivisitazione del diritto punitivo non più rispondente alla coscienza collettiva moderna. Da tempo, infatti, l'invadenza del diritto penale nella repressione delle condotte illecite e il ricorso indifferenziato al carcere quale conseguente strumento di difesa, appariva all'opinione pubblica sempre meno giustificato.

Il legislatore consapevole dell'evoluzione della società moderna e dei valori da essa espressi, si proponeva dunque di posare le basi per una nuova politica criminale (2), volta a superare "la vecchia ideologia di un intervento penale indifferenziato ed eccessivamente rigido e diffuso" (3).

A tal proposito la legge si articola in tre parti essenziali (4) che riguardano la depenalizzazione, l'estensione delle ipotesi di reato perseguibili a querela e l'introduzione di sanzioni sostitutive alla detenzione. I primi due tipi d'interventi miravano chiaramente a realizzare un diritto penale minimo attraverso l'ampliamento dell'area dell'illecito amministrativo ed il rafforzamento della tutela penale solo su richiesta di parte.

La terza strategia di intervento si proponeva, invece, di introdurre misure alternative al carcere, laddove i fatti illeciti rimanevano sì penalmente sanzionati, ma si presentavano di una entità tale da non giustificare il ricorso alla detenzione.

Oggetto di questa tesi sono proprio le sanzioni sostitutive alle quali il legislatore del 1981 si affidava per eliminare gli effetti negativi della prigione, quantomeno con riferimento a quei reati rispetto ai quali l'esigenza retributiva può essere conseguita anche con misure meno afflittive del carcere. Del resto molti studi sociologici avevano posto l'accento sulle pericolose conseguenze del carcere, in particolare quando la privazione della libertà colpisce coloro che hanno già intessuto relazioni sociali nell'ambito della comunità. L'idea di pensare a nuove pene capaci di non desocializzare, ossia di conservare quei presupposti necessari alla vita sociale dell'individuo, farebbe pensare ad un ulteriore passo verso l'attuazione del principio costituzionale sancito all'art. 27, terzo comma della Costituzione: la pena deve tendere alla rieducazione del reo.

In materia, la fondamentale legge nº 354 del 1975 ha pervaso la "teoria dell'esecuzione della pena" del principio risocializzativo attraverso l'introduzione delle misure alternative. Così potremmo essere tentati a vedere nella legge 689 del 1981 un ulteriore passo verso il rafforzamento del questo principio costituzionale, nel senso di considerare il valore della risocializzazione non solo durante l'esecuzione della pena, ma anche nel momento precedente della predisposizione e applicazione degli strumenti repressivi.

Intento di questa tesi è spiegare quali siano stati gli esiti di questa riforma a distanza di ventitré anni dall'emanazione della legge, al fine poi di valutare la necessità di un rinnovamento della materia o, all'opposto, un suo rafforzamento (5).

Nel primo capitolo descriveremo, in breve, la genesi del movimento internazionale di riforma e le varie risposte che gli ordinamenti europei hanno dato al problema della detenzione di breve durata. Questo servirà per dare un termine di raffronto alla normativa in esame.

Affronteremo poi, nel secondo capitolo, gli aspetti normativi contenuti nel capo III della legge, cercando di mostrare gli eventuali problemi teorici e le aporie presenti nella disciplina delle sanzioni sostitutive.

Nel capitolo conclusivo guarderemo invece agli aspetti pratici della disciplina nel nostro sistema penale. Dopo aver tentato di "fotografare" per quanto possibile l'ambito applicativo delle sanzioni sostitutive e cercato di capire l'atteggiamento degli operatori pratici rispetto alle nuove sanzioni (e ai problemi da esse posti), avanzeremo alcune considerazioni di politica criminale circa la validità della normativa oggetto di studio.

Un discorso a parte sarà riservato alla materia della pena pecuniaria, peraltro modificata dal capo V della legge del 1981, in quanto la comprensione e il superamento delle problematiche che ruotano attorno a tale istituto sono di importanza fondamentale per il successo di una politica criminale diretta alla eliminazione del carcere di breve durata.

Abbiamo escluso dalla trattazione la sanzione sostitutiva dell'espulsione introdotta nel nostro ordinamento dalla Legge sull'immigrazione nel 1998 (6), poiché la sua previsione è dettata da ragioni sostanzialmente diverse rispetto a quelle che spinsero il legislatore alla riforma del 1981. Alla radice di questa "nuova" sanzione sostitutiva non c'è l'esigenza di evitare gli effetti negativi del carcere (7), ma la preoccupazione di arginare il fenomeno dell'immigrazione clandestina che, specialmente nell'attuale momento storico, caratterizza la vita politica del nostro paese.

L'espulsione come pena sostitutiva esorbita dunque dalla tematica di questa tesi, in quanto si pone come una sorta di strumento ad hoc per fronteggiare un fenomeno sociale in rapida espansione.

Tale considerazione ha peraltro un'immediata conferma dall'intero assetto normativo della legge sull'immigrazione. Non solo l'espulsione è prevista come misura sostitutiva e alternativa, ma è prevista anche una rigida disciplina dell'espulsione amministrativa la cui attuazione è presidiata da precisi strumenti di natura penale. Non è questa la sede per affrontare la materia nella sua interezza, basti qui la considerazione che lo spirito della legge è tutto rivolto all'allontanamento dei cittadini extracomunitari senza un regolare permesso di soggiorno.

Note

1. V. in G. U. 30 novembre 1981, nº 389.

2. Lo stesso legislatore del 1981 si rendeva conto della non sufficienza di tale intervento quando, durante i lavori preparatori, dichiarava che di fronte "all'impossibilità di attuare in tempi brevi una riforma globale del codice penale, è indispensabile proporre un progetto di misure immediate che serva a fronteggiare le più gravi disfunzioni del sistema in modo efficace e coerente", v. disegno di legge nº 1799 18 ottobre 1977, in Atti Parlamentari della Camera dei Deputati, VII legislatura, 1978, p. 2.

3. C.f.r. disegno di legge nº 363 del 17 luglio 1979, in Atti Parlamentari della Camera dei Deputati, VIII legislatura, 1980, p. 1.

4. In realtà esistono altre due parti della legge che riguardano rispettivamente l'aggravamento sanzionatorio di alcune fattispecie di reato e le pene accessorie.

5. Rafforzamento peraltro attuato dalla recentissima legge 12 giugno 2003, nº 134 con cui è stato notevolmente ampliato l'ambito applicativo delle pene sostitutive.

6. La materia è disciplinata dal "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero" (D.lvo 25 luglio 1998, n. 286), successivamente modificato dalla L. 30 luglio 2002, nº 189 (Modifiche in materia di immigrazione e di asilo) e dalla L. 9 ottobre 2002, nº 222 (Disposizione in materia di regolarizzazione, la cosiddetta sanatoria).

7. Anche se non mancano posizioni che ritengono, del tutto demagogicamente, l'opportunità dell'espulsione perché idonea a sottrarre al carcere una vasta fascia di criminali (irregolari) nei confronti dei quali rimane di fatto esclusa l'applicazione degli altri sostitutivi.