ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Introduzione

Stefania Menicali, 2003

Antica quanto la specie umana, la convivenza con gli animali ha attraversato nel tempo fasi diverse. Dal semplice rapporto di mutua predazione della preistoria, si è passati all'interazione vera e propria con l'addomesticamento e lo sfruttamento degli animali a fini alimentari e di reddito e, in tempi più recenti, con l'instaurarsi di rapporti affettivi e di compagnia. La situazione non è identica in tutti i paesi e dipende da fattori socioculturali che identificano le diverse comunità umane. Il pensiero occidentale non è mai stato particolarmente benevolo verso gli animali, visti quasi sempre come creature poste al servizio dell'uomo. Si può dire che fino a pochi anni fa la visione antropocentrica del mondo era quasi universalmente accettata, anche se, già nell'antichità, si sono fatte sentire voci di dissenso a questa impostazione, come quelle di Pitagora e Plutarco. A questa visione si oppose anche Kant, il quale, pur non riconoscendo agli animali diritti derivanti dalla loro condizione di esseri viventi e senzienti, riteneva che l'uomo dovesse rispettarli perché la crudeltà nei loro confronti predisponeva ad analogo comportamento verso i nostri simili. Solo alla fine del 1700 il filosofo utilitarista Jeremy Bentham, con la sua celebre asserzione riferita ai non umani: "Il problema non è 'possono ragionare?', né 'possono parlare?', ma: 'possono soffrire?'", pose le basi per il riconoscimento dei diritti animali.

Il carattere spiccatamente antropocentrico della cultura occidentale si è accentuato intorno al 1600, in coincidenza della nascita della scienza moderna. Con Galileo si è abbandonata la "cultura delle qualità" di matrice aristotelica (1), a vantaggio di una conoscenza di tipo quantitativo, per la quale il mondo è conoscibile dall'uomo non in virtù dei suoi sensi ma attraverso l'applicazione di modelli matematici al mondo fisico. L'uomo, in quanto essere razionale, deve fare esperimenti utilizzando come laboratorio il mondo stesso: in quest'ottica gli oggetti che compongono il pianeta sono necessariamente molto distanti dal soggetto conoscente. Tale visione meccanicistica della vita si è allargata anche alle scienze mediche, esplicitata attraverso il ricorso alla metodologia sperimentale come tecnica di comprensione e studio delle malattie umane. Alla base della visione meccanicista o riduzionista della vita c'è il convincimento che per comprendere qualsiasi fenomeno è sufficiente scomporne le parti, studiarle singolarmente e, infine, relazionare i risultati ottenuti, ricorrendo a formule matematiche. Ciò ha implicato la costruzione di un modello sul quale condurre le ricerche: essendo eticamente improponibile utilizzare l'uomo, gli scienziati si sono "rifugiati" negli animali. Sicuramente, il ricercatore più citato quando si tratta dell'uso degli animali nella ricerca è il francese, Claude Bernard (1813-1878), fisiologo di laboratorio, che a metà del XIX secolo convinse la comunità scientifica che la ricerca medica era una scienza esatta come la matematica e che, respingendo l'idea che l'ambiente potesse avere la minima influenza sull'organismo, qualsiasi conquista in campo medico sarebbe stata imminente. Muovendo da tali premesse, asserì che una malattia non riproducibile negli animali non poteva esistere sull'uomo. In sintesi: colui il quale è, unanimemente, riconosciuto come il padre della moderna vivisezione imperniò le sue ricerche studiando gli animali con lo stesso metodo usato per la materia inerte. Successivamente, però, Bernard si ravvide, convincendosi che gli esseri viventi sono sensibilmente influenzati dal contesto spazio temporale in cui vivono e consegnandoci la conseguenza di questo mutamento di idea in un'opera postuma, Principes de Médicine Expérimentale, nella quale il grande scienziato profetizza la vivisezione sugli esseri umani.

Agli inizi degli anni settanta, sulla spinta del celebre libro dell'utilitarista Peter Singer, Animal Liberation, cominciò ad organizzarsi un vero e proprio movimento per la liberazione degli animali che, teso a contrastare il concetto di "specismo" posto alla base dei movimenti protezionistici del diciannovesimo secolo, riconobbe i non umani portatori di interessi (primo tra tutti quello a non soffrire), da tenere in equa considerazione rispetto agli analoghi umani. In altre parole e in relazione all'oggetto di questa tesi, se proprio si deve procedere ad esperimenti scientifici ciò che deve guidare i ricercatori nella scelta del modello sperimentale (uomo o animale) non è l'appartenenza o meno alla specie umana, quanto un valido motivo che giustifichi il sacrificio del desiderio di non soffrire. Attenzione: il movimento di liberazione animale non afferma che tutte le vite hanno eguale valore e che si deve dare ugual peso ad ogni interesse, animale o umano; asserisce, viceversa, che qualora uomini e animali abbiano interessi simili (come il desiderio di evitare il dolore fisico) devono essere considerati con equità, senza procedere all'automatica discriminazione dell'essere vivente non umano.

Anche nel nostro paese, nel XIX secolo e fino agli anni '60 di quello appena concluso, l'atteggiamento predominante della popolazione nei confronti dell'animale era di contrapposizione o al più di semplice tolleranza. Le relazioni tra l'uomo e gli animali erano essenzialmente determinate dall'utilità o dalla dannosità di questi ultimi, valutate sulla base di criteri costo-beneficio e condizionate a volte anche da credenze e pregiudizi.

La legislazione in materia era conseguentemente elaborata considerando l'attitudine degli animali a fornire un servizio utile o la loro responsabilità nell'arrecare danni. Le cose cominciarono a cambiare, in seguito all'introduzione del concetto di "benessere animale" che portò, in un paio di decenni, alla nascita della scienza del benessere animale. Essa ha un significato non solo di ordine etico ma riveste, nella pratica, una funzione utilitaristica. In altre parole, il benessere degli animali si dimostra elemento essenziale non solo per ottenere condizioni ottimali di convivenza con gli stessi, ma anche per trarre il massimo vantaggio da tale convivenza, sia nel caso di animali da affezione che da reddito.

L'insieme degli aspetti, positivi e negativi, della convivenza uomo-animale sono oggetto specifico delle attività della Sanità Pubblica Veterinaria definita, a Giulianova, in occasione della riunione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità tenuta nel 1999 come "il contributo al completo benessere fisico, mentale e sociale delle persone attraverso la conoscenza e l'applicazione della scienza medica veterinaria". Per dirla più semplicemente potremmo considerarla come l'insieme degli interventi che popolazione e Amministrazioni si aspettano dai servizi veterinari pubblici, per risolvere i problemi legati agli animali ed assicurarne il benessere, anche se con prevalente interesse alla salute umana.

I compiti ufficiali di un veterinario che lavora in una Azienda Sanitaria Locale sono definiti da molte norme; fondamentale è il Regolamento di polizia veterinaria (D.P.R. 8 febbraio 1954 n. 320 e relativi aggiornamenti), a cui vanno aggiunte le numerose leggi sugli animali, dalla n. 281 del 1991 sulla gestione di animali d'affezione e sul controllo del randagismo canino (2) al Decreto Legislativo n. 116 del 1992 sulla protezione degli animali utilizzati nei laboratori per le sperimentazioni a fini sperimentali o ad altri fini scientifici, che affida alle competenze del veterinario tutte le decisioni in materia di salute, mantenimento in vita o soppressione relativamente agli animali stabulati.

Viceversa, esistono culture che, invece di porre l'accento sulla preminenza dell'uomo, da sempre considerano quest'ultimo come un individuo, una specie fra le specie, in una visione solidaristica. In questo senso, ad esempio, l'eredità della civiltà indiana che per lunghi millenni ha avversato ogni idea che ponesse l'uomo al centro delle cose giustificandolo come dominatore della natura. La posizione di fondo dell'Induismo è che l'uomo non può agire violentemente nei confronti degli esseri viventi, di qualunque specie essi siano, arrivando ad estremi per noi quasi fantascientifici. Ad esempio, gli aderenti alla setta dei genu tengono davanti alla bocca una pezzuola, una specie di garza, per evitare che anche i microbi che vagano nell'aria possano essere distrutti attraverso la respirazione, ingeriti nella bocca dell'uomo; oppure portano dei campanelli ai piedi per avvisare i piccoli esseri che camminano sul suolo che è in arrivo questo piedone che potrebbe schiacciarli.

Al pari del generale rapporto uomo-animale, il problema della vivisezione non è separabile dal contesto in cui sorge. Tale termine comprende varie tipologie di atti: da quelli operatori su animali vivi, privi di finalità terapeutiche ma tesi allo sviluppo delle scienze biologiche, o a integrare l'attività didattica o l'addestramento a particolari tecniche chirurgiche, ovvero, più raramente, a fornire responsi diagnostici (cosiddetta "vivisezione in senso stretto"); a quegli atti, non necessariamente cruenti, che inducono lesioni o alterazioni anatomiche e funzionali (ed eventualmente la morte) negli animali di laboratorio, come ustioni, inoculazione di sostanze chimiche, esposizione a gas tossici o ad altre energie (radiante, elettrica, di altra natura), soffocamento, annegamento, traumi vari (cosiddetta "vivisezione in senso lato"). La sperimentazione sugli animali, globalmente intesa, è stata affrontata nel secondo capitolo di questo lavoro dove si è cercato di offrire un quadro il più possibile esaustivo della materia. Particolare attenzione è stata dedicata agli aspetti legislativi e tecnico-procedurali, cercando di differenziarli in base ai campi di applicazione. Per ognuno di questi (ricerca biomedica, tossicologia, cosmetologia, chirurgia, didattica, psicologia, etc.) sono stati passati in rassegna i principali test che vedono coinvolti gli animali, dedicando peculiare attenzione al settore della ricerca biomedica e a quello tossicologico. Non sono mancati cenni alle metodologie alternative alla sperimentazione sugli animali, delle quali si è descritto l'iter e il procedimento di validazione.

Un cenno particolare merita la visita allo "stabilimento utilizzatore unico di Ateneo" che, come descritto nel paragrafo 2.5.5, è stata possibile grazie alla collaborazione della dottoressa Maria Grazia Giovannini, ricercatrice presso il dipartimento di Farmacologia Preclinica e Clinica dell'Università degli Studi di Firenze, nonché direttore tecnico del "Centro per i servizi di stabulazione degli animali da laboratorio" (Ce.S.A.L.), costituito nel 2000, al fine, tra gli altri, di coordinare i ricercatori dei vari dipartimenti dell'ateneo fiorentino che accedono alla struttura. L'esperienza pratica avrebbe dovuto consentirmi di verificare la rispondenza della struttura alle prescrizioni poste dall'articolo 5 e relativo allegato 2 del Decreto Legislativo n. 116 del 1992, di recepimento della direttiva comunitaria 86/609/CEE, entrambi relativi alla protezione degli animali utilizzati a scopi sperimentali e ad altri fini scientifici. In realtà, come è facile intuire, le mie scarse conoscenze tecniche e la rapidità della visita allo stabulario mi hanno impedito qualsiasi verifica concreta, prendendo quindi per buono quanto riferito dal mio cicerone. Posso, però, affermare con certezza che l'impressione è stata molto positiva. La parte di stabilimento che ho potuto visitare si presenta come un ambiente silenzioso e ordinato. Gli animali trattati o operati sono ospitati in un'apposita ala dell'edificio, separati da quelli integri. In generale, sono allocati in gabbie metalliche, poste in varie stanze. Il numero delle gabbie collocate in ciascuna stanza varia a seconda delle dimensioni della specie ospitata; ad esempio, nel caso dei conigli, che sono gli animali di stazza maggiore tra quelli ospitati nello stabilimento, ogni stanza ne ospita circa venti: uno per gabbia.

Nel terzo capitolo si è cercato di dar voce agli operatori del settore, distinguendoli in due grandi categorie: i vivisezionisti e gli abolizionisti (ripartiti, a loro volta, in "abolizionisti etici" e "abolizionisti scientifici"). I primi sostengono la necessarietà della sperimentazione animale, tacciando gli oppositori di sentimentalismo; laddove secondo gli abolizionisti, segnatamente scientifici, la sperimentazione animale, al pari della logica sottostante, rappresenta un errore metodologico e, quindi, un metodo non scientifico, basato sull'assurda presunzione di poter validamente estrapolare i risultati ottenuti con gli animali all'uomo, sulla base della somiglianza della nostra specie a quella dei topi o delle scimmie.

In sintesi, il presente lavoro muove dall'idea di diffondere non tanto notizie o informazioni quanto di stimolare il lettore a sviluppare o raffinare un atteggiamento aperto, curioso e critico sull'utilizzo dell'animale nella ricerca. In altre sedi e con altri mezzi si potranno approfondire le conoscenze: l'importante è che alla base vi sia la capacità ma soprattutto la voglia di interrogarsi sui perché che muovono le scelte dei ricercatori.

Vorrei, infine, precisare che il materiale di riferimento per il presente lavoro proviene, quasi esclusivamente, da interviste e opinioni comunque divulgate dagli specialisti del settore, coloro i quali offrono le proprie energie alla ricerca biomedica e biotecnologica. Fanno eccezione alcuni scrittiutilizzati come fonte per la parte storico-descrittiva del fenomeno analizzato. Le ragioni di tale scelta si basano sul fatto che la voce della scienza è certamente più affidabile e intellettualmente più consapevole delle voci incontrollate e dogmatiche che, fuori di ogni rilevanza scientifica, pretendono di affermare "verità" basate esclusivamente sull'emotività irrazionale.

Note

1. Per Aristotele e le filosofie che alle sue tesi si richiamano, la conoscenza del mondo è la conoscenza che l'uomo accumula attraverso i sensi.

2. Questa legge è stata il pretesto per la costituzione obbligatoria dell'anagrafe canina, la creazione di canili e gattili sanitari, l'istituzione di Uffici per i Diritti degli Animali, l'ufficializzazione della figura del "gattaro". Tra le disposizioni della legge n. 281 del ferragosto del 1991 particolarmente interessante ai fini di questo lavoro è la proibizione di utilizzare per la sperimentazione i cani accalappiati. Infatti, prima di questa legge, i cani trovati "vaganti" venivano accalappiati, portati al canile e, dopo tre giorni, se il padrone non passava a prenderli, uccisi o ceduti ai laboratori di vivisezione (una descrizione di ciò si trova in C. Malaparte, La pelle, Aria d'Italia, Roma-Milano 1949, pp. 203-210: l'autore perde il cane e, dopo un'affannosa ricerca, lo ritrova, insieme a molti altri, in un laboratorio, vivisezionato e con le corde vocali recise). I gatti, meno richiesti dai laboratori di vivisezione, venivano, solitamente, giustiziati in massa.