ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Cap. III Opinioni a confronto

Stefania Menicali, 2003

3.1 Osservazioni introduttive

In questo capitolo vorrei affrontare la questione della validità ed opportunità della sperimentazione scientifica sugli animali. Le domande intorno alle quali può essere incentrata la discussione sono:

  • La sperimentazione sull'animale è necessaria e insostituibile oppure esistono modalità realmente alternative di ricerca?
  • Nel caso di prodotti destinati all'uomo, la trasposizione a quest'ultimo dei risultati ricavati attraverso la sperimentazione sull'animale è automatica o soggetta a riserve, ovvero potrebbe riuscire anche fallace?
  • Con quali avvertenze deve essere condotta la sperimentazione animale?

Occorre premettere che il punto di partenza per qualsiasi confronto sul tema è il riconoscimento della validità scientifica della metodologia sperimentale sul modello animale. Più precisamente, la validità scientifica del ricorso alla sperimentazione sugli animali è elemento pregiudiziale a qualsiasi ragionamento etico. Nel capitolo precedente è stata descritta la cosiddetta "sperimentazione preclinica" nei suoi aspetti principali (legislativo, tecnico-procedurale), dando per presupposta la validità scientifica del metodo.

La mancanza di nozioni scientifiche, anche di base, non mi consente di prendere posizione in merito alla scientificità o meno della pratica sperimentale. Riferirò, pertanto, le opinioni dei tecnici del settore (medici, biologi e ricercatori in genere), al fine di ricomporre le diverse argomentazioni, precisando che sul tema si scontrano due visioni nettamente antitetiche: quella di coloro che credono lo studio sugli animali un presupposto ineliminabile della sperimentazione clinica, sostenendone con vigore la validità scientifica; e l'opinione dei cosiddetti "antivivisezionisti", che ritengono la sperimentazione animale metodologicamente scorretta dal punto di vista scientifico (e quindi dannosa per l'uomo), dichiarando fuori luogo ogni discussione circa il profilo etico della questione. Tutto ciò premesso, la questione della validità-opportunità della sperimentazione sugli animali può essere analizzata da due punti di vista: 1) etico; 2) scientifico.

3.2 Le ragioni etiche della sperimentazione animale

L'approccio etico al tema della sperimentazione animale trova spazio solo laddove (e solo dopo) sia stata dimostrata e accettata la validità scientifica del metodo sperimentale su modelli animali. È, infatti, comprensibile che ove quest'ultima venga confutata, il ricorso alla sperimentazione animale vada abbandonato, in quanto inutile per la scienza e dannoso per l'uomo; non residuando, conseguentemente, alcun presupposto per eventuali giustificazioni etiche.

Ciò premesso, la particolare attenzione rivolta da qualche decennio alla questione della sperimentazione sugli animali, oltre ad essere il risultato del recupero (o della scoperta) di una cultura del rispetto che impone un atteggiamento maggiormente rispettoso della specie umana nei confronti delle altre specie, accompagnato dalla crescente consapevolezza nell'ambito delle varie scienze, dei problemi etici connessi alla ricerca scientifica; l'approccio etico alla vivisezione, muove dalla relazione affermata da numerosi scienziati tra l'acquisizione di conoscenza e una qualche sofferenza inflitta ad animali che impone di interrogarsi se, nel bilanciamento tra i valori in gioco, questo "scambio" sia lecito; Uno dei nodi cruciali da cui trae origine la bioetica sembra essere la tensione tra il fattibile e il faciendum, tra possibilità tecnica e liceità etica. L'affermazione del principio della libertà della ricerca deve coesistere con quello di una "scienza con coscienza" (1), non potendo eludere gli interrogativi etici che la ricerca pone.

Tra i quesiti etici posti dalla sperimentazione sugli animali risaltano: 1) il problema dei limiti posti a tale pratica; 2) la questione della sua intrinseca liceità. Il concetto di "limite" trova spazio solo all'interno di un discorso che presuppone la liceità (anche da un punto di vista morale) della sperimentazione, intendendo regolarla attraverso direttive e criteri laddove il problema della "intrinseca liceità" pone in discussione proprio la validità e le ragioni dei presupposti su cui detta pratica si fonda. In altre parole: nel primo caso ci si domanda quali sono i limiti cui lo sperimentatore deve attenersi, quali doveri deve osservare nello svolgimento della sua attività e quali misure deve adottare al fine di evitare inutili sofferenze ai soggetti coinvolti. La seconda prospettiva invita a domandarci se esista il diritto di interferire sul vivente, qualora ciò risulti vantaggioso per l'uomo e, segnatamente, se (e fino a che punto) l'uomo ha il diritto di disporre della vita e dell'integrità dei non umani (2).

Partendo da quest'ultima prospettiva, per mettere in discussione la liceità etica di fare ai non umani ciò che non faremmo mai agli umani, è pregiudiziale riconoscere ai primi uno status morale a cui ricondurre interessi o diritti meritevoli di considerazione. La questione, affrontata nel primo capitolo di questo lavoro, può essere brevemente riassunta ricordando le principali teorie filosofiche elaborate a sostegno della cosiddetta "etica della liberazone animale". Le differenti proposte muovono dall'esigenza di applicare il postulato di eguaglianza, pacificamente ritenuto valido nei rapporti tra gli uomini, anche ai non appartenenti alla nostra specie, con ciò richiamandosi, più precisamente, a differenze di grado. Con maggior precisione, si ha una "differenza di specie" tra due esseri quando solo uno di essi è dotato di una determinata proprietà; viceversa, laddove entrambi condividano le stesse proprietà o capacità, sia pure in misura diversa, si parla di "differenze di grado" (3).

Il postulato di eguaglianza, per Tom Regan, si fonderebbe sul riconoscimento di diritti in capo ad alcuni animali non umani (parallelamente a quanto avviene per gli handicappati umani (4)) valevoli di per sé, indipendentemente dalle conseguenze che il loro mancato rispetto può provocare, in quanto "l'ingiustizia di una pratica non può essere compensata da alcun beneficio" (5). Per Singer (autore, come ricordato, del celebre libro Animal Liberation che ha dato avvio al movimento di liberazione, attraverso l'allargamento dei nostri orizzonti morali) va riconosciuta una "eguaglianza tra interessi" umani e animali, sulla base del comune carattere di esseri senzienti. In quest'ottica tipicamente utilitarista, i suddetti interessi non valgono di per sé ma solo in quanto, in seguito ad una accurata analisi di costi-benefici, sia possibile esprimere un giudizio di condanna (6).

Accanto all'etica di liberazione animale si sono venuti delineando approcci che, giudicando eticamente lecito lo sfruttamento degli animali da parte dell'uomo, mirano a regolarne il trattamento, attraverso la predisposizione di un codice etico. Si parla in proposito di "etica della responsabilità" che, in linea generale, discute il valore delle varie forme di vita organica, al fine di pervenire ad una visione globale che consenta di bilanciare adeguatamente i doveri che l'uomo ha verso i suoi simili, verso gli animali e verso la natura.

Estendere gli interrogativi concernenti la giustizia e l'equità dal campo della società umana alla dimensione più generale dell'ecosistema, vuol dire porre il problema di garantire che gli interessi degli animali siano presi in seria considerazione e che questi ultimi non vengano trattati come mezzi per fini umani. Possiamo chiederci cosa significa "prendere in seria considerazione gli interessi degli animali". In linea di massima, quando ci si trova di fronte ad interessi tra loro confliggenti (in questo caso il conflitto è tra interessi umani e interessi animali), la scelta su quale tra essi sacrificare è guidata dalla considerazione di due parametri il livello degli interessi (vitali, non vitali, etc.); l'articolazione psicologica degli esseri in questione (al fine di favorire l'organismo psichicamente più dotato in quanto ritenuto maggiormente capace di provare dolore cosciente). Ciò posto, secondo l'"etica della responsabilità", dalla combinazione dei suddetti parametri, scaturiscono due principi di giustizia: 1) un interesse fondamentale di una specie può essere disatteso e sacrificato solo per salvaguardare un altro interesse altrettanto fondamentale di un'altra specie che, complessivamente, presenti, nella scala evolutiva, delle qualità di grado superiore; 2) l'interesse vitale di una specie (o di un suo membro) non deve essere sacrificato in favore di un interesse non vitale di un'altra specie o di un suo membro (come nel caso di uccisione di animali per divertimento, a scopi sportivi, voluttuari, etc.). In sintesi: chi è favorevole all'impiego degli animali nella ricerca ha una scala di priorità e valuta che gli uomini vengono prima degli animali anche se questo non vuol dire che consideri gli animali immeritevoli di dignità, cure e attenzioni.

È ovvio e naturale che la medicina ponga nella sua scala di priorità al primo posto la lotta alla sofferenza dell'uomo, e solo dopo, la lotta alla sofferenza degli animali. (...) Gli animalisti affermano che giustificare la sofferenza animale per combattere la sofferenza umana è sbagliato: chi si batte contro l'impiego degli animali nella ricerca biomedica mette perciò sullo stesso piano, e valuta uomini e animali degni del medesimo rispetto e della medesima attenzione. Per chi invece è votato "istituzionalmente" alla difesa dei deboli e dei sofferenti (degli uomini deboli e sofferenti), un miserabile handicappato, sofferente e derelitto, vale molto di più di qualunque cane, gatto o topo che la ricerca può aver sacrificato per ottenere il farmaco da somministrare a quel poveretto. (...) A volte le priorità costringono a scelte dolorose, forse moralmente deplorevoli, ma eticamente giustificabili (7).

Il messaggio che personalmente ricavo dall'opinione su riportata è che quando si fa della ricerca biomedica e ci si trova a fronteggiare lo sfruttamento o la sofferenza degli animali impiegati negli esperimenti, bisogna sempre ricordare che a fronte di quello sfruttamento c'è tutto il dolore di uomini malati che quella ricerca permetterà di risparmiare.

La giustificazione-tipo alla pratica sperimentale, sottoscritta dai cosiddetti "vivisezionisti", ha la seguente forma:

Esiste, certo, un ordine degli esseri, ma ciascuno è un ingranaggio di un grande meccanismo e contribuisce alla realizzazione della generale armonia. È la natura stessa che ci ha plasmati per quello che siamo e tutto quello che succederà nel prossimo futuro sarà il risultato di un processo naturale (8).

Per gran parte della popolazione mondiale, quello su cui discutere è come fare per non distruggere l'ecosistema con uno sfruttamento indiscriminato e selvaggio e quindi raccogliere le conoscenze necessarie per sfruttare al meglio l'ambiente, e non se sia lecito o meno sfruttare per i propri interessi animali e piante. E dunque, se dal punto di vista etico, si afferma la preminenza delle esigenze umane rispetto a quelle degli altri esseri viventi, non c'è ragione per non giustificare l'uso della natura ai nostri scopi. Conseguentemente, se si considera lecito sfruttare piante e animali per mangiare, per vestirsi, per difendersi, etc., perché non dovrebbe considerarsi parimenti lecito lo sfruttamento degli animali per aumentare la conoscenza scientifica e, quindi, trovare mezzi migliori per curare i nostri simili? La Natura ha dato all'uomo (ma solo a lui?) l'intelligenza, la curiosità di conoscere e le capacità per sfruttare questa conoscenza a proprio vantaggio;

la sperimentazione animale non è che un aspetto della ricerca scientifica, che a sua volta altro non è se non la strategia vincente che l'evoluzione ci ha messo a disposizione per l'affermazione della nostra specie (9).

In quest'ottica spiccatamente antropocentrica, è da ritenenersi che l'impiego degli animali nella ricerca scientifica non è che uno dei mezzi che la nostra specie ha a disposizione per assicurare la sopravvivenza degli individui. Ma se anteporre gli uomini agli animali non vuol dire considerare questi ultimi immeritevoli di dignità, cure e attenzioni, possiamo chiederci cosa spinge l'uomo a tante cure e attenzioni: il ritenersi un essere intelligente, ovvero superiore, e perciò anche moralmente obbligato a determinati atteggiamenti verso esseri inferiori; o l'aver scoperto che l'animalità è una condizione e non tanto un fatto di natura? Nel primo caso, i valori etici fanno riferimento, da un punto di vista utilitaristico, a un bene superiore, per cui è eticamente corretto il sacrificio di un singolo per il vantaggio di molti. Quella parte di scienziati che dichiara insostituibile la sperimentazione animale (soprattutto nel campo della ricerca biomedica e tossicologica), valuta che i benefici apportati dalla ricerca animale siano di gran lunga superiori al sacrificio degli animali impiegati a tal scopo; aggiungendo che

visto che l'uomo, creatura intelligente e consapevole, è comunque sensibile alla sofferenza animale, è lecito che si ponga dubbi morali sulla sperimentazione animale, ed è comprensibile che si adoperi per diminuire, per quanto possibile, il carico di "sofferenza" che scarica sul mondo globalmente inteso (animali sottoposti a vivisezione compresi) (10).

3.2.1 Verso un'animalizzazione dell'uomo

L'approccio che considera l'animalità una condizione e non un fatto di natura si è venuto progressivamente sviluppando, soprattutto in seguito all'esperienza nazista. Separati dalla storia, uomini e animali si sono trovati uniti in quella che potremmo chiamare l'anti-storia: gli umani sono stati posti in una situazione di bestie, perché considerati tali da un'intera collettività. Tutta l'industria della morte, messa in opera da sempre ai danni dei "non umani", è stata, infatti, applicata nella sua forma tecnologicamente più sofisticata agli uomini (11). Da qui la scoperta che l'animalità è - come anticipato nel paragrafo precedente - una condizione e non un fatto di natura, al pari dell'umanità che, appunto in quanto condizione, deve essere riconosciuta. Pochi (12) sarebbero oggi capaci di affermare che esiste, dopo Auschwitz, una "natura umana" il cui possesso assicuri il tranquillo godimento dei diritti: il diritto di essere trattati come umani potendo venir revocato da un momento all'altro. Sappiamo ormai che cosa significa essere trattati, sfruttati, uccisi come animali. Quali dunque le implicazioni sul piano etico dell'animalizzazione dell'uomo? L'enormità dell'esperienza nazista può considerarsi, a mio parere, un fattore determinante nell'attivazione di una presa di coscienza, di una rinnovata visione morale e questo secondo un duplice percorso: la trasformazione degli uomini in bestie ha sollecitato, da un lato, un atteggiamento intransigente di prevenzione e denuncia verso tutto ciò che potrebbe condurre a relegare gruppi umani al rango di animali; dall'altro, ha fatto maturare una crescente sensibilità per i problemi dei non umani, accomunati a noi innanzitutto dalla capacità di soffrire. Infatti, se con riferimento alla razionalità, all'autocoscienza o all'anima, si può discutere se esista uno scarto realmente incolmabile tra l'uomo e tutti gli altri animali, per quanto riguarda la capacità di soffrire e provare piacere, la somiglianza tra l'uomo e, quantomeno, i mammiferi, è evidente (13).

3.3 Il movimento antivivisezionista

Prima di dettagliare le motivazioni scientifiche che, da una parte giustificano, dall'altra dichiarano improponibile la sperimentazione sugli animali, sono necessarie alcune informazioni sulle parti in contesa. Per quanto riguarda i sostenitori delle pratiche vivisettorie, rinvio alle dichiarazioni dei biomedici riportate nei capitoli precedenti, ritenendole idonee a presentare la categoria. Spenderò, viceversa, qualche parola sugli oppositori cosiddetti "antivivisezionisti", precisando fin da ora che si distinguono in "abolizionisti etici" e "abolizionisti scientifici". Questi ultimi aderiscono, solitamente, ai comitati scientifici antivivisezionisti per i quali la sperimentazione sugli animali è un errore metodologico.

In generale, gli antivivisezionisti sono coloro i quali si battono per la completa abolizione dell'uso dell'animale a fini sperimentali (sia esso condotto in campo medico, che cosmetico, didattico, industriale o militare). Le ragioni di fondo che guidano il loro operare sono le più varie: da una spiccata sensibilità verso ogni prossimo senziente, alle competenze scientifiche che li portano ad individuare - come accennato - nella vivisezione un errore metodologico, causa del rallentato sviluppo dei metodi scientifici propriamente detti.

Storicamente, i movimenti per la liberazione animale, nati nella metà del ventesimo secolo in seguito alle idee propugnate da Peter Singer nel suo celebre libro Animal Liberation (14), contrastano il presupposto del movimento protezionista attivo nel secolo precedente, per il quale gli interessi degli animali non appartenenti alla specie umana dovevano essere salvaguardati, fino a quando non entravano in gioco importanti interssi umani. In quest'ottica, gli animali erano considerati esseri inferiori all'uomo i cui interessi, in caso di conflitto, dovevano comunque soccombere ai nostri. Il fondamento specista posto alla base dei movimenti protezionistici del diciannovesimo secolo fu aggredito, come accennato, dal movimento di liberazione animale. Il punto centrale della filosofia di quest'ultimo è che, da un punto di vista etico, la fauna vivente è tutta nella stessa posizione, sia che poggi su due o su quattro piedi, sia su nessuno. Ciò non implica riconoscere agli animali gli stessi diritti degli uomini; i liberazionisti non minimizzano le differenze esistenti tra la maggior parte dei membri della nostra specie e quelli delle altre. Cercherò di esplicitare il concetto attraverso un esempio tratto dal libro di Singer, In Defence of Animals (15):

Supponiamo di aver deciso di intraprendere degli esperimenti scientifici letali su esseri umani adulti normali, prelevati a caso per tale scopo da parchi pubblici. Immediatamente ogni adulto che si trovasse ad entrare in un parco sarebbe terrorizzato dall'idea di essere rapito. Il panico risultante costituirebbe una forma di sofferenza che si aggiungerebbe a qualsiasi grave disagio previsto dagli esperimenti stessi. Lo stesso tipo di procedimento applicato ad esseri viventi non appartenenti alla specie umana provocherebbe, indubbiamente, minori sofferenze, perché gli animali non proverebbero in anticipo lo stesso senso di angoscia. Ciò non significa che sia del tutto giusto effettuare a nostro piacere esperimenti sugli animali, ma semplicemente che, se un esperimento deve comunque essere fatto, può esserci qualche motivo, compatibile con il principio di equa considerazione degli interessi, per preferire l'uso degli animali a quello di esseri adulti umani normali. (...) Il punto significativo non riguarda il fatto che gli esseri adulti normali appartengano alla nostra specie, bensì la circostanza fondamentale che essi siano capaci di capire ciò che sta per succedere. Se non si trattasse di adulti normali, ma di esseri umani gravemente cerebrolesi, essi si verrebbero a trovare nella stessa posizione di creature non appartenenti alla specie umana che avessero un livello mentale paragonabile.

Singer, come abbiamo visto nel primo capitolo di questo lavoro, è un'utilitarista che legittima il ricorso alla sperimentazione animale e umana laddove esista una valido motivo, contestando il concetto di specismo e basandosi solamente sulla riconosciuta capacità di soffrire, propria degli appartenenti ad entrambe le specie indicate.

In conclusione: il movimento di liberazione animale non afferma che tutte le vite hanno eguale valore e che si deve dare ugual peso ad ogni interesse, animale o umano. Afferma, viceversa, che qualora uomini e animali abbiano interessi simili (come il desiderio di evitare il dolore fisico) devono essere considerati con equità, senza procedere all'automatica discriminazione dell'essere vivente non umano.

3.3.1 Associazioni antivivisezioniste in Italia

Già nel 1800 ci furono, in Italia, singole persone, alcune delle quali famose come Giuseppe Garibaldi, che si dichiararono pubblicamente contro la vivisezione. Ma il primo nucleo organizzato in modo stabile nacque nel 1929, quando il dottor Gennaro Ciaburri (medico bolognese) fondò l'"Unione Antivivisezionista Italiana" (UAI) (16), rimasta in piena attività fino al 1970, anno in cui il fondatore morì (17). Nel 1976 fu pubblicato il libro di Hans Ruesch, Imperatrice nuda, che suscitò anche in Italia un'ondata di sdegno tale da rianimare anche gli ex-dirigenti dell'UAI che fondarono nuove leghe in diverse città italiane. Nacque così a Firenze, per opera di Luigi Makowski (ex vicepresidente della sezione fiorentina dell'Unione Antivivisezionista Italiana), la "Lega Antivivisezione Nazionale" (LAN), alla quale seguirono la "Lega antivivisezione" (LAV), fondata a Roma dall'architetto Alberto Postillo (ex vicepresidente della sezione locale dell'UAI); la "Lega Antivivisezione Italiana" (LAI), sempre a Roma, ad opera del veterinario Giuseppe Carrelli (ex consigliere della sezione locale UAI) e la "Lega Antivivisezionista Lombarda" (LEAL, ora solo "Lega Antivivisezionista"), con sede a Milano, fondata da Kim Buti (ex socio UAI). Per ogni singola associazione nacquero, in seguito, molte sezioni decentrate, contribuendo così a creare una fitta rete di attivisti, che oggi copre tutte le regioni e le più importanti città italiane. Da segnalare, inoltre: l'"Unione Animalista", fondata a Roma nel 1990 da Alberto Postillo, già presidente della LAV; la "Lega Internazionale Medici per l'Abolizione della Vivisezione" (LIMAV), che altro non è se non un'emanazione dell'"Organizzazione Internazionale Protezione Animali" (OIPA), nella quale confluiscono laureati in materie scientifiche con l'obiettivo di combattere la sperimentazione sugli animali sul versante scientifico. Di fondamentale importanza, è la "Fondazione Imperatrice Nuda", nata nel 1988 anch'essa con lo scopo di riunire medici, filosofi e scrittori contrari alla vivisezione, nonché di sensibilizzare gli ambienti scientifici, filosofici e politici, soprattutto attraverso l'organizzazione di convegni ad alto livello (18) e che nel 1990 si è trasformata in Associazione, costituendo due anni più tardi insieme alla LAV, il "Comitato Scientifico Antivivisezionista" (CSA) composto da medici, biologi, veterinari, farmacisti, ricercatori e tecnici di medicina umana o veterinaria. Quest'ultimo dichiara la sperimentazione sugli animali un errore metodologico che, basandosi sul concetto di "simile", valorizza qualcosa che in scienza non ha ragione di esistere (19). Proviamo ad esemplificare la critica ricorrendo ad un esempio:

Se qualcuno ti dicesse che nella stanza accanto non c'è ossigeno, ma un gas "molto simile" all'ossigeno, ci entreresti? Se ti servisse una trasfusione di sangue e qualcuno ti dicesse che c'è una sostanza molto simile al sangue umano (come il sangue di scimpanzé), lo accetteresti?

La metodologia sperimentale lavora su modelli animali sempre più raffinati e simili all'uomo (gli animali transgenici), estrapolando i risultati così ottenuti agli appartenenti alla specie umana.

A partire dagli anni settanta, si è assistito ad una proliferazione delle associazioni; ciò se da un lato esprime il crescente consenso nei confronti delle tematiche animaliste, è anche vero che ha comportato la frammentazione del movimento antivivisezionista italiano. Infatti, quando ci si riferisce al movimento in generale, non va dimenticato che se esiste un fine ultimo comune (giungere alla completa abolizione della vivisezione), le strategie proposte per conseguirlo sono altamente diversificate; anche se tutte rivolte alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica e dei politici sul problema della vivisezione. Ciò avviene attraverso vari mezzi, tra i quali forse il più caratteristico è rappresentato dall'allestimento di mostre fotografiche. Queste ultime intendono perseguire due scopi: offrire una documentazione (probabilmente parziale) delle attività svolte nei laboratori e consentire di ottenere finanziamenti per le campagne e le attività delle associazioni attraverso offerte, iscrizioni, acquisto di materiale informativo e non solo (libri, volantini, adesivi, magliette, etc.). È quindi molto importante che le associazioni scelgano con cura gli attivisti preposti al contatto con il pubblico, preferendo persone convinte e preparate sull'argomento e sulle campagne organizzate; nonché dotate di una buona capacità comunicativa. Un altro canale di sensibilizzazione è rappresentato dai mezzi di informazione di massa, quali televisione, radio, giornali (20). Anche in questo caso, però, la scelta deve essere prudente, in quanto

se è vero che un numero sempre crescente di giornalisti e uomini dello spettacolo sono attenti al problema vivisezione, è da non sottovalutare che i mezzi di comunicazione di massa sono soggetti alla pressione delle diverse lobby economiche. Pertanto, soprattutto nei dibattiti, spesso il moderatore non ha mantenuto una posizone neutrale, schierandosi a favore di chi difendeva la vivisezione; ovvero il tempo dedicato a ciascuna delle parti era a netto sfavore degli antivivisezionisti. Bisogna tuttavia riconoscere che ultimamente si assiste con maggiore frequenza a dibattiti in cui le parti vengono trattate in maniera equa (21).

Si registra anche un incremento di convegni su tematiche animaliste o più in particolare antivivisezioniste. Un importante seminario con la partecipazione di esponenti di vari settori (22) si è tenuto a Firenze, nel mese di novembre 2002, in occasione del Forum Sociale europeo. Il tema dell'incontro era "La cultura riduzionista e la sperimentazione animale" e mirava ad offrire un quadro attuale della gestione della complessità dei sistemi naturali, affrontando il tema delle biotecnologie e della sperimentazione sugli animali, considerate il risultato dell'estensione della visione riduzionista (o meccanicista) ad ogni settore della scienza e della vita. Tornerò sul tema tra breve.

Anche la produzione di materiale illustrativo, sotto forma di volantini, opuscoli e riviste, è ormai abbondante. Fra le riviste ne segnalo tre che escono con una certa regolarità (tre o quattro numeri all'anno), con l'obiettivo di informare soci e simpatizzanti sulle diverse iniziative svolte e in programma: La voce dei senza voce è un trimestrale pubblicato dalla LEAL di Milano, che predilige l'argomento vivisezione, anche se ultimamente sta dimostrando interesse per altre tematiche (combattimenti tra cani, allevamenti intensivi, etc.); Impronte è la rivista che LAV pubblica dal 1992 e che si occupa di qualsiasi forma di abuso sugli animali. Infine, si può ricordare King Kong, di cultura animalista e antivivisezionista, pubblicato dalla fine del 1990 dall'Unione Animalista.

Verso la metà degli anni ottanta, la sperimentazione sugli animali è divenuta anche un tema politico rappresentato in sede parlamentare da deputati e senatori di ogni tendenza politica. Tra questi si possono segnalare i deputati Filippo Fiandrotti (Socialisti Italiani), Cristina Moscardini (Alleanza Nazionale), Gianni Tamino (Verdi) e Stefano Apuzzo (Verdi); nonché la senatrice Annamaria Procacci (Verdi), già presidente della Lega Abolizione della Caccia (LAC). Tale, crescente, sensibilità al problema, mostra un segno inconfutabile che i tempi stanno cambiando e con essi la sensibilità della gente comune e dei parlamentari.

Ultimo momento della campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica (anche se non in ordine di importanza) è rappresentato dalle manifestazioni all'aperto mediante cortei e sit-in. I primi di solito hanno un obiettivo simbolico; la LEAL, ad esempio, ha organizzato per diversi anni un corteo in occasione della giornata mondiale dell'animale da laboratorio (22 giugno) che, dopo aver percorso un itinerario nelle principali vie della città, prevedeva il raduno dei partecipanti in una piazza per ascoltare i discorsi di vari oratori. Viceversa, in occasione dei sit-in l'obiettivo è sempre preciso: possono essere Istituti in cui si pratica la vivisezione (ad esempio, l'Istituto Mario Negri di Milano o la Edy Lilly di Sesto Fiorentino), oppure allevamenti per animali da laboratorio (come ripetutamente sta avvenendo negli ultimi tempi all'allevamento Morini di S. Polo d'Enza, in Emilia). Queste occasioni hanno il pregio di captare l'attenzione di mass-media, con particolare riferimento alle reti private locali. Più raro è, invece, il ricorso delle associazioni alle denunce, soprattutto perché, stante l'enormità di deroghe contemplate dalla normativa italiana e il fatto che i controlli sulla conduzione degli esperimenti sono affidati agli stessi vivisettori, è estremamente difficile compiere violazioni. L'unico modo per accertarle è l'ingresso illegale negli stabilimenti, con tutti i rischi personali e le riserve sul metodo che tali iniziative implicano.

Fino ad ora ho descritto le diverse attività che accomunano tutte le associazioni antivivisezioniste; ritengo, però, meritevole accennare ad una strategia d'azione non da tutte condivisa. Lo stanziamento di fondi per i metodi cosiddetti sostitutivi è operato in Italia solo da due associazioni: l'Unione Antivivisezionista Italiana assegna, dal 1977, il Premio Jorio Rustichelli "per metodi alternativi alla sperimentazione su animali a favore del o degli autori di una memoria pubblicata su una rivista scientifica, italiana o straniera, dalla quale emerga la documentata prova che risultati di rilievo nel campo delle scienze biomediche (finora ottenute con la sperimentazione su animali), possano essere raggiunti con metodi alternativi alla sperimentazione su animali o, quanto meno, con metodi che permettano di raccogliere la più ampia informazione possibile col numero minore di animali, consentendo pertanto una sostanziale riduzione dell'impiego degli stessi" (23). La commissione giudicante è composta in maggioranza da docenti dell'Università di Milano indicati dal Rettore della medesima. Leggendo con attenzione l'ultima parte del bando di concorso emerge che si parla di "metodi che riducono il numero di animali impiegati", dichiarandosi così disponibili a premiare anche pubblicazioni che di fatto riguardano ed implicano la prosecuzione delle pratiche vivisettorie. Questo, come si può immaginare, è motivo di forti critiche dirette verso l'attività dell'UAI da parte delle altre associazioni, LAV in testa.

La Lega Antivivisezionista di Milano (LEAL) assegna borse di studio per la ricerca di metodi sostitutivi alla sperimentazione sugli animali; la prima delle quali è stata consegnata nel 1985 a Donatella Cabrini, laureanda in Scienze Biologiche, che ha svolto la sua ricerca nei laboratori del dipartimento di Farmacologia dell'Università di Milano, sotto la supervisione del professor Francesco Clementi. La suddetta borsa di studio, della durata di due anni, aveva un valore di diciotto milioni di lire e riguardava lo sviluppo di metodi in vitro per la determinazione della neurotossicità (24). Diversamente da quella dell'UAI, la politica della LEAL è di reale incentivazione dei metodi sostitutivi la vivisezione, anche per il fatto che i fondi vengono stanziati per permettere la ricerca e non al termine della stessa. Ciononostante, esattamente come per l'UAI, questa strategia è stata duramente criticata soprattutto dalla LAV, con varie motivazioni. In primo luogo si disapprova lo stanziamento di tanto denaro per le borse di studio, invece di impiegarlo in altre attività (quali la propaganda), ritenute dai contestatori più proficue; in secondo luogo, perché secondo i dissenzienti tali soldi dovrebbero, tuttalpiù, essere stanziati dallo Stato, impegnatosi a livello internazionale nel sostegno allo sviluppo di tecniche non implicanti animali.

3.3.2 Il fenomeno ALF

Tra le numerose associazioni antivivisezioniste o, più in generale, animaliste, ne esiste una con peculiarità tali da farle meritare una trattazione separata. Tale associazione è l'Animal Liberation Front, meglio nota con la sigla ALF. Anche se composta da poche persone è stata l'unica associazione che nel bene e nel male si è conquistata lo spazio sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. La sua strategia, infatti, si discosta da quella di tutte le altre associazioni: queste ultime agiscono nel rispetto della legge, ponendo come cardine della propria attività l'informazione e la sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Viceversa, ALF agisce a limiti della legalità o infrangendo decisamente la legge, attuando azioni dirette alla liberazione di animali stabulati nei laboratori di vivisezione o negli allevamenti per le pellicce, nonché danneggiando le strutture in qualche modo connesse alla sofferenza sugli animali. La storia di ALF inizia nel 1972 in Gran Bretagna, anno in cui un gruppo di poche persone formò la "Band of mercy", iniziando a compiere azioni dirette a contrastare la caccia. Per qualche anno l'attività fu sporadica e limitata al predetto obiettivo; nel 1976 Ronnie Lee ed altri componenti della "Band of mercy" decisero di costituire un gruppo la cui attività fosse più incisiva oltre che orientata alla repressione di qualsiasi forma di abuso sugli animali, dando vita all'ALF. Dal paese di origine, il fenomeno ALF si è rapidamente diffuso in tutto il mondo; attualmente esistono gruppi attivi in Francia, Canada, Stati Uniti d'America, Germania, Danimarca, Olanda, Nuova Zelanda, Australia, Spagna, Svezia e Italia.

Gli antivivisezionisti classici e le altre associazioni hanno sempre avuto nei confronti dell'Animal Liberation Front un atteggiamento ambivalente: disapprovando l'illegallità dei metodi, ma anche ammirando il coraggio di coloro che rischiano in prima persona per una causa ideale (25). Non va, infatti, dimenticato che se oggi disponiamo di immagini sui crimini commessi nei laboratori di vivisezione, lo dobbiamo ai furti di filmati ad uso interno, compiuti dagli attivisti di ALF. Sicuramente l'azione che ha attirato maggiormente l'attenzione dei mass-media, oltre alle pesanti critiche dell'ambiente anitivivisezionista, è stata quella condotta nel 1984 ai danni dell'industria Mars che, in quel periodo, finanziava esperimenti in cui scimmie venivano costrette ad alimentarsi con grandi quantitativi di cioccolato per verficarne le conseguenze. ALF reagì comunicando di aver avvelenato alcune confezioni di cioccolato con un topicida. Per accertare che nessuna confezione fosse stata adulterata, le confezioni di cioccolato vennero ritirate dal mercato per un periodo sufficiente a provocare all'industria un danno di circa tre milioni di sterline, oltre alla sospensione di qualsiasi finanziamento per gli esperimenti di nutrizione delle scimmie. Anche se tale azione si dimostrò un successo dal punto di vista del risultato finale, provocò un mutamento irreversibile dell'atteggiamento dei mass-media nei confronti di ALF: il rispetto e la simpatia per gli attivisti che rischiavano in prima persona per una causa ideale si trasformò in aperta critica.

La vera svolta nella politica di ALF sembra, però, essersi verificata l'11 giugno 1990, a Londra dove vennero fatte esplodere due auto di vivisettori e in uno di questi attentati rimase ferito un bambino di passaggio. Fu il primo caso in cui un'azione di ALF risultò idonea a provocare danni anche a persone. Nonostante che l'Animal Liberation Front abbia negato la paternità dell'attentato, il fatto generò attriti anche all'interno dell'associazione, al punto che John Curtin, allora portavoce ufficiale di ALF, interruppe ogni legame con l'associazione (26).

In Italia, il fenomeno sembra limitato a poche azioni. Il primo gennaio 1989 furono aperte le gabbie di ratti e conigli del Centro di Chirurgia Sperimentale di Padova, provocando un danno di circa cento milioni di lire; sui muri comparve la scritta "Vivisettori bastardi e assassini! A.L.F.". Altre azioni seguirono negli anni; tra queste si possono menzionare quelle che coinvolsero l'Istituto di Fisiologia del Policlinico di Palermo e dell'Università Statale di Milano; nonché, in tempi più recenti, i laboratori di Chirurgia Sperimentale del Policlinico Sant'Orsola di Bologna, dove, nella notte di pasqua del 1996, alcune persone introdottesi abusivamente hanno danneggiato le strumentazioni e liberato diversi topi e un maiale (27). Infine, è degli ultimi mesi la notizia secondo cui il 22 novembre 2002, alcuni membri dell'Animal Liberation Front si sarebbero introdotti nell'allevamento "Morini" nel reggiano. Contrariamente al solito, però, gli animalisti non si sarebbero limitati a liberare gli animali bensì a rubare mamme e cuccioli di beagle, dopo averli selezionati, collocandoli in gabbiette caricate, presumibilmente, su camion. La titolare dell'allevamento che vive in una casa situata entro il perimetro dello stesso stabilimento, ha affermato di non aver sentito alcun rumore. L'azione è stata attribuita ad ALF in seguito al rinvenimento, su uno dei muri perimetrali dello stabilimento, della sigla dell'associazione, la quale però non ha mai rivendicato il fatto.

3.3.3 La posizione del Comitato Scientifico Antivivisezionista

Come accennato in precedenza, tra le varie associazioni presenti sul territorio del nostro paese, un'attenzione particolare merita il Comitato Scientifico Antivivisezionista (CSA), al quale aderiscono scienziati delle varie discipline (medici, biologi, farmacisti, veterinari, etc.), profondamente convinti della non validità scientifica del metodo sperimentale che utilizza modelli animali. Criticando la sperimentazione sugli animali, prioritariamente dal punto di vista scientifico, gli iscritti al CSA, affrontano le implicazioni etiche del fenomeno, solo in via collaterale, affermando che tale tipo di considerazioni si porrebbero solo se la sperimentazione sugli animali non costituisse un errore metodologico da abbandonare perché assolutamente non predittivo.

Partendo dall'aspetto scientifico, i medici (ma anche i biologi, farmacologi, etc.) antivivisezionisti muovono dalla constatazione che gli animali non sono modelli per l'uomo, perché troppo diversi da noi. Ogni specie animale è, infatti, biologicamente, fisiologicamente, geneticamente, anatomicamente molto diversa dalle altre e le estrapolazioni dei dati tra una specie e l'altra sono giudicate impossibili.

Già nel secolo XIX, Lewis Carroll (28) mise in discussione la priorità del benessere umano a fronte di quello animale, cercando di dimostrare la fallacia (29) della tesi che ne sta alla base:

l'uomo è infinitamente più importante degli animali inferiori, cosicché è giustificabile infliggere a un animale una sofferenza, comunque grande, se ciò previene una sofferenza dell'uomo, comunque piccola.

L'autore del famoso libro "Alice nel paese delle meraviglie" accusa i sostenitori di quest'ultimo "postulato" di essere disonesti. Infatti, partendo dall'assioma che la sofferenza umana è, per natura, diversa da quella animale, sottintendono che la scimmia non è la "gemella" dell'uomo, ammettendo implicitamente che non c'è alcuna giustificazione scientifica da porre alla base della sperimentazione animale. Questi scienziati, conclude Carroll, mancano di coraggio: non ammettono che il loro principio guida è l'avidità di conoscenze scientifiche, celandosi dietro "la diminuzione delle sofferenze umane".

Parimenti, il Comitato Scientifico Antivivisezionista sostiene che gli esperimenti sugli animali non portano ad alcuna reale conoscenza sugli effetti di una eventuale sostanza da provare (come ad esempio un farmaco), perché animali di specie diverse, come pure di razze diverse o addirittura di ceppi della stessa specie, rispondono in modo eterogeneo ad un dato stimolo.

Pertanto, se sul topo, sul gatto, sul cane e sul ratto si ottengono risultati diversi tra loro, a chi somiglierà di più l'uomo: al topo, al gatto, al cane o al ratto? La risposta non si può sapere a priori. Solo dopo aver sperimentato sull'uomo si scoprirà, volta per volta, a quale specie e razza egli assomigli di più in quel particolare caso (30).

Per il CSA la vivisezione è dannosa per l'uomo per due ragioni principali: 1) si sperimentano direttamente sull'uomo sostanze che non hanno subito alcun vaglio preventivo (dal momento che il risultato della sperimentazione sugli animali non è giudicata, in alcun modo, predittiva per l'uomo); 2) si corre il rischio di scartare sostanze che, viceversa, potrebbero essere di grande aiuto per l'uomo, per il solo fatto che su una specie (o a volte anche più di una) sono risultate tossiche. Su queste basi, gli aderenti al Comitato Scientifico Antivivisezionista muovono accuse pesanti alle aziende farmaceutiche, per le quali la sperimentazione sugli animali rappresenta una tutela giuridica per eventuali contenziosi. Infatti, dal momento che ogni preparato farmaceutico per uso umano, prima di essere messo in commercio, deve, per legge, essere provato sugli animali, le eventuali reazioni avverse, anche mortali, provocate dalla sostanza non possono essere attribuite alla casa farmaceutica, in quanto ha eseguito i test preclinici sugli animali previsti dal legislatore. Il Comitato Scientifico Antivivisezionista aggiungendo che:

la sperimentazione sugli animali fornisce ai produttori di farmaci la possibilità di selezionare la risposta, variando la specie animale o semplicemente le condizioni dell'esperimento, con il fine di commercializzare, in un'ottica di profitto, migliaia di farmaci che, una volta immessi sul mercato, si rivelano spesso inutili e talvolta dannosi. Esistono circa duecentomila specialità farmaceutiche in commercio nel mondo, mentre quelle ritenute utili dall'Organizzazione Mondiale della Sanità sono meno di quattrocento (31).

In sintesi ciò che gli scienziati antivivisezionisti contestano è la visione riduzionista o meccanicista posta alla base della sperimentazione sugli animali. Vediamo di cosa si tratta, partendo dalla premessa che, dal punto di vista logico, ogni tentativo di conoscenza scientifica è sempre un'approssimazione: se esistessero verità assolute la scienza non servirebbe più. Nel 1637 "apparve" il Discorso sul metodo di Cartesio che insegnava all'uomo un nuovo modo di pensare, dando l'avvio alla moderna tecnologia. Alcuni medici e fisiologi cominciarono a convincersi che anche nel loro campo la scienza sperimentale avrebbe dato qualsiasi risposta (32). Prende, dunque, avvio, anche in campo medico, il tentativo di spiegare la realtà attraverso la spiegazione dei fenomeni fisici. In questa visione meccanicistica (33) della natura, che assimila uomini ed animali a delle macchine di cui si pensa di poter conoscere il funzionamento attraverso una relazione meccanica tra le parti, e in cui l'animale-macchina diviene un modello per l'uomo-macchina, una legge può dirsi "scientifica" solo quando un fenomeno è interpretabile in modo preciso ricorrendo ad una formula matematica.

Durante il seminario organizzato al Social Forum Europeo al quale ho fatto riferimento in precedenza, ho chiesto delucidazioni sul cosiddetto "riduzionismo" al professor Gianni Tamino, docente di biologia all'Università di Padova, nonché membro del Comitato Scientifico Antivivisezionista. Cercherò di riassumerne la risposta. Partendo dal concetto base per cui per il metodo scientifico moderno ciò che non è riproducibile in laboratorio non può dirsi scientifico, si applica una logica lineare per la quale, conoscendo il punto di partenza e il contesto in cui è collocato il fenomeno complesso che si vuole studiare, lo si scompone in singoli segmenti (34), ognuno dei quali analizzabili con criteri matematici. Questo è il pensiero meccanicistico per cui da "A" si arriva a "B" applicando le leggi della meccanica anche ai fenomeni qualitativi (percettibili dall'uomo), ottenendone una spiegazione non approssimativa ma esatta, con il risultato che tutto diventa prevedibile (35). Questa visione è alla base del determinismo (36) che altro non è se non una conseguenza del riduzionismo. Ma se tutto è determinabile noi siamo "ingranaggi" all'interno di un grande sistema che può funzionare correttamente solo previo annullamento delle libertà individuali, "di modo che siamo ciò che altri decidono" (37). Io credo, invece, pacifico considerare vivo un organismo fino a quando esso è in grado di utilizzare materia, energia e informazioni e che questo flusso (materia, energia, informazioni) è alimentato dall'ambiente esterno; per cui isolando l'essere vivente dal contesto spazio temporale si rischia la fuorviante equiparazione tra un essere vivo e un corpo morto, la somma dei cui organi sarebbe, quindi, sovrapponibile al "tutto vitale". Facciamo un passo ulteriore. Con la sperimentazione animale, il primo essere vivente reso standard è l'animale non umano: isolato dal contesto naturale e posto in una gabbia. Su di esso si ricrea il fenomeno (ad esempio si inocula un virus) per il quale si cerca una spiegazione e, quindi una cura, trasferendo poi i risultati sull'uomo. Questa logica dovrebbe fondarsi su precise corrispondenze tra uomo e animale;

ogni biologo sa invece che animali diversi possono presentare alcune caratteristiche anatomiche e fisiologiche simili o uguali, ma molte altre in parte o del tutto diverse. Già questa considerazione rende il modello animale del tutto inaffidabile, poiché ogni animale è solo modello di se stesso (38).

Il punto è che, pur non considerando le differenze fisio-biologiche tra uomini e animali, il destinatario di questo "rimedio" è un soggetto potenzialmente libero nell'habitat per il quale entreranno necessariamente in gioco altri fattori non riscontrabili in un ambiente asettico come un laboratorio. La conclusione di questo ragionamento si può cogliere direttamente nelle parole del professor Tamino (reso, in questa sede, portavoce dei colleghi antivivisezionisti); se ne può condividere il pensiero oppure no; personalmente ne ho ricavato un forte spunto di riflessione.

È dunque l'uomo la vera cavia, e l'animale è un alibi per permettere di passare alla sperimentazione umana. È dunque impossibile vedere una base scientifica nella sperimentazione animale, mentre è purtroppo necessario riconoscere che la logica dell'animale-macchina ha fatto perdere di vista le relazioni che intercorrono tra ambiente, natura e organismi, valutando solo le singole parti e ignorando la complessità della realtà nel suo insieme. Da ciò è derivato anche un modello sanitario in cui l'uomo è visto in funzione delle sue singole parti, che si possono alterare e ammalare, ma non nella sua globalità; ad ogni malattia corrispondono uno o più rimedi standardizzati (poco importa se si creano nuove malattie in altre parti del corpo, tanto ci sono comunque nuovi rimedi anche per queste) e di conseguenza anche le strutture sanitarie sono viste come "officine" dove riparare o sostituire i pezzi della "macchina-uomo". Un tale modello ha portato a trascurare la prevenzione delle malattie e così, anziché individuare i processi e le strutture di autodifesa per potenziarli e per evitare la loro alterazione, si sono cercati modelli della "macchina" umana per effettuare verifiche ed esperimenti da trasferire all'uomo. Le alternative alla vivisezione sono pertanto anche alternative al modello sanitario attuale. Un modello diverso deve partire dalla domanda: perché ci ammaliamo? Ci ammaliamo perché entriamo in contatto con un agente patogeno. Ma non è la condizione unica. Ci ammaliamo se, venendo a contatto con questo agente, non siamo in grado di difenderci. Ad esempio, il fumo è una sostanza cancerogena, ma nel nostro organismo vi sono meccanismi di difesa, e non tutti quelli che fumano si ammalano di cancro. Quando le difese sono ridotte (dallo stress, da cause genetiche o altro), può insorgere il cancro. La salute dipende dalle capacità di autodifesa. Prevenzione significa mettere l'individuo in condizione di difendersi, ricordando che le patologie più diffuse nella nostra società, come malattie cardiovascolari e tumori, sono di tipo degenerativo, strettamente legate all'ambiente e ai ritmi di vita: si tratta di malattie molto più facili da prevenire che da curare. Vi è oggi una sensazione diffusa di sconfitta della scienza rispetto ai cosiddetti "mali incurabili", e sarebbe quindi opportuna una riflessione sulle ricerche fino ad ora svolte.

Leggiamo anche l'opinione del professor Pietro Croce, medico chirurgo, già primario del laboratorio di analisi chimico-cliniche di Microbiologia e di Anatomia patologia dell'ospedale "L. Sacco" di Milano, nonché membro del Comitato Scientifico Antivivisezionista:

Ho eseguito esperimenti sugli animali per molti anni. Obbedivo ad un'ammuffita logica positivistica che m'era stata imposta durante gli studi universitari e che a lungo mi ha condizionato negli anni successivi. (...) Con la mente affollata di nozioni apprese ex cathedra, dai libri, dalla pratica in ospedali italiani ed esteri, cercavo di dare un ordine al mio pensiero (...). Ma era come cercare di comporre le figure di un puzzle uscito difettoso dalla fabbrica: le tessere non si combinavano tra loro. Mi dissi allora: ci deve essere qualcosa di sbagliato nel pensiero e nella prassi medica. E questo qualcosa deve essere fondamentale ed elementare allo stesso tempo: capace di minare tutto alla base e di vanificare tutto ciò che gli consegue. Un errore metodologico, dunque (39).

Anche in questo caso, il riferimento sembra a quello scientismo empirico che ebbe la sua acme nel secolo scorso e che postula la scelta e la costruzione di "modelli sperimentali" attraverso i quali riprodurre i fenomeni oggetto di indagine. Ma per lo studio dell'uomo, delle sue funzioni e dei suoi guasti (malattie), qual è il modello pertinente? La soluzione sembra ovvia; infatti si è detto: "Come modello sperimentale dell'uomo prendiamo l'animale". Ma quale?

Ci sono alcuni milioni di specie animali sulla terra: e allora, quale useremo? Il topo? Il cane? Il coniglio? E perché non il rinoceronte o il facocero? (...) Anche la scelta tra le varie specie animali è illusoria: in realtà, non si tratta nemmeno di una scelta, ma di un modo di "pescare" alla cieca tra possibilità difformi e del tutto casuali o, peggio, secondo criteri opportunistici come quello della maggiore o minore comodità: il topo, il coniglio, la cavia sono "comodi" perché facili da stabulare; il gatto e il cane, per la facilità d'ottenerli a poco prezzo (40). Tutto tranne l'unico elemento che dovrebbe essere discriminante: la scelta di un animale che abbia caratteristiche morfologiche, fisiologiche, biochimiche, sovrapponibili a quelle dell'uomo: ma un animale così fatto non può essere che l'uomo stesso (o sue colture cellulari), oppure una chimera (41). Un modello sperimentale dell'uomo non esiste: tutte le specie, tutte le varietà animali e perfino gli individui della stessa specie sono dissimili tra loro (42).

Se per gli aderenti al Comitato Scientifico Antivivisezionista non esiste una base scientifica idonea a giustificare la sperimentazione sugli animali, non dovrebbe essere necessario porsi alcun interrogativo dal punto di vista etico. Ciononostante, per dovere di completezza, accennerò al tema muovendo dall'accusa di essere dei "sentimentalisti", che i sostenitori della pratica sperimentale su animali, muovono agli antivivisezionisti. "Preferite salvare un topo piuttosto che un bambino?". Ad una domanda di questo genere (che fa leva, essa stessa, sulle emozioni, anche se di segno opposto), gli antivivisezionisti abolizionisti scientifici rispondono: "Preferiamo salvare sia il bambino che il topo", argomentando che è fondamentale comprendere che una scienza in cui si adotti il principio per il quale "il fine giustifica i mezzi" è una scienza malata "in cui qualsiasi atrocità, anche sull'uomo, potrà essere legittimata, come ci insegna il triste passato dei lager nazisti" (43). Il CSA sottolinea come non si possa condividere il pensiero di coloro che distinguono la vivisezione giusta (per scopi medici) da quella sbagliata (ad esempio per i cosmetici): la vivisezione è sempre inaccettabile perché fallace dal punto di vista scientifico. Dichiarano che essa va avanti per una forma di inerzia culturale, perché pochi hanno il coraggio di opporsi agli interessi che la sostengono e che impongono il dogma secondo cui "la vivisezione è necessaria". In sintesi:

la vivisezione, dal punto di vista etico, deve essere abolita perché rappresenta un esempio di comportamento specista, gravemente lesivo di tutti i diritti che le più avanzate correnti di pensiero filosofico riconoscono agli animali; è un crimine in qualsiasi modo si tenti di giustificarla, che la si compia credendo di "far del bene all'umanità", ovvero, come spesso avviene, solo per interessi personali e di carriera (44).

Tutto ciò premesso, un quesito sorge spontaneo: perché si sperimenta ancora sugli animali? Perché nonostante il fatto che tanti medici, biologi e scienziati in genere, continuano a dichiarare che la vivisezione è un metodo dannoso per l'uomo, non viene abbandonato? Gli antivivisezionisti ribadiscono che alla base di tutto c'è il "carrierismo universitario" che si basa sul numero di pubblicazioni prodotte, evidenziando come le ricerche condotte sugli animali siano più veloci dell'osservazione clinica e degli altri metodi di conoscenza scientifica precedentemente illustrati.

3.4 Le ragioni scientifiche della sperimentazione animale

Se molti ricercatori si dichiarano disponibili ad affrontare un dibattito sulla liceità della ricerca sugli animali dal punto di vista etico, dichiarano "assolutamente fuori luogo" ogni discussione sull'utilità e validità della sperimentazione animale, da un punto di vista scientifico. In realtà, come già anticipato, l'unico appartenente alla comunità scientifica cosiddetta ufficiale, disponibile al confronto con i cosiddetti antivivisezionisti, è Silvio Garattini, ricercatore di fama internazionale, già direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri" di Milano. Questo almeno è quanto mi è stato riferito da un ricercatore "Telethon" dell'Università di Firenze, aggiungendo che

altri colleghi preferiscono restare in ombra; chiudersi in laboratorio e continuare a lavorare. Questo non va bene.

Purtroppo non mi ha potuto fornire ulteriori spiegazioni in proposito, eludendo ogni mia successiva domanda sull'argomento. Conseguentemente, resta un mistero perché i vivisettori non contestano apertamente le opinioni degli abolizionisti e non li invitano ai pubblici dibattiti; forse non li ritengono meritevoli di parola ovvero, temono il confronto. Qualunque sia la verità, non mi resta che far riferimento alle sporadiche dichiarazioni pubblicate qua e là (solitamente in internet) da medici o biologici forse un po' egocentrici. Emblematiche sono sicuramente le asserzioni del dottor Mario Campli (45), medico chirurgo, specialista in chirurgia d'urgenza e pronto soccorso, definitosi "portavoce della comunità scientifica ufficiale":

le tesi degli animalisti secondo le quali la sperimentazione animale nella ricerca biomedica è dannosa, inutile e rappresenta addirittura una frode scientifica, sono semplicemente (a volte mostruosamente) false.

Il chirurgo citato contesta (46) la scientificità dei cosiddetti Comitati Scientifici Antivivisezionisti che, come abbiamo visto, sono costituiti in maggioranza da medici e biologi, spesso con una pregressa esperienza nel campo della sperimentazione animale, che si ostinano ad asserire che le differenze tra le specie rendono fuorvianti per l'uomo i risultati degli esperimenti sugli animali (47). La risposta di Campli è spiazzante soprattutto perché indirizzata alla gente comune, quasi a voler confermare che con i dissenzienti non si parla.

A fronte dell'apparente diversità tra uomini e animali, le similitudini sono assai più numerose di quanto la gente comune possa pensare: i meccanismi di controllo endocrino, i processi metabolici, la meccanica della respirazione, della circolazione ematica, l'architettura del sistema nervoso, la risposta infiammatoria agli stimoli fisiologici, sono in gran parte i medesimi. Alcuni processi metabolici sono addirittura uguali in tutti gli esseri viventi, dai batteri e protozoi all'uomo (48).

Occorre comunque precisare che il ricercatore non sembra pretendere che l'animale di laboratorio rispecchi fedelmente le condizioni studiate nell'uomo; non dimentichiamo, infatti, che esso rappresenta un modello, impiegato nello studio di un processo particolare. Anzi, le differenze che talvolta emergono in modo palese tra uomo e animale sembrano essere preziose per gli studiosi, in quanto idonee a facilitare la comprensione dei meccanismi di azione di sostanze attive o di fenomeni non studiabili per l'uomo. Se posso esprimere con sincerità la mia opinione, non capisco quale sia il vantaggio per l'uomo di evidenti differenze con altre specie: se il prodotto sperimentato è destinato all'uomo, lo studio sull'animale differente dal bersaglio risulta inutile; se è mirato all'animale (pensiamo ai topicidi), quale modello viene usato per escludere (o quantomeno graduare) la tossicità della sostanza sull'uomo?

In conclusione, gli scienziati dediti alle pratiche vivisettorie sono spesso in contrasto con le ipotesi riduzioniste, affermando che molti test sugli animali sono ancora eseguiti solo perché imposti dalla legge (49); dichiarano che chiunque può e deve battersi contro gli esperimenti inutili e crudeli, ma precisando anche che questa non deve essere una giustificazione per la completa abolizione dell'impiego degli animali nella ricerca.

La "vivisezione", infatti, non è solo una scimmia chiusa in una gabbia con un fascio di cavi elettrici che le fuoriescono dal cranio; sperimentazione animale significa ricerca farmacologia, nuove tecniche chirurgiche, allevamento di animali per sfruttarne tessuti o sostanze organiche, collaudo di materiali e dispositivi da impiegare sull'uomo (50).

Ciò premesso, anche se non può negarsi che antibiotici, vaccini, antiipertensivi, antiasmatici, farmaci antiulcera, sono sostanze sviluppate grazie alla sperimentazione sugli animali; quello che possiamo chiederci è se oggi vi sia una utilità dalla sperimentazione sugli animali. Se penso al cancro, non ci sono risultati; idem per l'AIDS: penso che si dovrebbe procedere ad una diversificazione nei finanziamenti, investendo maggiormente anche su metodologie di ricerca non implicanti l'utilizzo di animali vivi. Rispetto chi si entusiasma per le potenziali prospettive offerte dagli animali transgenici, nel campo dei trapianti e in quello della produzione di sostanze attive; personalmente non condivido queste tecniche ma al di là di giudizi morali (i miei convincimenti "scientifici" non sono sostenuti da una preparazione tecnica idonea a fornire basi argomentative, derivando piuttosto dal timore che tali tecniche possano creare pericoli ulteriori) dubito fortemente che "attraverso i maiali transgenici si otterranno cuori e organi da trapiantare nell'uomo senza alcun rischio di rigetto" (51).

La motivazione forse più attendibile per la quale non può farsi a meno della sperimentazione sugli animali, credo sia rappresentata dalla complessità dei sistemi biologici. Come già anticipato nel paragrafo sui metodi cosiddetti "alternativi" alla sperimentazione sugli animali, a ciascun livello (dalle formazioni unicellulari ai tessuti; dai tessuti agli organi isolati; dagli organi isolati all'organismo intero) emergono caratteristiche nuove e l'organizzazione, le interazioni e le relazioni che si instaurano tra le varie strutture non possono essere dedotte dallo studio delle singole parti costituenti. Di conseguenza, studiare gli effetti e le interazioni di una sostanza o di un dispositivo con un sistema in vitro o con un organo perfuso non può fornire le stesse indicazioni dello studio su un intero organismo.

3.5 Strategie per resistere agli attacchi antivivisezionisti

Vorrei accennare alle molteplici strategie proposte dai ricercatori (singoli o associati) per contrastare gli attacchi del movimento antivivisezionista. Esse muovono dal comune convincimento che le informazioni su questioni bioetiche vengono trasmesse al pubblico in modo distorto; dichiarando, pertanto, fondamentale il processo formativo-educativo dei giovani (52), finalizzato ad una corretta comprensione dell'importanza dell'uso degli animali nella ricerca. Tale processo dovrebbe, nell'ottica dei ricercatori, articolarsi attraverso l'approfondimento di tre aspetti: 1) morale; 2) razionale; 3) emotivo.

  1. profilo morale: l'approfondimento di questo aspetto è ritenuto fondamentale dagli aderenti ad entrambe le "fazioni": tanto i ricercatori favorevoli all'utilizzazione degli animali in campo sperimentale, quanto i cosiddetti antivivisezionisti, lamentano un carente backgroound etico negli oppositori. Questo comune convincimento orienta i gruppi in contesa verso un'identica strategia di azione; per cui, entrambe le parti:

    • si interessano ad esseri viventi;
    • si dichiarano rappresentanti di quella parte dell'umanità contraria a ingiustizie e sofferenze;
    • fanno appello alla coscienza e all'emotività dei giovani e dei politici.

    Ciò che distingue i vivisezionisti dagli antivivisezionisti è il fine: gli oppositori alla pratica vivisettoria chiedono l'abolizione della sperimentazione sugli animali, dichiarandola immorale; la comunità scientifica asserisce la propria superiorità morale dichiarando che è impossibile acquisire essenziali informazioni sul funzionamento fisio-patologico dell'organismo umano senza ricorrere alla sperimentazione animale (53);

  2. profilo razionale: i sostenitori della sperimentazione animale collocano l'aspetto razionale al centro del progetto di educazione culturale, ritenendo di fondamentale importanza l'apprendimento da parte degli studenti di varie età delle informazioni distorte poste alla base delle asserzioni dei cosiddetti animalisti. Le dichiarazioni maggiormente sostenute dagli appartenenti alla comunità scientifica, favorevoli alla vivisezione, sono le seguenti:

    1. gli animalisti si dichiarano portavoce della coscienza collettiva nel momento in cui chiedono l'abolizione di tutte le pratiche che provocano sofferenza a un essere vivente (come la vivisezione), con il solo obiettivo di screditare l'onestà dell'attività di ricerca;
    2. nel momento in cui gli oppositori dichiarano che gli animali sono così differenti dagli uomini, al punto che l'estensione a questi ultimi dei risultati ottenuti studiando i primi è dannosa per la salute umana, sembrano non conoscere la storia della medicina e le migliaia di scoperte ottenute nei secoli, proprio grazie agli studi sugli animali (54);
    3. la dichiarazione per la quale molti degli esperimenti effettuati su animali sono inutili e privi di un innovativo valore scientifico, smaschera l'incompetenza degli antivivisezionisti a parlare di argomenti scientifici;
    4. gli animalisti dichiarano che gli esperimenti sugli animali continuano a non offrire soluzione ai grandi mali della nostra società, come il cancro, dimenticando gli enormi progressi fatti in questo campo, ad esempio, in seguito alla creazione dell'oncotopo (55);
    5. gli antivivisezionisti promuovono lo sviluppo e l'impiego di quelle metodologie che definiscono "sostitutive" alla sperimentazione in vivo; non tenendo in debita considerazione che lo stato arretrato di tali tecniche le rende a mala pena idonee "alternative" all'utilizzazione di modelli animali (56);
  3. profilo emotivo: posto che il punto di forza di tutti i movimenti di lotta alla vivisezione è la sofferenza che tale pratica causa agli animali, la comunità scientifica ufficiale deve investire le proprie energie insegnando alle nuove generazioni l'empatia verso i malati e preoccupandosi, allo stesso tempo, di rafforzare la loro responsabilità per la sofferenza animale.

Nell'attesa che il processo educativo ora prospettato formi le nuove generazioni, le industrie di ricerca biomedica approntano "strategie di breve periodo", al fine di non farsi cogliere impreparate nell'ipotesi di attacchi da parte di esponenti del movimento antivivisezionista. La soluzione più seguita sembra consistere nella predisposizione di un piano istituzionale di risposta, il cui convincimento di base può riassumersi nel seguente modo: "la scienza non è sotto minaccia; ha resistito all'Inquisizione, figuriamoci se trema davanti a fanatici antivivisezionisti!" (57). Ciò che le industrie e i ricercatori intendono contrastare è la distruzione dei programmi di ricerca e la cattiva luce in cui vengono posti dagli animalisti agli occhi del grande pubblico e delle Istituzioni. Segue un elenco indicativo di quelle che possiamo chiamare le "linee guida" che i ricercatori devono osservare per proteggersi dai predetti attacchi:

  1. i progetti di ricerca, per essere inattaccabili, devono essere in linea con le normative nazionali e internazionali del settore, con specifico riguardo alla tutela del benessere animale;
  2. di fondamentale rilievo è la predisposizione del cosiddetto "Animal Research Project File", un archivio, costantemente aggiornato, che contenga materiale da utilizzare in caso di inchiesta sul corretto utilizzo e rispetto degli animali nella ricerca. Ovviamente ogni industria personalizzerà l'archivio in base alle proprie peculiari esigenze; i seguenti elementi dovrebbero, comunque, essere presenti:
    • la documentazione attestante l'approvazione del progetto di ricerca da parte dell'organismo preposto alla tutela del benessere animale;
    • una lista di tutti i pubblici riconoscimenti, degli attestati e dei premi ricevuti dai ricercatori che lavorano in quel particolare laboratorio;
    • una breve descrizione, in un linguaggio comprensibile ai non addetti ai lavori, degli obiettivi perseguiti dal laboratorio di ricerca, con particolare riguardo alle motivazioni del progetto e alla sua natura, avendo cura di specificare perché essa richiede l'impiego di animali e quali vantaggi deriveranno agli uomini da quella ricerca. Ciò risulterà particolarmente utile nel corso di una improvvisa conferenza stampa;
    • il nome e il numero di telefono della persona incaricata di gestire l'attacco.
  3. Ogni laboratorio deve individuare un responsabile deputato al coordinamento delle forze in caso di attacco, e preparare un piano difensivo teso a controbattere alle asserzioni degli antivivisezionisti (58). Il piano di difesa deve, quantomeno, indicare:
    • i nomi delle persone che, all'interno della singola struttura, possono essere contattate in caso di attacco (ad esempio, addetto alla sicurezza, rappresentante amministrativo, addetto alle pubbliche relazioni, veterinario, comitato per la salvaguardia del benessere animale, etc.);
    • il nome del portavoce ufficiale dell'istituto e il suo sostituto (preferibilmente dovrebbe trattarsi di personale non addetto ai progetti di ricerca, bensì di altro sensibile alle tematiche animaliste e in grado di parlare al pubblico;
    • le procedure di sicurezza da attivare.
  4. I documenti relativi alle ricerche su animali devono essere redatti avendo cura di non svelare segreti aziendali "perché può capitare che gli animalisti si approprino di dossier utilizzandoli per il proprio tornaconto, pubblicandone il contenuto in modo errato" (59);
  5. Ogni istituto di ricerca dovrebbe contattare e scrivere ai legislatori nazionali e locali spiegando ed enfatizzando la necessità del ricorso agli animali nel settore della ricerca biomedica.

Specifiche precauzioni sono, inoltre, dettate per il caso in cui un ricercatore tema di essere stato preso di mira dagli "animalisti":

  • deve controllare che l'"Animal Research Project File" sia completo e aggiornato;
  • informare il responsabile di istituto e il portavoce ufficiale della potenzialità dell'attacco, al fine di discutere con loro la strategia da seguire;
  • informare le agenzie che hanno finanziato il progetto di ricerca in quanto potenziali bersagli degli attacchi degli antivivisezionisti;
  • prendere in considerazione l'ipotesi di contattare reti televisive locali e testate giornalistiche, alle quali rilasciare dichiarazioni, in anticipo rispetto agli animalisti, in merito al progetto del ricercatore a rischio.

Infine, nel caso in cui l'attacco diventi concreto, il ricercatore deve immediatamente incontrare il responsabile del piano istituzionale di difesa per stabilire la linea difensiva. Durante la consultazione si dovranno trattare e risolvere le seguenti questioni:

  • identificare il tipo di crisi e i soggetti coinvolti;
  • verificare che l'"Animal Research Project File" sia aggiornato;
  • stabilire quali risposte fornire alle specifiche asserzioni formulate dagli animalisti e se il soggetto dell'istituto di ricerca designato come portavoce ufficiale necessiti di ulteriori chiarimenti o informazioni;
  • le modalità di informazione da dare all'agenzia finanziatrice del progetto contestato.

In conclusione, dalle linee guide esposte emerge chiaramente che i ricercatori si riconoscono l'obbligo morale di assicurare che la ricerca biomedica continui a disporre degli animali, affermando l'eticità e validità della sperimentazione sugli animali (60).

3.6 Osservazioni conclusive

Il proposito di questo capitolo, come anticipiato nel paragrafo introduttivo, era di vagliare le divergenti opinioni offerte dagli specialisti del settore scientifico in merito alla validità ed opportunità della sperimentazione sugli animali. Può essere utile ricordare le domande intorno alle quali si è inteso incentrare la discussione e, quindi, fare il punto della situazione, ribadendo che gli abolizionisti aderenti al Comitato Scientifico Antivivisezionista contestano il metodo sperimentale, ritenendolo fallace e non predittivo per l'uomo; propongono il ricorso a metodologie di conoscenza scientifica basate sull'osservazione clinina dei pazienti o avvalendosi del metodo epidemiologico, elaborato con tecniche statistiche; ritenendo inutile il ricorso alla sperimentazione sugli animali, giudicato un metodo ascientifico da sostituire; giudicando dannosa e fuorviante l'estensione dei risultati, ottenuti sull'animale, all'uomo.

  1. La sperimentazione sull'animale è necessaria e insostituibile oppure esistono modalità realmente alternative di ricerca? Premesso che il dibattito sulla indispensabilità della sperimentazione sugli animali può dirsi unanimemente risolto per la didattica, nel senso di un crescente consenso verso l'impiego di metodi alternativi (61); resta, viceversa, controversa la questione riguardante il settore dei prodotti cosmetici (62); e decisamente aperta per ricerca biomedica e tossicologica. Questi ultimi sono, infatti, i settori per i quali vengono spese più energie e dato maggior risalto nei pubblici dibattiti, anche se va riconosciuto che il versante "vivisezionista" resta silente. L'unica eccezione è rappresentata da Silvio Garattini, già direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri" di Milano, già citato in questo lavoro. Infatti, il dottor Garattini è, da anni, impegnato nella pubblica valorizzazione dei risultati ottenuti durante quella fase della sperimentazione preclinica che implica l'impiego di animali; è sua la locuzione "metodi complementari", suggerita al posto di "alternativi", ritenuta idonea ad esprimere la reale portata delle tecniche che non richiedono l'utilizzazione di animali o ne riducono fortemente il numero.

    Come ho accennato nel capitolo precedente, è "credo" diffuso tra i ricercatori che le metodologie in vitro non siano idonee a rimpiazzare in toto gli animali, in quanto, se offrono il grande vantaggio di lavorare su meccanismi molto semplici, non consentono una valutazione di insieme "che solo un organismo intero può fornire". Secondo l'opinione della comunità scientifica ufficiale, condivisa dal comitato nazionale di bioetica, la ricerca biomedica non può fare a meno della sperimentazione sull'animale. Conferma di questo generale convincimento si rinviene anche nel codice di deontologia medica del 1995 che regolamenta la ricerca sugli animali, dedicandole ben due articoli (43 e 47). La necessarietà del ricorso alle pratiche vivisettorie sarebbe giustificata dal fatto che lo studio sui sistemi isolati (colture cellulari, tessuti in vitro, organi per fusi) non è giudicata sufficiente, dal momento che all'aumento dell'organizzazione delle strutture viventi si accompagna un aumento di informazione legata alla struttura, non deducibile dalla somma dei singoli componenti della medesima (63). Inoltre, come afferma il dottor Campli

    Il vero rispetto per la vita è la consapevolezza della straordinaria unità che si nasconde dietro la molteplicità delle forme viventi, la comprensione del fatto che queste forme di vita esistono per crescere e moltiplicarsi, in una lotta senza fine. (...) Non bisogna nascondersi che la Natura è totalmente indifferente alle vicende dei viventi. Dal momento che noi uomini abbiamo il dono della ragione, possiamo ragionevolmente batterci per abolire la sofferenza inutile di qualsiasi specie vivente (e non solo di povere scimmiotte, languidi cagnolini e morbidi coniglietti) (64).

  2. Nel caso di prodotti destinati all'uomo, la trasposizione a quest'ultimo dei risultati ricavati attraverso la sperimentazione sull'animale è automatica o soggetta a riserve, ovvero potrebbe riuscire anche fallace? A fronte di coloro (65) che sostengono che nessuna sperimentazione condotta su una specie può essere applicata ad un'altra, la maggior parte dei ricercatori obietta che se è possibile l'estensione da sistemi semplici (molecole, microrganismi, cellule, tessuti) all'uomo, a maggior ragione deve essere accettabile tra organismi superiori. Dello stesso avviso è la Sottocommissione ad hoc di bioetica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) che rileva come, ad esempio, la medicina veterinaria opera continuamente trasferendo le proprie conoscenze da una specie all'altra (66). In conclusione, se la sperimentazione animale non può garantire con assoluta certezza l'applicabilità all'uomo dei risultati ottenuti sull'animale, ciò non significa che questi risultati siano inutili o facciano progredire in direzioni errate. L'eventuale fallacia non sembra, quindi, costituire una pecca intrinseca della metodologia sperimentale, dipendendo, caso mai, dalgi errori degli sperimentatori (67).

  3. Con quali avvertenze deve essere condotta la sperimentazione sugli animali? Ricordando che la maggior critica rivolta dai vivisezionisti ai cosiddetti animalisti si sostanzia nel sentimentalismo (68) dal quale i secondi si lascerebbero guidare nel contestare ogni sfruttamento dell'uomo sugli animali. Chi trascorre le proprie giornate negli stabulari ritiene che la scelta per la sperimentazione animale vada fatta in modo razionale (senza lasciarsi travolgere dall'emotività), in conformità al principio che spinge ogni specie che voglia sopravvivere a sfruttare l'ambiente. I vivisezionisti riconoscono l'esistenza dei sentimenti e non intendono ignorarli, sentimenti esistono e non vanno ignorati, ma invitano a tenere ben presente che i sentimenti per l'umanità vengono prima di quelli per l'animalità (69).

Note

1. E. Morin, Science avec conscience, Fayard, Paris 1982, trad. it. Scienza con coscienza, Angeli, Milano 1987.

2. Forse occorre chiarire che la seconda prospettiva nominata nel testo si propone di mettere in discussione la validità morale della sperimentazione sugli animali, dandola per scontata dal punto di vista scientifico. Viceversa, come vedremo, gli aderenti al Comitato Scientifico Antivivisezionista proclamano la ascientificità del metodo sperimentale che involve modelli animali, dichiarandolo dannoso per l'uomo e inutile per la scienza. Pertanto, la sperimentazione sugli animali va abbandonata perché mancano i presupposti scientifici e non perché venga giudicato eticamente deplorevole lo sfruttamento di esseri viventi per il conseguimento di benefici all'umanità.

3. Cfr. L. Battaglia, La bioetica dinanzi alla sperimentazione animale: problemi e prospettive, in Politeia, La bioetica. Questioni morali e politiche per il futuro dell'uomo. Convegno Roma, marzo 1990, Biblioteche 1990, p. 153.

4. Si veda il Capitolo I, paragrafo 1.2.2.

5. T. Regan, The Case for Animal Rights, Routledge and Kegan Paul, London 1983, trad. it. I diritti animali, Garzanti, Milano 1990.

6. Si veda il Capitolo I, paragrafo 1.2.1.

7. M. Campli, Sperimentazione sugli animali: le ragioni etiche, pp. 4-5.

8. L. Battaglia, in Etica e diritti degli animali, Edizioni Laterza, Bari 1997 in commento a H. Primatt, Dissertation on the Duty of Mercy and Sin of Cruelty to Brute Animals, London 1831.

9. M. Campli, Sperimentazione animale: le ragioni etiche, 4 ottobre 1997, p. 8.

10. M. Campli, Sperimentazione animale: le ragioni etiche, 4 ottobre 1997, p. 6.

11. Si veda anche quanto detto nel Cap. II, paragrafo 2.5.1.5.

12. Il riferimento è ai cosiddetti "revisionisti", cioè a coloro i quali negano l'esistenza delle brutalità avvenute nei campi di concentramento e denunciate durante e dopo la fase nazista, imputando, viceversa, agli ebrei l'artifizio di tale invenzione.

13. Cfr. L. Carroll, Some Popular Fallacies About Vivisection, in Fortnightly Rewiew, n. 32, 1875, trad. it. a cura di C. Ferrari in Contro la vivisezione, Edizioni ETS, Pisa, 1999, p. 13 che sottolinea come il "diritto a non soffrire non dipende dall'autocoscienza, né dal possesso di un'anima immortale (o di qualunque altra caratteristica ontologica di cui si affermi la peculiarità umana) ma solo dalla capacità di soffrire, capacità che gli uomini condividono con altri animali".

14. P. Singer, Animal Liberation: A New Ethics for Our Treament of Animals, New York, 1975.

15. P. Singer, In Defence of Animals, Basil Blackwell Publisher Ltd, Oxford, 1985, trad. it. In difesa degli animali, Lucarini Editore s.r.l., Roma, 1987, pp. 19 e ss.

16. L'organo ufficiale dell'associazione era la rivista trimestrale Scienza e coscienza, stampata fino al 1970.

17. L'Unione Antivivisezionista Italiana esiste ancora oggi ma le sue attività sono scarse, salvo lo stanziamento di fondi per la scoperta di metodi alternativi alla sperimentazione sugli animali, peraltro aspramente criticato dalle altre associazioni, e del quale parlerò, oltre, nel testo.

18. Per maggiori informazioni si veda S. Cagno, Gli animali e la ricerca, cit., pp. 113 e ss.

19. Per maggiori dettagli sulle opinioni di medici, farmacisti, biologi e ricercatori in genere, in merito alla fallacia del metodo sperimentale su animali, si veda il sito ufficiale del "Comitato Scientifico Antivivisezionista".

20. Negli ultimi anni, alcune reti televisive (Fininvest) e radio private (Studio 105, Radio Milano International, Radio Montecarlo, etc.) hanno trasmesso spot pubblicitari gratuiti destinati alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica su temi forti, quali la vivisezione, l'acquisto di pellicce, etc.

21. S. Cagno, op. cit., p. 117.

22. Al seminario organizzato l'8 novembre 2002 dal Comitato Scientifico Antivivisezionista sono intervenuti: Vandana Shiva (India), direttrice del Centro per la Scienza, Tecnologia e Politica delle Risorse naturali di Dehra Dun; Jean Pierre Berlan (Francia), direttore di ricerca presso l'Institut National de le recherche agronomique (INRA) di Montpellier; Claude Reiss (Francia), tossicologo molecolare, direttore del Comitato Scientifico Pro Anima; Gianni Tamino, docente di biologia dell'Università di Padova, ex deputato del Parlamento italiano ed europeo; Stefano Cagno, psichiatra.

23. Quanto riportato nel testo è tratto dal bando di concorso indetto e finanziato dall'Unione Antivivisezionista Italiana, citato in S. Cagno, Gli animali e la ricerca, cit., p. 121.

24. Cfr. S. Cagno, op. cit., pp. 120 e ss.

25. Dalla fondazione ad oggi l'Animal Liberation Front ha rivendicato migliaia di azioni dirette in tutto il mondo e i propri attivisti hanno pagato anche con il carcere; cfr. S. Cagno, op. cit., pp. 122 e ss.

26. Cfr. S. Cagno, op. cit., p. 124.

27. Ibidem, p. 125.

28. L. Carroll, Some Popular Fallacies About Vivisection, in Fortnightly Review, n. 32, 1875, trad. it. a cura di C. Ferrari in Contro la vivisezione, Edizioni ETS, Pisa, 1999, pp. 26 e ss. Carroll imputa ai vivisezionisti di non argomentare in modo corretto il rapporto esistente tra gli uomini e gli animali, sottolineando che l'uomo deve adempiere ai propri doveri, prescindendo dal calcolo delle conseguenze. In quest'ottica, far soffrire un essere vivente è giudicato, di per sé, un male e il carattere di una simile azione non muta per gli eventuali benefici che se ne possono ricavare.

29. Con il termine "fallacia" intendo indicare qualsiasi argomento che genera inganno, mostrando di provare ciò che in realtà non prova. Cfr. L. Carroll, Symbolic Logic, London 1896, p. 81. Si veda anche S. Spinanti, Etica bio-medica, Edizioni Paoline s.r.l., Torino, 1987, pp. 151 e ss. che rileva come "purtroppo molte ricerche sono condotte senza obbedire a un progetto razionale, ma semplicemente in ossequio alla legge che vige nel mondo accademico: to publish or to perish. Per accumulare pubblicazioni, ai fini di carriera, si fanno ricerche che implicano disagi, sofferenze inutili e rischi per la salute non solo di animali ma anche di esseri umani".

30. S. Cagno, Apriamo gli occhi sulla vivisezione (a cura di Marina Berati), Comitato Scientifico Antivivisezionista, Roma, 2002, p. 5.

31. S. Cagno, Apriamo gli occhi sulla vivisezione (a cura di Marina Berati), Comitato Scientifico Antivivisezionista, Roma, 2002, p. 5.

32. Lo stesso Cartesio credeva in una biologia meccanicistica e nella sua sete di sapere si dedicò anche alla pratica della vivisezione. Ricordiamo infatti che egli equiparava gli animali a delle macchine, per cui non era incoerente quando applicava anche ad essi le leggi meccaniche, scomponendoli in singole parti, nella convinzione che - al pari di ogni altro corpo inerte - questi esseri fossero la somma dei loro organi. In costante polemica con Cartesio si poneva Voltaire che nel suo Dizionario filosofico scriveva: "Che meschinità affermare che le bestie sono macchine prive di conoscenza e di sentimento, che compiono i loro atti sempre nello stesso modo, senza imparare o perfezionare niente! Ma come? L'uccello che fa il nido a semicerchio quando lo attacca ad un muro, lo costruisce a quarto di cerchio se è in un angolo, e a cerchio intero se è sopra un albero, quell'uccello fa tutto allo stesso modo? Il canarino a cui insegni un'aria non impiega forse un bel po' a impararla? Non hai notato che sbaglia e poi si corregge? E quel cane che ha perduto il suo padrone, che l'ha cercato in ogni strada con guaiti di dolore, che entra in casa agitato e inquieto, che scende, sale, va di stanza in stanza e finalmente trova nello studio il padrone tanto amato, al quale testimonia la propria gioia con la dolcezza delle grida, coi salti e le carezze. Dei bruti afferrano il cane, che supera in modo così portentoso l'uomo in fatto di amicizia, lo inchiodano su di un tavolo e lo vivisezionano per mostrarci le vene mesenteriche, e vi scoprono gli stessi organi di sentimento che hai tu. Rispondimi meccanicista! La natura ha dato a quest'animale tutte le molle del sentimento perché non senta? Ha forse dei nervi per essere impassibile?".

33. Il meccanicismo è un dottrina filosofica che, rifiutando ogni interpretazione finalistica del mondo, si fonda su un rigoroso determinismo e riduce i fenomeni del mondo fisico al movimento spaziale dei corpi. Cfr. N. Zingarelli, Lo Zingarelli vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Milano 2000.

34. Questa operazione dà il nome al cosiddetto fenomeno del riduzionismo, teoria che fa risalire tutti i fenomeni vitali ad un unico principio.

35. Il professor Tamino usa a questo proposito il termine "scientismo", definito in Lo Zingarelli vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Milano 1996, "atteggiamento di chi subordina alle scienze empiriche ogni altra possibile attività umana" e da cui il professore fa discendere la conseguenza di considerare gli esseri viventi come macchine. Prosegue notando che "invece di adattarsi alla complessità dell'uomo e degli altri esseri, osservandoli nell'ambiente, li rendiamo macchine. Questo è ciò che si fa nei laboratori, all'interno degli istituti di ricerca, dove si creano modelli standard di animali inserendo in essi geni di specie diverse. Questa è la manipolazione genetica. Si fa finta di non capire che le differenze degli organismi (anche entro la stessa specie) sono la garanzia che al variare dell'ambiente (ad esempio, in occasione di una pestilenza) c'è sempre una quota che sopravvive. Non potrebbe essere altrimenti: se fossero tutti uguali non sarebbero adatti a vivere negli ambienti naturali".

36. N. Zingarelli, Lo Zingarelli vocabolario della lingua italiana, voce "determinismo": "dottrina filosofica secondo la quale tutti i fenomeni dell'universo sono il risultato necessario di condizioni antecedenti o concomitanti".

37. A questo proposito, il professor Tamino muove forti critiche al sistema delle multinazionali che, "per logiche di profitto, immettono sul mercato sostanze non solo inutili ma, troppo spesso, anche dannose".

38. Osserva, inoltre, il professor Tamino che gli animali usati per gli esperimenti sono animali selezionati artificialmente (di cui non si conosce l'idoneità a vivere in un ambiente naturale né tantomeno in un ambiente artificiale come quello di laboratorio), tenuti in gabbia senza quegli stimoli indispensabili a sviluppare le proprie potenziali autodifese. Così l'animale da laboratorio è un animale non corrispondente a quello che vive nel proprio ambiente naturale e gli esperimenti effettuati su di lui non sono neppure utilizzabili per altri animali della sua stessa specie, qualora vivano in un normale contesto spazio-temporale.

39. P. Croce, Vivisezione o Scienza, Ed. Calderoni, Bologna 2000, p. 1.

40. Sono, infatti, sempre più frequenti le notizie riferite dai mass media sulla scoperta di allevamenti - specie di cuccioli di beagle, pare, in quanto particolarmente resistenti - con movimenti in uscita di quantità enormi di animali, a fronte di fatturati inesistenti: prova, questa, del commercio illegale con stabilimenti e centri di sperimentazione.

41. Per plasmare le caratteristiche di un animale alle specifiche finalità di una determinata ricerca, bisogna ricorrere ad una chimera (definita da Lo Zingarelli, Vocabolario della Lingua Italiana, Zanichelli editore S.p.A., Bologna 1996 come organismo i cui tessuti presentano diversi genomi, in quanto derivano da due o più zigoti, appartenenti alla stessa specie o a specie diverse). Mi riferisco all'impiego dei modelli chimerici uomo-topo. Le specie maggiormente usate negli studi preclinici appartengono ai roditori, i quali, malgrado la loro distanza evolutiva dall'uomo, offrono indubbiamente vantaggi di elevata praticità e manipolabilità, e dei quali si dispone del più ampio bagaglio di conoscenze. Tuttavia proprio a causa delle distanze filogenetiche dall'uomo, questi modelli non sono in grado di fornire dati predittivi della risposta clinica nell'uomo, specialmente se utilizzati per saggiare l'attività di farmaci di origine biologica. Per queste ragioni, i modelli chimerici uomo-topo hanno sollevato negli ultimi anni un certo interesse nella comunità biomedica. I primi lavori scientifici che hanno descritto i modelli chimerici di topi immunodeficienti trapiantati con cellule umane sono apparsi quasi contemporaneamente nel 1988 come contributo di tre diversi gruppi: il modello hu-PBL-SCID, il modello SCID-hu, e quello del topo bg/nu/xid ripopolato con cellule progenitrici del sistema ematopoietico (ematopoiesi: produzione degli elementi corpuscolari del sangue) umano. Questi modelli possiedono caratteristiche esclusive. Sono gli unici, infatti, che permettono di studiare le interazioni in vivo tra cellule umane e agenti patogeni, con potenziali vantaggi rispetto ad altri modelli che, come i primati, richiedono costi maggiori e tempi di sperimentazione più lunghi, sollevando, inoltre, questioni etiche enormi. L'Istituto Superiore di Sanità ha allestito uno stabulario speciale per topi con le caratteristiche appena descritte e, in quanto ente impegnato nella promozione e nel coordinamento della ricerca biomedica, ha organizzato convegni focalizzati sull'uso e sulle prospettive di questi modelli chimerici come sistemi preclinici predittivi della risposta clinica nei pazienti. Ad un importante convegno ("First International Workshop on Human/SCID Mouse Models") che si è svolto il 27-28 novembre 2000 hanno preso parte scienziati di fama internazionale, impegnati da anni nello sviluppo di questi modelli (J.M. McCune, USA; D.E. Mosier, USA; C.A. Stoddart, USA; R.B. Bankert, USA; J.M. Carballido, Austria; J.E. Dick, Canada; H. Goldstein, USA; R. Ploemacher, Paesi Bassi; A. tsicopoulos, Francia; J.A. Zack, USA; M.A. Duchosal, Svizzera; D. Camerini, USA; R.E. Jones, USA; P. Hardy, Francia; F. Belardelli, Italia; S. Fais, Italia; E. Proietti, Italia; S. Di Fabio, Italia). Il Convegno si è articolato in diverse sessioni scientifiche che hanno affrontato tematiche specifiche, seguite da una tavola rotonda finalizzata a un dibattito sullo stato dell'arte e le prospettive offerte da questi modelli. Uno dei maggiori punti emersi dalla discussione è stata la tendenza, da parte delle compagnie farmaceutiche, a non tenere in considerazione l'uso dei modelli SCID negli ultimi dieci anni per passare direttamente alla sperimentazione sull'uomo. I sostenitori di questi modelli chimerici ne declamano, invece, l'uso proprio per preselezionare potenziali composti candidati all'applicazione clinica, in ragione dei vantaggi economici che importano. Per approfondimenti si vedano, D.E. Mosier- R.J. Gulizia- S.M. Baird e altri, Nature, n. 335, 1988, pp. 256-259; J.M. McCune- R. Namikava- H. Kaneshima e altri, Science, n. 241, 1988, pp. 1632-1639; S. Kamel Reid- J.E. Dick, Science, n. 42, 1988, pp. 1706-1709; e il sito ufficiale dell'Istituto Superiore di Sanità da cui ho liberamente tratto tutte le informazioni ora fornite.

42. P. Croce, op. cit., pp. 2 e ss.

43. S. Cagno, Apriamo gli occhi sulla vivisezione, cit., p. 3.

44. Ibidem, p. 4.

45. M. Campli, Sperimentazione animale: le ragioni scientifiche, 4 ottobre 1997, p. 1.

46. Campli riconosce anche dei meriti agli antivivisezionisti non estremisti, primo fra tutti, di "aver contribuito a diffondere e aumentare la sensibilità dell'opinione pubblica e degli scienziati verso i diritti degli animali"; ibidem, p. 2.

47. Tra i vari esempi citati dagli aderenti al Comitato Scientifico Antivivisezionista (CSA) si può ricordare quello della penicillina: affermano che essa non sarebbe mai stata utilizzata sull'uomo se fosse stata testata sugli animali prima dell'immissione in commercio. Infatti, anche secondo quanto riferito da P. Croce, Vivisezione o scienza, cit., p. 30, successivamente somministrata ai porcellini d'India la penicillina è risultata altamente tossica. "In realtà - controbatte M. Campli, op. cit., p. 9 - le cavie reagiscono alla somministrazione di questo antibiotico allo stesso modo di alcuni pazienti sottoposti a terapie a lungo termine: l'effetto di alterazione della penicillina sulla normale flora batterica intestinale determina l'evoluzione di una forma di colite per la quale è responsabile nell'uomo e nella cavia lo stesso agente microbico, il Clostridium difficile". In sintesi, dunque, il dottor Campli, in qualità di portavoce della comunità scientifica ufficiale, dichiara la propaganda antivivisezionista "un'enormità di leggende che, al di là della loro oggettiva falsità, mostrano che per molti antivivisezionisti la lotta contro la sperimentazione animale è anche la lotta contro la ricerca farmaceutica e l'impiego dei farmaci, ritenuti pericolosi per la salute". Come ho già rilevato nel paragrafo sulla sperimentazione clinica, i medici sanno perfettamente che i farmaci sono sostanze che interferiscono con il normale funzionamento dell'organismo, così come sono consapevoli che i farmaci non hanno effetti benefici, essendo sostanze attive dotate di svariati effetti che vanno prescritte dai soggetti abilitati, con prudenza, diligenza e perizia.

48. M. Campli, Sperimentazione animale: le ragioni scientifiche, 4 ottobre 1997, pp. 8-9.

49. Si veda M. Campli, op. cit., p. 2 per il quale "soprattutto i test per la tossicità vengono effettuati dall'industria cosmetica e farmaceutica per motivi burocratici più che scientifici, e potrebbero effettivamente essere ridotti o sostituiti da metodi alternativi senza nocumento per la società e con un discreto risparmio per l'industria". Contra U. Veronesi, in G. M. Pace, Colloqui con un medico, cit., pp. 173 e ss., utilitarista singeriano che manifesta ancora qualche dubbio sulla sostituibilità proprio in merito ai test di tossicità, dichiarando, viceversa, totalmente inutili tutti gli altri saggi ed esperimenti effettuati sugli animali.

50. M. Campli, op. cit., p. 3.

51. Ibidem, p. 5.

52. G. Ádám, The Role of Education in Understanding The Use of Animal in Research, in Neuroscience, Vol. 57, n. 1, Pergamon Press Ltd, Great Britain 1993, pp. 201-203.

53. A sostegno della immoralità della sperimentazione animale, i cosiddetti animalisti (cioè coloro che contrastano la vivisezione prescindendo da motivazioni scientifiche) richiamano la filosofia orientale, specialmente asiatica. Viceversa, i ricercatori sostengono il proprio, opposto, convincimento, ricorrendo ad argomentazioni storico-filosofiche, richiamando, cioè, le influenze operate sulla cultura europea occidentale dalle tradizioni greca e ebraico-cristiana. Per approfondimenti su quest'ultimo aspetto, si veda G. Ádám, op. cit., p. 202.

54. Per ovviare al perpetrarsi di questa moltitudine di errate convinzioni nelle generazioni future, i sostenitori della vivisezione propongono di inserire, in ogni scuola, un corso di biologia nel quale ripercorrere le grandi scoperte ottenute grazie alla sperimentazione sugli animali. Cfr. G. Ádám, op. cit., p. 202.

55. Cfr. G. Ádám, op. cit., p. 203. Sempre in relazione al cancro può aggiungersi che, in questo caso, il ricorso all'utilizzazione del modello animale si basa su due elementi principali: il primo implica la realizzazione di un particolare tipo di esperimento dal quale si possano ottenere risultati a breve termine; laddove il secondo consiste nel creare "modelli di lavoro" utilizzabili dal ricercatore al fine di acquisire quelle nozioni che, successivamente, egli trasferirà dalla patologia sperimentale alla patologia umana. In altre parole quest'ultimo deve creare un "modello sperimentale" (una sorta di "animale ad hoc") adeguato ai suoi fini. L'obiettivo consiste nell'isolare determinate caratteristiche (come la resistenza a talune alterazioni patologiche spontanee, la risposta a prodotti medicinali, l'incidenza di tumori spontanei, etc.) sulle quali poi il ricercatore lavorerà. Il risultato di questa operazione è l'oncomouse o oncotopo, che altro non è se non un topolino nel cui DNA è stato inserito un gene umano in grado di far sviluppare un tumore alla mammella. Questo "modello sperimentale" è stato brevettato negli Stati Uniti d'America nel 1988 e da allora è a disposizione di tutti i laboratori del mondo. Tralasciando il discorso sul diritto che l'uomo si sta arrogando di "creare" la vita e di interferire, con le manipolazioni genetiche, negli equilibri naturali del pianeta (discorso troppo ampio per essere affrontato in questa sede), va detto che l'animale transgenico non sembra si stia rivelando molto utile per il progresso scientifico. Secondo quanto riferito dal dottor Stefano Cagno in occasione di un seminario sulla sperimentazione animale tenuto al Social Forum di Firenze (novembre del 2002), l'oncomouse, in particolare, avrebbe dovuto rappresentare il modello ideale per la ricerca e invece, a distanza di quattordici anni dalla sua "invenzione", non ha portato a progressi scientifici (degni di nota) nel campo della comprensione dei meccanismi di insorgenza dei tumori o della loro cura. Osserva Cagno: "Non sarà perché continua ad essere per il 99% un topo e quindi a comportarsi in maniera significativamente diversa rispetto all'uomo?". Vorrei, infine, riportare la dichiarazione del professor Umberto Veronesi, in L'altra campana, cit., UNA, Milano, 2000, pp. 13-14, "Gran parte delle ricerche sul cancro svolte nella prima metà di questo secolo è stata eseguita su animali da laboratorio. Si sperava di ottenere un modello sperimentale che riproducesse nell'animale le condizioni di sviluppo dei tumori umani e quindi di trasferire all'uomo i risultati ottenuti. Ma intorno agli anni sessanta ci si è resi conto che questa seducente ipotesi di lavoro non era realizzabile. I tumori dei topi, dei ratti, dei polli o delle cavie sono sostanzialmente diversi da quelli dell'uomo; diverso è il loro modo di formarsi, di accrescersi, di metastatizzare. Perciò, nonostante l'enorme mole di informazioni apprese, l'utilizzazione in campo umano era trascurabile. Era dunque necessario trasferire le ricerche direttamente sui tumori dell'uomo. Ecco la scelta dell'Istituto Europeo di Oncologia: sostituire gli spazi originariamente destinati agli stabulari per impiantarvi laboratori di colture cellulari che studiano le cellule del singolo malato, così da dettagliare sia il tumore sia la terapia". Sostanzialmente identica è l'opinine di Croce su cui si veda P. Croce, Vivisezione o scienza, cit., pp. 50 e ss.

56. I vivisezionisti cosiddetti "riduzionisti" parlano di metodi "alternativi" riferendosi a tutte quelle tecniche che riducono il numero di animali necessario per un determinato saggio; raffinano tecniche classiche su animali; rimpiazzano gli animali. Viceversa, gli antivivisezionisti abolizionisti riconoscono solo la validità scientifica di metodiche che non prevedono l'impiego di animali non condividendo il termine "alternativo" in quanto la sperimentazione sugli animali non essendo un metodo scientifico non è proponibile in alternativa ad alcunché.

57. Cfr. J. Stone, Science, Magic and Political Action: a Response to the Antivivisection Movement, in Neuroscience, Vol. 57, n. 1, Pergamon Press Ltd, Great Britani 1993, p. 213.

58. Si veda National Association for Biomedical Research (NABR), Animal Research Crisis Management Manual, NABR, Washington, DC, 1989, per informazioni più dettagliate in merito alla predisposizione di un piano difensivo contro gli attacchi antivivisezionisti.

59. R. C. Van Sluyters, Antivivisectionist Attacks on Neuroscientists: Fighting Back, in Neuroscience, Vol. 57, n. 1, Pergamon Press Ltd, Great Britain 1993, pp. 205-209.

60. Cfr. R. C. Van Sluyters, Antivivisectionist Attacks on Neuroscientists: Fighting Back, cit., p. 209.

61. Di fondamentale importanza nella crescita del numero delle università e dei corsi di specializzazione nei quali si è abbandonato il ricorso alla sperimentazione sugli animali, è stato ed è tuttora il "Progetto Salva la rana" sul quale si veda il Capitolo II, paragrafo 2.5.6.

62. Per ulteriori dettagli si rinvia a quanto detto nel Capitolo II, paragrafo 2.5.3.

63. Su questa impostazione, come rilevato, il dottor Garattini ritiene più appropriato riferirsi ai metodi che riducono o escludono la sperimentazione in vivo usando il termine "complementari" piuttosto che "alternativi" o "sostitutivi".

64. M. Campli, Sperimentazione animale: le ragioni etiche, cit., p. 9.

65. Cfr. P. Croce, Vivisezione o scienza, cit., pp. 2 e ss.

66. Cfr. Consiglio Nazionale delle Ricerche, Commissione di bioetica, Documento sulla sperimentazione animale della Sottocommissione di bioetica, CNR, Roma, 1992, pp. 19 e ss. Questo documento muove dal convincimento della ineluttabilità della sperimentazione sugli animali soprattutto nel settore della ricerca, della quale analizza gli aspetti tecnico-scientifici oltre che morali e giuridici; persegue il fine di mediare il crescente fenomeno dell'intolleranza animalista con la necessità che i ricercatori hanno di utilizzare modelli sperimentali alternativi a quello umano.

67. Cfr. C. Scandellari, Ricerca biomedica e sperimentazione sull'animale, in Rivista Italiana di medicina legale, II, 1980, pp. 498-504; R. Scarpe, Animal Experiments, in G. Langley, Animal Experiments, The Consensus Change, Houndsmills, London, 1989, pp. 88-117.

68. Per questo motivo, al momento della selezione del materiale per questo lavoro, ho deciso di riferirmi solo alle opinioni di coloro che possono vantare competenze scientifiche, nell'intento di lasciare ai margini ogni spiegazione sentimentalista.

69. Si segnala, inoltre, che il problema delle avvertenze da rispettare nella sperimentazione animale è stato accuratamente esaminato da molti autori, tra i quali C. Hollands, Trivial and Questionable Research on Animals, in G. Langley, Animal Experiments, The Consensus Change, Houndsmills, London, 1989, pp. 118-143.