ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo II
Il minore straniero e l'abbandono

Cosimo Di Bari, 2003

1. Premessa

La condizione del minore straniero in Italia è soggetta a forme particolari di tutela e protezione, dettate sia dalle leggi ordinarie in tema di tutela, affidamento e adozione, sia dalla legge sull'immigrazione, n. 40/1998 (modificata dalla legge 30 luglio 2002, n. 189), la quale ha disciplinato istituti come il ricongiungimento familiare; il divieto di espulsione; il soggiorno per motivi di protezione sociale; le condizioni per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno; tutela del diritto all'unità familiare; l'assistenza sanitaria e il diritto allo studio.

Queste ed altre disposizioni riflettono e sanciscono la necessità di riconoscere al minore, indipendentemente dalla sua nazionalità e dal fatto che il suo status sia di immigrato regolare o irregolare, la titolarità di una condizione giuridica particolare, fatta di diritti inviolabili e di superiori interessi che devono essere tenuti in preminente considerazione, in ogni decisione relativa ai fanciulli di competenza di organi amministrativi, giurisdizionali o legislativi, come detta l'art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo stipulata a New York il 20 novembre 1989 e ribadisce il comma 3 dell'art. 26 legge n. 40/98 (1). Va segnalato in proposito che nella stessa normativa sull'immigrazione alcune disposizioni particolari riguardanti i rapporti familiari dei minori appaiono costituire diretta applicazione di questo principio. Si pensi in particolare al ricongiungimento del genitore naturale (2), al trattamento più favorevole riservato ai genitori stranieri di minori italiani (3), o ancora alla speciale procedura con cui il Tribunale per i minorenni può autorizzare temporaneamente l'ingresso o la permanenza in Italia di parenti di minori che già si trovano sul territorio nazionale.

Oltre alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, la condizione del minore è tutelata anche da diverse altre Convenzioni internazionali, in particolare in tema di affidamento, adozione, protezione, sottrazione internazionale e rimpatrio dei minori. Fra queste si possono ricordare: la Convenzione concernente la competenza delle autorità e la legge applicabile in materia di protezione dei minori, stipulata a L'Aja, il 5 ottobre 1961 (4); la Convenzione europea relativa al rimpatrio dei minori, anch'essa stipulata a L'Aja, il 28 maggio 1970 (5) e la Risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea del 26 giugno 1997 sui minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi.

Per quel che riguarda invece la legge italiana in materia di minori stranieri, il susseguirsi di riforme e interventi da parte del legislatore negli ultimi cinque anni ha creato un panorama normativo che si presenta spesso confuso e talvolta anche lacunoso. I testi legislativi a cui si farà riferimento in questo capitolo si possono così riepilogare: la legge 6 marzo 1998, n. 40 contenente la "Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero", che è stata poi raccolta in un Testo Unico emanato con Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successivamente modificata dal Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 113 e dalla legge 30 luglio 2002, n. 189; la legge 31 dicembre 1998, n. 476 "Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, stipulata a L'Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri" e naturalmente la legge 4 maggio 1983, n. 184 sull'adozione e l'affidamento dei minori come modificata dalla legge 149/2001.

La legge n. 189/2002 ha anche ridefinito composizione e competenze del Comitato per i minori stranieri, già operante dal 1994 presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e regolamentato dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 dicembre 1999, n. 535 "Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri, a norma dell'articolo 33, commi 2 e 2-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286".

In virtù di questo variegato scenario è necessario chiarire che quando si fa riferimento ai "minori stranieri" si utilizza una definizione assai generica e vaga che non è assolutamente sufficiente per individuare e determinare, come si vorrebbe, una certa categoria di soggetti. Infatti, per fare un esempio. con la stessa dizione ci possiamo riferire sia ad un bambino straniero giunto in Italia in affidamento preadottivo, sia al figlio di immigrati extracomunitari arrivato in Italia insieme ai genitori, parlando di due soggetti che in comune hanno solo la cittadinanza, che originariamente non è italiana, ma i cui status si differenziano enormemente. Lo straniero in affidamento preadottivo, infatti, è sottoposto alla disciplina prevista dalla legge n. 476/98 (6) sull'adozione internazionale; egli, perciò, acquisterà la cittadinanza italiana al momento in cui diverrà definitivo il provvedimento di adozione. Completamente diversa, invece, è la situazione del figlio di lavoratori immigrati extracomunitari; egli è sottoposto alla disciplina prevista dalla legge sull'immigrazione sia per quanto riguarda il suo ingresso, sia per quanto riguarda le modalità e i tempi del suo soggiorno e la sua eventuale espulsione.

Si tratta solo di un esempio per comprendere che sotto la medesima, generica dizione di "minori stranieri" rientrano categorie di soggetti il cui status si differenzia di molto a seconda che siano comunitari o extracomunitari, che abbiano fatto ingresso in Italia accompagnati da un adulto o meno, che siano profughi o rifugiati, che il loro soggiorno in Italia sia regolare o irregolare. Se per minore straniero si può intendere semplicemente un soggetto minore di anni diciotto e non in possesso della cittadinanza italiana, sarà sicuramente più complesso capire, in base alla sua specifica condizione quali siano i diritti riconosciutigli dal diritto internazionale e dalla legislazione italiana.

Preliminarmente andrà quindi chiarita la definizione di "minore straniero non accompagnato" e quali minori rientrino in tale definizione.

Il Regolamento del Comitato per i minori stranieri stabilisce, riprendendo sostanzialmente la definizione della Risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea del 26 giugno 1997, che per minore straniero non accompagnato si intende "il minorenne non avente cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano".

Vi sono poi alcuni aspetti non chiari riguardo alla definizione di "non accompagnato", ad esempio vi sono dei dubbi se il minore affidato di fatto, in assenza di un provvedimento formale di affidamento o tutela, ad un parente entro il quarto grado idoneo a provvedervi sia da considerarsi "minore non accompagnato", in quanto si trova in Italia "privo di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano"; o se, al contrario, debba escludersi da tale definizione in quanto legittimamente affidato dai genitori nell'ambito del gruppo parentale.

Il primo Presidente del Comitato per i minori stranieri, prof. Vercellone, ha sostenuto un'interpretazione che includeva i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado nella definizione di "minore non accompagnato" (7).

Inoltre rispetto alla definizione di "minore", c'è il dubbio se essa debba basarsi sulla legislazione italiana o sulla legislazione dello Stato di nazionalità del minore.

La legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato 218/95 stabilisce infatti all'art. 42 che la protezione del minore è regolata dalla Convenzione de L'Aja del 1961 e che tale Convenzione si applica anche ai cittadini stranieri considerati minorenni solo dalla legge nazionale dello Stato di cui hanno la cittadinanza.

C'è da chiedersi se tale estensione della protezione del minore anche oltre i 18 anni, ove la sua legge nazionale ponga il raggiungimento della maggiore età oltre il compimento del diciottesimo anno, debba essere applicata anche nei procedimenti in cui si decide sul suo interesse a restare in Italia o ad essere rimpatriato.

Infine, in relazione alla presentazione della domanda di asilo, non è chiaro se, in caso di rigetto della domanda da parte della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, la competenza passi al Comitato per i minori stranieri.

2. Attività di protezione

In materia di protezione dei minori l'individuazione della legge applicabile e dell'autorità competente avviene, in base all'art. 42 della legge 31 maggio 1995, n. 218 di riforma del diritto internazionale privato, con riferimento alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961.

In base all'art. 1 della suddetta Convenzione le autorità, sia giudiziarie che amministrative, dello Stato di residenza abituale di un minore sono competenti, in linea generale, ad adottare misure tendenti alla protezione della sua persona o dei suoi beni. In tale ambito devono ricomprendersi sia quelle misure di protezione che vengono poste in essere quando i genitori del minore manchino o siano impediti o inidonei all'esercizio della potestà, sia quelle necessarie quando in caso di emancipazione sia riconosciuta al minore una capacità limitata.

Il riferimento alla Convenzione del 1961 ha quindi determinato nel diritto internazionale privato italiano l'abbandono dei criteri della cittadinanza del minore e della cittadinanza, residenza o domicilio del genitore, e l'assunzione invece, a criterio generale, della residenza abituale del minore.

Si può quindi distinguere due tipi di competenza: una generale di cui è titolare lo Stato di residenza abituale del minore e una sussidiaria di cui, invece, è titolare lo Stato di nazionalità del minore e che si esplica ove il minore lo esiga.

Già la Convenzione dell'Aja prevedeva che tutte le autorità che hanno adottato misure previste dalla Convenzione ne informino senza indugio le autorità dello Stato di appartenenza dello straniero. A ciò si è aggiunta la norma dell'art. 2, comma 6 del Testo unico sull'immigrazione, per la quale l'autorità giudiziaria, l'autorità di pubblica sicurezza e ogni pubblico ufficiale hanno l'obbligo di informare la rappresentanza diplomatica o consolare più vicina del paese a cui appartiene lo straniero nel caso in cui essi abbiano adottato, fra gli altri, provvedimenti di tutela dei minori o di status personale.

Infine vi è una competenza in via provvisoria e di urgenza prevista dagli artt. 8 e 9 della Convenzione dell'Aja e che fa capo allo Stato di residenza abituale del minore o dove il minore si trova.

Le autorità amministrative e giudiziarie dello Stato di residenza abituale, dunque, adottano le misure previste dalla loro legislazione interna (8). Questo perciò significa che al minore straniero in Italia si applicheranno le normali misure di protezione previste dalle nostre leggi.

Affinché si possano applicare le norme italiane di protezione occorre che il minore straniero abbia "residenza abituale" in Italia. Ciò va ritenuto quando il minore ha formalmente la residenza in Italia, cioè quando è regolare, ma anche quando pur senza regolarizzare la sua posizione è presente in modo costante nel territorio; in caso contrario potranno essere applicate solo le norme di urgenza.

La Convenzione del 1961 non contiene una definizione di residenza abituale. Tale definizione non è univoca, ma nella giurisprudenza straniera la residenza abituale viene in genere definita come il centro di gravità della vita del minore, facendo riferimento agli effettivi legami familiari e sociali del minore.

La definizione dello Stato di residenza abituale attiene a una valutazione di fatto e non di diritto, tanto che può essere considerato tale anche lo Stato in cui il minore sia stato trasferito illegittimamente, cioè contro la volontà dei genitori. Esso non coincide né con lo Stato nazionale né con lo Stato di residenza anagrafica, né del minore né dei genitori (9).

In questa valutazione assume particolare importanza, anche se non risolutiva, dato che si tratta di una valutazione di fatto e caso per caso, l'elemento temporale: lo Stato in cui il minore si trova può essere cioè considerato "Stato di residenza abituale" dopo un certo periodo di tempo, che in giurisprudenza viene spesso fissato intorno ai 6 mesi (10).

Dunque il minore straniero irregolarmente presente sul territorio italiano può essere considerato "abitualmente residente" in Italia in considerazione degli effettivi legami che si sono creati tra il minore ed il territorio, del tempo trascorso, della volontà sua e dei genitori.

In tal caso, ove il minore venga considerato "abitualmente residente" sul territorio italiano, lo Stato italiano diviene competente in via generale ad adottare tutte le misure di protezione nei suoi confronti e, ove il minore sia minacciato da un serio pericolo, anche misure che modificano misure eventualmente adottate dallo Stato di nazionalità del minore e rapporti d'autorità ex lege.

Vi sono poi da individuare le norme italiane applicabili, una volta appurato che la Convenzione dell'Aja non contiene una definizione delle misure tendenti alla protezione del minore, né un'elencazione esaustiva o indicativa. Si ritiene che si debbano intendere comprese nell'ambito della Convenzione la tutela ex artt. 343 e sgg. del codice civile, gli interventi urgenti di protezione della pubblica autorità ex art. 403 c.c., gli affidamenti eterofamiliari ex artt. 2-5 della legge sull'adozione, i provvedimenti giudiziari relativi all'esercizio della potestà genitoriale ex artt. 330 e sgg. del codice civile (11). Infine può sorgere il problema dell'applicabilità in Italia di misure ed istituti non conosciuti dal nostro ordinamento. Infatti la Convenzione dell'Aja prevede che lo Stato di cui il minore è cittadino può, dopo avere informato lo Stato di residenza del minore, adottare in base alla propria legislazione interna misure miranti alla protezione del minore, curandone anche l'applicazione (12). Tali misure prevalgono e sostituiscono quelle emanate dalle autorità italiane, che sono tenute a riconoscerle (13). Questo determina, proprio al fine di estendere al massimo il sistema di protezione del minore, l'ingresso nel nostro sistema di istituti veramente differenti, quali il trust (14) proprio dei paesi di diritto anglosassone e l'istituto islamico della kafalah (15).

Di fronte a casi di estrema urgenza, le autorità dello Stato in cui si trova il minore devono adottare le misure di protezione "necessarie" (16); tali misure sono inevitabilmente provvisorie, destinate a cessare non appena lo Stato di appartenenza avrà adottato le misure definitive.

Le autorità italiane possono disporre provvedimenti urgenti nei confronti del minore straniero presente sul territorio italiano in base

  • alle disposizioni previste dal Codice civile e dalla legge sull'adozione (17), in particolare l'art. 37-bis, modificato dalla legge 476/98, che estende al minore straniero in stato di abbandono l'applicazione della legge italiana;
  • all'art. 9 della Convenzione dell'Aja, secondo il quale le autorità italiane possono intervenire in tutti i casi di urgenza nei confronti del minore straniero anche solo presente sul territorio italiano (18).

Su quali siano le misure di urgenza applicabili dal nostro ordinamento e quale sia l'autorità competente è intervenuta la legge n. 64/94 (19), che all'art. 3 stabilisce che l'adozione dei provvedimenti provvisori e urgenti previsti dalla Convenzione dell'Aja spetta al Tribunale per i minorenni del luogo ove il minore risiede (20).

Tuttavia, il Regolamento del Comitato per i minori stranieri, all'art. 3, comma 5 dispone che: "In caso di urgenza, per situazioni in relazione alle quali sia improcrastinabile l'intervento a tutela della salute psicofisica del minore, i poteri del Comitato sono esercitabili dal presidente o da un componente da lui delegato, salva la ratifica da parte del Comitato nella prima riunione successiva all'esercizio dei poteri medesimi. I provvedimenti non ratificati perdono efficacia dal momento in cui sono stati adottati" (21).

Non è chiaro come si possa conciliare la competenza del Comitato per i minori stranieri con quella dell'Autorità Giudiziaria minorile, ed in particolare se il Comitato debba intervenire solo quando non sia stata fatta la segnalazione all'Autorità Giudiziaria minorile.

Non è chiaro, inoltre, se il Comitato può adottare gli stessi provvedimenti che possono essere disposti dall'Autorità Giudiziaria minorile.

3. Tutela, interventi sulla potestà genitoriale e affidamento

Il nostro ordinamento prevede una serie di interventi a protezione del minore nel caso in cui i genitori esercenti la potestà manchino in maniera definitiva o temporanea. Tali interventi trovano una diversa e a volte amplia applicazione anche per quanto riguarda i minori stranieri.

In base all'art. 343 del codice civile qualora entrambi i genitori siano morti o per altre ragioni non possano esercitare la loro potestà, viene aperta la tutela. Il tutore, nominato dal giudice tutelare, oltre al dovere di curare il minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni.

L'apertura della tutela, in questi casi, è obbligatoria; perciò essa deve trovare applicazione anche nei confronti dei minori stranieri, qualunque sia il loro status giuridico.

Tuttavia non è chiaro se, per ogni minore non accompagnato dai genitori, si debba sempre aprire la tutela. A favore di un'interpretazione positiva, oltre al disposto dell'art. 343 c.c., si è pronunciata la Corte d'appello di Torino con un decreto del 10 dicembre 1999, la quale riconosce quanto sia importante per il minore straniero disporre della rappresentanza di un tutore nell'ambito del procedimento in cui si decide sul suo interesse a restare in Italia o ad essere rimpatriato. Il decreto in questione, infatti, dispone che: "Attribuire una rappresentanza tutoria ad un minore straniero, che si trovi in Italia da solo, è importante sia perché possano essere fatti valere i suoi diritti (allo studio, alla salute, all'educazione, ad una casa dove poter abitare, ad una crescita equilibrata ecc.), sia per la sua assistenza ove commetta un reato, sia specificatamente perché il tutore possa rappresentare l'interesse del minore nelle procedure amministrative o giudiziarie che deve portare ad una decisione circa la permanenza in Italia o il rimpatrio per il ricongiungimento alla famiglia. Uno dei compiti del tutore di un minore straniero non accompagnato deve essere quello di rappresentarlo per la delicata scelta fra il suo rimpatrio o l'accoglienza nel nostro paese".

A favore invece di una risposta negativa vi sarebbe quanto disposto dall'art. 3, comma 6 del Regolamento del Comitato per i minori stranieri che prevede la segnalazione al Giudice Tutelare per l'apertura di una tutela non in via generale ma "in caso di necessità" e solo come ipotesi eventuale: "In caso di necessità, il Comitato comunica la situazione del minore al giudice tutelare competente, per l'eventuale nomina di un tutore provvisorio."

Soprattutto in questi casi con l'istituzione del Comitato per i minori stranieri sono sorti alcuni problemi di competenza. In precedenza si riteneva che spettasse al giudice tutelare effettuare una valutazione dell'interesse o meno del minore a rimanere in Italia, disponendo ai sensi dell'art. 371 comma 1, n.1 c.c., ma tale competenza sembra essere passata al Comitato, il quale secondo la legge adotta il provvedimento di rimpatrio del minore straniero non accompagnato, previo eventuale nulla osta del Tribunale per i minorenni, qualora sia in corso un procedimento giudiziale nei confronti del minore (22).

Al riguardo Lorenzo Miazzi, giudice del Tribunale di Rovigo e responsabile per l'area minorile della rivista Diritto, immigrazione e cittadinanza, ritiene che al compimento del diciottesimo anno di età al minore affidato ai sensi dell'art. 2 della legge sull'adozione, e per analogia al minore senza genitori che sia stato collocato dal giudice tutelare (23), può essere rilasciato un permesso di soggiorno definitivo, anche se giunto in Italia irregolarmente.

La figura del tutore è molto importante, in quanto questi rappresenta gli interessi del minore nell'ambito di tutte le procedure, di assistenza o di sostegno. Per questo motivo è prassi che il tutore dei minorenni stranieri venga individuato nella persona che nelle istituzioni rappresenta l'organo di assistenza o nel responsabile delle strutture, anche private o di volontariato, che concretamente si occupano del minore.

Gli interventi sulla potestà genitoriale sono di competenza del tribunale per i minorenni.

La legge sull'adozione, all'art. 2, disciplina l'affidamento familiare e in alternativa quello ad una comunità di tipo familiare col fine di assicurare al minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo il necessario mantenimento, educazione e istruzione. Questo istituto risulta particolarmente adatto e trova ampia applicazione presso le famiglie straniere con bambini, "idonee", ma che sovente si trovano in difficoltà nell'accudimento. L'affidamento può così svolgere una funzione di aiuto nei confronti della famiglia immigrata alla quale il minore appartiene.

L'art. 4 della legge 184/83 prevede che l'affidamento familiare sia disposto:

  • dal servizio locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore (affidamento consensuale);
  • dal Tribunale per i minorenni, ove manchi l'assenso dei genitori esercenti la potestà o del tutore; in tal caso si applicano gli articoli 330 e seguenti del Codice Civile (affidamento giudiziale).

Il regolamento di attuazione della legge 476/98, D.P.R. 492/99, "facendo salve" le disposizioni del dlgs. 113/99, attribuisce al Comitato le competenze "concernenti l'ingresso, il soggiorno, l'accoglienza e l'affidamento temporanei e il rimpatrio assistito dei minori presenti per qualsiasi causa nel territorio dello Stato e privi di assistenza e rappresentanza". Questo determina alcuni problemi in relazione alla competenza sui provvedimenti di affidamento nel caso di minori stranieri non accompagnati, i quali non sembra più che debbano essere disposti dai servizi sociali o dal Tribunale per i minorenni, ma dal Comitato per i minori stranieri.

In effetti, alcuni Tribunali per i minorenni, come ad esempio il Tribunale per i minorenni di Milano, si sono espressi in questo senso, sostenendo di non essere più competenti a disporre provvedimenti di affidamento di minori stranieri non accompagnati, in quanto la competenza sarebbe ormai esclusivamente del Comitato per i minori stranieri. È evidente, tuttavia, che un regolamento non può modificare una legge, e quindi sembra pacifico che i provvedimenti di affidamento debbano essere disposti, secondo le modalità previste dalla legge 184/83, dal Tribunale per i minorenni o dai servizi sociali (24).

Il minore non accompagnato vede così applicata nei suoi confronti la legge italiana in materia di affidamento, ma secondo quali modalità? È importante che si stabiliscano regole e prassi comuni per stabilire se l'affidamento dei minori stranieri non accompagnati debba essere disposto: mediante affidamento giudiziale disposto dal Tribunale per i minorenni, in mancanza dell'assenso dei genitori o del tutore; ovvero mediante affidamento consensuale, disposto dai servizi locali previo consenso manifestato dai genitori o dal tutore. L'affidamento consensuale è sempre da ritenersi la soluzione preferibile, tuttavia, per il minore non accompagnato si incontrano serie difficoltà di carattere giuridico per l'ottenimento del consenso. Le soluzioni prospettate sono:

  • il Giudice Tutelare nomina un tutore, che dà poi il consenso all'affidamento;
  • il consenso all'affidamento può essere manifestato dall'istituto di pubblica assistenza (ovvero, in genere, l'Ente locale) in quanto esercente i poteri tutelari ex art. 402 del Codice Civile;
  • si può ipotizzare la possibilità per i genitori di manifestare il consenso all'affidamento mediante atto notarile legalizzato presso la Rappresentanza Diplomatico-Consolare italiana nel paese d'origine.

A proposito dell'affidamento consensuale, il Tribunale per i minorenni e la Procura della Repubblica per i minorenni di Venezia in un documento comune (25) si sono così espresse: "Poiché il minorenne, non accompagnato immigrato da solo (eventualmente anche in accordo con i familiari rimasti nel paese d'origine) è pur sempre un minore nei confronti del quale i genitori non possono esercitare la potestà, il caso potrà essere segnalato al Giudice Tutelare del luogo ove il minore è stato accolto per l'apertura della tutela ai sensi dell'art. 343 c.c. Il tutore così nominato potrà dare il consenso per l'affidamento familiare, qualora sia questo il provvedimento disposto dal Servizio Locale ai sensi dell'art. 4 della legge 184/83. Qualora il minore sia stato accolto presso una struttura assistenziale il Comune quale ente erogatore dell'assistenza può essere considerato Istituto di Pubblica Assistenza che esercita i poteri tutelari sul minore ricoverato o assistito ai sensi degli artt. 3 e 5 della legge 184/83."

4. La legge n. 476/98 e l'art. 37-bis

In questo paragrafo cercherò di mettere in luce le principali novità introdotte dalla legge 476/98, entrata in vigore dal 16 novembre del 2000, sia per quanto riguarda i principi generali che adesso illuminano la disciplina dell'adozione internazionale, sia, soprattutto, per quanto riguarda la modifica dell'art. 37-bis che si occupa dei minori stranieri presenti sul territorio italiano.

La legge 476/98, innovando la precedente legislazione, introduce e rende effettivi i principi stabiliti dalla Convenzione dell'Aja del 29 maggio 1993, ossia il rispetto dei diritti fondamentali del fanciullo, la prevenzione del rapimento, vendita o tratta di bambini, la determinazione della responsabilità dello Stato di origine in caso di scarsa valutazione della sussistenza dei presupposti per l'adozione e dello Stato ricevente in caso di mancata ottemperanza dell'obbligo di verificazione dell'idoneità giuridica e psico-sociale degli adottanti.

Il perseguimento di tali obiettivi è stato possibile soprattutto grazie alla costituzione di un organo di controllo del procedimento adottivo quale la Commissione Centrale per le adozioni internazionali, incaricata di coordinare la cooperazione tra le autorità giudiziarie e amministrative, nonché un potenziamento della rete capillare di servizi e la previsione di criteri rigorosi, ai quali devono assoggettarsi gli enti che aspirano ad operare in questo settore al fine di ottenere l'autorizzazione allo svolgimento delle attività.

L'art. 38 della legge n. 184/83, come modificata dalla legge n. 476/98 istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri la Commissione per le adozioni internazionali. Si tratta di una commissione intergovernativa, presieduta da un magistrato con esperienza nel settore minorile nominato dal Presidente del Consiglio, che ha tra i suoi compiti quello di collaborare con le autorità centrali per le adozioni internazionali degli altri Stati ai fini dell'attuazione delle convenzioni internazionali in materia di adozione, di proporre la stipulazione di accordi bilaterali in materia di adozione internazionale. Ogni singola adozione internazionale passa al vaglio della Commissione che ne certifica la conformità alle disposizioni della Convenzione e autorizza l'ingresso e il soggiorno permanente del minore straniero adottato o affidato a scopo di adozione.

L'art. 37-bis stabilisce che "Al minore straniero che si trova nello Stato in situazione di abbandono si applica la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza". Esso, rispetto alla normativa precedente ed in particolare all'art. 37, sostituisce il termine "stato di abbandono" con "situazione di abbandono", sottolineando così una linea di tendenza politica e legislativa ampliativa dell'ambito di operatività della legge (26). In passato la dottrina prevalente era per un applicazione della norma limitatamente ai soli minori stranieri adottandi per i quali avesse avuto esito negativo il periodo di affidamento preadottivo, o per quelli cui non fosse stata riconosciuta efficace o trascrivibile l'adozione pronunciata all'estero. L'art. 37-bis, invece, viene adesso comunemente percepito come applicabile a qualunque minore in stato di abbandono e presente in Italia. Si vuole, dunque, ampliare la portata della norma anche a tutte quelle misure applicabili in materia di "affidamento e provvedimenti di urgenza", cioè anche a quelle situazioni non finalizzate alla mera procedura di adottabilità (27).

Non può più essere sostenuto, dunque, che la "situazione di abbandono", a cui si riferisce la norma contenuta nell'art. 37-bis, si riferisca a quella attinente alla procedura di adottabilità e non anche a situazioni di abbandono materiale in cui può versare il minore straniero, che si trovi in Italia non accompagnato, ma non per questo privo di rapporti significativi con la famiglia.

Il nostro ordinamento contiene due nozioni dello stato di abbandono: il minore privo di assistenza perché abbandonato o smarrito; e il minore del quale venga accertata la totale irreversibile mancanza di assistenza morale e materiale da parte dei parenti tenuti a provvedervi.

Ai minori stranieri, in entrambe le accezioni di stato di abbandono in Italia, al di fuori di ogni procedura di adozione internazionale, si applica l'art. 42 della legge 218/95, che dispone, in materia di giurisdizione e di legge applicabile per la protezione dei minori, il rinvio recettizio alla Convenzione dell'Aja del 1961, resa esecutiva in Italia con la legge 742/80.

Il Tribunale per i Minorenni, qualora si trovi di fronte ad una situazione che evidenzia gli estremi di un caso di abbandono nel quale sono necessarie forme di protezione diverse dall'adozione, sarà tenuto ad un giudizio complesso, in cui tenere conto anche delle possibili prove e della casistica giurisprudenziale. Infatti il Tribunale nell'aprire la procedura di adottabilità, deve tenere sempre presente che "l'abbandono" non può essere un fatto del minore, ma dei parenti. Anche nel caso del minore non riconosciuto, la sua condizione di abbandono è giuridicamente rilevante ai fini dell'adottabilità solo in quanto rivelatrice di un fatto, sia pure omissivo, attribuibile ai genitori (28).

I provvedimenti, emessi in base all'art. 37-bis, risultano essere pertanto quelli emessi in fase di urgenza o volti alla procedura di adozione e di affido familiare a sostegno della famiglia di origine, in quanto atti ad evitare il costituirsi di situazioni di abbandono. Risultano invece esclusi, i provvedimenti incidenti sulla potestà genitoriale, sull'affidamento del minore in caso di separazione o divorzio, o quelli sull'amministrazione dei suoi beni o rappresentanza dei suoi interessi (29).

Inoltre, malgrado l'applicazione dell'art. 37-bis, implichi, una delicata operazione interpretativa, si è affermata la necessarietà dell'applicazione dell'articolo, perché volto a garantire sempre ed in ogni modo l'interesse del minore, indipendentemente dalla sua nazionalità.

Nell'applicazione dell'art. 37-bis, il giudice incontra però dei limiti. Infatti, malgrado il suo carattere di norma speciale e prevalente rispetto a quelle italiane di diritto internazionale privato, tale articolo si pone anche come norma generale e derogabile, qualora nel futuro vengano recepiti accordi bilaterali sulla condizione giuridica di minori stranieri in situazione di abbandono in Italia (30).

In particolare tali accordi hanno spesso significato la recezione da parte dell'Italia di un impegno al rimpatrio dei minori provenienti da quel paese. Al riguardo si può far l'esempio della legge 502/94 con cui l'Italia prese l'impegno al rimpatrio di un folto gruppo di bambini evacuati dal Ruanda e accolti a titolo provvisorio nel territorio nazionale (31). Diverso appare il caso in cui fu costituito un Comitato per i minori albanesi non accompagnati, allorquando lo Stato italiano si trovò ad affrontare l'improvvisa ondata migratoria proveniente dall'Albania all'inizio degli anni '90; il Comitato aveva lo scopo di coordinare gli interventi assistenziali e giudiziari nei confronti dei bambini e adolescenti albanesi (32).

Non vi sono, dunque, dubbi riguardo all'applicabilità dell'art. 37-bis, e conseguentemente di tutta la legislazione italiana in materia di adozione, nei confronti dei minori stranieri che vivono stabilmente in Italia con genitori stranieri regolarmente soggiornanti. Piuttosto, in questi casi, il problema sembra spostarsi dalla teoria alla pratica, dall'individuazione della normativa applicabile alla concreta valutazione della situazione di abbandono del minore straniero da parte del giudice. Una volta chiarito che al minore straniero in stato di abbandono si applica la stessa legge che al minore italiano ci dobbiamo chiedere se, per qualificare lo stato di abbandono o di pregiudizio dello straniero, il giudice debba utilizzare il metro di valutazione della nostra cultura occidentale che viene utilizzato per l'italiano.

L'operazione valutativa del giudice non potrà prescindere dall'interpretazione combinata dell'art. 37-bis con i principi fondamentali della nostra costituzione e le convenzioni internazionali. In tal senso è l'art. 20 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 1989 il principale punto di riferimento, esso indicando l'area di intervento dello Stato, con la descrizione di una sorta di stato di abbandono (33), ne delinea anche le modalità: "si terrà debitamente conto della necessità di una certa continuità nell'educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica".

Sul tema si è espressa Melita Cavallo sostenendo che per il minore adottato "rispetto dell'identità significa riconoscimento e accettazione delle radici esistenziali, che costituiscono un parametro, da cui non è oggettivamente lecito prescindere, della vita psicologica dell'essere umano" (34).

Rispettare l'identità del minore straniero significa tenere conto, durante la valutazione del caso concreto, della cultura di appartenenza. Diverse culture portano gli individui ad agire in modo diverso; tali condotte necessitano di un decodificazione, che deve tenere conto proprio della cultura di appartenenza del minore, al fine di capire cosa porta ad un determinato comportamento che magari, apparentemente, è in contrasto con i canoni della nostra cultura occidentale (35). Una cultura, come ad esempio la nostra, dove certi principi di carattere igienico o certi principi di assoluta non violenza fisica nei confronti dei bambini sono ben radicati, chi viene meno a questi valori dimostra una chiara disattenzione per il minore. In un altro tipo di cultura, un'eventuale minore attenzione dei medesimi principi o un comportamento che può sembrarci in qualche modo prevaricante e anche violento, invece per quella cultura, una volta decodificata, nasconde un forte rapporto affettivo (36).

La giurisprudenza degli ultimi dieci anni non si discosta da quest'ottica. Così si è ritenuto che l'abbandono non ci fosse, in considerazione anche "delle costumanze e della mentalità della etnia di loro appartenenza", nel caso di genitori, facenti parte della comunità nomade di Napoli i quali, dopo aver affidato la figlia in tenerissima età ad una coppia di coniugi italiani, e averla per lungo tempo trascurata, vista solo poche volte e per breve tempo, ne avevano richiesto il riaffidamento (37). Più esplicitamente si è affermato che non si deve arrivare alla dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, qualora non risulti un comportamento abbandonico volontario, ma l'insufficiente svolgimento delle funzioni genitoriali sia riconducibile alle difficoltà di inserimento e sistemazione dei genitori, extracomunitari e provenienti da un paese del cosiddetto terzo mondo, in un contesto socio-economico caratterizzato da valori, costumi e tradizioni a loro estranei (38). Ancora a Napoli è stato escluso che ci fossero né abbandono né violazione dei doveri parentali per una minore ultrasedicenne, appartenente ad una comunità nomade che, nelle ore serali, era stata sorpresa in verosimile comportamento mendico, visto che una minore di quell'età è considerata più che matura dalla comunità di sua appartenenza e visto lo stile di vita abituale di vita della comunità nomade (39).

Il giudice, nella valutazione del caso concreto, deve dunque tener conto che trascuratezza e abbandono sono situazioni che possono avere origine dalla cultura di appartenenza del minore. Tuttavia, nel rispetto di tali principi, non va dimenticato che l'identità etnica è un valore comunque e sempre subordinato al preminente interesse del minore. In tal senso la Corte suprema ha affermato che "la tutela delle minoranze etniche non può mai comportare un affidamento tale da ingenerare nel minore un gravissimo disorientamento psicologico ed affettivo, dato che la graduazione degli interessi da tutelare impone che si dia una preferenza all'esigenza di equilibrio psico-affettivo del minore rispetto alla tutela della sua identità etnica" (40).

5. La disciplina in materia di immigrazione

5.1. Premessa

L'intera disciplina dell'ingresso, permanenza, respingimento ed espulsione degli stranieri, compresi i minorenni, è stata modificata profondamente dalla legge 6 marzo 1998, n. 40 (41).

L'articolo 1 della legge prevede che essa si applichi "ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione Europea e agli apolidi", perciò i soggetti cui sono dirette norme e disposizioni di questa legge sono gli extracomunitari.

Dal momento che l'oggetto di questo paragrafo è l'applicazione della legge sull'immigrazione al minore straniero e in particolare al minore non accompagnato è opportuno, prima di descrivere e analizzare la normativa, introdurre brevemente composizione e compiti del Comitato per i minori stranieri.

5.2. Il Comitato per i minori stranieri

L'art. 33 del Testo unico istituisce presso la Presidenza dal Consiglio dei ministri il Comitato per i minori stranieri con la funzione di "vigilare sulle modalità di soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato e di coordinare le attività delle amministrazioni interessate".

Il Comitato è composto da nove rappresentanti, provenienti nel numero di uno dal Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio, dal Ministero degli affari esteri, dal Ministero dell'interno, dal Ministero della giustizia e dall'Unione delle provincie italiane, e nel numero di due dall'Associazione nazionale dei comuni italiani e dalle organizzazioni maggiormente rappresentative operanti nel settore dei problemi della famiglia e dei minori non accompagnati.

Con l'entrata in vigore del Dlgs. 113/99, le competenze del Comitato per i minori stranieri non riguardano più solo i "minori accolti", cioè i minori temporaneamente ammessi nell'ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea, ma anche i "minori presenti non accompagnati".

Così il Comitato:

  • riguardo ai "minori accolti" nell'ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea, decide sulle richieste di enti, associazioni o famiglie per l'ingresso, l'affidamento temporaneo e il rimpatrio degli stessi;
  • riguardo ai "minori presenti non accompagnati", ne cura il censimento, ne accerta lo status di minori non accompagnati, promuove la ricerca dei familiari dei minori (42), e può disporne il rimpatrio assistito; può, infine, proporre al Dipartimento per gli affari sociali di stipulare convenzioni e finanziare programmi finalizzati all'accoglienza e al rimpatrio dei minori non accompagnati.

L'estensione delle competenze del Comitato ha sollevato diversi problemi relativamente alla materia degli interventi giuridici sui minori stranieri non accompagnati; si è concretata una sovrapposizione di norme diverse, in contrasto fra loro e prive di un necessario coordinamento. In particolare, mentre la disciplina dettata dalla legge 184/83, come modificata dalla legge 476/98 di riforma dell'adozione internazionale, esprime una scelta di piena tutela giurisdizionale attraverso l'art. 33, comma 5 che prevede, qualora sia comunque avvenuto l'ingresso di un minore nel territorio dello Stato al di fuori delle situazioni consentite, che venga data notizia al tribunale per i minorenni il quale, valutata la situazione, può scegliere fra provvedimenti di protezione, qualora ne sussistano i presupposti, o un rimpatrio assistito; e attraverso l'art. 37-bis con la prescrizione che al minore straniero in stato di abbandono si applichino tutti gli istituti di tutela disciplinati per il minore italiano. Contraddittoriamente si può invece notare che con l'art. 5 del d.lvo 13 aprile 1999, n. 113 si è attribuito esclusivamente al Comitato per i minori stranieri il potere di stabilire le modalità di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, del rimpatrio assistito e del loro ricongiungimento con la famiglia di origine, senza indicazione dei criteri per tale attività.

Il problema è stato sollevato da molti operatori del settore in quanto si crea una sovrapposizione fra organi giudiziari e autorità amministrative, rendendo oltretutto possibili prassi differenziate che vanno ad incidere sui diritti soggettivi del minore, espressamente tutelati dalle convenzioni internazionali (43).

5.3. Ingresso e rilascio del permesso di soggiorno

L'ingresso del minore straniero in Italia avviene con le medesime modalità e alle medesime condizioni previste per gli adulti: occorrono passaporto o documento equipollente e visto d'ingresso (44). È necessario ricordare che l'ingresso in Italia di minori stranieri al di fuori di fini familiari, turistici, di studio e di cura, e che non siano accompagnati da almeno un genitore o parente entro il quarto grado, è consentito solo quando vi sia anche un vaglio della Commissione per le adozioni internazionali, per evitare che esso avvenga in frode alla legge sull'adozione (45).

In numerose occasioni minori stranieri hanno fatto ingresso accompagnati da cittadini italiani e muniti di visto d'ingresso per motivi di studio o di cure mediche e sono rimasti poi in Italia inseriti stabilmente nella famiglia di accoglimento, aggirando così la legge sull'adozione e l'affidamento dei minori. Per tali motivi il Ministero degli affari esteri già da tempo ha invitato le rappresentanze diplomatiche e consolari ad accertare le reali motivazioni rifiutando il visto d'ingresso quando queste sembrassero illegittime (46).

Si può così constatare che esistono diversi tipi di permessi di soggiorno che possono essere rilasciati ai minori stranieri, questi si differenziano a seconda dei requisiti richiesti e delle condizioni familiari dei minori al momento del loro ingresso:

  • il permesso di soggiorno per motivi familiari, che può essere rilasciato ai figli degli stranieri che fanno ingresso in Italia, così come ai minori affidati in base all'art. 4 della legge 184/83 a cittadini stranieri (47); al figlio o all'affidato o al sottoposto a tutela che si ricongiunge, secondo quanto previsto dall'art. 29 del Testo unico 286/98, col genitore o l'affidatario o il tutore; infine, in base a quanto stabilito dall'art. 28 del regolamento d'attuazione DPR 394/99, anche ai minori stranieri conviventi con un cittadino italiano parente entro il quarto grado;
  • il permesso di soggiorno per affidamento, individuabile all'art. 34 del T.U. 286/98 relativo all'iscrizione obbligatoria al Servizio Sanitario Nazionale, ma non è chiaro quali siano i presupposti per il rilascio di tale permesso di soggiorno (48);
  • il permesso di soggiorno per minore età, il quale viene rilasciato a tutti i minori che non possono ottenere un altro tipo di permesso di soggiorno, compresi, come stabilito dalla circolare del Ministero dell'Interno del 13 novembre 2000, ma in contraddizione con l'art. 29 comma 2 del T.U. 286/98 (49), i minori sottoposti a tutela;
  • il permesso di soggiorno per protezione sociale, che può essere rilasciato allo straniero che ha terminato l'espiazione di una pena detentiva inflitta per reati commessi durante la minore età, e ha dato prova concreta di partecipazione a un programma di assistenza e integrazione sociale (50); nonché quando "siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un'associazione dedita a uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio" (51), in questi casi il questore, anche su proposta del procuratore della repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia il permesso di soggiorno per protezione sociale per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare a un programma di assistenza e integrazione sociale.

L'articolo 28 del Testo unico sancisce esplicitamente il "diritto all'unità familiare" che si traduce nel diritto da parte dello straniero regolarmente soggiornante di richiedere il ricongiungimento con i figli minori a carico, i figli del coniuge o nati fuori dal matrimonio, nonché con i figli adottati e i minori affidati. Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore ai 18 anni. Al riguardo è molto importante la previsione, sempre dall'art. 28 del Testo unico, che in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all'unità familiare e riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo.

Da notare che è consentito anche l'ingresso in Italia, per ricongiungimento al figlio minore regolarmente soggiornante, del genitore naturale, il quale entro un anno dovrà acquisire i requisiti per il ricongiungimento (52).

5.4. La permanenza in Italia

Lo straniero regolarmente entrato in Italia può soggiornarvi se munito di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno. Il minore straniero di per sé non può avere la carta di soggiorno autonomamente rispetto al genitore o al familiare. La legge dispone che il figlio infraquattordicenne sia iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno del genitore convivente; analogamente il minore affidato infraquattordicenne va iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno dell'affidatario. Al minore ultra quattordicenne è rilasciato un autonomo permesso di soggiorno per motivi familiari fino al compimento della maggiore età.

Uno dei problemi che si presentano nell'applicazione della legge sull'immigrazione ai minori stranieri extracomunitari sta, ai fini della regolarizzazione, nel capire se sia sempre necessaria la loro identificazione e soprattutto la determinazione della loro età; oppure se vi siano casi, e ci riferiamo qui in particolare al rilascio del permesso per minore età, in cui il permesso può essere rilasciato anche in mancanza di un'identificazione certa. Il permesso di soggiorno per minore età, in base alla formulazione dell'art. 28 del regolamento di attuazione e della circolare del Ministero dell'Interno del 23 dicembre 1999, è finalizzato a fornire un titolo di soggiorno nei casi in cui non sia possibile rilasciare alcun altro permesso di soggiorno, in modo da non lasciare il minore in una condizione di irregolarità che, in quanto tale, può essere considerato come causa di pregiudizio.

Di conseguenza, sembrerebbe che i requisiti debbano essere minimi e che quindi ad ogni minore non titolare di altro tipo di permesso andrebbe rilasciato il permesso di soggiorno per minore età, a prescindere dalla documentazione in suo possesso.

A questo proposito, sono interessanti le "Osservazioni del Presidente del Comitato per i minori stranieri" approvate dal Comitato per i minori stranieri il 2 maggio 2000: "Ci si domanda se per il rilascio del permesso di soggiorno è necessaria un'identificazione sicura, da parte dell'autorità di Pubblica Sicurezza oppure sono sufficienti, almeno temporaneamente, le dichiarazioni del minorenne, eventualmente supportate da documenti anche poco credibili. Sembrerebbe preferibile la prima ipotesi perché in tal modo si tenderebbe a far uscire i minorenni dalla clandestinità, che è l'aspetto più pericoloso del loro soggiorno in Italia, ma rimarrebbe il fatto che il clandestino ancora non sicuramente identificato si trova nel limbo: non può essere espulso ma non può avere il permesso di soggiorno. Potrebbe configurarsi un permesso di soggiorno intestato ad un nome anche non sicuro ma riferentesi ad altri mezzi di identificazione (fotografie, impronte digitali)?"

Si può fare riferimento, in quanto disposizione che affronta un problema analogo, alla disposizione del regolamento di attuazione del T.U. 286/98 riguardante l'iscrizione a scuola e il rilascio del titolo conclusivo a minori privi di documenti: "i minori stranieri privi di documentazione anagrafica ovvero in possesso di documentazione irregolare o incompleta sono iscritti con riserva. L'iscrizione con riserva non pregiudica il conseguimento dei titoli conclusivi dei corsi di studio di ogni ordine e grado. In mancanza di accertamenti negativi sull'identità dichiarata dall'alunno, il titolo viene rilasciato all'interessato con i dati identificativi acquisiti al momento dell'iscrizione" (53).

Dunque, come si comporteranno le Questure di fronte a un minore che non possieda alcun documento di identità? Ove il minore sia senza ombra di dubbio al di sotto dei 18 anni, la Questura dovrebbe potergli comunque rilasciare il permesso di soggiorno con l'indicazione dei dati dichiarati.

Ove invece il minore sia prossimo ai 18 anni, si pone naturalmente il problema di verificarne l'effettiva minore età. Gli esami utilizzati per l'accertamento dell'età non risolvono il problema, in quanto è nota la scarsissima precisione e attendibilità di questi esami. Anche questo problema, dunque, andrà affrontato con indicazioni chiare fornite alle Questure.

Molto importante, nella tutela del minore straniero, è la disposizione secondo la quale il Tribunale per i minorenni può, per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico del minore e alle sue condizioni di salute, autorizzare il rilascio del visto d'ingresso e del permesso di soggiorno a favore di un familiare del minore per un periodo determinato, anche in deroga alle disposizioni della legge (54). Questi provvedimenti vanno comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare del paese straniero interessato.

La durata varia a seconda del tipo di permesso di soggiorno e non per tutti i tipi di permesso è chiaramente stabilita:

  • per il permesso di soggiorno per motivi familiari l'art. 30 del T.U. 286/98, stabilisce che tale permesso ha la stessa durata del permesso di soggiorno del familiare straniero in possesso dei requisiti per il ricongiungimento;
  • per il permesso di soggiorno per minore età né il T.U. 286/98, né il regolamento di attuazione, né le circolari del Ministero dell'Interno ne stabiliscono la durata;
  • il permesso di soggiorno per protezione sociale, invece, ha la durata di sei mesi e può essere rinnovato per un anno, o per il maggior periodo occorrente per motivi di giustizia; qualora, alla scadenza del permesso di soggiorno l'interessato risulti avere in corso un rapporto di lavoro, il permesso può essere ulteriormente prorogato o rinnovato per la durata del rapporto medesimo o, se questo è a tempo indeterminato, con le modalità stabilite per tale motivo di soggiorno; qualora il titolare sia iscritto a un corso regolare di studi, il permesso può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di studio (55).

Al compimento della maggiore età, l'art. 32 del Testo unico sull'immigrazione stabilisce che, al minore può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio o di lavoro o per esigenze sanitarie o di cura.

Su questo tema il legislatore è di recente nuovamente intervenuto con la legge n.189/2002. Il nuovo testo lascia inalterata la previsione del 1º comma dell'art. 32, intitolato "Disposizioni concernenti minori affidati al compimento della maggiore età", dove si prevede la possibilità di rilasciare un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, o per esigenze sanitarie o di cura, al raggiungimento della maggiore età, allo straniero che abbia beneficiato di un permesso per motivi familiari ai sensi dell'art. 31, 1º e 2º comma, e "ai minori comunque affidati ai sensi dell'articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184". Quest'ultima espressione: "minore comunque affidato ex art. 2 l. 184/83", comprende dunque, oltre al minore affidato a cittadino straniero (caso già disciplinato dall'art. 31 T.U. 286/98), anche: il minore affidato a cittadino italiano; il minore affidato a una comunità di tipo familiare; forse anche il minore ricoverato presso un istituto di assistenza pubblico o privato. Anche se non si tratta di affidamento familiare, si tratta comunque di un tipo di affidamento disciplinato dall'art. 2 legge 184/83, equiparato all'affidamento familiare dal punto di vista dei poteri e obblighi dell'affidatario (56), e l'art. 5 stabilisce che "Le norme di cui ai commi precedenti (circa l'affidamento familiare) si applicano, in quanto compatibili, nel caso di minori ospitati presso una comunità alloggio o ricoverati presso un istituto". Se questa interpretazione fosse accettata, i minori affidati a comunità familiare e i minori ricoverati presso un istituto pubblico o privato dovrebbero poter convertire il permesso di soggiorno al compimento della maggiore età secondo le disposizioni previste dall'art. 32, qualsiasi permesso di soggiorno sia stato loro rilasciato.

La concreta applicazione della norma aveva dato origine a molte difficoltà e prese di posizione, a fronte di un'interpretazione restrittiva del Ministero dell'interno, che da un lato aveva finito per privilegiare in molti casi (57) la concessione del permesso "per minore età", anziché per motivi familiari ai sensi dell'art. 31, dall'altro, con la circolare del 13 novembre 2000, aveva escluso la possibilità di far rientrare tali permessi nella previsione dell'art. 32, una volta raggiunta la maggiore età. Tale interpretazione era stata peraltro censurata dalla prima giurisprudenza amministrativa in materia che, non mancando di sottolineare i profili di illegittimità costituzionale che l'art. 32 presenterebbe qualora lo si dovesse interpretare in modo tale da comportare un'irragionevole disparità di trattamento tra situazioni sostanzialmente analoghe (minori non accompagnati affidati ai sensi della legge 184/83 oppure "soltanto" sottoposti a tutela) ha sostenuto la possibilità di applicare estensivamente la norma in questione, giudicando pertanto illegittimi i dinieghi di concessione del permesso di soggiorno basati unicamente sulla precedente titolarità di un permesso per minore età, anziché per motivi familiari (58). Le disposizioni dell'art. 32 del T.U. 286/98 relative alla conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età riguardano specificatamente i minori affidati ex art. 2 o 4 della legge 184/83 e non prevedono alcunché per i titolari di permesso di soggiorno per minore età. Questa giurisprudenza amministrativa perciò deduceva la non convertibilità del permesso di soggiorno per minore età al compimento della maggiore età dalla mancata inclusione di tale permesso tra quelli citati all'art. 32 del T.U. 286/98. Ma non si vede come il Testo Unico avrebbe potuto indicare il permesso di soggiorno per minore età tra quelli convertibili, dato che tale permesso di soggiorno fu introdotto solo dal regolamento di attuazione, entrato in vigore più di un anno e mezzo dopo l'emanazione della legge 40/98. In ogni caso sussisteva una grave lacuna normativa, la quale non poteva essere colmata da una circolare del Ministero dell'Interno: si ricorda infatti che la Costituzione stabilisce all'art. 10 che "La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali".

Il legislatore, così, ha introdotto nell'art. 32 T.U., dopo il primo comma, tre nuovi commi: 1-bis, 1-ter e 1-quater. In base a tali commi, la possibilità di rilasciare, al compimento della maggiore età e ai sensi del primo comma dell'art. 32, un permesso per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, viene estesa anche ad altri "ex-minori", sempre che il Comitato per i minori stranieri non abbia adottato nei loro confronti una decisione di rimpatrio. Per rientrare nella previsione, i minori stranieri dovranno trovarsi in Italia da non meno di tre anni, aver seguito per almeno due anni un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, avere la disponibilità di un alloggio e frequentare un corso di studio, svolgere un'attività lavorativa o disporre di un contratto di lavoro, anche se non ancora avviato.

La legge n. 189/2002, dunque, sembra che estenda ai neo maggiorenni che erano in possesso di un permesso di soggiorno per minore età la possibilità di rimanere in Italia con un nuovo titolo. Tuttavia il comma 1-ter pone delle condizioni che non sembrano esimersi da alcune critiche: se da un certo punto di vista, l'obbligo per il minore di svolgere già un'attività lavorativa o frequentare un corso di studi è coerente con la politica immigratoria dei recenti governi, tesa alla lotta alla clandestinità e ad un forte controllo; di certo limitare l'applicabilità del disposto solo a coloro che si trovano in Italia da almeno tre anni appare, a mio avviso, altamente discriminatorio. Non si deve dimenticare che il principio del "supremo interesse del minore", sancito dalla Convenzione di New York, una volta recepito dal nostro ordinamento, ha assunto carattere di costituzionalità e a nulla possono valere le teorie di chi sostiene che lo Stato rispetta la Convenzione di New York prevedendo l'inespellibilità del minore e il rilascio del permesso per minore età, ma non è in alcun modo obbligato a prevedere la possibilità di soggiorno regolare sul territorio italiano dopo il compimento dei 18 anni. Si tratta di una posizione scorretta in quanto non tiene in considerazione il fatto che la possibilità di progettare il proprio futuro ha un'importanza enorme per il minore: non si può ignorare, cioè, che ciò che accadrà al compimento dei diciotto anni ha una profonda rilevanza per la vita del minore, ancora durante la minore età. Così un minore non accompagnato che dovesse giungere all'età di sedici anni in Italia e riuscire ad ottenere un permesso di soggiorno per minore età, anche se fosse in possesso di un lavoro o fosse immediatamente inserito in un progetto di integrazione sociale e frequentasse un regolare corso di studi, al compimento della maggiore età sarebbe comunque espulso.

Ora, è chiaro che, se il minore sa che a 18 anni perderà il permesso di soggiorno e verrà espulso, ogni percorso di inserimento scolastico, formativo, lavorativo e relazionale in Italia perde significato, diventando una sorta di limbo in attesa dell'espulsione. Questo significa, da una parte, che al minore viene preclusa ogni prospettiva di inserimento positivo e rispettoso delle leggi nel nostro paese. E, dall'altra parte, implica che molti minori si allontaneranno da questi positivi percorsi di emersione e inserimento, sperimentati con successo negli anni passati, e resteranno nella clandestinità, finendo sfruttati e gravemente esposti al rischio di coinvolgimento in attività devianti.

La questione è stata rilevata anche dal Comitato per i minori stranieri che, in una nota emanata il 14 ottobre 2002, riguardo al minore che entra in Italia all'età di diciassette anni, non può evitare di osservare l'impossibilità di avviare nei confronti dei suddetti minori progetti della durata di due anni ne tanto meno dimostrare la loro presenza in Italia da almeno tre. Il Comitato perciò, dopo aver confermato che l'ambito di applicazione della nuova normativa è limitato ai minori in possesso dei requisiti descritti, individua come unica alternativa all'espulsione del soggetto, una volta raggiunta la maggiore età, il rilascio di un permesso di soggiorno per affidamento. Qualora il Comitato, dopo le necessarie indagini, ritenga non opportuna per il soggetto la possibilità del rimpatrio assistito, emette un provvedimento "nel quale viene indicato alla autorità giudiziaria minorile di affidare il minore ai sensi della L.184/83 e alle questure di rilasciare un permesso di soggiorno per affidamento che al raggiungimento della maggiore età verrà modificato dalle questure in un permesso di soggiorno per studio o in uno per lavoro" (59). Così il Comitato individua nella nomina di un tutore e nel permesso di soggiorno per affidamento l'unica possibilità per il minore non accompagnato di vedersi convertito il permesso al compimento della maggiore età e di evitare il provvedimento di espulsione. Il Tribunale amministrativo del Piemonte, in passato, aveva accolto i ricorsi di chi, in possesso di un permesso per minore età, si era visto rifiutare la conversione da parte della Questura (60). Il TAR riconosceva il carattere di temporaneità del permesso di soggiorno per minore età, ma rimproverava la Pubblica amministrazione di non avere effettuato le indagini necessarie al fine di verificare che nei confronti del soggetto, divenuto maggiorenne, sussistessero i requisiti richiesti dall'art. 5 del Testo unico sull'immigrazione per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di studio o di lavoro. Adesso che l'art. 32 comma 1-ter, relativamente al caso dei neo maggiorenni, ha specificato quali siano i requisiti richiesti per la conversione, ritengo che il ricorso contro il provvedimento di diniego di conversione del permesso di soggiorno per minore età, emesso da una questura, debba essere necessariamente respinto se la disposizione legislativa è stata rispettata.

Il comma 1-quater introdotto dalla Camera, infine, precisa che i permessi rilasciati "ai sensi del presente articolo" e quindi, anche quelli rilasciati in base al primo comma dell'art. 32, che riguardano per lo più minori giunti in Italia con ricongiungimento familiare o addirittura nati in Italia, verranno detratti dalle quote di ingresso definite annualmente.

5.5. I minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado

Anche la questione dei minori affidati a parenti entro il quarto grado risulta essere piuttosto problematica ed incerta.

Si è detto come, nell'interpretazione del Presidente del Comitato, il minore straniero affidato "di fatto" ad un parente prossimo sia considerato un minore non accompagnato. Il soggetto, infatti, si trova in Italia senza un adulto che sia interessato e competente, secondo quanto stabilito dall'art. 5 della legge italiana in materia di adozione, alla sua rappresentanza e assistenza.

Il minore che si trova in Italia sotto la responsabilità non formalmente riconosciuta di un parente entro il quarto grado viene perciò considerato dalla legislazione italiana in materia di immigrazione come un "minore non accompagnato". Che il parente sia regolarmente soggiornante in Italia oppure sia clandestino non sembra comportare differenze alla situazione del minore, la quale rientra nella previsione dell'art. 28 del Regolamento di attuazione D.P.R. 394/99: in virtù del divieto di espulsione per i soggetti minorenni, sancito dall'art. 19 del Testo Unico, il questore rilascerà al minore un permesso di soggiorno per minore età.

Siamo di fronte ad uno di quei casi che hanno generato una sovrapposizione di competenze amministrative e giudiziarie. Se, da un lato, il nostro ordinamento consente di applicare nei confronti di questi soggetti tutta una serie di misure di protezione: dal rilascio di un permesso di soggiorno, alla possibilità di ingresso sul territorio nazionale del genitore naturale (61), previste dalla stessa disciplina sull'immigrazione, financo all'applicazione dell'art. 37-bis della legge sull'adozione, con intervento quindi del Tribunale per i Minorenni che valuterà tra "situazione di abbandono, e quindi dichiarazione di adottabilità, e "necessità di assistenza". Dall'altro lato viene prevista la competenza del Comitato per i minori stranieri che ha il potere di decidere sul rimpatrio assistito di questi soggetti.

A ben vedere per il minore straniero "non accompagnato", ma affidato di fatto a parenti entro il quarto grado, si può presupporre, applicando mediante l'art. 37-bis la legislazione italiana sull'adozione, l'insussistenza dello stato di abbandono. In base all'art. 9 della legge 184/83, infatti, per i minori accolti da parenti entro il quarto grado non vi è necessità di provvedimenti dell'autorità giudiziaria (62). Si esclude cioè la possibilità per il Tribunale per i minorenni di aprire la procedura per la dichiarazione di adottabilità del minore. L'applicazione dell'art. 9 della legge 184/83 alla situazione del minore straniero affidato di fatto ad un parente entro il quarto grado comporta che esso, pur essendo considerato "non accompagnato", non si possa ritenere in stato di abbandono.

Di fronte al problema di conversione del permesso di soggiorno per minori al compimento della maggiore età nel corso di questi anni, da parte degli operatori in materia, si è posta la questione se il minore che si trova in Italia insieme ad un parente prossimo, per gli stessi motivi per cui non può essere dichiarato in stato di abbandono, possa anche non esser considerato un minore non accompagnato.

Come abbiamo già visto, il T.U. 286/98, all'art. 29 comma 2 prevede che "ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a 18 anni. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli". Si può così ipotizzare che, nella definizione di "minori affidati" si possano ricomprendere non solo i minori affidati con un provvedimento di un'autorità, italiana o straniera, ma anche i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado.

L'art. 29 T.U. 286/98, equiparando il minore affidato al figlio ai fini del ricongiungimento familiare, sembra perciò doversi applicare anche al minore affidato a parente entro il quarto grado, ancorché senza provvedimento formale che, in base all'art. 9 legge 184/83, non è richiesto.

Inoltre, sembra confermare l'interpretazione secondo cui nella definizione di "minori affidati" potrebbero essere inclusi anche i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado, anche il disposto dell'art. 33, comma 1 della legge 184/83, come modificato dalla legge 476/98, che, stabilendo il divieto di ingresso per i minori non accompagnati da almeno un genitore o da parenti entro il quarto grado, sembra prevedere a contrariis la possibilità di ingresso del minore al seguito non solo dei familiari elencati nell'art. 29, comma 1 del T.U. 286/98, ma anche al seguito del parente entro il quarto grado.

Questo tipo d'interpretazione sembra poi ricevere un ulteriore conforto dal fatto che l'art. 19 del T.U. 286/98, il quale stabilisce il "diritto" del minore a seguire l'affidatario espulso, sia talvolta applicato anche alla fattispecie del minore affidato di fatto a parente entro il quarto grado. Non si comprende, infatti, perché l'espressione "minore affidato" all'art. 29 del T.U. dovrebbe riferirsi solo all'affidamento formale, mentre il concetto di "affidatario" all'art. 19 comprenderebbe anche l'affidamento di fatto.

Dunque, ove venisse accettata l'interpretazione secondo cui il minore affidato di fatto a parente entro il quarto grado idoneo a provvedervi debba essere incluso nella definizione di "minori affidati" di cui all'art. 29 co. 2 T.U. 286/98, il minore, in quanto equiparato al figlio, dovrebbe essere iscritto sul permesso di soggiorno o carta di soggiorno dell'affidatario fino all'età di 14 anni, e ricevere il permesso di soggiorno per motivi familiari al compimento dei 14 anni (63).

Ove invece tale interpretazione non fosse accettata, e si dovesse quindi fare riferimento unicamente all'art. 31, la situazione dei minori accompagnati da parenti entro il quarto grado risulterebbe poco chiara a causa soprattutto del mancato coordinamento tra il T.U. 286/98 e la legge 184/83.

Come abbiamo già sottolineato, infatti, il T.U. 286/98, art. 31 stabilisce che il minore affidato a cittadino straniero con un provvedimento formale di affidamento (consensuale o giudiziale) ex art. 4 della legge 184/83 venga iscritto nel permesso di soggiorno dell'affidatario o riceva il permesso di soggiorno per motivi familiari, mentre nulla viene previsto riguardo al minore affidato di fatto al parente entro il quarto grado.

Nei casi in cui il provvedimento viene disposto, non sussiste alcun problema: si potrà applicare l'art. 31 del Testo unico 286/98.

Nei casi invece in cui il Tribunale per i minorenni e i servizi locali si dichiarino incompetenti a provvedere (64), si crea un'impasse: il minore affidato di fatto al parente entro il quarto grado non può ottenere il permesso di soggiorno per motivi familiari perché in base al Testo Unico 286/98 sarebbe necessario un provvedimento formale di affidamento, che però in base alla legge 184/83 si sostiene non poter essere disposto (65).

Per risolvere chiaramente questa situazione sarebbe stato necessario un intervento legislativo che avesse modificato gli artt. 31 e 32 del testo unico, comprendendo esplicitamente o almeno non escludendo i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado. Tuttavia la recente legge n.189/2002 ha lasciato inalterato il precedente disposto e così facendo mi sembra che il legislatore, rischiando il vizio di incostituzionalità, abbia dimostrato la propria contrarietà ad un'interpretazione estensiva e favorevole ai minori affidati di fatto degli artt. 31 e 32. Si può configurare, infatti, una disparità di trattamento tra minori che, da un punto di vista oggettivo e informale, si trovano in situazioni analoghe: entrambi vivono sotto la responsabilità di un parente prossimo; e l'incostituzionalità rispetto agli artt. 3 e 31 della Carta.

In base a ciò si deve ritenere che l'unica alternativa possibile, che consenta al minore di evitare sia il rimpatrio assistito sia il provvedimento di espulsione al compimento della maggiore età, rimane l'intervento di un provvedimento formale di affidamento che sia conforme all'art. 4 della legge 184/83.

Per quanto riguarda l'affidamento giudiziale, alcuni giudici hanno effettivamente disposto affidamenti a parenti entro il quarto grado, talvolta con la motivazione della mancanza dell'atto di assenso dei genitori (66).

Altri Tribunali per i minorenni si sono invece dichiarati incompetenti a provvedere in ordine alla domanda di affidamento da parte di parenti entro il quarto grado, dopo averne verificato l'idoneità a provvedere al minore, non ravvisandosi una situazione di pregiudizio. Il Tribunale per i minorenni, infatti, ha la funzione di controllo dell'esercizio della potestà genitoriale e di tutela del minore dalla condotta pregiudizievole dei genitori, con conseguente limitazione o decadenza della potestà, mentre non sembra sostenibile, ove il parente risulti idoneo a provvedere al minore, l'ipotesi di una condotta pregiudizievole da parte del genitore (67).

Per quel che riguarda invece l'affidamento consensuale, quello cioè disposto dai servizi sociali previo consenso da parte dei genitori, il problema è diverso. In genere, infatti, il minore è affidato al parente dai genitori stessi e quindi con il loro pieno consenso. L'assenso dei genitori manca dunque non in senso sostanziale, ma in senso formale: manca cioè un atto con cui i genitori manifestano il loro consenso al servizio sociale. In questa ipotesi dovrà essere chiarito, naturalmente, con quali modalità i genitori possano manifestare ai servizi il proprio consenso all'affidamento del minore. Una modalità è quella per cui il Giudice tutelare nomina un tutore del minore che successivamente dia l'assenso all'affidamento, oppure che l'assenso sia manifestato dall'istituto di pubblica assistenza, in genere il Comune, in quanto esercente i poteri tutelari ex art. 402 c.c. Tuttavia, ottenere direttamente il consenso da parte dei genitori sarebbe sempre la soluzione preferibile, anche se più complessa. Al riguardo si è parlato (68) di un atto formale che i genitori potrebbero rendere ufficialmente, nell'ambito delle funzioni notarili che ad essa competono, presso l'Ambasciata italiana che si trova nel loro paese di origine, ma i problemi logistici che ne deriverebbero sono molti e tutti da verificare.

Vi sono poi altri motivi che hanno indotto Tribunali (69) e Giudici Tutelari a dichiararsi incompetenti a provvedere in ordine alla domanda di affidamento da parte di parenti entro il quarto grado. Argomentando a contrariis in base all'art. 9 della legge 184/83, il parente entro il quarto grado non ha il dovere di segnalare l'affidamento di fatto al Giudice Tutelare, ma tale disposizione non sembra escludere che egli possa segnalare tale circostanza, chiedendo così un provvedimento formale.

La formalizzazione rappresenterebbe una maggiore garanzia per tutelare l'interesse del minore in quanto comporterebbe un controllo da parte delle istituzioni italiane sull'identità e sull'idoneità del parente a provvedere al minore.

In caso contrario, infatti, non vi sarebbe alcuna verifica sul fatto che l'adulto al quale il minore è affidato di fatto sia realmente un parente entro il quarto grado, né che questi sia effettivamente idoneo dal punto di vista morale e materiale. L'applicazione dell'art. 9 ad un minore italiano che si trova nella medesima situazione comporta la presunzione dell'insussistenza dello stato di abbandono (che invece può esser dichiarato quando il figlio viene affidato a terzi per un periodo superiore ai sei mesi), ma non esclude che vi siano elementi di trascuratezza da parte del parente nella cura e assistenza del minore. Gli operatori che venissero a conoscenza del minore affidato di fatto avrebbero dunque la responsabilità di questa valutazione, responsabilità alla quale tra l'altro non corrisponde la predisposizione dei mezzi necessari. Tale assenza di controllo, da alcuni ritenuta discutibile anche per quanto riguarda i minori italiani, è ancora più discutibile quando si tratti di minori stranieri i cui genitori risiedono all'estero.

Il controllo da parte dei servizi sociali potrebbe rappresentare una giusta via di mezzo tra la totale assenza di controllo e il controllo esercitato dall'Autorità Giudiziaria minorile che trova fondamento in una supposta situazione di pregiudizio (70). La formalizzazione dell'affidamento, quindi, comporta l'assunzione da parte del parente di doveri chiaramente stabiliti dalla legge, come ad esempio la convivenza tra minore e affidatario, ed il controllo continuativo da parte dei servizi sociali.

5.6. Respingimento, espulsione e rimpatrio assistito

Il minore straniero che, da solo o con i familiari, tenta l'ingresso in Italia o entra in Italia senza i requisiti richiesti, viene respinto alla frontiera, se possibile, o inserito nei centri di permanenza temporanea previsti dalla legge. Tuttavia, se il minore non accompagnato da genitore o parente entro il quarto grado si trova nel territorio dello Stato, o in quanto temporaneamente ammesso o in quanto fermato subito dopo l'ingresso, lo Stato italiano è senz'altro tenuto alla protezione del minore in via d'urgenza ex art. 9 della Convenzione dell'Aja del 1961, e quindi sembra doversi prevedere la competenza del Tribunale per i minorenni e/o del Comitato per i minori stranieri.

Nel caso, invece, il minore si trovi ancora alla frontiera, la legge 184/83, come modificata dalla legge 476/98, prevede all'art. 33, comma 1 che: "Fatte salve le ordinarie disposizioni relative all'ingresso nello Stato per fini familiari, turistici, di studio e di cura, non è consentito l'ingresso nello Stato a minori che non sono muniti di visto d'ingresso rilasciato ai sensi dell'articolo 32 (71) ovvero che non sono accompagnati da almeno un genitore o da parenti entro il quarto grado." E sempre l'art. 33, al comma 3, stabilisce che: "Coloro che hanno accompagnato alla frontiera un minore al quale non viene consentito l'ingresso in Italia provvedono a proprie spese al suo rimpatrio immediato nel paese d'origine. Gli uffici di frontiera segnalano immediatamente il caso alla Commissione affinché prenda contatto con il paese di origine del minore per assicurarne la migliore collocazione nel suo superiore interesse."

La Commissione cui si fa riferimento nel suddetto disposto è la Commissione per le adozioni internazionali e la norma sul respingimento dei minori alla frontiera è chiaramente una norma ideata per combattere la piaga del commercio di bambini a scopo di adozione, lotta che si concreta con il controllo di un'autorità statale sull'ingresso dei minori in Italia. Non sembra, quindi, una norma idonea a disciplinare il fenomeno dell'immigrazione clandestina quando questa riguarda i minori di età, specialmente gli adolescenti, i quali autonomamente scelgono di venire in Italia con la speranza di trovare migliori prospettive di vita. D'altronde il Testo Unico non fa riferimento all'ipotesi di minori che da soli o accompagnati tentano di fare ingresso nel territorio nazionale senza avere i requisiti richiesti e niente dispone riguardo alle modalità del loro respingimento. Rimane perciò quanto disposto dall'art. 33 della legge 184/83, con tutti i dubbi e i punti oscuri che ne derivano: la competenza su questi casi sarà direttamente della Commissione o, in analogia a quanto previsto dall'art. 18 del D.P.R. 492/99 (72) per i minori presenti sul territorio nazionale, dovrà essere informato il Comitato per i minori stranieri? Inoltre, come si concilia l'esigenza del "rimpatrio immediato" con l'intervento della Commissione per prendere contatto con il paese d'origine? Appare comunque assai dubbio che possa essere assunta una qualsiasi decisione che garantisca il superiore interesse del minore in tempi così rapidi da consentire il suo rimpatrio immediato. E ancora, in attesa che venga assunta la decisione, al minore sarà consentito l'ingresso in Italia, come sembra prevedere l'art. 33 della legge 476/98, oppure sarà trattenuto alla frontiera? Tale possibilità è prevista dalla Risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea del 26 giugno 1997, che stabilisce che in tali situazioni i minori possano "sostare alla frontiera fino a quando sia presa una decisione in merito all'ammissione nel territorio nazionale, o una decisione in merito al loro rimpatrio", disponendo però che lo Stato deve garantire "l'aiuto e il sostegno materiali necessari a soddisfare i loro bisogni elementari, quali vitto, sistemazione adatta alla loro età, attrezzature sanitarie e assistenza medica". Tuttavia, non sembra sostenibile che possa rispondere maggiormente all'interesse del minore il trattenimento alla frontiera rispetto alla possibilità di ingresso in Italia.

Per quel che riguarda l'espulsione dei minori, l'art. 19, comma 2 del Testo Unico prevede un divieto di espulsione dei minori di anni diciotto, salvo il caso in cui intervengano ragioni di pubblica sicurezza e salvo il diritto del minore a seguire il genitore o l'affidatario espulsi. Analogo divieto vi è per le donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio.

Nel caso in cui i genitori siano oggetto di provvedimento di espulsione, quindi, viene fatto salvo il diritto del minore a seguire il genitore o l'affidatario espulsi; infatti è indubbio il diritto del minore ad essere educato nell'ambito della propria famiglia (73) e, secondo l'articolo 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, "gli Stati vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che si ritenga questa separazione necessaria nell'interesse del fanciullo". Tuttavia in relazione a quest'ultima disposizione è da notarsi che, mentre per il permesso di soggiorno si fa riferimento all'affidamento formale ex art. 4 legge 184/83, per l'espulsione il tipo di affidamento non viene specificato. Questa ambiguità consente un'interpretazione che includa anche gli affidamenti di fatto a parenti entro il quarto grado: vi sono casi, infatti, in cui il minore viene espulso al seguito del parente entro il quarto grado al quale è affidato di fatto (74). Ci troviamo di fronte ad una disparità di trattamento del minore che, nonostante la ferma intenzione di proseguire il suo soggiorno in Italia, in caso di espulsione del di lui parente prossimo si vede costretto a seguirlo come fosse suo figlio o a lui affidato; mentre qualora il permesso di soggiorno dell'adulto fosse regolare, l'esistente rapporto di parentela non varrebbe a fargli proseguire il soggiorno al compimento della maggiore età.

Riguardo all'espulsione di immigrati con al seguito minori, si può verificare il caso in cui il minore adolescente abbia acquisito l'autosufficienza necessaria a proseguire il proprio soggiorno in Italia anche da solo ed esprima la propria intenzione a non seguire il genitore o l'affidatario espulso. Si può asserire che dalla priorità del superiore interesse del minore discende che ogni considerazione in merito al controllo dell'immigrazione clandestina dovrà essere secondaria rispetto alla valutazione dell'interesse del minore, da ciò anche il diritto all'unità familiare e il diritto a vivere nel proprio paese d'origine non possono essere considerati come criteri assoluti, ma dovranno essere valutati come modalità di attuazione del superiore interesse del minore, caso per caso. Una considerazione del genere a maggior ragione dovrebbe essere fatta qualora il minore fosse, a differenza dell'adulto che su di lui esercita la potestà, in possesso dei requisiti necessari per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di studio. Bisogna poi ricordare che la Convenzione di New York, all'art. 12, stabilisce il diritto del minore ad "esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità". Una situazione del genere, con il minore che manifesta la propria intenzione a rimanere in Italia separandosi così dal genitore espulso, non dovrebbe assolutamente prescindere dall'intervento del Tribunale per i minorenni. Questo in quanto l'emanazione di un provvedimento di affidamento, che fosse possibilmente consensuale, consentirebbe al minore, oltre ad avere una collocazione sicura e consona alle sue necessità, di avere maggiori garanzie per il suo futuro. Infatti, il minore che viene affidato in base agli artt. 2-4 della legge 184/83 ha diritto ad ottenere il permesso di soggiorno per affidamento, che a sua volta gli garantisce al compimento della maggiore età la conversione in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di studio. È invece da escludersi la possibilità che il minore possa essere dichiarato in stato di abbandono in quanto quest'ultimo è un fatto dei genitori, espressione di un comportamento di trascuratezza e della volontà di venir meno ai propri doveri genitoriali. Quest'ultima è una situazione che può comunque verificarsi; si tratta naturalmente di casi disperati in cui i genitori, al momento di uscire dal territorio italiano, preferiscono non portare con sé il figlio o i figli. La configurabilità della situazione di abbandono è allora evidente e l'apertura del procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità da parte del Tribunale dovrebbe essere, conseguentemente alla segnalazione da parte degli uffici di frontiera, immediata.

Il mezzo dunque scelto, dal nostro ordinamento, per l'allontanamento del minore non accompagnato e irregolare dal territorio nazionale è il rimpatrio assistito. In base a quanto stabilito dall'art. 1 del Regolamento del Comitato per i minori stranieri per rimpatrio assistito si intende: "l'insieme delle misure adottate allo scopo di garantire al minore interessato l'assistenza necessaria fino al ricongiungimento coi propri familiari o al riaffidamento alle autorità responsabili del Paese d'origine, in conformità alle convenzioni internazionali, alla legge, alle disposizioni dell'autorità giudiziaria ed al presente regolamento. Il rimpatrio assistito deve essere finalizzato a garantire il diritto all'unità familiare del minore e ad adottare le conseguenti misure di protezione".

Si attribuisce così al Comitato la possibilità di valutare, "ai fini di protezione e di garanzia del diritto all'unità familiare" (75), se il provvedimento di rimpatrio assistito sia, nell'interesse del minore straniero non accompagnato, preferibile all'accoglimento del minore stesso.

È importante ricordare che la legge 184/83, come modificata dalla legge 476/98, sembra all'art. 33 implicitamente attribuire al Tribunale per i minorenni la decisione tra l'accoglienza (da attuarsi con gli strumenti previsti dall'art. 37-bis: affidamento, adozione e provvedimenti necessari in caso di urgenza) o il rimpatrio, che non viene però disposto dal Tribunale stesso. La formulazione dell'articolo è però estremamente ambigua e confusa: esso prevede infatti che, qualora sussistano i presupposti di abbandono, venga applicato l'art. 37-bis; in caso contrario dovrà essere disposta la segnalazione del minore straniero alla Commissione per le adozioni internazionali, la quale deve prendere contatto con il paese di origine e "procedere ai sensi dell'articolo 34", articolo che però non riguarda in alcun modo il rimpatrio. Il regolamento di attuazione della legge 476/98 prende dunque atto dell'innovazione introdotta dal Dlgs. 113/99 e, in modo assai discutibile dal punto di vista della gerarchia delle fonti, modifica la legge stessa di cui dovrebbe essere mera norma attuativa: la Commissione per le adozioni internazionali dovrà infatti comunicare a sua volta al Comitato per i minori stranieri i nominativi dei minori segnalatile dal Tribunale per i minorenni.

Le disposizioni della legge 476/98 e del Testo unico 286/98, come modificato dal Dlgs. 113/99, appaiono quindi in contrasto. La legge 476/98, infatti, pare stabilire che il Comitato debba intervenire solo dopoche il Tribunale per i minorenni abbia deciso di non adottare un provvedimento di adozione, affidamento o un provvedimento necessario in caso di urgenza, e quindi sembra escludere che il Tribunale per i minorenni debba revocare tale provvedimento: anzi, nel caso in cui il Tribunale abbia disposto il provvedimento ex art. 37-bis, sembrerebbe non dover neppure segnalare il minore alla Commissione per le adozioni internazionali (e da questa a sua volta al Comitato per i minori stranieri) e quindi non dovrebbe aver luogo alcuna decisione del Comitato stesso. In base a tale disposizione, dunque, la decisione tra accoglienza in Italia e rimpatrio sembra essere attribuita in prima istanza al Tribunale per i minorenni (76).

Il Testo unico 286/98, come modificato dal Dlgs. 113/99, invece, attribuendo al Comitato per i minori stranieri la competenza ad adottare il provvedimento di rimpatrio, limita l'intervento dell'Autorità Giudiziaria al rilascio di un nulla-osta nel caso che vi sia un procedimento giurisdizionale in corso, atto che sembra dovuto salvo che sussistano inderogabili esigenze processuali: pare dunque che, una volta adottata dal Comitato la decisione del rimpatrio del minore, l'Autorità Giudiziaria minorile non potrà far altro che adeguarvisi, revocando la tutela, l'affidamento o il provvedimento necessario in caso di urgenza eventualmente disposto in precedenza. La competenza a decidere sull'interesse del minore a restare in Italia o ad essere rimpatriato sembra dunque essere attribuita unicamente al Comitato per i minori stranieri (77).

La sostanziale differenza fra queste due norme, che appaiono in conflitto fra loro, sta nel fatto che, anche se apparentemente sembrano occuparsi entrambe della medesima categoria di soggetti "minori stranieri", attribuiscono agli stessi due diverse definizioni: l'art. 37-bis della legge sull'adozione afferma la competenza del Tribunale per i minorenni per il minore straniero che si trova in Italia "in situazione di abbandono", l'art. 33 del Testo Unico sull'immigrazione, invece, attribuisce al Comitato per i minori stranieri il potere di decidere fra accoglienza e rimpatrio per "i minori non accompagnati". Minori stranieri non accompagnati e minori stranieri in situazione di abbandono sono dunque definizioni che provengono da due diverse leggi, entrambe del 1998 ed entrambe apparentemente dirette a risolvere una situazione di difficoltà in cui viene a trovarsi un particolare soggetto e a tutelarne i diritti.

Se si dovesse porre la questione se la definizione di minore non accompagnato coincida con quella di minore in stato di abbandono è mia opinione che la domanda debba trovare una risposta negativa. Le due definizioni non possono coincidere sia perché sono state concepite per dare soluzione a due diversi tipi di problemi, sia perché anche i contenuti che le caratterizzano si distinguono nettamente. La legge sull'adozione è diretta a tutelare il diritto del minore a vivere nell'ambito della propria famiglia, ma quando essa non esista o, anche se presente, dimostri di non essere in grado di fornire al proprio figlio le necessarie cure e l'assistenza di cui abbisogna, deve prevalere il diritto del minore a crescere in un ambiente familiare idoneo e si provvederà allora alla dichiarazione di adottabilità del minore e alla conseguente adozione. Il testo legislativo sull'immigrazione, relativamente alle disposizioni che riguardano i minorenni, è teso invece a disciplinare, la crescita e lo sviluppo di un fenomeno, quello dell'immigrazione clandestina di minorenni, relativamente nuovo e recente.

Lo scopo e gli obiettivi delle normative sono ben diversi, ma anche nella sostanza le due definizioni si distinguono notevolmente. L'art. 1, comma 2, del Regolamento del Comitato per i minori stranieri (78), offre una definizione del minore non accompagnato, almeno nelle intenzioni, piuttosto chiara e specifica: dalla categoria, ad esempio, vengono esplicitamente esclusi i minori che fanno domanda di asilo, i quali non saranno più di competenza del Comitato per i minori stranieri, ma della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiati. La definizione dello stato di abbandono come invece si è detto nel capitolo precedente è una definizione molto generica, astratta e aperta all'interpretazione del giudice, il quale deve verificare la sussistenza dello stato di abbandono caso per caso e nel rispetto del più ampio principio del prioritario interesse del minore.

È chiaro, dunque, che la definizione di minore non accompagnato non coincide con quella di "minore in stato di abbandono": anche secondo Elena Rozzi di Save the children vi potranno essere "minori non accompagnati che non si trovano però in stato di abbandono, in quanto sono accolti da adulti idonei a provvedervi; così come naturalmente potranno esservi minori accompagnati dai genitori che si trovano in stato di abbandono morale e materiale".

Ma il minore non accompagnato può essere considerato un minore in stato di abbandono, così come l'abbandono è inteso dalla legge italiana sull'adozione? Può, cioè, la definizione di stato di abbandono avere un'accezione sufficientemente ampia da comprendere in essa l'intera categoria dei minori stranieri che si trovano in Italia e che sono "privi dell'assistenza e rappresentanza dei genitori o di altri adulti" per loro "legalmente responsabili"? Se così fosse non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che il Tribunale per i minorenni debba avere la competenza a provvedere in virtù dell'art. 37-bis della legge 184/83 e che nell'interesse del minore debbano essere applicati tutti gli istituti di tutela disciplinati per il minore italiano, dall'affidamento alla dichiarazione di adottabilità, direttamente dall'autorità giudiziaria. Questo vorrebbe dire che si attribuisce priorità assoluta all'accoglimento del minore, come stabilito dall'art. 33 della legge 184/83, e solo in via sussidiaria, dopo che il giudice ha dichiarato l'insussistenza dello stato di abbandono, provvedere col procedimento amministrativo disciplinato dal Regolamento del Comitato per i minorenni al rimpatrio assistito. L'insussistenza dello stato di abbandono nel caso di un minore non accompagnato può essere determinata da un duplice ordine di motivi:

  • la presenza sul territorio italiano di un adulto che si prenda cura del minore, che con esso viva e che per esso eserciti i poteri propri della potestà genitoriale. In questi casi se si riscontra l'esistenza di un provvedimento di affidamento con carattere formale non vi sono problemi, ma, anche in assenza di un tale atto, la legge 184/83 esclude lo stato di abbandono nel caso in cui tali soggetti siano legati al minore da una rapporto di parentela entro il quarto grado;
  • l'esistenza di un forte legame con la famiglia di origine, la volontà del minore a tornare nel paese di origine e quella della stessa famiglia a riaccoglierlo.

Nel primo caso, anche se per la legge italiana in materia di adozione non vi è stato di abbandono, si può ritenere che il compito del Tribunale per i minorenni non si esaurisca con la dichiarazione di non sussistenza dello stato di abbandono. È infatti auspicabile, come già detto, che l'affidamento di fatto del minore al parente entro il quarto grado venga ufficializzato con un provvedimento formale cosicché il minore possa ottenere un permesso di soggiorno per affidamento, il quale al compimento della maggiore età è convertibile in un altro con diversa causa. Anche il Presidente del Comitato per i minori stranieri Vercellone, nel seminario tenuto a Torino nel luglio del 2000, sosteneva per questo genere di casi l'utilità di un provvedimento di affidamento, il quale evita al ragazzo divenuto maggiorenne di essere soggetto alla discrezionalità delle questure.

Nel secondo caso, invece, il problema maggiore consiste nel condurre presso la famiglia del ragazzo, che si trova nel suo paese di origine, le indagini necessarie a scoprire se esista ancora il rapporto fra il minore e la sua famiglia, quanto sia forte e qualitativamente buono. Il fatto che la conduzione di queste indagini sia affidata al Tribunale, qualora si debba accertare lo stato di abbandono, oppure al Comitato, ai fini della disposizione del rimpatrio assistito, non dovrebbe comportare grandi differenze. In entrambi i casi, infatti, è indispensabile avere dei contatti con le autorità di pubblica sicurezza del paese di origine del minore e con i loro servizi sociali; in entrambi i casi si corre il rischio, nell'attesa di responsi concreti sul contesto socio-familiare del ragazzo, di un allungamento dei tempi del procedimento in corso; in entrambi i casi c'è il pericolo di ottenere informazioni approssimative e sulla base di queste assumere delle decisioni che incidono in maniera determinante sul futuro del minore (79).

Ed anche in relazione alle indagini si ripropone il problema della sovrapposizione di competenze fra Tribunale e Comitato. Manca infatti chiarezza riguardo alla distribuzione delle competenze sulle indagini relative alla situazione del minore in Italia e sulla situazione nel paese di origine, e in particolare se saranno previsti accordi tra i due organi in modo da non ripetere più volte le indagini.

A tale proposito, il prof. Vercellone osservava nelle Osservazioni del Presidente del 2 maggio 2000 che "Se si apre il procedimento (di adattabilità) si devono assolutamente fare tutte le ricerche per individuare la famiglia. ... pare opportuno che Tribunale e Comitato si scambino le informazioni a loro disposizione e, forse, che le ricerche all'estero siano svolte dal Comitato che comunque le deve svolgere ex art. 5 reg. e probabilmente avrà mezzi più idonei, soprattutto dove agiscono enti internazionali convenzionati."

Dal punto di vista normativo è stabilito che le indagini sulla situazione del minore in Italia e nel paese d'origine:

  • se disposte dal Tribunale per i minorenni sono svolte dai servizi locali e dalle autorità di pubblica sicurezza (80), delegando all'autorità consolare competente ove i genitori o i parenti entro il quarto grado risiedano all'estero (81);
  • se disposte dal Comitato per i minori stranieri sono svolte dalle "competenti amministrazioni pubbliche e da idonei organismi nazionali ed internazionali", con i quali il Dipartimento per gli affari sociali può stipulare apposite convenzioni (82).

Le Linee Guida del Comitato per i minori stranieri dell'11 gennaio 2001 dispongono che "le competenti autorità che vengano a conoscenza di un minore straniero non accompagnato devono: accertare l'identità ed in particolare l'età di lui; se esistono e dove stanno i familiari del minorenne, cercando di ottenere direttamente da lui ogni utile informazione in merito; quali le condizioni di vita, le ragioni del suo ingresso nel territorio italiano, gli studi compiuti, le attività di formazione e di lavoro svolte, le intenzioni per il futuro sia del minorenne che dei suoi genitori e tutori, anche riguardo al rimpatrio".

Il problema assume grande rilevanza se si tiene conto di quanto è importante che la decisione sull'interesse del minore a restare in Italia o al contrario ad essere rimpatriato sia assunta in tempi rapidi.

La personalità in formazione, infatti, è molto più fragile di quella dell'adulto. Un periodo di forte incertezza e instabilità sul proprio futuro può indurre il minore, la cui identità personale e sociale non è ancora solidamente formata, ad abbandonare ogni percorso positivo di integrazione e ad imboccare invece percorsi di devianza: situazione che, a sua volta, influenzerà fortemente la formazione della sua identità, con effetti negativi sul suo intero percorso di vita.

Oltre agli effetti psicologici di un prolungato periodo di incertezza, vi è un altro aspetto da considerare in relazione alla necessità di una decisione in tempi rapidi: l'inserimento del minore e la creazione di legami sociali e affettivi sul territorio italiano. Infatti, nel caso in cui trascorra un periodo di alcuni mesi e il minore inizi a frequentare la scuola e a consolidare legami sociali e affettivi significativi, la decisione sul rimpatrio dovrà necessariamente tenerne conto.

Nell'ambito del procedimento di accoglienza o di rimpatrio un altro aspetto molto importante è la partecipazione del minore e le sue modalità. La necessità e il dovere di ascoltare il minore è sancito espressamente dall'art. 12 della Convenzione di New York, che deve essere sentito, nel suo interesse, in ogni procedimento giudiziario o amministrativo che lo riguarda, direttamente o tramite un rappresentante. Il Regolamento del Comitato per i minori stranieri agli artt. 6 e 7 assicura che nel disporre il rimpatrio assistito il minore "sia previamente sentito" (83).

Il Regolamento del Comitato per i minori stranieri, tuttavia, non stabilisce chiaramente da quale ente o organo il minore debba essere sentito e in quale momento del procedimento. È evidente che tale organo non può essere il Comitato per i minori stranieri, sia per l'elevato numero dei minori segnalati, sia per problemi logistici, sia perché un organo a livello nazionale non può valutare in modo appropriato la situazione del minore sul territorio. Così, secondo le Linee Guida del Comitato per i minori stranieri dell'11 gennaio 2001, vengono indicate nelle autorità locali e nei servizi sociali dei comuni gli organi più appropriati per lo svolgimento di questo compito.

Riguardo all'esecuzione del provvedimento di rimpatrio il Regolamento del Comitato per i minori stranieri, all'art. 7, stabilisce che dovrà avvenire "in condizioni tali da assicurare costantemente il rispetto dei diritti garantiti al minore dalle convenzioni internazionali, dalla legge e dai provvedimenti dell'autorità giudiziaria, e tali da assicurare il rispetto e l'integrità delle condizioni psicologiche del minore, fino al riaffidamento alla famiglia o alle autorità responsabili."

I criteri su cui fondare la decisione se sia nell'interesse del minore restare in Italia o essere rimpatriato costituiscono una delle problematiche più complesse e delicate di tutta la questione dei minori stranieri non accompagnati.

Nell'individuare quali saranno i criteri generali da adottare per pervenire ad una decisione che sia nel superiore interesse del minore, non dovranno essere dimenticati tutta una serie di fattori propri e caratterizzanti della condizione del minore non accompagnato. Mi riferisco, ad esempio all'acquisizione di notizie sul conto dei genitori che accertino la loro condizione: se esistono, se sono in grado di mantenere il minore, quale sia la loro volontà; ma anche e soprattutto a quali siano le opportunità offerte al minore in Italia e quali nel suo paese d'origine. La scelta, perciò, dovrà sempre fondarsi su una valutazione caso per caso, che tenga conto della specifica situazione di ogni singolo minore.

Dall'affermazione della priorità del superiore interesse del minore (84) discende che ogni considerazione in merito al controllo dell'immigrazione clandestina dovrà essere secondaria rispetto alla valutazione dell'interesse del minore.

Proprio in attuazione di questo principio, il Testo unico 286/98 vieta in generale l'espulsione del minore, provvedimento che si fonda sulla violazione delle norme sull'ingresso e il soggiorno degli stranieri e quindi sull'"interesse" dello Stato, e prevede invece il rimpatrio assistito, provvedimento che si fonda sull'interesse del minore. L'espulsione, infatti, è un provvedimento in base al quale lo straniero viene semplicemente rinviato nel suo paese d'origine, senza curarsi di quale situazione vi incontrerà, a meno che non sussista il rischio di persecuzioni (85).

Il rimpatrio assistito, invece, fondato sulla valutazione del superiore interesse del minore, comporta il rispetto del diritto del minore alla protezione, e quindi che il minore venga affidato ad adulti responsabili che se ne prendano cura.

Come abbiamo già visto sia il diritto internazionale, attraverso la Convenzione di New York, e la legislazione nazionale vigente sono tese a privilegiare l'interesse del minore, il suo diritto di protezione, il suo diritto a vivere nella famiglia di origine o, qualora questa risulti inidonea, in un ambiente familiare sostitutivo (86).

La Convenzione di New York sancisce anche il diritto del minore a mantenere al propria identità nazionale (87) e impone che si tenga conto dell'origine etnica, religiosa, culturale e linguistica nel disporre provvedimenti di protezione ove il minore si trovi privo di un ambiente familiare idoneo (88). Tali riferimenti, tuttavia, non implicano che il minore debba trovarsi nel paese d'origine, ma che lo Stato in cui il minore si trova si adoperi affinché il minore possa mantenere la propria identità nazionale, religiosa, culturale, linguistica.

Anche se la valutazione va fatta sempre caso per caso, si può affermare che, in base alla Convenzione di New York e alla legge 184/83, si possa considerare tendenzialmente più rispondente all'interesse del minore vivere in un ambiente familiare sostitutivo in un paese diverso dal proprio paese d'origine che non vivere in un istituto di assistenza nel proprio paese di origine (89).

Nella valutazione poi della situazione del minore in Italia certamente non potrà essere sottovalutata la disponibilità di associazioni o famiglie ad accogliere il minore, così come le opportunità formative e lavorative che al minore possono essere offerte.

Anche l'età è naturalmente un fattore molto importante, che ha rilevanza rispetto a molti degli altri fattori precedentemente indicati, e in particolare rispetto a:

  • l'esigenza del minore di vivere nella propria famiglia d'origine: è evidente che per un adolescente tale esigenza è assai inferiore rispetto ad un bambino;
  • la condotta pregiudizievole dei genitori nella scelta dell'emigrazione: nel caso di genitori che inviano un bambino solo in un paese straniero a lavorare è più probabile che si possa parlare di condotta pregiudizievole che non nel caso di un adolescente;
  • la volontà del minore: più il minore è maturo, più sarà importante tenere conto della sua volontà.

Sono questi temi che hanno un forte peso anche nell'ambito del procedimento di adottabilità che può intraprendere un Tribunale minorile nei confronti di un "non accompagnato". Lo dimostra una sentenza del Tribunale di Venezia che, riguardo al caso di un giovane albanese, afferma che il minore straniero presente in Italia, che abbia abbandonato il proprio paese di origine, con il presumibile consenso della famiglia di sangue, per ragioni politiche, di emigrazione e di lavoro, non può essere considerato come temporaneamente privo di ambiente familiare proprio né in stato di abbandono quando mantenga rapporti a distanza con i propri familiari, che continuano a prodigare al minore assistenza morale, mentre l'assistenza materiale è, di fatto, impedita dalla lontananza (90).

6. Il diritto allo studio e alla salute

Vi sono poi dei diritti sanciti e riconosciuti dalla nostra Costituzione di cui godono anche gli stranieri e in particolare i minori. Tra questi il diritto allo studio previsto in Costituzione dall'art. 34: "la scuola è aperta a tutti"; pertanto nel nostro ordinamento il diritto all'istruzione è un diritto costituzionalmente garantito non solo ai cittadini, ma a tutte le persone, anche straniere (91).

Anche la Convenzione di New York, all'art. 28, stabilisce che: "Gli Stati Parti riconoscono il diritto del fanciullo all'educazione, ed in particolare, al fine di garantire l'esercizio di tale diritto gradualmente ed in base all'uguaglianza delle possibilità: a) rendono l'insegnamento primario obbligatorio e gratuito per tutti; b) incoraggiano l'organizzazione di varie forme di insegnamento secondario sia generale che professionale, che saranno aperte ed accessibili ad ogni fanciullo e adottano misure adeguate come la gratuita dell'insegnamento e l'offerta di una sovvenzione finanziaria in caso di necessità".

Le norme sull'istruzione, in particolare l'art. 36 della legge 6 marzo 1998, n. 40, prevedono l'estensione dell'obbligo scolastico ai minorenni stranieri comunque presenti nel territorio nazionale: ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all'istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica. Le istituzioni sono anche impegnate ad attivare corsi per l'apprendimento della lingua italiana.

Secondo una circolare del Ministero della pubblica istruzione (92) i capi di istituto delle scuole dispongono l'iscrizione con riserva dei minorenni stranieri, in attesa della regolarizzazione della loro posizione. Tale iscrizione non è subordinata alla esibizione di permesso di soggiorno in corso di validità, che può essere prodotto successivamente. La mancata successiva produzione del permesso di soggiorno non dovrebbe comunque pregiudicare l'iscrizione e la frequenza, bensì comportare delle difficoltà per il conseguimento delle relative certificazioni.

La richiesta di soggiorno dovrebbe poi essere proposta al questore competente da chi presiede l'istituto, se il bambino vi è ospitato o, nei casi di normale frequenza, dall'esercente la potestà genitoriale o dal tutore. In mancanza di questa richiesta ci si dovrebbe rivolgere al giudice tutelare affinché nomini un tutore che rappresenti il tutore in tale procedimento.

Nel caso in cui i genitori del minore irregolare che frequenta la scuola venissero espulsi, con l'espulsione verrebbe ad essere compromesso il diritto allo studio riconosciuto al bambino; pertanto in quest'ottica, è stata intrapresa presso alcune questure la prassi di sospendere fino al termine dell'anno scolastico l'esecuzione del provvedimento d'espulsione.

Un altro diritto garantito sia costituzionalmente che a livello internazionale è il diritto alla salute. Infatti, l'art. 24 della Convenzione di New York stabilisce che: "Gli Stati Parti riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione. Essi si sforzano di garantire che nessun minore sia privato del diritto di avere accesso a tali servizi."

Tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti per motivi di lavoro o familiari, per richiesta di asilo, per attesa adozione, per affidamento, per attesa cittadinanza hanno l'obbligo d'iscrizione al servizio sanitario nazionale, iscrizione che può essere richiesta anche dagli stranieri regolarmente soggiornanti per studio o alla pari. Gli iscritti, e i loro familiari, hanno parità di trattamento rispetto ai cittadini italiani (93).

Gli altri stranieri regolarmente soggiornanti sono tenuti ad assicurarsi mediante stipula di apposita polizza contro il rischio di malattie, infortunio e maternità.

Per quanto riguarda i minori irregolari, il diritto alla salute non appare pienamente garantito in quanto il T.U. 286/98, pur stabilendo che sia garantita "la tutela della salute del minore in esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989" (94), non chiarisce poi come si attui concretamente questa disposizione, con la conseguenza che al minore vengono di fatto ad applicarsi le stesse disposizioni relative alla generalità degli stranieri irregolari, che si limitano a garantire "le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva." (95)

Tale lacuna non sembra poi essere colmata dal regolamento di attuazione del T.U. 286/98 e dalla circolare del Ministero della Sanità 24 marzo 2000, che invece si limita a definire più accuratamente la tipologia di prestazioni previste dall'art. 35 del Testo unico (96).

Anche il regolamento del Comitato per i minori stranieri, all'art. 6, prevede che "Al minore non accompagnato sono garantiti i diritti relativi al soggiorno temporaneo, alle cure sanitarie", senza specificare ulteriormente.

Agli stranieri, comunque, sono poi garantiti la tutela sociale della gravidanza e della maternità, la tutela della salute del minore, le vaccinazioni secondo la normativa vigente (97), gli interventi di profilassi internazionale, la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie infettive.

È poi disciplinata la possibilità di ingresso e soggiorno in Italia dello straniero per cure mediche.

In relazione all'assistenza sociale, occorre ancora distinguere fra minori stranieri presenti in Italia regolarmente e quelli cosiddetti irregolari. Per i primi l'art. 41 del Testo unico sull'immigrazione stabilisce che "gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche di assistenza sociale". Pertanto, quantomeno dal punto di vista formale, l'intervento a sostegno di tali minori in nulla dovrebbe differenziarsi da quelli in favore dei minori italiani.

Per quanto riguarda i minori irregolari, invece, si ritorna all'art. 35 del Testo unico che, come si è detto, garantisce esplicitamente "la tutela della salute del minore", in esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176, per la quale all'art. 20 è stabilito che "ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto ad una protezione e ad aiuti speciali dello Stato". Si ritiene così, considerando la salute del minore nella sua accezione più ampia, che possano essere posti in essere gran parte degli interventi di assistenza e di sostegno previsti per i minori italiani o per gli stranieri regolari (98).

Note

1. Art. 28 del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

2. Art. 29 del Testo unico 25 luglio 1998, n. 286.

3. Art. 28, comma 2 del Testo unico 25 luglio 1998, n. 286.

4. Resa esecutiva in Italia con legge 24 ottobre 1980, n. 742.

5. Resa esecutiva in Italia con legge 30 giugno 1975, n. 396; internazionalmente non in vigore.

6. La legge di riforma dell'adozione internazionale costituisce il Titolo III, artt. 29-43, della legge 4 maggio 1983, n. 184.

7. Vedi a questo proposito la Sintesi degli interventi al seminario "Minori stranieri non accompagnati e irregolari, tra accoglienza e rimpatrio" tenutosi a Torino il 4 luglio 2000.

8. Art. 2, Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961.

9. Franchi, M., Protezione dei minori e diritto internazionale privato, Giuffré, Milano, 1997.

10. Ibidem.

11. Miazzi, L., La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia, in "Minori Giustizia", n. 3, 1999.

12. Art. 4 della Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961.

13. Art. 7 della Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961.

14. Il trust riguarda principalmente il patrimonio del minore e non ha funzioni propriamente protettive.

15. Kafalah letteralmente significa accoglimento e consiste nell'istituto per mezzo del quale il minore è accolto da una coppia unita in matrimonio al fine di dare al bambino un ambiente familiare. Il minore non viene integrato nella famiglia di accoglimento, non ne assume il cognome e non partecipa ai diritti ereditari. La kafalah è assimilabile al nostro affidamento, mentre l'adozione è vietata dal Corano.

16. Art. 9 della Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961.

17. Art. 17 legge 31 maggio 1995, n. 218.

18. Art. 42 legge 31 maggio 1995, n. 218.

19. Legge 15 gennaio 1994, n. 64 "Ratifica ed esecuzione della convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell'affidamento, aperta alla firma a Lussemburgo il 20 maggio 1980, e della convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, aperta alla firma a L'Aja il 25 ottobre 1980; norme di attuazione delle predette convenzioni, nonché della convenzione in materia di protezione dei minori, aperta alla firma a L'Aja il 5 ottobre 1961, e della convenzione in materia di rimpatrio dei minori, aperta alla firma a L'Aja il 28 maggio 1970".

20. Secondo Miazzi in "La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia" un'interpretazione restrittiva di questa norma, con la limitazione dei provvedimenti urgenti adottabili nei confronti dei minori stranieri non abitualmente residenti nel nostro paese solamente a quellli di competenza del tribunale per i minorenni, sarebbe contraria al principio di massima estensione della protezione del minore. Secondo lui, perciò, debbono ritenersi applicabili anche l'affido disposto dall'ente territoriale e l'intervento della pubblica autorità ex art. 403 c.c.

21. Art. 3, comma 5 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 dicembre 1999, n. 535 "Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri".

22. Ciò a seguito dell'emanazione del d.lvo 13 aprile 1999, n.113, che ha modificato l'art. 33 del Testo unico.

23. Miazzi, L., La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia, in "Minori Giustizia", n. 3, 1999.

24. Rozzi, E. (a cura di), I minori stranieri non accompagnati e irregolari, tra accoglienza in Italia e rimpatrio, ASGI, Torino, 2000.

25. Tribunale per i minorenni e della Procura della Repubblica per i minorenni di Venezia "Informazioni, indicazioni, suggerimenti in ordine alla tutela giudiziaria dei minori" 21 giugno 2000.

26. Morozzo Della Rocca, P., La riforma dell'adozione internazionale, UTET, Torino, 1999.

27. Dogliotti, M., Affidamento e adozione, Giuffrè, Milano, 1990.

28. Sacchetti, L., L'irruzione albanese e il trattamento giuridico degli adolescenti stranieri nello Stato, in "Il Diritto di famiglia e delle persone", 1992.

29. In questi casi, mancando lo stato di abbandono, trova applicazione l'art. 36 della legge 218/95, che dispone l'applicabilità della legge nazionale del figlio nella sfera dei rapporti personali e patrimoniali con i genitori ed in generale le regole di volta in volta applicabili in quanto parte del sistema italiano di diritto internazionale privato.

30. Morozzo Della Rocca, P., La riforma dell'adozione internazionale, UTET, Torino, 1999.

31. La Corte d'appello, sezione minorenni, in una pronuncia del 16 gennaio 1995, sottolineò il carattere meramente assistenziale di tale legge, evitando così di affrontare il problema dei limiti di efficacia di future deroghe legislative al principio stabilito nel vecchio art. 37 della legge sull'adozione.

32. Successivamente con DPCM del 7 aprile 1994 venne poi costituito il Comitato interministeriale per la tutela dei minori stranieri.

33. "Ogni fanciullo in quanto è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto ad una protezione e ad aiuti speciali dello Stato" (Art. 20 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989).

34. Cavallo, M., Il rispetto dell'identità del minore nella famiglia adottiva e affidataria, in "Minori giustizia", n. 4, 1996.

35. Losana, C., Stranieri e italiani nell'adozione, in "Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, Adozione internazionale e famiglia multietnica", Giuffré, Milano, 1997.

36. Ibidem.

37. Tribunale per i minorenni di Napoli, 17 ottobre 1990, in "Il Diritto di famiglia e delle persone", 1991.

38. Corte d'appello di Torino, sez. min., 14 dicembre 1993, in "Il Diritto di famiglia e delle persone", 1994.

39. Tribunale per i minorenni di Napoli, 17 dicembre 1996, in "Il Diritto di famiglia e delle persone", 1998.

40. Cassazione, 4 maggio 1991, n. 4936, in "Juris Data".

41. In esecuzione di quanto previsto dall'art. 47 della detta legge, il Governo emanò poi il d.lvo. 25 luglio 1998, n. 286, contenente il Testo unico delle disposizioni concernenti gli stranieri.

42. In questo il Comitato si avvale della collaborazione delle amministrazioni pubbliche e di organismi nazionali e internazionali con i quali il Dipartimento per gli Affari Sociali può stipulare convenzioni.

43. Mozione votata dal Consiglio direttivo dell'Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e la famiglia nella riunione del 26-27 novembre 1999.

44. Art. 4 D.lvo. 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.

45. Art. 33 legge 4 maggio 1983, n. 184, come modificato dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476.

46. Circolare n. 100/2701 in data 8 luglio 1994 del Ministero degli affari esteri.

47. Art. 31 Testo unico 25 luglio 1998, n. 286.

48. La circolare del Ministero dell'Interno del 13.11.2000 indica il permesso di soggiorno per affidamento come il tipo di permesso di soggiorno che viene rilasciato al minore affidato ex art. 4 legge n. 184/83, e sembra equiparare perfettamente il permesso per affidamento con quello per motivi familiari. Probabilmente si può considerare il permesso per affidamento semplicemente come una definizione più specifica del permesso per motivi familiari rilasciato a minori affidati ex art. 4 legge n. 184/83: di conseguenza possiamo ritenere che la durata, la convertibilità alla maggiore età e i diritti connessi a questo tipo di permesso di soggiorno siano disciplinati dalle stesse disposizioni che disciplinano il permesso di soggiorno per motivi familiari.

49. Secondo questa norma i minori sottoposti a tutela sarebbero assoggettati alla disciplina del ricongiungimento familiare e dovrebbero ottenere, quindi, il permesso di soggiorno per motivi familiari.

50. Art. 18, comma 6 del Testo Unico 25 luglio 1998, n. 286.

51. Art. 18 del Testo unico 25 luglio 1998, n. 286.

52. Trattasi di requisiti di alloggio e di rendimento precisati dall'art. 29, comma 3 del Testo unico.

53. Regolamento di attuazione D.P.R. 394/99, art. 45, commi 1 e 2.

54. Art. 31, comma 3 del Testo unico 25 luglio 1998, n. 286.

55. Art. 18 del Testo unico 25 luglio 1998, n. 286.

56. L'art. 3 della legge sull'adozione stabilisce che "All'istituto di assistenza spettano i poteri e gli obblighi dell'affidatario di cui all'articolo 5 (cioè l'affidamento familiare)".

57. Ad esempio: minori affidati in Italia a parenti entro il quarto grado; minori non accompagnati sottoposti a tutela.

58. TAR Piemonte, n. 952/02; TAR Toscana, n. 880/02.

59. Nota del Comitato per i minori stranieri emessa il 14 ottobre 2002. La nota è diretta a fornire le prime indicazioni interpretative dell'art. 25 della legge 30 luglio 2002, n. 189.

60. TAR Piemonte, n. 1605/01 e n. 1006/02.

61. Art. 32 del Testo unico 25 luglio 1998, n. 286.

62. L'art. 9 stabilisce che per i parenti entro il quarto grado non sussiste l'obbligo di segnalare al giudice tutelare l'accoglienza del minore nella propria abitazione, anche quando questa si protrae oltre i sei mesi.

63. Rozzi, E. (a cura di), I minori stranieri non accompagnati e irregolari, tra accoglienza in Italia e rimpatrio, ASGI, Torino, 2000.

64. Il Tribunale per i minorenni di Perugia e quello di Milano nel corso del 1999 si erano più volte dichiarati incompetenti a provvedere all'affidamento del minore straniero al parente prossimo che ne aveva fatto richiesta. La Corte d'Appello di Perugia aveva però escluso che la competenza in materia di affidamento, sia pure solo per i minori stranieri, fosse passata al Comitato per i minori stranieri.

65. Ibidem.

66. Decreti del Tribunale per i minorenni di Venezia del 21 dicembre 1998 e del 28 dicembre 1998.

67. Rozzi, E. (a cura di), I minori stranieri non accompagnati e irregolari, tra accoglienza in Italia e rimpatrio, ASGI, Torino, 2000.

68. Ibidem.

69. Decreto del Tribunale per i minorenni di Torino del 22 luglio 1999, e decreto del Tribunale per i minorenni di Venezia del 10 maggio 1999.

70. Rozzi, E. (a cura di), I minori stranieri non accompagnati e irregolari, tra accoglienza in Italia e rimpatrio, ASGI, Torino, 2000.

71. Si tratta del visto d'ingresso per adozione rilasciato dagli uffici consolari italiani all'estero, i quali vengono a ciò autorizzati da una formale comunicazione della Commissione per le adozioni internazionali.

72. Regolamento di attuazione della legge n. 476/98 sull'adozione internazionale.

73. Miazzi, L., La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia, in "Minori Giustizia", n. 3, 1999.

74. Rozzi, E. (a cura di), I minori stranieri non accompagnati e irregolari, tra accoglienza in Italia e rimpatrio, ASGI, Torino, 2000.

75. Art. 2, comma 2 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 dicembre 1999, n. 535.

76. Rozzi, E. (a cura di), I minori stranieri non accompagnati e irregolari, tra accoglienza in Italia e rimpatrio, ASGI, Torino, 2000.

77. Ibidem.

78. La definizione appare nella stessa formula della risoluzione del Consiglio dell'Unione europea del 26 giugno 1997.

79. "Dopodiché si assumono tutte le informazioni possibili. Ma anche qui, non immaginiamo di venire a sapere l'anamnesi del nonno, come quando si dichiara lo stato di abbandono. Le notizie del Servizio Sociale Internazionale in Albania sono abbastanza serie, ma sono del tipo "papà ha ricevuto una fucilata ed è inabile al lavoro, qualcuno guadagna ma non si capisce chi" oppure "vogliono che la bambina torni a casa, hanno venduto un'altra bambina, si venderanno anche quella?". Ma non possiamo aspettare un altro anno, se questa bambina è in Italia e c'è il rischio che sia venduta un'altra volta noi non disponiamo certo il rimpatrio assistito; se invece quella bambina piange ininterrottamente "voglio tornare a casa, non ce la faccio più" manderemo a dire alla polizia locale "state attenti". Più di tanto non si può fare." P. Vercellone (Presidente del Comitato per i minori stranieri), in Atti del seminario "Minori stranieri non accompagnati e irregolari, tra accoglienza e rimpatrio", Torino, 4 luglio 2000.

80. Art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184.

81. Art. 12 della legge 4 maggio 1983, n. 184.

82. Art. 2, comma 2, del Decreto del Presidente del consiglio dei ministri 9 dicembre 1999, n. 535.

83. Art. 7, comma 2: "Salva l'applicazione delle misure previste dall'articolo 6, il Comitato dispone il rimpatrio assistito del minore presente non accompagnato, assicurando che questi sia stato previamente sentito, anche dagli enti interessati all'accoglienza, nel corso della procedura".

Art. 6, comma 2: "Al fine di garantire l'adeguata accoglienza del minore il Comitato può proporre al Dipartimento per gli affari sociali di stipulare convenzioni con amministrazioni pubbliche e organismi nazionali e internazionali che svolgono attività inerenti i minori non accompagnati in conformità ai principi e agli obiettivi che garantiscono il superiore interesse del minore, la protezione contro ogni forma di discriminazione, il diritto del minore di essere ascoltato."

84. Art. 28, comma 3 del Testo unico 25 luglio 1998, n. 286.

85. Naturalmente, il rischio di persecuzioni costituisce un limite non solo per l'espulsione ed il respingimento, ma anche ed a maggior ragione per il "rimpatrio assistito". Tale limite è sottolineato dalla Risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea del 27 giugno 1997, art. 5, comma 4: "In nessun caso si può procedere al rimpatrio del minore in un paese terzo se il rimpatrio è contrario alla convenzione relativa allo status dei rifugiati, alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, alla convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o alla convenzione sui diritti dei fanciulli, fatte salve eventuali riserve formulate dagli Stati membri all'atto della ratifica o ai relativi protocolli".

86. Il collocamento in istituto è un'ipotesi percorribile soloove non sia possibile un conveniente affidamento familiare. In tutti i casi in cui è possibile sarà invece preferibile l'affidamento familiare, sia che si tratti di affidamento ad una famiglia o singolo, sia che si tratti di affidamento a una comunità di tipo familiare.

87. Art. 7.

88. Art. 20, comma 3.

89. Rozzi, E. (a cura di), I minori stranieri non accompagnati e irregolari, tra accoglienza in Italia e rimpatrio, ASGI, Torino, 2000.

90. Tribunale per i minorenni di Venezia, 19 maggio 1992, in "Il Diritto di famiglia e delle persone", 1993.

91. Corrispondentemente al diritto previsto per i loro figli, i genitori stranieri residenti in Italia hanno l'obbligo di far osservare, ai sensi dell'art. 731 c.p. questo obbligo scolastico.

92. Circolare Ministero pubblica istruzione 12 gennaio 1994, n. 5, avente come oggetto "Iscrizione nelle scuole e negli istituti di ogni ordine e grado di minorenni stranieri privi del permesso di soggiorno".

93. Artt. 32-34 legge 6 marzo 1998, n. 40.

94. Art. 35, comma 3 del Testo Unico 25 luglio 1998, n. 286.

95. Art. 35, comma 3 del Testo Unico 25 luglio 1998, n. 286.

96. "Per cure urgenti si intendono le cure che non possono essere differite senza pericolo per la vita o danno per la salute della persona; per cure essenziali si intendono le prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell'immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita (complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti). È stato, altresì, affermato dalla legge il principio della continuità delle cure urgenti ed essenziali, nel senso di assicurare all'infermo il ciclo terapeutico e riabilitativo completo riguardo alla possibile risoluzione dell'evento morboso" (Circolare del Ministero della Sanità del 24 marzo 2000).

97. In base alla Circolare del Ministero della sanità del maggio 1993, relativa alle vaccinazioni obbligatorie contro le malattie infettive, si è stabilito che i minori stranieri potrebbero avvalersi di autocertificazioni ai sensi dell'art. 18 legge n. 241/90. Sussisterebbe sempre il problema di verificare l'eventuale certificazione relativa alla avvenuta vaccinazione in paese estero.

98. Martini, N., Bambini e ragazzi d'altrove, in "Polis", n. 38, 1998.