ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo I
L'evoluzione storica della politica migratoria in Europa

Ornella Di Mauro, 2002

1.1. Dal 'mercato comune' al 'mercato interno'

Il fenomeno delle migrazioni, regolari e clandestine, comincia a essere affrontato a livello europeo solo dopo la seconda guerra mondiale (1), quando inizia ad essere visto dalla cultura politica dominante come una minaccia all'ordine pubblico e alla sicurezza della nascente Comunità europea.

Nel 1957 viene istituita la Comunità europea con il Trattato di Roma. Con questo Trattato si persegue l'obiettivo della creazione di un 'mercato comune', ovvero di uno spazio geografico e giuridico in cui tra gli Stati membri siano eliminati gli ostacoli alla libera circolazione delle persone (2), delle merci, dei servizi e dei capitali.

Essendo la frontiera l'ostacolo fisico che si frappone alla libera circolazione, nel corso dell'evoluzione dell'ordinamento comunitario, si arriva alla eliminazione dei controlli alle frontiere interne. È l'Atto Unico europeo, firmato a Lussemburgo il 17 Febbraio 1986 ed entrato in vigore il 1º luglio 1987, che, modificando il Trattato di Roma, individua l'obiettivo della Comunità nell'istituzione, entro la fine del 1992, di un 'mercato interno', definito come "uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone (3), dei servizi e dei capitali" (art. 8 A). Si comprende che l'eliminazione dei controlli alle frontiere (4) comuni ai 'Dodici' (in particolare l'abolizione dei controlli sulle persone) è possibile solo a condizione che i membri della Comunità siano in grado di assicurare l'efficacia dei controlli ai confini esterni. L'obiettivo politico della piena libertà di circolazione può essere perseguito solo contestualmente all'adozione di adeguate misure compensative destinate a controbilanciare il deficit di sicurezza che i paesi della Comunità devono sopportare come conseguenza della liberalizzazione della circolazione interna. Il raggiungimento di un livello sufficiente di accordo e cooperazione sulle misure di compensazione diviene quindi una pre-condizione indispensabile per realizzare lo spazio senza frontiere interne.

Le misure individuate per evitare che all'abolizione dei controlli si accompagni un calo complessivo della sicurezza del continente sono riconducibili essenzialmente a due azioni:

  1. rafforzare i controlli alle frontiere esterne;
  2. intensificare all'interno dello spazio senza frontiere la cooperazione giudiziaria e di polizia.

A causa della reticenza di alcuni Stati a ritenere che esista una vera e propria competenza comunitaria in queste materie e per l'assenza di indicazioni puntuali nel Trattato della Comunità europea, i 'Dodici' si impegnano a risolvere i problemi derivanti dall'abolizione delle frontiere interne nell'ambito della cooperazione intergovernativa e non in quello comunitario. Pertanto l'elaborazione delle misure compensative dipende da organismi sui quali, né la Comunità europea, né i parlamenti nazionali, esercitano alcun controllo effettivo (5).

In pochi anni nascono numerosi gruppi di cooperazione (6) che si differenziano fortemente tra loro in riferimento a: specializzazione tematica (terrorismo, droga, immigrazione, criminalità organizzata, cooperazione doganale, etc.), livello gerarchico (ministri, dirigenti, funzionari dotati di competenze operative), grado di complessità e di formalizzazione organizzativa, frequenza delle riunioni e continuità dell'attività, livello di segretezza, ecc. Si forma così una rete di cooperazione di estrema complessità, in continua evoluzione e caratterizzata da una scarsissima trasparenza, da una definizione flessibile dei compiti di ciascun Gruppo e da frequenti sovrapposizioni.

L'Atto Unico europeo pur non dando vita a una politica europea sull'immigrazione, definisce la necessità di affrontare, mediante accordi intergovernativi, la questione immigrazione in quanto materia che può minacciare la sicurezza interna della Comunità.

1.2. La cooperazione intergovernativa in ambito Schengen

Tra i fori di cooperazione intergovernativa operanti in materia di affari interni, spicca per l'importanza dei risultati concretamente ottenuti, quello istituito nella cittadina lussemburghese di Schengen il 14 giugno 1985 tra Germania, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo (7). Esito di tali lavori è l'Accordo relativo alla eliminazione dei controlli alle frontiere comuni, meglio noto come Accordo di Schengen, dal nome del villaggio sulla Mosella che ha ospitato la firma del Trattato. Con questo Accordo i cinque Stati si impegnano a "eliminare i controlli alle frontiere comuni, trasferendoli alle proprie frontiere esterne" (art. 17) entro il 1º gennaio 1990 (art. 30). Questo si presenta perciò come un modello di area di libera circolazione che, nelle intenzioni, sarebbe potuto entrare in vigore prima della fine del 1992.

Le parti sono consapevoli che la libera circolazione delle persone e delle merci non può basarsi solamente sulla soppressione dei controlli alle frontiere, poiché questi costituiscono un filtro efficace contro il traffico di droga, l'immigrazione illegale, la grande criminalità e il terrorismo. Per conciliare la libertà di circolazione con il mantenimento della sicurezza dei cittadini (8) sono necessarie misure complementari e di armonizzazione delle disposizioni legislative degli Stati membri. Vengono individuati perciò i seguenti fronti su cui operare:

  • rafforzamento dei controlli delle frontiere esterne con carattere di omogeneità per tutti i paesi contraenti (visti di ingresso, verifica delle persone e delle vetture nonché delle merci trasportate, segnalazione ai fini della non ammissione dello straniero);
  • determinazione dello Stato competente e delle modalità per l'esame della domanda di asilo;
  • adeguata organizzazione della cooperazione fra i sistemi giudiziari (assistenza giudiziaria, estradizione, esecuzione delle sentenze penali) e fra le polizie dei vari paesi (per fronteggiare l'immigrazione clandestina, il traffico di droga, il terrorismo, e la criminalità in genere) con la possibilità di effettuare indagini, pedinamenti ed inseguimenti di criminali anche al di là dei confini di un altro degli Stati aderenti;
  • previsione di un'armonizzazione delle politiche e delle legislazioni relative alla lotta contro i trafficanti di stupefacenti e l'acquisto, detenzione e commercio di armi da fuoco e munizioni;
  • realizzazione di uno schedario informatizzato, denominato "Sistema di Informazione Schengen" (SIS), destinato a facilitare la cooperazione finalizzata ai controlli delle frontiere esterne.

L'Accordo di Schengen ha essenzialmente la natura di una dichiarazione sugli obiettivi da raggiungere per l'instaurazione di un completo regime di libera circolazione e non contiene disposizioni che incidono direttamente sull'ordinamento interno dei singoli Stati, salvo alcune misure di carattere amministrativo per l'alleggerimento dei controlli alle frontiere interne, riportate nel titolo I.

Per le difficoltà incontrate nell'individuazione e nell'adozione delle complesse misure complementari e di armonizzazione, oltre che per l'inatteso evento della caduta del muro di Berlino con la conseguente revisione della dislocazione di uno dei confini esterni dell'area Schengen, il termine indicato per la realizzazione dell'area senza controlli alle frontiere comuni non viene rispettato. Nel 1990 non si giunge alla soppressione dei controlli alle frontiere interne, bensì alla firma (9) della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schnegen, nei cui 142 articoli vengono definite le misure che l'Accordo del 1985, in 33 articoli, indica solo in modo generico.

La Convenzione, che persegue lo scopo di realizzare lo spazio interno senza frontiere, conformemente all'art. 8 A del Trattato della Comunità europea (10), disciplina minuziosamente le disposizioni volte a creare un'area di omogenea sicurezza. In particolare vengono date disposizioni in merito a tre aspetti:

  1. soppressione dei controlli di polizia sulle persone e alleggerimento dei controlli sulle merci alle frontiere interne;
  2. rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne e più in generale, miglioramento sotto il profilo dell'efficacia, dei controlli svolti dalle autorità nazionali sull'immigrazione clandestina e irregolare e sugli abusi del diritto di asilo;
  3. intensificazione e miglioramento dell'efficacia dei controlli di sicurezza e dell'attività giudiziaria in materia penale all'interno dello spazio di libera circolazione (11).

Nei governi nazionali sono necessarie innovazioni di rilievo per realizzare queste numerevoli disposizioni. Per l'entrata in vigore della Convenzione di applicazione si deve perciò aspettare il 26 marzo del 1995, quando termina nei cinque Stati fondatori il percorso di adeguamento alle disposizioni della Convenzione.

1.2.1. La disciplina dei controlli alle frontiere esterne nello Spazio Schengen

Con la Convenzione di applicazione degli Accordi di Schengen comincia a prendere forma una politica unica di monitoraggio alle frontiere.

L'effettività dei controlli alle frontiere (12) comuni è l'unica condizione espressamente indicata nell'atto finale del 1990 dalla quale dipende l'applicazione della Convenzione stessa. In altre parole, la libera circolazione delle persone non è considerata possibile fino a quando le parti non raggiungano un sufficiente livello di fiducia reciproca sul modo in cui ciascuna di esse controlla i propri confini esterni. Questi controlli sono perciò rafforzati "tenendo conto degli interessi di tutte le parti contraenti" (art. 6, comma 1) ed esercitati dalle autorità nazionali competenti in base a principi uniformi. Ma se da un lato, la Convenzione prevede che "i confini esterni dello Spazio Schengen" possano essere attraversati soltanto "ai valichi di frontiera e durante le ore stabilite" (art. 3), dall'altro, abolisce completamente i controlli alle frontiere interne (13), le quali possono essere attraversate in qualunque luogo e momento, senza che venga effettuato alcun controllo sulle persone (14). Sorge quindi all'interno della Comunità europea, un'area ridotta di libera circolazione dove:

  • qualunque cittadino di una delle parti contraenti, o 'straniero', proveniente da località situata all'interno dello Spazio Schnegen, può varcare una frontiera interna in qualunque luogo senza che si proceda ad alcun controllo;
  • uno 'straniero' (15), proveniente dall'esterno dello Spazio Schengen, è soggetto alla frontiera a tutti i controlli richiesti dalla Convenzione di Schengen e dalla legislazione nazionale dello Stato di ingresso;
  • un 'non straniero' che entra nello Spazio Schengen da località situata fuori da questo è soggetto al solo controllo di cittadinanza.

La Convenzione di Schengen contiene disposizioni che concernono prevalentemente le procedure e gli strumenti di controllo ed evitano di entrare nel merito delle scelte di fondo, che restano di esclusiva competenza nazionale. Gli stessi strumenti e le stesse procedure possono essere impiegate sia nell'ambito di una politica restrittiva, sia in quello di una politica più liberale nei confronti degli ingressi e delle permanenze di immigrati stranieri. L'effettività dei controlli alle frontiere deriva infatti dall'adempimento da parte degli Stati membri delle disposizioni 'tecniche' previste nella Convenzione, che qui brevemente si riportano.

  • Viene armonizzato il regime dei visti, attraverso:
    1. l'istituzione di una lista comune dei paesi terzi i cui cittadini sono soggetti al regime del visto d'ingresso (16) (art. 9): si tratta di una lista 'bloccata', nel senso che se una delle parti intende mutare politica nei confronti di un paese incluso nella lista può farlo solo con l'accordo di tutte le altre;
    2. l'istituzione di un visto uniforme (Vsu), che consente, per una durata massima di 90 giorni, l'accesso nei territori di tutti i paesi contraenti. Tale visto viene rilasciato, dallo Stato di destinazione principale o da quello in cui avviene il primo ingresso, allo straniero che si presenti al valico di frontiera con un passaporto valido o un documento di viaggio equipollente e con disponibilità di mezzi finanziari sufficienti per il periodo di soggiorno e il ritorno in patria (17).

    Per quanto riguarda il rilascio dei visti per soggiorni di lunga durata i paesi dell'area Schengen conservano la loro sovranità: i visti per periodi superiori a tre mesi sono rilasciati dai singoli Stati in base ai rispettivi ordinamenti e consentono l'accesso al solo territorio dello Stato che ha accordato il visto che viene perciò detto visto nazionale (Vn).

  • Viene rafforzata la prevenzione e persecuzione dei reati stabilendo la cooperazione fra i sistemi giudiziari (assistenza giudiziaria, estradizione, esecuzione delle sentenze penali) e fra le polizie dei vari paesi con la possibilità di effettuare indagini, pedinamenti ed inseguimenti di criminali anche al di là dei confini di un altro degli Stati aderenti (inseguimento e osservazione transfrontalieri: artt. 40 e 41). È inoltre prevista l'armonizzazione delle politiche e delle legislazioni contro i trafficanti di stupefacenti e i commercianti di armi da fuoco, mediante la costituzione di un gruppo di lavoro permanente incaricato di studiare i problemi comuni in materia di lotta all'importazione, esportazione e spaccio illegale di sostanze stupefacenti.
  • Viene realizzato uno schedario informatizzato, denominato "Sistema di Informazione Schengen" (SIS), destinato a facilitare tanto i controlli alle frontiere esterne quanto le nuove forme di cooperazione interna, mettendo a disposizione degli Stati stessi segnalazioni di persone e cose consultabili sia in sede di controlli alle frontiere esterne, sia nel quadro dei controlli di polizia all'interno del paese. Istituito e disciplinato dal IV Titolo della Convenzione, il SIS è una rete informatica costituita da banche dati nazionali collegate a un database centrale, con sede Strasburgo, nel quale confluiscono i dati inseriti da ogni Stato membro nel SIS nazionale per il perseguimento delle varie forme di collaborazione. Il SIS è concepito come il centro nevralgico di tutto il Sistema Schengen, rappresentando, da un lato, la principale alternativa ai controlli prima svolti dalle autorità nazionali alle frontiere interne, e dall'altro, l'unico sistema capace di garantire, grazie al controllo delle persone intenzionate ad entrare nello Spazio Schengen, la sicurezza e l'ordine pubblico delle parti contraenti. Nelle banche dati del SIS possono essere contenute segnalazioni a diversi fini: persone ricercate nel quadro di procedimenti giudiziari (arresto a fini di estradizione, richiesta di comparizione davanti all'autorità giudiziaria a fini di testimonianza), implicate nella criminalità organizzata o nel traffico di armi e stupefacenti, stranieri segnalati "a scopo di non ammissione". Particolare attenzione merita la disciplina della segnalazione ai fini della non ammissione. Questa trova fondamento nel fatto che la presenza di uno straniero può costituire "una minaccia per l'ordine pubblico e la sicurezza nazionale" (art. 96) nei casi:
    1. di uno straniero condannato per un reato passibile di una pena privativa della libertà di almeno un anno;
    2. di uno straniero nei cui confronti vi siano seri motivi di ritenere che abbia commesso fatti punibili gravi;
    3. di uno straniero nei cui confronti esistano indizi reali che intenda commettere fatti gravi nel territorio di un paese contraente;
    4. di uno straniero che sia stato oggetto di "una misura di allontanamento, di respingimento, o di espulsione non revocata né sospesa che comporti o sia accompagnata da un divieto di ingresso o eventualmente di soggiorno, fondata sulla non osservanza delle regolamentazioni nazionali in materia di ingresso e di soggiorno"(art. 96).

    L'articolo 25 della Convenzione prevede che per motivi umanitari, per motivi di interesse nazionale o in conseguenza di obblighi internazionali, uno Stato possa comunque rilasciare un visto di entrata allo straniero segnalato ai fini della non ammissione. In questo caso il titolare del visto nazionale, concesso in deroga alla segnalazione, può circolare in tutta l'area Schengen ad eccezione del paese che l'ha emmessa, sempre che questo abbia mantenuto il nome dello straniero nell'elenco nazionale degli 'indesiderabili'. Ciò è coerente con l'impostazione generale della Convenzione che, disciplinando soltanto i soggiorni di breve durata, lascia discrezionalità agli Stati per quanto riguarda la decisione di chi accettare per un soggiorno superiore ai 90 giorni.

    Infine, in quanto strettamente complementari alle norme sul SIS, vengono dettate le norme sulla protezione dei dati personali (artt. 102-118 Conv.) e sulla sicurezza dei dati all'interno del Sistema informativo (artt. 126-130 Conv.).

  • Viene disciplinata la responsabilità per il trattamento delle richieste di asilo. Per ciascuna domanda di asilo presentata nel territorio Schengen viene individuata, in base ai criteri fissati dall'art. 30 della Convenzione, una sola parte contraente competente per l'esame, la cui decisione ha effetti pressoché automatici anche per le altre parti; se positiva consente al rifugiato di circolare in tutta l'area comune; se negativa impedisce la presentazione di una nuova domanda in un altro Stato. La parte che esamina la domanda è anche competente per l'allontanamento dello straniero cui non sia stato riconosciuto lo status di rifugiato o non sia stato concesso un permesso di soggiorno per altro motivo. Per garantire il funzionamento del Sistema, che peraltro opera anche in assenza di un'effettiva armonizzazione delle legislazioni e delle procedure nazionali sul diritto di asilo, gli artt. 37 e 38 della Convenzione prevedono che le parti si scambino reciprocamente informazioni sia sulle normative, le statistiche e l'andamento dei flussi dei richiedenti asilo, sia sui dati riguardanti l'identità, i movimenti ed eventuali domande già presentate da singoli richiedenti (18).
  • Vengono previste 'misure accessorie' volte ad impedire l'immigrazione clandestina. Al Capo 6 del Titolo I della Convenzione è disciplinata la responsabilità dei 'vettori', nel caso in cui conducano alla frontiera esterna dello Spazio Schengen uno straniero cui viene rifiutato l'ingresso o che non è in possesso dei documenti di viaggio richiesti. La Convenzione prevede infatti che il vettore adotti ogni misura necessaria per accertarsi che lo straniero trasportato per via aerea o marittima sia in possesso dei documenti di viaggio richiesti per l'ingresso nei territori delle parti contraenti. Inoltre, nel caso in cui allo straniero condotto alla frontiera dal vettore venga rifiutato l'ingresso, il vettore è tenuto a "prenderlo immediatamente a proprio carico" (art. 27) e secondo richiesta delle autorità di frontiera, a ricondurlo nel paese terzo dal quale è stato trasportato, o che ha rilasciato il documento di viaggio in suo possesso, oppure "in qualsiasi altro paese terzo in cui sia garantita la sua ammissione" (art. 27, comma 1/a). Sono inoltre predisposte sanzioni nei confronti di chiunque aiuti o tenti di aiutare, a scopo di lucro, uno straniero a entrare o a soggiornare nel territorio di una parte contraente, in violazione della legislazione sugli ingressi e sul soggiorno di quel paese.

Trasferendo su soggetti privati (i vettori), la responsabilità dell'esercizio di funzioni spettanti alla polizia di frontiera, gli Stati Schengen perseguono l'obiettivo di bloccare gli stranieri non in regola con tutti i requisiti di ingresso lontano dai propri confini, impedendo loro di raggiungere le frontiere esterne. "Una politica di questo genere può mettere seriamente in pericolo i diritti dei rifugiati, per i quali, oltretutto, più sono fondati i pericoli di persecuzione più risulta difficile, se non impossibile, espatriare con tutti i documenti in regola" (19). Diventa quindi verosimile che le compagnie di trasporto, per il timore di incorrere in sanzioni, rifiutino l'imbarco di passeggeri privi dei documenti richiesti per fare ingresso nello Spazio Schengen, ancorché si tratti di persone che possono ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato. Questo pericolo deriva dalla struttura della Convenzione stessa, che nasce per tutelare la sicurezza collettiva, piuttosto che per garantire il rispetto delle libertà individuali.

Le sanzioni ai vettori non sono, del resto, l'unico strumento con cui i paesi Schengen mirano a creare intorno ai propri territori una sorta di 'cordone sanitario', demandando ad altri il compito di bloccare e respingere gli stranieri che tentano di raggiungere i loro confini. Per garantirsi la possibilità di allontanare gli stranieri irregolari le parti si propongono (art. 23/4) di sottoscrivere con i paesi terzi, soprattutto se confinanti, Accordi di riammissione. Nel caso degli Accordi di riammissione, la responsabilità del controllo è trasferita non più a soggetti privati bensì direttamente a Stati confinanti, che in genere ottengono in cambio un alleggerimento delle limitazioni imposte per l'accesso dei propri cittadini ai benefici dell'area di libera circolazione. Con gli Accordi di riammissione gli Stati terzi direttamente confinanti con lo Spazio Schengen tendono a trasformarsi in 'Stati-cuscinetto' e si incaricano di fatto di garantire l'inviolabilità delle frontiere esterne di Schengen. Questo avviene nella misura in cui gli Stati terzi assumono la responsabilità di accettare la riammissione sul proprio territorio, celermente e senza troppe formalità, dei propri cittadini sorpresi in situazione irregolare nel territorio di uno Stato Schengen, e dei cittadini dei paesi terzi, rispetto ai quali sia possibile dimostrare da parte dello Stato Schengen richiedente che l'ingresso sul proprio territorio è stato preceduto dal transito attraverso il territorio dello Stato terzo richiesto. Ne consegue che anche gli Stati terzi confinanti, pur non avendo l'obbligo di allinearsi alla politica comune dei visti dei paesi Schengen, devono necessariamente rinforzare i controlli ai propri confini esterni adottando standard simili a quelli in vigore nei paesi Schengen, per non trovarsi a dover sostenere i costi economici e sociali di un gran numero di persone rinviate nel loro territorio, alcune delle quali da rimpatriare. In tal modo gli Stati Schengen, tendono a "scaricare le proprie responsabilità su paesi terzi, che non forniscono le necessarie garanzie di rispetto dei diritti umani" [...] "impedendo che aspiranti immigrati e richiedenti asilo raggiungano le frontiere esterne all'area Schengen, e prevedendo, nel caso in cui le frontiere vengono malauguratamente raggiunte, che le persone respinte o sorprese in condizione irregolare nel territorio dell'area di libera circolazione, possano essere rinviate al di fuori celermente e senza troppe formalità" (20).

1.2.2. Le tappe del processo di integrazione dell'Italia nell'area Schengen

Gli Accordi di Schengen e la Convenzione di applicazione non pretendono di definire politiche comuni dell'immigrazione e dell'asilo, ma si concentrano esclusivamente sugli aspetti inerenti la polizia dell'immigrazione. È anche grazie a questa caratteristica che il Sistema Schengen vive progressivamente una significativa espansione.

Mentre gli Stati fondatori proseguono il loro percorso di adeguamento, una cerchia di paesi esterni rispetto al nucleo originario aderisce al Sistema, firmando gli Atti di adesione ai Trattati istitutivi. In ordine cronologico, le tappe dell'allargamento sono le seguenti: Italia (27 novembre 1990), Spagna (25 giugno 1991), Portogallo (25 giugno 1991), Grecia (5 novembre 1992), Austria (28 aprile 1995), Danimarca, Finlandia e Svezia (dicembre 1996). Nello stesso dicembre 1996 la Norvegia e l'Islanda, per non compromettere il regime di libera circolazione da tempo vigente con gli altri paesi Scandinavi (Nordic Passport Union), firmano con i paesi Schengen accordi di cooperazione che conferiscono loro lo status di membri associati del Sistema (21). Gli unici paesi della Comunità europea che non aderiscono al Sistema sono Irlanda e Gran Bretagna, ovvero paesi dove l'applicazione della Convenzione avrebbe posto non pochi problemi considerato il fatto che in entrambi le frontiere interne coincidono con quelle esterne.

L'allargamento formale dell'area di libera circolazione governata dagli Accordi di Schengen non è immediatamente effettivo. La messa in applicazione degli Accordi per i nuovi membri è infatti subordinata all'accertamento da parte del Comitato esecutivo Schengen della realizzazione di una serie di condizioni sostanziali che possono essere così sintetizzate:

  1. realizzazione di un controllo efficace delle frontiere esterne;
  2. istituzione di una sezione nazionale del SIS;
  3. adempimento degli obblighi in materia d'asilo;
  4. armonizzazione della politica nazionale in materia di visti;
  5. esistenza di una legislazione nazionale sulla protezione dei dati personali;
  6. adeguamento della normativa relativa alla lotta contro il traffico di stupefacenti;
  7. adeguamento delle strutture aeroportuali.

Per quanto riguarda l'Italia, il suo ingresso effettivo nell'area Schengen, è avvenuto il 31 marzo 1998, data in cui termina una fase di transizione iniziata il 26 ottobre 1997. Nel corso di questo lungo periodo (l'adesione dell'Italia agli Accordi è del 27 novembre 1990), si è svolto un complesso processo di adattamento delle norme interne, delle procedure amministrative e delle strutture organizzative italiane al quadro Schengen.

Bisogna premettere che è solo con la crisi petrolifera degli anni settanta che l'Italia diviene meta diretta di immigrazione. I paesi europei di tradizionale immigrazione (Germania, Francia, Belgio, Olanda), adottano in quegli anni 'politiche di stop', tese a bloccare l'immigrazione sul loro territorio, che hanno come effetto lo spostamento dei flussi verso paesi in precedenza poco toccati dall'immigrazione come Spagna, Portogallo e Italia. Quest'ultima diventa dapprima paese di transito, attraverso il quale gli immigrati cercano di raggiungere il Nord Europa, e successivamente meta diretta del loro viaggio.

Non deve stupire quindi che in Italia la prima legge ad occuparsi dell'immigrazione risale solo al 1986, la legge n.943. Prima di allora solo alcune norme del T.U. delle leggi di P.S. (approvato con R.D. il 18 giugno 1931, N. 773) si occupano degli stranieri, ma in modo generico e avendo come finalità solo la tutela dell'ordine pubblico. La stessa legge del 1986, occupandosi quasi esclusivamente della parità di trattamento giuridico e retributivo dei lavoratori migranti e delle loro famiglie, si rivela presto insufficente a far fronte alle problematiche che derivano da questi nuovi flussi.

Per avere una legge che disciplini in maniera organica la materia dell'immigrazione si deve aspettare fino al 1990, quando il 30 dicembre viene emanata la legge n. 39, nota in seguito come legge Martelli. La conversione in legge del decreto Martelli avviene senza tener realmente conto né della richiesta formale di adesione che l'Italia, nel frattempo, in data 27 novembre, ha depositato presso il gruppo Schengen, né delle conseguenti condizioni richieste dai partners europei per accettarla come membro del Sistema. Questo è probabilmente dovuto alla concomitanza di due fattori: da una parte gli Accordi di Schengen, essendo Accordi nati in un clima di cooperazione intergovernativa, sono poco 'visibili', dall'altra vi è la convinzione, errata, che la legge Martelli possa essere di lì a poco sostituita.

È dunque con questa legge che l'Italia comincia il suo cammino verso l'ingresso nell'area di libera circolazione. La Legge Martelli, pur contenendo numerose norme compatibili con la disciplina Schengen (22), viene modificata in più parti per adeguarsi alle disposizioni della Convenzione. Più precisamente, vengono introdotte norme disciplinanti ipotesi di respingimento alla frontiera, di rifiuto e revoca del permesso di soggiorno, e viene modificato sia il sistema dei visti uniformi, che la disciplina sulla responsabilità dei vettori (23).

Ulteriori e importanti modifiche alle disposizioni vigenti vengono previste con la legge del 30 novembre n. 388 che ratifica l'Accordo e la Convenzione di Schengen. Questa legge prevede, accanto alle disposizioni immediatamente attuative dei due Trattati, l'istituzione di un Comitato parlamentare incaricato di esaminare l'attuazione ed il funzionamento della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen in Italia.

Il 26 marzo 1995, quando le disposizioni della Convenzione divengono operative per i cinque Stati fondatori nonché per Spagna e Portogallo (24), l'Italia non può ancora entrare nello Spazio Schengen per due motivi:

  1. manca l'approvazione, da parte del Parlamento, di una legge sulla protezione dei dati personali. Questo ostacolo viene rimosso il 31 dicembre 1996 con la legge n. 675 sulla "Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali" (25).
  2. l'Italia non è pronta a partecipare al Sistema d'Informazione Schengen a causa della carenza delle strutture tecniche per l'approntamento della sezione nazionale del SIS e per il suo collegamento con l'unità centrale di Strasburgo.

Il 19 febbraio 1997, alla vigilia di una visita programmata dalla Commissione frontiere del Comitato esecutivo Schengen, al fine di accertare l'efficienza dei sistemi di controllo italiani e delle misure poste in essere per prevenire l'immigrazione clandestina, il Governo presenta alla Camera dei deputati il disegno di legge n. 3240. Inizia l'iter parlamentare per una nuova legge in materia di immigrazione, iter che termina circa un anno dopo con l'approvazione della legge n.40, contenente la disciplina giuridica dell'immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero.

Nella riunione del Comitato esecutivo Schengen del 24 giugno 1997, la Presidenza portoghese fissa la data del 26 ottobre 1997 per l'integrazione dell'Italia nel Sistema d'Informazione Schengen, e rileva dubbi, sollevati dalla delegazione tedesca e da quella olandese, sull'efficacia dei controlli delle frontiere esterne da parte dell'Italia.

Il 17 settembre 1997 il ministro degli esteri, Lamberto Dini, emana nuove norme (26) sui visti e sull'ingresso degli stranieri in Italia e nello Spazio Schengen.

Il 7 ottobre 1997 il Comitato esecutivo Schengen dà il via libera all'applicazione della Convenzione in Italia a partire dal 26 ottobre (data in cui termina la fase di caricamento, nel SIS nazionale, dei dati degli altri paesi aderenti), prevedendo una fase di transizione per la soppressione dei controlli di frontiera per voli e collegamenti marittimi interni.

Il 6 marzo 1998 viene emanata la nuova legge sull'immigrazione, la n. 40, nota anche con il nome dei suoi promotori, Turco-Napolitano. Nella relazione che l'accompagna si legge: "è convinzione del governo che il presente disegno di legge, sancendo con norme e scelte precise una chiara volontà di rafforzare i controlli alle frontiere, di contrastare con il massimo rigore l'immigrazione clandestina e la connessa attività di agguerriti gruppi criminali, corrisponde pienamente agli impegni assunti per la partecipazione dell'Italia all'Accordo di Schengen".

Il 27 marzo la 'Turco-Napolitano' entra in vigore e il 31 marzo termina il periodo di transizione per l'ingresso dell'Italia nell'area Schengen.

L'obiettivo di creare un 'cordone sanitario' intorno all'area dello Spazio Schengen capace di contrastare l'immigrazione clandestina, seppur disciplinato con norme 'tecniche' e 'neutre', influenza notevolmente le scelte di politica dell'immigrazione degli Stati aderenti.

1.2.3. La 'crisi' del Sistema Schengen

Il successo del Sistema Schengen è anche causa della sua 'crisi' e della necessità di un suo superamento. Questo è vero in un duplice senso. Per un verso, l'aumento del numero degli Stati facenti parte del Sistema e la perdita di omogeneità che ne deriva fanno sì che l'assunzione di decisioni all'unanimità diventi sempre più problematica. La natura intergovernativa del Sistema diventa, di conseguenza, un fattore sempre più evidente di lentezza e di scarsa incisività decisionale. Per un altro verso, la messa in applicazione degli Accordi determina un oggettivo e significativo aumento della loro rilevanza pratica e politica. A partire dal 1995, il Sistema Schengen incide sempre più profondamente sulla vita economica e sociale del continente, sulle relazioni internazionali interne ed esterne ad esso, sui diritti e sulle opportunità dei cittadini europei e soprattutto dei cittadini degli Stati terzi.

Gli enormi sforzi profusi per rafforzare i controli alle frontiere esterne non raggiungono l'effetto di impedire gli ingressi clandestini nell'area Schengen. Al contrario, i movimenti migratori diventano una componente stabile e ineliminabile che investe tutti i paesi europei. Il rafforzamneto dei controlli di frontiera e la messa in campo di sistemi sempre più sofisticati va di pari passo con il consolidamento e la specializzazione di nuove organizzazioni criminali che trovano nel traffico di esseri umani una fonte inesauribile di guadagno. Con la chiusura dell frontiere si moltiplicano i 'viaggi della speranza' che diventano sempre più costosi, più pericolosi, reclutano immigrati disperati, disposti a tutto pur di raggiungere la loro meta. Di fronte a queste masse che spingono per entrare, all'interno dell'area di libera circolazione crescono i sentimenti di insicurezzza dei cittadini europei che assumono come capro espiatorio dei principali mali che affliggono la società occidentale la presenza dei clandestini e l'inefficienza dei governi nell'impedir loro l'ingresso nell'area Schengen. Le frontiere diventano luogo di scontro di queste tensioni. Le forze di polizia ad esse preposte hanno l'attenzione dell'intera società e guidati dall'imperativo di respingere quanto più è possibile, innestano alle frontiere vere e proprie situazioni di conflitto, negando a volte l'accesso anche a immigrati che mostrano la volontà di voler richiedere asilo nei territori europei.

In queste circostanze, il grave deficit di democrazia e trasparenza che affligge il Sistema Schengen diventa sempre più difficile da giustificare e da accettare. A livello comunitario si fa strada la necessità di un ripensamento politico e tecnico, che dopo un primo tentativo con il Trattato di Maastricht, produce i suoi frutti il 2 ottobre 1997 con la firma del Trattato di Amsterdam.

1.3. Il Trattato di Maastricht

Ben prima della cosiddetta 'crisi' del Sistema Schengen, le istituzioni comunitarie provano a mettere a punto un'alternativa istituzionale a tale Sistema.

Il 7 febbraio 1992 viene adottato a Maastricht il Trattato sull'Unione europea (TUE), che entra in vigore il 1º novembre 1993, dopo una tormentata fase di ratifica da parte dei Parlamenti nazionali dei paesi membri. Con questo Trattato il quadro istituzionale comunitario viene concepito come un edificio poggiato su una 'colonna centrale' ("Primo Pilastro"), costituita dalla Comunità europea, e su due pilastri di integrazione: il primo (ovvero il "Secondo Pilastro"), consacrato all'elaborazione di una "politica estera e di sicurezza comune" (27), il secondo (ovvero il "Terzo Pilastro") dedicato alla "cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni" (GAI). L'originaria componente comunitaria (CEE, CECA ed EURATOM, cui si aggiunge il progetto di Unione monetaria), si arricchisce di altri due settori di intervento: la "politica estera e di sicurezza comune", e la "cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni".

In occasione del Consiglio di Maastricht si affronta, quindi, la questione della competenza comunitaria in materie di immigrazione, diritto di asilo, cooperazione giudiziaria e di polizia. Si sceglie di ancorare queste materie alla logica intergovernativa, dove centrale è il principio dell'unanimità per l'adozione di ogni forma di provvedimento. La decisione di escluderle dalle sfere di competenza comunitaria e di abilitare le istituzioni ad operarvi secondo regole e modalità nuove e specifiche, è il frutto della constatazione che i tempi per l'integrazione dell'intero capitolo giustizia e affari interni nel contesto comunitario non sono ancora maturi (28).

Il "Terzo Pilastro" dell'Unione europea, in cui è istituzionalizzato l'approccio intergovernativo, nasce quindi come un prodotto di ingegneria istituzionale che sancisce un compromesso tra chi (29) (come la presidenza olandese nell'ultima fase della Conferenza intergovernativa) premeva per un'estensione delle competenze comunitarie e chi al contrario riteneva (è il caso della Gran Bretagna) che sarebbe stato sufficiente intensificare la cooperazione intergovernativa 'classica'. L'obiettivo del "Terzo Pilastro", come sinteticamente enunciato nel preambolo del Trattato, è quello "di agevolare la libera circolazione delle persone, garantendo nel contempo la sicurezza dei [...] popoli". Per realizzare questo obiettivo vengono individuate (titolo VI, art. K.1 del Trattato sull'Unione) nove questioni di interesse comune, di cui le istituzioni europee sono chiamate ad occuparsi. Le questioni di interesse comune, che delimitano la sfera di competenza del "Terzo Pilastro", sono elencate all'art. K.1 par. 9 e riguardano:

  1. la politica di asilo;
  2. l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri da parte delle persone e l'espletamento dei relativi controlli;
  3. la politica d'immigrazione e quella da seguire nei confronti dei cittadini dei paesi terzi: condizioni di entrata, circolazione e soggiorno dei cittadini dei paesi terzi nel territorio degli Stati membri; lotta contro l'immigrazione, il soggiorno e il lavoro irregolari di cittadini dei paesi terzi nel territorio degli Stati membri;
  4. la lotta contro gli stupefacenti, nella misura in cui questo settore non sia già contemplato dai punti 7, 8 e 9;
  5. la lotta contro la frode su scala internazionale, nella misura in cui questo settore non sia già contemplato dai punti 7, 8 e 9;
  6. la cooperazione giudiziaria in materia civile;
  7. la cooperazione giudiziaria in materia penale;
  8. la cooperazione doganale;
  9. la cooperazione di polizia ai fini della prevenzione e della lotta contro il terrorismo, il traffico illecito di droga e altre forme gravi di criminalità internazionale, compresi, se necessario, taluni aspetti di cooperazione doganale, in connessione con l'organizzazione a livello dell'Unione di un sistema di scambio di informazioni in seno ad un Ufficio europeo di polizia chiamato Europol. (30)

Nell'elenco delle materie di interesse comune si ritrovano tutte le questioni già oggetto della Convenzione di Schengen.

Il Trattato di Maastricht costituisce nelle intenzioni un passo in avanti rispetto a Schengen, prevedendo la possibilità di elaborare linee comuni di politica d'immigrazione e di politica da seguire nei confronti dei cittadini di paesi terzi. Resta il fatto che queste materie rimangono di esclusiva competenza degli Stati membri, anche se viene prevista l'ulteriore possibilità che successivamente passino alla competenza della Comunità. Nel Trattato infatti, all'art. 100 C è disciplinata una competenza comunitaria in materia di politica dei visti (31) ed è prevista la possibilità all'art. K.9 (32) con decisione unanime, di estendere questa competenza agli altri settori disciplinati dal "Terzo Pilastro", fatta eccezione per i settori della cooperazione giudiziaria, doganale e di polizia.

Il Consiglio nelle materie d'interesse comune non assume competenze dirette, ma soltanto una funzione di coordinamento e la possibilità, in esito agli accordi raggiunti con le procedure di cooperazione e di consultazione degli Stati membri, di adottare "posizioni comuni", "azioni comuni" o di elaborare convenzioni da raccomandare agli Stati membri (art. K.3) (33).

Nel Titolo che disciplina il "Terzo Pilastro", il Titolo VI, si trova l'art. K.12 dove si prevede che "le disposizioni del presente Titolo non ostano all'instaurazione o allo sviluppo di una cooperazione più stretta tra due o più Stati membri, sempre che tale cooperazione non sia in contrasto con quella prevista nel presente titolo né la ostacoli". Questa disposizione consente di mantenere in vita il Sistema Schengen che costituisce una forma di collaborazione più stretta tra gli Stati che hanno ratificato la Convenzione del 1990. Ne risulta una visione del "Terzo Pilastro" come una mera 'ipotesi istituzionale', ovvero come un'alternativa eventuale alle vie perseguite e non abbandonte sino a quel momento.

Frutto di una scelta politicamente debole, il "Terzo Pilastro" ha prodotto quindi scarsi risultati (34) e ha mostrato rilevanti limiti che si sostanziano principalmente in:

  • complessità delle strutture ed eccessivo numero di sedi e livelli di negoziazione;
  • mancanza di istanza democratica e controllo giurisdizionale, aggravata dalla mancanza di trasparenza di molte procedure;
  • scarso rilievo politico e giuridico degli atti emanati, per via della profonda incertezza riguardo alla loro natura e al loro valore vincolante.

Sebbene le disposizioni del Titolo VI non abbiano dato sviluppi molto significativi sul piano delle azioni comuni intraprese, è da sottolineare il passaggio, avvenuto con il Trattato di Maastricht, della materia immigrazione in un ambito istituzionale.

1.4. Il Trattato di Amsterdam

Il cammino verso una comunitarizzazione delle politiche sulle migrazioni compie un passo fondamentale con il Trattato di Amsterdam (35), firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1º maggio 1999, a seguito del deposito dell'ultimo strumento di ratifica (36). Con questo Trattato si pongono le basi per "conservare e sviluppare l'Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia (37) in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme alle misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione alla criminalità e la lotta contro quest'ultima" (art. B modificato).

Le materie dell'immigrazione e dell'asilo lasciano il "Terzo Pilastro", nel quale erano state collocate con il Trattato di Maastricht, ed entrano a far parte gradualmente del "Primo Pilastro" dell'Unione Europea. Per le politiche dell'immigrazione e dell'asilo, le scelte operate ad Amsterdam rappresentano, quindi, il superamento della cooperazione intergovernativa (istituzionalizzata nel "Terzo Pilastro" o gestita in ambito Schengen) e il primo passo verso la 'comunitarizzazione'. Il nuovo Titolo IV del Trattato sulla Comunità europea conferisce alla Comunità la competenza di adottare misure in materia di "Visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone".

La competenza conferita alla Comunità è decisamente ampia, poiché va dalle misure volte ad assicurare la libera circolazione delle persone e, quindi, l'attraversamento delle frontiere interne, alle misure sulle condizioni di attraversamento delle frontiere esterne, fino alla definizione di regole comuni in materia di immigrazione, soggiorno e allontanamento dei cittadini di paesi terzi e concessione dello status di rifugiato. In particolare, ai sensi degli art. 61 lett. b (già 73 I) e 63 (già 73 K) il Consiglio adotta, entro un periodo di cinque anni dall'entrata in vigore del Trattato, misure in materia di politica dell'immigrazione e di salvaguardia dei diritti dei cittadini dei paesi terzi nei seguenti settori:

  • condizioni di ingresso e soggiorno e norme sulle procedure per il rilascio da parte degli Stati membri di visti a lungo termine e di permessi di soggiorno, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare;
  • immigrazione e soggiorno irregolari, compreso il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare (38).

Con il Trattato di Amsterdam il "Terzo Pilastro" non viene cancellato, ma semplicemente si 'assottiglia' e si specializza maggiormente, diventando un ambito politico-istituzionale esclusivamente deputato alla "cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale". Con la 'comunitarizzazione' delle politiche in materia di immigrazione e di asilo, si scioglie (nel "Terzo Pilastro") quell'associazione, compiuta dal Trattato di Maastricht, tra politica migratoria e politica criminale, che rifletteva una percezione indistinta delle minacce esterne alla sicurezza interna europea. L'obiettivo istituzionale del "Terzo Pilastro" è indicato in apertura del nuovo Titolo VI, "disposizioni sulla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale", del Trattato istitutivo dell'Unione europea (39) (art. 29, TUE): "Fatte salve le competenze della Comunità europea, l'obiettivo che l'Unione si prefigge è fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un'azione in comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e prevenendo e reprimendo il razzismo e la xenofobia" (40).

Un'ulteriore novità apportata da questo Trattato è l'integrazione dell'acquis di Schengen (41) nell'ambito dell'Unione Europea: con un apposito protocollo allegato si persegue l'obiettivo di far confluire le norme Schengen nell'Unione (42). Con la scelta politica di procedere all'incorporazione dell'acquis di Schengen nell'Unione europea, il Trattato di Amsterdam ha riconosciuto l'efficacia della cooperazione e dei risultati che erano stati conseguiti in quell'ambito, sancendo un definitivo successo dell'esperimento Schengen e superando quei segni di crisi che il Sistema cominciava a presentare. (43).

1.4.1. Le misure per la 'comunitarizzazione' della materia immigrazione

La 'comunitarizzazione' della politica in materia d'immigrazione e l'integrazione dell'acquis di Schengen sono stati possibili grazie ad alcuni accorgimenti introdotti nel Trattato capaci di smorzare il malcontento degli Stati maggiormente 'euroscettici'.

Viene prevista la possibilità che la normativa adottata sulla base del Titolo IV, "Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone", non coinvolga tutti gli Stati membri allo stesso modo. Gran Bretagna, Irlanda (paesi che non hanno aderito a Schengen) e Danimarca (paese che gode di una particolare posizione all'interno del Sistema Schengen, in virtù della quale è autorizzata a mantenere i controlli alle frontiere interne con gli altri Stati contraenti) non seguono la maggioranza degli Stati dell'UE sulla via tracciata in materia di affari interni e pattuiscono, con gli altri Stati membri, un articolato regime di deroghe contenuto in tre protocolli allegati al Trattato. Questo prevede espressamente una certa flessibilità disciplinando al suo interno l'istituto degli opting out (cioè della scelta di 'rimanere fuori') di alcuni paesi rispetto a certe parti del Trattato (44). Viene formalizzata a livello di Unione europea l'esistenza di due classi di Stati membri: una maggioranza di 'volonterosi' e una piccola pattuglia di 'riluttanti'. Ma anche tra gli Stati membri 'volonterosi', non tutti hanno lo stesso grado di interesse collettivo, di volontà politica e di capacità tecnica di contribuire alla costruzione dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

Consapevoli di queste disparità, i redattori del Trattato di Amsterdam hanno messo a punto un meccanismo istituzionale finalizzato a permettere a un certo numero di Stati membri (pari almeno alla maggioranza di essi) di avviare una specifica iniziativa comune, anche quando una minoranza di Stati non fosse interessata a parteciparvi. Questo tipo di meccanismo, denominato cooperazione rafforzata, rappresenta l'istituzionalizzazione di una flessibilità che caratterizza, di fatto, l'intero processo di integrazione europea.

Queste disposizioni mirano a creare un equilibrio tra gli interessi legittimi degli Stati membri che desiderano perseguire una cooperazione rafforzata in determinati settori nel quadro dell'Unione e gli interessi degli Stati membri che scelgono di non partecipare sin dall'inizio a tale cooperazione. In questo campo esistono spazi per una normativa nazionale, come conferma l'art. 63 par. 2 del Trattato, ove si precisa che gli Stati possono mantenere o adottare disposizioni nazionali purché compatibili con il diritto comunitario e con gli Accordi internazionali. Gli Stati membri possono anche negoziare e concludere accordi con gli Stati terzi nei settori di cui all'art. 63 par. 1 del Trattato, a condizione che tali accordi rispettino il diritto comunitario e non siano di ostacolo allo sviluppo della competenza comunitaria. La materia dell'immigrazione è quindi, a ben vedere, una materia di competenza concorrente, per la quale si applica il principio di sussidiarietà, dove la Comunità dovrà agire soltanto quando l'azione a livello comunitario raggiunge meglio gli obiettivi di quanto non possa essere fatto dai singoli Stati membri.

L'inserimento dell'acquis di Schengen nell'ambito del Trattato sull'Unione europea è stato possibile grazie a un accordo tra gli Stati membri sull'attribuzione della base giuridica dell'acquis stesso. Scartata l'opzione di 'comunitarizzare' tutte le disposizioni relative agli Accordi di Schengen, viene costituito il gruppo "acquis di Schengen" per decidere se integrare il Sistema nel "Primo" o nel "Terzo Pilastro".

Il 20 maggio 1999 con decisione n. 435 è approvata, da parte del Consiglio, la definizione dettagliata dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea, in base alla quale viene stabilito che le disposizioni concernenti la cooperazione di polizia sono inserite nel "Terzo Pilastro", mentre le misure circa la libera circolazione delle persone e la soppressione dei controlli alle frontiere interne sono inserite nel "Primo Pilastro" (45) ai sensi proprio del Titolo IV.

Data la particolare natura della materia trattata nel Titolo IV, è inoltre previsto, tranne in materia di visti, un periodo transitorio di cinque anni perché si realizzi il passaggio al Pilastro comunitario. Nei primi cinque anni valgono regole procedurali particolari: gli Stati membri dispongono del diritto d'iniziativa alla stregua della Commissione e le decisioni sono caratterizzate dall'unanimità, quindi soggette al diritto di veto dei singoli Stati. Trascorsi cinque anni il carattere decisionale sarà diverso: la Commissione avrà un maggior ruolo propositivo; il Parlamento e il Consiglio godranno di un potere decisionale, le decisioni saranno prese a maggioranza qualificata e saranno vincolanti; la Corte di Giustizia veglierà sulla loro applicazione.

Dopo più di dieci anni dall'entrata in vigore dell'Atto Unico europeo e dalla conclusione degli Accordi di Schengen, si è giunti, grazie alle deroghe al diritto comunitario sopra illustrate, alla comunitarizzazione della politica in materia di immigrazione.

1.4.2. Gli indirizzi della politica comune in materia d'immigrazione

Durante il Consiglio Europeo di Cardiff, è stato attribuito alla Commissione e al Consiglio il compito di preparare un Piano d'azione (46) che indicasse "il miglior modo per attuare le disposizioni del Trattato di Amsterdam concernenti uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia". Il Piano è stato presentato al Consiglio europeo di Vienna il 4 dicembre 1998. Tra le misure da adottare entro due anni nel settore dell'immigrazione, il Piano propone l'istituzione di una coerente politica europea in materia di immigrazione e rimpatrio, e l'intensificazione della lotta all'immigrazione clandestina mediante campagne di informazione nei paesi di transito e in quelli di origine. In ordine alle misure sulla libera circolazione delle persone, suggerisce:

  • di fissare procedure comuni per il rilascio di visti da parte degli Stati membri;
  • di definire le norme relative ad un visto uniforme;
  • di armonizzare ulteriormente le normative degli Stati membri in materia di responsabilità dei vettori;
  • di elaborare una normativa sulle condizioni di ingresso e soggiorno e sulle procedure per il rilascio da parte degli Stati membri di visti a lungo termine;
  • di definire con quali diritti e a quali condizioni i cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro possono soggiornare in altri Stati membri.

È fatta inoltre presente la necessità di migliorare, nell'arco dei cinque anni successivi, l'allontanamento delle persone alle quali non è stato concesso il diritto di soggiorno.

Le linee indicate da questo Piano di azione vengono sviluppate ulteriormente durante il Consiglio europeo speciale tenutosi a Tampere il 15 e 16 ottobre 1999. In questa occasione viene ribadita con forza l'intezione di far sempre più convergere le questioni dell'immigrazione e dell'asilo verso politiche comuni. Con Tampere si abbandona definitivamente la visione riduttiva del fenomeno migratorio che lo aveva portato ad essere affrontato soltanto come problema per la sicurezza interna. Si acquista la consapevolezza che un'immigrazione ordinata è una risorsa vantaggiosa per l'Unione, gli immigrati e i loro paesi di origine.

Accanto a una politica di riduzione dei fattori di spinta nei paesi di origine e di informazione sulle effettive possibilità di immigrazione legale (47), si propone una politica di maggiore apertura e trasparenza in materia di movimenti migratori basata su un'accurata valutazione dei flussi migratori attuali e futuri (48). Viene inoltre indicata la necessità di promuovere politiche di integrazione al fine di eliminare la discriminazione nella vita economica, sociale e culturale e di arrivare così a garantire agli immigrati diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell'Unione. Si ritiene che la stessa predisposizione di mezzi legali di ingresso, gestiti con chiarezza e trasparenza e il contestuale impegno nell'applicazione di legislazioni capaci di combattere il lavoro nero e lo sfruttamento economico dei migranti, costituiscano efficaci strumenti di contrasto all'immigrazione clandestina. Non vengono abbandonate le misure repressive, ma viene compreso come uno strumento importante di lotta all'illegalità sia la legalità stessa. Diventa in quest'ottica prioritario il ritorno, volontario o forzato, delle persone cui è stata rifiutata l'ammissione in uno Stato membro o che non hanno più diritto a soggiornare nell'Unione. Come strumenti utili per agevolare questi 'ritorni' vengono indicati gli Accordi di riammissione e non viene fatta menzione ai Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza, strumenti concepiti per il rimpatrio dello straniero. Si registra a Tampere l'assenza di qualsiasi indicazione in merito a politiche comuni di espulsione.

Durante il Consiglio dell'Unione europea Giustizia e Affari interni del 29 maggio 2001 viene adottata la "direttiva sul riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi" (49). La direttiva prevede che ogni decisione di espulsione debba essere eseguita in conformità all'ordinamento dello Stato esecutore. Il mutuo riconoscimento può avvenire nel caso in cui il cittadino del paese terzo sia espulso:

  • per motivi di minaccia grave e attuale all'ordine pubblico;
  • per motivi di sicurezza nazionale e sanitaria;
  • per aver riportato una condanna ad almeno un anno di reclusione;
  • per la presenza di seri motivi che inducano a credere che abbia commesso gravi reati;
  • per l'esistenza di prove che dimostrino la sua intenzione di commettere gravi reati nel territorio di uno Stato membro;
  • per la violazione delle regole concernenti l'ingresso e il soggiorno legale.

In questo caso se lo straniero è titolare di un permesso di soggiorno questo può essere ritirato previa consultazione con lo Stato che lo ha rilasciato. In questi casi le decisioni di espulsione non devono essere state sospese o revocate dallo Stato che le ha adottate.

Il dibattito sulla politica europea in materia di immigrazione è ancora aperto. È stato a tal fine predisposto dalla Commissione (50) un quadro di controllo semestrale con il quale si registrano i progressi (o i ritardi) compiuti nei diversi settori, le misure in corso di attuazione e quelle che saranno presentate.

Note

1. Fino ad allora il controllo di movimenti migratori era una materia lasciata all'assoluta discrezionalità delle pubbliche autorità nazionali.

2. Il godimento del diritto di libera circolazione è subordinato nel Trattato di Roma allo svolgimento di un'attività lavorativa e al possesso di una cittadinanza comunitaria: è solo lo 'straniero', cittadino comunitario e al contempo agente economico-produttivo, a godere del diritto di libera circolazione e di soggiorno negli Stati membri della Comunità.

3. Con questo Trattato si supera l'ottica della libera circolazione delle persone come fattori economici.

4. Con la creazione di questo spazio senza frontiere gli Stati non rinunciano ad esercitare controlli alle frontiere, ma assumono l'impegno a non effettuarli esclusivamente all'atto o in ragione dell'attraversamento della frontiera.

5. Le differenze tra le procedure intergovernative e quelle comunitarie sono profonde e significative. Schematicamente le differenze riguardano:

  1. il metodo decisionale in senso stretto: mentre in ambito intergovernativo la regola fondamentale è quella dell'unanimità, in ambito comunitario un numero crescente di decisioni è assunto a maggioranza qualificata;
  2. l'intensità del controllo democratico: nelle procedure intergovernative, il livello di trasparenza e, di conseguenza, il controllo degli organi rappresentativi sull'operato di quelli esecutivi è scarso o inesistente e, comunque, esercitato a posteriori; in ambito comunitario, invece, il controllo parlamentere è più penetrante e, in certe misure, si traduce in un vero e proprio potere di co-decisione. I lavori della cooperazione intergovernativa si presentano all'esame dei parlamenti nazionali solo per il voto di ratifica (il 'prendere o lasciare', senza possibilità di informazione, valutazione e pareri preventivi);
  3. la presenza e l'intensità del controllo giudiziario: mentre il controllo esercitato dai giudici nazionali sui contenuti degli accordi intergovernativi è scarso e sporadico, l'esistenza di organi giudiziari ad hoc (Corte di giustizia e Tribunale di primo grado delle Comunità europee) rende il controllo giudiziario in ambito comunitario assai più sistematico e incisivo.

6. I Gruppi più significativi per l'influenza che hanno avuto sugli sviluppi successivi della politica europea in materia di affari interni sono: MAG (Mutual Assistance Group, esistente dal 1972), Trevi (creato il 1º Dicembre 1985), PWGOT (Police Working Group on Terrorism, costituito nel 1979), CELAD (Comité Européen de Lutte Anti-Drogue, nato nel Dicembre 1989), Gruppo dei Coordinatori (istituito dal Consiglio europeo di Rodi nel Dicembre 1988, nel tentativo di rimediare alla confusione generata dal proliferare dei gruppi tematici). Una considerazione particolare merita il Gruppo ad hoc Immigrazione, creato il 26 ottobre 1986 che ha elaborato il testo della Convenzione di Dublino sulla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità europee, firmata il 15 giugno 1990.

7. L'Accordo di Schengen è firmato dai due paesi principali protagonisti dell'unificazione europea, Francia e Germania, (firmatari già un anno prima a Saarbrücken di un accordo che prevedeva la semplificazione dei controlli alle frontiere comuni), con i tre Stati dell'Unione economica Benelux, Olanda, Belgio e Lussemburgo, portatori di una significativa esperienza pilota di libera circolazione alle frontiere comuni.

8. A tal proposito l'art. 17 dell'Accordo di Schengen dispone: "In materia di circolazione delle persone, le parti si adopereranno in via preliminare per armonizzare, se necessario, le disposizioni legislative e regolamentari relative ai divieti e alle restrizioni sulle quali si basano i controlli e per adottare misure complementari per la salvaguardia della sicurezza e per impedire l'immigrazione clandestina di cittadini di Stati non membri della Comunità europea".

9. Il 19 giugno ancora una volta a Schengen.

10. Fin dalle prime fasi dell''esperimento', gli Stati promotori hanno cura di non contrapporre tale iniziativa al processo di integrazione e alle eventuali competenze comunitarie. Dal punto di vista normativo, il Sistema Schengen si fonda su una rigorosa clausola che esclude l'applicabilità della normativa Schengen qualora essa si ponga in contrasto con il diritto comunitario (art. 134 Convenzione di applicazione).

11. Mentre il primo obiettivo, in sé relativamente semplice da realizzare non occupa che pochi articoli della Convenzione (art. 2 per le persone, artt. 120-125, per le merci), agli obiettivi 2 e 3 sono dedicati rispettivamente gli articoli 3-38 (Capitolo 2: Passaggio delle frontiere esterne; Capitolo 3: Visti; Capitolo 4: Condizioni di circolazione degli stranieri; Capitolo 5: Titoli di soggiorno e segnalazioni ai fini della non ammissione; Capitolo 6: Misure di accompagnamento; Capitolo 7: Responsabilità per l'esame delle domande di asilo) e gli articoli 39-91 (Titolo III: Polizia e sicurezza, suddiviso in: Capitolo 1: Cooperazione tra le forze di polizia; Capitolo 2: Assistenza giudiziaria in materia penale; Capitolo 3: Applicazione del principio del ne bis in idem; Capitolo 4: Estradizione; Capitolo 5: Trasmissione dell'esecuzione delle sentenze penali; Capitolo 6: Stupefacenti; Capitolo 7: Armi da fuoco e munizioni).

12. Per 'controllo di frontiera' la Convenzione intende il controllo che, "indipendentemente da qualunque altra ragione, si fonda sulla semplice intenzione di attraversare la frontiera" (art. 1).

13. Il concetto di 'frontiere interne' ottiene una definizione analitica nell'art. 1: "le frontiere terrestri comuni delle parti contraenti, i loro aeroporti adibiti a traffico interno ed i porti marittimi per i collegamenti regolari di passeggeri di provenienza o destinazione esclusiva di altri porti situati nel territorio delle parti contraenti, senza scalo in porti situati al di fuori di tali territori". Le frontiere esterne si definiscono per esclusione come frontiere terrestri marittime nonché aeroporti e porti marittimi che non siano frontiere interne.

14. L'unica possibilità per uno Stato membro di effettuare, per un periodo limitato, controlli alle frontiere interne deve essere giustificata da "esigenze di sicurezza nazionale e di ordine pubblico, e effettuata previa consultazione con le altre parti contraenti" (art. 2).

15. Ai sensi della Convenzione, per 'straniero' si intende "chi non è cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee" (art. 1). Una diversa definizione che avesse tenuto conto soltanto dei cittadini delle parti contraenti, sarebbe stata in contrasto con il diritto comunitario. Il regime di circolazione degli 'stranieri' nell'area Schengen, essendo soggetto a controlli e limitazioni di tempo e di scopo, non sarebbe applicabile ai cittadini degli Stati membri della Cee che non aderiscono agli Accordi di Schengen (Irlanda, Regno Unito, Liechtenstein).

16. La lista comune degli Stati i cui cittadini sono soggetti all'obbligo del visto comune costituisce l'Allegato I alla Istituzione Consolare Comune (ICC), nella versione approvata dal Comitato esecutivo Schengen il 22 dicembre 1994. L'elenco comprende 128 paesi, tra i quali figurano tutti o quasi gli Stati da cui provengono i maggiori flussi di immigrati e rifugiati.

17. Una categoria a sé stante, di carattere eccezionale, può essere considerata quella dei visti a validità territoriale limitata (Vtl), di cui è ammesso il rilascio, sempre per un massimo di 90 giorni, in circostanze determinate. Questo visto consente l'ingresso nel territorio della parte contraente che lo ha rilasciato e, se è espressamente indicato, nel territorio di uno o più altri Stati Schengen.

18. Questa parte della Convenzione è stata sostituita dalla Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990, entrata in vigore nei 15 Stati dell'Unione il 1º settembre 1997.

19. M. Pastore, L'Italia e gli Accordi di Schengen, "Critica Marxista", 1998, 6, p. 75.

20. J. Van Buuren, Un cordone sanitario intorno all'Unione europea, "Il Manifesto" VI, gennaio 1999, p. 6.

21. Norvegia e Islanda non possono diventare parti degli Accordi di Schengen essendo questi Accordi riservati solo agli Stati membri della Comunità europea.

22. Si pensi alla disciplina degli ingressi, del soggiorno, dell'allontanamento degli stranieri e all'introduzione del requisito del visto di ingresso per turismo nei confronti dei cittadini della Turchia e dei paesi del Magreb.

23. La legge Martelli non si spinge fino a pretendere che il vettore adotti ogni misura necessaria per accertarsi che lo straniero trasportato per via aerea o marittima sia in possesso dei documenti di viaggio richiesti per l'ingresso, ma prevede, all'art. 3 comma 9, solo una sanzione amministrativa in caso di omessa comunicazione, all'autorità di P.S., della presenza di stranieri in posizione irregolare a bordo di navi o aeromobili.

24. Questi Stati aderiscono al Sistema Schengen il 25 giugno 1991, ovvero sette mesi dopo l'Italia che è stato il primo paese esterno allo Spazio Schengen a firmare gli atti di adesione.

25. Già l'art. 9 della legge 388 del 1993 prevede l'istituzione del Garante per la protezione dei dati personali, individuando in tale figura l'autorità di controllo nazionale, designata dall'art. 114 della Convenzione, ad esercitare un controllo indipendente sull'archivio della sezione nazionale del SIS. L'8 maggio 1997 entra in vigore la nuova legge di tutela per la privacy.

26. Circolare n. 8 del 17.9.1997 contenente "Norme sui visti e sull'ingresso degli stranieri in Italia e nello Spazio Schengen".

27. L'art. J.1, al par. 2, stabilisce gli obbiettivi dell'Unione in materia di politica estera e di sicurezza comune, alcuni di carattere generale e altri più specifici. Essi sono:

  • la difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali e dell'indipendenza dell'Unione;
  • il rafforzamento della sicurezza dell'Unione e dei suoi Stati membri in tutte le sue forme;
  • il mantenimento della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale, nel rispetto dei principi della Carta della Nazioni Unite, dei principi dell'Atto finale di Helsinki e degli obiettivi della Carta di Parigi;
  • la promozione della cooperazione internazionale; lo sviluppo e il consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

28. Intraprendere una strada diversa avrebbe comportato il ricorso al voto a maggioranza per l'adozione di qualsiasi decisione e il riconoscimento alla Commissione europea di un proprio autonomo potere di iniziativa in queste materie, e ciò non era accettato da molti Stati europei.

29. Le decisioni adottate a Maastricht scontentano il Parlamento europeo e quanti auspicano che, soprattutto in materie come immigrazione e diritto di asilo, l'attribuzione di competenze specifiche alla Comunità consenta di superare l'approccio intergovernativo, unicamente rivolto alla considerazione dei problemi di sicurezza. Il Parlamento europeo in particolare aveva adottato, il 13 dicembre 1991, una risoluzione con cui sollecitava la Conferenza governativa a "modificare il testo dei Trattati affinché, riguardo a qualsiasi questione relativa alla libera circolazione delle persone nella Comunità e alle frontiere esterne, nonché alla sicurezza interna", venisse "esplicitamente motivata una competenza della Comunità".

30. Europol nasce con il compito principale di raccogliere e scambiare informazioni, nell'ambito di una "Unità europea antidroga" (EDU: European Drugs Unit), sul traffico di stupefacenti e il riciclaggio di denaro sporco.

31. Il trattato dell'Unione prevede l'attribuzione di nuove competenze alla Comunità in un solo settore: si tratta della politica comune dei visti. Il nuovo art. 100 C prevede al primo comma che "Il Consiglio, deliberando all'unanimità, (dal 1º gennaio 1996 è sufficiente la maggioranza qualificata) su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, determina quali sono i paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri". Una misura chiaramente di carattere difensivo, ispirata alla prevenzione di possibili invasioni, come conferma anche la previsione secondo la quale, "nel caso in cui una situazione di emergenza insorta in un paese terzo minacci un improvviso afflusso", il Consiglio può decidere, senza consultare il Parlamento e a maggioranza qualificata, "di imporre l'obbligo del visto per i cittadini provenienti dal paese in questione per un periodo non superiore a sei mesi" (art. 100 C, comma 2). Lo stesso Consiglio ha la competenza di adottare, a maggioranza qualificata, "le misure relative all'instaurazione di un modello uniforme per i visti" (art. 100 C, comma 3).

32. L'art. K.9 prevede la possibilità di 'comunitarizzare' le procedure decisionali dei primi sei settori sopra elencati e di rendere quindi ad essi applicabile l'art. 100 C; tale possibilità non è tuttavia mai stata utilizzata.

33. L'art. K.3 prevede che nelle materie di interesse comune, gli Stati si informino e si consultino reciprocamente in seno al Consiglio per coordinare la propria azione, instaurando una collaborazione tra le loro amministrazioni. Il Consiglio può poi adottare, all'unanimità, posizioni comuni, intraprendere azioni comuni e elaborare convenzioni internazionali. Il consiglio ha adottato alcune posizioni ed azioni comuni sulla base dell'art K.3 del Trattato sull'Unione: azione comune del 4 marzo 1996 sul regime di transito aeroportuale, Guce L 63/8; posizione comune del 25 ottobre 1996 relativa alle missioni di assistenza e di formazione effettuate prima della frontiera, Guce L 281/1; azione comune 22 luglio 1997 per il finanziamento dei progetti specifici a favore degli sfollati che hanno trovato una protezione temporanea degli Stati membri e dei richiedenti asilo, Guce L 205/3; azione comune del 22 luglio 1997 per il finanziamento dei progetti specifici a favore dei richiedenti asilo e dei profughi, Guce L 205/5; azione comune del 19 marzo 1998 che istituisce un programma di formazione, di scambi e di cooperazione nei settori delle politiche dell'asilo, dell'immigrazione e dell'attraversamento delle frontiere esterne (programma Odysseus) Guce L 99/2; decisione del Consiglio del 3 dicembre 1998 relativa alle norme comuni destinate alla compilazione del modello uniforme per i permessi di soggiorno, Guce L 333/8.

34. In cinque anni di attività il suo bilancio consiste in un'unica Convenzione entrata in vigore, la Convenzione EUROPOL (1º ottobre 1998) e in una serie di atti tipici (posizioni comuni e azioni comuni) e atipici (raccomandazioni, risoluzioni, conclusioni), talvolta significativi sotto il profilo politico, ma di rilevanza giuridica limitata ed incerta.

35. Il nuovo Trattato, che modifica sia il Trattato sull'Unione europea sia i Trattati istitutivi delle Comunità europee, è l'esito di negoziati di una durata senza precedenti nella storia dell'integrazione europea: la Conferenza intergovernativa (CIG), che ha redatto il testo, si apre a Torino il 29 marzo 1996 e si chiude il 17 giugno 1997, con l'adozione da parte del Consiglio europeo di Amsterdam del testo del Trattato.

36. La Francia è stata l'ultima dei quindici Paesi membri dell'Unione europea a depositare il proprio strumento di ratifica, in data 30 marzo 1999. Altri paesi vi avevano già provveduto nel 1998 (Danimarca, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Finlandia, Austria, Svezia e Regno Unito), altri nel 1999 (Belgio, Grecia, Spagna e Portogallo). Per quanto concerne l'Italia, questa ha ratificato il Trattato di Amsterdam con legge n. 209 del 16 giugno 1998 (G.U. n. 155 del 6 luglio 1998, S.O. n. 114). Lo strumento di ratifica è stato depositato il 30 luglio 1998.

37. Il concetto di "spazio di libertà, sicurezza e giustizia", per quanto piuttosto vago e non dotato di una specifica consistenza giuridica, ha un notevole significato politico; con esso i Governi europei affermano che obiettivi autonomi e distinti (come la soppressione dei controlli alle frontiere intra-europee, l'elaborazione di un approccio comune in materia di asilo e di immigrazione, lo sviluppo di un'azione comune di lotta alla criminalità) devono essere perseguiti congiuntamente.

38. Non è precisato se le normative comunitarie concernono solo i presupposti dell'espulsione e degli altri eventuali provvedimenti di allontanamento, oppure se devono regolarne anche le modalità di esecuzione, nonché stabilirne le garanzie.

39. Il Trattato di Amsterdam modifica il Trattato sull'Unione europea.

40. Tale obiettivo è perseguito prevenendo e reprimendo la criminalità, organizzata o di altro tipo, in particolare il terrorismo, la tratta degli esseri umani ed i reati contro i minori, il traffico illecito di droga e armi, la corruzione e la frode, mediante:

  • una più stretta cooperazione fra le forze di polizia, le autorità doganali e le altre autorità competenti degli Stati membri, sia direttamente che tramite l'Ufficio europeo di polizia (Europol);
  • una più stretta cooperazione tra le autorità giudiziarie e altre autorità competenti degli Stati membri;
  • il ravvicinamento, ove necessario, delle normative degli Stati membri in materia penale.

41. Acquis è un termine francese (participio passato del verbo acquisire).

42. A formare l'acquis di Schengen sono i Trattati istitutivi (Accordi e Convenzione), gli atti di adesione dei vari Stati, oltre che il vasto corpus di norme e di standard di comportamento, che dal 1º settembre 1993, data di entrata in vigore della Convenzione di Schengen, hanno prodotto modificazioni di rilievo nell'organizzazione dei controlli alle frontiere, nella politica migratoria e nelle modalità della cooperazione tra le polizie nazionali degli Stati coinvolti.

43. Era ormai chiaro che la cooperazione Schengen non potesse proseguire in un quadro meramente intergovernativo, "tanto per ragioni di efficacia, quanto per ragioni di coerenza democratica complessiva del sistema". Così enuncia il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sull'"integrazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea", atti parlamentari, comitato parlamentare di controllo sull'attuazione e il funzionamento della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengn e di vigilanza sull'unità nazionale Europol, seduta del 27 luglio 1999. Il Trattato di Amsterdam affronta i problemi mostrati dal Sistema Schengen, offrendo con l'incorporazione dell'acquis di Schengen e con la conseguente riforma del "Terzo Pilastro", maggior democraticità e trasparenza nelle procedure, maggior efficienza e rapidità nelle decisione e un adeguamento a un'unione più ampio.

44. L'opt-out proclamato in materia d'immigrazione dai tre Stati diminuisce il carattere fondamentale della scelta fatta ad Amsterdam, almeno per i primi cinque anni, durante i quali le decisioni devono essere prese all'unanimità.

45. Fanno eccezione i paragrafi secondo e terzo dell'art. 27 della Convenzione di Schengen i quali, trattando di scambio di informazioni e di cooperazione tra autorità nazionali in merito ai casi di traffico di migranti clandestini, sono stati ricondotti al "Terzo Pilastro" (art. 30 par. primo, 31 e 34 del T.U.E.).

46. Piano di azione del 4 dicembre 1988 del Consiglio dell'Unione e della Commissione, in Guce C/19 del 23 gennaio 1999.

47. È questa la politica di paternariato con i paesi di origine, volta ad agire sulle cause del fenomeno migratorio al fine di ridurne la portata e di evitare la cosiddetta 'fuga dei cervelli'.

48. La Commissione, nella comunicazione del 22 novembre 2000 al Consiglio e al Parlamento europeo su una politica comunitaria in materia d'immigrazione (COM - 2000 - 757), prende esplicita posizione, pur se attenuata dall'uso del condizionale, circa l'impraticabilità di un sistema di quote di ingresso come quello usato in Italia. Le quote infatti non sarebbero in grado di garantire un atteggiamento flessibile. Il modello che la Commissione propone è basato su una forte elasticità e capacità di rispondere in tempo reale alle mutevoli esigenze del mercato del lavoro, tenendo anche conto di esigenze di medio e breve periodo, così da consentire gli ingressi nella misura necessaria a soddisfare l'effettiva richiesta. Gli Stati rimangono competenti a decidere di quanti lavoratori necessitano, ma in un quadro di cooperazione europea basato su un sistema di continuo scambio di informazioni attraverso la predisposizione di relazioni periodiche che, da una parte, diano il quadro della situazione dell'immigrazione in ciascun paese sulla base delle politiche adottate nel periodo immediatamente precedente, dall'altra presentino programmi con le indicazioni delle previsioni di fabbisogno di lavoratori migranti con relativi livelli di qualifica.

49. Direttiva 2001/40/CE del Consiglio, pubblicata in Gazzaetta ufficilae n. L 149 del 2 giugno 2000, pag. 0034-0036.

50. COM (2000) 167, "Quadro di controllo per l'esame dei progressi compiuti nella creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione europea".