ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo VI
Concomitanze tra l'età minore e le altre cause di incapacità

Laura Basilio, 2002

Immaginate cosa significa avere appena compiuto vent'anni e ritrovarsi in un penitenziario di pietra grigia dopo un'infanzia trascorsa in istituzioni scolastiche per criminali. Soltanto un vero cretino non se ne sarebbe domandato la ragione. Ero semplicemente cretino? ... Ero io che avevo dichiarato guerra alla società, o era la società che mi aveva dichiarato la guerra? Le autorità si domandavano se ero pazzo, e anch'io. Non in un senso letterale: non soffrivo né di deliri, né di allucinazioni. Io soddisfacevo i criteri classici di quello che allora veniva chiamato lo psicopatico criminale (oggi viene definito sociopatico): un individuo che a parole si esprimeva come una persona sana, ma si comportava come un pazzo furioso. Era di un folle prendersela col mondo intero, anche se era il mondo che aveva cominciato. Edward Bunker

1. L'infermità mentale nel minore

Un particolare profilo problematico riguarda il rapporto tra maturità e infermità mentale. Molto si è discusso sui rapporti tra queste due qualità e, in particolare, sull'ipotesi in cui concorrano entrambe in un soggetto quando si debba decidere della sua imputabilità.

Nel caso in cui l'infermità psichica - lieve o grave - sia presente nel minore di quattordici anni, la soluzione è relativamente semplice, perché si ritiene che il requisito dell'età, a cui il legislatore collega sempre l'immaturità, abbia carattere prevalente su ogni altro dato. D'altra parte, dal momento che il vizio di mente influisce sull'imputabilità, nulla può fare nei casi in cui l'imputabilità manca già del tutto a causa dell'età. (1) Il problema può nascere semmai al momento di individuare le eventuali misure di sicurezza. L'art. 36 del D.P.R. 448/88, infatti, prevede che nel caso in cui il minore di quattordici anni abbia commesso un reato appartenente alla fascia più grave (ovvero i delitti previsti dall'art. 23), si possa applicare la misura del riformatorio giudiziario.

Più complesso appare il discorso per quanto riguarda il minore ultraquattordicenne che presenti un vizio di mente, parziale o totale.

Nell'ipotesi in cui il minore sia totalmente infermo di mente, il problema che si pone è se bisogna prosciogliere ex art. 98 o ex art. 88 c.p. Si tratta, in realtà, di un problema puramente teorico, in quanto entrambe queste cause escludono l'imputabilità. Secondo Baviera la qualità prevalente è, comunque, la malattia mentale la quale "porta con sé una conseguenza - esclusione dell'imputabilità - che rende inutile ogni ulteriore indagine sulla possibilità di esistenza nel soggetto della capacità di intendere e di volere in conseguenza dell'età". (2) Inoltre, se si ritiene, come abbiamo detto, che il legislatore abbia voluto limitare il campo di applicazione dell'art. 98 c.p. ai soli casi di incapacità da immaturità, allora, coerentemente, il minore affetto da vizio totale di mente dovrà essere assolto ex art. 88 c.p. Infine, il giudizio sull'esistenza di una infermità di mente totale è più agevole e offre maggiori garanzie di certezze rispetto ad un giudizio sulla maturità. Non mancano però pronunce nelle quali si fa rientrare nel concetto di capacità di intendere e di volere, ai sensi dell'art. 98 c.p., «l'assenza di malattie». (3) E ci sono poi sentenze in base alle quali deve essere ravvisata l'immaturità «non solo quando per un ritardato sviluppo individuale in un minorenne atto a raggiungere il normale sviluppo, non si abbia in concreto la capacità di intendere e di volere, che è invece comune nelle persone della stessa età, ma anche quando si tratta di deficiente organico o di altro infermo di mente». (4) Queste conclusioni a cui giunge la Corte non sono, però, tanto il frutto di un'analisi dell'art. 98 c.p. e dei suoi rapporti con l'art. 88 c.p., quanto il risultato di un'interpretazione del concetto di maturità fatta alla luce del, solo e riduttivo, paradigma medico. Per quanto concerne l'applicazione della misura di sicurezza, il legislatore del 1930 aveva previsto espressamente questa ipotesi all'art. 222, comma 4, c.p., stabilendo che nei confronti del minore che si trovasse in uno stato di infermità mentale (oppure di cronica intossicazione da alcool o da stupefacenti, oppure di sordomutismo), anche se prosciolto per ragioni di età, poteva essere disposto il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario. La Corte Costituzionale, però, con sentenza n. 324 del 1998, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli art. 222 commi 1, 2 e 4, e 206 comma 1, nella parte in cui prevedono l'applicazione della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario anche ai minori. Secondo la Corte l'applicazione indifferenziata di questa misura di sicurezza nei confronti dei minori non è compatibile con i principi derivanti dagli art. 2, 3, 27 e 31 della Costituzione (5) ed è in contrasto con alcune importante norme sopranazionali. (6)

Il punto più controverso riguarda la concomitanza tra il vizio parziale di mente e l'età compresa fra i quattordici e i diciotto anni, perché in questo caso ai problemi legati alla non facile individuazione dell'ambito di operatività dell'art. 98 si aggiunge la difficoltà di definire con precisione la figura del vizio parziale di mente. Il problema non è nuovo: si presentò, infatti, subito dopo l'entrata in vigore del codice penale del 1930 e la Cassazione lo risolse affermando che «il minore dai 14 ai 18 anni può essere dichiarato contemporaneamente imputabile ed affetto da vizio parziale di mente». (7) Secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza, l'immaturità e l'infermità mentale, essendo due concetti ontologicamente distinti, (8) possono coesistere in un minore. Conseguentemente, l'esclusione di uno stato di infermità mentale, che possa incidere sulla capacità di intendere e di volere, non esime il giudice dall'obbligo di accertare se il minore avesse, al momento in cui ha commesso il reato, tale capacità.

La condizione naturale relativa all'età del minore e una infermità che incida sull'imputabilità sono tra loro indipendenti, anche se concorrono, perché trovano fondamento in cause ontologicamente diverse. Ne consegue che la ritenuta esclusione di una infermità, che possa incidere sulla capacità di intendere e di volere, non esime il giudice di merito dall'obbligo di accertare, con qualsiasi mezzo a sua disposizione, così come prescritto dall'art. 98 c.p., se l'imputato minore degli anni diciotto, ma maggiore degli anni quattordici, abbia, al momento del commesso reato, tale capacità. (9)

Reciprocamente, la valutazione della sussistenza di un'eventuale infermità fisica e psichica, che possa influire sulla capacità di intendere e di volere, non comprende l'esame della maturità dell'imputato infradiciottenne e, pertanto, non è idonea ai fini dell'accertamento della sua imputabilità. Può, infatti, accadere che il minore risulti affetto da infermità di mente. In tal caso, si sostiene che la presenza di un'infermità mentale non necessariamente si riflette sulla maturità del minore ai fini del giudizio sull'imputabilità, per cui il vizio parziale di mente non esclude l'imputabilità del minore. (10) Occorrerà pertanto verificare se l'infermità mentale abbia ritardato il normale sviluppo psico-fisico del minore, impedendogli l'acquisizione di una maturità sufficiente per la capacità di intendere e di volere, oppure sia intervenuta in una condizione di (altrimenti) normale evoluzione psichica. Nel primo caso il soggetto dovrà essere dichiarato non imputabile ai sensi dell'art. 98 c.p.; nel secondo caso si dovrà distinguere l'ipotesi in cui l'infermità abbia del tutto annullato la capacità di intendere e di volere da quella in cui si sia limitata a scemarla considerevolmente. (11) Pertanto, l'eventuale infermità determinante un vizio parziale di mente opera sul minore nello stesso modo e con gli stessi limiti previsti nei confronti della maggiore età, ossia quelli previsti dall'art. 89 c.p. (12)

Il vizio parziale di mente in persona minore degli anni 18 non comporta necessariamente la mancanza completa di imputabilità, quasi che, sommandosi le due menomazioni (per la minore età e per l'infermità psichica), debba in ogni caso escludersi totalmente la capacità di intendere e di volere. Occorre, invece, distinguere il caso in cui la malattia di mente abbia inciso sul normale sviluppo del minore, sì da impedirgli di raggiungere quel minimo di evoluzione della coscienza e della volontà che costituisce il presupposto dell'imputabilità, dal caso in cui l'infermità mentale sia caduta su un minore il cui quoziente di età psichica corrisponda al normale sviluppo dell'età cronologica: nella prima ipotesi l'imputabilità è esclusa; nella seconda ipotesi si deve accertare se l'infermità abbia del tutto annullato la capacità di intendere e di volere, con conseguente mancanza di imputabilità, ovvero si sia limitata a scemarla grandemente, sì che, in quest'ultimo caso, è del tutto legittimo il concorso delle due diminuenti previste dagli articoli 89 e 98 c.p. nell'aspetto di una capacità di intendere e di volere diminuita sotto un duplice effetto, ma non esclusa. (13)

Un excursus sulla giurisprudenza della Corte Suprema in materia mostra proprio il consolidato orientamento circa la compatibilità tra il vizio parziale di mente e l'imputabilità attenuata del minore di diciotto anni. Quindi rappresenta una vera eccezione una sentenza del 1936 la cui massima recita: «anche l'infermità parziale toglie al minore quella capacità che è il presupposto della sua imputabilità secondo l'art. 98 cod. pen. e quindi egli non può essere ritenuto nello stesso tempo imputabile e seminfermo di mente». (14)

In dottrina però sono presenti anche posizioni, in parte o del tutto, diverse rispetto alle due soluzioni opposte prospettate della giurisprudenza, che abbiamo appena esaminato.

Accanto a chi sostiene, in linea con l'orientamento prevalente della giurisprudenza, che il minore dovrebbe fruire di una duplice riduzione di pena, vi è infatti chi sostiene che il giudice, accertata in un minore la presenza di un vizio parziale di mente che determini una capacità di intendere e di volere grandemente scemata, dovrebbe applicare l'art. 89 c.p. e procedere ad un'unica riduzione di pena. (15) Questa tesi si basa sul presupposto che l'art. 98 c.p. non si applicherebbe in presenza di situazioni patologiche, avendo il legislatore, come abbiamo avuto modo di dire già in altre occasioni, limitato l'area di operatività dello stesso alle sole situazioni fisiologiche. L'art. 98 c.p. non andrebbe perciò applicato nemmeno per quanto riguarda la diminuzione di pena, la quale richiede un accertamento della maturità del soggetto, il che è impossibile se il minore è affetto da vizio parziale di mente. I sostenitori di questa posizione non tengono però conto del fatto che è il semplice dato formale dell'età quello che fa sorgere l'obbligo per il giudice di accertare la capacità di intendere e di volere del minore, per cui non è possibile sottrarre a questo tipo di accertamento una particolare categoria di soggetti, cioè i minori affetti da vizio parziale di mente. Individuare l'ambito di applicazione di una norma non comporta, come corollario, che la norma non debba essere applicata quando il soggetto presenta una condizione ulteriore rispetto a quella disciplinata dalla norma in questione, proprio perché si tratta di condizione "ulteriore" e non di condizione "alternativa". Inoltre si verrebbe a creare una situazione iniqua per il minore seminfermo di mente, il quale sarebbe privato dell'accertamento in concreto della maturità, cioè dell'accertamento in relazione allo specifico reato commesso, essendo questa una prerogativa legata all'art. 98 c.p. Infine, quoad poenam, la non applicazione della diminuzione di pena ex art. 98 c.p. comporterebbe la parità di trattamento del minore maturo e del minore seminfermo di mente, pur avendo il secondo una capacità grandemente scemata rispetto al primo.

Seguace della tesi dell'incompatibilità tra la seminfermità di mente e la minore età è anche Trapani, il quale afferma che

pur essendo radicale la diversità tra incapacità di intendere e di volere in senso fisiologico (art. 98 c.p.) e incapacità di intendere e di volere in senso patologico (art. 88-89 c.p.), è tuttavia impossibile configurare in concreto un minore normalmente sviluppato sul piano fisico-psichico, in rapporto all'età, fino a potersi considerare «maturo», ma nel contempo affetto da vizio parziale di mente idoneo a scemare grandemente, per infermità, la capacità di intendere e di volere del minore. (16)

Ma, diversamente da quanto sostenuto da Portigliatti Barbos e Marini, secondo Trapani questo comporterebbe che il minore ultraquattordicenne, affetto da infermità che determini una capacità di intendere e di volere grandemente scemata, vada ritenuto non imputabile per totale incapacità di intendere e di volere ex art. 98 c. p. e non ex art. 89 c.p.

Ad una dichiarazione di non imputabilità del minore seminfermo di mente, secondo Russo Parrino, si dovrebbe giungere sempre. Questa conclusione si basa sulla considerazione che se in una persona di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni viene ad incidere, oltre al naturale grado di debilitazione psichica inerente all'età, anche un'altra causa che scemi grandemente ed ulteriormente la già limitata capacità di intendere e di volere, la residua capacità psichica risulterà nulla o quasi. In altre parole, la somma della diminuzione di capacità per l'età con quella per infermità parziale di mente non può dar altro risultato se non l'assenza completa di capacità. La tesi di Russo Parrino è inaccettabile non tanto per la conclusione a cui giunge, quanto per la premessa da cui parte. Egli parte, infatti, dal presupposto che la capacità di intendere e di volere richiesta dall'art. 98 c. p., al fine dell'imputabilità del minore, sia una capacità notevolmente limitata rispetto a quella richiesta per gli adulti. L'errore, secondo Baviera, sta proprio qui, perché "nel minore non esiste [...] una diminuzione di capacità di intendere e di volere: questa è integra - sia pure in relazione all'età [...]. Quella che è diminuita è la pena e non la capacità". (17) E ancora:

non si comprende quale assurdità logica vi sia nel considerare [imputabile] un minore (cui manchi, per esempio, solo una settimana al compimento del diciottesimo anno) il quale abbia capacità di intendere e di volere, ma la presenti grandemente diminuita per infermità mentale. Si tratta di quella stessa capacità di intendere e di volere che avrà quello stesso giovane una settimana dopo, già maggiore degli anni 18. e, dovendosi applicare entrambe le disposizioni degli articoli 89 e 98 cod. pen. (entrambe di carattere generale e compatibili fra di loro) - di cui ricorrono gli estremi preveduti in tali articoli - a quella persona dovrà concedersi una sola diminuzione di pena per il reato commesso dopo il compimento del diciottesimo anno; mentre si dovranno applicare due diminuzioni successive per il reato commesso prima di tale data. (18)

Ne deriva che la figura del minore seminfermo di mente non è un assurdo logico e giuridico, almeno nella misura in cui non è un assurdo logico e giuridico la figura dell'adulto seminfermo di mente. Sostenitore come Baviera della possibilità che un minore, il quale abbia già acquisito la capacità di intendere e di volere, possa però, al momento del fatto, presentare questa capacità grandemente scemata a causa di un'infermità mentale, è anche Ferrone. L'esempio che questi fa è quello del minore epilettico: se il minore, che risulti sufficientemente maturo, abbia commesso il reato in periodo che precede o segue in via immediata l'accesso epilettico, in una situazione di capacità di intendere e/o di volere grandemente scemata, a causa di una delle modificazioni mentali tipiche dei periodi interaccessuali, non si vede perché non vada applicato nei suoi confronti l'art. 89 c.p. (19) I sostenitori della conciliabilità tra imputabilità e seminfermità di mente rilevano l'esistenza di "argomenti testuali di diritto positivo" che "confermano la possibilità di ammettere una infermità parziale di mente quando il minorenne sia maturo e, come tale, capace e passibile di pena". (20) Il combinato disposto degli articoli 142, comma 3, e 141, comma 2 c. p. - prima della sua abrogazione ad opera dell'art. 89 dell'ordinamento penitenziario - stabiliva che i minori di diciotto anni, che fossero condannati a pena diminuita per infermità psichica, scontassero la condanna in stabilimenti speciali. Da questo si ricava che il legislatore ha ammesso la possibilità che il minore di diciotto anni sia dichiarato contemporaneamente imputabile ed affetto da vizio parziale di mente.

Ma, in pratica, in presenza di una grave causa di natura patologica perturbatrice della personalità, come farà il giudice a dare la prova della raggiunta maturità del minore?

Ecco che, in dottrina, è possibile individuare un triplice orientamento: accanto alle due posizioni che hanno sposato le opposte soluzioni prospettate dalla giurisprudenza, Battaglini ne ha enunciata una terza che pone in risalto il divario tra le norme giuridiche e la realtà psicologica e psichiatrica del minore: "se la questione si esamina da un punto di vista strettamente giuridico la audace tesi dell'inconciliabilità non sembra sostenibile. [...] Ma se [...] la questione si esamina nella palpitante realtà della psicologia e della psichiatria minorile, l'apparente eresia della inconciliabilità scompare". (21) Prima ancora della scienza, è la stessa esperienza quotidiana che ci mostra come lo sviluppo psico-fisico dell'adolescente sia sostanzialmente diverso da quello dell'adulto: "il periodo intermedio dai quattordici ai diciotto anni che succede a quello della così detta età premorale corrisponde approssimativamente al periodo della pubertà, la quale è caratterizzata, come è noto, da una profonda crisi fisiologica con inevitabili ripercussioni su tutta la psiche e specialmente sullo sviluppo del carattere". (22) Date queste premesse, ci domandiamo: se nel periodo dell'adolescenza si inserisce un fattore morboso specifico, la sua influenza sul minore potrà essere uguale all'influenza dello stesso fattore nei confronti dell'adulto che ha già raggiunto un assoluto equilibrio endocrinologico, fisiologico e psicologico? "La capacità penale del minore è una capacità sui generis, cioè ha un contenuto ed un'ampiezza a sé stante, corrispondente a quella maturità psichica relativa alla sua evoluzione fisio-psichica. Or bene se su questa maturità agisce un fattore morboso, sembra ovvia la conclusione che l'influenza di questo fattore non agisca nei limiti previsti per l'adulto". (23) Per quanto riguarda specificatamente l'ipotesi del vizio parziale di mente,

il fatto che si richieda una grave menomazione e non una menomazione qualsiasi, fa sì che il grado di incapacità si trovi molto vicino alla incapacità totale, onde già nell'adulto risulta difficile una sicura diagnosi differenziale. È certo che il minore è in partenza meno dotato dell'adulto (immaturità per età) e pertanto su questa sua già modesta dotazione, una infermità ha effetti proporzionalmente maggiori che nell'adulto, onde mal si intravede la possibilità di un residuo [...] di capacità tale da configurare un vizio parziale di mente e cioè una condizione per la quale il soggetto è libero di determinarsi, ma solo fino a un certo punto. (24)

Sul piano medico legale non sembra accettabile procedere con una specie di criterio matematico che ci assicuri che la somma tra infermità ed immaturità ci dia come risultato una menomazione soltanto grave e non invece una totale incapacità. Anche perché, in realtà, "immaturità per età e infermità vera e propria non possono semplicemente coesistere ma si aggravano vicendevolmente, concausando un effetto ultimo ben più grave di quello che si potrebbe desumere da un empirico procedimento di semplice somma". (25) È per questo che, come rileva Battaglini, le cause che influiscono sulla maturità e sulla sanità mentale del minore sano vanno prese in considerazione e valutate "nella loro combinazione e nelle loro interferenze reciproche". (26)

Si può ipotizzare che l'affermata compatibilità tra età minore e vizio parziale di mente rientri fra le scelte di politica penale, ovvero sia lo strumento utilizzato per introdurre in via giurisprudenziale la figura della semi-maturità non prevista dal legislatore, o, comunque, per permettere al giudice di diminuire ulteriormente la pena nei confronti di un minore che, pur essendo maturo, non appaia meritevole di condanna.

Quanto, infine, al concorso tra sordomutismo e seminfermità, accanto alla posizione di chi afferma la possibilità di cumulare le due diminuzioni di pena in applicazione degli stessi criteri che regolano la concomitanza tra minore età e vizio parziale di mente, (27) vi è quella di chi li ritiene assorbenti e quindi determinanti una sola riduzione di pena, che dovrà essere quella da imputarsi alla figura prevalente, e cioè ai sensi dell'art. 96 c.p. (28)

2. L'accertamento dell'imputabilità del minore assuntore di stupefacenti

2.1. La genesi del fenomeno della tossicodipendenza

Il fenomeno della diffusione del consumo di droga, soprattutto da parte di ragazzi giovani, ha interessato il mondo occidentale solo recentemente.

Nell'800 e fino agli anni '60 [...] il problema droga non esisteva [...]: le tossicomanie non costituivano pertanto un fenomeno di interesse sociale, la droga non esercitava alcuna attrattiva sui giovani e coinvolgeva solo pochissimi individui. Si trattava per lo più di intellettuali e letterati che erano diventati morfinomani o cocainomani o assuntori di hashish frequentando sofisticati ambienti artistici; oppure di persone che avevano facilità di accesso agli stupefacenti per ragioni professionali, quali medici e infermieri; ovvero ancora pochi che, avendo assunto stupefacenti per motivi medici e per lenire dolori, erano poi divenuti dipendenti. Per avere un'idea dell'esiguità del fenomeno, basti pensare che in Italia negli anni '30 erano schedati poco più di un migliaio di morfinomani. (29)

Il fenomeno della droga ha iniziato ad espandersi anche fra i giovani in seguito ai movimenti di contestazione studentesca - nati negli Stati Uniti ed arrivati, nel '68, in Europa -, come emblema di protesta ed espressione di trasgressione: "l'impiego di droghe leggere [...] fu [...] recepito da larghi strati di giovani con un significato dichiaratamente oppositivo ai valori di un sistema sociale da loro ripudiato: poiché la società proibiva l'uso di queste sostanze, proprio per esprimere il rigetto dei suoi valori veniva fatto uso di droghe". (30)

Una volta esaurita quella connotazione contestataria e rivoluzionaria che il consumo di droga aveva inizialmente assunto tra i giovani, da una parte si erano comunque già formati fra questi dei veri e propri tossicodipendenti, dall'altra l'ormai larga disponibilità del mercato, nelle mani delle organizzazioni mafiose, ne facilitava l'uso da parte di nuovi adepti.

Oggi, venuti meno i motivi ideologici, "il consumo di stupefacenti è andato legandosi a motivazioni esclusivamente voluttuarie, cioè di ricerca della gratificazione soggettiva dovuta agli effetti psichici in vario modo piacevoli". (31)

La diffusione del fenomeno "droga" ha causato una serie di problemi prima del tutto sconosciuti e ha creato una vera e propria fenomenologia criminosa.

2.2. Il dato normativo

"Il problematico collegamento fra imputabilità penale e referenti naturalistici del suo contenuto costituisce un esempio fra i più chiari del difficile rapporto fra dimensione normativa e realtà empirica". (32) In particolare, per quanto riguarda l'assunzione di sostanze stupefacenti, si configura una situazione in cui non vi è coincidenza fra il parametro naturalistico e quello giuridico in ordine alla responsabilità penale: "questo tipo di sostanze per i loro effetti psicoattivi hanno infatti marcata idoneità a interferire in vario modo sull'intendere e sul volere [...]. Ma, per principio, non sono considerati dal legislatore rilevanti sull'imputabilità gli effetti psichici di tali sostanze, perché, per convenzione giuridica, ciascuno deve essere in grado di controllarne l'uso, di inibirlo o moderarlo". (33) Questa impostazione risponde ad una precisa scelta di politica criminale compiuta dal legislatore, che ha volutamente effettuato un'eccezione nei confronti della regola generale dettata dall'art. 85 c. p., secondo la quale nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato, se al momento in cui lo ha commesso non era capace di intendere e di volere. Questa scelta, dettata dalla "preoccupazione di reprimere l'abuso voluttuario, a causa dell'accresciuta possibilità di commettere in tali condizioni atti delittuosi, [...] si traduce in una fictio iuris, per la quale viene ritenuto responsabile anche chi poteva di fatto non esserlo se [...] l'acuta intossicazione da droghe lo aveva privato o limitato nella capacità di intendere e di volere". (34) Anche le legislazioni di quasi tutti gli stati europei risolvono la questione dell'imputabilità e della punizione dei soggetti che agiscono sotto l'effetto di stupefacenti in termini analoghi a quelli dettati dal codice penale italiano, e anche negli stati europei dove l'interpretazione è regina, i giudici hanno adottato criteri simili a quelli codificati dal nostro ordinamento penale.

L'assunzione di sostanze stupefacenti da parte di ragazzi di età compresa fra i quattordici e i diciotto anni, manifestatasi con maggiore evidenza, come abbiamo detto, a partire da metà degli anni '70, pone delicate questioni interpretative per quanto riguarda il rapporto tra i rispettivi ambiti di operatività delle disposizioni del codice penale che regolano, da una parte, l'imputabilità degli assuntori di stupefacenti e, dall'altra, l'imputabilità del minore.

Il legislatore disciplina la rilevanza, ai fini dell'imputabilità, dell'assunzione di sostanze stupefacenti agli art. 91-95 c. p., attraverso un richiamo della disciplina prevista per l'assunzione di alcolici. Il combinato disposto degli articoli 91 e 93 c. p. prevede l'esclusione di imputabilità per colui che, al momento del fatto, non aveva la capacità di intendere e di volere a causa dell'effetto delle sostanze stupefacenti assunte per caso fortuito o forza maggiore; nel caso in cui la capacità sia non del tutto assente, ma grandemente scemata è prevista una diminuzione di pena. Quando, invece, l'assunzione degli stupefacenti non è dovuta a caso fortuito o a forza maggiore, gli articoli 92 e 93 c. p. stabiliscono che l'imputabilità non è né esclusa né diminuita. E se, addirittura, l'assunzione è stata preordinata al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusante la pena è aumentata. Un aggravamento di pena è previsto anche dall'ultimo comma dell'art. 94 per il caso in cui il reato è stato commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti da chi è dedito al loro uso. Infine, l'art. 95 prevede l'applicazione delle norme sul vizio totale e parziale di mente (artt. 88 e 89 c. p.) per i reati commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da sostanze stupefacenti.

In dottrina queste ipotesi prese in considerazione e disciplinate dal codice penale prendono, rispettivamente, il nome di assunzione accidentale, volontaria, preordinata, abituale e di cronica intossicazione.

Come abbiamo già detto, all'assuntore di stupefacenti viene esteso il trattamento previsto per il consumatore di alcolici. Questo si spiega facilmente se solo si pensa che all'epoca in cui è stato redatto il codice la diffusione dell'uso di sostanze stupefacenti era certamente minore rispetto all'assunzione di alcolici. Ma guardiamo la genesi di questa disciplina.

L'art. 48 del Codice Zanardelli stabiliva delle forti riduzioni di pena per chi avesse commesso il delitto in stato di ubriachezza volontaria, con la sola eccezione di quella preordinata. Gli autori del codice Rocco, legati a scelte di politica penale repressive e generalpreventive, volevano modificare la legislazione precedente, eliminando la concessione di benefici in caso di ubriachezza volontaria. Si doveva anche risolvere una volta per tutte la dibattuta questione se l'ubriachezza colposa dovesse essere equiparata a quella volontaria - come poi fece il Codice Rocco - o a quella accidentale - come qualcuno sosteneva sotto la vigenza del Codice Zanardelli. Inoltre, mentre l'ubriachezza abituale era considerata dal codice precedente un'attenuante (sia pure in misura ridotta rispetto all'ubriachezza volontaria), ora la si riteneva un'aggravante, per cui era necessario mettere in evidenza la diversità della situazione della intossicazione cronica, che andava parificata ad una vera e propria malattia. Infine, nonostante la ancora scarsa diffusione del problema, si riteneva fosse, comunque, necessario occuparsi anche dell'uso delle sostanze stupefacenti, dal momento che procuravano stati uguali a quelli causati dal consumo di alcolici. Si rese quindi necessario disciplinare ex novo la materia.

Per quanto riguarda, invece, la normativa sull'imputabilità del minore, di cui si è già ampiamente parlato, basta qui ricordare che ai sensi dell'art. 98 c. p. il minore tra i quattordici e i diciotto anni è imputabile se, al momento in cui ha commesso il fatto, aveva la capacità di intendere e di volere, e che tale capacità è stata individuata dalla dottrina nel concetto di maturità psichica. L'evoluzione richiesta non deve coincidere con una maturità - «nel campo intellettivo, etico e volitivo» - completa, ma «sufficiente a rendere il minore consapevole del disvalore sociale dell'atto e capace di determinare la sua condotta in relazione all'atto». (35)

Gli indicatori individuati dalla giurisprudenza come elementi sintomatici di maturità o di immaturità del minore possono, però, essere influenzati da un'assunzione di stupefacenti fatta con una certa continuità e protratta nel tempo. È necessario perciò capire se il consumo di droga deve essere considerato quale indicatore di immaturità oppure valutato ai sensi degli art. 91-94 come non influente sull'imputabilità.

2.3. L'assunzione di stupefacenti nell'elaborazione dottrinale

La dottrina medico-legale ha, innanzitutto, individuato i diversi stadi legati all'uso delle sostanze stupefacenti. Il primo stadio è quello dei semplici consumatori definiti come coloro che «usano la droga, qualunque essa sia, saltuariamente o in situazioni eccezionali; oppure anche in modo ripetuto, ma utilizzando dosaggi del tutto innocui e mantenendo sempre la possibilità di interrompere l'assunzione senza risentirne conseguenze». Il secondo stadio è individuato nei tossicodipendenti, cioè in «coloro nei quali la dipendenza si è instaurata, a cagione del protrarsi dell'uso». Nel tossicodipendente si è ormai innestata una dipendenza psichica e, se la droga è idonea, anche quella fisica. Lo stadio più grave di tossicodipendenza è rappresentato dai tossicomani, «quelle persone - quasi esclusivamente assuntori di eroina, più raramente di cocaina, e spesso di entrambe le sostanze - nelle quali per essere diventata la tossicodipendenza particolarmente intensa, l'assunzione di droga è assurta a tale imperatività da diventare l'unica ragione di vita». Il tossicomane perde tutti i valori che aveva precedentemente, non ha più gli stessi interessi di prima e finisce per condurre uno stile di vita totalmente diverso e, quasi sempre, delinquenziale. (36)

Se inquadriamo queste definizioni nella realtà normativa degli art., 91-94 c. p. possiamo dire che sia il semplice consumatore che il tossicodipendente sono sempre ritenuti imputabili, e nei loro confronti va applicato l'aggravamento di pena previsto dagli art. 92 e 93 in caso di preordinazione criminosa e dall'art. 94 in caso di abitualità. Per quanto concerne invece l'ipotesi di intossicazione cronica prevista dall'art. 95, la sua identificazione è ancora oggetto di discussioni.

2.4. L'assunzione di stupefacenti da parte dell'imputato minorenne

I minori tra i quattordici e i diciotto anni "non sono legati al consumo di una sostanza specifica ma tendono ad assumerne di vario tipo ed effetti, non raggiungono un livello di vera e propria tossicodipendenza tanto da risentire dell'assenza della sostanza fino a subire una vera e propria crisi di astinenza". (37) Da un'indagine statistica condotta nel 1984 sui consumatori di stupefacenti all'interno degli Istituti di osservazione minorili risulta che sui 658 casi rilevati il 15,34% fa uso indiscriminato di due o più tipi di sostanze, in 400 casi è utilizzata l'eroina e in 81 l'hashish, e solo in otto casi si è verificata una crisi di astinenza. (38) Per quanto riguarda i minori, quindi, solo in rarissimi casi si può parlare di vera e propria tossicodipendenza:

la stessa ambiguità, che caratterizza l'adolescenza, si oppone ad un radicale consolidamento della dipendenza; il tempo, che usualmente trascorre tra le prime assunzioni e la stabilizzazione delle conseguenze psicologiche e fisiche della droga, porta generalmente il soggetto oltre il diciottesimo anno di età; la disponibilità di danaro non consente, di solito, assunzioni regolarmente massive [...]. Si tratta piuttosto di ragazzi che, muovendo da un complessivo disagio esistenziale e da condizioni di depauperamento affettivo e culturale, vedono nella droga un mezzo per superare difficoltà di identificazione, per integrarsi in un gruppo, per sentirsi partecipi di un certo tipo di sottocultura giovanile; il rapporto con la droga resta caratterizzato da questo tipo di motivazioni, [...] e se anche tende a rafforzarsi in relazione all'aumento della dipendenza psicologica e alla conferma della disistima di sé, raramente giunge alla soglia della vera dipendenza. (39)

L'assunzione di stupefacenti assume le caratteristiche di una vera e propria tossicodipendenza solo fra i diciotto e i ventuno anni, trovando quindi fra i quattordici e i diciotto solo l'origine del fenomeno, con conseguente esclusione, in questa fascia d'età, del fenomeno della cronica intossicazione da sostanze stupefacenti.

Mentre sono rare, nella pratica giudiziaria, le ipotesi di assunzione «derivante da caso fortuito o da forza maggiore» (artt. 91 e 93 c. p.) e di «abitualità» (art. 94, ultimo comma, c. p.), è frequente l'assunzione «volontaria» di droga prima della commissione del reato (artt. 92 e 93 c. p.). In realtà la spontanea dichiarazione dell'imputato di aver assunto stupefacenti prima della commissione del reato - fatta generalmente nella convinzione di ottenere un trattamento penale o detentivo più favorevole - potrebbe inquadrare una situazione assimilabile alla «preordinazione» prevista dall'art. 92, comma 2, c.p. Ma, di fatto, affinché la preordinazione costituisca causa di aggravamento di pena va provato che l'uso degli stupefacenti è stato fatto proprio «per commettere il reato o per procurarsi una scusa», prova questa che si rivela spesso di difficile acquisizione.

Da quanto detto emerge che la problematica più frequente per gli imputati minorenni assuntori di stupefacenti è quella dell'assunzione volontaria, rilevante ex artt. 92 e 93 c.p.

La difficoltà nel coniugare l'art. 93 con l'art. 98 c. p. sarebbe data, secondo Grasso e Roberti, dal diverso rapporto che tali articoli creano fra realtà naturalistica e realtà normativa. L'art. 93, infatti, stabilendo che l'imputabilità non è né esclusa né diminuita dall'assunzione volontaria di stupefacenti, introduce un'ipotesi di imputabilità presunta, creando così un divario fra la realtà naturalistica e quella normativa. L'art. 98, invece, imponendo una valutazione della capacità di intendere e di volere, prende in considerazione la realtà soggettiva dell'imputato vista nella sua evoluzione, realizzando il massimo di corrispondenza fra la realtà naturalistica e la realtà normativa. In altre parole, mentre l'art. 93 impone un accertamento relativo solo al momento della commissione del fatto, finalizzato a verificare se il minore era sotto l'effetto di droga, l'art. 98 richiede una valutazione globale del minore nel suo aspetto evolutivo. Le indagini richieste dai due articoli risultano perciò contrastanti: la prima è un'indagine su una realtà statica, la seconda impone l'accertamento di una realtà dinamica.

Il fatto che il minore, quando commise il reato, fosse sotto l'effetto di sostanze stupefacenti assunte volontariamente, benché non abbia di per sé alcuna rilevanza circa l'imputabilità, può tuttavia assumere un notevole rilievo in sede di accertamento ex art. 98, come possibile indicatore di immaturità del minore. Infatti, "un conto è escludere che la droga possa essere, per così dire «causa» di immaturità [...], un conto è chiedersi se la droga non possa essere «sintomo» di immaturità". (40)

Alcuni autori ritengono che la capacità di astenersi dal fare uso di sostanze stupefacenti, evidentemente presunta dall'art. 93, richiederebbe dei freni inibitori incompatibili con lo stato di "soggetto in formazione" proprio del minore tra i quattordici e i diciotto anni, il quale si accosterebbe alla droga "per la sua incapacità di riflessione e di previsione delle conseguenze, per imitazione o per la curiosità di provare nuove e diverse sensazioni". (41)

Se la legge ha disposto che l'ubriaco volontario, o chi volontariamente assume stupefacenti, non abbia attenuanti di sorta nel caso che quelle intossicazioni lo sospingano al delitto, è perché presume che la persona abbia la capacità psichica di astenersi dall'ubriacarsi o dall'assumere stupefacenti. [...] per riuscire a farli agire efficacemente occorre che i freni astensionistici siano ben robusti ed il loro manovratore ben valido. Questa validità di poteri inibitori e questa capacità di farli agire al momento opportuno, se sono però - ed in ipotesi teorica - possibili in un adulto mentalmente sano, sono altrettanto impossibili in un giovane adolescente. (42)

L'immaturità di cui all'art. 98 c.p., infatti, deve essere valutata in riferimento alle caratteristiche del reato di volta in volta commesso, e questa valutazione deve essere effettuata in relazione sia al momento della consapevolezza che della volontà. E se, in linea generale, possiamo ritenere che i minori assuntori di sostanze stupefacenti - anche in considerazione dei reati usualmente commessi - sono in grado di percepire l'illiceità del proprio comportamento, non altrettanto possiamo fare per quanto riguarda l'aspetto della volontà, dell'attitudine a «determinarsi nella scelta fra il bene e il male, l'onesto e il disonesto, il lecito e l'illecito», (43) perché si possono verificare dei casi in cui il minore non è grado di resistere alla commissione del reato, pur percependolo come tale.

Il discorso si fa più complesso nel caso in cui il minore che ha commesso il reato sia dedito all'uso di sostanze stupefacenti e incorra, perciò, nell'aggravio di pena previsto dall'art. 94 c.p.

Gli esperti sono concordi nel ricondurre l'assunzione di droga da parte del minore ad un ritardo nello sviluppo della personalità o, comunque, ad un ostacolo da questi incontrato nel superare le varie fasi della crescita. Questo vuol dire che nel comportamento tossicofilo sono riscontrabili evidenti segni di immaturità, i quali potrebbero portare ad un proscioglimento ex art. 98 c.p. Se infatti leggiamo le definizioni formulate dagli esperti su chi sono i tossicodipendenti, si capisce che si tratta di soggetti "particolarmente narcisisti, con tendenza all'ipertrofizzazione dell'io ed all'ipercompensazione fantastica volta a colmare il vuoto di identità; appaiono socialmente inibiti, passivi, probabilmente con tendenze aggressive represse, scarsamente consapevoli di sé e della propria identità sessuale", (44) e che nei più giovani è presente "maggiore introversione, minore adattamento all'ambiente, incidenza rilevante di squilibri emotivi, sfiducia in se stessi, timore della solitudine e quindi tendenza a confondersi in gruppo". (45) Queste parole potrebbero benissimo trovarsi in quelle sentenze che applicano l'articolo 98 c.p., come definizioni di minori immaturi, visto che se dovessimo descrivere con una sola parola questi ragazzi tossicodipendenti, diremmo senza dubbio che si tratta di immaturi. Questo ovviamente, come sottolinea Dusi, non deve portare a configurare una specie di licenza di uccidere che accompagna il minore che viola la legge penale per procurasi la droga, ma semplicemente che l'art. 98 e il proscioglimento per immaturità deve essere compreso nel ventaglio delle possibili modalità di intervento utilizzabili dal giudice. (46)

Nella pratica, però, a parte quei rarissimi casi in cui le condizioni del soggetto sono così deteriorate da condurre facilmente al riconoscimento della capacità di intendere e di volere, normalmente le caratteristiche e le problematiche di questi ragazzi non vengono prese esplicitamente in considerazione dal giudice, il quale di solito non attribuisce autonoma rilevanza al loro rapporto con la droga. Anzi, secondo Dusi, può accadere che il fattore tossicodipendenza giochi implicitamente in modo sfavorevole al minore, comportando una carcerazione preventiva più lunga, una pena più pesante e una maggiore resistenza alla concessione del perdono giudiziale. (47) Di fatto, l'immaturità è stata riscontrata più facilmente in minori che non avevano esperienze di droga piuttosto che in minori tossicodipendenti. Se l'assunzione di droga non può certo essere considerata sinonimo di immaturità e automaticamente comportare un proscioglimento ex art. 98 c.p., possiamo dire che l'uso di droghe spesso è sintomo di un disagio del minore, per cui è necessario "indagare sui precedenti fisiopsichici e familiari del soggetto ai fini dell'accertamento della capacità di intendere e di volere di cui all'art. 98 c.p. Tale rilievo comporta la necessità, per l'autorità giudiziaria procedente, ove ricorra il caso di imputato assuntore di stupefacenti, di indagare specificamente e comunque sulle ragioni che hanno condotto l'imputato al consumo dello stupefacente (sia esso occasionale o saltuario o ci si trovi di fronte uno stato di vera e propria tossicodipendenza)". (48) È importante cercare di individuare la struttura psicologica del ragazzo che delinque, spesso per procurarsi la droga, perché questa influisce non solo sull'imputabilità, ma anche sul perdono giudiziale, sulla sospensione condizionale della pena, sulla graduazione della sanzione e sulla scelta della misura.

Il problema dell'accertamento in concreto della capacità di intendere e di volere dei minori tossicodipendenti si è posto solo nei confronti di soggetti con manifestazioni di dipendenza da eroina. Questo perché "in presenza di tossicodipendenza da eroina viene in considerazione l'effetto negativo di quel quadro psicopatologico sul corretto svolgimento del processo di maturazione psichica del minorenne, con conseguenze dirette sulla sua capacità di intendere, ma soprattutto di volere". (49)

Un altro aspetto da considerare è che l'assunzione di stupefacenti viene in rilievo anche in riferimento alla pericolosità sociale del minore tossicodipendente, cioè alla probabilità che egli, responsabile di detenzione di stupefacenti o di furti e rapine, commetta nuovi delitti sotto l'impulso di procurarsi la droga da cui è dipendente.

La misura di sicurezza del riformatorio giudiziario - che, come si vedrà meglio più avanti, è applicabile solo qualora si proceda per un reato punibile con la reclusione non inferiore nel massimo a nove anni, o per uno dei delitti previsti dall'art. 380 comma 2, lettere e, f, g, h del c.p.p. (artt. 23 e 36 D.P.R. n. 448/88) - risulta, in concreto, poco efficace, dal momento che deve essere eseguita nella forma del collocamento in comunità e che le comunità hanno struttura e organizzazione tali da non poter impedire l'allontanamento volontario del minore.

2.5. Gli interventi penali e la tossicodipendenza

È interessante dare un'occhiata anche a cosa succede nell'ipotesi in cui il minore autore di illeciti penali sia stato riconosciuto capace di intendere e di volere, benché tossicodipendente, e quindi imputabile e punibile.

La nuova disciplina dell'abuso di sostanza stupefacenti, prevista dal T.U. n. 309 del 9 ottobre 1990, prevede agli art. 73 e 74 delle sanzioni penali legate a fattispecie criminose ricorrenti anche nell'esperienza giudiziaria minorile.

L'art. 73, comma 1, del T.U. n. 309/1990 punisce «chiunque [...] coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede o riceve, a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, acquista, trasporta, esporta, importa, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo o comunque illecitamente detiene» sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall'articolo 14 con la reclusione da otto a vent'anni e con la multa da cinquanta a cinquecento milioni di lire. In questa ipotesi, quindi, non è applicabile il perdono giudiziale, che viene concesso dal giudice qualora questi ritenga che il colpevole - di un reato per il quale la legge stabilisce una pena restrittiva della libertà personale non superiore nel massimo a due anni o una pena pecuniaria non superiore nel massimo a tre milioni di lire - si asterrà il commettere altri reati. Il perdono giudiziale è invece applicabile nella fattispecie prevista dal comma 4 - il quale punisce la detenzione illecita di sostanze di cui alle tabelle II e IV con la reclusione da due a sei anni e la multa da lire dieci milioni a lire centocinquanta milioni - sempre che la pena sia contenuta nel minimo. Inoltre si ritiene che nei confronti degli imputati minorenni probabilmente verrà riconosciuta in loro favore la sussistenza dell'ipotesi prevista dal comma 5 dell'art. 73 - «quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità» (50) - il quale, prevedendo la reclusione da uno a sei anni e la multa da cinque a cinquanta milioni di lire per le sostanze di cui alle tabelle I e III, e la reclusione da sei mesi a quattro anni e la multa da due a venti milioni di lire per le sostanze di cui alle tabelle II e IV, rende possibile l'applicazione del perdono giudiziale. Se oltre alla lieve entità ricorre anche l'occasionalità della condotta è addirittura ipotizzabile il proscioglimento per irrilevanza del fatto, ai sensi dell'art. 27 del D.P.R. n. 448/88.

Il minore acquista e rivende la droga a prezzo maggiorato perché lo spaccio costituisce un mezzo di arricchimento più facile di altri. Inoltre, spesso lo spaccio viene fatto da minori che sono loro stessi consumatori di droga, per cui rappresenta un mezzo attraverso il quale il soggetto integra il proprio fabbisogno di sostanze stupefacenti. Questi piccoli spacciatori sono in genere ragazzi integrati che vanno a scuola o che hanno un lavoro stabile e che si dedicano a questa attività come una sorta di secondo lavoro, per "arrotondare". (51)

L'art. 74 del T.U. n. 309/90 disciplina l'ipotesi in cui due o tre persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall'art. 73. È possibile che faccia parte dell'associazione anche un minorenne. Nel caso in cui questi si limiti a partecipare, la sua partecipazione all'associazione è punita con la reclusione non inferiore a dieci anni (art. 74, comma 2), per cui non è possibile ottenere la concessione del perdono giudiziale. A maggior ragione il perdono giudiziale deve ritenersi escluso in presenza delle circostanze aggravanti previste dal comma 4 - «se il numero degli associati è di dieci o più o se tra i partecipanti vi sono persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope» - dal comma 4 - se l'associazione è armata - o dal comma 5 - «se ricorre la circostanza di cui alla lettera e) del comma 1 dell'articolo 80», cioè se c'è stata adulterazione delle sostanze o commistione di queste ad altre per accentuarne la potenzialità lesiva. Se l'associazione è stata costituita per commettere fatti che, per i mezzi, per le modalità dell'azione o per la qualità e la quantità delle sostanze, sono di lieve entità, allora si applica l'art. 416 c.p., comma 1, per cui «coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni» (art. 74, comma 6). Con la riduzione consentita dall'art. 98 sul minimo della pena prevista dall'art. 416, comma 1, in questo caso risulta applicabile il perdono giudiziale. Ai sensi del comma 7 dell'art. 74, le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite fino a un terzo nei confronti di chi «si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all'associazione risorse decisive per la commissione dei delitti», ma neppure con la riduzione massima, consentita dal comma 7 e dall'art. 98 c.p., applicata alla pena inferiore - che è quella di dieci anni prevista dal comma 1 per la sola partecipazione - si può pervenire a una pena che consenta l'applicazione del perdono giudiziale; occorre il concorso di un'altra circostanza attenuante. Per quanto riguarda il proscioglimento per irrilevanza del fatto, in questi casi è difficile che venga concesso, visto che l'essere parte di un'associazione per delinquere esclude o quantomeno rende difficile ipotizzare l'occasionalità della condotta. In caso di spaccio organizzato, i minori di solito non assumono sostanze stupefacenti, se non in modo limitato e controllato, perché altrimenti non sarebbero in grado di garantire l'organizzazione del traffico illegale della droga. L'utilizzazione dei minori nello spaccio organizzato è dovuta al loro più facile inserimento e alla loro più agevole mimetizzazione in certi ambienti. (52)

L'art. 75 del T.U. n. 309 del 1990 disciplina l'ipotesi dell'importazione, dell'acquisto e della detenzione per uso personale di sostanze stupefacenti o psicotrope in dose non superiore a quella media giornaliera (determinata con decreto del ministro per la sanità), stabilendo in questo caso l'applicazione, da parte del prefetto, della sanzione amministrativa «della sospensione della patente di guida, della licenza di porto d'armi, del passaporto e di ogni altro documento equipollente o, se trattasi di straniero, del permesso di soggiorno per motivi di turismo, ovvero del divieto di conseguire tali documenti, per un periodo da due a quattro mesi, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle I e III previste dall'articolo 14, e per un periodo da uno a tre mesi, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle II e IV previste dallo stesso articolo 14» (comma 1). L'art. 75 contiene anche due disposizioni riguardanti specificatamente i minorenni: i commi 3 e 8. Ai sensi del comma 3, se si tratta di un minorenne e «nei suoi confronti non risulta utilmente applicabile la sanzione» amministrativa, «il prefetto definisce il procedimento con il formale invito a non fare più uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, avvertendo il soggetto delle conseguenze a suo danno». L'applicazione della sanzione amministrativa può risultare comunque utile al prefetto, nonostante che il minore sia privo di patente di guida o impossibilitato a disporre della licenza di porto d'armi o di altri documenti analoghi; infatti, la sanzione non si limita alla sospensione della validità di un documento esistente, ma si estende anche al divieto di conseguire l'autorizzazione ad ottenere il documento stesso. L'utilità della sanzione deve essere, invece, vista in relazione all'età del ragazzo, alla sua maturità, alle sue condizioni familiari e sociali, e qualora il prefetto, tenuto conto di tutti questi aspetti, consideri la sanzione amministrativa utile al minore, l'applicherà, derogando così all'art. 1 della legge n. 689 del 24 novembre 1981 recante modifiche al sistema penale, il quale stabilisce la non assoggettabilità a sanzione amministrativa di chi al momento della commissione del fatto non aveva compiuto diciotto anni. Il comma 8 prevede poi che se l'interessato è minorenne, «il prefetto convoca, se possibile ed opportuno, i familiari, li rende edotti delle circostanze di fatto e dà loro notizia delle strutture terapeutiche e rieducative esistenti nel territorio della provincia, favorendo l'incontro con tali strutture». Prima di tutto, dal momento che qualora il prefetto decida di applicare una sanzione amministrativa deve in ogni caso sentire i genitori, in qualità di esercenti la potestà, ne deriva che il comma 8 troverà applicazione laddove il prefetto non riterrà utile comminare la sanzione amministrativa. In secondo luogo, si deve trattare necessariamente di un minore tossicodipendente o comunque bisognoso di rieducazione, altrimenti non avrebbe senso l'indicazione ai familiari di strutture terapeutiche o rieducative.

L'art. 76 del T.U. n. 309/90 prevede che nei confronti di chi, invitato per la seconda volta dal prefetto, rifiuta o interrompe il programma terapeutico o socio-riabilitativo al quale aveva chiesto di sottoporsi (comma1), e di chi, essendo già incorso per due volte nelle sanzioni amministrative previste dall'art. 75, viene nuovamente colto a detenere stupefacenti in quantità non superiore a quella media giornaliera (comma 2), siano applicate una o più fra le seguenti misure:

  1. divieto di allontanarsi dal comune di residenza;
  2. obbligo di presentarsi almeno due volte la settimana a un ufficio di polizia;
  3. obbligo di rientrare nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, entro una determinata ora e di non uscirne prima di altra ora prefissata;
  4. divieto di frequentare taluni locali pubblici;
  5. sospensione della patente di guida, della licenza di porto d'armi (con proibizione di detenzione di armi proprie di ogni genere), del passaporto e di ogni altro documento equipollente;
  6. obbligo di prestare attività non retribuita a favore di enti pubblici o assistenziali;
  7. sequestro dei veicoli con i quali sono state trasportate o custodite le sostanze;
  8. affidamento al servizio sociale;
  9. sospensione del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero.

Si pongono dei problemi per quanto riguarda la natura di queste misure, perché sebbene l'art. 76 alterni la dizione di «misure» con il termine «sanzioni», sembrerebbe doversi escludere che si tratti di sanzioni penali. Innanzitutto a questa conclusione spingerebbe il fatto che il loro contenuto non è afflittivo, ma preventivo; in secondo luogo, se si trattasse di sanzioni penali, dovrebbero essere comminate in seguito ad un procedimento di cognizione, mentre l'art. 76, comma 5, dispone che il giudice procede osservando, in quanto applicabili, le disposizioni dell'art. 666 del c.p.p., il quale disciplina il procedimento di esecuzione, non quello di cognizione. Escluso che si possa trattare di sanzioni, rimane da stabilire se siano misure di sicurezza o di prevenzione. Ricciotti propende per la seconda ipotesi, perché mentre le misure di sicurezza sono vincolate all'accertamento di un fatto previsto dalla legge come reato e presuppongono l'accertamento della pericolosità sociale, le misure previste dall'art. 76 si collegano direttamente alla violazione della prescrizioni riguardanti una sanzione amministrativa senza previa indagine sulla pericolosità del soggetto. (53)

3. Il concorso fra la diminuente della minore età ed eventuali circostanze aggravanti

L'art. 98 c. p. prevede che nel caso in cui venga accertata la capacità di intendere e di volere dell'infradiciottenne, cioè la sua imputabilità e punibilità, la pena sia comunque diminuita. Ai sensi dell'art. 65 c. p., quando ricorre una circostanza attenuante, come è la minore età, e la legge non ha determinato espressamente la diminuzione, la pena è diminuita «in misura non eccedente un terzo». Se il reato addebitato all'imputato minorenne non comporta delle circostanze aggravanti, non sorge alcun dubbio sull'applicazione di tale attenuazione di pena. Il problema sorge nel caso in cui, invece, si sia in presenza di in concorso di circostanze aggravanti e attenuanti, concorso eterogeneo che l'art. 69 prende in considerazione e risolve stabilendo, come regola generale, che il giudice deve effettuare un bilanciamento fra le circostanze. Questo giudizio di comparazione potrà essere di prevalenza delle une sulle altre o di equivalenza: se sono dichiarate prevalenti le aggravanti non si tiene conto delle diminuzioni di pena stabilite per le attenuanti e, viceversa, se sono considerate prevalenti le attenuanti non si procede agli aumenti di pena stabiliti dalle aggravanti; se, invece, è dichiarata l'equivalenza si applica la pena base, cioè quella che sarebbe stata inflitta se non concorresse alcuna circostanza. Questo potere discrezionale del giudice è stato ampliato dal D. L. n. 99/74, che ha abrogato il divieto, previsto dal comma 4 dell'art. 69, di bilanciamento nei confronti sia delle circostanze inerenti alla persona del colpevole (cioè l'imputabilità e la recidiva) che delle circostanze ad efficacia speciale, generalizzando l'obbligo del giudizio di comparazione rispetto a tutte le circostanze. Secondo il testo originario del codice, infatti, il giudizio di comparazione non operava per questi tipi di circostanze, per cui la diminuente della minore età era sempre esclusa dal bilanciamento e veniva applicata in ogni caso. A seguito del Decreto Legge, venendo presa in considerazione ai fini del giudizio di comparazione anche l'attenuante legata all'età, nel caso in cui il giudice la ritenesse subvalente, o anche solo equivalente, rispetto alle aggravanti contestate, il minore non avrebbe potuto più godere della diminuzione di pena ex art. 98 c.p. In questo modo, la diminuente della minore età perdeva quelle caratteristiche di certezza e generalità che prima aveva. Il giudizio di prevalenza e di equivalenza fu introdotto inizialmente dal legislatore con la funzione di attenuare il rigore sanzionatorio di certi reati, come il furto aggravato, e di personalizzare la pena, commisurandone l'entità, prevista dalla legge in via generale ed astratta, al caso concreto. Le stesse finalità sono alla base della successiva modifica dell'art. 69, che nella nuova formulazione ampliata, fornisce al giudice degli elementi ulteriori di valutazione, quali la persona e la personalità dell'imputato. La Corte di Cassazione ritiene con costanza che "la finalità del giudizio di comparazione di cui all'art. 69 c. p. è quella di valutare la personalità del colpevole e la vera entità del fatto onde conseguire il perfetto adattamento della pena al caso concreto". (54) L'introduzione di questi nuovi elementi di valutazione ha comportato una trasformazione del giudizio di comparazione, modificandone l'essenza stessa: "il giudizio di prevalenza o di equivalenza ha modificato il suo oggetto, trasformandosi da giudizio sul disvalore della singola, episodica violazione dell'ordinamento in un più complesso giudizio sulla figura soggettiva del reo". (55)

Tra le conseguenze del sistema originario previsto dal codice del 1930 vi era la impossibilità di punire con l'ergastolo il minore infradiciottenne: sia nell'ipotesi in cui l'ergastolo fosse previsto come pena base di un delitto non aggravato, sia in quella in cui fosse il risultato dell'applicazione di una circostanza aggravante, l'art. 65 c. p. comportava in ogni caso la sostituzione della pena dell'ergastolo con quella della reclusione da 20 a 24 anni. A seguito della riforma del 1974, qualora la diminuente dell'età fosse stata riconosciuta subvalente rispetto a delle circostanze aggravanti comportanti la pena dell'ergastolo, anche al minore si sarebbe potuta infliggere la massima pena. Nel 1994 la Corte Costituzionale con sentenza n. 168 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, «nella parte in cui prevede che nei confronti del minore imputabile sia applicabile la disposizione del primo comma dello stesso art. 69 in caso di concorso tra la circostanza attenuante di cui all'art. 98 del codice penale e una o più circostanze aggravanti che comportano la pena dell'ergastolo», nonché «nella parte in cui prevede che nei confronti del minore stesso siano applicabili le disposizioni del primo e del terzo comma del citato art. 69, in caso di concorso tra la circostanza attenuante di cui all'art. 98 del codice penale e una o più circostanze aggravanti che accedono ad un reato per il quale è prevista la pena base dell'ergastolo».

Parte della dottrina e della giurisprudenza ha continuato a ritenere che l'età minore non dovesse entrare nel giudizio di comparazione e che, quindi, la diminuente dell'età si dovesse sempre concedere. Alla base di questa tesi vi era la convinzione che quella dell'età non fosse una circostanza in senso tecnico, ma uno status del reo, una qualificazione giuridica soggettiva che, sebbene influente sull'entità della pena, non potesse considerarsi un accessorio del reato.

Anche la peculiare posizione del minore nell'ordinamento e la conseguente autonomia del diritto minorile impedirebbero di equiparare la soggettività del minore con quella dell'adulto e, questo andrebbe a sostegno della tesi dell'obbligatorietà dell'applicazione della diminuente dell'età: la minore età non entrerebbe pertanto nel giudizio di comparazione, ma anche se ci fosse fatta entrare si atteggerebbe ope legis come prevalente.

La Corte di Cassazione ha sempre respinto questa tesi, affermando che "nel giudizio di comparazione si deve escludere l'attribuibilità di un preminente peso valutativo alla diminuente della minore età, trattandosi di circostanza inerente alla persona del colpevole da apprezzarsi con gli stessi criteri usati per ogni altra circostanza". (56)

Un problema particolare si pone in relazione all'interpretazione dell'art. 1 della Legge 15/1980. In base a tale articolo le circostanze attenuanti non possono essere ritenute prevalenti o equivalenti qualora concorrano con l'aggravante della finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento democratico o con altre circostanze aggravanti ad effetto speciale. Come è intuibile, questa norma pone delicati problemi interpretativi, e in particolare quando si tratta di doverla applicare a un minorenne, perché in questo caso vengono in rilievo non solo considerazioni strettamente giuridiche, ma anche principi fondamentali di giustizia minorile ripetutamente affermati dalla giurisprudenza costituzionale.

La difficoltà dell'argomento è testimoniata dalle contrastanti sentenze di merito emanate dai Tribunali. Chi ritiene che il divieto affermato dall'art. 1 della legge del 1980 non si applichi alla circostanza attenuante della minore età fonda il suo convincimento sugli stessi argomenti addotti per escludere la diminuente dell'età dal giudizio dei comparazione: la peculiarità della circostanza dell'età minore rispetto alla categoria delle attenuanti e la specialità del diritto minorile.

La Corte Costituzionale, dichiarando infondata la sollevata questione di legittimità sull'art. 1 della Legge 15/80, ha interpretato l'articolo in questione ritenendo che il legislatore non abbia voluto escludere qualsiasi operatività alle circostanze attenuanti rispetto alle aggravanti prese in considerazioni dalla norma, ma ha solo voluto impedire che queste potessero essere considerate equivalenti o, addirittura, prevalenti rispetto ad esse. Questo significherebbe che il divieto di comparazione, affermato dalla Legge del 1980, non impedisce di applicare poi le circostanze attenuanti in modo autonomo in base all'art. 63 c.p.

Note

1. In questo senso anche Ignazio Baviera, Diritto minorile, Giuffrè, Milano 1976, p. 38.

2. Baviera, op. cit., p. 39. Per la stessa soluzione, Cass., 16 gennaio 1967, Cass. pen., 1968, p. 274.

3. Cass., 20 ottobre 1970, in Cass. pen. Mass. ann., 1972, p. 166: «la valutazione del giudice per il riconoscimento nel minore degli anni diciotto della capacità di intendere e di volere, deve concernere lo sviluppo intellettivo, quello fisico, l'età, l'assenza di malattie, la forza del carattere, la facoltà del soggetto di rendersi conto dell'illiceità dell'azione e la capacità di volere con riferimento all'attitudine ad autodeterminarsi».

4. Cass., 17 gennaio, 1972, in Cass. pen. Mass. ann., 1973, p. 506.

5. In forza di questi articoli della Costituzione, il trattamento penale dei minori, sia per quanto concerne le misure adottabili, che per quanto riguarda la fase esecutiva, deve essere improntato alle specifiche esigenze proprie dell'età minorile.

6. Tra le norme internazionali relative alla tutela dei minori, particolare attenzione viene posta alla Convenzione sui diritti del fanciullo, adottata a New York il 20 novembre del 1989 e resa esecutiva in Italia con la legge n. 176 del 1991, nella quale si afferma l'esigenza di una specificità del trattamento penale che abbia quali destinatari dei soggetti di età minore.

7. Cass., 9 giugno 1932, in Giust. pen. 1933, II, p. 583.

8. Dottrina e giurisprudenza sembrano concordi nel tracciare una netta linea di demarcazione tra la condizione di immaturità e quella di infermità mentale, essendo queste diverse sia nei contenuti che nelle conseguenze: la prima comporta, infatti, un proscioglimento (o l'applicazione della diminuente) ai sensi dell'art. 98 c.p.; la seconda andrà, invece, valutata ai sensi degli art. 88 e 89 c.p.

9. Cass., 8 aprile 1981, in Riv. pen. 1982, p. 433. Nello stesso senso vedi anche: Cass., 21 marzo 1989, in Mass. Cass. pen. 1990, p. 291; Cass., 6 ottobre 1986, in Riv. pen. 1988, p. 189.

10. Cass., 22 marzo 1982, in Riv pen. 1983, p. 528: «l'imputabilità del minore infradiciottenne è compatibile con il vizio parziale di mente». Cfr., Cass. 21 giugno 1985, in Riv. pen. 1986, p. 510; Cass., 21 marzo 1989, in Riv. pen. 1990; Cass., 21 dicembre 1989, in Riv. pen. 1990, p. 1069.

11. Cass., 2 luglio 1962, in Cass. pen. 1963, p. 48; Cass., 26 maggio 1971, in Cass. pen. 1972, p.48.

12. Cass., 6 giugno 1986, in Giust. pen. 1987, II, p. 417. In precedenza: Cass., 21 giugno 1971, in Giust. pen. 1972, II, p. 676; Cass., 25 ottobre 1971, in Cass. pen. 1972, p. 1921.

13. Cass., 7 marzo1973, in Giust. pen. 1974, II, p. 28.

14. Cass., 1 luglio 1936, in Scuola positiva 1937, p. 91.

15. M. Portigliatti Barbos, G. Marini, La capacità di intendere e di volere nel sistema penale italiano, Giuffrè, Milano 1964, p. 84.

16. Trapani, La imputabilità del minore di anni diciotto e del minore degli anni diciotto seminfermo di mente, in Giust. pen. 1969, II, p. 508.

17. I. Baviera, Diritto minorile, II, Giuffrè, Milano 1976, p. 40.

18. Ibidem.

19. L'epilessia "si caratterizza per la presenza in essa di due stadi: i periodi accessuali, ossia le fasi degli attacchi convulsivi, in cui l'ammalato agisce in stato di automatismo [...], ed i periodi interaccessuali, cioè le fasi intermedie tra i periodi accessuali [...]. È noto che nei periodi accessuali, proprio per le condizioni di automatismo nelle quali l'agente opera, va sicuramente esclusa l'imputabilità [...] e che i momenti che precedono e seguono in via immediata detti periodi possono e sono di solito contraddistinti da modificazioni mentali" (Pio Ferrone, Sul vizio parziale di mente nei minori ultraquattordicenni, in Giust. pen. 1972, II, p. 678-679).

20. Nicola Bicci, Minorenni e seminfermità di mente, in Riv. dir. penit. 1937, p. 127.

21. E. Battaglini, Età minore e vizio parziale di mente, in Riv. dir. pen. 1937, p. 544-545.

22. E. Battaglini, Vizio parziale di mente ed età minore, in Giust. pen. 1950, II, p.121.

23. Giuseppe Altavista, Il vizio parziale di mente nei minori degli anni 18, in Rass. studi penit. 1953, p. 93.

24. Franchini, Introna, Delinquenza minorile, Cedam, Parma 1972, p. 718.

25. Ivi, p. 719.

26. E. Battaglini, Vizio parziale di mente ed età minore, in Giust. pen. 1950, II, p. 120.

27. I. Baviera, op. cit., p. 41.

28. G. Marini, voce Imputabilità, in Enc. giur. Treccani, p. 9.

29. Gianluigi Ponti, Compendio di criminologia, Raffaello Cortina Editore, Milano 1999, pp. 497-498.

30. Ivi, p. 498.

31. Ivi, p. 499.

32. Vicenzo Militello, Imputabilità ed assunzione di stupefacenti fra codice e riforme, in Franco Bricola e Gaetano Insolera (a cura di), La riforma della legislazione penale in materia di stupefacenti, Cedam, Padova 1991, p. 139.

33. Gianluigi Ponti, Compendio di criminologia, Raffaello Cortina Editori, Milano 1999, p. 542.

34. Ivi, pp. 543-544.

35. Cass., Sez. I, 26 aprile 1979, in Cass. pen. Mass. 1980, p. 703.

36. Le definizioni sono tratte da G. Ponti, op. cit., pp. 503-506.

37. Luciano Grasso, Mariella Roberti, Questioni interpretative nell'accertamento dell'imputabilità del minore assuntore di stupefacenti, in Cass. pen. Mass. 1986, p. 1681.

38. Salierno Rosalba, La salute dei giovani, in Esperienze di giustizia minorile 1985, n. 2-3, pp. 237 e ss.

39. Paolo Dusi, Gli interventi penali e la tossicodipendenza, in Gilberto Barbarico (a cura di), Droga e minori, Unicopli, Milano 1986, pp. 107-108.

40. Ivi, p. 109.

41. Franchini, Introna, Delinquenza minorile, Cedam, Padova 1972, p. 687.

42. Anselmo Sacerdote, Considerazioni medico-legali sull'applicabilità ai minorenni degli art. dal 90 al 96 del codice penale, in Sc. pos. 1954, p. 421.

43. In questi termini si esprime solitamente la Corte di Cassazione (cfr., ad esempio, Cass., sez. I, 23 ottobre 1978, in Giust. Pen. 1979, II, p. 405).

44. Carrieri, Greco, Amerio, Ventola, D'Introno, La diagnosi di tossicodipendenza. Aspetti clinici, indagini di laboratorio, esami psicodiagnostica, in AA.VV., Atti del XXVIII Congresso Nazionale della Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni, tenuto a Parma, 3-7 ottobre 1983, vol. III, p. 44.

45. Ivi, p. 45.

46. P. Dusi, Gli interventi penali e la tossicodipendenza, in Gilberto Barbarico (a cura di), Droga e minori, cit., pp. 111-112.

47. Ivi, p. 109.

48. L. Grasso, M. Roberti, Questioni interpretative nell'accertamento dell'imputabilità del minore assuntore di stupefacenti, in Cass. pen. Mass. 1986, p. 1684.

49. Romano Ricciotti, Profili di diritto minorile, in Franco Bricola e Gaetano Insolera (a cura di), La riforma della legislazione penale in materia di stupefacenti, cit., p. 185.

50. La soppressione del riferimento a «qualsiasi circostanza inerente alla persona del colpevole», contenuto nel testo approvato dalla Camera dei deputati, non dovrebbe impedire ai giudici di ritenere sussistente la circostanza attenuante, visto che le peculiarità dell'età evolutiva non possono non avere dei riflessi sulle modalità dell'azione (Ivi, p. 188).

51. Paolo Dusi, Gli interventi penali e la tossicodipendenza, in Gilberto Barbarico (a cura di), Droga e minori, cit., p. 104.

52. Ibidem.

53. Romano Ricciotti, Profili di diritto minorile, in Franco Bricola e Gaetano Insolera (a cura di), La riforma della legislazione penale in materia di stupefacenti, cit., pp. 192-193.

54. Cass. 16 novembre 1988, in Riv. pen. 1989, p. 812.

55. Assumma, Osservazioni sul giudizio di prevalenza o di equivalenza nella nuova formulazione legislativa, in Giur. Di merito, 1975, IV, p. 47.

56. Cass. 19 settembre 1987, in Riv. pen. 1988, p. 895.