ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Introduzione

Massimo Di Bello, 2000

Nell'epoca della globalizzazione, gli incalzanti mutamenti degli assetti socio-politici in vaste aree geografiche del pianeta hanno, tra le altre cose, accelerato e stravolto le dinamiche dei movimenti migratori, esasperandone i problemi d'impatto sia sui rapporti internazionali che sull'ordine interno di tutti i Paesi interessati ai percorsi del fenomeno. L'immigrazione, oggi, si presenta come un fenomeno più complesso rispetto ai decenni passati e di più difficile "gestione" perché coinvolge, come mai prima d'ora, tanto i singoli individui, con le loro personalità e le loro storie, quanto l'intera società. Tanto più se si considera che, oggi, i fattori di spinta all'esodo e l'orientamento dei flussi, già snaturati dagli eventi, sono condizionati dagli interessi delle organizzazioni criminali, che hanno saputo sfruttare i momenti di crisi della società civile.

Ma, sul fronte opposto della disperazione di migliaia di persone in fuga dalla fame e dalla guerra, c'è il diffondersi di un ingiustificato clima di allarme in una società impreparata ad "accogliere" le differenze come un'occasione di crescita culturale.

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Anche l'Italia, all'interno del gigantesco processo della mondializzazione, sta assumendo la veste di Paese multietnico per l'inserimento stabile, sempre crescente, di cittadini stranieri. In pochissimi anni, infatti, già caratterizzato da una rilevante emigrazione e da movimenti demografici interni, il nostro Paese ha registrato un notevole incremento del fenomeno immigratorio, assumendo la duplice funzione di territorio di destinazione definitiva e di territorio di transito per flussi migratori di notevoli dimensioni.

Tuttavia, il susseguirsi di episodi di cronaca, legati soprattutto all'afflusso di profughi e clandestini, ha posto l'opinione pubblica italiana di fronte ai fenomeni più visibili dell'immigrazione, quali la marginalità, l'estrema miseria, la precarietà, la devianza. Spesso dimentica delle umiliazioni e delle angherie di cui sono stati vittime, solo qualche decennio fa, i nostri connazionali espatriati, essa ha riscoperto atteggiamenti che sembravano ormai un retaggio archeologico della nostra cultura, tradizionalmente chiusa e provinciale. Così, contro i naufragati ottimismi ed in sintonia con i più disarmanti pessimismi, va alimentandosi l'idea del "diverso" come causa di tutti i mali. E, da questo punto di vista, i rischi connessi al diffondersi di forme xenofobe e razziste sono reali e pericolosi, anche perché gli immigrati stanno assumendo sempre più la funzione di capri espiatori, sia a causa dell'inadeguata funzione dei mezzi di informazione, sia a causa dell'estendersi dell'insicurezza e del formarsi di psicosi di paura.

In questa ricerca, che non vuole arrogarsi alcuna pretesa di esaustività, sono stati forniti alcuni spunti di riflessione sui percorsi legali ed illegali dell'immigrazione in Italia nell'ultimo decennio. Tanto più comprensibili, quanto maggiore è l'analisi storica e comparativa del fenomeno.

Il confronto col passato ha evidenziato le attuali caratteristiche del panorama migratorio, caratterizzato da una maggiore rilevanza dei "fattori di espulsione" rispetto ai tradizionali "fattori di attrazione". Le conseguenze socio-giuridiche di questo mutamento "motivazionale" sono rilevanti: la promozione, da parte degli Stati interessati, di politiche restrittive volte a contenere l'entità dei flussi; l'intensificarsi dell'immigrazione clandestina quale risposta alla chiusura dei valichi di accesso a questi Paesi; un generale peggioramento della condizione degli immigrati, sia regolari che irregolari, per le note difficoltà di inserimento in una società sempre più ostile e diffidente.

Dal punto di vista giuridico, l'innovazione più rilevante per il nostro Paese è stata l'emanazione di una legge organica per la gestione delle politiche immigratorie, che avrebbe dovuto consentire di passare da una situazione di crisi ad una di normale gestione dei flussi di ingresso. Con la Legge 40/'98, recepita ed integrata dal Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (D. Leg.vo 286/'98), sono stati disciplinati una serie di istituti: l'ingresso ed il soggiorno degli stranieri; il "documento programmatico" quale strumento di definizione dei flussi migratori con le quote massime ammesse ad entrare; i provvedimenti di contrasto all'illegalità, quali il respingimento alla frontiera e l'espulsione dal territorio dello Stato; le linee di contrasto all'immigrazione clandestina ed allo sfruttamento dei migranti; il lavoro degli stranieri in Italia in relazione alle quote occupazionali ammesse con il documento programmatico; il diritto all'unità familiare e le norme a tutela dei minori; l'integrazione degli stranieri, a partire dall'assistenza familiare fino al diritto all'istruzione. Nell'insieme un corpo di norme che ha il pregio di incentivare la legalità attraverso la "logica della premialità", preoccupato del rispetto dei più elementari diritti umani.

Ma l'immigrazione ha colto un'Italia culturalmente impreparata: non è solo sulla "carta" che si realizza l'integrazione.

Le analisi e le ricerche in materia, peraltro condotte su una base statistica incerta e, il più delle volte, scarsamente attendibile, evidenziano l'aumento dei flussi legati alle esigenze lavorative e i ricongiungimenti familiari, segno di una progressiva stabilità delle comunità di immigrati nel Paese. Ma, ciò che non traspare dalle analisi è che aumentano anche i ritardi, imperversa la burocrazia e gli stessi istituti previsti dalla legge stentano a decollare. Problemi di inserimento lavorativo, casa, scuola e l'intensificarsi dell'immigrazione irregolare sono il segno più evidente dei limiti di un approccio al fenomeno esclusivamente "giuridico". Secondo alcuni, lo stesso aumento delle richieste di asilo politico sottenderebbe alla volontà di raggirare i limiti di ingresso posti dalla vigente normativa. E l'evidente impreparazione sociale, politica e culturale insieme, aggrava tutta una serie di problemi, tra cui quello della criminalità.

Le polemiche sulla presunta connessione tra immigrazione e aumento della criminalità lasciano sconcertati per l'emotività delle dichiarazioni e degli approcci. Mancano analisi serie del fenomeno: ritualmente si denunciano episodi di criminalità attribuiti agli immigrati anche quando gli autori ne sono ignoti ed immancabilmente si ripete la sequela delle dichiarazioni che reiterano i soliti luoghi comuni contro gli immigrati.

I dati disponibili relativi agli aspetti giudiziari degli stranieri indicano che in Italia la criminalità è aumentata notevolmente sin dai primi anni '70, quando, cioè, i processi immigratori erano ancora agli inizi, mentre quella straniera è aumentata solo negli ultimi dieci anni. In molte città del Nord e del Centro il numero degli immigrati condannati per furto, rapina, sfruttamento della prostituzione, produzione e commercio di stupefacenti rappresenta un quarto della popolazione carceraria; tra gli immigrati irregolari si registra un tasso di delittuosità di tre, quattro volte superiore a quello riscontrato tra i regolari: tre volte per gli omicidi, cinque volte per i furti e le rapine.

Il problema della criminalità, dunque, esiste e riguarda in misura significativa gli immigrati. Ma, questi dati non sono sufficienti a suggerire giudizi o risposte automatiche. Qualunque rapporto matematico con la criminalità italiana è fuorviante. Tanto più se si considera che parlare di criminalità straniera corrisponde ad una generalizzazione/riduzione del fenomeno in sé complesso e articolato intorno a forme espressive estremamente differenziate.

I dati esaminati, pur con le dovute cautele, se consentono di formulare delle conclusioni dal punto di vista della fisionomia psico-sociale della devianza straniera, non permettono, invece, una valutazione dei significati attribuiti alle condotte messe in atto. I valori registrati per alcune tipologie di reato, ad esempio, suggeriscono che la criminalità straniera vada intesa come forma di sostentamento o come stile di vita dei soggetti maggiormente marginalizzati. Questa tendenza sarebbe confermata dalla correlazione positiva tra reati contro il patrimonio e disagiate condizioni di vita della popolazione immigrata. Ma un'analisi più attenta alle evoluzioni della devianza straniera evidenzia che, nonostante i valori più bassi, vi sono fattispecie delittuose che hanno registrato incrementi più consistenti e che nulla hanno a che fare con la precarietà o la povertà (almeno in via immediata). Si tratta dei reati contro la persona, delle attività criminali consorziate, delle fattispecie in vario modo violente.

Il fatto è che, nel complesso rapporto che lega l'immigrazione alla devianza sono da considerare numerose variabili, che vanno dalla parzialità dei dati statistici alle caratteristiche di genere, età ed etnia di appartenenza delle persone coinvolte, dalla specificità delle attività criminali alla condizione giuridica dell'immigrato, dalle motivazioni socio-psicologiche della devianza alle varie forme di sfruttamento. Pena, il rischio di compiere un'analisi parziale, alla stregua di chi volesse estendere i tassi di criminalità italiana dalle aree dov'è patologicamente più diffusa, al resto del Paese.

Da un metodo di analisi di questo genere, è emerso una triplice fisionomia della devianza straniera, una a carattere, per così dire, "simbolico o motivazionale", in sintonia con le "esigenze espressive e i bisogni comunicativi dell'immigrato"; l'altra, riferita soprattutto alla precarietà delle condizioni di vita; ed, infine, una legata allo sfruttamento cui gli immigrati sono sottoposti.

Il problema è che questi tre livelli di devianza non sono più così facilmente distinguibili tra essi, a causa della crescente "influenza" che le organizzazioni criminali esercitano sui comportamenti devianti degli immigrati. Influenza tanto più forte quanto maggiore è il loro coinvolgimento, diretto o indiretto, nelle operazioni di traffico e di sfruttamento dei migranti. Segnali inequivocabili di quest'influenza sono l'entità dei flussi migratori clandestini, il coinvolgimento della componente irregolare nella quasi totalità dei reati commessi da stranieri, l'aumento dello sfruttamento della prostituzione, i numerosi casi di sfruttamento minorile, l'incremento dei reati associativi. Ma anche gli aumenti di una serie di reati che finiscono per essere attratti nell'area della criminalità organizzata: così, il furto, la rapina, l'estorsione, lo spaccio di droghe, ed alcuni reati connotati dal ricorso alla violenza, sembrano essere espressione di una "devianza indotta". Insomma, quanto maggiore è l'organizzazione dei gruppi che si dedicano all'immigrazione illegale, tanto maggiore sarà la probabilità dei migranti di essere introdotti in circuiti criminali paralleli. Il tutto reso possibile da un diversificato sistema di violenze ed abusi.

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Allora, dunque, bisogna prendere coscienza che l'immigrazione è un prodotto del nostro tempo, e che la criminalità non va vinta con l'improbabile ed inaccettabile pretesa della chiusura delle frontiere o dell'espulsione di massa, ma attraverso adeguate politiche d'accoglienza e d'integrazione. Ma occorre, soprattutto, un'evoluzione culturale tesa a correggere l'errore di ritenere l'immigrato estraneo alla "collettività da difendere", finendo in tal modo per escludere proprio "ciò" che va "incorporato". Non si deve dimenticare, insomma, che l'obiettivo supremo di tutela dell'integrità della persona non può cedere alle faziose ideologie di esigue minoranze.

È su questo terreno che si gioca la carta della prevenzione del disagio e della devianza.

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L'analisi che abbiamo condotto in questa ricerca si è servita dei dati forniti dal Ministero dell'Interno, dal Ministero di Grazia e Giustizia, dall'Istat e da una serie di istituti di ricerca e volontariato, nonché della documentazione giudiziaria relativa a circa 500 procedimenti penali e dei rapporti annuali sullo stato della criminalità in Italia.

L'estenuante opera di reperimento e selezione del materiale, nonché di elaborazione delle informazioni statistiche, ha potuto contare sul prezioso aiuto e sulla disponibilità di osservatori qualificati, che ringrazio vivamente.

Un ringraziamento particolare al dott. Roberto Mongardini, funzionario dell'Osservatorio permanente sulla criminalità, al V. Q. Agg. Dott. Marco Giovanetti, al dott. Andreano Renato, al dott. Pasquale Russo, all'Agt. S. Magni Raffaele, che mi hanno fornito un indispensabile contributo.

Ma i limiti della ricerca sono solo a me imputabili.